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2012
Bill Evans Trio - Everybody Digs Bill Evans - 1958 Aveva da poco abbandonato il sestetto di Miles Davis anche se, tre mesi dopo, accett il suo invito a partecipare all'incisione di "Kind Of Blue", uno dei capolavori del jazz moderno il pianista forse pi lirico nella storia del jazz, quando, accantonando la propria ritrosia, timidezza ed insicurezza caratteriali, registr, come leader, il secondo album in studio. La cui copertina riportava a caratteri cubitali delle brevi note elogiative, autografate da quattro insigni musicisti, a dimostrazione di quanto il suo apparire sulla scena musicale avesse impressionato il mondo del jazz. E infatti Davis e Cannonball Adderley, sassofonista di quel gruppo stellare, stilano le note iniziali e finali: "Ho certamente imparato molto da Bill Evans. Egli suona il piano proprio nel modo in cui dovrebbe venire suonato"; "Bill Evans ha gusto ed originalit non comuni e l'abilit ancor pi rara di far considerare la sua interpretazione di un pezzo come il modo pi esatto di suonarlo". Proprio quest'ultima affermazione trova ampio riscontro nell'ascolto del disco. Brani plurinterpretati, come ad esempio "Night And Day", suonano nuovi per la scelta ritmica, l'esposizione della linea tematica, la dolcezza dell'improvvisazione. Il merito va equamente condiviso con il contrabbassista Sam Jones, dal pulsare sicuro pur nella sua discrezione, e con il pirotecnico e fantasioso batterista Philly Joe Jones. Gustosissimi e stimolanti, i frequenti breaks a battute variabili tra Evans e Philly Joe tengono desta l'attenzione a partire dal brano iniziale, "Minority', in cui l'apparente tranquillit del pianista sembra scossa dalle tumultuose figurazioni su piatti e tamburi. A rendere ancor pi ricco il programma, nel disco trova spazio una seconda sessione in trio, incisa un mese dopo la prima, nella quale al posto di Sam Jones compare un contrabbassista che assieme a Philly Joe dette vita ad una delle pi apprezzate sezioni ritmiche di Miles Davis: Paul Chambers. Il suo periodare immediatamente riconoscibile per i suoi caratteristici, nasali assolo con l'archetto. Particolarmente poetici, infine, i tre brani per piano solo, tra i quali spicca "Peace Piece", rivelatore del pensiero musicale dell'indimenticabile pianista.
Bill Evans Trio - Portrait In Jazz SACD - 1959 "Portrait in Jazz" rappresenta il terzo lavoro di Bill Evans come leader, dopo "New Jazz Conceptions" (1956) e "Everybody Digs Bill Evans" (1958), e a differenza dei suoi precedenti album non presenta brani per pianoforte solo, ma solo registrazioni in trio. "Portrait in Jazz" stato anche il primo album di Evans con il talentuoso contrabbassista Scott LaFaro (entrambi avevano suonato nell'album di Tony Scott "Sung Heroes" registrato nel mese di ottobre del 1959, ma avevano suonato in tracce separate). La collaborazione di Evans con LaFaro avrebbe raggiunto il suo apice con le loro registrazioni al Village Vanguard del giugno 1961. Purtroppo LaFaro sarebbe morto in un incidente stradale poco dopo (il 6 luglio 1961), all'et di soli 25 anni (Evans fu cos scioccato dalla morte del suo bassista che aspett a lungo prima di formare un nuovo trio). In questo album il repertorio costituito fondamentalmente da standard a cui si affiancano due composizioni originali "Peri's Scope", brano che Evans non avrebbe registrato nuovamente prima del 1967, e "Blue in Green", composta con Miles Davis e precedentemente registrata da Evans per lo storico album "Kind of Blue".
Bill Evans Trio - The 1960 Birdland Sessions Le registrazioni presenti in questo CD precedono le leggendarie performances live al Village Vanguard nel 1961 di pi di un anno. Versioni incomplete di questi brani sono state pubblicate precedentemente su LP, ma appaiono qui su CD nella loro interezza. Si tratta delle sessioni complete al Birdland del pi leggendario dei trii di Bill Evans e fanno presagire il miracolo musicale che si verificher nel giugno del 1961 al Village Vanguard le cui sessions a mio parere rappresentano l'evento pi straordinario della storia del jazz e una delle massime espressioni della creativit musicale di tutti i tempi.
