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IL TROMBONE E IL LINGUAGGIO DEL JAZZ

di
Maurizio Franco

Nella storia del jazz, il trombone evoca soprattutto le epoche più arcaiche, il New Orleans Style ed
il Dixieland, nel quale il suo ruolo si impone anche visivamente all’interno dei gruppi. La sua
presenza è però costante in tutto il percorso della musica afroamericana così come nelle linee
europee del linguaggio jazzistico, come si può facilmente verificare guardando gli organici dei
gruppi di rilievo dei vari stili in cui questo genere viene suddiviso. Caratterizzato da una
impostazione particolarmente vicina a quella “vocale” per tipologia di emissione e di fraseggio, in
grado di produrre sonorità morbide e ovattate quanto roche, “di gola”, il trombone è strumento
particolarmente duttile; per esempio, si rivelò particolarmente congeniale per ottenere effetti
onomatopeici ed imitare il suono degli animali, come dimostrano le registrazioni degli anni ’10 e
dei primi anni ’20, mentre a livello generale, cioè nella dimensione di gruppo, ha assunto funzioni
di vario natura. In particolare, completa la tessitura strumentale nel registro grave, sia negli intrecci
sia negli impasti sonori con le trombe, il clarinetto e con i sassofoni dai suoni più acuti, ma anche
sostituendo il contrabbasso ed il basso tuba nelle manifestazioni del protojazz. Questo è il suo
principale ruolo negli arrangiamenti per piccolo gruppo, a cui si aggiunge anche la funzione di
armonizzare il rapporto tra sax e trombe nelle formazioni più ampie, come per esempio le small
band e le big band, organici nei quali il sound dello strumento favorisce la compattezza degli
impasti sonori. Tra l’altro, per la natura stessa dello strumento, ed il suo ruolo nei gruppi jazz, i
trombonisti sono spesso validi arrangiatori e compositori, come dimostrano Eddie Durham, Bob

Brookmeyer, Slide Hampton, Jay Jay Johnson, Kay Winding, Steve Turre, per citare solo alcuni
nomi che provengono da tutta la storia del jazz. Comunque, il trombone occupa da subito una
posizione di rilievo nella storia del jazz in quanto è un’imprescindibile componente degli organici
dello stile di New Orleans, nel quale il suo posto era all’interno di una front line di cui completava,
con punteggiature armoniche nel registro grave, l’intreccio polifonico con la tromba ed il clarinetto.
Non solo, ma il primo disco autenticamente di jazz registrato da un musicista afroamericano fu
realizzato nel 1922 da Edward “Kid” Ory, il trombonista per eccellenza del jazz della città sul
delta del Mississippi, partner di Louis Armstrong e di tutti i grandi musicisti neworleansiani, che
per quanto limitato dal punto di vista strumentistico, interpretava con grande esperienza la sua parte
nel collettivo polifonico. Uno dei primi, importanti solisti di trombone fu, invece, J.C.
Higginbotham, ispirato dalle frasi dei trombettisti, in primo luogo Armstrong, mentre di particolare
efficacia e potenza negli insieme era George Brunis, membro dei New Orleans Rhythm Kings.
Charlie Irvis viene invece considerato il primo maestro nell’uso delle sordine, che gli consentivano
di ottenere un suono particolarmente vocalizzato e terroso, al pari di quello di Charlie Green,
esponente di rilievo della band di Fletcher Henderson, che nel rapporto con le voci del blues
classico, in particolare quella di Bestie Smith, esaltò la dialettica voce-strumento, strumento-voce
tipica del jazz. Il solista più rilevante della prima età del trombone è stato però Jimmy Harrison,
uno dei primi autentici improvvisatori che operarono sullo strumento. Si ispirava ai trombettisti

anche Miff Mole, che guardava alla morbidezza di suono di Bix Beiderbecke e finì per ispirare
Tommy Dorsey, uno dei più famosi band leader dell’era Swing; ancora più celebre è stato Glenn
Miller, anch’egli trombonista, autore e arrangiatore come lo fu Dorsey. Sempre negli anni ’20 si
afferma, nella compagine ellingtoniana, la figura di Joe “Tricky Sam” Nanton, un assoluto
maestro nell’uso delle sordine, soprattutto la plunger e la wa-wa, che conferivano un sound
particolare ed estremamente vocale ai suoi assoli. Quella dei trombonisti di Ellington è una storia a
se nel percorso dello strumento, ed annovera personaggi straordinari; per esempio, negli anni ’30,
oltre a Nanton, che occupava quella che veniva definita la “plunger chair”, l’orchestra del Duca
annoverava il trombonista portoricano Juan Tizol, brillante solista non improvvisatore, e il superbo
Lawrence Brown, dal meraviglioso senso melodico, uno dei più completi e duttili trombonisti
dell’intera storia del jazz. Tra i più creativi esponenti della Swing Era troviamo Benny Morton,
specialista nell’invenzione di riff carichi di swing, Dicky Wells, improvvisatore dal fraseggio agile,
fluido e dal suono legato, il duttile Vic Dickenson e poi Trummy Young, che in seno
all’orchestra di Jimmie Lunceford dimostrò un grande dinamismo espressivo. Una figura a se è
quella di Jack Teagarden, il trombonista texano che fu importante partner di Armstrong, sviluppò
gli aspetti dell’improvvisazione sul suo strumento, trovando una sonorità particolare, ampia e
raffinata, addirittura vellutata. Per il formidabile senso dello swing, la bellezza del suono, la
precisione e l’agilità del fraseggio, Teagarden resta una delle figure di trombonista più influenti

