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CHARLES MINGUS

RITRATTO IN TRE COLORI DI UNA LEGGENDA AFROAMERICANA

I. Biografia e Formazione

Charles Mingus nasce il 22 Aprile 1922, a Nogales, una cittadina dell’Arizona.


Possiamo accennare subito a come la sua precaria identità di origine abbia
influenzato enormemente sia lo sviluppo psicologico che musicale di questo
grande artista: il padre Charles Mingus Sr era nato occasionalmente dall’unione di
Daniel Mingus, un mezzadro nero che aveva preso il cognome dei suoi padroni di
origini tedesche, e Sarah, la nipote dei suddetti padroni. La madre Harriett Sophia
Phillips a sua volta era nata da un cinese di nome John e una donna di colore.
Questa forma di appartenenza sociale e la genealogia meticcia fanno si che la
formazione del giovane Charles fosse piuttosto anomala e difficilmente
inquadrabile in un percorso definito. Le due sorelle Grace e Vivian, più grandi di lui
di qualche anno, erano già state instradate nello studio rispettivamente del violino
e del pianoforte, strumenti tendenzialmente associati alla musica colta europea. Il
motivo di questa scelta familiare è riscontrato nella necessità del padre di educare
i propri figli nell’ottica borghese bianca dell’epoca, ovvero un arduo tentativo di
inserimento sociale in un contesto certamente distante da quello afroamericano. In
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ogni caso il piccolo Charles ebbe modo inizialmente di approcciare la musica
attraverso lo studio del trombone, che tuttavia non fu una scelta felice a causa
della scarsa maneggevolezza dello strumento per un bambino e il difficile
approccio in quanto strumento imperfetto a livello di intonazione ed emissione, a
differenza per esempio di un pianoforte o una chitarra o un violino. Anche la scarsa
pazienza dell’insegnante di trombone, un certo signor Young, che Charles aveva
conosciuto nella chiesa metodista frequentata dalla famiglia, sicuramente non fu
d’aiuto. Poco tempo dopo, il giovane Mingus si cimentò nello studio del
violoncello. Fin da subito manifestò una grande propensione musicale tramite il
suo orecchio spiccato, e trovò nel violoncello un approccio sicuramente meno
faticoso. Possiamo notare fin dagli esordi quindi (aveva poco meno di 10 anni) una
tendenza a prediligere gli strumenti di basso registro. Negli anni a seguire Mingus
era solito esibirsi in chiesa insieme alle due sorelle come violoncellista, e in questo
periodo, durante il quale la musica era sempre la sua occupazione principale
nell’arco della giornata, Charles si imbatte in una trasmissione radio in cui suonava
l’orchestra di Duke Ellington. Fu così che scoprì qualcosa che non aveva mai
sentito prima e che fin da subito lo affascinò enormemente. Vedremo in seguito
come la figura di Ellington riveste un ruolo fondamentale nella vita e nella musica di
Mingus. Tuttavia lungo l’intero periodo della sua formazione fino anche all’età
adulta Mingus manifesterà un fortissimo e costante interesse per la musica
classica piuttosto che per il jazz, in particolare per la musica di Bach, Richard
Strauss, Debussy, Ravel e Schoenberg.