Bill Evans Trio Explorations - 1960 La bonus-track di Explorations si intitola The Boy Next Door, ed una pregevole rilettura di una canzone targata Hugh Martin-Ralph Blane, risalente addirittura al 1944 e divenuta presto uno standard con tutti i crismi. Ed in effetti Bill Evans potrebbe essere il ragazzo della porta accanto, quantomeno se si abitasse un quartiere vaporoso ed elegante di periferia, scrigno di villette a schiera e di giardini verdissimi che nascondono oltre le tendine delle finestre giovani aristocratici e pensosi. Sempre impeccabilmente in giacca e pantaloni, sempre gentili e signorili, ma capaci di portare sulle spalle il peso del mondo intero e nel cuore drammi personali laceranti. Evans era tutto questo: artista nobile per eccelenza, musicista classico ed al contempo superbo interprete del linguaggio del jazz e della sua mobilit senza freni, eterno studente e coltissimo intrattenitore, ma anche pioniere dell'improvvisazione modale capace di incantare Miles Davis (con cui contribuir a scrivere alcune fra le pagine pi entusiasmanti di tutto il genere). L'ombra della depressione l'ha sempre circondato come fosse un cattivo odore, eppure il pianista riuscito a celare dietro la celestialit del suo tocco il peso terribile di una vita segnata come poche altre dalla solitudine e dal senso di perdita. Ogni tanto, nella sua musica si intravede qualche spiraglio di luce: una melodia sinuosa e spensierata, un cambio di ritmo effervescente, tonalit e giochi sontuosi (che possono riuscire soltanto a chi pu dare del tu al pianoforte). Ed Explorations, pur forse meno toccante di altri momenti della lunghissima carriera del nostro, rappresenta sotto questo profilo un invidiabile punto di equilibrio, uno di quei gioielli che puoi collocare sulla punta della montagna sperando che non arrivi una folata di vento a privarli dell'unico appiglio: merito ovviamente anche dei suoi storici collaboratori (Scott La Faro e Paul Motian), interpreti eccellenti di quello che rimane forse il trio pi celebre di tutto il jazz.
Israel, tanto per fare un esempio, inventa con la mano destra una melodia brillante e spumeggiante, mentre la sinistra si limita ad un accompagnamento assorto e sottile, giocato sulla scansione regolare di quattro accordi maggiori per battuta, cos da risultare defilato ed essenziale Altrettanto luminose (pur non prive di chiaroscuri) sono le due versione (take 1 e take 2) di Beautiful Love, ove Evans impersonifica il concetto di imprevedibilit, dimostrando tutta la sua forza espressiva. I suoi brani sembrano aver preso una direzione precisa, quando decidono di disorientarti a forza di sferzate di accordi ed impennate che ti catapultano nel pieno di qualche inestricabile labirinto. Haunted Heart ritorna su sentieri pi consuetamente malinconici e riflessivi, espressione pura dell'artista Bill Evans e di tutto il suo mondo interiore, frutto di un'introspezione spinta sino alle conseguenze pi estreme. Lo stesso vale per How Deep is the Ocean, piccola gemma adombrata da una struggente tristezza. Amara riflessione arricchita dal tocco nobile e pulitissimo di Bill, da un incipit melodico sempre dolce e soffuso, da una maestria che pare collocarsi al crocevia fra jazz ed impressionismo.
Bill Evans - The Complete Village Vanguard Recordings, 1961 (3CD) Basterebbero queste tre parole per farvi capire l'importanza di quest'opera; qui c' tutto, ogni singola nota suonata in quell'incantevole serata del 25 Giugno 1961, giorno in cui Bill Evans e il suo Trio scrissero una delle pagine pi importanti della storia della musica, suonando per il pubblico newyorchese del Village Vanguard, inconsapevole di assistere ad un esibizione che rappresenta una vera e propria pietra angolare per il Jazz. Si perch in quella notte estiva il Trio, composto da Bill Evans al piano, Scott LaFaro al contrabbasso e Paul Motian alla batteria, fece effettivamente la storia, rivoluzionando il concetto di improvvisazione e di interplay, raggiungendo un nuovo apice di comunicazione e spontaneit musicale. Qui c' la grazia e la purezza del pianoforte di Evans che si intreccia magistralmente con la vigorosa cavata del contrabbasso di LaFaro; ci sono le candide e fragili ballate guidate dalle sapienti mani del pianista americano, sempre attente e abili a scegliere la nota giusta al momento giusto, come in "My Foolish Hearth" o in "Porgy ( I Loves You, Porgy)"; ci sono le suadenti ritmiche di Motian, mirabile nel continuo destreggiarsi tra spazzole e bacchette, a sostenere composizioni come "Alice in Wonderland" e l'incantevole "Waltz for Debby"(gustosissima combinazione tra ballata e frizzante swing). In queste note c' ricerca di un equilibrio perfetto, ed incredibile pensare come questo equilibrio venga raggiunto in modo cosi spontaneo, in un eccellente connubio tra libert e razionalit musicale, tra anima e corpo.
