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Tendenze della sinfonia tra il 1920 e il 1940 nel

mondo germanico e italiano

Facoltà di Lettere e Filosofia


Dipartimento di Studi greco-latini, italiani, scenico musicali
Corso di laurea in Letteratura Musica e Spettacolo

Alissa Balocco
Matricola 1708728

Relatore
Andrea Chegai

A/A 2017/2018
Indice

• Capitolo I. La sinfonia del XX secolo 2

• Capitolo II. Alcuni studi sulla sinfonia del Novecento 12

• Capitolo III. Tra Vienna e Berlino 26

1. Serialismo, dodecafonia e tonalità dopo Schönberg: 26


le sinfonie di Webern, Křenek, Eisler, Weill e Hartmann
2. Spirito romantico: le sinfonie di Hindemith, 43
Pfitzner, Schmidt

• Capitolo IV. La sinfonia italiana dell’avvenire 51

1. Malipiero: culto del passato e tecnica antidialettica 54


2. Alfano: fedeltà all’eredità romantica 59
3. Pizzetti e Casella: due sinfonie a confronto 61

• Capitolo V. Conclusioni 68

1. Tendenze nella sinfonia austro-tedesca 69


2. Tendenze nella sinfonia italiana 72

• Bibliografia 75

1
I

La sinfonia del XX secolo

Cosa è la sinfonia del XX secolo? La definizione «una composizione orchestrale in

più movimenti che segue il principio di sviluppo della forma sonata»1, che ben si

adatta alla sinfonia fino a Mahler, in questo secolo non è più così universale: cosa

lega infatti composizioni monumentali di più di un’ora di durata a composizioni di

dieci minuti, o strutture in più di dieci movimenti a strutture in singolo movimento?

Proprio da qui parte l’argomento di questa tesi: dalla curiosità e dall’intenzione di

esplorare il repertorio sinfonico dei compositori della prima metà del Novecento per

cercare di capire per quanto possibile in quali trasformazioni e cambiamenti sia an-

data incontro il genere sinfonia e illustrarne le nuove tendenze. In questo secolo le

caratteristiche del genere sinfonico non possono più esser fatte rientrare nel blocco

unico quale si presentava la sinfonia romantica e poi tardoromantica: essa infatti po-

teva presentare varianti ma le assorbiva in una struttura comunque compatta. Ten-

denzialmente si presentava in quattro movimenti, ognuno dei quali era strutturato

secondo determinate caratteristiche (il primo era in forma sonata, il secondo era un

1CHITADZE, KETEVAN, Transformation of the Genre Model of the Symphony in the Twentieth Century
Music, estratto della omonima tesi di dottorato, Vano Sarajisvili Tbisili State Conservatoire, Tbisili,
2012, p. 22

2
movimento lento, il terzo e il quarto erano più brillanti e veloci), seguiva un percor-

so armonico di andata e ritorno alla stessa tonalità, la sua durata oscillava dai trenta

ai sessanta minuti e l’elaborazione motivica presentava temi dalle fisionomie diffe-

renziate che si scontravano, si modificavano, delineavano un percorso verso il trion-

fo o il silenzio. Le sinfonie di questo secolo invece sono evidentemente diverse tra

loro: possono essere formate da un movimento o da più, sono composizioni gigante-

sche oppure ridotte all’uso di pochi strumenti, sono puramente sinfoniche o fuse

con generi vocali.

Si è voluto concentrare l’attenzione nella produzione di sinfonie tra il ventennio

1920-1940 con attenzione al mondo austro-tedesco e italiano: è un periodo di parti-

colare interesse, poiché, ad eccezione della Russia e dell’Inghilterra dove la produ-

zione sinfonica continua a essere vitale, in questi due ambienti si assiste a una ripre-

sa del genere sinfonia che era stato, a partire dei primi decenni del secolo, parzial-

mente lasciato da parte. La produzione sinfonica, che da Beethoven costituiva il ge-

nere più maestoso e rappresentativo dei compositori ed era giunto fino alla monu-

mentalità e all’universalità delle opere di Mahler, agli inizi del Novecento si fa più

sporadica. Se la Grande Guerra dà spazio ad alcuni tentativi di sinfonie patriottiche,

queste tuttavia rientrano in risultati modesti. Dagli anni ’20 invece, la sinfonia sem-

bra riacquistare una certa vitalità, ricompare più sicura nei suoi intenti e nella sua

direzione, e soprattutto nel suo linguaggio, forse finalmente ‘moderno’ e cosciente

di nuove possibilità. La ricerca della tesi si concentra proprio in questo ventennio

all’interno del mondo austro-tedesco, a cui si riconosce generalmente di aver dato

vita alla sinfonia e di aver fatto da modello da Beethoven in poi, e quello italiano,

che domina fino al Novecento nel campo dell’Opera ma in cui le influenze del cam-

po musicale europeo e la riscoperta della tradizione italiana saranno fondamentali

per una svolta, un’ammodernamento, nell’orchestrazione e nel linguaggio della mu-

3
sica strumentale italiana, soprattutto grazie agli autori della cosiddetta generazione

dell’ottanta.

Per capire al meglio le particolarità e le tendenze in cui incorre la sinfonia in que-

sto secolo è necessario fare un passo indietro e riassumere le forme che la sinfonia

aveva acquisito nel corso dei secoli, utili a comprendere anche i suoi orizzonti pro-

blematici a livello storico. Il termine Sinfonia nel suo significato moderno si definisce

nel XVII nell’ambito della musica strumentale italiana, ma solo nel XVIII secolo il

genere si afferma come prodotto di largo consumo. In Germania in questo periodo

la sinfonia riceve impulsi da due centri musicali: Mannheim e Berlino. La scuola di

Mannheim, soprattutto grazie a Johann Stamitz, allarga l’impianto complessivo del-

la composizione, dando vita a una forma ciclica in quattro tempi e ampliando l’or-

ganico. La scuola di Berlino vede come principale esponente Carl Philipp Emanuel

Bach, che pone grande attenzione verso una elaborazione tematica coerente e meti-

colosa. E’ in questo momento che gradualmente si realizza il passaggio dalla scrittu-

ra barocca, fondata sui principi di identità e ripetizione, alla scrittura del periodo

classico, basata su quelli di elaborazione e di contrapposizione. La fraseologia moti-

vica del discorso musicale di estende, si fa regolare, e si stabilisce un percorso che

parte e ritorna da una tonalità di base.

Il periodo classico della sinfonia comincia con Franz Joseph Haydn: la svolta clas-

sica di Haydn coincide con le sue Sinfonie Parigine, nella quali compare per la prima

volta il principio dell’unità strutturale all’interno dei singoli movimenti. La Oxford

Symphonie e le 12 Sinfonie Londinesi segnano l’ultima fase della sua maturità. A Lon-

dra Haydn dispone di una orchestra di grande livello e di cui sfrutta al meglio le po-

tenzialità: la struttura della sinfonia si arricchisce di lente introduzioni, la coda della

ripresa dei temi; l’Allegro iniziale struttura una dialettica di antitesi e il Finale rical-

ca uno schema a Rondò.

4
Il fascino delle quattro sinfonie mozartiane risiede invece nella melodia cantabile

e nella pluralità di temi che addolciscono il rigoroso sviluppo tematico di Haydn.

Dalla prolifica produzione di sinfonie di Haydn e Mozart, con Beethoven siamo di

fronte a uno spartiacque per la storia della sinfonia (come quella della musica, d’al-

tronde): il numero di sinfonie si riduce a vantaggio del potenziamento dell’indivi-

dualità di ogni singola composizione, scompare il carattere cameristico che aveva

caratterizzato le sinfonie di Haydn e Mozart, si amplia l’organico orchestrale e la se-

zione di sviluppo diventa il principale campo di tensione del materiale tematico, la

sezione più estesa e più articolata in ampie progressioni.

Con Haydn, Mozart e Beethoven la storia della sinfonia prende una nuova dire-

zione: essa si afferma come genere orchestrale per eccellenza, assurge al primo posto

tra tutte le forme musicali dell’epoca, imponendo la propria supremazia su ogni al-

tro genere strumentale in quanto opera di altissimo impegno tecnico e soprattutto

etico da parte del compositore che vi si approccia. Una sorta di biglietto da visita

della capacità e grandiosità musicale e compositiva dell’artista. La sua forma si sta-

bilizza in quattro movimenti: Allegro in forma sonata, un tempo lento, un minuetto

o uno scherzo e un finale di solito in tempo veloce. A questo punto la struttura della

sinfonia è talmente codificata da iniziare a indirizzarsi verso diverse infrazioni, già

da Beethoven, con l’utilizzo del coro nella Nona o l’introduzione di un quinto mo-

vimento nella Pastorale. Le sinfonie di Beethoven, d’ora in avanti, graveranno sulla

musica e diversamente autori romantici quali Schubert, Brahms, Mendelssohn, Ber-

lioz, Bruckner, e Mahler recepiscono il modello beethoveniano. Come ricorda Carl

Dahlhaus, le sinfonie beethoveniane furono, proprio per la loro diversità che rende

impossibile dedurne un tipo ideale, il punto di partenza e premessa di tendenze di-

vergenti nella storia del genere sinfonico dell’Ottocento2 : chi componeva sulle orme

di Beethoven doveva evitare di copiarne lo stile e allo stesso tempo non poteva re-

gredire a una fase precedente a quella raggiunta dal compositore. Dopo la Terza Sin-

2
DAHLHAUS, CARL, La musica dell’Ottocento, Firenze, La Nuova Italia, 1990, p. 103

5
fonia (1850) di Schumann, per quasi due decenni non fu scritta nessuna opera di

rango che rappresentasse la musica assoluta, non determinata da un programma. Al

posto della sinfonia, fu il poema sinfonico a balzare in primo piano negli anni ’50 e

’60 dell’Ottocento e ad arrogarsi il compito di rappresentare la grande forma della

musica strumentale. Ma negli anni ’70 e ’80, grazie alle opere di Bruckner, Brahms,

Tchaikovsky, Dvorak, Franck, alla sinfonia si riconosce comunemente una seconda

fioritura: questi compositori si trovano davanti il problema di dover sia coniugare i

tratti convenzionali che preservavano la continuità della tradizione sia ricorrere a

idee formali moderne (provenienti in parte dal poema sinfonico). Coniugare lirismo

e monumentalità, ovvero l’eredità di Beethoven con lo spirito moderno. Le sinfonie

di Mahler, agli inizi del Novecento, si configurano come sintesi di un intero secolo di

storia della sinfonia: per mezzo di un’orchestra ampia e ricca, la sinfonia mahleriana

è espressione di un intero universo spirituale, dell’energia e della tensione della

soggettività senza limiti dell’individuo.

La sinfonia giunge agli inizi del 1900 come un punto di riferimento fondamentale,

accanto all’opera, della vita musicale. Il repertorio sinfonico, come quello operistico,

è dominato dai classici riconosciuti, generalmente austro-tedeschi: e molto spesso i

concerti, come oggi, terminavano con una sinfonia, la forma più grandiosa della

musica per orchestra.

Paul Griffiths, nel tracciare il panorama della sinfonia tardoromantica (cronologi-

camente 1890 - 1910), sottolinea come la sinfonia a fine secolo iniziasse a mostrare

segni di debolezza poiché subiva quella progressiva emancipazione della dissonan-

za che ne destabilizzava il linguaggio armonico alla base e dunque la sua stessa

forma: l’allargamento dell’armonia, cominciato con Wagner e proseguito nel corso

di fine secolo, era giunto a permettere una libertà tale in campo armonico da indebo-

lire la percezione della differenza fra le tonalità all’interno dei suoi movimenti, ren-

dendo più difficile seguire l’andamento di andata e ritorno alla tonalità di base, per-

corso su cui la sinfonia aveva basato tutta la sua storia moderna. Secondo Griffiths,

6
le sinfonie di autori russi, tedeschi, francesi, si dibattevano con una precisa difficol-

tà: « quella di mantenere saldo l’obiettivo in un linguaggio armonico talmente arric-

chito da permettere praticamente di tutto»3. Era una crisi che obbligava a formulare

e a collegare in modo diverso da quello della tradizione classico romantica i singoli

elementi delle strutture musicali, e i musicisti così detti tardoromantici non sono al-

tro che la prima generazione cosciente di questa «discutibile relazione tra armonia e

ritmo e andavano in cerca di soluzioni» 4. Di conseguenza se nell’Ottocento la sinfo-

nia era riuscita a mantenere un’unica, riconoscibile forma, le cui variazioni rientra-

vano sempre nel modello plasmato da Beethoven, nel XX secolo le strade divergono:

alla base delle sinfonie di Hindemith, Křenek, Eisler, Weill, non riconosciamo più un

modello unificante. Un punto di arrivo (o di inizio, come cercherà di indagare que-

sta tesi) di un genere che era già problematico dalla sua stessa nascita: «la storia del-

la sinfonia (moderna) non percorre una strada dialettica»5, dice Dahlhaus:

« Se il modello beethoveniano seguitò a ergersi in tutta la sua potenza davanti agli occhi dei posteri,

non si può invece parlare di una evoluzione storica del genere sinfonico di tipo dialettico. Fu proprio
il continuo rifarsi a Beethoven che la storia della sinfonia non presenta quel tipo di continuità che

corrisponde al luogo comune della catena in cui un anello si allaccia all’altro. Si trattava di appro-
priarsi del retaggio beethoveniano cercando di realizzare la grande forma. Per opera di Beethoven, la

sinfonia diventa un genere monumentale in cui si manifestava l’ambizione del compositore che vole-
va toccare le più alte vette. Il pubblico a cui era rivolta era nientemeno che l’umanità. La sinfonia si

affrancò dall’obbligo di essere monumentale soltanto nel Novecento mediante la forma della sinfonia
da camera, il cui organico solistico è struttura esterna di un pensiero estetico»6

La storia della sinfonia dell’ottocento è «circumpolare», ovvero, «non rappresenta

un’evoluzione in cui ogni fase è conseguente a quella antecedente e premessa di

3
PAUL GRIFFITHS, La musica del Novecento, Torino, Einaudi, 2014, p. 18
4
CARL DAHLHAUS, La musica dell’Ottocento, cit, p. 396

5 ivi, p. 102
6
ivi, p. 102-103
7
quella successiva, bensì tutte le opere più importanti ruotano intorno a un centro a

cui si riferiscono direttamente senza essere collegate l’una con l’altra se non da nessi

superficiali»7. Questo aspetto viene meno nel Novecento, o meglio, viene affiancato

da nuove tendenze nel modo di pensare il genere sinfonico: ciò che qui mi interessa

è allora indagare le strategie formali con cui i compositori lavorano sulla sinfonia in

questo periodo e trarne queste nuove tendenze. Seguire il percorso della sinfonia

nella prima metà del secolo è complicato, sia perché il genere cerca di uscire da un

momento di incertezza, sia perché nel Novecento soluzioni e linguaggi dei singoli

compositori si frammentano e si moltiplicano. Arnold Schönberg inaugura una vera

e propria frattura nel mondo musicale, aprendo la strada all’atonalità prima e alla

dodecafonia poi, che avranno a partire dagli anni venti, grazie ad i suoi allievi e al

suo insegnamento, una profonda influenza a livello europeo. Inoltre l’idea di impor-

tanza etica legata alla sinfonia va in parte esaurendosi. Genere ancora grandioso,

certo, ma più ridimensionato forse nell’importanza che gli era stata attribuita fino a

quel momento. L’approccio ovviamente cambia da autore ad autore (e perciò neces-

sariamente vi sono figure che si legano alla sinfonia in modo più o meno forte, se-

guendo indole e istinto personale) ma lo sguardo è più ridimensionato a un livello

individuale e soggettivo. Il Novecento è d’altronde il secolo della filosofia del singo-

lo e della soggettività non più intesa con spirito romantico e tardoromantico, cioè

idealmente energica o tragica e sublime, e di conseguenza esasperata e universale,

ma più personale, intima, nel senso di ridimensionata a un’ottica più ‘quotidiana’ e

meno idealizzante.

La tesi è strutturata, dopo questo primo capitolo introduttivo, in altri tre capitoli

più la conclusione. Il secondo capitolo presenta gli studi che saranno alla base delle

analisi delle sinfonie dei successivi due, l’uno dedicato al mondo austro-tedesco e

l’altro a quello italiano. La conclusione proverà a tracciare uno schema delle tenden-

7
ibidem
8
ze della sinfonia del ventennio in esame. Al termine di questa introduzione segue,

per una migliore panoramica di studio, l’elenco dei compositori e delle sinfonie scel-

te per l’analisi, nell’ordine con il quale verranno presentati nel terzo e nel quarto ca-

pitolo.

9
Compositori austro-tedeschi

● Anton Webern (Vienna, 1883 - Salisburgo, 1945)


- Sinfonia op. 21 (1927)

● Ernst Křenek (Vienna, 1900 - California, 1991)


- Sinfonia n. 1 (1921)
- Sinfonia n. 2 (1922)
- Sinfonia n. 3 (1922)
- Sinfonia per fiati e percussioni (1924-1925)

● Hanns Eisler (Lipsia, 1898 - Berlino, 1962)


- Kleine Symphonie op. 29 (1932)

- Deutsche Symphonie (1935 - 1958)

● Kurt Weill (Dessau, 1900 - New York, 1950)


- Berliner Symphonie (1921)
- Sinfonia n. 2 (1933)

● Karl Amadeus Hartmann (Monaco di Baviera, 1905 - Monaco di

Baviera 1963)
- Prima Sinfonia (1936 - 1955 ultima revisione)
- Sinfonia Tragica (1940)

● Paul Hindemith (Hanau, 1985 - Francoforte, 1963)


- Sinfonia Mathis Der Mahler (1934)

10
- Sinfonia in Mi bemolle (1940)

● Hans Pfitzner (Mosca, 1869 - 1949)


- Piccola Sinfonia in Sol Maggiore (1939)

- Sinfonia in Do Maggiore (1940)

● Franz Schmidt (Presburgo, 1874 - Vienna, 1939)


- Sinfonia n. 3 (1927-1928)
- Sinfonia n. 4 (1932 -1933)

Compositori italiani

● Gian Francesco Malipiero (Venezia, 1882 - Treviso, 1973)


- Prima Sinfonia, In quattro tempi come le stagioni (1933)

- Seconda Sinfonia, o Elegiaca (1936)

● Franco Alfano (Napoli, 1875 - Sanremo, 1954)


- Prima Sinfonia in Mi bemolle maggiore (1910, rivisitazione in tre tempi 1923)

- Seconda Sinfonia (1932)

● Ildebrando Pizzetti (Parma, 1880 - Roma, 1968)


- Sinfonia in La maggiore (1940)

● Alfredo Casella (Torino, 1883 - Roma, 1947)


- Sinfonia n. 3 (1940)

11
II

Alcuni studi sulla sinfonia del Novecento

Prima di passare in esame le sinfonie è necessario esporre gli studi da cui è possi-

bile partire per un percorso di analisi che guidi a riconoscere le caratteristiche e le

tendenze della sinfonia della prima metà del Novecento. Va premesso che la docu-

mentazione riguardante questo argomento, la sinfonia nella prima metà del secolo, è

scarsa: le sinfonie in questo periodo proliferano soprattutto in Russia e in Europa

orientale e in questo caso le analisi non mancano, ma per il mondo austro-tedesco e

italiano, che si trova proprio a ‘riscoprire’ in modo differente la sinfonia, come già

accennato nell’introduzione, sono poche le analisi sul genere e se ci sono, sono rap-

portate solo all’opus del singolo compositore e non in una prospettiva più ampia o

che permetta di illustrare le caratteristiche di una nuova forma sinfonica.