Possiamo identificare una prima svolta decisiva alla sua formazione nell’incontro
con due personaggi: il trombonista Britt Woodman e Buddy Collette, un giovane
sassofonista, clarinettista e compositore più grande di qualche anno che aveva
però maggiore esperienza musicale e già lavorava con una sua formazione.
Collette lo accolse nel suo gruppo e da lì nacque una grande amicizia che porterà
il giovane Charles a conoscere il mondo del jazz, a lui totalmente oscuro fino ad
allora, causa lo stampo borghese e lontano dal mondo afroamericano in cui
versava la vita familiare e gli scarsi sbocchi lavorativi come violoncellista in ambito
classico perché come sappiamo, all’epoca, a nessun musicista nero era permesso
di avvicinarsi alla carriera classica professionale. Più tardi Mingus conoscerà
Callender che gli darà lezioni di contrabbasso. Nel corso del tempo Charles
affinerà la sua tecnica al contrabbasso mosso da una fortissima necessità di
affermarsi e diventare “il più grande bassista del mondo” come lui stesso diceva.
Avrà modo di conoscere Barney Bigard, clarinettista che collaborava con Ellington,
e in seguito farà un tour con Louis Armstrong (1943) e suonerà con l’orchestra di
Lionel Hampton. Più tardi, nei primi anni 50 Mingus entra in contatto con le
leggende viventi del be-bop, Charlie Parker, Dizzy Gilllespie, Bud Powell eccetera.
Nonostante nutrisse una stima enorme nei confronti di questi personaggi, la sua
posizione sociale e personale nei loro confronti era piuttosto avversa: Mingus
considerava i boppers (in particolar modo Parker) dei disagiati, tossicodipendenti,
scarti della società, persone deboli alle quali preferiva non essere associato, come
dichiarò pubblicamente durante un incidente a un concerto con Parker e Powell.
La ragione è semplice: Mingus era creolo, la sua identità sociale era perciò poco
definita, e per tutta la sua giovinezza era stato snobbato dai bianchi ma
contemporaneamente non accettato dagli afroamericani. Egli sentiva la profonda
necessità di imporre la sua personalità ed essere considerato al pari dei musicisti
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classici bianchi, per cui la lotta al razzismo diventerà una caratteristica principale
nonché un messaggio costante nella sua musica.

Un altro incontro fondamentale nella formazione artistica di Mingus va riscontrato


nella frequentazione di Lloyd Reese, con il quale ebbe la possibilità di studiare
armonia e composizione e scoprì così le arti dell’orchestrazione e
dell’arrangiamento. Gli incontri con Reese ampliarono la percezione musicale di
Mingus in modo smisurato, non solo in termini tecnici ma anche dal punto di vista
emotivo e interiore. Grazie a Reese infatti crebbe in Mingus la sicurezza
professionale, la capacità di relazionarsi agli altri musicisti e acquisì grandi doti di
leadership, che in futuro gli garantiranno una attività produttiva e concertistica di
altissimo livello. Rimanendo sempre in tema antropologico, un altro incontro
importante, forse poco ai fini musicali ma determinante sul piano umano, fu quello
con Farwell Taylor, un pittore di murales che Mingus conobbe a San Francisco, il
quale era più grande di lui di una decina d’anni. Taylor era vicino alle idee della
beat generation, e aveva una grande capacità di controllo di sé che trasmise a
Mingus tramite la pratica della meditazione. Questa forma trascendente di
approccio alla vita sicuramente diede un contributo importante alla crescita
personale di Mingus e probabilmente alla profondità e il carattere antropologico
che pervadono i suoi capolavori.

Un’altra personalità con cui sicuramente Mingus trovò grande affinità la ritroviamo
in Eric Dolphy: la sua sprizzante vena eclettica ebbe sicuramente grande presa sul
contrabbassista, nonché il suo carattere esuberante e vivace. Dolphy e Mingus
divennero grandi amici, tanto che a seguito di un tour in Europa dal quale Dolphy
non fece ritorno perché decise di rimanerci, Mingus scrisse un brano dal titolo “So
Long Eric” dedicato al suo amico. Il titolo esteso del brano era “Don't Stay Over
There Too Long, Eric” e con buone probabilità Mingus volle esprimere in senso
metaforico il desiderio affinché Dolphy tornasse in America a fare musica con lui,
ma purtroppo quest’ultimo morì a Berlino poco tempo dopo, per cui tale desiderio
non venne mai esaudito.

Oltre ai vari musicisti con cui Mingus collaborò e che vedremo in seguito
analizzando alcuni aspetti salienti dei suoi lavori, da menzionare nella sua carriera
sicuramente va citato il rapporto stretto che ebbe con il batterista Max Roach.
Insieme fondarono una etichetta discografica indipendente, la Debut Records, che
aveva come obiettivo l’intento di fare emergere appunto i giovani musicisti che
avevano avuto difficoltà o non godevano di meritata celebrità. Una delle incisioni
maggiormente ricordate della Debut Records è quella con Gillespie, Parker, Bud
Powell e lo stesso Max Roach. Purtroppo l’etichetta non ebbe una vita felice e
poco tempo dopo Mingus si ritrovò coinvolto in altre situazioni che richiedevano
maggior presenza e impegno, incentrandosi prevalentemente sulla sua produzione
musicale e concertistica.

