Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
L’accostamento di Bix a Baker appare molto naturale, infatti nella recensione dello stesso disco Chet is
Back! Rodolfo D’Intino scrive: “la prima volta che ascoltai dal vivo “La migliore tromba bianca del
mondo" fu appunto in quell’anno, in occasione di un concerto al Teatro Eliseo. Il suo fraseggio era
spezzato e frammentario, come un singhiozzo. Uno stile sommesso, esitante, pudico: un linguaggio
lirico e insieme drammatico che ricordava con identità impressionante Bix Beiderbecke, il trombettista
bianco stroncato giovanissimo dall’alcool negli anni del proibizionismo. Le analogie però erano più
profonde: riguardavano non soltanto lo stile ma anche l’atteggiamento verso la vita, insofferente e
anticonformistico.”
Ancora: Quanto vicendevolmente il nostro paese e la sua voce, si siano influenzati: gli anni italiani
costituirono per Baker sempre un porto sicuro, fu influenzato dalla nostra cultura e quanto la sua
impronta abbia a sua volta influenzato musicisti dall'esperienza ormai oltre che ventennale delle
nostre zone: basti citare Amedeo Tommasi, Enrico Pieranunzi, Ennio Morricone, Massimo Moriconi,
Giovanni Amedeo, Nicola Stilo, Nino Buonocore
Nonostante la sua vita personAle difficoltosa Baker non fu solo l'angelo maledetto conosciuto da tutti
ma un musicista, un uomo, un essere pensante, che ha vissuto ed ha dato tanto al di là delle vicende
che lo coinvolgono con la droga.
Nell'estate del 1960 Baker si trovava in Italia per un tournèe organizzatagli da diversi produttori locali,
ma era stato legato al nostro paese già precedentemente: lo vediamo coinvolto già dal '59, quando
durante la session di registrazione dei dischi "C.B sextet & quartet" e "C.B sings and play", lavorò per il
Santa Tecla diversi mesi: nello stesso periodo, nel frattempo, affrontava una riabilitazione e
disintossicazione da Jetrium in una clinic a Milano, Villa Turro.
3
Chet Baker, quell’anno, reduce di diverse apparizioni disastrose4 dovute al ritorno all’uso d’eroina,
si trovava in Italia per un lavoro scritturato dall’impresario Sergio Bernadini. Ancora una volta
qualcuno fu pronto a dargli una mano: l’incarico copriva tutta la stagione estiva al Bussolotto, il piano-
bar della Bussola di Focette, rinomato locale della Versilia.
Accanto a lui, sul palco, il trio del pianista Romano Mussolini con Carlo Loffredo al contrabbasso e
Roberto Podio alla batteria. Lo stesso Bernadini lo raccomandò al medico Francesconi, per il periodo di
cura presso la sopracitata clinica.
Fu proprio nella clinica lucchese che quotidianamente, per oltre dieci giorni, venne praticata a
Chet, con la formula del day-hospital, una terapia a base di metadone che comportava una progressiva
riduzione del dosaggio, giorno per giorno. In questo modo, ogni sera, il paziente aveva il permesso di
andare a suonare al Bussolotto.
Diverse furono le impressioni che Chet, mai scontato e sempre avvolto da un velo di mistero,
mostrava a chi gli era attorno.
