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Alissa Balocco
Matricola 1708728
Relatore
Andrea Chegai
A/A 2017/2018
Indice
• Capitolo V. Conclusioni 68
• Bibliografia 75
1
I
più movimenti che segue il principio di sviluppo della forma sonata»1, che ben si
adatta alla sinfonia fino a Mahler, in questo secolo non è più così universale: cosa
esplorare il repertorio sinfonico dei compositori della prima metà del Novecento per
cercare di capire per quanto possibile in quali trasformazioni e cambiamenti sia an-
caratteristiche del genere sinfonico non possono più esser fatte rientrare nel blocco
unico quale si presentava la sinfonia romantica e poi tardoromantica: essa infatti po-
secondo determinate caratteristiche (il primo era in forma sonata, il secondo era un
1CHITADZE, KETEVAN, Transformation of the Genre Model of the Symphony in the Twentieth Century
Music, estratto della omonima tesi di dottorato, Vano Sarajisvili Tbisili State Conservatoire, Tbisili,
2012, p. 22
2
movimento lento, il terzo e il quarto erano più brillanti e veloci), seguiva un percor-
so armonico di andata e ritorno alla stessa tonalità, la sua durata oscillava dai trenta
sche oppure ridotte all’uso di pochi strumenti, sono puramente sinfoniche o fuse
zione sinfonica continua a essere vitale, in questi due ambienti si assiste a una ripre-
sa del genere sinfonia che era stato, a partire dei primi decenni del secolo, parzial-
nere più maestoso e rappresentativo dei compositori ed era giunto fino alla monu-
mentalità e all’universalità delle opere di Mahler, agli inizi del Novecento si fa più
queste tuttavia rientrano in risultati modesti. Dagli anni ’20 invece, la sinfonia sem-
bra riacquistare una certa vitalità, ricompare più sicura nei suoi intenti e nella sua
vita alla sinfonia e di aver fatto da modello da Beethoven in poi, e quello italiano,
che domina fino al Novecento nel campo dell’Opera ma in cui le influenze del cam-
3
sica strumentale italiana, soprattutto grazie agli autori della cosiddetta generazione
dell’ottanta.
sto secolo è necessario fare un passo indietro e riassumere le forme che la sinfonia
aveva acquisito nel corso dei secoli, utili a comprendere anche i suoi orizzonti pro-
blematici a livello storico. Il termine Sinfonia nel suo significato moderno si definisce
nel XVII nell’ambito della musica strumentale italiana, ma solo nel XVIII secolo il
la composizione, dando vita a una forma ciclica in quattro tempi e ampliando l’or-
ganico. La scuola di Berlino vede come principale esponente Carl Philipp Emanuel
Bach, che pone grande attenzione verso una elaborazione tematica coerente e meti-
ra barocca, fondata sui principi di identità e ripetizione, alla scrittura del periodo
Il periodo classico della sinfonia comincia con Franz Joseph Haydn: la svolta clas-
sica di Haydn coincide con le sue Sinfonie Parigine, nella quali compare per la prima
Symphonie e le 12 Sinfonie Londinesi segnano l’ultima fase della sua maturità. A Lon-
dra Haydn dispone di una orchestra di grande livello e di cui sfrutta al meglio le po-
ripresa dei temi; l’Allegro iniziale struttura una dialettica di antitesi e il Finale rical-
4
Il fascino delle quattro sinfonie mozartiane risiede invece nella melodia cantabile
fronte a uno spartiacque per la storia della sinfonia (come quella della musica, d’al-
Con Haydn, Mozart e Beethoven la storia della sinfonia prende una nuova dire-
zione: essa si afferma come genere orchestrale per eccellenza, assurge al primo posto
tra tutte le forme musicali dell’epoca, imponendo la propria supremazia su ogni al-
etico da parte del compositore che vi si approccia. Una sorta di biglietto da visita
o uno scherzo e un finale di solito in tempo veloce. A questo punto la struttura della
da Beethoven, con l’utilizzo del coro nella Nona o l’introduzione di un quinto mo-
Dahlhaus, le sinfonie beethoveniane furono, proprio per la loro diversità che rende
vergenti nella storia del genere sinfonico dell’Ottocento2 : chi componeva sulle orme
di Beethoven doveva evitare di copiarne lo stile e allo stesso tempo non poteva re-
gredire a una fase precedente a quella raggiunta dal compositore. Dopo la Terza Sin-
2
DAHLHAUS, CARL, La musica dell’Ottocento, Firenze, La Nuova Italia, 1990, p. 103
5
fonia (1850) di Schumann, per quasi due decenni non fu scritta nessuna opera di
posto della sinfonia, fu il poema sinfonico a balzare in primo piano negli anni ’50 e
musica strumentale. Ma negli anni ’70 e ’80, grazie alle opere di Bruckner, Brahms,
idee formali moderne (provenienti in parte dal poema sinfonico). Coniugare lirismo
di Mahler, agli inizi del Novecento, si configurano come sintesi di un intero secolo di
storia della sinfonia: per mezzo di un’orchestra ampia e ricca, la sinfonia mahleriana
La sinfonia giunge agli inizi del 1900 come un punto di riferimento fondamentale,
accanto all’opera, della vita musicale. Il repertorio sinfonico, come quello operistico,
concerti, come oggi, terminavano con una sinfonia, la forma più grandiosa della
camente 1890 - 1910), sottolinea come la sinfonia a fine secolo iniziasse a mostrare
di fine secolo, era giunto a permettere una libertà tale in campo armonico da indebo-
lire la percezione della differenza fra le tonalità all’interno dei suoi movimenti, ren-
dendo più difficile seguire l’andamento di andata e ritorno alla tonalità di base, per-
corso su cui la sinfonia aveva basato tutta la sua storia moderna. Secondo Griffiths,
6
le sinfonie di autori russi, tedeschi, francesi, si dibattevano con una precisa difficol-
chito da permettere praticamente di tutto»3. Era una crisi che obbligava a formulare
elementi delle strutture musicali, e i musicisti così detti tardoromantici non sono al-
tro che la prima generazione cosciente di questa «discutibile relazione tra armonia e
nia era riuscita a mantenere un’unica, riconoscibile forma, le cui variazioni rientra-
vano sempre nel modello plasmato da Beethoven, nel XX secolo le strade divergono:
alla base delle sinfonie di Hindemith, Křenek, Eisler, Weill, non riconosciamo più un
sta tesi) di un genere che era già problematico dalla sua stessa nascita: «la storia del-
« Se il modello beethoveniano seguitò a ergersi in tutta la sua potenza davanti agli occhi dei posteri,
non si può invece parlare di una evoluzione storica del genere sinfonico di tipo dialettico. Fu proprio
il continuo rifarsi a Beethoven che la storia della sinfonia non presenta quel tipo di continuità che
corrisponde al luogo comune della catena in cui un anello si allaccia all’altro. Si trattava di appro-
priarsi del retaggio beethoveniano cercando di realizzare la grande forma. Per opera di Beethoven, la
sinfonia diventa un genere monumentale in cui si manifestava l’ambizione del compositore che vole-
va toccare le più alte vette. Il pubblico a cui era rivolta era nientemeno che l’umanità. La sinfonia si
affrancò dall’obbligo di essere monumentale soltanto nel Novecento mediante la forma della sinfonia
da camera, il cui organico solistico è struttura esterna di un pensiero estetico»6
3
PAUL GRIFFITHS, La musica del Novecento, Torino, Einaudi, 2014, p. 18
4
CARL DAHLHAUS, La musica dell’Ottocento, cit, p. 396
5 ivi, p. 102
6
ivi, p. 102-103
7
quella successiva, bensì tutte le opere più importanti ruotano intorno a un centro a
cui si riferiscono direttamente senza essere collegate l’una con l’altra se non da nessi
superficiali»7. Questo aspetto viene meno nel Novecento, o meglio, viene affiancato
da nuove tendenze nel modo di pensare il genere sinfonico: ciò che qui mi interessa
è allora indagare le strategie formali con cui i compositori lavorano sulla sinfonia in
questo periodo e trarne queste nuove tendenze. Seguire il percorso della sinfonia
nella prima metà del secolo è complicato, sia perché il genere cerca di uscire da un
momento di incertezza, sia perché nel Novecento soluzioni e linguaggi dei singoli
e propria frattura nel mondo musicale, aprendo la strada all’atonalità prima e alla
dodecafonia poi, che avranno a partire dagli anni venti, grazie ad i suoi allievi e al
suo insegnamento, una profonda influenza a livello europeo. Inoltre l’idea di impor-
tanza etica legata alla sinfonia va in parte esaurendosi. Genere ancora grandioso,
certo, ma più ridimensionato forse nell’importanza che gli era stata attribuita fino a
sariamente vi sono figure che si legano alla sinfonia in modo più o meno forte, se-
lo e della soggettività non più intesa con spirito romantico e tardoromantico, cioè
meno idealizzante.
La tesi è strutturata, dopo questo primo capitolo introduttivo, in altri tre capitoli
più la conclusione. Il secondo capitolo presenta gli studi che saranno alla base delle
analisi delle sinfonie dei successivi due, l’uno dedicato al mondo austro-tedesco e
l’altro a quello italiano. La conclusione proverà a tracciare uno schema delle tenden-
7
ibidem
8
ze della sinfonia del ventennio in esame. Al termine di questa introduzione segue,
per una migliore panoramica di studio, l’elenco dei compositori e delle sinfonie scel-
te per l’analisi, nell’ordine con il quale verranno presentati nel terzo e nel quarto ca-
pitolo.
9
Compositori austro-tedeschi
Baviera 1963)
- Prima Sinfonia (1936 - 1955 ultima revisione)
- Sinfonia Tragica (1940)
10
- Sinfonia in Mi bemolle (1940)
Compositori italiani
11
II
Prima di passare in esame le sinfonie è necessario esporre gli studi da cui è possi-
tendenze della sinfonia della prima metà del Novecento. Va premesso che la docu-
mentazione riguardante questo argomento, la sinfonia nella prima metà del secolo, è
italiano, che si trova proprio a ‘riscoprire’ in modo differente la sinfonia, come già
accennato nell’introduzione, sono poche le analisi sul genere e se ci sono, sono rap-
portate solo all’opus del singolo compositore e non in una prospettiva più ampia o
Uno studio su Arnold Schönberg di Hans Keller (1919 - 1981)8, compositore au-
il pensiero sinfonico, che prevede: l’utilizzo delle forme di rondò e sonata in uno sta-
8 KELLER, HANS, Schoenberg: The future of Symphonic Thought, Perspective of New Music, Vol 3 n.1
(1974), pp. 3-20
12
ma all’interno di una struttura tonale concentrica, in cui non vi è fine alla varietà in
trasto tra atonalità e tonalità e, infine, il contrasto tra omofonia dodecafonica e do-
decafonia contrappuntistica ( «potente aiuto alla sopravvivenza del contrasto tra af-
fermazione e sviluppo, la condizione sine qua non del pensiero sinfonico» 9).
Nel 1983, Christopher Ballantine 10, nel suo Twentieth Century Symphony 11, prova a
definire la strada presa dalla sinfonia nel XX secolo a partire dall’idea di un princi-
pio sinfonico che ha la sua definizione e apogeo in epoca classica e che, secondo lui,
co. Nel trattare il XX secolo, Ballantine divide i lavori sinfonici in tre categorie, a se-
l’unica copia in lingua presente a Roma è purtroppo fuori dalla sua collocazione alla
10 (1942 - vivente ) Professore di musica e docente alla University of KwaZulu-Natal in Sud Africa. Le sue
ricerche esplorano i significati e le implicazioni sociali della musica e le forze che la modellano. Le sue pubbli-
cazioni tendono ad essere interculturali e interdisciplinari e a coprire una vasta gamma di questioni nel campo
della musicologia, della sociologia della musica, degli studi di musica popolare e dell'etnomusicologia.