dell’intera storia del jazz, capace di influenzare strumentisti di tutti gli stili e le epoche jazzistiche.
La piena modernità del trombone venne però raggiunta con il Bebop, stile che segna anche il
definitivo raggiungimento di una piena, totale dimensione solistica ed improvvisativa. In tal senso il
musicista di maggior prestigio sarà Jay Jay Johnson, l’artista afroamericano che più di ogni altro ha
rappresentato il punto di riferimento per i trombonisti jazz. Compositore, arrangiatore, oltre che
eccelso strumentista, Johnson ha portato nel suo strumento il linguaggio messo a punto da Charlie
Parker e Dizzy Gillespie, evidenziando un suono ruvido ed un uso della pronuncia staccata-legata
assolutamente unici, governati da un senso ritmico eccezionale. Il suo pendant bianco sarà il
danese-americano Kay Winding, dal suono morbido e legato, anch’egli competente arrangiatore,
con cui costituirà, intorno alla metà degli anni ’50, un duo di tromboni denominato Jay & Kay, che
divenne una delle formazioni di maggior successo del periodo e si caratterizzò per la raffinatezza
della scrittura, con la quale vennero esplorate le molteplici possibilità di un simile organico. Il
gruppo si allargò anche a quattro o addirittura otto tromboni, aprendo la strada al lavoro futuro di
arrangiatori quali Slide Hampton e Steve Turre. Sempre negli anni ’40 si affermerà, in seno
all’orchestra di Woody Herman, uno strumentista virtuoso e brillante quale Bill Harris, mentre nel
decennio successivo, in ambito west coast, acquisiranno grande rilievo Carl Fontana e Frank
Rosolino, virtuosi eclettici e solisti estrosi. Una figura di assoluto rilievo, specialista dello
strumento a pistoni, è invece Bob Brookmeyer, la cui limpida contabilità e la meravigliosa

precisione esecutiva, oltre alle doti di compositore e arrangiatore consapevole dell’intera storia del
jazz, hanno fatto di lui una delle icone bianche dello strumento. Tra la seconda metà degli anni ’50
ed il decennio successivo si affermeranno un gran numero di eccellenti strumentisti, tra i quali
occorre segnalare Urbie Green, Jimmy Cleveland, Eddie Bert, Britt Woodman, virtuoso
eccelso, Bill Watrous, Al Grey, Benny Green, Quentin Jackson, il versatile Julian Preister. Si
distinguono però per concezione ed importanza le figure di Jimmy Knepper, per anni al fianco di
Charles Mingus, strumentista in grado di riassumere diverse modalità stilistiche nell’uso del
trombone; Curtis Fuller, intenso improvvisatore di stretta osservanza Hard-Bop; Slide Hampton,
dalla superlativa chiarezza espressiva, oltre che arrangiatore capace di raccogliere l’eredità di
Johnson e Winding. Nell’area più radicale, oltre a Willie Dennis troviamo due figure in grado di far
convivere tradizione e innovazione: Roswell Rudd e Grachan Moncur III. Il primo è un maestro
assoluto del trombone contemporaneo, capace di muoversi con estrema libertà nella linea
dell’informale jazzistico, quanto di recuperare spunti provenienti dal jazz più arcaico. La sua
monumentale sonorità trova una considerevole varietà di accenti, tra cui il recupero del growl e dei
suoni tipici degli anni ’20, poste al servizio di un linguaggio di forte caratura drammatica. Il
secondo, interessante anche come compositore di forme originali e complesse, sviluppa un
fraseggio basato sulle concezioni tematiche maturate negli anni ’50 e ’60, trovandosi a suo agio in
qualsiasi contesto. Un musicista affermatosi negli anni ’70 e attento allo sviluppo delle nuove

tematiche compositive, all’uso dell’elettronica, nonché grande manipolatore del suono, è George
Lewis, ispirato anche dalla musica contemporanea eurocolta, che ha esplorato le più riposte
possibilità sonore e dinamiche dello strumento. Glenn Ferris rappresenta invece un musicista
capace di proseguire, sul piano della sintesi, la lezione di Jimmy Knepper, mentre un moderno
continuatore della grande tradizione dei trombonisti da big band è John Mosca. Ray Anderson
porta il suo trombone, partito dalla scena più radicale, nell’ambito del funky e di un jazz estroverso
e divertente, mentre Joseph Bowie salta direttamente nel terreno del funk più diretto e
coinvolgente. I trombonisti contemporanei più influenti sono però Robin Eubanks, stilisticamente
versatile, Wycliffe Gordon, capace di recuperare gli stilemi del trombone del jazz cosiddetto
“classico”, e soprattutto Steve Turre, le cui grandi possibilità strumentistiche emergono soprattutto
nell’ambito di un evoluto contemporary mainstream Il trombone jazz ha trovato un terreno fertile
anche in Europa, in particolare grazie ad una personalità storica di assoluto rilievo: Albert
Mangelsdorff, strumentista tedesco che ha esplorato le possibilità del multisuoni riuscendo
addirittura a costruire sul trombone sequenze ad accordi. Improvvisatori radicali sono invece
l’inglese Paul Rutherford ed il tedesco Connie Bauer, mentre un giovane musicista, che si
distingue anche come compositore, è un altro tedesco: Nils Wogram, articolato interprete e autore
di un evoluto modern mainstream, mentre la scena italiana si presenta storicamente ricca; volendo
citare solo pochi nomi, non possiamo tralasciare quelli, storici, di Dino Piana, specialista del

trombone a pistoni, e Giancarlo Schiaffini, che nel suo modo di suonare ingloba elementi della
musica contemporanea accademica, e quelli attuali di Roberto Rossi, strumentista dotato di un
pieno senso della storia del jazz, e l’avventuroso Gianluca Petrella, che ha sviluppato la ricerca
sonora e linguistica sullo strumento.

Maurizio Franco

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