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Gil Evans nasce in Canada nel 1912 per poi trasferirsi negli Stati Uniti

negli anni dell’adolescenza. Dal 1946 lo troviamo stabilmente a New


York. I suoi primi incarichi di arrangiatore li riceve dall’orchestra di
Claude Tornhill, con la quale collabora per quasi tutti gli Anni ’40. Si
tratta di un’orchestra che, pur agendo nel contesto della swing era, non
disdegnava delle sonorità più moderne. Ed è proprio con questa
formazione, infatti, che Evans comincia a sperimentare delle combinazioni
strumentali poco consuete nel mondo del jazz, impiegando, ad esempio, i
corni francesi. Erano i suoi degli arrangiamenti talmente avveniristici e
talvolta complicati da indurre alcuni musicisti dell’orchestra a sostenere
che Tornhill decidesse di suonarli quando aveva qualche motivo per punire
l’orchestra. Com’è noto, in quegli anni Evans viveva in uno scantinato alle
spalle di una lavanderia cinese e ben presto la sua casa divenne un punto
d’incontro per tutti quei musicisti impegnati a trovare delle vie di sviluppo
del linguaggio jazzistico, capaci di superare le regole del bebop. Fra questi
troviamo Gerry Mulligan, il trombettista Johnny Carisi, ma anche Lee
Konitz, George Russell e Miles Davis. Fu dall’incontro fra questi giovani
talenti che nacquero i celeberrimi arrangiamenti poi confluiti nell’album
della Capitol “Birth of the Cool”. A rendere caratteristica la formazione
era il fatto di essere un nonetto e la scelta era stata dettata
fondamentalmente dall’esigenza di contenere i costi rispetto alle normali
big band. Fu infatti proprio questo numero anomalo a indurre Evans a fare
impiego di strumenti come il corno e la tuba, che potessero arricchire il
sound della formazione. Il corno, peraltro, era già presente nella band di
Tornhill, ma era la prima volta che veniva impiegato in un ensemble di
medie dimensioni e non in una big band, come ad esempio era accaduto
con gli arrangiamenti scritti da Bob Graettinger per l’orchestra di Stan
Kenton.
Resta in ogni caso il fatto che quel primo incontro con Davis si rivelò
prezioso ai fini di un sodalizio che ha accompagnato i due musicisti nel
corso di tutta la loro carriera. Una nuova occasione nacque infatti quando
la Columbia propose a Davis di realizzare delle incisioni con un’orchestra,
lasciandolo libro di scegliere uno o più arrangiatori. La scelta di Davis
cadde subito su Evans e fu appunto quella l’occasione che vide nascere in
rapida successione, dal 1957 al 1960, gli album “Miles Ahead”, “Porgie
and Bess” e “Sketches of Spain”, un trittico destinato a occupare un posto
di primo piano nella storia del jazz moderno. Un quarto album, edito nel
1962, si intitolava “Quiet Nights” ed era dedicato alla bossanova, nel
frattempo diventata un fenomeno di un certo rilievo, grazie a Stan Getz. Si
tratta però di un album meno indovinato e non a caso uscì contro la
volontà di Davis. Non c’è dubbio, in ogni caso, che pur trattandosi di
album a nome di Davis, il contributo di Evans sia stato determinante per la
loro riuscita. Non a caso, dopo questa collaborazione, Evans continuò a
orientare le scelte estetiche di Davis anche con i dischi incisi in quintetto
per tutti gli Anni ‘60.
A proposito di “Porgie and Bess”, considerato unanimamente il capolavoro
dei due, va detto che la partitura era estremamente complessa e non a caso
è possibile cogliere delle imperfezioni nella registrazione, dovute
essenzialmente al livello no sempre soddisfacente di lettura a prima vista
dei musicisti impegnati. C’è poi da aggiungere che le partiture non ci sono
arrivate complete e non a caso un lavoro di revisione è stato effettuato da
Quincy Jones in occasione della ripresa avvenuta nel 1991 al festival di
Montreux, quando però il ruolo della tromba solista venne affidato a
Wallace Rooney, mentre Davis, già in cattive condizioni fisiche, si limitò a
qualche intervento solistico, lasciando a Rooney il compito più
impegnativo.
Dal 1957 troviamo finalmente Evans impegnato a incidere dischi a proprio
nome, circondato da solisti di tutto rispetto come i sassofonisti Lee Konitz
e Steve Lacy, il trombettista Johnny Coles o il trombonista Jimmy
Cleveland. Per Evans arriva finalmente l’occasione di poter orientare i
propri interessi verso le forme musicali che maggiormente lo attraevano.
Fra le sue passioni, ad esempio, c’era la musica spagnola (De Falla,
Rodrigo), come aveva già dimostrato lavorando con Davis, ma non
disdegnava il repertorio brasiliano (e infatti nel 1966 avrebbe anche
arrangiato un album di Astrud Gilberto) e poi nutriva un grande interesse
per le composizioni di Kurt Weill . In molti casi, i suoi arrangiamenti di
questi repertori si sono rivelati dei veri e propri processi di geniale
trasfigurazione nei quali i brani perdevano i loro connotati originali per
assumere tutte altre sembianze. E’ il caso, fra i tanti, di “Barbara’s Song”
di Weill che si ascolta nell’album “The individualism of Gil Evans” del
1964, nel quale fra l’altro suonano molti giovani musicisti di talento, come
ad esempio i bassisti Richard Davis e Ron Carter. In alcuni degli
arrangiamenti del disco, infatti, è prevista la presenza di due contrabbassi
che si contrappongono suonando con l’arco e col pizzicato. Si tratta di
arrangiamenti su tempi prevalentemente lenti, che si srotolano su tappeti
poliritmici. Anche la strumentazione brilla per originalità e impiega
strumenti come flauti, oboe e arpa che conferiscono ai brani una sonorità
decisamente diversa da quella delle classiche big band. Singolare, nella
scaletta, la scelta di un brano come “Spoonful” del bluesman Willie Dixon.