13
sono, per i motivi citati, passabili di errore. Ballantine applica l’etichetta di «innova-
zione strutturale conservativa» a sinfonie nelle quali la struttura della sinfonia ro-
movimento mescola forma sonata e variazioni. Si può immaginare che con la secon-
da definizione Ballantine intenda sinfonie che invece non possiamo far rientrare in
una struttura classico-romantica. Nella terza categoria è probabile che Ballantine in-
serisse sinfonie nelle quali il principio del conflitto dualistico fosse definito in altre
Walsh12 , che si occupa di recensire il suo volume, è riduttivo e non molto analitico, e
anzi forse troppo semplicistico, poiché non spiega molto delle trasformazioni del
stopher F. Hasty13, nell’articolo “On the problem of succession and continuity in Twentie-
faccia nella musica moderna in realtà non neghi la coerenza e la presenza di una di-
composizione post tonale (per di più, scritta negli anni 20 ma revisionata nel 1947,
quindi proprio nel periodo di nostro interesse). L’articolo si sofferma molto anche su
Anton Webern: secondo l’autore, con questo compositore si afferma una nuova linea
12 STEPHEN WALSH, The Symphony Idea, recensione di Twentieth Century Symphony di Christopher Ballan-
tine, in The Musical Times, vol. 125 No. 1961 (anno 1984), p. 28
13Docente di teoria musicale presso la Harvard University, è stato caporedattore del Journal of Music Theory
(1987-90); membro dell'Editorial Board di Music Theory Spectrum (1982-1987); ed è attualmente membro del
comitato consultivo per l'analisi della musica (2001- oggi). Il suo libro, Meter as Rhythm (1997) ha vinto il
Wallace Berry Award dalla Society for Music Theory per l'eccezionale libro di teoria musicale dell'anno.
14
HASTY, F. CHRISTOPHER, «On the problem of succession and continuity in Twentieth Century Music», in
Music Theory Spectrum, Vol.8 (1986), pp. 58-77.
14
di pensare lo sviluppo e la continuità a livello di elaborazione tematica, spazio e
crisi con l’abbandono della pulsazione ritmica continua, del tempo (measure), della
struttura regolare della frase e del singolo centro tonale: la nuova musica, dice Ha-
sty, è quindi spesso condannata per la sua discontinuità (intesa come completa man-
esempio in Webern: le strutture di Webern sembrano muoversi non verso una dire-
cato dal costante variare delle forme motiviche e l’utilizzo di moti retrogradi che de-
finiscono una continua intercambiabilità tra le direzioni temporali. Hasty qui ri-
austriaco, che sottolineano come la musica di Webern si fonda su eventi che si sus-
seguono tra loro ma in cui ognuno non è connesso al successivo. L’autore dell’artico-
percezione del tempo musicale è la percezione della direzionalità dei suoi eventi, di
una catena causale tra di essi, e questa direzionalità è data prima di tutto dal tempo
e dalle relazioni tonali, abbandonate nella musica moderna. Secondo Rochberg, We-
bern crea una nuova forma di durata temporale, secondo cui battito e metro vengo-
no utilizzati come singoli frame, tasselli, non come un processo, ma come frammenti
su cui costruire simmetrie di tono e di ritmo, che dà vita a una serie di momenti ‘al
sufficiente la cui percezione vale nel momento in cui è presentato, non per come ver-
16 ibidem
15
quindi di discontinuità come liberazione di questo momento singolo e individuale,
arriva fino a Stockhausen e alla sua definizione di moment form (forma momento).
qualcosa di nuovo, a livello di forme come a livello di strumenti critici per definirle.
prevedibilità che vede ogni evento essere per sé stesso, e che di conseguenza nega
mento del tema, così la nozione di forma, ma anche la nozione di tempo come con-
tenitore evento in cui accade qualcosa, di medium tra prima e dopo, di ciò che defi-
Hasty mira a dimostrare come la percezione della continuità sia in realtà da cerca-
re da un’altra parte: la forma, in questa musica, non è data dalla connessione tra
proporzionale della durata dei diversi momenti» 17, ed è ciò che cerca di dimostrare
Michel Chion, al termine del suo libro che analizza la sinfonia romantica da Bee-
sinfonia. In questo Chion individua la natura del genere sinfonico e, molto romanti-
camente, il punto di forza di una sinfonia che, secondo lui, non può che continuare
duo che parla a nome della collettività, di un ricreare l’unione perfetta fra individua-
lità e universalità. Lo studio di Chion è interessante poiché già partendo dalla analisi
18 CHION, MICHEL, La Sinfonia romantica: da Beethoven a Mahler, 1996, editore Sei, p. 225
16
delle contraddizioni in cui incorre la struttura della sinfonia romantica si possono
sottolineare alcune prime e generiche varianti che la sinfonia del Novecento presen-
rati e concepiti nella loro individualità, al contrario il movimento unico. Ancora, non
vi è più la tendenza a rispettare l’usuale scansione di forma sonata per il primo mo-
vimento, il lento per il secondo, e uno scherzo per il terzo. C’è un evidente cambia-
mento anche nella concezione e sviluppo del tema: già in Mahler si passa dalla stret-
completi e chiusi in sé stessi ma allo stesso tempo vietava le melodie troppo squa-
drate, facili e amabili: un tema quindi come entità autonoma e sufficiente, quasi sca-
turita spontaneamente. Chion definisce il trattamento del tema fino a Mahler come
in bilico in questo doppio gioco. Nel XX secolo ci sono autori che continuano su
questa strada ma altri che propongono un nuovo modo di elaborare il tema seguen-
pensiero e linguaggio che si afferma agli inizi del secolo. Chitadze parte dal presup-
posto che la sinfonia sia il genere strumentale più stabile e più resistente ai cambia-
menti e alle novità. Rispetto alla sonata, al concerto e alla musica da camera, la sin-
za della sinfonia risiede nella sua essence, nella sua essenza: l’essenza della sinfonia
concerne tre parametri che costituiscono le invarianti semantiche del suo genere. Ma
19
CHITADZE, KETEVAN, Transformation of the Genre Model of The Symphony in the Twentieth Century
Music, estratto da tesi di dottorato del Vano Sarajisvili Tbilisi State Conservatoire, 2012
Musicologa e dottoranda presso lo Tbilisi State Conservatoire in Georgia tra il 2001 e il 2011
17
prima di presentarle, Chitadze avverte il lettore della necessità di distinguere genere
e forma musicale: con la sua tesi vuole dimostrare quanto, se a cambiare è la forma
musicale, il genere sinfonia invece continua a restare solido. Nel definire genere e
forma Chitadze mette in piedi uno studio prima di tutto sociologico: il genere infat-
ti, è una «stabile categoria culturale»21, è un modello che appartiene a una certa epo-
stica ereditaria. Il genere musicale è dunque una memoria storico-culturale che ri-
siede e agisce sia sul compositore che sull’ascoltatore: entrambi hanno una precisa
sciata dai vari «titani della musica»22. Il genere dunque evolve trasmettendosi, ma è
di per sé stabile e instabile allo stesso tempo. Rifacendosi agli studi di Mark Aranov-
caratteristiche:
Poi definisce le tre invarianti semantiche del genere della sinfonia (stabilite trami-
te la ricostruzione della storia del genere sinfonico fino alla sua età classica), che
18
sono alla base dell’analisi delle sue successive declinazioni, e costituiscono la sua
essence.
sta sua essenza. Secondo Chitadze, dal periodo classico fino al ventesimo se-
Queste invarianti semantiche sono ciò che definisce l’essenza genere sinfonia e
che si trovano, appunto, invariate anche nelle sinfonie del XX secolo. Tenendo pre-
senti alla base dell’analisi queste invarianti, Chitadze analizza un secolo di sinfonie
siero che si riflette a livello di linguaggio. All’inizio del secolo si assiste infatti a dei
alla tonalità su cui si era basato il pensiero musicale per secoli: atonalità, dodecafo-
micro e poi macro strutturale del genere sinfonico. Ma non intaccano le invarianti
nuova la sua struttura che ci porta lontani dalle tradizionali caratteristiche del gene-
re della sinfonia: la struttura della composizione, a livello sia micro (tematico) sia
19
ti opposti ai classici parametri del genere della sinfonia. La sinfonia di Webern, per
Chitadze, è l’esempio più radicale ed evidente del risultato di uno sviluppo del ge-
nere. Questa sinfonia è un esempio di una delle due direzioni che la sinfonia prende
nel XX secolo, ovvero quella del ritorno al termine sinfonia del senso etimologico
del termine, di ‘suonare insieme’ (la seconda è una sinfonia vicina alla tradizione,
che segue la tonalità e le forme classiche) in cui, di conseguenza, i parametri del ge-
nere appena citati (concezione generale della sinfonia, gerarchia delle sue proprietà,
varianti) agiscono con meno intensità, ovvero sono meno evidenti: non più quattro
movimenti ma due; non più elaborazione motivica ciclica ma lineare; una strumen-
parentesi, il parametro orchestrale è uno dei elementi che costituiscono il modello teo-
● Duration (durata)
Ognuno di questi parametri segue l’uno all’altro per creare un sistema. Dalla con-
cezione generale del genere (ovvero: il suo nascere per un ascolto di massa e rac-
chiudere la visione globale di un autore), che dipende dall’estetica del periodo, de-
i movimenti, la durata, sono gli altri parametri che definiscono invece la sua struttu-
ra. Nel periodo classico tutti questi parametri costituiscono il sistema e definiscono
il modello del genere, il suo genre invariant, che dovrebbe definire ciò che è invarian-
20
te nel genere sinfonia: nel XX secolo si va frequentemente oltre questi parametri per
l’estetica dei vari periodi porta con sé cambiamenti ma ad una condizione: il genere
mantiene sempre il suo carattere semantico, la sua essence (e quindi le tre invarianti
allora Chitadze può più semplicemente analizzare le forme che la sinfonia assume
nel XX secolo avendo alle spalle però solidi punti di riferimento. Tornando a Webern
per esempio, il parametro orchestrale costituisce sicuramente una delle novità della
sua sinfonia: qui più che sinfonico è ridotto a una essenza cameristica. Chitadze col-
loca questa sinfonia in una tendenza del Novecento che si caratterizza per una sinte-
si intra-genre, ovvero una fusione con altri generi di musica strumentale, in questo
caso la musica da camera (come già era accaduto con la Kammersymphonie op. 9 di
Schoenberg). Con la particolarità che in questo caso, rispetto alla sinfonia da camera
di Schoenberg, il risultato è una sinfonia a metà tra la musica da camera e non, per
ti. Il parametro orchestrale è altresì significativo per un altro aspetto: in questo pe-
riodo ci sono sinfonie che si affidano a un gruppo orchestrale ridotto come invece
sinfonie che ricorrono a un gruppo orchestrale più ampio. Alla direzione della sin-
fonia di Webern, che come già detto recupera il senso etimologico del termine, si
oppone quella in cui i tre parametri invarianti continuano a presentarsi con eventua-
li aperture a variazioni. Sinfonie tonali, che nella loro struttura rispettano effettiva-
Chitadze oppone poi anche due principali tendenze di struttura. Da una parte
di un cambiamento rispetto al modello del genere sinfonia: queste infatti spesso re-
21
cano titoli o sono portatori di un programma concreto. Sono spesso legate a un testo
come fusione della sinfonia con la musica da camera (e quindi fusione con generi di
zione appunto ad intra-genre), ovvero sintesi tra diversi generi non affini, come i ge-
Per Chitadze sono quindi tre i parametri per comprendere le novità della sinfonia
gico)
● struttura (singolo movimento o più movimenti)
Tutto ciò per concludere che la sinfonia ha mostrato nel XX secolo grande forza e
vitalità: il suo ruolo non è stato ancora sostituito da nessun altro genere che ne ha
fermato l’esistenza. Non ha smesso di funzionare anche se ha perso parte delle sue
tradizionali caratteristiche. Chitadze individua nel mixed genre24, nel genere misto la
nuova tendenza alla base della sinfonia del XX secolo, una sinfonia che reinventa le
sue caratteristiche, le sue funzioni, la sua struttura e che si fonde con altri generi
son (1921 - 1997), ricostruisce l’idea di Simpson sul modo di comporre una sinfonia
24
CHITADZE, KETEVAN Transformation of the Genre Model of the Symphony in the Twentieth Century
Music, cit, p. 20
22
nel ventesimo secolo. Simpson scrive undici sinfonie e scrive anche molto proprio
sulla sinfonia: l’articolo di Yakir Ariel, dal titolo molto eloquente “The British Sym-
phony as a Model of the Symphony in the 20th Century”25, parte dal presupposto contra-
rio di Chitadze: secondo Ariel la sinfonia del XX secolo aveva cessato di essere, in
secolo. Secondo l’autore, Simpson, nei suoi scritti, detta precise regole per comporre
sione. L’organizzazione del materiale tonale deve seguire la forma sonata, in-
tesa non nel suo significato strutturale rigido, ma nella sua essenza motivica:
gli altri movimenti della sinfonica e anche sull’intero ciclo di sinfonie del
compositore.