Più tardi infatti si dedicherà alla sperimentazione degli ensemble allargati, non
propriamente orchestre, poiché si trattava di formazioni composte da circa 8/10
elementi. Fondò una sorta di collettivo conosciuto come Jazz Workshop, che
aveva un chiaro intento speculativo, ovvero sperimentare un approccio alternativo
al be-bop e parallelamente al cool jazz, facendosi inconsapevolmente precursore
dell’estetica appartenente al free jazz. Infatti la caratteristica principale di questo
collettivo era quella di ricercare una sonorità improntata sull’insieme come
strumento unico, senza l’isolamento di un solista accompagnato da una sezione,
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piuttosto si provava a portare avanti un tentativo primordiale di improvvisazione
collettiva. Questi elementi conferiscono alla musica di Mingus un valore unico e
inestimabile, poiché la sua ricerca fu estremamente influente sulle generazioni a
venire, in particolar modo quelle del free e tutto il movimento rivoluzionario di
Ornette Coleman.

II. Duke Ellington e Charlie Parker

Come abbiamo accennato in precedenza la musica e la persona di Duke Ellington


rappresentarono per Mingus un modello musicale espressivo potentissimo, in
relazione non solo alla composizione e orchestrazione, ma riguardo a tutta
l’estetica musicale che caratterizza l’opera mingusiana. Come detto pocanzi,
Mingus ascoltò per la prima volta l’orchestra di Ellington alla radio, e rimase
folgorato da quella sonorità incredibile che rimarrà per tutta la vita impressa nella
sua mente. Qualche anno dopo aver ascoltato quella esecuzione alla radio, all’età
di 15 anni Mingus assisterà per la prima volta a un concerto dal vivo dell’orchestra
di Ellington a Los Angeles, accompagnato dal suo amico Britt Woodman: fu per lui
un’esperienza unica e indimenticabile, che fece accrescere esponenzialmente
l’adulazione che il giovane Mingus aveva per il duca. Circa una ventina d’anni
dopo, nel 1953, Mingus riuscì addirittura a suonare per qualche giorno con il suo
mito, nella sua orchestra, sebbene Ellington fu costretto dopo qualche giorno a
mandarlo via per una lite tra musicisti. Nel 1962 però Mingus registrò un album in
trio con Max Roach e Ellington, che venne poi edito dalla Blue Note: “Money
Jungle”. Questo disco, oltre ad essere una rarità nella produzione Ellingtoniana
(assieme a “Duke Ellington & John Coltrane”) che vede una prevalenza di lavori
orchestrali, rappresenta una pietra miliare nonché un capolavoro senza tempo
nella storia del jazz. Nonostante nel corso della registrazione ci furono diversi
problemi (Mingus litigò con Roach) la riuscita dell’album fu incredibile, e Mingus ne
rimase segnato.

L’influenza che Ellington ebbe su Mingus la riscontriamo in diversi parametri


musicali ed estetici: l’impiego di organici allargati in primis (gran parte dei lavori di
Mingus vanno dal sestetto/settetto in su), il focus su particolari strumenti, l’utilizzo
degli effetti Ellingtoniani come ad esempio le trombe con sordina plunger, il ruolo
che acquista il compositore-band leader e il suo rapporto con gli altri musicisti, le
continue dediche o allusioni verbali che si trovano in moltissimi titoli dei pezzi di
Mingus.

Sicuramente va menzionata l’importanza che ebbe il ruolo di Billy Strayhorn:


troviamo in Mingus la predilezione per strutture tematiche abbastanza lunghe
oppure delle orchestrazioni ricche e armonicamente complesse in termini di
tensioni e morbide dissonanze, tutte caratteristiche tipiche dell’operato
strayhorniano. Ad esempio, nonostante sia l’ennesimo palese omaggio a Duke
Ellington, ritroviamo delle similitudini strayorniane nella ballad Duke Ellington
Sound Of Love, dove ci sono alcuni frammenti tematici di Lush Life e Take The A
Train.

