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Charles Mingus
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Charles Mingus Jr. (Nogales, 22 aprile 1922 – Charles Mingus


Cuernavaca, 5 gennaio 1979) è stato un
contrabbassista, pianista e compositore statunitense.

Ritenuto uno dei più grandi musicisti e compositori


jazz della storia della musica,[1][2] ha collaborato con i
più grandi jazzisti del suo tempo, tra cui Louis
Armstrong, Duke Ellington, Charlie Parker, Dizzy
Gillespie e Herbie Hancock.[3]

Nel 1993, la Biblioteca del Congresso acquistò alcuni


documenti di Mingus, inclusi spartiti, registrazioni,
materiale pubblicitario e fotografie. Questa
collezione, venne definita "l'acquisizione più
importante di una raccolta di manoscritti relativi al
jazz nella storia della Biblioteca nazionale".[4]

La rivista Rolling Stone lo ha inserito al secondo


posto tra i migliori bassisti di tutti i tempi.[5] Charlie Mingus in una foto del 1976

All'anagrafe fu registrato come Charles A. Mongus, Nazionalità Stati Uniti


come riporta anche la stella in centro a Bologna.
Genere Jazz
Hard bop
Bebop
Indice Jazz d'avanguardia
Biografia Periodo di
1943 – 1979
I successi e le grandi collaborazioni attività musicale
Il declino Strumento contrabbasso,
Mingus e il Jazz italiano pianoforte,
Charles Mingus Day violoncello,
Discografia trombone
Note Sito ufficiale (https://mingusmingusmingus.c
Bibliografia om/)

Altri progetti
Collegamenti esterni

Biografia
Genio "pazzo e arrabbiato" per sua stessa definizione,[6] studia il trombone e il violoncello prima
di passare al contrabbasso su consiglio del sassofonista e amico Buddy Collette.

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Mingus, ossessionato dagli atteggiamenti di razzismo nei suoi confronti da parte sia di bianchi
che di neri a causa delle sue origini meticce, è uno dei primi a fondere musica e politica nei
propri brani e, inoltre, mostra subito una fortissima spinta a primeggiare[7].

Decide così di diventare il migliore bassista sulla scena, e ci riesce nel giro di pochi anni,
studiando prima con Red Callender, che suonò con Louis Armstrong, e poi con Hernan
Reinshagen - primo contrabbassista della New York Philharmonic - nel corso della sua carriera
suona Illinois Jacquet, Dinah Washington; quando nel 1947 entra nell'Orchestra di Lionel
Hampton è già leader di propri gruppi e ha già fatto i primi tentativi di composizione.

Mingus ebbe una prima infarinatura musicale grazie ai canti gospel delle congregazioni religiose
di Watt a Los Angeles in cui trascorse i suoi anni da bambino. Il blues ed il jazz delle origini
sono state una delle sue fonti d'ispirazione ma non le uniche: nel corso della sua vita le sue fonti
di ispirazione sono state anche extra-jazzistiche. Egli infatti ascolta Bach ogni giorno, studia
Richard Strauss e Arnold Schönberg, non nasconde una passione per Claude Debussy e Maurice
Ravel e si avvicina all'intellettualismo di Lennie Tristano. Nonostante il periodo in cui iniziò a
suonare, fu molto più influenzato da Duke Ellington che da Charlie Parker. Il suo attaccamento
ad Ellington, alla sua concezione del sound orchestrale anziché puramente solistico valsero a
Mingus il soprannome di Baron.[8]

Inizia a suonare cool-bop in trio con Red Norvo (vibrafono, leader) e Tal Farlow (chitarra) per
poi entrare in contatto con i grandi beboppers neri (Bud Powell, Parker, Dizzy Gillespie, Miles
Davis, Oscar Pettiford).

Nel 1952 fonda insieme a Max Roach la Debut Records, etichetta indipendente dall'esistenza
difficile. Nel 1953 partecipa a Toronto a un concerto con C. Parker, D. Gillespie, B. Powell e M.
Roach, canto del cigno del bop.

I successi e le grandi collaborazioni

Già dagli inizi degli anni Cinquanta aveva già praticato l'improvvisazione collettiva; dal 1955
comincia a realizzare incisioni con propri gruppi che incorporano elementi hard-bop e free (da
ricordare Pithecanthropus erectus e le sirene e i rumori di A foggy Day in San Francisco) e
riscopre gli amori giovanili per i suoni messicani (Tijuana Moods) e per la church music (Blues
and Roots).