2) Coerenza: la sinfonia deve contenere diverse idee musicali sviluppate in
nel corso della sinfonia. La coerenza è unisce il lavoro musicale artistico e in-
25 ARIEL, YAKIR, The British Symphony as a model of the symphony in the 20th Century: Symphony n.3
(1962) by Robert Simpson (1921-1997), anno non specificato, articolo composto per un seminario sulle tenden-
ze della musica del 20esimo secolo.
23
1) Tempo continuo: ogni sezione della sinfonia deve mantenere un battito conti-
lavoro ampio per un ampia orchestra e un ampio pubblico. Non bisogna mai
de tecnica espressiva.
5) Espansione: i quattro punti precedenti conducono quindi a una sinfonia per
lità, il tempo, lo sviluppo, l’unità sono tutti elementi che devono permettere
Il principale scopo della sinfonia per Simpson è quello infatti di dover comunicare,
essere chiaramente comprensibile e allo stesso tempo valere come prodotto artistico.
Per il compositore inglese concepire una sinfonia in questi termini significa ‘difen-
Dagli studi presentati emergono almeno quattro grandi ambiti di analisi della sin-
24
• Sistema/linguaggio: serialismo, dodecafonia, tonalità
25
III
questa analisi della sinfonia nel mondo austro-tedesco. Per questo non si procederà
per capitoli riservati ai diversi autori (come avverrà nel capitolo sulla sinfonia italia-
na), ma si seguiranno le linee tracciate dal dialogo tra le due parti. Il serialismo e la
dodecafonia schönberghiana offrono una delle chiavi di lettura della sinfonia mo-
derna a fianco ad altri due elementi della storia musicale di questo periodo: il Neo-
classicismo, che recupera forme e stilemi del passato come contenitori di eventi di-
sparati, e il rifiuto all’apertura alle strade della modernità di alcuni autori che invece
Tra i primi ascolti in cui ci si imbatte quando si va alla ricerca di una sinfonia in
questi anni nel mondo austro tedesco c’è una strana composizione: la Sinfonia op. 21
di Anton Webern, unica sinfonia del compositore. All’ascolto, non vi sono dubbi sulla
distanza che separa questa sinfonia da quelle tardoromantiche che ci risuonano nelle
orecchie. Nessuna orchestra ricca e grandiosa e nessun sonoro dialogo tra le diverse
26
ridotto quasi ad un piccolo ensemble, silenzioso, bisbigliato, minimalista. La partitu-
ra prevede infatti nove strumenti (coppie di clarinetti e corni, un’arpa, due violini,
variazioni. Questa sinfonia composta nel 1927 è frutto dell’impatto di Webern con il
dove, alla serie di dodici suoni che costituisce l’unità di riferimento per la durata di
timbri, tipi di attacco: per questo, precisa Guido Salvetti 26, è meglio per Webern par-
offerte da un certo numero di scelte preliminari» 27, che siano suoni o altre caratteri-
stiche: il timbro di ogni strumento, il vibrare e lo sfregare delle corde degli archi, i
silenzi, come l’aria passa tra i fiati. Il metodo seriale aveva permesso a Schönberg e
ai suoi allievi di ritornare a utilizzare le vecchie forme classiche che con l’atonalità
non erano considerate possibili: ecco che qui Webern recupera la forma sonata e il
tema e variazione. Eppure delle forme classiche non emerge alcun drammatismo
cui scaturiscono brevi motivi che vengono esposti, ripresi, invertiti, creando una
secondo invece è costituito di sette variazioni più coda, tutte della stessa lunghezza,
differenti per struttura, strumentazione e ritmica: anche qui la serie segue un modo
retrogrado.
26SALVETTI, GUIDO, Storia della Musica, Vol 10. La nascita del Novecento, a cura della società italiana
di musicologia, Torino, EDT srl, 2018, p. 226
27 ibidem
27
Webern quindi utilizza la serie solo in due sue forme: originale e retrogrado. I due
retrogradi utilizzati non sono altro che trasposizioni a distanza di tritono delle due
forme dirette:
Mi), in cui le prime sei note appartengono al primo ambito, le seconde sei al secon-
do. Le sei note di ogni ambito saranno la correlazione numerica di ciascuna nota con
la corrispondente dell’altro ambito 28 : ogni nota, sarà, cioè, la trasposizione della sua
correlata a distanza di tritono. Assegnando alle seconde sei una sequenza numerica
inversa rispetto alle prime, si realizza una serie divisa in due sezioni speculari, che
note.
28 ROTILI, PAOLO, A. Webern: analisi della Sinfonia op.21, in Diasistema, n. 5, Treviso, 1993, p. 1-2
28
La razionalità di questa composizione non deve ingannare ed essere letta come
chi eseguiva la sua musica mirando alla perfezione della sola struttura. Lo struttura-
lismo di Webern nasce sempre da una intenzione espressiva in cui però, l’uso della
struttura per sè è alla base della costruzione. «Una nota in su, una nota in giù, una
nota in mezzo. Sembra la musica di un pazzo!» 29 dichiarò nel 1937 dopo un’esecu-
Se questa sinfonia costituisce un salto di qualità nella ricerca musicale del compo-
di Webern, essa è anche uno stridente esempio nei confronti della sinfonia tardoro-
mantica e della tradizione, seppur sia chiaro che Schönberg e i suoi allievi erano
convinti di operare con un’invenzione assolutamente inserita nella linea della tradi-
tutta la tradizione ottocentesca, le sue orchestre numerose e i suoi complessi giri ar-
monici, mentre qui troviamo negata qualsiasi elaborazione motivica e per di più
il futuro del linguaggio della musica, come lo percepivano Schönberg e i suoi allievi.
Webern non comporrà altre sinfonie e apparentemente il suo esempio non trova
seguito. Gli anni venti sono però anni in cui la musica di Schönberg e dei suoi allievi
in composizione che Schöberg ottiene all’Accademia Prussiana delle Arti nel 1926 :
tano da insistere su questo metodo nella sua attività didattica (l’unico appunto fu
mis da suoi allievi. Per cui “tracce” di serialismo (seppur non così radicale nella
struttura della sinfonia come in Webern) si trovano anche altrove: è il caso di Eisler e
prima produzione.
romantico di Brahms, Bruckner, Reger, la sua musica segue per tutta la sua vita una
prospettiva modernistica, sempre tesa a rinnovarsi. Dopo aver studiato con Schö-
nerg, Křenek scrive tre sinfonie in pieno stile dodecafonico: la Sinfonia n. 2 op.12, del
1922, è sicuramente uno dei maggiori sforzi di un compositore che tentò di dar vita
a una grande forma sinfonia dodecafonica, confrontandosi, come lui stesso disse,
con il grande modello mahleriano. Il risultato delle sue tre sinfonie atonali è comple-
tamente diverso da quello di Anton Webern. La Sinfonia n. 1 op. 7, del 1921, dura cir-
tiva nella sperimentazione dell’atonalità. Fondendo più movimenti uniti in uno svi-
luppo continuativo, Vivace Lento - Allegro con moto/ Allegro Vivace - Larghetto - Subito
molto più mosso - Presto - A tempo (presto) - Adagio - Fuga - Vivace - Presto, la composi-
mente interrotti dalle voci dei reciproci strumenti. Dopo gli energici tre primi mo-
vimenti, il Subito molto più mosso sfocia in una marcia ricca di scale ascendenti e di-
scendenti. Il Presto e l’A tempo (presto) invece assumono un carattere di gioco tra
strumenti. Nell’Adagio si rievoca una melodia malinconica che sfocia nel Vivace fina-
le. La chiusura riprende invece lo spirito dell’inizio e conclude nel mormorio del si-
30
muna alle successive due sinfonie, come si vedrà tra poco. Il futuro Křenek si na-
sconde già nella coerenza e nella inventiva di queste prime composizioni, lontano
Ecco che Křenek arriva a comporre la Sinfonia n. 2, nel 1922: un imponente pro-
getto di un’ora in tre movimenti, un Andante Sostenuto - Allegro agitato, un Allegro de-
ciso ma non troppo, un Adagio Allegro, anche qui eseguiti senza separazione. Qui Kře-
nek ricorre a una base ritmica ricorrente, dal carattere marziale, ossessivo, tampi-
nante, che svilupperà anche nella successiva sinfonia e che probabilmente serve al
La Sinfonia n. 3 op.16, sempre del 1922, è quella che appare più debole. Vediamo
perché. E’ in quattro movimenti, Allegro Sostenuto, Allegro deciso, Adagio Molto, Alle-
gretto comodo, eseguiti come le altre sinfonie senza separazione: dopo il grandioso
progetto della Sinfonia n. 2, anche questa composizione sfrutta una struttura circola-
re, che appare necessaria, come la stessa pulsazione leggera, quasi un trotto, che ac-
compagna i movimenti, a non perdere i fili del discorso seriale. E’ una sinfonia, che
al contrario della precedente, rimane su un suono ovattato, quasi non osasse. Gli
accenti, svincolate degli strumenti, sotto questa pulsazione costante. E’ una compo-
sizione più difficile delle precedenti da decifrare perché il suo tono rimane oscuro
una direzione.
Curioso l’esperimento, tra il 1924 e il 1925 di una Sinfonia per fiati e percussioni:
pensata, come dice il titolo, solo per un ridotto ensemble di fiati e percussioni, dura
circa una ventina di minuti e segue il metodo seriale. Anche qui un unico movimen-
to unisce tre grandi sezioni: la prima dal carattere di Allegro, la seconda più oscuro e
Ma dopo questa piccola parentesi per anni poi Křenek non scriverà sinfonie, ab-
bandona il serialismo e dei metodi di Schönberg: nel 1924, dopo la separazione dalla
31
figlia di Mahler e la conoscenza della musica francese, decise che «i principi che
avevo seguito nella scrittura della musica ‘moderna’ erano completamente sbagliati.
La musica, secondo la mia nuova filosofia, doveva corrispondere alle richieste della
comunità per cui era scritta. Doveva essere utile, divertente, concreta»31 . Ricomince-
rà a scrivere sinfonie solo negli anni 40, quando ormai è nel pieno della sua fase, così
attribuitagli, neoclassica.
stica, che solo ogni tanto si trasformava in una smorfia di sarcasmo»32 . Dice Arman-
do Gentilucci: «la sua ansia di esprimere lo induce a intervenire in materia con foga,
contenutistico» 33.
La Kleine Symphonie op. 29 di Hanns Eisler fu scritta nell’estate del 1932 dal com-
positore per riposare da altri progetti musicali a cui si stava dedicando. Completata
solo nel 1934 a Londra, dalla durata di circa dieci minuti, si struttura in quattro mo-
vimenti: Tema con variazione, Allegro assai sostenuto, Invenzione, Allegro in forma di ron-
dò. Anche qui, come in Webern, l’orchestrazione risulta piuttosto economica, e più
una tuba, un trombone, un sassofono contralto e uno tenore, uno xylofono, piccola e
grande grancassa, tom tom, timpani, piatti, archi. Gli strumenti più che un’orchestra
richiamano un’ensemble di banda. Il tono della piccola sinfonia è al limite tra l’in-
31 PERLE, GEORGE, Krenek, The Musical Quarterly, Vol. 77, n.1, 1993, p. 147
32GENTILUCCI, ARMANDO, Guida all’ascolto della musica contemporanea, Milano, Feltrinelli, 1992,
pp. 236-237
33 ibidem
32
marcia dove stridono trombe (protagoniste di tutta la sinfonia) sostenute da martel-
stesso. La costruzione tematica avviene per brevi variazioni, che rendono la sinfonia
da evidenti effetti jazz nel terzo movimento (suggeriti già dalla strumentazione stes-
sa così combinata) e che termina di colpo, quasi come giocasse. In quel periodo Ei-
sler stava lavorando a due testi teatrali, Die Mutter op.25 (1931) e Kamerad Kaspar
(1932): questi saranno alla base di due movimenti della composizione, rispettiva-
mente il secondo e il terzo. A questi richiami si aggiunge una serie di dodici note con
Eisler commenta in diverso modo questa piccola sinfonia. Da una parte dice che
sico, dall’altra sostiene che sia un montaggio sinfonico di parodie delle contraddi-
zioni dei più recenti sviluppi in Germania, e a posteriori, nel 1962, che era «una spe-
cie di parodia della sinfonia, più o meno dominata dall’idea che la sinfonia sia mor-
Eisler.