Gli esempi di omaggi e repentini riferimenti a Ellington li riscontriamo in diversi


brani, ad esempio “Bemoanable Lady” è un chiaro tributo a Prelude To a Kiss,

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dove l’esecuzione di Eric Dolphy richiama in un certo senso lo stile di Johnny
Hodges, sassofonista di punta dell’orchestra di Ellington. Stilisticamente parlando,
uno dei capisaldi della produzione mingusiana in cui riecheggia fortemente lo
spirito di Ellington è sicuramente la suite “The Black Saint And The Sinner Lady”:
gli elementi che configurano questa analogia sono al contempo le sonorità e
l’orchestrazione, impiego della forma estesa, connubio tra composizione e
improvvisazione, la componente autobiografica e l’ispirazione dei solisti allo stile di
Johnny Hodges. Anche in Open Letter To Duke troviamo queste stesse
caratteristiche.

Si può dire che Mingus non fu mai un vero e proprio bopper, anzi egli subì il
fascino e la potenza di questa musica piuttosto tardi, più o meno agli inizi degli
anni 50, in seguito al suo trasferimento a New York. Infatti prima di allora Mingus
era uno dei pochissimi musicisti della west Coast (se non l’unico) a non avere
grande ammirazione per i boppers newyorkesi come Parker e Gillespie. Tuttavia il
rapporto a stretto contatto con Charlie Parker scatenò in lui un’energia tutta nuova.
Parker lo volle spesso a suonare nel suo quintetto e in quel periodo Mingus
conobbe alcuni aspetti del jazz che aveva parzialmente trascurato: la potenza dello
swing in se e per sé, la crucialità dell’espressione individuale e antropologicamente
parlando il valore profondo dell’essenza della tradizione afroamericana. In un certo
senso possiamo affermare che il rapporto con Parker rappresenta un
cambiamento o meglio uno sviluppo interiore e artistico potentissimo nella
personalità di Mingus. Il fatto che il periodo in cui Mingus abbia suonato con
Parker coincide con il progressivo declino di quest’ultimo gioca un ruolo
fondamentale: Mingus si rese conto che quel modo violento di vivere la vita e
combattere contro il razzismo tipici di Parker, contrapposti al modo scherzoso e
servile di rapportarsi alla comunità bianca invece di Louis Armstrong, sarebbero
stati un motore potente per maturare un percorso artistico votato alla lotta politica
nera e che la forza e la posizione che assumeva la musica in questo senso gli
avrebbero dato una grande spinta spirituale. Permeato dal suo senso di
pessimismo e in continua lotta con se stesso, Mingus vede Parker come un
uccello che sta morendo, ma il suo spirito rimarrà in lui e la sua reincarnazione gli
darà la forza di andare avanti. Scriverà in sua memoria infatti il celebre brano
“Reincarnation of a Lovebird” nel 1956. In questo magnifico tema riscontriamo
degli elementi contrastanti riguardo lo stile di Parker, come se Mingus volesse
affermare di averne assorbito l’essenza ma di discostarsene con attenzione. La
tonalità inconsueta di Fa diesis minore, ad esempio, spinge i solisti a trovare
soluzioni innovative al di fuori degli automatismi del bop, sempre nell’ottica
mingusiana di rendere la libertà solistica un mezzo espressivo al servizio
dell’insieme e non alla celebrazione individuale del solista. Possiamo riassumere
dicendo che Mingus disprezzava il be-bop come stile compositivo e come forma
di ricerca artistica, poiché rappresentava un piccolo grande episodio relegato solo
ad alcuni giganti del jazz, mentre tutti gli altri non erano che “copiatori” che si
adagiavano sulla fatica e il grandissimo sforzo che avevano fatto i primi boppers
per esprimere sé stessi e raggiungere la cristallizzazione di uno stile specifico. Egli
era ossessionato da questa idea dell’essere copiato e al contempo di copiare lo
stile di qualcun’altro, perciò rese personali solo alcuni aspetti del be-bop, senza
lasciarsi inquadrare e associare più di tanto a quel linguaggio di cui quasi tutti i
jazzisti dell’epoca erano soliti farsi padroni.