Si susseguono nei suoi gruppi i migliori trombonisti (Britt Woodman, Eddie Bert, Willie Dennis,
Jimmy Knepper, Quentin Jackson, Jimmy Cleveland), sassofonisti (Jackie McLean, John
Handy, Shafi Hadhi, Benny Golson, Pepper Adams, Yusef Lateef, Jerome Richardson, Roland
Kirk), trombettisti (Richard Williams, Johnny Coles, Don Ellis, Clark Terry, lo sfortunato
Clarence Shaw), pianisti (Mal Waldron, Bill Evans, Horace Parlan, Toshiko Akioshi, Roland
Hanna, Jaki Byard) e il fido batterista Dannie Richmond.

Sulla scia della rivoluzione di Ornette Coleman nel 1960 Mingus licenzia quasi tutti e fonda un
quartetto con Eric Dolphy (sassofono alto, flauto e clarinetto basso), il giovane Ted Curson alla
tromba e il fido Richmond, coi quali realizza Charles Mingus Presents Charles Mingus, uno dei
suoi dischi più riusciti contenente la versione più convincente di Fables of Faubus, brano scritto
contro il segregazionista governatore di Little Rock (Arkansas) Orval E. Faubus. A proposito di
questo brano, bisogna dire che Mingus aveva scritto il pezzo per inserirlo nell'album Mingus Ah
Um (1959) ma la Columbia aveva rifiutato che il musicista lo registrasse con del testo. Mingus
non si diede per vinto e ripubblicò il brano originale l'anno seguente per la propria casa
discografica (Candid Records) intitolandolo perciò Original Faubus Fables.

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Con l'aggiunta di Booker Ervin (sassofono tenore al contempo churchy e acrobatico) e, in un


brano, dell'ospite Bud Powell, il live ad Antibes è forse il miglior lavoro mai pubblicato - a pari
merito con The Black Saint and the Sinner Lady, suite per balletto che riassume le radici
musicali di Mingus e gli elementi della sua originalità.

La nascita del jazz modale, la pubblicazione del libro Lydian Chromatic Concept of Tonal
Organization di George Russell, fino al successo musicale di Milestones e Kind of Blue di Miles
Davis (1959) aprono a un nuovo corso del jazz, distinto dai sistemi tonali più europei e orientato
verso una scelta delle note che non è più dettata dall'armonia generale della composizione, ma
dalla loro singola e autonoma tonalità modale rispetto ad una precisa scala di valori.[9]

Il periodo più creativo di Mingus, ricco di composizioni e di sperimentazioni sia discografiche


sia in concerto condotte in tutte le direzioni musicali (anche oltre il free) si chiude in modo
emblematico con la tournée in Europa dell'aprile 1964 per la quale il musicista ha radunato un
sestetto formidabile, anche se forse non perfettamente amalgamato: sezione ritmica composta
da Mingus, Richmond e Byard, ai fiati Dolphy, Clifford Jordan al sax tenore e il trombettista
Johnny Coles.

La band si esibisce ad Amsterdam, Oslo, Stoccolma, Copenaghen, Liegi, in Germania, in Italia (a


Bologna e Milano) e a Parigi, in due concerti alla Salle Wagram (sera tra venerdì 17 e sabato 18
aprile) e al Théâtre des Champs-Elysées (mattina di domenica 19 aprile), documentati nel
memorabile triplo LP The Great Concert of Charles Mingus.

Nonostante il gruppo suoni in maniera eccelsa, come testimoniano anche i molti bootleg e i tre
rari video registrati a Oslo, Stoccolma e Liegi di quei concerti e delle loro prove, il tour è
condizionato dalle intemperanze del leader e costellato di incidenti e sinistri presagi che
culminano nel ricovero d'urgenza in ospedale di Coles, svenuto sul palco a Parigi la sera di
venerdì 17 per una emorragia interna. Quando la band fa ritorno negli USA, Dolphy non è con
loro. Ha infatti deciso di fermarsi in Europa, dove ha formato un suo gruppo con il pianista
Misha Mengelberg, il bassista Jacques Schols e il batterista Han Bennink.

Il 28 giugno Dolphy viene colto da un attacco di iperglicemia diabetica a Berlino, cade in coma e
il giorno dopo muore. Una settimana prima aveva compiuto 36 anni. Per tragica ironia della
sorte, uno dei cavalli di battaglia della sua ultima tournée con Mingus era un brano intitolato So
Long Eric (per intero Don't Stay Over There Too Long, Eric): un esplicito invito rivolto dal
bassista a Dolphy perché tornasse stabilmente con il suo gruppo quanto prima.