nie. La piccola sinfonia nasce come estivo esercizio di riposo, mentre qui l’intento di
mondo politico sono al centro della produzione musicale del compositore. Se nella
33
34MAYER GUNTER, note al cofanetto di registrazioni musicali Hanns Eisler Edition, Brilliant Classics,
giugno 2014, pp. 2-3
citazioni di marce o inni militanti, nella Deutsche Symphonie il coro e i testi fungono
sue prime opere sono frutto dell’influenza del maestro. Nel 1926 da Vienna si trasfe-
risce a Berlino, dove aderisce al partito comunista tedesco, comincia a scrivere arti-
coli sulla musica per il periodico comunista «Die Rote Fahne», e compone inni, mar-
ce, canzoni. Eisler restò a lungo combattuto tra fedeltà estetiche e politica, ma crede-
va che l’estetica schönberghiana fosse troppo elitaria e che l’ascolto della sua musica
richiedesse abilità di ascolto molto acute. Non abbandonò comunque mai le possibi-
lità offerte dal metodo seriale, ma le coniugò con una scrittura semplice, economica,
che tende al diatonismo e alla modalità, fondendo già nelle prime composizioni il
metodo dei dodici suoni con semplici disegni tematici e ritmici e allusioni a sintassi
tradizionale e a ritmi del jazz e altri generi popolare. Armando Gentilucci ricorda
come però «l’accessibilità della sua musica non coincide in questo caso con la pura
stesso:
« Non l'impiego ormai abituale di dissonanze e nuovi cromatismi, ma la dissoluzione del linguaggio
musicale convenzionale quale ci è stato tramandato. Un brano ricco di dissonanze può essere del tut-
to convenzionale nella sua essenza, mentre un altro che si vale di una tecnica relativamente più sem-
plice può, se detta tecnica viene applicata in modo personale, apparire nuovo e avanzato»36
Eisler rivendica la seconda via, per usare una classificazione adorniana: tra una mu-
sica radicale che corrisponda al suo interno alle funzioni del proletariato non essen-
36 ibidem
34
dogli però comprensibile, e una scrittura semplice fondata su elementi linguistici di
Composta in esilio volontario dopo la presa di potere di Hitler del 1933, la Deu-
Brecht, per coro, per un’ora e poco più di musica. Ogni movimento impiega una se-
rie di dodici note diversa. I testi brechtiani servono per raccontare ed esprimere con-
« Ricordo molto bene come il tour attraverso l'America mi aveva stancato di apparire davanti agli
americani ogni sera e di raccontare loro della barbarie culturale della Germania. Ero semplicemente
stanco, perché era così monotono; quasi sempre dicevo lo stesso discorso con poche variazioni, e così
decisi in un hotel di Chicago di comporre la "Deutsche Symphonie". Cominciò con uno stato d'ani-
mo»37
stro riferimento. Nel 1935 Eisler scrisse a Brecht che aveva in mente un’idea per una
lizzando alcuni testi di Brecht. Da questa idea si svilupperà il lavoro di una sinfonia,
che inizierà a scrivere nel 1936 ma che durò più a lungo di quanto inizialmente pre-
visto, e si concluderà solo nel 1958. La sinfonia si dovette confrontare con diversi
come comunista, e tornò dunque a Berlino. Nella DDR la sinfonia avrebbe potuto
corrispondere alla politica antifascista del tempo, ma non era conforme alle norme
estetiche della musica dell’URSS, che riteneva la musica moderna espressione del
37 GUNTER MAYER, note al cofanetto di registrazioni musicali Hanns Eisler Edition, cit, p. 5
35
declino della società borghese, Arnold Schöenberg distruttore della musica e il si-
stema di dodici note costruttivismo senz'anima. Quasi tutti i movimenti della Deu-
non poteva aver luogo fino a quando questo rigido dogmatismo non fosse stato uffi-
cialmente ripudiato nel 1958 in seguito al 20° Congresso del Partito del PCUS nel
1956; ma a quel tempo il messaggio antifascista della Deutsche Symphonie non era più
così attuale come avrebbe potuto essere alla fine degli anni '40. Ma un ultimo movi-
mento venne composto proprio nel 1956, prima della première a Berlino il 24 aprile
dello stesso anno, un epilogo su testo di Bertold Brecht, ennesimo messaggio politi-
co, che richiamando le lotte nei campi di concentramento e le vittime uccise nella
ripetizione di un conflitto militare nel confronto tra due sistemi politici porterà ine-
vitabilmente al disastro. Eisler fino alla fine vuole inquietare e coinvolgere con il suo
Deutsche Symphonie.
come Eisler, così, come vedremo, anche in Weill, entrambi legati al marxismo e alle
nuove lotte operaie, doveva sicuramente differire da quello di autori come Schön-
berg ma anche come Pfitzner, che analizzeremo in seguito. Eisler parla di musica di
lotta, musica di rivoluzione, musica per il nuovo proletariato. Nelle sue riflessioni
tuttavia non si fa mai riferimento alle caratteristiche di una ‘musica tedesca’, o me-
glio, si parla di cultura musicale in generale: la nascita di una nuova cultura musica-
le, secondo Eisler, trova ora un corrispettivo nella nascita della nuova classe del pro-
letariato. In una sua relazione, dal titolo I costruttori di una nuova cultura musicale 38,
38 EISLER, HANNS, Musica della rivoluzione, a cura e con uno studio di Luca Lombardi, Milano, Fel-
trinelli, 1978, p. 152-190
36
delinea nascita, caratteristiche e crisi della cultura musicale borghese che verrà sosti-
privilegio di godere della musica per svago, si rivela essere una democraticizzazione
del privilegio di proprietà: la musica borghese infatti non è musica universale (come
la musica da chiesa) ma è arte di una classe dominante. Con l’aumentare del divario
tra borghesia e proletariato aumenta nella musica un particolare contrasto, che tro-
termini musica facile e musica difficile, musica seria e musica allegra, ed è un con-
trasto di tipo sociale. Ma a man mano che la classe borghese declina e il suo atteg-
tano sempre più fine a se stessi. Nel frattempo, l’artista borghese moderno nelle sue
posizioni di punta finisce col cadere in un egocentrismo sempre più sfrenato, produ-
cendo la sua merce ormai solo per una piccola parte della società. Il modo di rappre-
sentare il pensiero musicale della musica classica borghese si basa soprattutto sul
principio del contrasto: questo è la base della tecnica della sonata e della sinfonia.
Eisler individua in quegli anni ’30 la crisi della musica borghese, per lui specchio
di una crisi sociale: l’esproprio del ceto medio e la proletarizzazione di larghe masse
ra, che, per esempio, aveva stabilito la prassi dei concerti. Il consumo musicale è ora
meno esigente e si deve adeguare alla loro difficile e instabile situazione economica.
« E’ la musica leggera o allegra, un tempo considerata poco seria. Persino nelle sale da concerto e
l’opera si è affermata la musica che offre il piacere più facile, il jazz: esso è il più efficace modo disim-
pegnato di intrattenere l’ascoltatore, dal momento che all’ascoltatore non richiede più nulla. La fun-
zione del puro godimento non diventa solo nel jazz quella di puro stimolo, è morta: è stimolo mo-
mentaneo ora l’unica funzione della musica. Solamente così trova spiegazione il continuo cambiare
delle mode musicali negli ultimi quindici anni. I mezzi stimolanti perdono d’efficacia e questo spiega
37
perché nell’ultimo periodo della musica borghese ci sia un continuo bisogno di metodi nuovi, che
scaturiscono dal bisogno di variare senza cambiare la funzione, dal bisogno di divertimento»39
Quindi, la rovina di questa cultura musicale crea lo spazio alla lotta della classe
operaia per la formazione di una cultura musicale nuova, rispondente alla sua condi-
zione di classe.
sica tedesca in quegli anni: esistono tre diverse correnti del movimento musicale in
Germania, secondo Eisler. Un’ala destra, rappresentata dalla rivista musicale «Zei-
Questa rappresenta:
« Gli ultimi deboli combattenti per il concetto di universalità della musica borghese, sono contro la
musica d’uso, favorevoli agli sconvolgimenti dell’animo, all’arricchimento spirituale del singolo,
alla sinfonia intrisa di weltanschaung e al poema sinfonico. Rifiutano i progressi dell’ala sinistra. […]
il livello puramente professionale di quest’ala è molto basso. Conoscono solo metodi invecchiati di
analisi della musica e non hanno nessun collegamento con masse più vaste della piccola borghesia.
Questa ala destra conduce una battaglia persa per il mantenimento e la propagazione della musica
« Musikblatter des Anbruch, Frankfurter Zeitung, Berliner Tabeblatt. Politicamente corrispondono grosso
modo a un ventaglio di partiti che va dal partito di governo al partito popolare tedesco o centro. An-
che questo gruppo rimpiange il buon tempo andato, ma non è cieco di fronte alla realtà. Vede la crisi
e non la fa risalire alla malvagità degli ebrei ma cerca di unire in chiave moderata tradizione e pro-
gresso»41
39 ivi, p. 160
40 ivi, p. 161
41 ivi, p. 162
38
L’ala sinistra invece è secondo Eisler quella più interessante ed è rappresentata da
« Costituisce l’avanguardia del tramonto della musica borghese e l’ala più tecnicamente progredita:
in questo gruppo è da annoverarsi anche un compositore come Schönberg. Quest’ala ha reagito
eccezionalmente vivace alla crisi del concerto. Quando la realtà ebbe liquidato la musica che trova
la propria funzione nel proporre la weltanschauung, come forma di godimento, essi andarono oltre.
Dissero che la musica non deve rispecchiare la concezione del mondo e scoprirono il concetto della
gioia del suonare e del far musica, della musica d’uso. Con ciò il divertimento disimpegnato era
contrabbandato per progresso e ammesso in società. La musica deve essere un puro gioco di suoni
e non deve esprimere alcun sentimento umano. Così si giunge a un nuovo virtuosismo, a una nuo-
va spiritualità, a una nuova eleganza e ad una riposante serenità. La musica deve essere costruita in
modo da non esprimere alcunché di patetico, carico, grandioso, deve essere preferibilmente messa
sotto ghiaccio, non deve muovere intimamente l’ascoltatore. La migliore musica è, secondo una
formulazione di Stravinskij, quella che funziona come una macchina da cucire»42
nuova musica, nuovi metodi musicali, nuovi legami tra arte e vita, prassi e teoria,
nascono non da una rivoluzione del materiale musicale ma da una società trasfor-
mata in cui una nuova classe prende il potere: il proletariato. La musica del movi-
mento musicale operaio è musica il cui piacere è solo il mezzo per il fine. Il testo non
soddisfa più l’esigenza estetica dell’ascoltatore, ma si serve del bello per educare il
singolo e per rendergli accessibili le idee della classe operaia, gli attuali problemi
della lotta di classe. La musica non utilizza più la propria bellezza come fine a sé
stessa, ma porta invece ordine e disciplina nei confusi sentimenti del singolo. In
Nata come fluida, come strumento di lotta nella più difficile situazione della storia
di classe, essa perde tutto quello che l’artista borghese dice ‘bello’. Essa prefigura in
grande misura, già ai suoi inizi, quella che sarà la funzione dell’arte nella società sen-
42 ivi, p. 163 39
za classi. Nel movimento musicale operaio, dice Eisler, non si aspira ad uno stile
nuovo, bensì a metodi nuovi della tecnica musicale, che permettono di sfruttare al
« Se vogliamo descrivere nel modo migliore la musica borghese, dobbiamo usare il termine ‘atmosfe-
ra’: cioè la musica borghese vuole intrattenere l’ascoltatore. Compito della musica operaia sarà quello
di allontanare il sentimentalismo, il pathos dalla musica, poiché queste sensazioni distraggono dalla
lotta di classe. Il principio più importante della musica di lotta è che venga suddivisa in musica che
dovrà essere eseguita direttamente, cioè canzoni di lotta, canti satirici e simili, e musica che dovrà
essere ascoltata, cioè pezzi didattici, montaggi corali, cori con contenuto teorico»43
mette al servizio di un linguaggio semplice, chiaro, brillante, che viaggia dal parodi-
co alla seria dissonanza ma che non deve essere carica di elementi patetici, carichi,
grandiosi, ma deve essere puro gioco di suoni. Concetto, questo, condiviso da altri
artisti e quindi non rara nel vivace ambiente culturale e musicale della Berlino che
viveva l’ascesa del Nazismo. E’ facile in questo modo ricollegarsi con un coetaneo di
Eisler, Kurt Weill, a cui lo lega anche la vicinanza al marxismo e alla sua attività di-
dattica per il proletariato. Il compositore cresce sotto il segno della tradizione operi-
questa formazione, nel 1920 l’incontro con Ferruccio Busoni, suo insegnante all’A-
kademie der Kunste, fu una svolta. Weill si affermerà nel teatro musicale e nella
composizione di musica d’uso, ed è come Eisler alla ricerca di una musica semplice,
diretta, che crei contatto con il pubblico e che «si possa capire senza ulteriori spiega-
zioni» 44. La mano del futuro Weill drammaturgo è presente sin dalle prime compo-
sizioni strumentali: spesso pone alla base delle sue opere modelli testuali, verbali,
43 ivi, p. 170
44 ROSS, ALEX, Il resto è rumore, Ascoltando il XX secolo, Milano, Tascabili Bompiani, 2016, p. 321
40
contenuto. La prima sinfonia ne è un esempio. A quanto sembra mai eseguita e scrit-
ta nel 1921 durante il suo periodo di studio a Berlino, sotto insegnamento di Busoni,
dalla durata di circa 25 minuti, fluida e coerente nella sua atmosfera languida e
sono tutti elementi che Weill riprende qui dal suo maestro. Alla base dell’opera c’è
quentazione e collaborazione con Brecht lo aveva indirizzato verso una musica lon-
Allegro molto, Largo, Allegro vivace - Presto, di circa mezz’ora, è una composizione le
cui linee melodiche e loro sviluppo sono sostenute da una mano ormai salda e ma-
ne una ambientazione che non ha nulla in comune con il Weill precedente. Il primo
tempo della sinfonia contrappone archi e fiati: la scansione ritmica degli archi, abbi-
Adriano Bassi45. Il Largo inizia con un tema eroico che si stempera in un’armonia
45BASSI, ADRIANO, Kurt Weill, I grandi musicisti del XX secolo, Collana Musica Studio, Milano,
Targa Italiana Editore, 1988, p. 63 - 64
41
Kurt Weill e Hanns Eisler non sono gli unici compositori che con la loro musica si
oppongono alle forze naziste in Germania (seppur più che nella produzione stru-
mentale, in quella teatrale): il nazismo ebbe come strenuo oppositore anche Karl
Amadeus Hartmann, che a differenza di questi, che fuggirono in America, non scel-
se la strada di un esilio lontano dalla patria. Fino al 1945 Hartmann lottò contro il
sue composizioni quasi come per depurarle dall’epoca in cui erano state concepite.
