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CONSERVATORIO STATALE DI MUSICA DI TORINO

“Giuseppe Verdi”

Corso di Laurea di 1° Livello in Contrabbasso Jazz

“Ramblin’ Boy”
Analisi sulla musica e lo stile di Charlie Haden

Marzo 2017

Tesi a cura di: Dario Scopesi


Relatore: Furio Di Castri
Indice

INDICE 2
INTRODUZIONE 3
GLI ESORDI E IL TRASFERIMENTO A LOS ANGELES 5
ORNETTE COLEMAN E LA NASCITA DEL FREE JAZZ 7
IL SODALIZIO ARTISTICO CON KEITH JARRETT 12
CHARLIE HADEN LEADER: LIBERATION MUSIC ORCHESTRA 15
CHARLIE HADEN LEADER: QUARTET WEST 17
LO STILE STRUMENTALE DI CHARLIE HADEN. ANALISI DELLE TRASCRIZIONI 19
GLI INFINITI ORIZZONTI 33
CONCLUSIONI 35
BIBLIOGRAFIA, DISCOGRAFIA E ALTRE FONTI 36
Introduzione

Questo lavoro monografico è incentrato sulla carriera artistica di Charlie Haden, uno dei più
influenti contrabbassisti della storia del jazz. L’intento è quello di tracciare una panoramica il più possibile
eterogenea sulla sua produzione quanto mai eclettica e trasversale.
Haden non è mai stato interessato a definire un genere, quello che lo ha guidato lungo tutta la sua
attività è stata una continua ricerca di musica bella che lo coinvolgesse emotivamente. Al di fuori di ogni
etichetta, la sua discografia conta più di 200 incisioni che spaziano dal free jazz di Ornette Coleman al jazz
mainstream del Quartet West, ha lavorato al fianco di grandi musicisti come Paul Bley, Keith Jarrett, John
Coltrane, Chet Baker, Pat Metheny, Joe Henderson e ha apposto la sua firma sulla Liberation Music
Orchestra, uno dei collettivi orchestrali più memorabili e atipici di sempre. Senza contare la pubblicazione
di un disco country, musica con la quale Haden, originario del Missouri, è cresciuto e le collaborazioni con
cantanti e musicisti di estrazione rock e pop come Yoko Ono e Rickie Lee Jones.
La cosa più sorprendente è che tutto questo Charlie Haden lo ha fatto mantenendo intatto intatto
il suo il suo approccio alla musica e il suo sound, fondendo il suo timbro al contesto sonoro piuttosto
che adattarsi alle esigenze stilistiche di ciascun contesto. Questo è stato possibile solamente grazie a una
visione della musica basata più sull’ispirazione e sulla ricerca di una “oneness”, come l’ha definita lui
stesso, piuttosto che su uno studio analitico di pattern o sull’imitazione di stili improvvisativi.
Il suo è un suono grosso, plastico e pastoso, riconoscibile distintamente fin dalle prime note,
mentre il suo fraseggio è una perfetta dicotomia tra il controllo assoluto e l’abbandono completo alla
musica. Racchiude in sé il rigore armonico e la semplicità della tradizione con un approccio assolutamente
free. Ed è proprio grazie alla capacità di lasciarsi trasportare senza freni che Haden, così come i grandi
improvvisatori jazz del passato, è riuscito a esprimere le sue emozioni in musica con un lirismo senza
pari per il suo strumento. Insieme a musicisti del calibro di Jimmy Blanton, Paul Chambers, Scott LaFaro
e Charles Mingus è diventato una delle figure di riferimento del contrabbasso jazz.
Questa tesi si propone il duplice obiettivo di raccontare le fasi salienti della carriera artistica di
Charlie Haden e descriverne, attraverso l’analisi di trascrizioni originali, lo stile strumentale che lo ha reso
unico.
Le esperienze fondamentali di cui si parlerà sono: le origini di Haden, cresciuto nel Missouri immerso
nell’ambiente della country music alla quale rimarrà sempre legato; l’incontro con Ornette Coleman assieme
al quale sarà uno dei portavoce del movimento free jazz e definirà il suo stile contrabbassistico incentrato
sulla melodia; le collaborazioni prima in trio e poi in quartetto con Keith Jarrett che lo hanno consacrato
come contrabbassista; l’esperienza con il collettivo Liberation Music Orchestra, il suo amore per la world
music e il desiderio di suonare la musica degli oppressi dai forti connotati liberitari; il ritorno a Los Angeles
e la nascita del Quartet West formazione con la quale ha rimaneggiato il repertorio della tradizione jazz.
Per l’analisi stilistica sono state scelte partiture tratte da brani di diversa tipologia, forma, periodo
storico e suonati in diverse formazioni. In particolare, sono stati trascritti estratti proveniente da:
• Ramblin, dall’album “Change Of The Century” (Atlantic, 1960) di Ornette Coleman: trascrizione
del tema e della linea di basso.
• Body And Soul, dall’album “Quartet West” (Verve, 1987) di Charlie Haden: trascrizione integrale
dell’assolo.
• First Song, dall’album “First Song” (Soul Note, 1992) di Enrico Pieranunzi: trascrizione integrale
dell’assolo.
• Nice Work If You Can Get It, dall’album “On Broadway, Vol.2” (Winter & Winter, 2003) di Paul
Motian: trascrizione del walking bass sul primo chorus del brano.
• Blues In Motian, dall’album “Etudes” (Soul Note, 1988) di Charlie Haden, Paul Motian, Geri Allen:
trascrizione del walking bass sui primi due chorus del brano.
• Rainbow, dall’album “Byablue” (Impulse!, 1977) di Keith Jarrett: trascrizione del walking bass sul
sull’esposizione tematica.
Gli Esordi e il trasferimento a Los Angeles