Lo stesso contrabbassista, Loffredo, ricorda quel periodo:
«Durante il giorno Chet spariva e si presentava cinque minuti prima di suonare, montava sul palco e
partiva come un razzo. Lì mi resi conto di quanto la gente possa cambiare sotto l’effetto della droga, si
trasformava in un altro uomo: non curante degli altri, viveva nel suo mondo e basta. Partiva con i pezzi e, noi
dovevamo essere enciclopedici, dovevamo sapere tutto, non solo non ci diceva cosa stavamo per suonare ma
dovevamo capire che canzone era e la tonalità che aveva scelto. È pur vero che i professionisti americani fanno
sempre così, ma noi stavamo suonando a Focette, non alla Carnegie Hall. [...] Abitavamo tutti nella stessa
pensione, finivamo di suonare e andavamo a casa insieme verso le due. Quindi verso le quattro, quando avevo
appena preso sonno, Chet entrava in camera mia come una furia dicendo: “Carlo, give me the key, I need your
car right now”, voleva le chiavi della mia vecchia Appia. [...] Poi si seppe dove andava: girava tutta la Toscana
per comprare droga. Così un giorno gli dissi che la mia Appia era rotta, la parcheggiai lontano, ma non si perse
d’animo e noleggiò un’altra macchina.»5
4
«Ricominciarono i guai. Al festival belga di Comblain-La-Tour, agosto 1960, il trombettista fece un’apparizione
letteralmente penosa» S. G. Biamonte, Chet Baker in Italia, in «Musica Jazz», Rusconi Editore, N. 12 (543), Fall 2013, pp.
XL–XLI
5
S. G. Biamonte, Chet Baker in Italia, in «Musica Jazz», Rusconi Editore, N. 12 (543), Fall 2013, p. XLI
E fu in quel giorno, il 23 agosto, che accadde: Chet Baker, «l’angelo maledetto»6, fu arrestato ed
incantò la città di Lucca per circa sedici mesi, con la sua musica, da dietro le sbarre di una prigione.
Leggiamo, ancora, le sue stesse parole:
pag. 89
Baker fu messo alla sbarra e, in quel periodo di detenzione la storia narra che essendo ben voluto
dalle guardie carcerarie, questi gli misero a disposizione un'ala del carcere per poter continuare a
studiare. Imparò l'italiano, si disintossicò quasi completamente e migliorò la sua tecnica già poco
notevole all'epoca. Fu in quel contesto che si dice abbia scritto 24 composizioni inedite, raccolte tutte
nel disco "Baker, oltre le mura" che avrebbero fatto da colonna sonora di un ipotetico, mai girato, film
di De Laurentiis.
La scarcerazione avvenne il 15 dicembre e per il successivo mese, a partire dalla sera stessa, il
quartetto di Lucca formato da GIOVANNI TOMMASO, VITO TOMMASO, ANTONELLO VANNUCCHI,
GIAMPIERO GIUSTI, lo accompagnò nei successivi concerti.
DISCO:
La raccolta di brani scritti in carcere andò perduta, ma dopo la scarcerazione avvenuta il 15 dicembre
del 61, la RCA Philology, nota casa discografica romana, intravide l'appeal commerciale di quelli che
furono i quattro brani inediti superstiti incisi del disco "CHET IS BACK!".
Insieme a Baker, vediamo protagonisti il pianista AMEDEO TOMMASI, i musicisti belgi con BENOIT
QUERSIN al c.basso, RENE' THOMAS alla chitarra e sax, BOBBY JASPAR al flauto, DANIEL HUMAIR
alla batteria.
Gli arrangiamenti sono a cura di un giovanissimo trentenne Ennio Morricone, eseguiti anche da un
coro a cura dei The Swingers.
I brani inediti furono registrati nella stessa sessione ma nel 33 giri pubblicato il 23 giugno 1962 non
comparvero; ciononostante, in italia, in quello stesso mese furono rilasciate alcune copie dei due 45
giri contenenti le 4 composizioni. La ristampa in CD avvenne molti anni dopo.
La session di registrazione avvenne il 5 gennaio del 1962 agli studi della RCA, Roma, prima ed unica
seduta di registrazione, che non hanno previsto prove precedenti, sessione durata dalle 14 a
mezzanotte.
6
Come il titolo dell'album suggerisce, Baker volle dare un forte segnale del suo ritorno alle scene ed il
modo in cui suona nella prima traccia del disco, "Well, you needn't" di Monk, lo testimonia.