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III. Evoluzione dello stile

Nella carriera di Charles Mingus si può identificare uno sviluppo evolutivo


incredibile. Le ragioni di questo continuo evolversi vanno ricercate essenzialmente
nel suo vissuto, infatti come abbiamo accennato all’inizio la vita di Mingus fu piena
di colpi di scena e la sua nebbiosa e opaca identità familiare scatenò nella sua
mente profonda e brillante una serie di esplosioni emozionali e introspettive. Anche
la sua vita coniugale ne è una prova, con 4 matrimoni alle spalle. Il suo rapporto
con le donne era notoriamente difficile e contrastante: alternava sentimenti di
profonda ammirazione a disprezzo e mancanza di fiducia. In un certo senso
potremmo definirlo un romantico, seppure la sua personalità e il suo modus
vivendi è più facilmente associabile a un carattere decadente. Certamente lo
scontro con il mondo dei boppers rappresenta una svolta importante nella sua
carriera, poiché fu proprio lì che Mingus maturò determinati aspetti della sua
personalità e della sua poetica. Possiamo affermare che il primo album veramente
rappresentativo nell’operato di Mingus è “Pithecanthropus Erectus” (1956), dove
fatta eccezione per lo standard di Gershwin “A Foggy Day” troviamo tre sue
composizioni. La traccia che dà il nome all’album può essere considerata una
forma jazzistica riassuntiva di poema sinfonico che prepara il terreno allo stile
unico in cui Mingus si identificherà. Nonostante la formazione sia piuttosto ridotta
rispetto agli standard futuri del compositore riscontriamo la presenza di soli due
sassofoni oltre alla sezione ritmica, con un frizzante Jackie Mclean al contralto. La
particolarità di questo brano si evince nello sfruttamento timbrico della sezione,
aiutato dalla manipolazione in post produzione del mixaggio: i due sax sovrapposti
con giochi timbrici e tecniche alternative di registrazione, ad esempio la
spazializzazione tramite diversi posizionamenti del microfono di ripresa, danno
l’impressione che la formazione sia molto più grande di quella che è realmente. Un
altro esempio interessante di sperimentazione sonora ante-litteram la notiamo in A
Foggy Day, dove oltre a un’esecuzione del tutto singolare del tema di Gershwin,
Mingus utilizzò l’espediente dell’imitazione di suoni di fondo della città di San
Francisco che rappresentava per il compositore un grande campo emozionale.

Il lavoro discografico che segue Pithecanthropus Erectus è “The Clown” (1957),


anch’esso di cruciale importanza poiché segna il principio del sodalizio tra Mingus
e Dannie Richmond, che rimarrà a lungo a fianco del compositore e ne
caratterizzerà enormemente le sonorità dei lavori a seguire. In Haitian Fight Song,
possiamo notare il chiaro richiamo antropologico della lotta afroamericana, dove le
sonorità incalzanti e il climax dinamico che pervadono tutto il brano rappresentano
il sentimento di crescente rabbia e desiderio di rivalsa sociale del popolo di colore
contro l’ingiustizia e la prevaricazione, ancora fortemente sentita nell’America degli
anni 50. Troviamo non a caso qui la prima versione di Reincarnation of a Lovebird,
dedicata alla recente scomparsa di Parker.

Un capolavoro del 1959 è sicuramente l’album “Mingus Ah Um”, che viene fuori in
un periodo di svolta per tutto il mondo del jazz, non a caso nello stesso anno
uscirono dischi come “Kind of Blue” di Miles Davis, "Giant Steps” di John Coltrane
e “The Shape of Jazz To Come” di Ornette Coleman che sono sicuramente tra quei
dischi che possiamo considerare al contempo avanguardia e cristallizzazione di
stili profondamente diversi tra loro. Qui più che mai inizia ad emergere il carattere

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politico della musica di Mingus, con la magniloquenza del brano Fables Of Faubus,
irriverente e pungente ritratto del governatore segregazionista dell’Arkansas Orval
Faubus. Il brano fu parzialmente censurato dalla Columbia Records perché
conteneva un testo di esplicita critica e disprezzo nei confronti del governatore. La
versione integrale del brano comprensiva delle parole verrà pubblicata l’anno
seguente nell’album in quartetto con Eric Dolphy “Charles Mingus Presents
Charles Mingus”. Va certamente menzionata anche la profondissima ballad che
entrerà negli annali del repertorio di standards jazz “Goodbye Pork Pie Hat”,
romantica elegia al sassofonista Lester Young, per il quale Mingus nutriva
profondissima stima e ammirazione.