Charlie Edward Haden nasce a Shenandoah, Iowa, il 6 agosto 1937. Cresciuto in una famiglia di
musicisti, debutta come cantante a soli due anni esibendosi nello show radiofonico che la sua famiglia,
dedita alla musica country e al folk americano, registrava due volte a settimana per il Grand Ole Opry1 sotto
il nome di “Uncle Carl Haden and The Haden Family”. L’esordio di Charlie è particolarmente precoce,
a soli ventidue mesi la madre si accorge che il bambino riesce a seguire i brani che lei gli canta addirittura
armonizzando a due voci.

Going to the radio station when I was 22 months old, going into the studio and watching my mom
and dad choose the songs they were going to do, and my brother and sister, and the red light going
on. We’d go on the air and do the radio show. At that time, I was pretty young, so my mom
usually held me when I would sing, but later on I stood on a chair to reach the mic. I remember
those vivid memories. Very good memories.2

La famiglia si sposta spesso per seguire gli impegni di lavoro dei genitori, finendo poi per stabilirsi
a Springfield, Missouri, dove Haden passa buona parte dell’infanzia e dell’adolescenza.
All’età di quindici anni una forma lieve di poliomielite danneggerà le sue corde vocali impedendogli di
cantare, ma questo non fermerà la sua passione per la musica. Ispirato dal fratello Jim che amava il jazz
e suonava il contrabbasso nello show di famiglia, Haden decide di dedicarsi a questo strumento il cui
suono, secondo Charlie era quello che “teneva la musica viva […] la arricchiva e le dava profondità”.3
L’esperienza cruciale arriva a quindici anni, quando il padre lo porta a Omaha per vedere un concerto del
Jazz at Philarmonic. Tra i musicisti ci sono Lester Young, Billie Holiday e Charlie Parker: Haden ne
rimane folgorato e decide di diventare un musicista di professione. La difficoltà nel trovare musicisti con
la sua stessa passione lo convince a trasferirsi a Los Angeles. Nel 1956 parte per studiare jazz presso il
Westlake College of Modern Music, ma ben presto abbandona la scuola per inserirsi nell’ambiente
musicale della città.