Negli Anni ’60 dobbiamo comunque registrare un periodo di stallo nella


sua produzione, dovuto a un allontanamento dal mercato che, a suo avviso,
aveva preso una deriva molto commerciale. Questo fu causa di un lungo
periodo di depressione che si conclude quando Evans ascoltò suonare il
chitarrista Jimi Hendrix, restando molto colpito dalla sua musica. Fu
questo incontro che lo spinse a riunire una nuova orchestra nella quale,
confermando le combinazioni strumentali del passato, potesse lavorare
sulla fusione dei linguaggi del jazz – che nel frattempo aveva conosciuto la
stagione del free – e del rock. E fu proprio questa sua scelta a renderlo
popolare verso nuove fasce di pubblico. Purtroppo, la scomparsa
prematura di Hendrix impedì a Evans di incontrarlo per un progetto
discografico che avrebbe dovuto coinvolgere anche Miles Davis e che
come sappiamo fu costellato da una lunga serie di appuntamenti mancati,
ma l’idea continuò ad andare avanti finché nel 1974 non uscì un album
interamente dedicato a Hendrix, nel quale il ruolo della chitarra era
affidato anche a John Abercrombie. Da questo momento in poi,
l’elettronica entra in maniera sempre più potente nelle sue formazioni con
la presenza di tastiere, sintetizzatori, ma anche di solisti come ad esempio
Jaco Pastorius, che porta nella band il sound del basso elettrico. Inoltre, da
questo momento gli arrangiamenti diventano meno complessi, più
frequentemente head arrangementes, con parti scritte e altre invece più
estemporanee, mentre la scrittura fa più frequentemente ricorso agli
unisoni. Per alcuni versi, si può dire che segua addirittura delle procedure
assimilabili a quelle di Mingus, autore destinato a diventare uno dei suoi
preferiti.
In ogni caso, l’album dedicato a Hendrix è preceduto nel 1973 da
“Svengali”, nel quale comincia a sperimentare a fusione di strumenti
acustici ed elettrici e che tutt’oggi viene ricordato come uno dei suoi dischi
migliori. Vi suonano fra l’altro i sassofonisti Billy Harper e Dave Sanborn,
il tubista Howard Johnson e il trombettista Marvin Hannibal Peterson.
Negli Anni ’80 lo troviamo ospite fisso dello Sweet Basil di New York, un
club del Greenwich Village dove per cinque anni suonerà ogni domenica
sera, avendo così modo di lavorare stabilmente e di poter mettere a fuoco il
repertorio. Il risultato sono gli album e i concerti ben noti, frutto di
un’orchestra ricca della presenza di musicisti come Lew Soloff, Alan
Rubin, Marvin Peterson, Tom "Bones" Malone, George Adams
(musician), David Sanborn, Hiram Bullock, Mark Eagan, drummer
Kenwood Dennard. A questo periodo risale la sua collaborazione per
l’arrangiamento della colonna sonora del film Absolute Beginners, con
musiche di personaggi quali David Bowie, Sade, Patsy Kensit, gli Style
Council e successivamente quella di “Il colore dei soldi” di Martin
Scorsese. Del 1987 è poi la celebre collaborazione con Sting che prese
corpo a Umbria Jazz e dove il repertorio del cantante, riarrangiato, si
accostò a quello dell’orchestra. Ricordiamo fra l’altro che a questo periodo
risale la sua collaborazione con Maria Schneider che per molti versi ne ha
raccolto l’eredità dopo la scomparsa. Muore nel 1988

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