Uno studio su Arnold Schönberg di Hans Keller (1919 - 1981)8, compositore au-

striaco naturalizzato inglese, facilita la comprensione delle sinfonie composte con

metodo seriale. Secondo Keller, Schönberg dà vita ad un nuovo modo di organizzare

il pensiero sinfonico, che prevede: l’utilizzo delle forme di rondò e sonata in uno sta-

to sinfonico unificante e complesso; l’uso di due tonalità non in modo di progresso

8 KELLER, HANS, Schoenberg: The future of Symphonic Thought, Perspective of New Music, Vol 3 n.1
(1974), pp. 3-20

12
ma all’interno di una struttura tonale concentrica, in cui non vi è fine alla varietà in

cui le funzioni possono essere scisse e compenetrarsi a vicenda; le possibilità di con-

trasto tra atonalità e tonalità e, infine, il contrasto tra omofonia dodecafonica e do-

decafonia contrappuntistica ( «potente aiuto alla sopravvivenza del contrasto tra af-

fermazione e sviluppo, la condizione sine qua non del pensiero sinfonico» 9).

Nel 1983, Christopher Ballantine 10, nel suo Twentieth Century Symphony 11, prova a

definire la strada presa dalla sinfonia nel XX secolo a partire dall’idea di un princi-

pio sinfonico che ha la sua definizione e apogeo in epoca classica e che, secondo lui,

sopravvive fino al nostro secolo: questo principio è il «conflitto», il dualismo temati-

co. Nel trattare il XX secolo, Ballantine divide i lavori sinfonici in tre categorie, a se-

conda di come questo principio viene mantenuto o adattato:

1) conservative structural innovation (innovazioni strutturali conservative)

2) radical structural innovation (innovazioni strutturali radicali)

3) symphonic conflict redifined (ridefinizione del conflitto sinfonico)

Il volume di Ballantine è attualmente introvabile (se non in territorio inglese), e

l’unica copia in lingua presente a Roma è purtroppo fuori dalla sua collocazione alla

Biblioteca Nazionale Centrale. Tuttavia, da qualche estratto di riviste e libri in cui il

volume di Ballantine è citato, si è tentato di capire come l’autore (attraverso esempi

di sinfonie soprattutto inglesi o di zone di nuova affermazione, come la Finlandia e

il fenomeno Jean Sibelius) intendesse queste tre definizioni, interpretazioni che

9 Ivi, p. 20, traduzione mia.

10 (1942 - vivente ) Professore di musica e docente alla University of KwaZulu-Natal in Sud Africa. Le sue
ricerche esplorano i significati e le implicazioni sociali della musica e le forze che la modellano. Le sue pubbli-
cazioni tendono ad essere interculturali e interdisciplinari e a coprire una vasta gamma di questioni nel campo
della musicologia, della sociologia della musica, degli studi di musica popolare e dell'etnomusicologia.

11 BALLANTINE, CHRISTOPHER, Twentieth Century Symphony, Dobson Books ltd, 1983

13
sono, per i motivi citati, passabili di errore. Ballantine applica l’etichetta di «innova-

zione strutturale conservativa» a sinfonie nelle quali la struttura della sinfonia ro-

mantica è mantenuta mentre all’interno dei suoi movimenti si verificano determina-

te variazioni. Ad esempio, nell'Ottava Sinfonia di Ralph Vaughan Williams il primo

movimento mescola forma sonata e variazioni. Si può immaginare che con la secon-

da definizione Ballantine intenda sinfonie che invece non possiamo far rientrare in

una struttura classico-romantica. Nella terza categoria è probabile che Ballantine in-

serisse sinfonie nelle quali il principio del conflitto dualistico fosse definito in altre

modalità strutturali. L’approccio di Ballantine alla sinfonia, secondo Stephen

Walsh12 , che si occupa di recensire il suo volume, è riduttivo e non molto analitico, e

anzi forse troppo semplicistico, poiché non spiega molto delle trasformazioni del

genere a livello di forma.

Sull’elaborazione tematica della sinfonia è interessante l’analisi proposta da Chri-

stopher F. Hasty13, nell’articolo “On the problem of succession and continuity in Twentie-

th Century Music”14. Prendendo a modello e analisi la Symphony of Wind Instruments

di Stravinskij, l’autore vuole dimostrare come il concetto di discontinuità che si af-

faccia nella musica moderna in realtà non neghi la coerenza e la presenza di una di-

rezione del discorso in una composizione come quella stravinskijana, esempio di

composizione post tonale (per di più, scritta negli anni 20 ma revisionata nel 1947,

quindi proprio nel periodo di nostro interesse). L’articolo si sofferma molto anche su

Anton Webern: secondo l’autore, con questo compositore si afferma una nuova linea

12 STEPHEN WALSH, The Symphony Idea, recensione di Twentieth Century Symphony di Christopher Ballan-
tine, in The Musical Times, vol. 125 No. 1961 (anno 1984), p. 28

13Docente di teoria musicale presso la Harvard University, è stato caporedattore del Journal of Music Theory
(1987-90); membro dell'Editorial Board di Music Theory Spectrum (1982-1987); ed è attualmente membro del
comitato consultivo per l'analisi della musica (2001- oggi). Il suo libro, Meter as Rhythm (1997) ha vinto il
Wallace Berry Award dalla Society for Music Theory per l'eccezionale libro di teoria musicale dell'anno.

14
HASTY, F. CHRISTOPHER, «On the problem of succession and continuity in Twentieth Century Music», in
Music Theory Spectrum, Vol.8 (1986), pp. 58-77.

14
di pensare lo sviluppo e la continuità a livello di elaborazione tematica, spazio e

tempo della composizione. Vediamo perché. Il concetto di forma musicale entra in

crisi con l’abbandono della pulsazione ritmica continua, del tempo (measure), della

struttura regolare della frase e del singolo centro tonale: la nuova musica, dice Ha-

sty, è quindi spesso condannata per la sua discontinuità (intesa come completa man-

canza di connessione tra eventi che si susseguono). Questo, prosegue l’autore, ha

spesso portato a parlare di spatialization of time (spazializzazione del tempo), per

esempio in Webern: le strutture di Webern sembrano muoversi non verso una dire-

zione, ma circolare continuamente in uno spazio e tempo fluido, in un flusso provo-

cato dal costante variare delle forme motiviche e l’utilizzo di moti retrogradi che de-

finiscono una continua intercambiabilità tra le direzioni temporali. Hasty qui ri-

prende delle parole di Ligeti15 (1923 - 2006), compositore ungherese naturalizzato

austriaco, che sottolineano come la musica di Webern si fonda su eventi che si sus-

seguono tra loro ma in cui ognuno non è connesso al successivo. L’autore dell’artico-

lo continua citando George Rochberg16 (1918 - 2005) , compositore statunitense che

identifica la continuità con la capacità del discorso musicale di essere prevedibile: la

percezione del tempo musicale è la percezione della direzionalità dei suoi eventi, di

una catena causale tra di essi, e questa direzionalità è data prima di tutto dal tempo

e dalle relazioni tonali, abbandonate nella musica moderna. Secondo Rochberg, We-

bern crea una nuova forma di durata temporale, secondo cui battito e metro vengo-

no utilizzati come singoli frame, tasselli, non come un processo, ma come frammenti

su cui costruire simmetrie di tono e di ritmo, che dà vita a una serie di momenti ‘al

presente’, comportando la percezione di ogni singolo momento come oggetto auto-

sufficiente la cui percezione vale nel momento in cui è presentato, non per come ver-

rà realizzato in qualche futuro sviluppo. Questa idea di ‘momento al presente’, e

15 ivi, p. 59, traduzione mia.

16 ibidem

15
quindi di discontinuità come liberazione di questo momento singolo e individuale,

arriva fino a Stockhausen e alla sua definizione di moment form (forma momento).

Queste formulazioni risalgono tutte al dopoguerra, ma l’analisi di questi compo-

sitori parte sempre da questo momento di trasformazione, da questo ventennio in

cui evidentemente nuove tendenze si affacciano e necessitano di elaborazione, di

qualcosa di nuovo, a livello di forme come a livello di strumenti critici per definirle.

Anche secondo Stockhausen questo moment form si caratterizza per l’assenza di

prevedibilità che vede ogni evento essere per sé stesso, e che di conseguenza nega

una successione temporale e crea una percezione di discontinuità. Come il tratta-

mento del tema, così la nozione di forma, ma anche la nozione di tempo come con-

tenitore evento in cui accade qualcosa, di medium tra prima e dopo, di ciò che defi-

nisce e costruire una relazione tra prima e dopo, cambiano.

Hasty mira a dimostrare come la percezione della continuità sia in realtà da cerca-

re da un’altra parte: la forma, in questa musica, non è data dalla connessione tra

momenti, che sono sicuramente e per definizione sconnessi, ma «dalla struttura

proporzionale della durata dei diversi momenti» 17, ed è ciò che cerca di dimostrare

con l’analisi della sinfonia di Stravinskij.

Michel Chion, al termine del suo libro che analizza la sinfonia romantica da Bee-

thoven a Mahler, non si spinge a trattare il Novecento ma vi accenna soltanto, lan-

ciando molto fermamente l’idea del carattere di «messaggio universalista»18 della

sinfonia. In questo Chion individua la natura del genere sinfonico e, molto romanti-

camente, il punto di forza di una sinfonia che, secondo lui, non può che continuare

ad esistere. La sinfonia è espressione di un io che si sforza di dire noi, di un indivi-

duo che parla a nome della collettività, di un ricreare l’unione perfetta fra individua-

lità e universalità. Lo studio di Chion è interessante poiché già partendo dalla analisi

17 ivi, p. 63, traduzione mia

18 CHION, MICHEL, La Sinfonia romantica: da Beethoven a Mahler, 1996, editore Sei, p. 225

16
delle contraddizioni in cui incorre la struttura della sinfonia romantica si possono

sottolineare alcune prime e generiche varianti che la sinfonia del Novecento presen-

ta ora come caratteristiche. L’aumento a piacimento del numero di movimenti, sepa-

rati e concepiti nella loro individualità, al contrario il movimento unico. Ancora, non

vi è più la tendenza a rispettare l’usuale scansione di forma sonata per il primo mo-

vimento, il lento per il secondo, e uno scherzo per il terzo. C’è un evidente cambia-

mento anche nella concezione e sviluppo del tema: già in Mahler si passa dalla stret-

ta nozione di tema a quella più elastica di Leitmotiv. La sinfonia implicava temi

completi e chiusi in sé stessi ma allo stesso tempo vietava le melodie troppo squa-

drate, facili e amabili: un tema quindi come entità autonoma e sufficiente, quasi sca-

turita spontaneamente. Chion definisce il trattamento del tema fino a Mahler come

in bilico in questo doppio gioco. Nel XX secolo ci sono autori che continuano su

questa strada ma altri che propongono un nuovo modo di elaborare il tema seguen-

do una delle tendenze della musica moderna: la discontinuità, studiata appunto da

Christopher F. Hasty, citato in precedenza.

Più approfonditamente e in modo scientifico, Ketevan Chitadze19 analizza la

sinfonia del XX secolo attraverso spiegazioni ed esempi sia formali e strutturali ma

anche culturali e sociali, ovvero tenendo in considerazione l’evoluzione di cultura,

pensiero e linguaggio che si afferma agli inizi del secolo. Chitadze parte dal presup-

posto che la sinfonia sia il genere strumentale più stabile e più resistente ai cambia-

menti e alle novità. Rispetto alla sonata, al concerto e alla musica da camera, la sin-

fonia «sembra essere indifferente ai cambiamenti»20. Questo perché, sostiene, la for-

za della sinfonia risiede nella sua essence, nella sua essenza: l’essenza della sinfonia

concerne tre parametri che costituiscono le invarianti semantiche del suo genere. Ma

19
CHITADZE, KETEVAN, Transformation of the Genre Model of The Symphony in the Twentieth Century
Music, estratto da tesi di dottorato del Vano Sarajisvili Tbilisi State Conservatoire, 2012
Musicologa e dottoranda presso lo Tbilisi State Conservatoire in Georgia tra il 2001 e il 2011

20 ivi, p. 4, traduzione mia

17
prima di presentarle, Chitadze avverte il lettore della necessità di distinguere genere

e forma musicale: con la sua tesi vuole dimostrare quanto, se a cambiare è la forma

musicale, il genere sinfonia invece continua a restare solido. Nel definire genere e

forma Chitadze mette in piedi uno studio prima di tutto sociologico: il genere infat-

ti, è una «stabile categoria culturale»21, è un modello che appartiene a una certa epo-

ca e un determinato ambiente sociale. Non è mai statico e segue le dinamiche del

pensiero evolutivo. Il genere è come l’heritage, l’eredità: è un modello che diventa

una tradizione ed è trasmesso da una generazione ad un’altra. Ed è proprio nel tra-

smettersi da una generazione ad un’altra che il genere evolve, si arricchisce di nuove

proprietà che a volte significano cambiamenti e dunque perdita di qualche caratteri-

stica ereditaria. Il genere musicale è dunque una memoria storico-culturale che ri-

siede e agisce sia sul compositore che sull’ascoltatore: entrambi hanno una precisa

idea di un particolare genere. E’ un genere lo stereotipo, il modello, l’immagine la-

sciata dai vari «titani della musica»22. Il genere dunque evolve trasmettendosi, ma è

di per sé stabile e instabile allo stesso tempo. Rifacendosi agli studi di Mark Aranov-

skij23, Chitadze afferma che il genere musicale necessariamente presenta le seguenti

caratteristiche:

● Integra tutte le principali caratteristiche della composizione

● Ogni epoca musicale apre qualcosa di nuovo al genere


● E’ favorito dall’avanzamento della scienza

Poi definisce le tre invarianti semantiche del genere della sinfonia (stabilite trami-

te la ricostruzione della storia del genere sinfonico fino alla sua età classica), che

21 ivi, p. 4, traduzione mia

22 ivi, p. 5, traduzione mia

23 Musicologo (1928 - 2006)

18
sono alla base dell’analisi delle sue successive declinazioni, e costituiscono la sua

essence.

● Generalized conception. Traducibile come la ‘concezione generale’ della sinfo-

nia, identifica il suo essere rappresentativa della visione globale dell’autore;


● Gerarchia delle proprietà del genere. Ovvero la struttura rappresentativa di que-

sta sua essenza. Secondo Chitadze, dal periodo classico fino al ventesimo se-

colo, l’impianto in quattro movimenti e la sua struttura ciclica sono general-

mente mantenuti; e anche nel caso di sinfonie di più movimenti o di un sin-

golo viene mantenuta la sua concezione di base;


● Varianti: ad esempio l’introduzione di un testo nella sinfonia. Interessano la

struttura e molto raramente l’essenza della sinfonia.

Queste invarianti semantiche sono ciò che definisce l’essenza genere sinfonia e

che si trovano, appunto, invariate anche nelle sinfonie del XX secolo. Tenendo pre-

senti alla base dell’analisi queste invarianti, Chitadze analizza un secolo di sinfonie

selezionate in base ai loro criteri di novità e valore artistico. La sinfonia è cambiata,

dice Chitadze, e prima di tutto il cambiamento è dovuto ad una evoluzione di pen-

siero che si riflette a livello di linguaggio. All’inizio del secolo si assiste infatti a dei

significativi cambiamenti in ambito di linguaggio musicale, i compositori rinunciano

alla tonalità su cui si era basato il pensiero musicale per secoli: atonalità, dodecafo-

nia, serialismo, rientrano tutti nel cambiamento di linguaggio e influenzano il livello

micro e poi macro strutturale del genere sinfonico. Ma non intaccano le invarianti

semantiche. Chitadze comincia la sua analisi prendendo ad esempio la Sinfonia op.

21 di Anton Webern, affermazione di un linguaggio chiaramente nuovo così come è

nuova la sua struttura che ci porta lontani dalle tradizionali caratteristiche del gene-

re della sinfonia: la struttura della composizione, a livello sia micro (tematico) sia

macro (movimenti, durata), la strumentazione, la temporalità, possono essere defini-

19
ti opposti ai classici parametri del genere della sinfonia. La sinfonia di Webern, per

Chitadze, è l’esempio più radicale ed evidente del risultato di uno sviluppo del ge-

nere. Questa sinfonia è un esempio di una delle due direzioni che la sinfonia prende

nel XX secolo, ovvero quella del ritorno al termine sinfonia del senso etimologico

del termine, di ‘suonare insieme’ (la seconda è una sinfonia vicina alla tradizione,

che segue la tonalità e le forme classiche) in cui, di conseguenza, i parametri del ge-

nere appena citati (concezione generale della sinfonia, gerarchia delle sue proprietà,

varianti) agiscono con meno intensità, ovvero sono meno evidenti: non più quattro

movimenti ma due; non più elaborazione motivica ciclica ma lineare; una strumen-

tazione ridotta. Facendo un passo indietro nell’analisi di Chitadze e aprendo una

parentesi, il parametro orchestrale è uno dei elementi che costituiscono il modello teo-

retico del genere sinfonia, costituito invece da:

● Generalised conception (concezione generale del genere)

● Appeal to a wider audience (piacere ad un pubblico esteso)

● Symphonic orchestra (orchestra sinfonica)

● Cycle - definite number of movements and functions (impianto ciclico: mo-

vimenti e loro relative funzioni)


● Inner structure of the movements (Struttura interna ai movimenti)

● Duration (durata)

Ognuno di questi parametri segue l’uno all’altro per creare un sistema. Dalla con-

cezione generale del genere (ovvero: il suo nascere per un ascolto di massa e rac-

chiudere la visione globale di un autore), che dipende dall’estetica del periodo, de-

riva il terzo parametro, quello dell’orchestra sinfonica. La sua organizzazione ciclica,

i movimenti, la durata, sono gli altri parametri che definiscono invece la sua struttu-

ra. Nel periodo classico tutti questi parametri costituiscono il sistema e definiscono

il modello del genere, il suo genre invariant, che dovrebbe definire ciò che è invarian-

20
te nel genere sinfonia: nel XX secolo si va frequentemente oltre questi parametri per

necessità linguistiche, strutturali, funzionali, drammaturgiche o concettuali. Atten-

zione però, dice Chitadze: non cambiano le caratteristiche ma la loro gerarchia:

l’estetica dei vari periodi porta con sé cambiamenti ma ad una condizione: il genere

mantiene sempre il suo carattere semantico, la sua essence (e quindi le tre invarianti

semantiche sopra descritte).