1 Il Grand Ole Opry è il più vecchio e ininterrotto programma radiofonico degli Stati Uniti, in onda fin dal 5 ottobre 1925 e
dedicato espressamente alla musica country e alla sua storia.
2 Intervista, http://forbassplayersonly.com/interview-charlie-haden/
3 JOSEF WOODARD, CHARLIE HADEN, Conversation With Charlie Haden, Silman – James Press, Los Angeles, 2017, p 14
Quando frequentavo il Westlake, andavo spesso a studiare in un ristorante drive-in chiamato Tiny
Naylor. Ci andavo dopo aver finito una gig verso le tre o quattro di mattina, era aperto 24 ore così
mi sedevo a un tavolo e facevo i miei compiti, cosa che odiavo. Una sera entrò Red Mitchell, lo
riconobbi e andai a presentarmi. Gli dissi “suono il basso, possiamo vederci qualche volta” e mi
rispose “vieni da me domenica, io suono anche il piano, così tu puoi suonare il mio basso”. Così
ho iniziato a farlo tutte le domeniche.4

Fu Red Mitchell a proporgli di sostituirlo per una serie di concerti con la band di Art Pepper e
così, a partire da quel momento, Haden ebbe modo di entrare in contatto con una delle generazioni più
creative della storia del jazz. Da Art Pepper al suo idolo di allora Hampton Hawes (con il quale, molti
anni dopo, registrerà un disco in duo dal titolo “As long as There’s Music”); da Dexter Gordon a Paul
Bley. Inizia a esibirsi regolarmente con Paul Bley all’Hillcrest Club e, sempre con il pianista, incide il suo
primo disco in studio come sidemam: “Solemn Meditations”. Nello stesso anno conosce anche Carla Bley,
con la quale avrà modo di collaborare in futuro ma, soprattutto, fa uno degli incontri fondamentali della
sua vita: quello con Ornette Coleman.5 Insieme al sassofonista, e con il trombettista Don Cherry e il
batterista Billy Higgins, entra a far parte di un quartetto che fisserà i parametri del free jazz, a partire dal
seminale “The Shape of Jazz to Come” del 1959.

4 Charlie Haden, Ramblin boy, Reg. RETO CADUFF, PiXiu films, 2009
5 Cfr. SERGIO PASQUANDREA, Gli Esordi. Cowboy Charlie: 1937-1957, Jazzit, n. 60, settembre/ottobre 2010.
Ornette Coleman e la nascita del free jazz

Una sera, Haden era andato in un club chiamato The Hague per assistere a un concerto di Gerry
Mulligan. Durante lo show, un ancora sconosciuto Ornette Coleman si presenta e chiede di suonare
qualche pezzo. Estrare dalla custodia un sax contralto bianco, di plastica, e ne tira fuori una musica che
nessuno ha mai sentito: talmente fuori dai canoni, che gli viene subito chiesto di smettere. Orette scende
dal palco e lascia il club, ma Haden ne è rimasto abbagliato: «Fu come se l’intera sala si fosse illuminata
all’improvviso […] non avevo mai sentito niente del genere. Era così brillante, come se fosse una voce
umana a suonare». Il modo in cui Coleman sfugge alle convenzioni armoniche, improvvisando secondo
il proprio estro melodico, è per Haden una vera e propria rivelazione.6 In quel periodo il contrabbassista
partecipava a molte jam session suonando moltissimi brani bebop e standard, ma era alla ricerca di qualcosa
di diverso. Percepiva un modo di suonare che non riusciva ancora a decifrare, ma sapeva che non era
basato tanto sui chord changes quanto piuttosto sull’ispirazione del momento.