The Bill Evans Trio - Moon Beams - 1962 Moon Beams un album del 1962 ed il lavoro registrato dal primo trio di Evans dopo la morte di Scott LaFaro. Con Chuck Israels al basso al posto di LaFaro, Evans ha registrato diversi pezzi durante le sessioni di maggio e giugno 1962. Moon Beams contiene una raccolta di ballate registrate durante questo periodo. I brani pi sostenuti ritmicamente sono stati inseriti in "How My Heart Sings!. Su tutti spiccano 'Re: Person I Knew' e 'Very Early' autentici capolavori a firma Evans.
Bill Evans & Jim Hall Undercurrent - 1962 La parola "undercurrent" suggerisce una corrente sotterranea, invisibile in superficie, ma dotata di un potente magnetismo, che attira e incatena i sentimenti pi profondi. Un titolo davvero calzante, perch questa musica levigata e mai sopra le righe, alla lunga si rivela capace di trascinare e di assorbire l'ascoltatore molto pi di qualsiasi sfavillante prova di virtuosismo strumentale. Per assonanza viene in mente anche l'ormai leggendario "understatement" anglosassone, quella tipica facolt, sconosciuta specialmente a noi italiani, di dire senza dire, di comunicare molto senza per forza dover urlare e gesticolare. Ecco, questo disco, oltre che un capolavoro del jazz di tutti i tempi, anche una splendida lezione di understatement da parte di due maestri dei rispettivi strumenti, incontratisi nel pieno della loro maturit artistica, ormai gi consacrati, eppure entrambi privi della pretesa di primeggiare l'uno sull'altro, che pure sarebbe stata legittima. Specie per Bill Evans, entrato gi nell'lite dei migliori pianisti jazz grazie ai suoi lavori in trio, ma soprattutto grazie al contributo dato a "Kind Of Blue", pietra miliare di Miles Davis. Ma anche per Jim Hall, per il quale si cominciavano a fare paragoni lusinghieri, per esempio con Charlie Christian, uno dei pi grandi chitarristi jazz di un passato allora piuttosto recente. Dalle scarne notizie biografiche sui
due (intervista a Jim Hall) sembra che la proposta sia venuta da Bill Evans nel modo pi semplice, tipo "Ti andrebbe di fare un disco, magari solo noi due in duo?". Quel che certo che la realizzazione fu cos perfetta ed equilibrata che ancora oggi si impone come un modello di raffinatezza e, cosa pi importante, si ascolta con il godimento assoluto che solo un disco senza tempo pu dare, e questo non solo grazie alla tecnica ineccepibile dei due musicisti, ma anche grazie ad un "lifting" di registrazione che non fa apparire neanche una ruga in un disco che pur sempre datato 1962. Come succede per i grandi solisti classici, che quando suonano musica da camera in duo (o in trio) dimenticano per un po' il loro narcisismo da primedonne e i loro sfoggi di bravura, cos in questo saggio esemplare di "jazz da camera" il chitarrista al servizio del pianista e viceversa, e per tutto il disco sembra di cogliere una tacita intesa nello scambiarsi le parti di solista e accompagnatore, spesso pi volte all'interno dello stesso brano. Se Bill Evans esce allo scoperto con il suo tocco felpato, pi classico che jazz, ecco che Jim Hall lo copre con note essenziali e staccate, e altrettanto fa il piano di Bill quando la chitarra di Jim sgrana le sue tenere collane di note perlacee (chi abituato alle fragorose chitarre rock rimarr un po' sorpreso dalla tanta delicatezza che si pu estrarre da questo strumento). La scelta dei brani quella tipica degli altri lavori di Bill Evans: spiccano standards classici come "My Funny Valentine" (Rodgers-Hart) e "Stairway To The Stars" (Parish), pi un delizioso valzerino firmato John Lewis ("Skating In Central Park" ), e altre melodie meno famose ma altrettanto adatte ad essere prese come spunto per un dolce e saggio chiacchierio tra pianoforte e chitarra. La sola e bellissima "Romain" opera di uno dei due (Jim Hall), ma fin dall'introduzione pianistica si pu notare che il Gershwin delle "Piano Songs" non stato dimenticato dal nostro chitarrista. Ma veramente impossibile trovare qualcosa che non va: di eccessi non se ne parla nemmeno, di noia meno che mai, nonostante che una cinquantina di minuti di musica dolce e melodica, di soffici "ballads" come "I Hear A Rhapsody" e "I'm Getting Sentimental Over You" possano far nascere questo timore. C' poco da fare: quando la tecnica cos