Il rifiuto di ogni compromesso con il regime gli procurò ovvie difficoltà di diffusione
della sua musica e di esecuzione. Allievo di Webern, Hartmann si discosta dal suo
maestro e anziché ricalcarne il lirismo ai margini del silenzio più spesso persegue
una eloquenza e un discorso vicino a sonorità tumultuose. Il suo legame con la tra-
dizione non si esplica nel guardare al mondo e al tempo romantico, come il più an-
razioni melodiche.
Definito da alcuni ‘ultimo sinfonista’, perché il nucleo della sua produzione sono
soprattutto lavori sinfonici, Hartmann cresce tuttavia con grande interesse verso
l’arte figurativa: ne deriva che questi lavori sinfonici non sono mai intesi come pu-
to. Nella sua musica hanno importanza le immagini descrittive, sceniche, argomenti
letterari o testi propri, per cui si può parlare di un indirizzo di musica a programma.
La Prima Sinfonia, per voce di contralto e orchestra, scritta in varie versioni (dalla
prima del 1936 all’ultima datata 1955) reca il sottotitolo ‘Tentativo di un Requiem’: è
una composizione in cui Hartmann tenta di coniugare i grandi generi della sinfonia
e della messa. Ne deriva una forma particolare e ibrida: sono cinque movimenti, di
cui solo il terzo puramente orchestrale. Il testo degli altri quattro è tratto da una
poesia di Walt Whitman, Leaves of Grass. La poesia di Whitman lamenta della guerra
42
civile americana e la miseria che la guerra comporta. Il messaggio è chiaro: Hart-
weberniane e l’utilizzo del linguaggio dodecafonico che dà alla sinfonia una patina
espressionista è più evidente rispetto alle sinfonie successive, forse anche per arric-
necessità di raccontare il dramma della sua epoca: nel 1940 nacque la sua Sinfonia
Tragica, di circa trenta minuti, condivide il tono drammatico con la precedente sinfo-
nia del 1936, ma lavora completamente nella tonalità. Si compone di due movimenti:
una Introduzione, dal carattere Adagio, e un Tumultoso (Allegro, Vivace, misterioso). Nel
che interrompono il discorso con inquiete apparizioni, come ad indicare una certa
impotenza ad affermarsi in un mondo che non avrebbe ascoltato la sua voce. Il se-
condo sembra volersi ribellare a questa incertezza: rombano rullanti, timpani, xylo-
foni, e sopra volano archi e fiati, trombe, tra scale e arpeggi. Il finale è interrotto per
ben due volte da un improvviso silenzio in cui si odono solo i rintocchi leggeri di un
gong sopra un tappeto vibrato di archi e improvvisi colpi di piatti: l’effetto è soffo-
Paul Hindemith, pur debuttando nel segno del teatro espressionista, fin da subito
mostra una certa propensione alla multiformità stilistica, e verso la metà degli anni
43
rilevano un grande debito nei confronti dei Concerti Brandeburghesi di Bach mentre
l’opera Cardillac (1926) unisce tutte le possibili forme della tradizione strumentale e
del linguaggio musicale aveva operato nei confronti dell’ascolto di massa, Hindemi-
th si avvicina anche al concetto di musica d’uso. Gli anni tra il 1925 e il 1935 per il
compositore sono anni estremamente creativi e polimorfici. A partire dal 1935 tutta-
via si avvia uno smorzarsi del suo linguaggio impetuoso: rinnegando l’atonalità,
diatonica: un ritorno alla tonalità per cui la tonica non era in relazione solo con altre
sei note ma con tutte e undici le altre note della scala, profilando in questo modo
dei suoni “secondo natura”. Questa svolta non fu percepita da tutti favorevolmente.
« Contro Hindemith va detto che egli ha cercato di farsi accettare dai potentati fascisti abbassando il
proprio livello tecnico e propagandando un populismo menzognero. […] Sebbene per il momento
Hindemith abbia per noi poco valore pratico […] siamo per lui e contro la politica musicale dei fa-
scisti. Il proletariato dopo la presa di potere non offre agli artisti solo la liberazione della produzio-
ne dai rapporti di mercato del capitalismo, ma pretende da essi anche degli esperimenti. […] Anche
il compositore è oppresso dal capitalismo, ma se si allea nella lotta con il proletariato può conqui-
stare la libertà. Questo sia detto anche a Paul Hindemith»46
L’opera Mathis der Mahler (1938) è l’avvio di una nuova strada: una strada che
cerca di attutire gli spigoli taglienti del suo discorso e a stabilire un caloroso rappor-
L’armonia tradizionale, nella sua tonalità, può aprire a tante altre vie. Verso la fine
44
nheim, che vive in un periodo cruento della storia tedesca, la guerra dei contadini.
nella Storia. Decide di unirsi alla lotta dei contadini ma la lontananza dall’attività
creativa lo mette in crisi: nel folto di un bosco egli vede se stesso come Sant’Antonio
e poi gli appare San Paolo che lo esorta a tornare alla sua missione artistica. Le ten-
sioni spirituali che angosciano Mathis trovano un corrispettivo nella riflessione dello
stesso Hindemith sulla propria posizione di uomo e di artista nella Germania nazi-
sta: l’opera è, infatti, anche «rifiuto del dogma totalitario secondo cui l’artista do-
vrebbe essere un animale politico, ossequiente allo Stato, e afferma che per un artista
servire un altro padrone oltre al proprio Io significa perdere l’integrità morale e in-
rettore Wilhelm Furtwängler, che forse voleva anche appoggiare Hindemith nella
sua opposizione al nuovo governo nazista, un nuovo lavoro per orchestra da inseri-
re nella stagione della Filarmonica di Berlino. Il compositore, che non voleva lasciar-
tanti del melodramma, dando vita ad una sinfonia in tre tempi, dalla durata di circa
mezz’ora. La prima esecuzione si tenne il 12 Marzo 1934, fu ben accolta dal pubbli-
co, ma la risposta tedesca fu dura: in Germania non vi sarebbero state più esecuzioni
di Hindemith.
Ciascuno dei tre movimenti della sinfonia si riferisce ad un pannello che Grü-
newald dipinse per l’altare di Isenheim e ciascuno di essi corrisponde a diversi mo-
mentre gli altri due riprendono rispettivamente l’ultima e la penultima delle sette
intento descrittivo, con molti episodi che richiamano un carattere quasi recitativo,
47 da STORIA DELLA MUSICA, La musica moderna (1890-1960), Feltrinelli Garzanti, 1979, p. 346
45
re. Hindemith opera qui una fusione di elementi medievali, barocchi, romantici e
qui diventa fonte di nuove idee per allargare il sistema tonale maggiore minore. Il
tico canto tedesco. L’episodio vuole descrivere la gioia e il canto degli angeli per la
nascita del Salvatore e viene costruito su due temi che vengono esposti prima sepa-
tema dal sapore fortemente arcaizzante, aspro e duro, e un secondo tema, dolce e
Antonio) comincia con una introduzione lenta. Segue il brano principale, costruito
con un corale.
Paul Griffiths offre una chiave esplicativa dello stile che Hindemith era andato
vinskij e la Sinfonia in mi bemolle di Hindemith, l’una del 1937-1938 e l’altra del 1940:
thooven e di Richard Strauss, dove tutte le relazioni diatoniche sono considerate fondamentali, per-
mettendo quel deciso impulso armonico da cui dipende l’espressività romantica, il mi bemolle di
Stravinskij è piccante e sospeso, e l’armonia passa da un piano bidimensionale all’altro in una forma
deliberatamente episodica, che ancora una volta accoglie accenni della musica popolare dell’epoca.
Anche il riferimento complessivo ai Concerti Brandeburghesi di Bach è tipico dell’ironia del suo au-
46
tore, un gesto dall’esterno rispetto a quella tradizione nella quale la sinfonia di Hindemith è salda-
mente collocata»48
E’ una sinfonia che recupera anche qui un linguaggio diatonico e una linearità
melodica che attraversano tutti e quattro i movimenti che la compongono: Molto vi-
dall’esplosivo Molto Vivace, al più turbato Molto lento che termina con una ritmo
tamburino che ricorre alternato ai fiati per tutto il movimento, con funzione quasi
riproporre l’ambivalenza dei primi due movimenti, ma il finale arriva carico ad una
Il 1940 è un anno che vede una triade di sinfonie di tre diversi autori tra loro di-
tà marziale ma allo stesso tempo giocosa, che stempera la tragicità del suo tempo
nella leggerezza dell’uso del tamburello e nella sentita affermazione degli accordi in
flesso della tragicità di come Hartmann vive gli anni di guerra. La Sinfonia in Do
Maggiore di Pfitzner, invece, è al contrario manifesta del lato patriottico della guerra
che si stava combattendo. Questo non deve stupire: Pfitzner fu un compositore mol-
to vicino al regime ed a Hitler, e, musicalmente parlando, fu quello che più lottò per
difendere la tradizione tedesca dalle tendenze della nuova musica. Non è sbagliato
affermare che le sue composizioni riflettono una musica che si ferma a Schumann,
Mendellsohn e Brahms: il compositore aderisce a pieno alla difesa della Kultur tede-
sca. Non a caso Strauss ebbe in lui il suo unico serio rivale, il solo che potesse con-
47
trastargli il titolo di più rappresentativo operista tedesco del secolo. Pfitzner si definì
l’ultimo dei romantici e formulò una teoria secondo la quale l’ultima grande èra
musicale tedesca era stata quella romantica. Non poteva che essere acceso il suo con-
fronto con Ferruccio Busoni, musicista che credeva che la musica dovesse andare
prefiggeva «di ricondurre la musica alla sua vera essenza; liberiamola dai dogmi ar-
chitettonici, acustici ed estetici; lasciamo che essa divenga pura inventiva e pura
Lento, Presto, dalla durata di circa venti minuti, è un esempio di una sinfonia dal ta-
glio, se si vuol così definirlo, tradizionale, quasi fermo nel tempo, ma non per questo
non riuscita. Nel primo movimento, Allegro moderato, archi e fiati si contrappongono
due temi, uno particolarmente eroico, o almeno che nel suo svolgimento cerca di di-
ventare tale, e uno più disteso, femminile, che hanno una chiusa tragica, che si pro-
lunga nel secondo movimento, il Lento, col suono triste e melanconico di un oboe. Il
alternato a interruzioni di archi più danzanti, per poi riproporre il primo tema del
con modulazioni di tono gloriosamente. Una sinfonia in linea con l’anno di compo-
sizione, che rispecchia sia il lato triste che quello patriottico della guerra che si an-
dava combattendo in quegli anni, e che cerca, con questa chiusa eroica, di innalzarsi
Le due precedenti sinfonie del compositore si distendono con la stessa chiara ela-
borazione strutturale e tematica, quasi pre mahleriana: una Piccola Sinfonia in Sol
Maggiore, op. 44, del 1939, e una Sinfonia in Do diesis minore, arrangiamento del quar-
tetto d’archi del 1925, del 1936, non presa in esame poiché non c’è documentazione
48
movimenti, Senza fretta, Allegro, Adagio e Allegretto, e dura all’incirca 20 minuti. An-
che qui i temi e gli atteggiamenti a loro affidati sono chiaramente riconoscibili e di-
stinti tra archi e fiati: il respiro, rispetto alla Sinfonia in Do maggiore, è più leggero.