Il declino

La morte di Dolphy avvenuta nel 1964 è come un macigno, e dopo un paio di insuccessi
organizzativi Mingus si ritira nel suo guscio fatto di psicofarmaci fino alla fine del decennio.
Negli anni settanta torna lentamente sulla breccia con un nuovo gruppo e nuove composizioni
estese (Changes One and Two con George Adams, Don Pullen, Jack Walrath e Richmond).

Nel 1977 gli viene diagnosticato il morbo di Lou Gehrig e nonostante gli sforzi e i tentativi con
una leggendaria guaritrice messicana, il grande musicista soccombe il 5 gennaio 1979 all'età di
56 anni. La morte lo coglie mentre lavora ad un progetto musicale congiunto con la cantautrice
canadese Joni Mitchell alla quale ha affidato alcune musiche (alcune anche del suo repertorio
storico come Goodbye Pork Pie Hat) perché lei possa scrivere dei testi su di esse. Il disco vedrà
comunque la luce e significativamente verrà intitolato dalla stessa Mitchell Mingus.

La vedova Sue Graham Mingus gestisce il lascito musicale attraverso la Mingus Big Band.

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Mingus e il Jazz italiano

Considerevole è l'influenza esercitata dalla produzione mingusiana sul percorso di numerosi


jazzisti italiani, da Tino Tracanna a Bruno Tommaso, da Roberto Spadoni (https://robertospado
ni.com) a Giovanni Maier e a Riccardo Brazzale, la cui Lydian Sound Orchestra ha eseguito in
prima assoluta con la Compagnia di Balletto Abbondanza/Bertoni, in forma di opera-ballet,
"The Black Saint and the Sinner Lady" (2014, Mart Rovereto). Il musicologo Stefano Zenni ha
pubblicato numerosi saggi e libri su argomenti mingusiani.[10]

Charles Mingus Day

Proprio Stefano Zenni e il Comitato UNESCO Jazz Day Livorno promosso da Andrea Pellegrini
hanno proclamato il 22 aprile di ogni anno, data di nascita di Mingus, dal 2019, quarantesimo
della morte, "Charles Mingus Day" in collaborazione con il Museo di Storia Naturale del
Mediterraneo di Livorno in occasione delle iniziative per la ottava UNESCO International Jazz
Day 2019. In seguito a una ricerca promossa dal Comitato livornese e dalla ricercatrice Chiara
Carboni erano infatti emerse numerose prove, costituite da articoli di giornali dell'epoca e
fotografie,[11] dell'episodio, finora ritenuto leggendario dai più, secondo il quale nei giorni della
morte di Mingus, avvenuta come detto a 56 anni in Messico, 56 capodogli si arenarono sulla
costa messicana. Altra coincidenza, vista da molti come leggendaria e invece reale, sta nel fatto
che come Mingus, anche i capodogli furono cremati. L'episodio era del resto citato da Joni
Mitchell nelle note di copertina al suo disco Mingus (1979).[12] Per questo, la proclamazione
della Charles Mingus Day è avvenuta in collaborazione col Museo citato facendo eseguire dal
bassista jazz Nino Pellegrini alcune composizioni mingusiane all'interno dello scheletro della
balenottera Annie, fra i più grandi scheletri di cetacei esistenti conservati integralmente[13].

Discografia
▪ 1951 Strings and keys - Debut
▪ 1955 Mingus at the Bohemia - Debut
▪ 1956 Pithecanthropous erectus - Atlantic
▪ 1957 The Clown - Atlantic (Pubblicato nel '61)
▪ 1957 Mingus Three - Jubilee
▪ 1957 East Coasting - Affinity
▪ 1957 Tijuana Moods - RCA
▪ 1959 Jazz Portraits - Blue Note
▪ 1959 Mingus Ah Um - Columbia
▪ 1959 Mingus in Wonderland - Columbia
▪ 1960 Mingus Dynasty - Columbia
▪ 1960 Mingus at Antibes - Atlantic (Live)
▪ 1960 Charles Mingus Presents Charles Mingus - Candid
▪ 1960 Blues & Roots - Atlantic
▪ 1960 Mingus! - Candid
▪ 1961 Oh Yeah - Atlantic
▪ 1961 Tonight at Noon - Atlantic
▪ 1961 Mysterious Blues - Candid
▪ 1963 The Black Saint and the Sinner Lady - Impulse! (suite per danza)

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▪ 1963 Mingus Mingus Mingus Mingus Mingus - Impulse!