assoluta e la sapienza nell'interpretare brani non sempre di prim'ordine tale da trasformarli in altrettanti gioielli, allora si pu anche fare a meno o quasi del ritmo, pur rimanendo nel jazz. Sublimato, dall'aspetto trasparente e quasi incorporeo, eppure grande jazz immortale. Bill Evans Interplay - 1962 Chi era Bill Evans in quel 1962? Il pianista che Miles Davis aveva voluto in Kind Of Blue per la sua abilit con le armonizzazioni modali, unico bianco in un sestetto all black, e qualcosa vorr pur dire. Quello che pochi mesi dopo escogit assieme a Paul Motian e Scott La Faro una dimensione nuova per il trio, scardinando i consueti rapporti tra ritmo e melodia, innescando tensioni inaudite nel rapporto "lucidamente anarchico" tra pianoforte, batteria e basso. E che, quasi cercando la chiave segreta dell'essenzialit, portava avanti una carriera votata alla sottrazione, come aveva appena testimoniato lo splendido Undercurrent in coppia col chitarrista Jim Hall. Un alieno in casa Riverside, p o meno. Ma uno splendido alieno. Che comunque non si rivel immune all'attrazione gravitazionale dell'hard-bop. E come avrebbe potuto, con tutto il bendiddio copiosamente elargito dalla Blue Note un capolavoro via l'altro, punteggiando i contorni d'un periodo aureo che significava modernit, successo, spuma dell'onda? C'era la sfida di un suono che era una disputa di equilibri, di forza ed elasticit, timbri che sgomitano per emanciparsi mentre s'impastano agli altri in una costante formidabile dialettica tra uno e molti, tra io e noi. Bill Evans raccolse la sfida. Eccome se la raccolse. Conferm Hall, il lirismo discreto, fluido della sua chitarra. Pretese una sezione ritmica di primissimo piano, Percy Heath gi bassista del Modern Jazz Quartet e Philly Joe Jones, l'immenso Philly Joe, batteria ovvero turbine tribale e geometrico del leggendario quintetto di Miles. A proposito di tromba, entr in squadra anche Freddie Hubbard, reduce da un folgorante biennio - appunto - per Blue Note, latore di uno stile esuberante, impeto giovane e genio febbrile. In scaletta cinque standard e un originale di Evans, ovvero la title-track, emblematicamente intitolata Interplay: incedere blues arguto e circospetto, sostrato sottilmente irrequieto per gli assolo che non sono mai lasciati a se stessi, sempre qualcosa che spinge, avvolge e sprona. Condizione ideale perch ai rispettivi talenti sia consentito sgranare numeri tanto brillanti quanto felpati. Che pure esigerebbero superlativi: quello vibrante di Hall, il solitamente pensoso Evans, un Hubbard munito di sordina e mai tanto davisiano. Il resto uno
swingare agile, dinamicissimo, talora impetuoso, di un'eleganza carezzevole ma sotterraneamente tumultosa. Che in When You Wish Upon A Star rallenta i battiti, s'illanguidisce amarognola, disperde malanimo in un alone di morbidezza opaca, come il ritratto sonoro di un intero modello di vita intimamente malato. E' il disco che consacra Bill Evans, lo completa conferendogli quel titolo di leader che fino ad allora poteva apparire inadeguato a causa della sua indole defilata, di quel porsi laterale e spesso refrattario alla logica delle (big) band. Amo pensare a Interplay come ad una contraddizione risolta, il culmine di una carriera che proseguir senza cedimenti fino alla morte dannatamente prematura, nel 1980. Bill Evans Trio - How My Heart Sings 1962 Il ritorno di Bill Evans alla piena attivit nel 1962 venuto quasi un anno dopo le sue celebri registrazioni trio al Village Vanguard. Appena dieci giorni dopo da quell'evento, il bassista Scott LaFaro per in un incidente stradale. Evans, profondamente scosso, si ferma dall'attivit per quasi un anno dopodich ricostituisce il suo trio con lo stesso Paul Motian alla batteria e Chuck Israels al basso. La loro prima esecuzione in uno studio avvenuta per un duplice scopo: fare un album interamente di ballads, Moonbeams, e uno "normale" nello stesso lasso di tempo come appunto"How My Heart Sings". Il produttore Orrin Keepnews pens che registrare otto pezzi lenti in una session poteva risultare troppo snervante, di conseguenza, il contenuto dei due album scatur da repertorio misto ottenuto da tre giorni di registrazione e il risultato finale stato di due ottimi lavori aggiunti al catalogo di Evans.