dell’adagio nel positivo Allegretto quasi a carattere di danza. C’è da dire che l’alle-
questo compositore nella musica più bella della tradizione tedesca, a voler scampare
Tra i compositori trattati fino a questo momento, Franz Schmidt è il più anziano (e
infatti morirà nel 1939). Scrive quattro sinfonie, le prime due scritte nei primi anni
del secolo, le ultime due intorno agli anni trenta. Non toccato e interessato alle nuo-
che nella sua produzione sinfonica non rinuncia al fascino, all’eleganza e alla legge-
rezza di uno spirito romantico, o anche pre-romantico. Nelle sue sinfonie non c’è
traccia del dramma mahleriano, ma amore per una sinfonia elegante, che si slancia
in lunghe frasi melodiche. Tutte divise in tradizionali quattro movimenti e dalla du-
rata di circa un’ora. Solo l’ultima sinfonia, del 1933, presenta uno stile tragico e più
‘moderno’.
legro molto moderato, Adagio, Scherzo Allegro Vivace, Lento Allegro Vivace. Il primo mo-
variazioni. Il terzo inizia con un tema simile ad un corale: questa introduzione lenta
49
zio dell’ultimo movimento, il cui tema è inizialmente derivato da quello della pre-
La Sinfonia n. 4 è il lavoro che può essere considerato forse il più moderno del
rato, Adagio, Molto vivace, Tempo primo un poco sostenuto, fusi però in un’unico, e dalla
durata di circa 45/50 minuti. La Sinfonia è considerata come una sorta di requiem,
per la figlia di Schmidt, deceduta per dare alla luce il suo primo figlio: c’è un’atmo-
sfera triste a malinconica che non si trova nelle tre sinfonie precedenti. L’Allegro mol-
to moderato si apre con una tromba solista la cui melodia sarà l’elemento unificante
di tutta la sinfonia. L’Adagio, invece, inizia e finisce con un assolo di violoncello che
si trasforma in una drammatica marcia funebre nella parte centrale. Il Molto vivace è
costruito su effetti di fugato, mentre il Tempo primo un poco sostenuto riprende il tema
della tromba di apertura ma ora intonato dal corno francese. L’impressione è di una
sinfonia che non si dà pace, tormentata, aperta solo ai brevi bagliori speranzosi rap-
50
IV
Andare alla ricerca della sinfonia italiana nella prima metà del Novecento vuol
dire trovarsi davanti uno scenario frammentato e incerto. Da oltre un secolo è infatti
il melodramma a imperare come simbolo e modello della musica italiana e sia tra il
pubblico che tra gli stessi musicisti è molto sentita la convinzione che il genio italia-
no non possa che essere melodico, per natura «alieno alle complicazioni scientifiche
sinfonica e da camera si era fatta sempre sempre più scarsa51. Solo verso la fine del-
50 DE’ PAOLI, DOMENICO, La crisi musicale italiana (1900-1930), Milano, Hoepli, 1939, p. 25
51
prima generazione di autori che dà vita ad un nuovo repertorio di musica strumen-
tale. Li accomuna una formazione anti melodrammatica, nella quale predomina l’in-
strumentale italiana sembrava perduta. Gian Francesco Malipiero rivela di aver fatto
tradizione seguendo una certa predilezione personale, per istinto. Malipiero, poi, va
oltre, per affermare come «le condizioni attuali dell’Italia siano più adatte alla di-
struzione di ogni entusiasmo artistico che allo sviluppo di energie capaci di generare
dandosi alle piccole scuole di provincia o a piccole occupazioni musicali, non c’è so-
re contro l’insidiosa offesa che agli italiani non sia possibile di creare le sinfonie»53.
I miti nazionalisti che agitarono i primi anni 10 del secolo furono di grande im-
portanza anche per la nostra cultura musicale: nacque da qui la tensione ideale per il
52MALIPIERO, GIAN FRANCESCO, La Sinfonia italiana dell’avvenire, in Rivista Musicale Italiana, Vol.
XIX, 1912, pp. 727-737
53 ivi, p. 729
52
strumentale italiana ritrovi una sua identità: e tale rinnovamento fu tanto sentito
quanto violento, combattuto con fervore e spirito polemico. Al centro c’è il problema
spezzata, e non è cosa da poco: la prima guerra mondiale sarà uno spartiacque che
acuto della crisi della vita musicale italiana: da una parte c’è chi preferisce rimanere
legato alla tradizione italiana dei maestri, dall’altra chi accetta la formazione tradi-
zionale e innesta su di essa elementi di nuova formazione. Da questa crisi però sca-
turisce una intensa attività che dà i suoi frutti soprattutto nel dopoguerra. A partire
dagli anni venti infatti si può riconoscere una maggior disciplina costruttiva nelle
composizioni dei nostri musicisti: linguaggi e forme si fanno più sicuri e organizzati,
l’architettura dei pezzi riprende più importanza, si afferma un disegno ritmico più
leggero e preciso. Anche la sinfonia trova un suo spazio in questa ricerca di una lin-
gua nazionale. Nel 1909, ad esempio di come fosse sentita l’esigenza anche in questo
che premiasse la migliore sinfonia del momento: il concorso non si fece per mancan-
quali confluirono nei ranghi della generazione dell’Ottanta. E mentre Mascagni scri-
veva che «quando la mia fantasia sarà stanca comporrò sinfonie»54, i musicisti più
giovani ripescavano nella tradizione italiana e nella musica europea più recente, con
Il periodo tra il 1920 e il 1940 è dunque molto produttivo per i giovani composito-
zione strumentale di loro composizione, le sinfonie nei loro cataloghi sono scarse.
Può anche capitare che i compositori vi si avvicinino, nei primi anni del secolo, per
ritornare poi a comporre qualche sinfonia solo verso la fine degli anni ’30. E’ il caso
54
ivi, p. 54
53
di Casella e di Pizzetti. Respighi invece abbandona la sinfonia, e trova la sua strada
nel poema sinfonico. Malipiero invece, è un caso a sé: prolificissimo di sinfonie, an-
che lui compone nei primi anni del Novecento alcune sinfonie dai toni impressioni-
sti, per poi tornare a mettere mano al genere sinfonico solo dopo gli anni 20 e conti-
nuando fino agli anni 60. Tracce sporadiche di qualche sinfonia si ritrovano anche in
autori minori. Studiosi e musicologi, sulle sinfonie di tutti questi autori si sofferma-
menico De Paoli sembra porsi poco il problema di una sinfonia italiana, mentre ri-
badisce con fierezza come questi compositori abbiano avuto merito di far rifiorire
produzione sinfonica italiana agli inizi del Novecento non ha sicuramente alle spalle
una grande tradizione come il mondo tedesco, non per questo i nostri compositori
altri compositori, sottolineano come, nel lavorare al rinnovamento della musica ita-
liana, si trae ispirazione soprattutto dal proprio istinto: la formazione musicale ita-
liana non rispondeva alle aspettative dei giovani musicisti, e ognuno cercava ispira-
zione dalla tradizione, dalla musica contemporanea, seguendo la propria indole. Era
questa l’unica soluzione che si prospettava per i nuovi compositori italiani di inizio
sco Malipiero del 1912, “La sinfonia italiana dell’avvenire”. In questo articolo Malipiero
55 ivi, p. 735
54
musica strumentale italiana infatti», dice, «ha combattuto un grave ostacolo prove-
niente da un pregiudizio religioso» 56. L’uso degli strumenti per molto tempo fu
proibito dalla chiesa, perché ritenuto di origine pagana: la musica strumentale in Ita-
lia nasce quindi con ritardo, ma di contro, la musica corale raggiunge altissimi livelli
di espressione. Le arditezze armoniche e gli incastri tra le voci della Scuola Venezia-
na sono il segno di come già nel ‘500 i musicisti italiani fossero veri sinfonisti, solo
che che non adoperavano strumenti. Con questo Malipiero nega il primato di Gio-
van Battista Sammartini come inventore della sinfonia: le basi della sinfonia italiana
sono da ricercare nella musica corale. La conoscenza polifonica dei nostri autori si
riverserà nelle Overture, nella scuola dei violinisti del ‘700 e nella Sinfonia da Came-
ra. Ma dalla metà del Settecento la musica corale decade, e gli strumenti si pongono
al servizio delle voci nel teatro. Nell’Ottocento l’orchestra, invece di progredire, di-
venta un apparato, conclude Malipiero, per fare rumore. Al compositore italiano del
900 non resta altra strada che inventare istintivamente una forma sua individuale: è
giunto il tempo che una «miriade d’immense sinfonie aspettano coloro che le sap-
piano cogliere»57.