Attraverso la definizione di questi parametri che costituiscono il genere sinfonia,

allora Chitadze può più semplicemente analizzare le forme che la sinfonia assume

nel XX secolo avendo alle spalle però solidi punti di riferimento. Tornando a Webern

per esempio, il parametro orchestrale costituisce sicuramente una delle novità della

sua sinfonia: qui più che sinfonico è ridotto a una essenza cameristica. Chitadze col-

loca questa sinfonia in una tendenza del Novecento che si caratterizza per una sinte-

si intra-genre, ovvero una fusione con altri generi di musica strumentale, in questo

caso la musica da camera (come già era accaduto con la Kammersymphonie op. 9 di

Schoenberg). Con la particolarità che in questo caso, rispetto alla sinfonia da camera

di Schoenberg, il risultato è una sinfonia a metà tra la musica da camera e non, per

quanto i segni caratteristici di entrambi i generi strumentali vengano qui minimizza-

ti. Il parametro orchestrale è altresì significativo per un altro aspetto: in questo pe-

riodo ci sono sinfonie che si affidano a un gruppo orchestrale ridotto come invece

sinfonie che ricorrono a un gruppo orchestrale più ampio. Alla direzione della sin-

fonia di Webern, che come già detto recupera il senso etimologico del termine, si

oppone quella in cui i tre parametri invarianti continuano a presentarsi con eventua-

li aperture a variazioni. Sinfonie tonali, che nella loro struttura rispettano effettiva-

mente le forme classiche.

Chitadze oppone poi anche due principali tendenze di struttura. Da una parte

sinfonie in un singolo movimento e dall’altra sinfonie in più movimenti ma risultato

di un cambiamento rispetto al modello del genere sinfonia: queste infatti spesso re-

21
cano titoli o sono portatori di un programma concreto. Sono spesso legate a un testo

e quindi all’utilizzo di un coro o voci soliste.

Come ultima distinzione, in opposizione alla sinfonia di Webern che si presenta

come fusione della sinfonia con la musica da camera (e quindi fusione con generi di

musica strumentale), Chitadze parla anche di composizioni inter-genre, (in opposi-

zione appunto ad intra-genre), ovvero sintesi tra diversi generi non affini, come i ge-

neri di musica vocale.

Per Chitadze sono quindi tre i parametri per comprendere le novità della sinfonia

novecentesca rispetto a quella classica:

● concezione (accezione del termine sinfonia come tradizione o come etimolo-

gico)
● struttura (singolo movimento o più movimenti)

● composizione (sintesi inter-genre e intra-genre)

Tutto ciò per concludere che la sinfonia ha mostrato nel XX secolo grande forza e

vitalità: il suo ruolo non è stato ancora sostituito da nessun altro genere che ne ha

fermato l’esistenza. Non ha smesso di funzionare anche se ha perso parte delle sue

tradizionali caratteristiche. Chitadze individua nel mixed genre24, nel genere misto la

nuova tendenza alla base della sinfonia del XX secolo, una sinfonia che reinventa le

sue caratteristiche, le sue funzioni, la sua struttura e che si fonde con altri generi

strumentali o vocali (e nel dopoguerra si troveranno esempi più espliciti: symphony

mass, symphony of salms, symphony concerto etc.).

Lo studio di Yakir Ariel su un compositore inglese del Novecento, Robert Simp-

son (1921 - 1997), ricostruisce l’idea di Simpson sul modo di comporre una sinfonia

24
CHITADZE, KETEVAN Transformation of the Genre Model of the Symphony in the Twentieth Century
Music, cit, p. 20

22
nel ventesimo secolo. Simpson scrive undici sinfonie e scrive anche molto proprio

sulla sinfonia: l’articolo di Yakir Ariel, dal titolo molto eloquente “The British Sym-

phony as a Model of the Symphony in the 20th Century”25, parte dal presupposto contra-

rio di Chitadze: secondo Ariel la sinfonia del XX secolo aveva cessato di essere, in

Europa centrale, il principale mezzo espressivo dei compositori ad eccezione del-

l’Inghilterra, che vive una continuità sinfonica tra il diciannovesimo e il ventesimo

secolo. Secondo l’autore, Simpson, nei suoi scritti, detta precise regole per comporre

sinfonie nel XX secolo.

Alla base della sinfonia ci sono due princìpi fondamentali:

1) Tonalità unificante e strutturalismo: la sinfonia deve essere tonale. Può

espandere la propria tonalità ma alla fine a questa deve condurre la conclu-

sione. L’organizzazione del materiale tonale deve seguire la forma sonata, in-

tesa non nel suo significato strutturale rigido, ma nella sua essenza motivica:

lasciare un centro tonale e poi ritornarvici. La forma sonata domina su tutti

gli altri movimenti della sinfonica e anche sull’intero ciclo di sinfonie del

compositore.
2) Coerenza: la sinfonia deve contenere diverse idee musicali sviluppate in

momenti dinamici ma sempre mantenendo la coerenza tra queste idee. La

coerenza va mantenuta tramite il ricorso a motivi musicali che si sviluppano

nel corso della sinfonia. La coerenza è unisce il lavoro musicale artistico e in-

tellettuale e l’abilità di comunicare con il pubblico.

Le successive condizioni necessarie alla costruzione di una sinfonia sono cinque:

25 ARIEL, YAKIR, The British Symphony as a model of the symphony in the 20th Century: Symphony n.3
(1962) by Robert Simpson (1921-1997), anno non specificato, articolo composto per un seminario sulle tenden-
ze della musica del 20esimo secolo.

23
1) Tempo continuo: ogni sezione della sinfonia deve mantenere un battito conti-

nuo. Accellerando e rallentando sono ottenuti tramite cambiamenti nella

scrittura musicale, non utilizzando cambi di tempo.


2) Tonalità progressiva: solo il linguaggio tonale, secondo Simpson, permette di

organizzare la sinfonia in una forma allargata. Dall’impianto tonale posso

sviluppare tutti gli altri fattori musicali in un lavoro ampio.


3) Sviluppo e sintesi: il processo di sintesi è importante poiché la sinfonia è un

lavoro ampio per un ampia orchestra e un ampio pubblico. Non bisogna mai

eccedere nello sviluppo, ed è necessario presentare una sintesi dei processi

musicali, che devono essere chiari all’ascoltatore.


4) La composizione è un’unica entità organica: la sinfonia si compone di diffe-

renti episodi e umori ma questi devono potersi ricollegare ad un’unica gran-

de tecnica espressiva.
5) Espansione: i quattro punti precedenti conducono quindi a una sinfonia per

sua natura estesa, portatrice di un valore artistico e di un messaggio: la tona-

lità, il tempo, lo sviluppo, l’unità sono tutti elementi che devono permettere

alla composizione di essere chiara e intellegibile.

Il principale scopo della sinfonia per Simpson è quello infatti di dover comunicare,

essere chiaramente comprensibile e allo stesso tempo valere come prodotto artistico.

Per il compositore inglese concepire una sinfonia in questi termini significa ‘difen-

derla’ e mantenerla nella sua struttura e nella sua accezione originaria.

Dagli studi presentati emergono almeno quattro grandi ambiti di analisi della sin-

fonia del Novecento:

• Struttura/forma: la discontinuità del discorso; il numero dei movimenti; rappor-

to tra generi; significato del termine sinfonia

24
• Sistema/linguaggio: serialismo, dodecafonia, tonalità

• Rapporto tradizione/innovazione (varianti)

• Significato: universalità del messaggio della sinfonia

Tenendo presente questi ambiti, si può continuare con la presentazione e l’analisi

delle sinfonie del mondo austro-tedesco e italiano.

25
III

Tra Vienna e Berlino

Tradizione e modernità: il loro rapporto può essere considerato il filo rosso di

questa analisi della sinfonia nel mondo austro-tedesco. Per questo non si procederà

per capitoli riservati ai diversi autori (come avverrà nel capitolo sulla sinfonia italia-

na), ma si seguiranno le linee tracciate dal dialogo tra le due parti. Il serialismo e la

dodecafonia schönberghiana offrono una delle chiavi di lettura della sinfonia mo-

derna a fianco ad altri due elementi della storia musicale di questo periodo: il Neo-

classicismo, che recupera forme e stilemi del passato come contenitori di eventi di-

sparati, e il rifiuto all’apertura alle strade della modernità di alcuni autori che invece

rimangono sulle strade di uno spirito e di un linguaggio romantico.

3.1 Serialismo, dodecafonia e tonalità dopo Schönberg: le sinfonie di


Webern, Křenek, Eisler, Weill e Hartmann

Tra i primi ascolti in cui ci si imbatte quando si va alla ricerca di una sinfonia in

questi anni nel mondo austro tedesco c’è una strana composizione: la Sinfonia op. 21

di Anton Webern, unica sinfonia del compositore. All’ascolto, non vi sono dubbi sulla

distanza che separa questa sinfonia da quelle tardoromantiche che ci risuonano nelle

orecchie. Nessuna orchestra ricca e grandiosa e nessun sonoro dialogo tra le diverse

sezioni dell’orchestra: ci troviamo di fronte a nove minuti di musica e un organico

26
ridotto quasi ad un piccolo ensemble, silenzioso, bisbigliato, minimalista. La partitu-

ra prevede infatti nove strumenti (coppie di clarinetti e corni, un’arpa, due violini,

viola e violoncello) mentre la struttura è in due movimenti: il primo statico, su

schema tradizionale di forma sonata, il secondo dinamico, su uno schema di tema e

variazioni. Questa sinfonia composta nel 1927 è frutto dell’impatto di Webern con il

metodo dodecafonico, o meglio, seriale-dodecafonico, promosso da Schönberg,

dove, alla serie di dodici suoni che costituisce l’unità di riferimento per la durata di

un movimento o di un intero brano, si combinano scelte che riguardano durate,

timbri, tipi di attacco: per questo, precisa Guido Salvetti 26, è meglio per Webern par-

lare di serialità da intendere come «sfruttamento di tutte le possibilità combinatorie

offerte da un certo numero di scelte preliminari» 27, che siano suoni o altre caratteri-

stiche: il timbro di ogni strumento, il vibrare e lo sfregare delle corde degli archi, i

silenzi, come l’aria passa tra i fiati. Il metodo seriale aveva permesso a Schönberg e

ai suoi allievi di ritornare a utilizzare le vecchie forme classiche che con l’atonalità

non erano considerate possibili: ecco che qui Webern recupera la forma sonata e il

tema e variazione. Eppure delle forme classiche non emerge alcun drammatismo

discorsivo o grande configurazione tematica: il primo movimento si basa su una se-

rie palindroma (fa - la bemolle - sol - fa diesis - si bemolle - la - mi bemolle - mi - do - do

diesis - re - si) ristretta all’uso di piccoli intervalli (seconde minori, soprattutto), da

cui scaturiscono brevi motivi che vengono esposti, ripresi, invertiti, creando una

struttura simmetrica, rigorosa, che rifiuta il tradizionale dinamismo delle parti. Il

secondo invece è costituito di sette variazioni più coda, tutte della stessa lunghezza,

differenti per struttura, strumentazione e ritmica: anche qui la serie segue un modo

retrogrado.

26SALVETTI, GUIDO, Storia della Musica, Vol 10. La nascita del Novecento, a cura della società italiana
di musicologia, Torino, EDT srl, 2018, p. 226

27 ibidem

27
Webern quindi utilizza la serie solo in due sue forme: originale e retrogrado. I due

retrogradi utilizzati non sono altro che trasposizioni a distanza di tritono delle due

forme dirette:

Ciò è ottenuto tramite la divisione dell’ottava in due ambiti di quarta ( Fa - Sib; Si -

Mi), in cui le prime sei note appartengono al primo ambito, le seconde sei al secon-

do. Le sei note di ogni ambito saranno la correlazione numerica di ciascuna nota con

la corrispondente dell’altro ambito 28 : ogni nota, sarà, cioè, la trasposizione della sua

correlata a distanza di tritono. Assegnando alle seconde sei una sequenza numerica

inversa rispetto alle prime, si realizza una serie divisa in due sezioni speculari, che

economizza la composizione riducendola alla sequenza intervallare delle prime sei

note.

28 ROTILI, PAOLO, A. Webern: analisi della Sinfonia op.21, in Diasistema, n. 5, Treviso, 1993, p. 1-2

28
La razionalità di questa composizione non deve ingannare ed essere letta come

sinonimo di freddezza e cerebralismo, ricorda Salvetti: il compositore reagì sempre a

chi eseguiva la sua musica mirando alla perfezione della sola struttura. Lo struttura-

lismo di Webern nasce sempre da una intenzione espressiva in cui però, l’uso della

struttura per sè è alla base della costruzione. «Una nota in su, una nota in giù, una

nota in mezzo. Sembra la musica di un pazzo!» 29 dichiarò nel 1937 dopo un’esecu-

zione, evidentemente maniacalmente perfetta, della sua sinfonia.

Se questa sinfonia costituisce un salto di qualità nella ricerca musicale del compo-

sitore, simbolo del rigoroso strutturalismo e dell’atemporalità a cui muove la musica

di Webern, essa è anche uno stridente esempio nei confronti della sinfonia tardoro-

mantica e della tradizione, seppur sia chiaro che Schönberg e i suoi allievi erano

convinti di operare con un’invenzione assolutamente inserita nella linea della tradi-

zione nazionale, attraverso, semplicemente, un linguaggio nuovo e sentito come

inevitabile. Il sinfonismo per eccellenza era da andare a ricercare nella complessità e

ricchezza delle sinfonie di Mahler, nella grandiosità del sinfonismo straussiano, o in

tutta la tradizione ottocentesca, le sue orchestre numerose e i suoi complessi giri ar-

monici, mentre qui troviamo negata qualsiasi elaborazione motivica e per di più

un’orchestra ridotta al minimo. Esprimere, sì, ma con un linguaggio moderno, anzi,

il futuro del linguaggio della musica, come lo percepivano Schönberg e i suoi allievi.

Webern non comporrà altre sinfonie e apparentemente il suo esempio non trova

seguito. Gli anni venti sono però anni in cui la musica di Schönberg e dei suoi allievi

ha attirato l’attenzione in Europa. Il successo del Wozzeck (1925) di Berg, l’interesse

delle emittenti radiofoniche per la musica moderna, la cattedra di perfezionamento

in composizione che Schöberg ottiene all’Accademia Prussiana delle Arti nel 1926 :

inevitabile fu il diffondersi del serialismo, nonostante Schönberg fu sempre ben lon-

tano da insistere su questo metodo nella sua attività didattica (l’unico appunto fu

29 SALVETTI, GUIDO, Storia della musica, Vol.10, cit, p. 228-229 29


sempre quello «Usate le serie e componete come facevate prima» 30), adottato in pri-

mis da suoi allievi. Per cui “tracce” di serialismo (seppur non così radicale nella

struttura della sinfonia come in Webern) si trovano anche altrove: è il caso di Eisler e

di Křenek, ad esempio. Entrambi rinnegheranno l’insegnamento di Schönberg, fa-

cendo infuriare il maestro, ma la sua influenza e il serialismo accompagnano la loro

prima produzione.

Ernst Křenek fu un compositore molto versatile: inizialmente legato al linguaggio

romantico di Brahms, Bruckner, Reger, la sua musica segue per tutta la sua vita una

prospettiva modernistica, sempre tesa a rinnovarsi. Dopo aver studiato con Schö-

nerg, Křenek scrive tre sinfonie in pieno stile dodecafonico: la Sinfonia n. 2 op.12, del

1922, è sicuramente uno dei maggiori sforzi di un compositore che tentò di dar vita

a una grande forma sinfonia dodecafonica, confrontandosi, come lui stesso disse,

con il grande modello mahleriano. Il risultato delle sue tre sinfonie atonali è comple-

tamente diverso da quello di Anton Webern. La Sinfonia n. 1 op. 7, del 1921, dura cir-

ca trenta minuti, e mostra il primo approccio di un Křenek curioso e pieno di inven-

tiva nella sperimentazione dell’atonalità. Fondendo più movimenti uniti in uno svi-

luppo continuativo, Vivace Lento - Allegro con moto/ Allegro Vivace - Larghetto - Subito

molto più mosso - Presto - A tempo (presto) - Adagio - Fuga - Vivace - Presto, la composi-

zione si costruisce su elaborazioni motiviche brevi, dei segmenti minimi, continua-

mente interrotti dalle voci dei reciproci strumenti. Dopo gli energici tre primi mo-

vimenti, il Subito molto più mosso sfocia in una marcia ricca di scale ascendenti e di-

scendenti. Il Presto e l’A tempo (presto) invece assumono un carattere di gioco tra

strumenti. Nell’Adagio si rievoca una melodia malinconica che sfocia nel Vivace fina-

le. La chiusura riprende invece lo spirito dell’inizio e conclude nel mormorio del si-

lenzio, con un’accenno finale del violino ad un acuto intervallo di undicesima. La

circolarità dell’organizzazione di questa composizione è un elemento che la acco-

30 GRIFFITHS, PAUL, La musica del Novecento, cit, p. 89

30
muna alle successive due sinfonie, come si vedrà tra poco. Il futuro Křenek si na-

sconde già nella coerenza e nella inventiva di queste prime composizioni, lontano

dall’asprezza di Schönberg e dal minimalismo di Webern e dal più romantico Berg.

Ecco che Křenek arriva a comporre la Sinfonia n. 2, nel 1922: un imponente pro-

getto di un’ora in tre movimenti, un Andante Sostenuto - Allegro agitato, un Allegro de-

ciso ma non troppo, un Adagio Allegro, anche qui eseguiti senza separazione. Qui Kře-

nek ricorre a una base ritmica ricorrente, dal carattere marziale, ossessivo, tampi-

nante, che svilupperà anche nella successiva sinfonia e che probabilmente serve al

compositore per dare un tappeto di coerenza alla composizione.

La Sinfonia n. 3 op.16, sempre del 1922, è quella che appare più debole. Vediamo

perché. E’ in quattro movimenti, Allegro Sostenuto, Allegro deciso, Adagio Molto, Alle-

gretto comodo, eseguiti come le altre sinfonie senza separazione: dopo il grandioso

progetto della Sinfonia n. 2, anche questa composizione sfrutta una struttura circola-

re, che appare necessaria, come la stessa pulsazione leggera, quasi un trotto, che ac-

compagna i movimenti, a non perdere i fili del discorso seriale. E’ una sinfonia, che

al contrario della precedente, rimane su un suono ovattato, quasi non osasse. Gli

stessi strumenti si mantengono su un registro medio basso, e si gira intorno a scale,

accenti, svincolate degli strumenti, sotto questa pulsazione costante. E’ una compo-

sizione più difficile delle precedenti da decifrare perché il suo tono rimane oscuro

nonostante l’ampiezza della composizione e l’impressione è che sembra non avere

una direzione.