Identifichiamo un ulteriore punto di svolta stilistica nella suite-balletto “The Black


Saint and The Sinner Lady” del 1963. Più che mai in questo capolavoro Mingus
dipinge in musica la drammaticità della sofferenza del popolo afroamericano, con
l’intento probabilmente di trasmettere un augurio di speranza e rinascita. Il
carattere profetico e anticipatorio di questo disco è intriso dell’influenza di Duke
Ellington (solo un anno prima era stato registrato il sopracitato Money Jungle)
soprattutto nella modalità di orchestrazione degli ottoni e nell’approccio
essenzialmente libero che Mingus concesse ai suoi musicisti facendogli
semplicemente sentire la struttura del brano al pianoforte, tutti stilemi che
ritroveremo nel free di Ornette Coleman e di tutti quei musicisti che si
accosteranno in futuro a questa corrente.

A questo decennio estremamente proficuo in termini musicali e stilistici segue


contrariamente un periodo di ritiro dalle scene discografiche e chiusura in sé
stesso, nel quale Mingus si rifugia per cercare di combattere i suoi demoni interiori
e risolvere le sue regresse crisi esistenziali, probabilmente anche a seguito della
scomparsa del suo grande amico e collaboratore Eric Dolphy. Nonostante questa
pausa di circa dieci anni nel 1974 Mingus formerà un nuovo gruppo con degli
iconici musicisti: oltre al fedele Dannie Richmond alla batteria troviamo l’eclettico
pianista Don Pullen, il trombettista Jack Walrath e il sassofonista George Adams.
Con loro registrerà uno dei suoi massimi capolavori che segna se vogliamo una
sorta di traguardo stilistico e un riassunto esistenziale della sua carriera e vita: si
tratta del doppio album Changes, dove lo stile multitematico e poliritmico viene
fuori più che mai affiancato a un profondo senso del blues. Impossibile non
menzionare alcuni capolavori come Sue’s Changes, dedicato alla sua ultima
moglie e ai suoi repentini cambi d’umore, o l’ennesimo tributo a Ellington “Duke
Ellington Sound of Love”, o ancora la caldissima “Orange Was The Color of Her
Dress, Then Blue Silk” o la cupa “For Harry Carney”, dedicata allo storico
fedelissimo sassofonista/clarinettista dell’orchestra di Ellington.

Nel 1977 Mingus scopre di avere la SLA, terribile malattia neurodegenerativa che
lo porterà gradualmente alla morte il 5 Gennaio del 1979. L’ultimo lavoro a cui si
stava dedicando era un album a quattro mani con la cantautrice canadese Joni
Mitchell, che dopo la sua morte prematura condurrà ugualmente alla luce,
considerandolo una sorta di tributo al compositore. Il disco porta il nome stesso di
“Mingus” appunto e si può considerare un caposaldo della letteratura del jazz
moderno e punto di incontro con il jazz rock: i componenti della band sono infatti
dei pionieri della nuova corrente “elettrica” tra cui troviamo giganti come Jaco
Pastorius al basso, Peter Erskine alla batteria e il sassofonista Wayne Shorter, per
altro componenti del leggendario gruppo fusion Weather Report. Oltre a loro tre
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abbiamo Herbie Hancock al pianoforte, Don Alias e Emil Richards alle percussioni,
e ovviamente Joni Mitchell alla voce e chitarra. Seppure questo disco non può
essere considerato un lavoro di Mingus, la sua personalità e il suo stile sono
chiaramente l’anima dell’opera nonché una grande eredità spirituale affidata alla
voce della cantautrice.

A proposito di eredità, in seguito alla morte di Mingus la moglie Sue Graham si


occuperà di portare avanti la testimonianza musicale e artistica del defunto marito
gestendo e producendo la Mingus Big Band, che rappresenta un grande punto di
riferimento per tutto il mondo del jazz negli anni a venire.

In conclusione la musica di Charles Mingus va considerata come un binario


parallelo all’evoluzione del jazz stesso, in quanto ha impresso il suo marchio di
fabbrica unico e irripetibile senza mai scendere a compromessi. Egli come
Ellington, Thelonious Monk, Miles Davis, Wayne Shorter, Ornette Coleman e tanti
altri è riuscito a scrivere una storia a sé poiché ha fatto della ricerca personale
compositiva una ragione di vita, ha creato un suo linguaggio autentico senza
prendere le orme di qualcun altro, e la profondità delle sue opere è fortemente
tangibile quando si prova ad ascoltarlo.

Carlo Ferro

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