Qualche volta, ho cercato di suonare più a lungo su una certa parte della canzone, oppure provato
di rendere una determinata sequenza di accordi il contenuto della canzone, ma non ha mai
funzionato perché gli altri musicisti non erano con me. Quando ho conosciuto Ornette ha iniziato
a funzionare, perché era quella che anche lui stava facendo.7

Il giorno dopo la gig al The Hague, Haden scopre che il batterista di Paul Bley, Lennie McBrowne,
conosce Ornette, e gli chiede di presentarglielo. Haden gli fa i complimenti e il sassofonista lo invita per
una session nel suo appartamento. La jam session finisce per durare tre giorni interi al termine dei quali
Haden entra a far parte del quartetto di Coleman insieme a Billy Higgins e Don Cherry.
La prima registrazione lasciata da questi straordinari musicisti, preludio ai capolavori futuri, fu
“Complete Live at The Hillcrest” col quintetto di Paul Bley. Nella traccia “When Will the Blues Leave?”
si sente Haden in assolo insistere a lungo sulla stessa frase rinforzata da un bordone. Questo approccio
lascia presagire alcuni elementi che saranno propri dello stile del contrabbassista: la pacata ripetizione
della frase, l’utilizzo di bordoni che permettono agli altri ogni genere di invenzione e in generale una
quieta serenità che si sarebbe magnificamente adattata alla concitazione che altri hanno praticato accanto
a Ornette.
Il 22 maggio 1959, negli studi Radio Records di Hollywood, il primo quartetto di Coleman,
composto da Don Cherry, Charlie Haden e Billy Higgins in aggiunta al sassofonista, incide per la Atlantic
Records il suo primo disco “The Shape Of Jazz To Come”. Il titolo è una parafrasi del celebre romanzo

6 Ibid.
7 JOSEF WOODARD, CHARLIE HADEN, Conversation With Charlie Haden, Silman – James Press, Los Angeles, 2017, p 104
di fantascienza di George Wells “The Shape of World To Come”, pubblicato nel 1933. Il disco frantuma
i concetti tradizionali di armonia jazz eliminando non solo il pianista, ma l’intera idea di accordi
concretamene delineati. I pezzi scorrono senza quasi nessuna struttura armonica predeterminata, il che
permette a Coleman e Cherry di condurre le linee melodiche dei propri soli in qualunque direzione
sentano al momento e indipendentemente dal centro tonale di partenza. La sezione ritmica suggerisce il
tempo con una mobilità continua e per mantenere l’equilibro i musicisti, abbandonati gli schemi
armonico-melodici, devono ascoltarsi continuamente e reagire all’istante: è il principio dell’armolodia che
comincia a manifestarsi. Si tratta di una musica in cui sono la melodia e il ritmo a dettare quelle regole
che prima erano dell’armonia e delle sue concatenazioni di accordi. Durante il loro primo incontro
Coleman diede queste indicazioni a Haden: «Ho scritto qui la melodia. Sotto ci sono gli accordi. Sono gli
accordi che ho sentito quando ho scritto la melodia. Ma quando iniziamo a suonare, una volta esposta la
melodia e iniziati gli assolo, suona tu gli accordi, trovane di nuovi in base a quello che senti e in relazione
a quello che sto suonando».8 L’assenza del pianista è stata per Haden un momento di crescita musicale
fondamentale oltre che un fertile terreno per la sperimentazione: «Sono felice che non avessimo un
pianista perché mi ha dato l’opportunità di prenderne il ruolo. Ho imparato molto da questo. Dovevo
suonare gli accordi per tutti».9 In questa continua sfida e ricerca, Haden trovò la sua libertà.
Tra l’8 e il 9 ottobre del 1959, il quartetto torna negli studi di Hollywood per registrare “Change
of The Century” e altri titoli inclusi in album pubblicati successivamente. In questo lavoro appare più
evidente il tentativo di recupero, nel jazz, del patrimonio folk americano. E infatti al Texas e alla musica
popolare rimanda il brano che apre il disco, Ramblin’ (Partitura 1): un blues slegato dai consueti legami
tonali dove Haden richiama atmosfere di country e western che spesso caratterizzano il suono modo di
suonare. La composizione è infatti costruita su un classico del genere che la madre di Haden cantava alla
radio: Old Joe Clark.