Curioso l’esperimento, tra il 1924 e il 1925 di una Sinfonia per fiati e percussioni:

pensata, come dice il titolo, solo per un ridotto ensemble di fiati e percussioni, dura

circa una ventina di minuti e segue il metodo seriale. Anche qui un unico movimen-

to unisce tre grandi sezioni: la prima dal carattere di Allegro, la seconda più oscuro e

Largo, la terza dai caratteri di Scherzo.

Ma dopo questa piccola parentesi per anni poi Křenek non scriverà sinfonie, ab-

bandona il serialismo e dei metodi di Schönberg: nel 1924, dopo la separazione dalla

31
figlia di Mahler e la conoscenza della musica francese, decise che «i principi che

avevo seguito nella scrittura della musica ‘moderna’ erano completamente sbagliati.

La musica, secondo la mia nuova filosofia, doveva corrispondere alle richieste della

comunità per cui era scritta. Doveva essere utile, divertente, concreta»31 . Ricomince-

rà a scrivere sinfonie solo negli anni 40, quando ormai è nel pieno della sua fase, così

attribuitagli, neoclassica.

Queste composizioni sono spia comunque di una produzione « aspramente dis-

sonante, contrappuntistico fino all’eterofonia lineare, di una durezza triste, pessimi-

stica, che solo ogni tanto si trasformava in una smorfia di sarcasmo»32 . Dice Arman-

do Gentilucci: «la sua ansia di esprimere lo induce a intervenire in materia con foga,

senza preoccupazioni di stile e di coerenza, con una preminenza accordata al fatto

contenutistico» 33.

La Kleine Symphonie op. 29 di Hanns Eisler fu scritta nell’estate del 1932 dal com-

positore per riposare da altri progetti musicali a cui si stava dedicando. Completata

solo nel 1934 a Londra, dalla durata di circa dieci minuti, si struttura in quattro mo-

vimenti: Tema con variazione, Allegro assai sostenuto, Invenzione, Allegro in forma di ron-

dò. Anche qui, come in Webern, l’orchestrazione risulta piuttosto economica, e più

lontana dall’orizzonte tradizionale: in partitura si hanno due flauti, tre clarinetti,

una tuba, un trombone, un sassofono contralto e uno tenore, uno xylofono, piccola e

grande grancassa, tom tom, timpani, piatti, archi. Gli strumenti più che un’orchestra

richiamano un’ensemble di banda. Il tono della piccola sinfonia è al limite tra l’in-

quieto e la parodia, e nel complesso l’atmosfera richiama un certo espressionismo:

dall’attacco inquieto, dissonante, stridente, si alternano momenti distesi a ritmi di

31 PERLE, GEORGE, Krenek, The Musical Quarterly, Vol. 77, n.1, 1993, p. 147

32GENTILUCCI, ARMANDO, Guida all’ascolto della musica contemporanea, Milano, Feltrinelli, 1992,
pp. 236-237

33 ibidem

32
marcia dove stridono trombe (protagoniste di tutta la sinfonia) sostenute da martel-

lanti colpi di xylofono, quasi a suggerire un ritmo marziale e metallico al tempo

stesso. La costruzione tematica avviene per brevi variazioni, che rendono la sinfonia

frammentaria, ma l’effetto è quello di una continua invenzione brillante, arricchita

da evidenti effetti jazz nel terzo movimento (suggeriti già dalla strumentazione stes-

sa così combinata) e che termina di colpo, quasi come giocasse. In quel periodo Ei-

sler stava lavorando a due testi teatrali, Die Mutter op.25 (1931) e Kamerad Kaspar

(1932): questi saranno alla base di due movimenti della composizione, rispettiva-

mente il secondo e il terzo. A questi richiami si aggiunge una serie di dodici note con

cui sono costruiti tutti e quattro i movimenti.

Eisler commenta in diverso modo questa piccola sinfonia. Da una parte dice che

rappresenta una reazione alle dominanti convenzioni concertistiche di stile neoclas-

sico, dall’altra sostiene che sia un montaggio sinfonico di parodie delle contraddi-

zioni dei più recenti sviluppi in Germania, e a posteriori, nel 1962, che era «una spe-

cie di parodia della sinfonia, più o meno dominata dall’idea che la sinfonia sia mor-

ta»34. Effettivamente la composizione risulta un inquieto e allo stesso tempo diverti-

to ed esuberante pastiche che utilizza il ‘contenitore’ sinfonia e la riempie di spunti e

citazioni, con un atteggiamento quasi neoclassico. Una struttura personalissima di

Eisler.

Più serio e decisamente diverso è l’atteggiamento nella futura Deutsche Sympho-

nie. La piccola sinfonia nasce come estivo esercizio di riposo, mentre qui l’intento di

Eisler è un lavoro politicamente impegnato: il legame e l’attivismo di Eisler con il

mondo politico sono al centro della produzione musicale del compositore. Se nella

Kleine Symphonie op. 29 un leggero e divertito richiamo al presente è evocato tramite

33
34MAYER GUNTER, note al cofanetto di registrazioni musicali Hanns Eisler Edition, Brilliant Classics,
giugno 2014, pp. 2-3
citazioni di marce o inni militanti, nella Deutsche Symphonie il coro e i testi fungono

da denuncia e da ammonimento sugli orrori del nazismo.

La conversione di Eisler alla militanza politica e alla resistenza al nazismo nella

aveva determinato un cambiamento nel suo linguaggio: cresciuto sotto insegnamen-

to di Schönberg e inizialmente coinvolto nell’avanguardia viennese espressionista, le

sue prime opere sono frutto dell’influenza del maestro. Nel 1926 da Vienna si trasfe-

risce a Berlino, dove aderisce al partito comunista tedesco, comincia a scrivere arti-

coli sulla musica per il periodico comunista «Die Rote Fahne», e compone inni, mar-

ce, canzoni. Eisler restò a lungo combattuto tra fedeltà estetiche e politica, ma crede-

va che l’estetica schönberghiana fosse troppo elitaria e che l’ascolto della sua musica

richiedesse abilità di ascolto molto acute. Non abbandonò comunque mai le possibi-

lità offerte dal metodo seriale, ma le coniugò con una scrittura semplice, economica,

che tende al diatonismo e alla modalità, fondendo già nelle prime composizioni il

metodo dei dodici suoni con semplici disegni tematici e ritmici e allusioni a sintassi

tradizionale e a ritmi del jazz e altri generi popolare. Armando Gentilucci ricorda

come però «l’accessibilità della sua musica non coincide in questo caso con la pura

celebrazione, con il rituale populistico infarcito di banalità»35 e cita il compositore

stesso:

« Non l'impiego ormai abituale di dissonanze e nuovi cromatismi, ma la dissoluzione del linguaggio

musicale convenzionale quale ci è stato tramandato. Un brano ricco di dissonanze può essere del tut-
to convenzionale nella sua essenza, mentre un altro che si vale di una tecnica relativamente più sem-

plice può, se detta tecnica viene applicata in modo personale, apparire nuovo e avanzato»36

Eisler rivendica la seconda via, per usare una classificazione adorniana: tra una mu-

sica radicale che corrisponda al suo interno alle funzioni del proletariato non essen-

35 GENTILUCCI, ARMANDO, Guida all’ascolto della musica contemporanea, cit, p. 157

36 ibidem

34
dogli però comprensibile, e una scrittura semplice fondata su elementi linguistici di

patrimonio comune, Eisler sceglie la seconda.

Composta in esilio volontario dopo la presa di potere di Hitler del 1933, la Deu-

tsche Symphonie si compone di 11 movimenti o numeri, di cui 8 utilizzano testi di

Brecht, per coro, per un’ora e poco più di musica. Ogni movimento impiega una se-

rie di dodici note diversa. I testi brechtiani servono per raccontare ed esprimere con-

traddizioni politiche e sociali. Sulla genesi di questa sinfonia, dice Eisler:

« Ricordo molto bene come il tour attraverso l'America mi aveva stancato di apparire davanti agli
americani ogni sera e di raccontare loro della barbarie culturale della Germania. Ero semplicemente

stanco, perché era così monotono; quasi sempre dicevo lo stesso discorso con poche variazioni, e così
decisi in un hotel di Chicago di comporre la "Deutsche Symphonie". Cominciò con uno stato d'ani-

mo»37

La sua storia è interessante, seppure si sbilancia fuori dall’arco cronologico di no-

stro riferimento. Nel 1935 Eisler scrisse a Brecht che aveva in mente un’idea per una

composizione da intitolare Concentration Camp Symphony, per coro e orchestra, uti-

lizzando alcuni testi di Brecht. Da questa idea si svilupperà il lavoro di una sinfonia,

che inizierà a scrivere nel 1936 ma che durò più a lungo di quanto inizialmente pre-

visto, e si concluderà solo nel 1958. La sinfonia si dovette confrontare con diversi

problemi di censura: nel 1937, presentando due movimenti al Festival di Musica

Contemporanea (ISCM), gli fu chiesto di sostituire le parti vocali con un sassofono, a

causa del loro contenuto antifascista. Eisler li riarrangiò invece strumentalmente.

Anche dopo la Seconda Guerra Mondiale, in America, nel 1947, fu perseguitato

come comunista, e tornò dunque a Berlino. Nella DDR la sinfonia avrebbe potuto

corrispondere alla politica antifascista del tempo, ma non era conforme alle norme

estetiche della musica dell’URSS, che riteneva la musica moderna espressione del

37 GUNTER MAYER, note al cofanetto di registrazioni musicali Hanns Eisler Edition, cit, p. 5

35
declino della società borghese, Arnold Schöenberg distruttore della musica e il si-

stema di dodici note costruttivismo senz'anima. Quasi tutti i movimenti della Deu-

tsche Symphonie si basavano sul metodo seriale, di conseguenza la sua esecuzione

non poteva aver luogo fino a quando questo rigido dogmatismo non fosse stato uffi-

cialmente ripudiato nel 1958 in seguito al 20° Congresso del Partito del PCUS nel

1956; ma a quel tempo il messaggio antifascista della Deutsche Symphonie non era più

così attuale come avrebbe potuto essere alla fine degli anni '40. Ma un ultimo movi-

mento venne composto proprio nel 1956, prima della première a Berlino il 24 aprile

dello stesso anno, un epilogo su testo di Bertold Brecht, ennesimo messaggio politi-

co, che richiamando le lotte nei campi di concentramento e le vittime uccise nella

guerra, rimprovera alla Germania il riarmo nucleare: l'attuale avvertimento che la

ripetizione di un conflitto militare nel confronto tra due sistemi politici porterà ine-

vitabilmente al disastro. Eisler fino alla fine vuole inquietare e coinvolgere con il suo

linguaggio crudo e dissonante: e proprio con una stridente dissonanza termina la

Deutsche Symphonie.

E’ interessante aprire una parentesi: l’idea di musica tedesca di un compositore

come Eisler, così, come vedremo, anche in Weill, entrambi legati al marxismo e alle

nuove lotte operaie, doveva sicuramente differire da quello di autori come Schön-

berg ma anche come Pfitzner, che analizzeremo in seguito. Eisler parla di musica di

lotta, musica di rivoluzione, musica per il nuovo proletariato. Nelle sue riflessioni

tuttavia non si fa mai riferimento alle caratteristiche di una ‘musica tedesca’, o me-

glio, si parla di cultura musicale in generale: la nascita di una nuova cultura musica-

le, secondo Eisler, trova ora un corrispettivo nella nascita della nuova classe del pro-

letariato. In una sua relazione, dal titolo I costruttori di una nuova cultura musicale 38,

38 EISLER, HANNS, Musica della rivoluzione, a cura e con uno studio di Luca Lombardi, Milano, Fel-
trinelli, 1978, p. 152-190

36
delinea nascita, caratteristiche e crisi della cultura musicale borghese che verrà sosti-

tuita da quella del proletariato. Di seguito parafraso le idee esposte da Eisler.

La musica borghese porta con sé il concetto di merce capitalista, contrasta con il

privilegio di godere della musica per svago, si rivela essere una democraticizzazione

del privilegio di proprietà: la musica borghese infatti non è musica universale (come

la musica da chiesa) ma è arte di una classe dominante. Con l’aumentare del divario

tra borghesia e proletariato aumenta nella musica un particolare contrasto, che tro-

viamo pienamente sviluppato solo nel capitalismo: il contrasto è designato con i

termini musica facile e musica difficile, musica seria e musica allegra, ed è un con-

trasto di tipo sociale. Ma a man mano che la classe borghese declina e il suo atteg-

giamento di lotta verso il proletariato in ascesa aumenta, il piacere e lo svago diven-

tano sempre più fine a se stessi. Nel frattempo, l’artista borghese moderno nelle sue

posizioni di punta finisce col cadere in un egocentrismo sempre più sfrenato, produ-

cendo la sua merce ormai solo per una piccola parte della società. Il modo di rappre-

sentare il pensiero musicale della musica classica borghese si basa soprattutto sul

principio del contrasto: questo è la base della tecnica della sonata e della sinfonia.

Eisler individua in quegli anni ’30 la crisi della musica borghese, per lui specchio

di una crisi sociale: l’esproprio del ceto medio e la proletarizzazione di larghe masse

piccolo borghesi fa crollare il livello culturale e di cultura musicale dell’ante - guer-

ra, che, per esempio, aveva stabilito la prassi dei concerti. Il consumo musicale è ora

meno esigente e si deve adeguare alla loro difficile e instabile situazione economica.

« E’ la musica leggera o allegra, un tempo considerata poco seria. Persino nelle sale da concerto e

l’opera si è affermata la musica che offre il piacere più facile, il jazz: esso è il più efficace modo disim-
pegnato di intrattenere l’ascoltatore, dal momento che all’ascoltatore non richiede più nulla. La fun-

zione del puro godimento non diventa solo nel jazz quella di puro stimolo, è morta: è stimolo mo-
mentaneo ora l’unica funzione della musica. Solamente così trova spiegazione il continuo cambiare

delle mode musicali negli ultimi quindici anni. I mezzi stimolanti perdono d’efficacia e questo spiega

37
perché nell’ultimo periodo della musica borghese ci sia un continuo bisogno di metodi nuovi, che

scaturiscono dal bisogno di variare senza cambiare la funzione, dal bisogno di divertimento»39

Quindi, la rovina di questa cultura musicale crea lo spazio alla lotta della classe

operaia per la formazione di una cultura musicale nuova, rispondente alla sua condi-

zione di classe.

Ma è il seguente il pensiero più interessante, che sintetizza le tendenze della mu-

sica tedesca in quegli anni: esistono tre diverse correnti del movimento musicale in

Germania, secondo Eisler. Un’ala destra, rappresentata dalla rivista musicale «Zei-

tschrift fur musik» di Lipsia, che rappresenta il periodo Wagner-Richard Strauss.

Questa rappresenta:

« Gli ultimi deboli combattenti per il concetto di universalità della musica borghese, sono contro la
musica d’uso, favorevoli agli sconvolgimenti dell’animo, all’arricchimento spirituale del singolo,

alla sinfonia intrisa di weltanschaung e al poema sinfonico. Rifiutano i progressi dell’ala sinistra. […]
il livello puramente professionale di quest’ala è molto basso. Conoscono solo metodi invecchiati di

analisi della musica e non hanno nessun collegamento con masse più vaste della piccola borghesia.
Questa ala destra conduce una battaglia persa per il mantenimento e la propagazione della musica

borghese dell’ottocento. E’ per principio contro ogni innovazione»40

L’ala di centro è rappresentata da riviste come:

« Musikblatter des Anbruch, Frankfurter Zeitung, Berliner Tabeblatt. Politicamente corrispondono grosso

modo a un ventaglio di partiti che va dal partito di governo al partito popolare tedesco o centro. An-
che questo gruppo rimpiange il buon tempo andato, ma non è cieco di fronte alla realtà. Vede la crisi

e non la fa risalire alla malvagità degli ebrei ma cerca di unire in chiave moderata tradizione e pro-
gresso»41

39 ivi, p. 160

40 ivi, p. 161

41 ivi, p. 162
38
L’ala sinistra invece è secondo Eisler quella più interessante ed è rappresentata da

compositori come Stravinskij, Hindemith, e Weill:

« Costituisce l’avanguardia del tramonto della musica borghese e l’ala più tecnicamente progredita:
in questo gruppo è da annoverarsi anche un compositore come Schönberg. Quest’ala ha reagito

eccezionalmente vivace alla crisi del concerto. Quando la realtà ebbe liquidato la musica che trova
la propria funzione nel proporre la weltanschauung, come forma di godimento, essi andarono oltre.

Dissero che la musica non deve rispecchiare la concezione del mondo e scoprirono il concetto della
gioia del suonare e del far musica, della musica d’uso. Con ciò il divertimento disimpegnato era

contrabbandato per progresso e ammesso in società. La musica deve essere un puro gioco di suoni
e non deve esprimere alcun sentimento umano. Così si giunge a un nuovo virtuosismo, a una nuo-

va spiritualità, a una nuova eleganza e ad una riposante serenità. La musica deve essere costruita in
modo da non esprimere alcunché di patetico, carico, grandioso, deve essere preferibilmente messa

sotto ghiaccio, non deve muovere intimamente l’ascoltatore. La migliore musica è, secondo una
formulazione di Stravinskij, quella che funziona come una macchina da cucire»42

A questa concezione chiaramente disimpegnata ne corrisponde un’altra: una

nuova musica, nuovi metodi musicali, nuovi legami tra arte e vita, prassi e teoria,

nascono non da una rivoluzione del materiale musicale ma da una società trasfor-

mata in cui una nuova classe prende il potere: il proletariato. La musica del movi-

mento musicale operaio è musica il cui piacere è solo il mezzo per il fine. Il testo non

soddisfa più l’esigenza estetica dell’ascoltatore, ma si serve del bello per educare il

singolo e per rendergli accessibili le idee della classe operaia, gli attuali problemi

della lotta di classe. La musica non utilizza più la propria bellezza come fine a sé

stessa, ma porta invece ordine e disciplina nei confusi sentimenti del singolo. In

questa maniera avviene un nuovo grande cambiamento della funzione dell’arte.

Nata come fluida, come strumento di lotta nella più difficile situazione della storia

di classe, essa perde tutto quello che l’artista borghese dice ‘bello’. Essa prefigura in

grande misura, già ai suoi inizi, quella che sarà la funzione dell’arte nella società sen-

42 ivi, p. 163 39
za classi. Nel movimento musicale operaio, dice Eisler, non si aspira ad uno stile

nuovo, bensì a metodi nuovi della tecnica musicale, che permettono di sfruttare al

meglio e più intensamente la musica nella lotta di classe.