▪ 1963 Mingus Plays Piano - Impulse!
▪ 1964 The Great Concert of Charles Mingus - Prestige (Live)
▪ 1964 Live in Europe
▪ 1964 Mingus in Europe Volume I - Enja (Live)
▪ 1964 Mingus in Europe Volume II - Enja (Live)
▪ 1964 Mingus at Monterey - Fantasy (Live)
▪ 1971 Let My Children Hear Music - Columbia
▪ 1972 Charles Mingus and Friends in Concert - Columbia
▪ 1973 Mingus Moves - Atlantic
▪ 1974 Mingus at Carnegie Hall - Atlantic
▪ 1974 Changes One - Atlantic
▪ 1974 Changes Two - Atlantic
▪ 1976 Cumbia & Jazz Fusion - Atlantic
▪ 1977 Three of Four Shades of Blues - Atlantic
▪ 1979 Me, Myself an Eye - Atlantic (Mingus, già malato, scrisse la partitura e controllò ogni
fase della registrazione, pur non potendo suonare lui stesso)
▪ 1991 Charles Mingus Sextet Live - Blue Jazz

Note
1. ^ Il grande Charles Mingus, su Il Post, 5 gennaio 2019. URL consultato il 9 ottobre 2021.
2. ^ Charles Mingus: suonare la vita con tutti i suoi eccessi, su youmanist.it. URL consultato il 9
ottobre 2021.
3. ^ (EN) A New Look At the Jazz Of Charles Mingus, su wbur.org. URL consultato il 9 ottobre 2021.
4. ^ Charles Mingus collection,, su Library of Congress, Washington, D.C. 20540 USA. URL
consultato il 9 ottobre 2021.
5. ^ I 50 migliori bassisti di tutti i tempi | Rolling Stone Italia, su rollingstone.it, 3 agosto 2020.
URL consultato il 24 dicembre 2021.
6. ^ Tanto da intitolare la sua autobiografia Beneath the Underdog, tradotto con Peggio di un
bastardo nelle edizioni italiane. Il termine Underdog però non significa solo "cane bastardo"
ma designa anche il cavallo svantaggiato dal pronostico nelle scommesse ippiche e per
estensione chi parte o è in condizioni di ingiusto svantaggio, in pratica i neri d'America,
mentre "beneath" significa non solo "peggio" ma anche "dietro".
7. ^ Arrigo Polillo. Jazz. Mondadori, Milano 1998, pag 693 e seguenti.
8. ^ The Jazz Life, New York: Dial Press, 1961, p. 164.
9. ^ (IT, EN) Alessandro Cossu, Teorie e pratiche d’avanguardia. Il "Lydian Chromatic Concept
of Tonal Organization" e le espansioni modali nell'universo sonoro di Charles Mingus, in
Analytica, vol. 8, n. 1, GATM (Gruppo di Analisi e Teoria Musicale), 2016, ISSN 2279-5065,
OCLC 7179670356. URL consultato l'8 settembre 2019 (archiviato dall'url originale l'8 settembre 2019).
10. ^ "Charles Mingus. Polifonie dell’universo musicale afroamericano" Stampa Alternativa,
Viterbo 2002; “Charles Mingus: un anomalo coolster” in Musica Jazz, 12, 1988; “Clarence
Shaw: conversazione con la tromba” in Musica Jazz, 2, 1991; “Mingus in California,
1942-1949”, Quaderni di Siena Jazz, 1, 1995; "I mondi di Charles Mingus” in Musica Jazz, 1,
1999; "Charles Mingus”, fascicolo allegato al cd "Jazz Around", 5, 2000; “Mingus e la storia
del jazz” in Musica Oggi, 22, 2002; "The Need to tell a Story”, booklet del cofanetto CD
“Passions of a Man” a cura di Andrew Homzy (Atlantic Records). Il Booklet ha ricevuto la
Nomination al Grammy Awards 1999, categoria “Best liner notes”.