Iniziare il percorso alla ricerca di una forma di una sinfonia propriamente italiana
con Malipiero è necessario: un autore che rispetto alla media dei musicisti italiani
annovera molte sinfonie tra le sue composizioni. Le sinfonie che compone nel primo
decennio del Novecento, la Sinfonia del mare (1904), la Sinfonia degli eroi (1905), la Sin-
fonia del silenzio e della morte (1908) sono rivelatrici di un sentire romantico (in quanto
l’arte romantica fu il primo contatto della sua formazione), ricche di atmosfere mi-
e melodiche pennellate tematiche. Dal 1934 al 1947 si contano ben sei sinfonie nel
suo catalogo: con queste non è più possibile etichettare Malipiero come compositore
56 ivi, p. 731
57 ivi, p. 736
55
romantico, come sottolinea Guido Gatti, poiché se tale rimane nello spirito e nell’e-
spressione del dissidio dell’artista che cerca di superarsi nell’opera d’arte, il suo stile
formalmente è invece classico, per la sua sobrietà e semplicità di mezzi, per la chia-
ta delle musiche del sei e del settecento italiano, che dal quel momento guidano e
contribuisco alla formazione e alla personalità del musicista. Ma non solo: Casella
sottolinea come Malipiero recuperi i modi antichi (dorico, ipodorico, frigio, misoli-
dio) per allargare il senso tonale, utilizzandole con grande abilità, «con continui con-
trasti ed urti fra modalità e gravitazione tonali divergenti, determinando così una
incertezza tonale, una instabilità tonale, che costituisce uno dei lati più potentemen-
Delle sei sinfonie saranno analizzare solo le prime due, che concernono l’arco
cronologico di nostro riferimento (1920 - 1940). Con la Prima Sinfonia, composta nel
1933, Malipiero afferma di aver «intuito una forma di espressione musicale squisi-
italiana barocca del ‘600, da cui trae un fondamentale diatonismo e una sciolta arti-
della tonalità). Il recupero della tradizione non si trasforma, come fa osservare Nico-
58GATTI, GUIDO G. Francesco Malipiero, saggio tratto da L’esame, Milano, 31 ottobre 1923 e raccolto
in Opera di G.F Malipiero, saggi di scrittori italiani e stranieri con una introduzione di Guido Gatti, Treviso,
1952, pp. 25-39
59CASELLA, ALFREDO Il linguaggio di G.F.Malipiero, saggio tratto da «La Rassegna Musicale», 1942,
raccolto in Opera di G.F.Malipiero, cit, p. 129-130
60 MALIPIERO, GIAN FRANCESCO, catalogo annotato presente in Opera di G.F. Malipiero, cit, p. 230
61COSTARELLI, NICOLA, Nota sulle sinfonie di Gian Francesco Malipiero, in «La Rassegna Musicale»,
A. 21 n. 1, 1951, pp. 39-42
56
di trovare una soluzione formale alle proprie esigenze espressive, che sono prima di
cosa (suggestione visiva, stato d’animo, dramma), e si riallaccia al barocco alla ricer-
ditiva62. La “poesia” della natura della Prima Sinfonia, si risolve non per mezzo di
guendo la mobile vita interiore del compositore. Questa composizione, nata inizial-
mente dalle letture del poeta veneziano Lamberti e dalla nostalgia della sua patria
veneziana, porta il sottotitolo: «In quattro tempi come le quattro stagioni». I quattro
diano, ma Malipiero avverte che questa sinfonia è lontana da ogni significato a pro-
l’autore, qui il sottotitolo vuole chiarire principalmente il carattere dei quattro tem-
pi. Spiega Malipiero: «Il primo, quasi andante, sereno, è primaverile. Il secondo, al-
legro, forte, veemente come l’estate. Il terzo, lento ma non troppo, è autunnale, e il
zioni orchestrali, solitamente in più tempi, che non ricalcano le forme classiche tede-
sche ma si riallacciano a quella che è stata in Italia la musica barocca fra il 1680 e il
62COSTARELLI, NICOLA, Nota sulle sinfonie di Gian Francesco Malipiero, in «La Rassegna Musicale»,
A. 21 n. 1, 1951, pp. 39-42
57
della dialettica sinfonica con le sue simmetrie, e la negazione del sinfonismo a svi-
luppi per prediligere una tecnica antidialettica giocata sulla continuità. Il musicista
trappuntistico e non armonico, come spiega bene Nicola Costarelli: i suoi temi sin-
fonici non sono organismi chiusi suscettibili a sviluppo, ma disegni sonori aperti,
entità lineari che confluiscono l’una nell’altra assicurando continuità e unità allo
«Materialmente ho rifiutato il facile gioco degli sviluppi tematici perchè ne ero saturo e mi venivano
a noia: imbrogliandolo, non è difficile costruire un tempo di sinfonia, che diverte i dilettanti e soddi-
sfa la insensibilità degli intenditori: il discorso della musica veramente italiana che non s’arresta mai,
segue la legge naturale dei rapporti e dei contrasti, architettura pensile e solida»64
Culto del passato e tecnica antidialettica: questi gli aspetti fondamentale delle sin-
fonie di Malipiero, organizzati in modo maturo a partire dalla Seconda Sinfonia, del
1936, o Elegiaca. Dalla durata di circa venti minuti, che costituirà lo standard delle
menti: Allegro ma non troppo, Lento ma non troppo, Mosso, Lento-Allegro. L’attacco in
riva fra soli archi e tra archi e fiati è frammentario e giocato sui rapporti di tensione
tema con somma e consumata abilità»65. E’ questa la sinfonia che, fondendo i prin-
58
cipi costruttivi dell'antica sinfonia italiana in un linguaggio eminentemente diatoni-
una personalità propria e particolare nel panorama musicale italiano: alla qualità
con conseguenza che l’idea musicale di Alfano, anche nel teatro, tende a espandersi
nella forma di un pieno linguaggio sinfonico, e a raggiungere, con il tempo, una si-
cura gestione e sicurezza nell’orchestrazione. Ciò che distingue Alfano dai suoi con-
temporanei è che lui non cerca modelli ‘storici’ per la sua musica: non scrisse mai
le, così come da forme di neoclassicismo. Alfano è un compositore immerso nel suo
tempo, fedele all’eredità romantica e ottocentesca, alla base della sua formazione.
sono alcuni dei molteplici impulsi che Alfano coniuga nella sua personalità. Per
questi motivi le sue due sole sinfonie risentono, se raffrontate con le composizioni di
Casella, Malipiero e Pizzetti, di un taglio più tradizionale. Della sua Prima sinfonia in
mi bemolle maggiore che compone nel 1910, in quattro tempi, rivisitandola poi in tre
nel 1923, ricordiamo alcune parole del compositore che rievocano l’accoglienza della
59
sinfonia da parte del pubblico e che si riallacciano al problema di ricostruire una cul-
«Il successo fu grande […] I giornali si occuparono della cosa in fretta e in breve. Come accennavo
dianzi, lo scrivere per l’orchestra era allora considerato un lavoro trascurabile. La gente era piena di
preconcetti, soprattutto indifferente o ostile agli italiani sinfonisti. Lo stesso Martucci, non riusciva a
diffondere e ottenere unanime attenzione con le sue due sinfonie, in ogni caso pregevoli […] forte-
mente impegnate di ottocentismo e di brahnsianesimo. E questi gusti, ai quali il pubblico italiano era
assuefatto, avrebbero anzi potuto spianargli la strada. […] Figurarsi le possibilità in favore per la mia
sinfonia, la quale, lontana dal concetto sinfonico tedesco, risentiva piuttosto del sinfonismo russo. Ma
le idee, ci tengo a notarlo, erano e sono schiettamente nostre, italiane. Ciascun movimento voleva
evocare un’epoca della nostra patria, e cioè la romanità, il medio evo, il rinascimento, il presente»66
conda Sinfonia del 1932, eseguita per la prima volta all’Augusteo nel 1933. Estesa cir-
gro alla marcia, è una composizione completamente tonale. Questa sinfonia, secondo
Andrea Della Corte, in Ritratto di Franco Alfano, non vuol essere «né musica polemi-
ca né d’avanguardia. Non è musica alla moda: non porta maschera antica, né bellet-
« Ecco una sinfonia contesta classicamente, con temi chiari nitidi con svolgimenti con ritornelli, con
preannunci tematici e riprese e altri svolgimenti, con tonalità precise e non stagnanti e neppure vaga-
bonde, con contrappunti sostanziali, mobili, aerati con ricchezza di timbri non stupefacente e nume-
rosa magistrale costruita con materiali non inerti ma pulsanti, limitata nella forma e non perciò priva
66
DELLA CORTE, ANDREA, Ritratto di Franco Alfano, Torino, Paravia, 1935, p. 43-44
67 ivi, p. 72
60
Musica, arte, come sintesi umana. I tre tempi della seconda sinfonia di Alfano sono come tre episodi,
Malipiero ma anche dei successivi Casella e Pizzetti, si apre cautamente, nel lavoro
cameristico e sinfonico, allo spirito del moderno linguaggio musicale, e che rimane
più legato a un panorama tardo romantico ottocentesco. Ma non per questo privo di
una coscienza di modernità nel lasciarci una sinfonia commovente e di precisa fattu-
ra, aprendo di fatto, oltre Malipiero, una strada alternativa della sinfonia italiana,
Se Ottorino Respighi, dopo una Sinfonia Drammatica (1912), lascerà la sua fama ad
cimentano con la composizione di sinfonie sia nei primi anni del Novecento sia alla
zione dell’Ottanta in cui il concetto di tradizione è più forte: la tradizione è per lui
teatro rimarrà sempre per lui luogo privilegiato della profonda espressione umana.
una struttura in quattro movimenti: Andante, non troppo sostenuto ma teso; Andante
68 ivi, p. 72 -73
69 SALVETTI, GUIDO, La Nascita del Novecento, Vol. 10, Storia della Musica, cit, p. 294
61
materiale tematico del tutto proprio. Gli altri tre tempi, pur avendo ciascuno temi
propri, hanno in comune, via via variamente trasformati, due temi: un primo tema
sotto il quale striscia e serpeggia un secondo, cromatico, che formerà l'ossatura rit-
timo tempo, un’atmosfera tragica che riflette il momento in cui essa è stata concepi-
ta, ovvero l’inizio della seconda guerra mondiale. L’inizio tragico e preoccupato del
primo movimento annunciato dal corno solo, si sviluppa carico di tensione e fer-
battute della «Preghiera per gli innocenti», secondo tempo della Sonata in la per vio-
lino e pianoforte scritta da Pizzetti nel 1918, sul finire della precedente grande guerra
europea.
Alfredo Casella, nello stesso anno, compone ed esegue la sua Sinfonia n. 3 op.63 (a
ben trent’anni di distanza dai suoi primi esperimenti sul genere: la Sinfonia n. 1 e la
Sinfonia n. 2 rispettivamente del 1906 e 1909). Con questa sinfonia Casella si allonta-
na dallo spirito romantico che aveva contraddistinto i suoi primi e giovanili lavori
conda maniera’. Strutturata in canonici quattro tempi, Allegro Mosso, Andante molto
moderato, quasi Adagio, Scherzo, Rondò finale, è una sinfonia che giunge al termine di
una lunga ricerca e sperimentazione armonica che lo aveva ormai portato, a partire
dagli anni venti, ad una fase compositiva ormai matura e personificata, ovvero un
ampia ed organica, contenente spunti motivici che torneranno in maniera ciclica nel-
che viene interrotta bruscamente dal tono minaccioso di un intermezzo che anticipa
62
un carattere ‘demoniaco’ dello Scherzo. Il terzo movimento presenta una struttura
Casella aveva trascorso la sua vita e tutta la sua attività di compositore a tentare
di dar vita a una vera musica italiana e patriottica, ma al contrario di Pizzetti, che fu
sempre molto legato alla tradizione, fu musicista sempre proteso verso il nuovo,
credendo che il rinnovamento della musica italiana potesse avvenire solo con «la
più vigile controllo stilistico»70. Il nuovo stile italiano doveva essere conciliativo di
diverse tendenze, e allo stesso tempo autosufficiente. Così Casella scriveva nel 1918:
« Se un’opera d’arte è nuova e bella, è secondario che essa sia più o meno nazionale. […] Lo sforzo di
assimilare deve essere considerato come un segno precursore di prossimo e potente rinnovamento
di tutta la nostra sensibilità musicale. […] L’indole così modernamente, nuovamente italiana delle
giovani musiche mi fa credere che la musicalità nostra evolva verso una specie di classicismo, il
quale comprenderà in una armoniosa euritmia tutte le ultime innovazioni italiane e straniere e dif-
ferirà dall’impressionismo francese, dalla decadenza straussiana, dal freddo scientismo di Schoen-
‘negazione’, così spiegato da Francesco Fontanelli: «la ricerca della fisionomia arti-
stica del Casella vive del ricorso a paradigmi estetici alternativi, si definisce in oppo-
re il percorso di arrivo che porta dalle sue prime sinfonie a questa terza, attraverso
71 ibidem
quando nel 1896 viene ammesso al Conservatoire National, nella classe di Louis
per avvicinarsi al fermento degli eventi musicali di una Parigi in costante fermento.
Dice Fontanelli:
«Casella vuole vivere il presente, fa di tutto per conoscere da vicino ogni nuova corrente estetica,
convinto che solo dopo un intenso tirocinio di ascolti e di incontri potrà consapevolmente individua-
re una strada moderna, ma allo stesso tempo aderente alla sua più intima natura»73
Casella in questi primi anni si fa notare per la sua arcaica compostezza, la sua
opponendosi alla tendenza francese che cercava il rinnovamento della musica stru-
«Da lui (Faurè), appresi parecchie cose utili: il culto del classicismo, il senso della costruzione, l’amo-
re della sapiente secolare polifonia contrappuntistica. E certamente debbo al suo insegnamento quella
mia incrollabile tendenza anti-impressionistica che doveva poi guidare tutta la mia azione di musici-
sta» 75
Casella seleziona i propri riferimenti stilistici fuori dai confini della Francia di
Debussy, soprattutto quando si approda alle grandi forme. La prima Sinfonia in si mi-
nore op. 5, 1906, continua Fontanelli, non è che un primo tentativo conseguente a
un’intensa fase di studio sui poemi sinfonici di Richard Strauss. Il suo stile ibrido è
esempio di questo equilibrio tipico caselliano, in bilico tra accoglienza dei nuovi
73 ibidem
74 ivi, p. 74
75 ivi, p. 26 64
« […] ponendosi al crocevia di alcune esperienze centrali nella formazione del giovane compositore,
ne rispecchia infatti le latenti spinte contradditorie: da una parte scopre il suono esotico dei russi gra-
zie alla frequentazione con Ravel, dall’altra il legame con George Enescu e poi con Pablo Casals lo
avvicina alla scoperta dei grandi maestri austro-tedeschi [Schubert e Brahms, dirà Casella]»76
La Seconda Sinfonia in do minore, op. 12 (definita da Jean Huré come «la più impor-
tante che un compositore italiano abbia prodotto nel genere sinfonico» 77 ) è invece
già da inserire in uno stadio competitivo nuovo, che «consacra il giovane casella
come fervente mahleriano»78. Dice Casella: « Da anni mi ero acceso di un vivo entu-
« considerare il travaglio compositivo che culmina nella colossale Seconda Sinfonia in do minore op.