« Se vogliamo descrivere nel modo migliore la musica borghese, dobbiamo usare il termine ‘atmosfe-

ra’: cioè la musica borghese vuole intrattenere l’ascoltatore. Compito della musica operaia sarà quello
di allontanare il sentimentalismo, il pathos dalla musica, poiché queste sensazioni distraggono dalla

lotta di classe. Il principio più importante della musica di lotta è che venga suddivisa in musica che
dovrà essere eseguita direttamente, cioè canzoni di lotta, canti satirici e simili, e musica che dovrà

essere ascoltata, cioè pezzi didattici, montaggi corali, cori con contenuto teorico»43

La musica di Eisler fa proprio il nuovo metodo seriale ma allo stesso tempo lo

mette al servizio di un linguaggio semplice, chiaro, brillante, che viaggia dal parodi-

co alla seria dissonanza ma che non deve essere carica di elementi patetici, carichi,

grandiosi, ma deve essere puro gioco di suoni. Concetto, questo, condiviso da altri

artisti e quindi non rara nel vivace ambiente culturale e musicale della Berlino che

viveva l’ascesa del Nazismo. E’ facile in questo modo ricollegarsi con un coetaneo di

Eisler, Kurt Weill, a cui lo lega anche la vicinanza al marxismo e alla sua attività di-

dattica per il proletariato. Il compositore cresce sotto il segno della tradizione operi-

stica tardo romantica e dell’esempio wagneriano: fin da giovane insofferente verso

questa formazione, nel 1920 l’incontro con Ferruccio Busoni, suo insegnante all’A-

kademie der Kunste, fu una svolta. Weill si affermerà nel teatro musicale e nella

composizione di musica d’uso, ed è come Eisler alla ricerca di una musica semplice,

diretta, che crei contatto con il pubblico e che «si possa capire senza ulteriori spiega-

zioni» 44. La mano del futuro Weill drammaturgo è presente sin dalle prime compo-

sizioni strumentali: spesso pone alla base delle sue opere modelli testuali, verbali,

oppure compone ispirandosi a testi ed opere facendo sì che la musica ne rispecchi il

43 ivi, p. 170

44 ROSS, ALEX, Il resto è rumore, Ascoltando il XX secolo, Milano, Tascabili Bompiani, 2016, p. 321

40
contenuto. La prima sinfonia ne è un esempio. A quanto sembra mai eseguita e scrit-

ta nel 1921 durante il suo periodo di studio a Berlino, sotto insegnamento di Busoni,

la Prima Sinfonia o Berliner Symphonie è una composizione in un unico movimento,

dalla durata di circa 25 minuti, fluida e coerente nella sua atmosfera languida e

drammatica. E’ attraversata da stridenti dissonante, instabilità semitonale, ambigui-

tà cromatica, l’utilizzo di scale continuamente modificate da alterazioni inaspettate,

sono tutti elementi che Weill riprende qui dal suo maestro. Alla base dell’opera c’è

un testo: lo ispirò il motto socialista e pacifista di Operai, contadini, soldati, un dram-

ma di Becher, poeta tedesco espressionista e militante comunista.

La Seconda Sinfonia di Weill, o Symphonie n. 2, del 1933, è profondamente diversa

da questo primo esercizio compositivo. A questa altezza cronologica l’assidua fre-

quentazione e collaborazione con Brecht lo aveva indirizzato verso una musica lon-

tana da sentimentalismi e psicologismi, nitida e aspra. In tre movimenti, Sostenuto -

Allegro molto, Largo, Allegro vivace - Presto, di circa mezz’ora, è una composizione le

cui linee melodiche e loro sviluppo sono sostenute da una mano ormai salda e ma-

tura, che predilige un tematismo asciutto e diretto. Completamente tonale, ripropo-

ne una ambientazione che non ha nulla in comune con il Weill precedente. Il primo

tempo della sinfonia contrappone archi e fiati: la scansione ritmica degli archi, abbi-

nata al suono metallico della tromba, ricorda immagini hindemithiane, secondo

Adriano Bassi45. Il Largo inizia con un tema eroico che si stempera in un’armonia

quasi all’americana: questo secondo movimento scorre fluidamente mentre l’Allegro

vivace - Presto raccoglie in sé vari atteggiamenti, dal militaresco al popolare. Nella

coda l’ultimo movimento sfocia in un unico disegno melodico di danza. L’inventiva

del compositore è evidente: la forma della sinfonia scorre fluidamente, e si plasma

continuamente in umori diversi.

45BASSI, ADRIANO, Kurt Weill, I grandi musicisti del XX secolo, Collana Musica Studio, Milano,
Targa Italiana Editore, 1988, p. 63 - 64

41
Kurt Weill e Hanns Eisler non sono gli unici compositori che con la loro musica si

oppongono alle forze naziste in Germania (seppur più che nella produzione stru-

mentale, in quella teatrale): il nazismo ebbe come strenuo oppositore anche Karl

Amadeus Hartmann, che a differenza di questi, che fuggirono in America, non scel-

se la strada di un esilio lontano dalla patria. Fino al 1945 Hartmann lottò contro il

nazismo con la sua musica, ritirandosi a Monaco e lì continuando a comporre, ri-

nunciando ad esecuzioni nella Germania nazista, spesso in seguito riscrivendo le

sue composizioni quasi come per depurarle dall’epoca in cui erano state concepite.

Il rifiuto di ogni compromesso con il regime gli procurò ovvie difficoltà di diffusione

della sua musica e di esecuzione. Allievo di Webern, Hartmann si discosta dal suo

maestro e anziché ricalcarne il lirismo ai margini del silenzio più spesso persegue

una eloquenza e un discorso vicino a sonorità tumultuose. Il suo legame con la tra-

dizione non si esplica nel guardare al mondo e al tempo romantico, come il più an-

ziano Hans Pfitzner, ma nel coniugare il metodo dodecafonico di Schönberg con

strutture tonali e modali da riscrivere e modellare senza abbandonare lunghe elabo-

razioni melodiche.

Definito da alcuni ‘ultimo sinfonista’, perché il nucleo della sua produzione sono

soprattutto lavori sinfonici, Hartmann cresce tuttavia con grande interesse verso

l’arte figurativa: ne deriva che questi lavori sinfonici non sono mai intesi come pu-

ramente strumentali, mai musica assoluta separata da un oggetto o da un argomen-

to. Nella sua musica hanno importanza le immagini descrittive, sceniche, argomenti

letterari o testi propri, per cui si può parlare di un indirizzo di musica a programma.

La Prima Sinfonia, per voce di contralto e orchestra, scritta in varie versioni (dalla

prima del 1936 all’ultima datata 1955) reca il sottotitolo ‘Tentativo di un Requiem’: è

una composizione in cui Hartmann tenta di coniugare i grandi generi della sinfonia

e della messa. Ne deriva una forma particolare e ibrida: sono cinque movimenti, di

cui solo il terzo puramente orchestrale. Il testo degli altri quattro è tratto da una

poesia di Walt Whitman, Leaves of Grass. La poesia di Whitman lamenta della guerra

42
civile americana e la miseria che la guerra comporta. Il messaggio è chiaro: Hart-

mann vede un’analogia fra la situazione dichiarata di guerra civile americana e

quella nascosta e sottesa della Germania nazista. I movimenti risentono di pagine

weberniane e l’utilizzo del linguaggio dodecafonico che dà alla sinfonia una patina

espressionista è più evidente rispetto alle sinfonie successive, forse anche per arric-

chire la potenza metaforica ed espressiva del testo.

La seconda guerra mondiale ravvivò gli sforzi compositivi di Hartmann, nella

necessità di raccontare il dramma della sua epoca: nel 1940 nacque la sua Sinfonia

tragica, e a qualche anno dopo risale la Sinfonia Drammatica (1951-1953). La Sinfonia

Tragica, di circa trenta minuti, condivide il tono drammatico con la precedente sinfo-

nia del 1936, ma lavora completamente nella tonalità. Si compone di due movimenti:

una Introduzione, dal carattere Adagio, e un Tumultoso (Allegro, Vivace, misterioso). Nel

primo movimento, alternati, i fiati danno voce a un discorso frammentario, rotto,

incerto, quasi spento, a volte interrotti da qualche violino o da un violoncello solo

che interrompono il discorso con inquiete apparizioni, come ad indicare una certa

impotenza ad affermarsi in un mondo che non avrebbe ascoltato la sua voce. Il se-

condo sembra volersi ribellare a questa incertezza: rombano rullanti, timpani, xylo-

foni, e sopra volano archi e fiati, trombe, tra scale e arpeggi. Il finale è interrotto per

ben due volte da un improvviso silenzio in cui si odono solo i rintocchi leggeri di un

gong sopra un tappeto vibrato di archi e improvvisi colpi di piatti: l’effetto è soffo-

cante e non proprio ottimista.

3.2 Spirito romantico: le sinfonie di Hindemith, Pfitzner, Schmidt

Paul Hindemith, pur debuttando nel segno del teatro espressionista, fin da subito

mostra una certa propensione alla multiformità stilistica, e verso la metà degli anni

venti inizia a orientarsi verso quella Nuova Oggettività, o Neoclassicismo, che

l’esperienza del Bauhaus andava diffondendo: le sue Kammermusiken (1924 - 1931)

43
rilevano un grande debito nei confronti dei Concerti Brandeburghesi di Bach mentre

l’opera Cardillac (1926) unisce tutte le possibili forme della tradizione strumentale e

operistica. Interessato anche ad affrontare il problema della frattura che l’evoluzione

del linguaggio musicale aveva operato nei confronti dell’ascolto di massa, Hindemi-

th si avvicina anche al concetto di musica d’uso. Gli anni tra il 1925 e il 1935 per il

compositore sono anni estremamente creativi e polimorfici. A partire dal 1935 tutta-

via si avvia uno smorzarsi del suo linguaggio impetuoso: rinnegando l’atonalità,

Hindemith elabora un trattato di composizione in cui teorizza una nuova armonia

diatonica: un ritorno alla tonalità per cui la tonica non era in relazione solo con altre

sei note ma con tutte e undici le altre note della scala, profilando in questo modo

l’ipotesi di ampliare le possibilità tonali muovendo sempre dalla l’organizzazione

dei suoni “secondo natura”. Questa svolta non fu percepita da tutti favorevolmente.

Scriveva Hans Eisler un giudizio controverso:

« Contro Hindemith va detto che egli ha cercato di farsi accettare dai potentati fascisti abbassando il

proprio livello tecnico e propagandando un populismo menzognero. […] Sebbene per il momento
Hindemith abbia per noi poco valore pratico […] siamo per lui e contro la politica musicale dei fa-

scisti. Il proletariato dopo la presa di potere non offre agli artisti solo la liberazione della produzio-
ne dai rapporti di mercato del capitalismo, ma pretende da essi anche degli esperimenti. […] Anche

il compositore è oppresso dal capitalismo, ma se si allea nella lotta con il proletariato può conqui-
stare la libertà. Questo sia detto anche a Paul Hindemith»46

L’opera Mathis der Mahler (1938) è l’avvio di una nuova strada: una strada che

cerca di attutire gli spigoli taglienti del suo discorso e a stabilire un caloroso rappor-

to con l’ascoltatore ricorrendo a sonorità tipiche dell’orchestra tardo romantica.

L’armonia tradizionale, nella sua tonalità, può aprire a tante altre vie. Verso la fine

degli anni 30 il compositore sta lavorando a quest’opera, strutturata in sette quadri:

il lavoro è incentrato sulla figura di Mathias Grünewald, maestro dell’Altare di Ise-

46 EISLER, HANNS, Musica della rivoluzione, cit, p. 188-189

44
nheim, che vive in un periodo cruento della storia tedesca, la guerra dei contadini.

Mathis è tormentato da profondi interrogativi circa il suo ruolo di artista e dell’arte

nella Storia. Decide di unirsi alla lotta dei contadini ma la lontananza dall’attività

creativa lo mette in crisi: nel folto di un bosco egli vede se stesso come Sant’Antonio

e poi gli appare San Paolo che lo esorta a tornare alla sua missione artistica. Le ten-

sioni spirituali che angosciano Mathis trovano un corrispettivo nella riflessione dello

stesso Hindemith sulla propria posizione di uomo e di artista nella Germania nazi-

sta: l’opera è, infatti, anche «rifiuto del dogma totalitario secondo cui l’artista do-

vrebbe essere un animale politico, ossequiente allo Stato, e afferma che per un artista

servire un altro padrone oltre al proprio Io significa perdere l’integrità morale e in-

tellettuale e negare la propria autentica missione»47.

Mentre componeva quest’opera, a Hindemith giunse la richiesta da parte del di-

rettore Wilhelm Furtwängler, che forse voleva anche appoggiare Hindemith nella

sua opposizione al nuovo governo nazista, un nuovo lavoro per orchestra da inseri-

re nella stagione della Filarmonica di Berlino. Il compositore, che non voleva lasciar-

si distogliere dalla composizione dell’opera, decise di elaborare le parti più impor-

tanti del melodramma, dando vita ad una sinfonia in tre tempi, dalla durata di circa

mezz’ora. La prima esecuzione si tenne il 12 Marzo 1934, fu ben accolta dal pubbli-

co, ma la risposta tedesca fu dura: in Germania non vi sarebbero state più esecuzioni

di Hindemith.

Ciascuno dei tre movimenti della sinfonia si riferisce ad un pannello che Grü-

newald dipinse per l’altare di Isenheim e ciascuno di essi corrisponde a diversi mo-

menti della partitura operistica: il primo movimento corrisponde all’ouverture,

mentre gli altri due riprendono rispettivamente l’ultima e la penultima delle sette

scene di cui è composta l’opera. La struttura della sinfonia risente sicuramente di un

intento descrittivo, con molti episodi che richiamano un carattere quasi recitativo,

essendo nata da un’opera, ma ben evidenzia il cambiamento di stile del composito-

47 da STORIA DELLA MUSICA, La musica moderna (1890-1960), Feltrinelli Garzanti, 1979, p. 346

45
re. Hindemith opera qui una fusione di elementi medievali, barocchi, romantici e

moderni, senza alcuna ironia o atteggiamento neoclassico. L’armonia tradizionale

qui diventa fonte di nuove idee per allargare il sistema tonale maggiore minore. Il

primo movimento Engelkonzert (Concerto Angelico) si apre con la citazione di un an-

tico canto tedesco. L’episodio vuole descrivere la gioia e il canto degli angeli per la

nascita del Salvatore e viene costruito su due temi che vengono esposti prima sepa-

ratamente poi elaborati contrappuntisticamente, fino ad intersecarsi col canto citato

nell’introduzione. Temi modali, arcaici, gregoriani si fondono in un elaborato con-

trappunto, ma lo stile contiene tutte le asperità melodiche e armoniche di uno stile

moderno. Nel secondo movimento Grablegung (Deposizione) si fondono un primo

tema dal sapore fortemente arcaizzante, aspro e duro, e un secondo tema, dolce e

melodico. Il terzo movimento Versuchung des heiligen Antonius (La tentazione di S.

Antonio) comincia con una introduzione lenta. Segue il brano principale, costruito

attorno a tre gruppi di melodie continuamente variate ed elaborate. Il movimento

prende la forma di un fugato che infine si apre in un inno. La sinfonia si conclude

con un corale.

Paul Griffiths offre una chiave esplicativa dello stile che Hindemith era andato

costruendosi, prendendo ad esempio il confronto tra la Sinfonia in mi bemolle di Stra-

vinskij e la Sinfonia in mi bemolle di Hindemith, l’una del 1937-1938 e l’altra del 1940:

« Se il mi bemolle di Hindemith è chiassoso e prorompente, un mi bemolle nella tradizione di Bee-

thooven e di Richard Strauss, dove tutte le relazioni diatoniche sono considerate fondamentali, per-
mettendo quel deciso impulso armonico da cui dipende l’espressività romantica, il mi bemolle di

Stravinskij è piccante e sospeso, e l’armonia passa da un piano bidimensionale all’altro in una forma
deliberatamente episodica, che ancora una volta accoglie accenni della musica popolare dell’epoca.

Anche il riferimento complessivo ai Concerti Brandeburghesi di Bach è tipico dell’ironia del suo au-

46
tore, un gesto dall’esterno rispetto a quella tradizione nella quale la sinfonia di Hindemith è salda-

mente collocata»48

E’ una sinfonia che recupera anche qui un linguaggio diatonico e una linearità

melodica che attraversano tutti e quattro i movimenti che la compongono: Molto vi-

vace, Molto Lento, Vivace, Moderatamente mosso. L’atmosfera è carica ed esuberante:

dall’esplosivo Molto Vivace, al più turbato Molto lento che termina con una ritmo

marziale. Il terzo movimento, il Vivace, comincia con un curioso percuotere di un

tamburino che ricorre alternato ai fiati per tutto il movimento, con funzione quasi

ludica e dando al movimento una struttura circolare. Il quarto movimento sembra

riproporre l’ambivalenza dei primi due movimenti, ma il finale arriva carico ad una

affermazione adrenalinica in Mi bemolle maggiore.

Il 1940 è un anno che vede una triade di sinfonie di tre diversi autori tra loro di-

versi: la Sinfonia in Mi bemolle di Hindemith, la Sinfonia Tragica di Hartmann, la Sin-

fonia in Do Maggiore di Hans Pfitzner. La sinfonia di Hindemith ci regala una sonori-

tà marziale ma allo stesso tempo giocosa, che stempera la tragicità del suo tempo

nella leggerezza dell’uso del tamburello e nella sentita affermazione degli accordi in

Mi bemolle maggiore finali. La Sinfonia tragica di Hartmann è, come da titolo, un ri-

flesso della tragicità di come Hartmann vive gli anni di guerra. La Sinfonia in Do

Maggiore di Pfitzner, invece, è al contrario manifesta del lato patriottico della guerra

che si stava combattendo. Questo non deve stupire: Pfitzner fu un compositore mol-

to vicino al regime ed a Hitler, e, musicalmente parlando, fu quello che più lottò per

difendere la tradizione tedesca dalle tendenze della nuova musica. Non è sbagliato

affermare che le sue composizioni riflettono una musica che si ferma a Schumann,

Mendellsohn e Brahms: il compositore aderisce a pieno alla difesa della Kultur tede-

sca. Non a caso Strauss ebbe in lui il suo unico serio rivale, il solo che potesse con-

48 GRIFFITHS, PAUL, La musica del Novecento, cit, p. 132

47
trastargli il titolo di più rappresentativo operista tedesco del secolo. Pfitzner si definì

l’ultimo dei romantici e formulò una teoria secondo la quale l’ultima grande èra

musicale tedesca era stata quella romantica. Non poteva che essere acceso il suo con-

fronto con Ferruccio Busoni, musicista che credeva che la musica dovesse andare

verso un’altra direzione. Se Pfitzner guardava il futuro con pessimismo, Busoni si

prefiggeva «di ricondurre la musica alla sua vera essenza; liberiamola dai dogmi ar-

chitettonici, acustici ed estetici; lasciamo che essa divenga pura inventiva e pura

percezione, in armonie, in forme, in timbri sonori»49.