La formazione che accompagna Baker in questo microsolco rappresenta un ristretto “vertice” del jazz
europeo. Gli otto brani, che mettono in rilievo il talento dei vari solisti, sono di genere eterodosso:
canzoni del repertorio tradizionale come “these foolish things” e “over the rainbow” rielaborate in
modo tale da farle apparire nuove e audaci; poi un tema classico del bebop come “barbados” appare
come un inno religioso.
Ma altrettanto liriche sono le ultime quattro tracce del disco, composizione inedite scritte e composte
dallo stesso Baker all'interno del carcere, che paiono essere le superstite composizioni delle 24 prima
citate: Il mio domani, Motivo su raggio di luna, Chetty's lullaby e So che ti perderò.
Scritte strumentalmente da Baker, il testo fu adattato successivamente alla melodia, come spiccherà
dall'esecuzione, da Alessandro Maffei ossia un funzionario pubblico del carcere di Lucca nonchè poeta.
In questi brani la funzione di Maffei fu quella di assecondare il testo alla metrica e al ritmo della
composizione: ciò sarebbe testimoniato dal fatto che la RCA avrebbe intuito il potenziale commerciale
dei brani ed abbia sentito la necessità di adattarne la melodia.
Nello scrivere della poetica e della vita di Chet Baker si ha l’impressione di avere a che fare con
qualcosa di incompiuto. Fragile è la sua voce dolce, la sua musica straordinariamente limpida, logica e
trasparente. Forse una delle più razionali e architettonicamente perfette della storia del jazz. Baker
incarnava il luogo comune di genio e sregolatezza.7
La caratteristica di Baker, «dualismo di complementarità»8, è il filo che lega indissolubilmente il
canto al suo strumento. Improvvisazioni con la tromba che molto assomigliano a quelle delle grandi
voci della tradizione jazzistica, interpretazioni e improvvisazioni vocali che paiono eseguite con la
tromba.
7
Chet BAKER, As Though I Had Wings. The Lost Memoir, New York, St. Martin’s Press, 1997, Paolo Fresu p. 116
8
CITAZIONI DEI VARI MUSICISTI INTERVISTATI
Benché non amasse definirsi, Baker si identifica in quanto trombettista e cantante: entrambe le
cose. Nel suo caso ci troviamo a dover considerare l’aspetto lirico spostato su due assi differenti ma
complementari.
Quello che colpisce ascoltando la musica di Baker, nonostante a volte si incagli su riff o sulla
ripetizione ossessiva di una frase, è un’incredibile ricchezza di linguaggio. E’ una musica che racconta
una storia ben precisa, la sua, in qualche modo distaccandosi dagli spezzati eventi che hanno invaso la
sua vita; difatti, paradossalmente ed in contrapposizione alla sua vita privata, la sua musica è morbida,
leggera, mai invadente, conosce il suo posto e lo rispetta, di grande innovazione ed influenza prima
be-bop poi cool
A un frammento di frase segue una scala blues, a questo silenzio carico di tensione poi una serie
di frasi costruite sul fraseggio be-bop.
Eppure la sua musica appare legata sempre ad un tema, riconducibile ad un’idea, a una ritmica
regolare. Non poche interpretazioni di Baker sono riconducibili alla canzone leggera, agli standards per
antonomasia. come le interpretazioni dei brani di Duke Ellington, Jerome Kern, George Gershwin,
Jimmy Han Heusen, Jule Styne e tanti altri compositori dei suoi anni.
Grazie alla sua tromba e alla sua voce, la forma AABA della canzone diventava un racconto fatto di
vissuto e di melodie lineari dove la nota di volta è ancora immersa nel suo mistero.
Undicesima nella scaletta del disco, Ascoltiamo “Motivo su raggio di luna”:
[…]
Nella stessa session fu registrata “Ballata in forma di blues” e approfitto di questo brano per salutare il
magnifico maestro Amedeo Tommasi venuto a mancare da poco.