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11. ^ The Baltimore Sun, 9 gennaio 1979, pag.3; Arizona Daily Star, 9 gennaio 1979; The Akron
Beacon Journal, 9 gennaio 1979, pag. 34; Statesman Journal, 9 gennaio 1979, pag. 2;
Hattiesburg American, 9 gennaio 1979, pag.1; The Los Angeles Times, 8 gennaio 1979,
pag.3.
12. ^ "Charles Mingus, a musical mustic, died in Mexico...The same day 56 sperm whales
beached themselves on the Mexican coastline and were removed by fire. These are the
coincidences that thrill my imagination".
13. ^ http://musmed.provincia.livorno.it/visita/settori-espositivi/sala-del-mare/

Bibliografia
▪ Candini Pino, I grandi del jazz Charles Mingus, Fabbri Editori, (1981 con LP)
▪ Brian Presley, Mingus: A Critical Biography, Da Capo, NYC (1982)
▪ Claudio Sessa, Charles Mingus, Frequenz (1989 con CD)
▪ Mario Luzzi, Charlie Mingus, Lato Side (1983)
▪ (A cura di) Sue Mingus, Charles Mingus. More than a Fake Book Jazz Workshop, Inc., New
York NY (1991) ISBN 0-7935-0900-9
▪ Speciale Charles Mingus, Musica Jazz numero 12 del 1988
▪ Mario Piccardi, Charles Mingus l'uomo, le passioni, la musica, la poesia, Stampa alternativa
(1992)
▪ Stefano Zenni, Charles Mingus polifonia dell'universo musicale afroamericano, Stampa
alternativa (2002)
▪ Charles Mingus, Peggio di un bastardo. Autobiografia di Charles Mingus, titolo originale:
Beneath the underdog, Ed. Il formichiere (1979), Marcos y Marcos (2000), Baldini Castoldi
Dalai (2005)
▪ Sue Graham Mingus, Tonight At Noon - Un'indimenticabile storia d'amore e di jazz, Baldini
Castoldi Dalai Editore - Milano (2004)
▪ A cura di Sue Graham Mingus, Charles Mingus - more than a Fake Book, Jazz Workshop,
New York N.Y. USA, distr. Hal Leonard Publishing Corp., Milwaukee, WI. USA. ISBN 0-7935
-0900-9 (1991)

Altri progetti
▪ Wikiquote contiene citazioni di o su Charles Mingus
▪ Wikimedia Commons (https://commons.wikimedia.org/wiki/?uselang=it) contiene
immagini o altri file su Charles Mingus (https://commons.wikimedia.org/wiki/Category:C
harles_Mingus?uselang=it)

Collegamenti esterni
▪ Charles Mingus Catalog - album index (http://www.jazzdisco.org/mingus/cat/) Discografia
degli album di Mingus a cura del Jazz Discography Project. Un buon lavoro in progress,
comunque non esente da lacune.
▪ Charles Mingus Discography - session index (http://www.jazzdisco.org/mingus/dis/)
Discografia delle sedute di registrazione delle diverse band di Mingus.
▪ Charles Mingus Home Page (http://mingus.onttonen.info/) Sito dedicato a Mingus dal
musicista finlandese Esa Onttonen, suo fan scatenato. Offre una discografia accurata di
Mingus come leader e come sideman, una ricca bibliografia e una interessante filmografia,

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quest'ultima però incompleta.


▪ Test alla cieca (https://web.archive.org/web/20070328190911/http://mingusmingusmingus.c
om/Mingus/blindfold.html), di Leonard Feather, Down Beat, (28 aprile 1960)

▪ Sito ufficiale, su mingusmingusmingus.com.
▪ Charles Mingus - Topic (canale), su YouTube.
▪ (EN) Charles Mingus, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
▪ Opere di Charles Mingus, su openMLOL, Horizons Unlimited srl.
▪ (EN) Opere di Charles Mingus, su Open Library, Internet Archive.
▪ Charles Mingus, su Last.fm, CBS Interactive.
▪ (EN) Charles Mingus, su AllMusic, All Media Network.
▪ (EN) Charles Mingus, su Discogs, Zink Media.
▪ (EN) Charles Mingus, su MusicBrainz, MetaBrainz Foundation.
▪ (EN) Charles Mingus, su WhoSampled.
▪ (EN) Charles Mingus, su SecondHandSongs.
▪ (EN) Charles Mingus, su Internet Movie Database, IMDb.com.
▪ (EN) Charles Mingus, su AllMovie, All Media Network.
▪ (DE, EN) Charles Mingus, su filmportal.de.
VIAF (EN) 111286947 (https://viaf.org/viaf/111286947) · ISNI (EN) 0000 0001 1083
2626 (http://isni.org/isni/0000000110832626) · SBN RAVV026735 (https://opac.sb
n.it/nome/RAVV026735) · Europeana agent/base/59919 (https://data.europeana.eu
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(EN, JA) 00450157 (https://id.ndl.go.jp/auth/ndlna/00450157) · WorldCat Identities
(EN) lccn-n80057165 (https://www.worldcat.org/identities/lccn-n80057165)

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