La Sinfonia in Do Maggiore op. 46 di Pfitzner, in tre movimenti, Allegro moderato,

Lento, Presto, dalla durata di circa venti minuti, è un esempio di una sinfonia dal ta-

glio, se si vuol così definirlo, tradizionale, quasi fermo nel tempo, ma non per questo

non riuscita. Nel primo movimento, Allegro moderato, archi e fiati si contrappongono

due temi, uno particolarmente eroico, o almeno che nel suo svolgimento cerca di di-

ventare tale, e uno più disteso, femminile, che hanno una chiusa tragica, che si pro-

lunga nel secondo movimento, il Lento, col suono triste e melanconico di un oboe. Il

Presto attacca improvvisamente, ed annuncia un nuovo eroico tema con le trombe,

alternato a interruzioni di archi più danzanti, per poi riproporre il primo tema del

primo movimento, ovviamente in Do maggiore, compatto e grandioso, concludendo

con modulazioni di tono gloriosamente. Una sinfonia in linea con l’anno di compo-

sizione, che rispecchia sia il lato triste che quello patriottico della guerra che si an-

dava combattendo in quegli anni, e che cerca, con questa chiusa eroica, di innalzarsi

positivamente sulle sorti del conflitto.

Le due precedenti sinfonie del compositore si distendono con la stessa chiara ela-

borazione strutturale e tematica, quasi pre mahleriana: una Piccola Sinfonia in Sol

Maggiore, op. 44, del 1939, e una Sinfonia in Do diesis minore, arrangiamento del quar-

tetto d’archi del 1925, del 1936, non presa in esame poiché non c’è documentazione

relativa alla trasposizione in sinfonia. La piccola sinfonia, invece, è divisa in quattro

49 WAGNER, GOTTFRIED, Weill e Brecht, edizioni Studio Tesi, 1992, p. 28

48
movimenti, Senza fretta, Allegro, Adagio e Allegretto, e dura all’incirca 20 minuti. An-

che qui i temi e gli atteggiamenti a loro affidati sono chiaramente riconoscibili e di-

stinti tra archi e fiati: il respiro, rispetto alla Sinfonia in Do maggiore, è più leggero.

L’Adagio lascia spazio al sentimento più drammatico e riflessivo della sinfonia, ma

nel complesso il risultato è un carattere brillante e leggero, come dimostra lo sbocco

dell’adagio nel positivo Allegretto quasi a carattere di danza. C’è da dire che l’alle-

grezza e la spensieratezza di questa musica inducono a pensare una positiva fuga di

questo compositore nella musica più bella della tradizione tedesca, a voler scampare

dall’orrore di quegli anni. Superfluo ricordare che in queste composizioni ci trovia-

mo nella completa adesione alla tonalità.

Tra i compositori trattati fino a questo momento, Franz Schmidt è il più anziano (e

infatti morirà nel 1939). Scrive quattro sinfonie, le prime due scritte nei primi anni

del secolo, le ultime due intorno agli anni trenta. Non toccato e interessato alle nuo-

ve tendenze musicali, Schmidt è a quest’altezza temporale un compositore maturo

che nella sua produzione sinfonica non rinuncia al fascino, all’eleganza e alla legge-

rezza di uno spirito romantico, o anche pre-romantico. Nelle sue sinfonie non c’è

traccia del dramma mahleriano, ma amore per una sinfonia elegante, che si slancia

in lunghe frasi melodiche. Tutte divise in tradizionali quattro movimenti e dalla du-

rata di circa un’ora. Solo l’ultima sinfonia, del 1933, presenta uno stile tragico e più

‘moderno’.

La Sinfonia n. 3, del 1927-1928, in La maggiore si divide in quattro movimenti: Al-

legro molto moderato, Adagio, Scherzo Allegro Vivace, Lento Allegro Vivace. Il primo mo-

vimento è in forma sonata. Il secondo movimento è essenzialmente un insieme di

variazioni. Il terzo inizia con un tema simile ad un corale: questa introduzione lenta

e malinconica inizia in La minore e procede in avanti con una figurazione di accom-

pagnamento fino a raggiungere l'accordo dominante di Mi maggiore prima dell'ini-

49
zio dell’ultimo movimento, il cui tema è inizialmente derivato da quello della pre-

cedente introduzione del Lento.

La Sinfonia n. 4 è il lavoro che può essere considerato forse il più moderno del

compositore. E’ datato 1932-1933, e diviso in quattro movimenti, Allegro molto mode-

rato, Adagio, Molto vivace, Tempo primo un poco sostenuto, fusi però in un’unico, e dalla

durata di circa 45/50 minuti. La Sinfonia è considerata come una sorta di requiem,

per la figlia di Schmidt, deceduta per dare alla luce il suo primo figlio: c’è un’atmo-

sfera triste a malinconica che non si trova nelle tre sinfonie precedenti. L’Allegro mol-

to moderato si apre con una tromba solista la cui melodia sarà l’elemento unificante

di tutta la sinfonia. L’Adagio, invece, inizia e finisce con un assolo di violoncello che

si trasforma in una drammatica marcia funebre nella parte centrale. Il Molto vivace è

costruito su effetti di fugato, mentre il Tempo primo un poco sostenuto riprende il tema

della tromba di apertura ma ora intonato dal corno francese. L’impressione è di una

sinfonia che non si dà pace, tormentata, aperta solo ai brevi bagliori speranzosi rap-

presentati dal suono fuggevole di un’arpa.

50
IV

La sinfonia italiana dell’avvenire

Andare alla ricerca della sinfonia italiana nella prima metà del Novecento vuol

dire trovarsi davanti uno scenario frammentato e incerto. Da oltre un secolo è infatti

il melodramma a imperare come simbolo e modello della musica italiana e sia tra il

pubblico che tra gli stessi musicisti è molto sentita la convinzione che il genio italia-

no non possa che essere melodico, per natura «alieno alle complicazioni scientifiche

richieste dall’elaborazione della sinfonia»50. Il successo e il dominio del melodram-

ma a partire dalla metà dell’Ottocento avevano spezzato il filo della tradizione

strumentale italiana: Domenico De Paoli ricorda che dopo Cherubini e Clementi la

tradizione strumentale italiana si era di fatto interrotta, e la produzione di musica

sinfonica e da camera si era fatta sempre sempre più scarsa51. Solo verso la fine del-

l’Ottocento emergono alcuni compositori che si fanno portavoce della rinascita

strumentali italiana: Giuseppe Martucci, Ferruccio Busoni, Leone Sinigaglia, è la

50 DE’ PAOLI, DOMENICO, La crisi musicale italiana (1900-1930), Milano, Hoepli, 1939, p. 25

51 ivi, pp. 1-27

51
prima generazione di autori che dà vita ad un nuovo repertorio di musica strumen-

tale. Li accomuna una formazione anti melodrammatica, nella quale predomina l’in-

fluenza germanica che d’altronde rappresenta al momento il modello più sicuro di

riferimento: pochi all’epoca avevano la fortuna di studiare i vecchi maestri italiani,

nascosta sotto la polvere degli archivi e delle biblioteche, pertanto la traduzione

strumentale italiana sembrava perduta. Gian Francesco Malipiero rivela di aver fatto

scoperta dei compositori veneziani a formazione già compiuta. I compositori non

dispongono di conoscenze, di possibilità di consultazione adeguate, pescano nella

tradizione seguendo una certa predilezione personale, per istinto. Malipiero, poi, va

oltre, per affermare come «le condizioni attuali dell’Italia siano più adatte alla di-

struzione di ogni entusiasmo artistico che allo sviluppo di energie capaci di generare

la sinfonia italiana»52 : manca un centro di cultura, i musicisti vivono dispersi, affi-

dandosi alle piccole scuole di provincia o a piccole occupazioni musicali, non c’è so-

stegno finanziario per mantenere le orchestre e sentir suonate le proprie composi-

zioni da ottimi musicisti, ma soprattutto, «subito ed energicamente bisogna insorge-

re contro l’insidiosa offesa che agli italiani non sia possibile di creare le sinfonie»53.

Per tutti questi motivi, la composizione strumentale e sinfonica italiana si affaccerà

al Novecento acerba e senza caratteri stilistici autentici, proprio perché a mancare è

una adeguata preparazione culturale e conoscenza della propria tradizione. Ma allo

stesso tempo essa ricomincia ad affermare la propria esistenza.

I miti nazionalisti che agitarono i primi anni 10 del secolo furono di grande im-

portanza anche per la nostra cultura musicale: nacque da qui la tensione ideale per il

recupero dell’antica grandezza musicale italiana. Grazie al grido di allarme lanciato

da compositori e da musicologi, è sempre più sentita la necessità che la musica

52MALIPIERO, GIAN FRANCESCO, La Sinfonia italiana dell’avvenire, in Rivista Musicale Italiana, Vol.
XIX, 1912, pp. 727-737

53 ivi, p. 729

52
strumentale italiana ritrovi una sua identità: e tale rinnovamento fu tanto sentito

quanto violento, combattuto con fervore e spirito polemico. Al centro c’è il problema

di creare un’arte moderna, che si riallacci di spirito a una tradizione completamente

spezzata, e non è cosa da poco: la prima guerra mondiale sarà uno spartiacque che

acuirà tendenze e divergenze di vedute tra i compositori italiani. E’ il momento più

acuto della crisi della vita musicale italiana: da una parte c’è chi preferisce rimanere

legato alla tradizione italiana dei maestri, dall’altra chi accetta la formazione tradi-

zionale e innesta su di essa elementi di nuova formazione. Da questa crisi però sca-

turisce una intensa attività che dà i suoi frutti soprattutto nel dopoguerra. A partire

dagli anni venti infatti si può riconoscere una maggior disciplina costruttiva nelle

composizioni dei nostri musicisti: linguaggi e forme si fanno più sicuri e organizzati,

l’architettura dei pezzi riprende più importanza, si afferma un disegno ritmico più

leggero e preciso. Anche la sinfonia trova un suo spazio in questa ricerca di una lin-

gua nazionale. Nel 1909, ad esempio di come fosse sentita l’esigenza anche in questo

genere, la Società Italiana di Autori di musica decideva l’istituzione di un concorso

che premiasse la migliore sinfonia del momento: il concorso non si fece per mancan-

za di materie prime, ma rivelò le aspirazioni dei giovani compositori, alcuni dei

quali confluirono nei ranghi della generazione dell’Ottanta. E mentre Mascagni scri-

veva che «quando la mia fantasia sarà stanca comporrò sinfonie»54, i musicisti più

giovani ripescavano nella tradizione italiana e nella musica europea più recente, con

l’obiettivo di dar vita a una lingua nazionale.

Il periodo tra il 1920 e il 1940 è dunque molto produttivo per i giovani composito-

ri italiani: Casella, Malipiero, Pizzetti, Respighi, Alfano. Nonostante la vasta produ-

zione strumentale di loro composizione, le sinfonie nei loro cataloghi sono scarse.

Può anche capitare che i compositori vi si avvicinino, nei primi anni del secolo, per

ritornare poi a comporre qualche sinfonia solo verso la fine degli anni ’30. E’ il caso

54
ivi, p. 54

53
di Casella e di Pizzetti. Respighi invece abbandona la sinfonia, e trova la sua strada

nel poema sinfonico. Malipiero invece, è un caso a sé: prolificissimo di sinfonie, an-

che lui compone nei primi anni del Novecento alcune sinfonie dai toni impressioni-

sti, per poi tornare a mettere mano al genere sinfonico solo dopo gli anni 20 e conti-

nuando fino agli anni 60. Tracce sporadiche di qualche sinfonia si ritrovano anche in

autori minori. Studiosi e musicologi, sulle sinfonie di tutti questi autori si sofferma-

no poco: la documentazione su queste composizioni è molto scarsa, e lo stesso Do-

menico De Paoli sembra porsi poco il problema di una sinfonia italiana, mentre ri-

badisce con fierezza come questi compositori abbiano avuto merito di far rifiorire

generi strumentali dimenticati dalla tradizione, dalle sonate alle partite. Ma se la

produzione sinfonica italiana agli inizi del Novecento non ha sicuramente alle spalle

una grande tradizione come il mondo tedesco, non per questo i nostri compositori

non si pongono problemi di forma e linguaggio quando si avvicinano al genere,

ognuno secondo, potremmo dire, il proprio istinto musicale. Malipiero, ma anche

altri compositori, sottolineano come, nel lavorare al rinnovamento della musica ita-

liana, si trae ispirazione soprattutto dal proprio istinto: la formazione musicale ita-

liana non rispondeva alle aspettative dei giovani musicisti, e ognuno cercava ispira-

zione dalla tradizione, dalla musica contemporanea, seguendo la propria indole. Era

questa l’unica soluzione che si prospettava per i nuovi compositori italiani di inizio

secolo: «inventare istintivamente una forma sua individuale, […] ammaestrando e

temprando lo spirito» 55.

4.1 Malipiero: culto del passato e tecnica antidialettica

Il titolo che dà il nome a questo capitolo è ripreso da un articolo di Gian France-

sco Malipiero del 1912, “La sinfonia italiana dell’avvenire”. In questo articolo Malipiero

riassume la storia strumentale italiana con un’osservazione molto interessante: «la

55 ivi, p. 735

54
musica strumentale italiana infatti», dice, «ha combattuto un grave ostacolo prove-

niente da un pregiudizio religioso» 56. L’uso degli strumenti per molto tempo fu

proibito dalla chiesa, perché ritenuto di origine pagana: la musica strumentale in Ita-

lia nasce quindi con ritardo, ma di contro, la musica corale raggiunge altissimi livelli

di espressione. Le arditezze armoniche e gli incastri tra le voci della Scuola Venezia-

na sono il segno di come già nel ‘500 i musicisti italiani fossero veri sinfonisti, solo

che che non adoperavano strumenti. Con questo Malipiero nega il primato di Gio-

van Battista Sammartini come inventore della sinfonia: le basi della sinfonia italiana

sono da ricercare nella musica corale. La conoscenza polifonica dei nostri autori si

riverserà nelle Overture, nella scuola dei violinisti del ‘700 e nella Sinfonia da Came-

ra. Ma dalla metà del Settecento la musica corale decade, e gli strumenti si pongono

al servizio delle voci nel teatro. Nell’Ottocento l’orchestra, invece di progredire, di-

venta un apparato, conclude Malipiero, per fare rumore. Al compositore italiano del

900 non resta altra strada che inventare istintivamente una forma sua individuale: è

giunto il tempo che una «miriade d’immense sinfonie aspettano coloro che le sap-

piano cogliere»57.

Iniziare il percorso alla ricerca di una forma di una sinfonia propriamente italiana

con Malipiero è necessario: un autore che rispetto alla media dei musicisti italiani

annovera molte sinfonie tra le sue composizioni. Le sinfonie che compone nel primo

decennio del Novecento, la Sinfonia del mare (1904), la Sinfonia degli eroi (1905), la Sin-

fonia del silenzio e della morte (1908) sono rivelatrici di un sentire romantico (in quanto

l’arte romantica fu il primo contatto della sua formazione), ricche di atmosfere mi-

steriose e macabre, giocando su effetti impressionisti e descrittivi attraverso lunghe

e melodiche pennellate tematiche. Dal 1934 al 1947 si contano ben sei sinfonie nel

suo catalogo: con queste non è più possibile etichettare Malipiero come compositore

56 ivi, p. 731

57 ivi, p. 736

55
romantico, come sottolinea Guido Gatti, poiché se tale rimane nello spirito e nell’e-

spressione del dissidio dell’artista che cerca di superarsi nell’opera d’arte, il suo stile

formalmente è invece classico, per la sua sobrietà e semplicità di mezzi, per la chia-

rezza e la trasparenza dei contenuti, e nella compostezza e contentezza della elabo-

razione lineare58. Caratteristiche verso cui il compositore si orienta dopo la riscoper-

ta delle musiche del sei e del settecento italiano, che dal quel momento guidano e

contribuisco alla formazione e alla personalità del musicista. Ma non solo: Casella

sottolinea come Malipiero recuperi i modi antichi (dorico, ipodorico, frigio, misoli-

dio) per allargare il senso tonale, utilizzandole con grande abilità, «con continui con-

trasti ed urti fra modalità e gravitazione tonali divergenti, determinando così una

incertezza tonale, una instabilità tonale, che costituisce uno dei lati più potentemen-

te originali della sua arte»59 .

Delle sei sinfonie saranno analizzare solo le prime due, che concernono l’arco

cronologico di nostro riferimento (1920 - 1940). Con la Prima Sinfonia, composta nel

1933, Malipiero afferma di aver «intuito una forma di espressione musicale squisi-

tamente italiana»60 : il compositore da questo momento recupera l’antica tradizione

italiana barocca del ‘600, da cui trae un fondamentale diatonismo e una sciolta arti-

colazione delle linee contrappuntistiche (sfruttando le recenti conquiste del linguag-

gio armonico contemporaneo, come l’atonalità e la politonalità, ma comunque ri-

manendo fondamentalmente in un ambito caratteristico più dell’antica modalità che

della tonalità). Il recupero della tradizione non si trasforma, come fa osservare Nico-

la Costarelli, in un prodotto neoclassico61 : il discorso malipieriano nasce dal bisogno

58GATTI, GUIDO G. Francesco Malipiero, saggio tratto da L’esame, Milano, 31 ottobre 1923 e raccolto
in Opera di G.F Malipiero, saggi di scrittori italiani e stranieri con una introduzione di Guido Gatti, Treviso,
1952, pp. 25-39

59CASELLA, ALFREDO Il linguaggio di G.F.Malipiero, saggio tratto da «La Rassegna Musicale», 1942,
raccolto in Opera di G.F.Malipiero, cit, p. 129-130

60 MALIPIERO, GIAN FRANCESCO, catalogo annotato presente in Opera di G.F. Malipiero, cit, p. 230

61COSTARELLI, NICOLA, Nota sulle sinfonie di Gian Francesco Malipiero, in «La Rassegna Musicale»,
A. 21 n. 1, 1951, pp. 39-42

56
di trovare una soluzione formale alle proprie esigenze espressive, che sono prima di

tutto poetiche che musicali. Malipiero è, sottolinea Costarelli, in primis un musicista

di teatro che un musicista puro: la sua musica è concepita in funzione di qualche

cosa (suggestione visiva, stato d’animo, dramma), e si riallaccia al barocco alla ricer-

ca dell’abbandono di forme descrittive per conquistare l’autonomia della forma au-

ditiva62. La “poesia” della natura della Prima Sinfonia, si risolve non per mezzo di

atmosfere timbrico-armoniche che hanno funzione di suggerire l’ambiente ma è af-

fidata a linee di canto che si intrecciano e si prolungano, variando e mutando se-

guendo la mobile vita interiore del compositore. Questa composizione, nata inizial-

mente dalle letture del poeta veneziano Lamberti e dalla nostalgia della sua patria

veneziana, porta il sottotitolo: «In quattro tempi come le quattro stagioni». I quattro

movimenti corrispondono infatti alle quattro stagioni: Primavera, Estate, Autunno,

Inverno. A primo impatto l’ascoltatore è richiamato al pensiero dell’esempio vival-

diano, ma Malipiero avverte che questa sinfonia è lontana da ogni significato a pro-

gramma: i sottotitoli non rappresentano un programma, ma uno stato d’animo. Eli-

minata ogni allusione a Venezia e al Lamberti, che avevano inizialmente stimolato

l’autore, qui il sottotitolo vuole chiarire principalmente il carattere dei quattro tem-

pi. Spiega Malipiero: «Il primo, quasi andante, sereno, è primaverile. Il secondo, al-

legro, forte, veemente come l’estate. Il terzo, lento ma non troppo, è autunnale, e il

quarto, allegro quasi allegretto, ha dell’inverno l’allegria del carnevale»63.