Bill Evans Trio - At Shelly's Manne-Hole - 1963 At Shellys Manne-Hole lultimo album realizzato da Bill Evans per letichetta che lo aveva lanciato nelluniverso discografico. Anche se questo fatto sarebbe gi pi che sufficiente per conferire a questo disco un grande significato storico, non bisogna dimenticare che fu anche una delle due sole occasioni in cui la Riverside registr dal vivo questo grande pianista (laltra riguarda un indimenticabile concerto che vide Evans grande protagonista al Village Vanguard). In ogni caso, la caratteristica pi significativa di questo disco rappresentata dal fatto che i brani incisi nel corso di due serate allo Shelly Mannes di Hollywood costituiscono le uniche testimonianze sonore delleccellente ma effimero terzo trio di Evans: infatti, dopo la scomparsa di Scott LaFaro, Bill e Paul Motian vennero affiancati dal contrabbassista Chuck Israels e nel 1963 il batterista di Los Angeles Larry Bunker diede un contributo tanto breve quanto efficace alla leggenda di Evans.
Bill Evans - Conversations With Myself - 1963 Una delle teorie-intuizioni pi importanti nella storia del jazz moderno. L'improvvisazione con tre pianoforti sovrapposti utilizzando il procedimento tecnico delle sovraincisioni per una sorta di interplay solitario. Conversation with Myself diventa cos un vero e proprio interrrogarsi e rispondersi in vari stati d'animo dell'artista. Alla base della geniale idea di realizzare una musica per trio suonata da un unico musicista ci sono gli insegnamenti del grande Lennie Tristano [...] Evans si addentra in questo straordinario universo e lo scruta senza sosta nei pi nascosti angoli sonori, catturando l'essenza della sua musica e del suo espressivo pianismo.
Bill Evans-Monica Zetterlund - Waltz For Debby (Japan mini LP) - 1964 Questo CD del 1964 che vede la vocalist jazz svedese a fianco del trio di Bill Evans (con Chuck Israels al basso e Larry Bunker alla batteria) una di quelle stranezze spesso presenti nel catalogo di Evans. La session perfetta. Il Lirismo di Evans ben si adatta ad una cantante sofisticata ed equilibrata come Monica Zetterlund. C' un po di freddezza in questa registrazione, nel senso che manca un po di calore timbrico (questione prettamente tecnica). Si tratta di un unico inconveniente, tuttavia, il lavoro uno dei pi belli nella discografia di Evans.
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Bill Evans Alone - 1968 Il pianoforte probabilmente lo strumento per eccellenza. Da secoli continua a incantare con i suoi impareggiabili suoni e la carica emotiva unica che gli appartiene. Uno strumento che non si fermato ad essere protagonista di una sola scuola musicale o di un singolo genere; quindi lo si trova nei grandi maestri classici della musica come Beethoven e Chopin, nel jazz, nel blues e nel rock e anche in molte canzoni pop. Universale il suo utilizzo, forse perch l'unico strumento in grado di poter sorreggere da solo anche pi di un'ora di musica ed perfetto per accompagnare qualsiasi altra forma musicale. Altro fattore che ne ha favorito la diffusione su cos larga scala la semplicit con cui lo si pu far suonare: non servono virtuosismi polmonari come con il sassofono o l'oboe, n una lunga e faticosa ricerca dell'intonazione come nei strumenti fretless quali il violino o il violoncello. No, basta premere con la giusta forza dei tasti per far uscire suoni puliti e intonati (salvo che il pianoforte sia accordato, ovvio). Di Bill Evans sono molto conosciuti soprattutto i trii con cui rivoluzion il jazz modale e sono passati in secondo piano i concerti solitari anche se Alone (1968) considerato tra i pi grandi capolavori per pianoforte solo, per cui ricevette anche un grammy, in questo album si trova quel Bill Evans che si isolava dal mondo e si rifugiava nel suo strumento, in solitudine, per dar vita ad una comunicazione emotiva senza pari. In Alone il musicista si isola dal mondo per entrare nello strumento e al contempo coinvolgere gli uditori nella tela musicale creata da Bill Evans; entrare in se stessi per raggiungere tutto il mondo. Alone va ascoltato immedesimandosi pienamente nella riflessiva e sensibile personalit di Evans. Sempre pi viene confermata l'unicit del pianoforte come strumento unico nel panorama musicale, in grado di regalare emozioni irripetibili. S, vero... il pianoforte lo strumento principe, non un caso se tutti i grandi compositori del passato erano dei maestri di questo e ancora oggi amato e suonato pi di ogni altro.
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