12 (1908-1909), per cogliere la volontà di marcare una distanza, quasi una presa di posizione sul pia-
no della poetica rispetto a Debussy: […] Casella rimane classico, vuole creare narrazioni musicali con
solide impalcature, nelle quali le forme ereditate dalla tradizione strumentale sette-ottocentesca pos-
sano continuare a sopravvivere, ancorché vitalizzate dall’apporto moderno delle preziosità timbriche
e armoniche»82
76 ivi, p. 30
77 HURE’, JEAN, Euvres de A.Casella, «Le monde musical», 1910, p. 139, traduzione mia
79 ibidem
80 ivi, p. 32
81 ivi, p. 33
82 ivi, p. 27 65
L’op. 12 rimarrà a lungo comunque inedita e il l’esempio mahleriano lascerà ben
presto spazio all’elemento popolaresco: se questo faceva solo capolino nella Seconda
Sinfonia, è nelle successive opere (Italia, rapsodia per grande orchestra op. 11 e la Suite in
Do maggiore op. 13) protagonista indiscusso. A partire dal 1913 Alfredo Casella intra-
prende la sua «avventura modernista» italiana con la fondazione della SMI. E pro-
prio da questo momento (lasciando da parte il difficile rapporto di Casella con l’ato-
che va citando questa frase dell’autore: «l’essere stata vinta la terribile tirannide
wagneriana non dal fiammante Strauss ma dal diafano Debussy, ecco un simbolo
veramente profondo per chi sappia leggervi»83. E’ questa, secondo Francesco Fonta-
nelli, «la fonte ideologica alla luce della quale inquadrare i termini del suo contro-
tà storica e dava nuova freschezza all’armonia tonale. Non consumazione del siste-
vinskij da parte di Casella conferma queste parole. Se «la musica debussista si pose
a sfruttare le ricchezze della scale greche orientali» 85, è allora la polimodalità, «l’al-
83 ivi, p. 59
84 ivi, p. 60
85 ivi, p. 60
66
86 ivi, p. 61
Casella scrive anche un saggio critico sulla sinfonia a quest’altezza temporale:
momento La mort de la symphonie: poi, essendosi accorto che il titolo non corrispon-
deva all’indirizzo positivo che la nuova musica stava mostrando in Francia, mutò il
termine in evolution. A morire sarebbero stati alcuni dogmi, come lo sviluppo: la coe-
renza della struttura non è più data da proiezioni orizzontali, da una traiettoria
stringente, ma è data dal libero sfogo delle illimitate risorse di un’arte combinatoria,
spiega Fontanelli, e prosegue « […] non esiste per le verticalità accordali la fram-
divisibile pur nel carattere ibrido delle sue singole componenti, che vive nell’hic et
nunc del gesto»88. A partire dagli anni venti è questa la nuova via che Casella intra-
prende, ormai con mano salda e matura nella Sinfonia n. 3. «E’ incontestabile che
« ma si tratta di un nazionalismo ‘fluido’, fondato sull’apertura, sul rifiuto di ogni anarchia. La sal-
vezza viene sempre dall’esterno. E non è una sottolineatura da poco, poiché su questi aspetti si misu-
ra lo scarto tra i diversi linguaggio dei giovani dell’Ottanta e la singolarità della figura di Casella»89
87
CASELLA, ALFREDO, L’evolution de la symphonie, «L’homme libre», 22 settembre 1913, p. 2 in Docu -
menti, p. 309
67
88FONTANELLI, FRANCESCO Casella, Parigi e la guerra, Inquietudini moderniste da Notte di maggio a
Elegia Eroica, cit, p. 87
89 ivi, p. 66
V
Conclusioni
Sulla base delle sinfonie presentate e degli studi elencati nei precedenti capitoli si
1920-1940, premettendo due considerazioni. La prima è che studi presentati nel Ca-
sottolineato invece all’inizio di questo primo capitolo è molto importante, per que-
sto vennio, considerare due aspetti più di altri: il rapporto tra continuità e disconti-
mento di questi rapporti, e nel quale ancora è molto forte una netta divisione tra
La seconda è che anche per le conclusioni è necessario tenere separati i due ambiti
austro-tedesco e italiano, per la diversità della loro situazione: nel primo caso la sin-
di orchestrazione, dando vita a esiti molto diversi, mentre nel secondo ciò che influi-
sce sulla composizione sinfonica è il modo con cui i compositori riscoprono la tradi-
zione strumentale italiana e come si pongono nei confronti di questa e della moder-
nità.
68
5.1 Tendenze nella sinfonia austro-tedesca
gio, ovvero l’opposizione tra serialità e tonalità. Chi si avvicina alla sinfonia attra-
con il genere sinfonico, lo fa in ambito tonale. Webern scrive una sola sinfonia seria-
le, Křenek solo le prime tre con il metodo seriale, Eisler solo una e usando la serie in
modo molto ridotto, così anche Weill e Hartmann. Il serialismo comporta un totale
sia l’organizzazione in forma sonata sia in forma sonata ciclica delineando invece un
disegno ‘esteriore’ complessivo che non rientra in nessuna di queste due definizioni;
la loro linearità non è data tanto dalle linee melodiche che disperde nelle sue lunghe
sinfonie quanto nella loro forma esterna, ad esempio del modello sinfonico trasmes-
sogli da Schönberg90 . Ed è il serialismo che conduce anche una recupero del concetto
di sinfonia a ciò che Chitadze aveva chiamato suo significato etimologico di ‘suona-
cale di Webern e di Křenek è stemperato invece alla luce della tonalità nella Kleine
Symphonie op. 29 di Hanns Eisler: pochi minuti di sinfonia la cui strumentazione ri-
non in senso negativo. Questa contaminazione tra generi e linguaggi, dalla musica
da camera in Webern alla musica americana o alle marce in Eisler, ben è sintetizzata
dal concetto di mixed genre proposta da Chitadze nel secondo capitolo: la sinfonia
90
VANDE MOORTELE, STEVEN, Two dimensional Symphonic forms: Schoenberg’s Chaber Symphony,
Before and after, in The Cambridge companion to the Symphony, a cura di Julian Horton, Cambridge,
Cambridge University Press, 2013
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trova la sua forza nella possibilità di elaborare la sua forma in modo assolutamente
Seppur costruite anche con l’aiuto delle serie le sinfonie di Karl Amadeus Hart-
mann non abbandonano una elaborazione motivica tradizionale: sia la Prima Sinfo-
nia che la Sinfonia Tragica sfruttano un linguaggio che tende alla continuità melodica.
A queste si affiancano altre assolutamente concepite nella tonalità e nel rispetto delle
regole classiche: è il caso delle sinfonie di Franz Schmidt, Paul Hindemith e di Hans
minuti, ed è il linguaggio che arriverà a preferire anche Kurt Weill con la sua Sym-
phonie n. 2, dopo una prima che sfrutta l’insegnamento semitonale di Busoni. Tutta-
via secondo David Fanning91 , le sinfonie di Hindemith hanno poco da spartire con
una classica definizione del genere: di cinque lavori intitolati sinfonia, secondo Fan-
ning, due derivano da Opere e due derivano invece dalla musica d’uso. La sua Ma-
this Der Mahler, pur essendo un lavoro nobile e serio, fa fatica ad essere distinto da
op. 29 di Eisler, quindi nelle sinfonie seriali, si tende a ridurre l’orchestra a piccoli
ensamble, o a poter comporre solo con determinate sezioni, come nella Sinfonia per
fiati e percussioni di Křenek. Questo aspetto è ben sintetizzata anche da Otto Karolyi
orchestra»92, proponendo esempi come la Sinfonia del Salmi di Stravinskij, dove man-
91 FANNING, DAVID, The symphony since Mahler, National and International trends,
in The Cambridge companion to the Symphony, a cura di Julian Horton, Cambridge, Cambridge
University Press, 2013
92
KAROLYI, OTTO, La musica moderna, le forme e i protagonisti da Debussy al minimalismo, Milano,
Mondadori, p. 165
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cano i violini («l’idea di fare a meno dei violini in un’opera orchestrale sarebbe stata
«Si potrebbe continuare a elencare composizioni su composizioni nelle quali l’organico prescelto mo-
stra un’evidente rottura con quello tipico della tradizione. [...] Più o meno a partire dal 1910, il termi-
ne “orchestra” è stato usato dai compositori con grande elasticità in relazione a opere che oscillano
dalle proporzioni cameristiche a quelle della grande orchestra, e nelle quali le dimensioni sinfoniche
su larga scala vengono meno, sono rimpiazzate da altre soluzioni oppure modificate nei loro compiti
Tutti questi livelli di analisi interessano a livello macro però la prima grande ten-
più il livello strutturale della sinfonia: la scelta tra l’utilizzo di un movimento (le tre
(la Deutsche Symphonie di Hanns Eisler come esempio estremo). Sono entrambi
L’utilizzo di un testo, come presente nella Deutsch Symphonie di Eisler o nella Pri-
coro tuttavia non si può parlare di composizioni inter-genre, come fa Chitadze, poi-
ché l’utilizzo del coro e delle voci soliste non è legato a un preciso genere corale
nia, il suo carattere «universale», per dirla alla Chion, rimane invariato: ad affievo-
93 ibidem
94 ivi, p. 166
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lirsi è quella lotta di opposti, quel «principio dualistico», come Ballantine lo chiama-
Riprendendo il già citato titolo dell’articolo malipieriano del 1912, sorge sponta-
nea la domanda: si può allora parlare di una sinfonia italiana dell’avvenire? E se sì,
to tutte queste tendono ad inserirsi in una struttura tradizionale, che sembra richia-
mare le regole del compositore inglese Robert Simpson presentate nel secondo capi-
che, unità stilistica della tecnica espressiva, percorso di sviluppo e sintesi che viene
rispettato. Tutte le sinfonie italiane seguono questi principi e sembrano seguire quel-
alla base di questa nuova sinfonia italiana c’è dunque prima di tutto in evidenza
Ma, a differenza della sinfonia inglese teorizzata da Simpson, che tende a conce-
pire la sinfonia come genere solo in un unico modo o come portatrice di determinate
e rigide caratteristiche, nella sinfonia italiana ciò che varia è la libera scelta di un de-
operistico, così Pizzetti. Più forte, nella situazione italiana, è la conseguenza del re-
cupero e della nuova consapevolezza del passato strumentale italiano, che stimola-
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poranea, e che si traduce nel mantenimento di strutture tradizionali arricchite tutta-
sinfonia italiana non porta grandi novità, a livello nazionale, anche se con pochi
esempi, contribuisce a restituire fiducia al genere che ovunque era considerato per-
duto, e che dopo gli anni ’40 tornerà più prolifico (vedi la produzione di Malipiero,
o, in modo completamente diverso e ancora oltre, gli esempi di una nuova produ-
questi casi, un «polo stabilizzatore e conservatore» 95, che inevitabilmente muta alla
luce della Storia, della modernità, della sensibilità che cambia nel corso del tempo,
19esimo secolo, «ma sarebbe un errore dire che questa forma non sia vitale. Il tempo
pretazione non è altro che conseguenza della sua ossessione della forma di cui parlava
Dahlhaus, alla luce del fatto che questa forma sarà sempre portatrice di una voce
va Eisler:
« Sul nuovo artista influiscono tutt’altre cose, e perciò egli deve anche sentire in modo del tutto di-
verso. Ma quando un sentire del tutto diverso trova espressione, anche la sua formulazione, la sua
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CHITADZE, KETEVAN, Transformation of the Genre Model of the Symphony in the Twentieth Century
Music, cit, p. 21
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esposizione musicale sarà diversa. E il materiale di cui la mutata intenzione dell’artista si servirà, per
ottenere nuove e diverse forme espressive, dovrà per forza essere diverso. Alcuni chiamano ‘nuovi’,
altri ‘moderni’, questo processo e i suoi risultati. In realtà non sono né ‘nuovi’, né moderni’, ma solo
‘diversi’. Sarebbe errato pensare che il nuovo artista guardi senza rispetto e con disprezzo ai musicisti
che lo hanno preceduto. Nessuno più del nuovo artista può amare i maestri della musica antica e
nessuno più di lui li deve comprendere. Ma questo amore e questa comprensione non devono mai
diventare filistei, cioè fargli rinnegare tutto quanto si discosti dall’antico»97
«No, la sinfonia non è morta, come siamo stati indotti a pensare talvolta: fa ancora parte della musi-
ca. Certo, a volte essa è stata ridotta al significato etimologico del termine, mentre in altri casi la si è
presentata in forme profondamente modificate rispetto alla struttura originaria in quattro movimenti.
Ma a partire dagli anni Settanta si assiste ad un graduale ritorno alla configurazione tradizionale,
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