Da questo momento il termine Sinfonia viene applicato da Malipiero a composi-

zioni orchestrali, solitamente in più tempi, che non ricalcano le forme classiche tede-

sche ma si riallacciano a quella che è stata in Italia la musica barocca fra il 1680 e il

1780. Conseguenza ne è anche la soppressione dello sviluppo tematico, l’abbandono

62COSTARELLI, NICOLA, Nota sulle sinfonie di Gian Francesco Malipiero, in «La Rassegna Musicale»,
A. 21 n. 1, 1951, pp. 39-42

63 MALIPIERO, GIAN FRANCESCO, catalogo annotato in Opera di G.F.Malipiero, cit, p. 231

57
della dialettica sinfonica con le sue simmetrie, e la negazione del sinfonismo a svi-

luppi per prediligere una tecnica antidialettica giocata sulla continuità. Il musicista

si muove dunque in opposizione al sinfonismo tedesco, rifiutando le forme classiche

basate sullo sviluppo tematico e il descrittivismo, rivendicando piena libertà nell’in-

venzione musicale. Malipiero costruisce in modo paratattico e non sintattico, con-

trappuntistico e non armonico, come spiega bene Nicola Costarelli: i suoi temi sin-

fonici non sono organismi chiusi suscettibili a sviluppo, ma disegni sonori aperti,

entità lineari che confluiscono l’una nell’altra assicurando continuità e unità allo

stesso tempo. Dice il compositore:

«Materialmente ho rifiutato il facile gioco degli sviluppi tematici perchè ne ero saturo e mi venivano

a noia: imbrogliandolo, non è difficile costruire un tempo di sinfonia, che diverte i dilettanti e soddi-
sfa la insensibilità degli intenditori: il discorso della musica veramente italiana che non s’arresta mai,

segue la legge naturale dei rapporti e dei contrasti, architettura pensile e solida»64

Culto del passato e tecnica antidialettica: questi gli aspetti fondamentale delle sin-

fonie di Malipiero, organizzati in modo maturo a partire dalla Seconda Sinfonia, del

1936, o Elegiaca. Dalla durata di circa venti minuti, che costituirà lo standard delle

successive sinfonie malipieriane, la sinfonia è divisa in quattro tradizionali movi-

menti: Allegro ma non troppo, Lento ma non troppo, Mosso, Lento-Allegro. L’attacco in

Allegro dà l’impressione di inserirsi in un discorso in medias res, senza nessun inte-

resse di presentazione ed elaborazione di un motivo melodico. Il dialogo che ne de-

riva fra soli archi e tra archi e fiati è frammentario e giocato sui rapporti di tensione

e distensione, di accelerazione e rallentamento. Malipiero dice che con questa sinfo-

nia «scomparvero quelle esitazioni derivanti dalla soggezione che incutevano le

grosse sinfonie dell'ottocento tedesco, costruite ripetendo in mille modi lo stesso

tema con somma e consumata abilità»65. E’ questa la sinfonia che, fondendo i prin-

64 MALIPIERO, GIAN FRANCESCO, diario, da Opera di G.F.Malipiero, cit, p. 340

65 MALIPIERO, GIAN FRANCESCO, catalogo annotato, da Opera di G.F.Malipiero, cit, p. 232

58
cipi costruttivi dell'antica sinfonia italiana in un linguaggio eminentemente diatoni-

co sempre traboccante di idee, inaugura lo stile sinfonico malipieriano che ritrove-

remo nelle successive sinfonie.

4.2 Alfano: fedeltà all’eredità romantica

Autore partenopeo, Franco Alfano si afferma al pubblico italiano ed europeo con

l’opera Resurrezione (1904), ed è essenzialmente un autore di teatro. Formazione ita-

liana e viaggi giovanili in Germania e in Francia contribuirono alla formazione di

una personalità propria e particolare nel panorama musicale italiano: alla qualità

italiana e meridionale portata al canto e all’accentuazione espressiva, si unisce il

senso della forma appreso dalla strumentalità classico-romantica di linea tedesca,

con conseguenza che l’idea musicale di Alfano, anche nel teatro, tende a espandersi

nella forma di un pieno linguaggio sinfonico, e a raggiungere, con il tempo, una si-

cura gestione e sicurezza nell’orchestrazione. Ciò che distingue Alfano dai suoi con-

temporanei è che lui non cerca modelli ‘storici’ per la sua musica: non scrisse mai

toccate o passecaglie, è lontano da contatti con il canto gregoriano e la musica moda-

le, così come da forme di neoclassicismo. Alfano è un compositore immerso nel suo

tempo, fedele all’eredità romantica e ottocentesca, alla base della sua formazione.

Incline alla passionalità del verismo, di formazione classica votata al sinfonismo,

l’orchestrazione elaborato in modo impressionistico, il suo cauto aprirsi alle novità

di linguaggio anche nei lavori maturi, la grande semplicità e spontaneità melodica,

sono alcuni dei molteplici impulsi che Alfano coniuga nella sua personalità. Per

questi motivi le sue due sole sinfonie risentono, se raffrontate con le composizioni di

Casella, Malipiero e Pizzetti, di un taglio più tradizionale. Della sua Prima sinfonia in

mi bemolle maggiore che compone nel 1910, in quattro tempi, rivisitandola poi in tre

nel 1923, ricordiamo alcune parole del compositore che rievocano l’accoglienza della

59
sinfonia da parte del pubblico e che si riallacciano al problema di ricostruire una cul-

tura sinfonia per il pubblico italiano:

«Il successo fu grande […] I giornali si occuparono della cosa in fretta e in breve. Come accennavo

dianzi, lo scrivere per l’orchestra era allora considerato un lavoro trascurabile. La gente era piena di
preconcetti, soprattutto indifferente o ostile agli italiani sinfonisti. Lo stesso Martucci, non riusciva a

diffondere e ottenere unanime attenzione con le sue due sinfonie, in ogni caso pregevoli […] forte-
mente impegnate di ottocentismo e di brahnsianesimo. E questi gusti, ai quali il pubblico italiano era

assuefatto, avrebbero anzi potuto spianargli la strada. […] Figurarsi le possibilità in favore per la mia
sinfonia, la quale, lontana dal concetto sinfonico tedesco, risentiva piuttosto del sinfonismo russo. Ma

le idee, ci tengo a notarlo, erano e sono schiettamente nostre, italiane. Ciascun movimento voleva
evocare un’epoca della nostra patria, e cioè la romanità, il medio evo, il rinascimento, il presente»66

Dello spirito postromantico e legato al melodismo di Alfano è un esempio la Se-

conda Sinfonia del 1932, eseguita per la prima volta all’Augusteo nel 1933. Estesa cir-

ca 40 minuti, e articolata in quattro movimenti, Allegro sostenuto, Largo, Solenne, Alle-

gro alla marcia, è una composizione completamente tonale. Questa sinfonia, secondo

Andrea Della Corte, in Ritratto di Franco Alfano, non vuol essere «né musica polemi-

ca né d’avanguardia. Non è musica alla moda: non porta maschera antica, né bellet-

to moderno. Ed è musica d’oggi»67. L’autore continua:

« Ecco una sinfonia contesta classicamente, con temi chiari nitidi con svolgimenti con ritornelli, con
preannunci tematici e riprese e altri svolgimenti, con tonalità precise e non stagnanti e neppure vaga-

bonde, con contrappunti sostanziali, mobili, aerati con ricchezza di timbri non stupefacente e nume-
rosa magistrale costruita con materiali non inerti ma pulsanti, limitata nella forma e non perciò priva

di sbocchi vie e orizzonti.


Ecco una sinfonia sentita romanticamente, echeggiante di passioni e di stati d’animo, senza appigli

programmatici e perfettamente eloquente, senza contingenze determinate e riflettente la vita umana.

66
DELLA CORTE, ANDREA, Ritratto di Franco Alfano, Torino, Paravia, 1935, p. 43-44

67 ivi, p. 72

60
Musica, arte, come sintesi umana. I tre tempi della seconda sinfonia di Alfano sono come tre episodi,

tre epoche d’un’anima»68

Sinfonia espressione di un autore che, rispetto al linguaggio del già presentato di

Malipiero ma anche dei successivi Casella e Pizzetti, si apre cautamente, nel lavoro

cameristico e sinfonico, allo spirito del moderno linguaggio musicale, e che rimane

più legato a un panorama tardo romantico ottocentesco. Ma non per questo privo di

una coscienza di modernità nel lasciarci una sinfonia commovente e di precisa fattu-

ra, aprendo di fatto, oltre Malipiero, una strada alternativa della sinfonia italiana,

che tuttavia non proseguirà poiché non comporrà altre sinfonie.

4.3 Pizzetti e Casella: due sinfonie a confronto

Se Ottorino Respighi, dopo una Sinfonia Drammatica (1912), lascerà la sua fama ad

una estesa produzione di poemi sinfonici, Ildebrando Pizzetti e Alfredo Casella si

cimentano con la composizione di sinfonie sia nei primi anni del Novecento sia alla

fine degli anni quaranta, con due lavori seriosi e imponenti.

E’ del 1940 la Sinfonia in La maggiore di Pizzetti, forse il compositore della genera-

zione dell’Ottanta in cui il concetto di tradizione è più forte: la tradizione è per lui

«espressione della natura immutabile e profonda dell’animo nazionale»69 . Diffidente

verso Debussy e verso Schönberg, predilige invece Verdi e il dramma musicale, e il

teatro rimarrà sempre per lui luogo privilegiato della profonda espressione umana.

Commissionata per la celebrazione del 26esimo centenario della fondazione del-

l’Impero giapponese, la Sinfonia in La maggiore, durata di circa 40 minuti, presenta

una struttura in quattro movimenti: Andante, non troppo sostenuto ma teso; Andante

tranquillo; Rapido, Andante faticoso e pesante. Di questi quattro soltanto il terzo ha un

68 ivi, p. 72 -73

69 SALVETTI, GUIDO, La Nascita del Novecento, Vol. 10, Storia della Musica, cit, p. 294

61
materiale tematico del tutto proprio. Gli altri tre tempi, pur avendo ciascuno temi

propri, hanno in comune, via via variamente trasformati, due temi: un primo tema

sotto il quale striscia e serpeggia un secondo, cromatico, che formerà l'ossatura rit-

mica della composizione. Nonostante la composizione non abbia alcuna intenzione

rappresentativa, il carattere dell'opera manifesta, specialmente nel primo e nell'ul-

timo tempo, un’atmosfera tragica che riflette il momento in cui essa è stata concepi-

ta, ovvero l’inizio della seconda guerra mondiale. L’inizio tragico e preoccupato del

primo movimento annunciato dal corno solo, si sviluppa carico di tensione e fer-

mento, quasi angosciato dell’orizzonte di guerra. Nell’ultimo temposi odono alcune

battute della «Preghiera per gli innocenti», secondo tempo della Sonata in la per vio-

lino e pianoforte scritta da Pizzetti nel 1918, sul finire della precedente grande guerra

europea.

Alfredo Casella, nello stesso anno, compone ed esegue la sua Sinfonia n. 3 op.63 (a

ben trent’anni di distanza dai suoi primi esperimenti sul genere: la Sinfonia n. 1 e la

Sinfonia n. 2 rispettivamente del 1906 e 1909). Con questa sinfonia Casella si allonta-

na dallo spirito romantico che aveva contraddistinto i suoi primi e giovanili lavori

sinfonici, ma anche dalle tormentate dissonanze che contraddistinguono la sua ‘se-

conda maniera’. Strutturata in canonici quattro tempi, Allegro Mosso, Andante molto

moderato, quasi Adagio, Scherzo, Rondò finale, è una sinfonia che giunge al termine di

una lunga ricerca e sperimentazione armonica che lo aveva ormai portato, a partire

dagli anni venti, ad una fase compositiva ormai matura e personificata, ovvero un

neoclassicismo del tutto personale da esibire come alternativa ai modelli dell’avan-

guardia europea. Il movimento iniziale sviluppa un’idea tematica elementare che

viene poi arricchendosi ed alimentandosi fino a dare origine ad una costruzione

ampia ed organica, contenente spunti motivici che torneranno in maniera ciclica nel-

l’intera composizione. Il secondo movimento è incentrato su una melodia nostalgica

che viene interrotta bruscamente dal tono minaccioso di un intermezzo che anticipa

62
un carattere ‘demoniaco’ dello Scherzo. Il terzo movimento presenta una struttura

ritmica ferrea, mentre nell’ultimo movimento trionfa un’atmosfera gioiosa, caratte-

rizzata da un tema di intonazione popolare e rapsodica.

Casella aveva trascorso la sua vita e tutta la sua attività di compositore a tentare

di dar vita a una vera musica italiana e patriottica, ma al contrario di Pizzetti, che fu

sempre molto legato alla tradizione, fu musicista sempre proteso verso il nuovo,

credendo che il rinnovamento della musica italiana potesse avvenire solo con «la

conoscenza dei moderni autori stranieri, da abbandonare una volta raggiunto un

più vigile controllo stilistico»70. Il nuovo stile italiano doveva essere conciliativo di

diverse tendenze, e allo stesso tempo autosufficiente. Così Casella scriveva nel 1918:

« Se un’opera d’arte è nuova e bella, è secondario che essa sia più o meno nazionale. […] Lo sforzo di
assimilare deve essere considerato come un segno precursore di prossimo e potente rinnovamento

di tutta la nostra sensibilità musicale. […] L’indole così modernamente, nuovamente italiana delle
giovani musiche mi fa credere che la musicalità nostra evolva verso una specie di classicismo, il

quale comprenderà in una armoniosa euritmia tutte le ultime innovazioni italiane e straniere e dif-
ferirà dall’impressionismo francese, dalla decadenza straussiana, dal freddo scientismo di Schoen-

berg, dalla sensualità iberica, dall’audace fantasia degli ultimi ungheresi»71

Casella è un compositore che fa proprie tante influenze: eclettico, camaleontico,

trasformista, tanto che la sua produzione viene convenzionalmente distinta in tre

periodi o maniere. L’atteggiamento caselliano è stato spiegato da Guido Gatti come

‘negazione’, così spiegato da Francesco Fontanelli: «la ricerca della fisionomia arti-

stica del Casella vive del ricorso a paradigmi estetici alternativi, si definisce in oppo-

sizione al contesto culturale dominante»72 . In questo senso è interessante ripercorre-

re il percorso di arrivo che porta dalle sue prime sinfonie a questa terza, attraverso

70 NICOLODI FIAMMA, Musica e musicisti nel ventennio fascista, cit, p. 241

71 ibidem

72FONTANELLI, FRANCESCO, Casella, Parigi e la guerra, Inquietudini moderniste da Notte di maggio a


Elegia Eroica, Bologna, Albisani Editore, 2015, p. 23
63
un recente studio di Francesco Fontanelli. Casella inizia la sua formazione a Parigi,

quando nel 1896 viene ammesso al Conservatoire National, nella classe di Louis

Dièmer. In questo periodo, Casella abbandona il suo retroterra musicale germanico

per avvicinarsi al fermento degli eventi musicali di una Parigi in costante fermento.

Dice Fontanelli:

«Casella vuole vivere il presente, fa di tutto per conoscere da vicino ogni nuova corrente estetica,

convinto che solo dopo un intenso tirocinio di ascolti e di incontri potrà consapevolmente individua-
re una strada moderna, ma allo stesso tempo aderente alla sua più intima natura»73

Casella in questi primi anni si fa notare per la sua arcaica compostezza, la sua

«neoclassicità ante litteram»74. Sceglie come modello la sobrietà di Gabriel Faurè

opponendosi alla tendenza francese che cercava il rinnovamento della musica stru-

mentale sulla base di Wagner e della scuola neotedesca, ma anche a Debussy:

«Da lui (Faurè), appresi parecchie cose utili: il culto del classicismo, il senso della costruzione, l’amo-

re della sapiente secolare polifonia contrappuntistica. E certamente debbo al suo insegnamento quella
mia incrollabile tendenza anti-impressionistica che doveva poi guidare tutta la mia azione di musici-

sta» 75

Casella seleziona i propri riferimenti stilistici fuori dai confini della Francia di

Debussy, soprattutto quando si approda alle grandi forme. La prima Sinfonia in si mi-

nore op. 5, 1906, continua Fontanelli, non è che un primo tentativo conseguente a

un’intensa fase di studio sui poemi sinfonici di Richard Strauss. Il suo stile ibrido è

esempio di questo equilibrio tipico caselliano, in bilico tra accoglienza dei nuovi

stimoli artistici e conservazione. Questa sinfonia,

73 ibidem

74 ivi, p. 74

75 ivi, p. 26 64
« […] ponendosi al crocevia di alcune esperienze centrali nella formazione del giovane compositore,

ne rispecchia infatti le latenti spinte contradditorie: da una parte scopre il suono esotico dei russi gra-
zie alla frequentazione con Ravel, dall’altra il legame con George Enescu e poi con Pablo Casals lo

avvicina alla scoperta dei grandi maestri austro-tedeschi [Schubert e Brahms, dirà Casella]»76

La Seconda Sinfonia in do minore, op. 12 (definita da Jean Huré come «la più impor-

tante che un compositore italiano abbia prodotto nel genere sinfonico» 77 ) è invece

già da inserire in uno stadio competitivo nuovo, che «consacra il giovane casella

come fervente mahleriano»78. Dice Casella: « Da anni mi ero acceso di un vivo entu-

siasmo per la personalità di Gustav Mahler, il quale era totalmente sconosciuto in

Francia. Ne avevo studiato tutte le sinfonie e le possedevo praticamente a

memoria»79. Le sinfonie di Mahler sono per Casella contenitori capaci di accogliere

elementi stilistici eterogenei in una sorta di «caos ordinato»80. Casella ne è attratto in

quanto «architettura sinfonica inclusiva, pluristilistica, frastagliata»81. Dice Fonta-

nelli a proposito di questa sinfonia:

« considerare il travaglio compositivo che culmina nella colossale Seconda Sinfonia in do minore op.
12 (1908-1909), per cogliere la volontà di marcare una distanza, quasi una presa di posizione sul pia-

no della poetica rispetto a Debussy: […] Casella rimane classico, vuole creare narrazioni musicali con
solide impalcature, nelle quali le forme ereditate dalla tradizione strumentale sette-ottocentesca pos-

sano continuare a sopravvivere, ancorché vitalizzate dall’apporto moderno delle preziosità timbriche
e armoniche»82

76 ivi, p. 30

77 HURE’, JEAN, Euvres de A.Casella, «Le monde musical», 1910, p. 139, traduzione mia

78FONTANELLI, FRANCESCO, Casella, Parigi e la guerra, Inquietudini moderniste da Notte di maggio a


Elegia Eroica, cit, p. 30

79 ibidem

80 ivi, p. 32

81 ivi, p. 33

82 ivi, p. 27 65
L’op. 12 rimarrà a lungo comunque inedita e il l’esempio mahleriano lascerà ben

presto spazio all’elemento popolaresco: se questo faceva solo capolino nella Seconda

Sinfonia, è nelle successive opere (Italia, rapsodia per grande orchestra op. 11 e la Suite in

Do maggiore op. 13) protagonista indiscusso. A partire dal 1913 Alfredo Casella intra-

prende la sua «avventura modernista» italiana con la fondazione della SMI. E pro-

prio da questo momento (lasciando da parte il difficile rapporto di Casella con l’ato-

nalità schönberghiana) Casella viene attratto dalla prospettiva di Bastianelli, tanto

che va citando questa frase dell’autore: «l’essere stata vinta la terribile tirannide

wagneriana non dal fiammante Strauss ma dal diafano Debussy, ecco un simbolo

veramente profondo per chi sappia leggervi»83. E’ questa, secondo Francesco Fonta-

nelli, «la fonte ideologica alla luce della quale inquadrare i termini del suo contro-

verso rapporto con Schönberg»84. Il sistema tonale debussiano si liberava dell’eredi-

tà storica e dava nuova freschezza all’armonia tonale. Non consumazione del siste-

ma, ma apertura a opportunità rigenerative, dice Fontanelli. La conoscenza di Stra-

vinskij da parte di Casella conferma queste parole. Se «la musica debussista si pose

a sfruttare le ricchezze della scale greche orientali» 85, è allora la polimodalità, «l’al-

largamento della griglia sonora a una gamma molteplice di linearità scalari»86, la

vera soluzione al modello wagneriano. Stravinskij è il filtro attraverso cui l’arte

francese viene studiata da Casella: è il simbolo di una liberazione culturale tutta

francese ma che allo stesso tempo acquista il valore autonomo e sovranazionale di

un rinnovamento storico che garantisce la metamorfosi all’interno del sistema tonale

altrimenti destinato ad estinguersi, spiega Fontanelli.

83 ivi, p. 59

84 ivi, p. 60

85 ivi, p. 60
66
86 ivi, p. 61
Casella scrive anche un saggio critico sulla sinfonia a quest’altezza temporale:

L’evolution de la symphonie87. Spiega di aver voluto intitolare il saggio in un primo

momento La mort de la symphonie: poi, essendosi accorto che il titolo non corrispon-

deva all’indirizzo positivo che la nuova musica stava mostrando in Francia, mutò il

termine in evolution. A morire sarebbero stati alcuni dogmi, come lo sviluppo: la coe-

renza della struttura non è più data da proiezioni orizzontali, da una traiettoria

stringente, ma è data dal libero sfogo delle illimitate risorse di un’arte combinatoria,

spiega Fontanelli, e prosegue « […] non esiste per le verticalità accordali la fram-

mentazione, la liquidazione; l’accordo castellano è un oggetto sonoro compatto, in-

divisibile pur nel carattere ibrido delle sue singole componenti, che vive nell’hic et

nunc del gesto»88. A partire dagli anni venti è questa la nuova via che Casella intra-

prende, ormai con mano salda e matura nella Sinfonia n. 3. «E’ incontestabile che

quella caselliana sia una prospettiva nazionalistica», dice Fontanelli:

« ma si tratta di un nazionalismo ‘fluido’, fondato sull’apertura, sul rifiuto di ogni anarchia. La sal-
vezza viene sempre dall’esterno. E non è una sottolineatura da poco, poiché su questi aspetti si misu-

ra lo scarto tra i diversi linguaggio dei giovani dell’Ottanta e la singolarità della figura di Casella»89

87
CASELLA, ALFREDO, L’evolution de la symphonie, «L’homme libre», 22 settembre 1913, p. 2 in Docu -
menti, p. 309
67
88FONTANELLI, FRANCESCO Casella, Parigi e la guerra, Inquietudini moderniste da Notte di maggio a
Elegia Eroica, cit, p. 87

89 ivi, p. 66
V

Conclusioni

Sulla base delle sinfonie presentate e degli studi elencati nei precedenti capitoli si

possono delineare le tendenze della sinfonia austro-tedesca e italiana del ventennio

1920-1940, premettendo due considerazioni. La prima è che studi presentati nel Ca-

pitolo 2 prendono in considerazione l’arco cronologico totale del XX secolo. Come

sottolineato invece all’inizio di questo primo capitolo è molto importante, per que-

sto vennio, considerare due aspetti più di altri: il rapporto tra continuità e disconti-

nuità e il rapporto tra serialismo e tonalità. Siamo infatti in un periodo di assesta-

mento di questi rapporti, e nel quale ancora è molto forte una netta divisione tra

nuovo e rapporto con la tradizione: considerarli permette di cogliere le novità della

sinfonia della prima metà del Novecento rispetto a quella romantica.

La seconda è che anche per le conclusioni è necessario tenere separati i due ambiti

austro-tedesco e italiano, per la diversità della loro situazione: nel primo caso la sin-

fonia viene modellata differentemente sulla base di nuove tendenze di linguaggio e

di orchestrazione, dando vita a esiti molto diversi, mentre nel secondo ciò che influi-

sce sulla composizione sinfonica è il modo con cui i compositori riscoprono la tradi-

zione strumentale italiana e come si pongono nei confronti di questa e della moder-

nità.

68
5.1 Tendenze nella sinfonia austro-tedesca

La prima grande tendenza riguarda la già citata distinzione a livello di linguag-

gio, ovvero l’opposizione tra serialità e tonalità. Chi si avvicina alla sinfonia attra-

verso un linguaggio seriale compone poche sinfonie, oppure, se ritorna a lavorare

con il genere sinfonico, lo fa in ambito tonale. Webern scrive una sola sinfonia seria-

le, Křenek solo le prime tre con il metodo seriale, Eisler solo una e usando la serie in

modo molto ridotto, così anche Weill e Hartmann. Il serialismo comporta un totale

ripensamento della elaborazione motivica dei movimenti: Webern riprende una

struttura a canone e poi a variazioni, mentre le sinfonie seriali di Křenek superano

sia l’organizzazione in forma sonata sia in forma sonata ciclica delineando invece un

disegno ‘esteriore’ complessivo che non rientra in nessuna di queste due definizioni;

la loro linearità non è data tanto dalle linee melodiche che disperde nelle sue lunghe

sinfonie quanto nella loro forma esterna, ad esempio del modello sinfonico trasmes-

sogli da Schönberg90 . Ed è il serialismo che conduce anche una recupero del concetto

di sinfonia a ciò che Chitadze aveva chiamato suo significato etimologico di ‘suona-

re insieme’, identificando in Webern il primo esempio del genere. Il serialismo radi-

cale di Webern e di Křenek è stemperato invece alla luce della tonalità nella Kleine

Symphonie op. 29 di Hanns Eisler: pochi minuti di sinfonia la cui strumentazione ri-

sente di un’idea jazzistica e l’elaborazione tematica frammentaria e discontinua che

si apre a sonorità americane e cantabili, trasformando la composizione in un ibrido e

non in senso negativo. Questa contaminazione tra generi e linguaggi, dalla musica

da camera in Webern alla musica americana o alle marce in Eisler, ben è sintetizzata

dal concetto di mixed genre proposta da Chitadze nel secondo capitolo: la sinfonia

90
VANDE MOORTELE, STEVEN, Two dimensional Symphonic forms: Schoenberg’s Chaber Symphony,
Before and after, in The Cambridge companion to the Symphony, a cura di Julian Horton, Cambridge,
Cambridge University Press, 2013

69
trova la sua forza nella possibilità di elaborare la sua forma in modo assolutamente

libero, aprendosi al passato, al presente e al futuro senza limitazione.

Seppur costruite anche con l’aiuto delle serie le sinfonie di Karl Amadeus Hart-

mann non abbandonano una elaborazione motivica tradizionale: sia la Prima Sinfo-

nia che la Sinfonia Tragica sfruttano un linguaggio che tende alla continuità melodica.

A queste si affiancano altre assolutamente concepite nella tonalità e nel rispetto delle

regole classiche: è il caso delle sinfonie di Franz Schmidt, Paul Hindemith e di Hans

Pfitzner, tutte in quattro movimenti, tonali, dalla durata di circa trenta/quaranta

minuti, ed è il linguaggio che arriverà a preferire anche Kurt Weill con la sua Sym-

phonie n. 2, dopo una prima che sfrutta l’insegnamento semitonale di Busoni. Tutta-

via secondo David Fanning91 , le sinfonie di Hindemith hanno poco da spartire con

una classica definizione del genere: di cinque lavori intitolati sinfonia, secondo Fan-

ning, due derivano da Opere e due derivano invece dalla musica d’uso. La sua Ma-

this Der Mahler, pur essendo un lavoro nobile e serio, fa fatica ad essere distinto da

una impressione sinfonica o da una suite sinfonica.

La strumentazione è un’altro parametro significativo collegato all’opposizione

serialismo e tonalità: in opere come la Sinfonia op. 21 di Webern e la Kleine Symphonie

op. 29 di Eisler, quindi nelle sinfonie seriali, si tende a ridurre l’orchestra a piccoli

ensamble, o a poter comporre solo con determinate sezioni, come nella Sinfonia per

fiati e percussioni di Křenek. Questo aspetto è ben sintetizzata anche da Otto Karolyi

che parla di una tendenza alla «dissoluzione del modello tradizionale di

orchestra»92, proponendo esempi come la Sinfonia del Salmi di Stravinskij, dove man-

91 FANNING, DAVID, The symphony since Mahler, National and International trends,
in The Cambridge companion to the Symphony, a cura di Julian Horton, Cambridge, Cambridge
University Press, 2013

92
KAROLYI, OTTO, La musica moderna, le forme e i protagonisti da Debussy al minimalismo, Milano,
Mondadori, p. 165

70
cano i violini («l’idea di fare a meno dei violini in un’opera orchestrale sarebbe stata

impensabile»93 ), le sue Sinfonie per strumenti a fiato, la Seconda Sinfonia di Honegger:

«Si potrebbe continuare a elencare composizioni su composizioni nelle quali l’organico prescelto mo-

stra un’evidente rottura con quello tipico della tradizione. [...] Più o meno a partire dal 1910, il termi-
ne “orchestra” è stato usato dai compositori con grande elasticità in relazione a opere che oscillano

dalle proporzioni cameristiche a quelle della grande orchestra, e nelle quali le dimensioni sinfoniche
su larga scala vengono meno, sono rimpiazzate da altre soluzioni oppure modificate nei loro compiti

abituali. In sintesi, la stabile configurazione dell’orchestra classico-romantica si è in parte dissolta»94

Tutti questi livelli di analisi interessano a livello macro però la prima grande ten-

denza (serialismo/tonalità appunto), alla quale se ne aggiunge un’altra che interessa

più il livello strutturale della sinfonia: la scelta tra l’utilizzo di un movimento (le tre

sinfonie seriali di Křenek e la Berliner Symphonie di Kurt Weill) o di più movimenti

(la Deutsche Symphonie di Hanns Eisler come esempio estremo). Sono entrambi

esempi derivati dalla saturazione del principio di sonata ciclica ottocentesco: ci si

oppone a questo principio da una parte elevandolo ad un maggior grado di compiu-

tezza e di finitezza formale (Křenek e Weill), dall’altro concependo i numerosi mo-

vimenti come individuali e autonomi (Eisler).

L’utilizzo di un testo, come presente nella Deutsch Symphonie di Eisler o nella Pri-

ma Sinfonia di Hartmann, è da considerarsi una ulteriore variante distintiva o ten-

denza. Nonostante in queste composizioni a più movimenti si faccia utilizzo del

coro tuttavia non si può parlare di composizioni inter-genre, come fa Chitadze, poi-

ché l’utilizzo del coro e delle voci soliste non è legato a un preciso genere corale

(come invece lo è, ad esempio, la Sinfonia del Salmi di Stravinskij).

In tutti questi esempi va sottolineato come il parametro di significato della sinfo-

nia, il suo carattere «universale», per dirla alla Chion, rimane invariato: ad affievo-

93 ibidem

94 ivi, p. 166

71
lirsi è quella lotta di opposti, quel «principio dualistico», come Ballantine lo chiama-

va, che costituiva il nucleo del messaggio etico della sinfonia.

5.2 Tendenze nella sinfonia italiana

Riprendendo il già citato titolo dell’articolo malipieriano del 1912, sorge sponta-

nea la domanda: si può allora parlare di una sinfonia italiana dell’avvenire? E se sì,

che caratteristiche presenta? Guardando all’esempio del mondo tedesco, ci troviamo

davanti ad una situazione diversa: meno compositori e meno sinfonie, ma soprattut-

to tutte queste tendono ad inserirsi in una struttura tradizionale, che sembra richia-

mare le regole del compositore inglese Robert Simpson presentate nel secondo capi-

tolo: tendenza a lavorare su impianti tonali, e, se presente linguaggio atonale, ten-

denza a riportare la conclusione ad un discorso tonale, coerenza tra le idee motivi-

che, unità stilistica della tecnica espressiva, percorso di sviluppo e sintesi che viene

rispettato. Tutte le sinfonie italiane seguono questi principi e sembrano seguire quel-

la tendenza di cui parla Chitadze a rispettare i parametri e le invariati del genere:

alla base di questa nuova sinfonia italiana c’è dunque prima di tutto in evidenza

una struttura di tipo conservativo, almeno a livello esteriore.

Ma, a differenza della sinfonia inglese teorizzata da Simpson, che tende a conce-

pire la sinfonia come genere solo in un unico modo o come portatrice di determinate

e rigide caratteristiche, nella sinfonia italiana ciò che varia è la libera scelta di un de-

terminato linguaggio: l’utilizzo di modi antichi e il procedimento di sviluppo baroc-

co utilizzato da Malipiero; l’eclettismo di Casella che guarda alla polimodalità fran-

cese e russa; Alfano e la sua piena adesione ad un melodismo di tipo romantico e

operistico, così Pizzetti. Più forte, nella situazione italiana, è la conseguenza del re-

cupero e della nuova consapevolezza del passato strumentale italiano, che stimola-

no un cambiamento nella percezione musicale e nel rapporto con la musica contem-

72
poranea, e che si traduce nel mantenimento di strutture tradizionali arricchite tutta-

via dalla sperimentazione di un linguaggio invece moderno. Se a livello europeo la

sinfonia italiana non porta grandi novità, a livello nazionale, anche se con pochi

esempi, contribuisce a restituire fiducia al genere che ovunque era considerato per-

duto, e che dopo gli anni ’40 tornerà più prolifico (vedi la produzione di Malipiero,

o, in modo completamente diverso e ancora oltre, gli esempi di una nuova produ-

zione di giovanissimi, da Nino Rota a Luciano Berio).

Anche qui, infine, sicuramente possiamo riconoscere il parametro di carattere

universale riconosciuto alla sinfonia da Michel Chion.

Sinonimo per eccellenza di persistenza di un genere, la sinfonia si mostra, in tutti

questi casi, un «polo stabilizzatore e conservatore» 95, che inevitabilmente muta alla

luce della Storia, della modernità, della sensibilità che cambia nel corso del tempo,

continuamente capace a rigenerarsi. «Dopo Beethoven i compositori hanno fallito a

sviluppare la forma», scriveva Hugo Riemann, musicologo e critico musicale nel

19esimo secolo, «ma sarebbe un errore dire che questa forma non sia vitale. Il tempo

ha dimostrato che questa forma è costantemente riempita di un nuovo contenuto»96.

La frantumazione della sinfonia novecentesca nelle diverse sue possibilità di inter-

pretazione non è altro che conseguenza della sua ossessione della forma di cui parlava

Dahlhaus, alla luce del fatto che questa forma sarà sempre portatrice di una voce

collettiva, di un Noi prima che un Io.

La sinfonia non è né morta, come molti ritengono, né è totalmente nuova. Scrive-

va Eisler:

« Sul nuovo artista influiscono tutt’altre cose, e perciò egli deve anche sentire in modo del tutto di-

verso. Ma quando un sentire del tutto diverso trova espressione, anche la sua formulazione, la sua

95 CHION, MICHEL, La sinfonia romantica: Da Beethoven a Mahler, cit, p. 221

96
CHITADZE, KETEVAN, Transformation of the Genre Model of the Symphony in the Twentieth Century
Music, cit, p. 21

73
esposizione musicale sarà diversa. E il materiale di cui la mutata intenzione dell’artista si servirà, per

ottenere nuove e diverse forme espressive, dovrà per forza essere diverso. Alcuni chiamano ‘nuovi’,
altri ‘moderni’, questo processo e i suoi risultati. In realtà non sono né ‘nuovi’, né moderni’, ma solo

‘diversi’. Sarebbe errato pensare che il nuovo artista guardi senza rispetto e con disprezzo ai musicisti
che lo hanno preceduto. Nessuno più del nuovo artista può amare i maestri della musica antica e

nessuno più di lui li deve comprendere. Ma questo amore e questa comprensione non devono mai
diventare filistei, cioè fargli rinnegare tutto quanto si discosti dall’antico»97

Concludeva così Otto Karolyi la sua guida alla musica moderna:

«No, la sinfonia non è morta, come siamo stati indotti a pensare talvolta: fa ancora parte della musi-
ca. Certo, a volte essa è stata ridotta al significato etimologico del termine, mentre in altri casi la si è

presentata in forme profondamente modificate rispetto alla struttura originaria in quattro movimenti.
Ma a partire dagli anni Settanta si assiste ad un graduale ritorno alla configurazione tradizionale,

anche se, [...] , mediante la sintesi a la libera interpretazione del modello»98

97 EISLER, HANNS Musica della Rivoluzione, cit, p. 131-132

98 KAROLYI, OTTO, La musica moderna, cit, p. 136

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