8 Cfr. MICHELE MANNUCCI, The Shape of Jazz to Came: 1957-1987, Jazzit, n. 60, settembre/ottobre 2010.
9 JOSEF WOODARD, CHARLIE HADEN, Conversation With Charlie Haden, Silman – James Press, Los Angeles, 2017, p 19
Partitura 1 – Ramblin’ tratta da Change of The Century (1960, Atlantic) di Ornette Coleman. Trascrizione della melodia e della linea di basso.
Nonostante si percepisca fin dal primo ascolto che si tratta di un blues, l’analisi della partitura della
sola esposizione tematica fa emergere caratteristiche non tradizionali. Non viene rispettato il consueto
utilizzo delle dodici misure: in questo caso il primo tema si estende su 21 misure in 4/4 più 1 misura da
2/4 che funge da pick-up per la ripresa del secondo tema, questa volta costruito sulle sole prime 18 misure
in 4/4. Anche l’andamento armonico si discosta dalla tradizione. Non sono suonato dei veri e propri
accordi, ma è il contrabbasso che, alternando un andamento straight a una ritmica spezzata costruita su
un pedale, li suggerisce implicitamente. Le prime 10 battute sono sviluppate sull’armonia del I grado, in
questo caso un D, e in particolare da battuta 1 a battuta 4 il basso procede con un walking bass, mentre da
battuta 5 a battuta 9 viene utilizzato un pedale costruito su una poliritmia di 3 su 4. Nella misura 10 viene
riutilizzato il walking bass per facilitare il cambio armonica seguente. A battuta 11 e fino a battuta 14,
infatti, è suonata l’armonia del IV grado, in questo caso un G, e il contrabbasso utilizza un pedale del
tutto simile al precedente. Manca l’utilizzo del V grado e da misura 15 a misura 22 torna il pedale costruito
sul I grado. Il tema è costituito essenzialmente da tre linee melodiche: le prime due hanno una
connotazione bebop mentre la terza ha un sapore più blues e ritmicamente suggerisce l’andamento che
viene utilizzato dal contrabbasso per costruire il pedale. L’idea di estendere la forma va probabilmente
ricercata nella tradizione blues, in quanto i cantanti di allora erano soliti aggiungere beats o intere misure,
per assecondare la metrica dei testi. Per quanto riguarda l’improvvisazione, essa è sviluppata su una
struttura fatta da 16 misure sul pedale di D, dove questa volta compare il V grado nelle misure 13 e 14; e
12 misure in walking bass che seguono la consueta armonia del blues. L’eccezione è rappresentata dal solo
di contrabbasso che si sviluppa solamente sui cicli di 16 misure.
Nei mesi successivi alla registrazione di “Change Of The Century”, la band è in tour, ma sarà
costretta a sostituire Billy Higgins al quale viene revocata la cabaret card, causa consumo di stupefacenti.
Al suo posto viene chiamato il batterista Ed Blackwell col quale Haden svilupperà un’intesa particolare,
ritrovando in lui, originario di New Orleans, una matrice folk storica ma proiettata nel futuro diversa e
complementare alla sua.

«Il suo modo di suonare la batteria era completamente diverso da quello degli altri batteristi.
Quando attaccava, splendeva di ispirazione. Dopo un concerto con Ornette, spesso veniva
qualcuno a dirmi come avessi suonato bene, e io rispondevo che quel che si era ascoltato era dovuto
al fatto che Ed Blackwell rendeva ispirati tutti noi».10

Con la nuova formazione il quartetto registrerà il celebre “This is Our Music”, unica uscita del
suo periodo con la Atlantic a contenere uno standard: una versione di “Embraceable You” ampiamente
rivisitata e resa quasi irriconoscibile.

10 Cfr. MICHELE MANNUCCI, The Shape of Jazz to Came: 1957-1987, Jazzit, n. 60, settembre/ottobre 2010.
Il 21 dicembre 1960, negli studi A&R di New York, è convocata una formazione fuori
dall’ordinario per la registrazione del celebre “Free Jazz: A collective improvisation”, titolo che finì poi
per connotare l’intero genere per tutti gli anni a venire. A suonare furono due diversi quartetti, ciascuno
per ogni canale della neonata ripresa stereofonica. Nel canale di sinistra sentiamo: Ornette Coleman al
sassofono contralto, Don Cherry alla pocket trumpet, Scott La Faro al contrabbasso e Billy Higgins alla
batteria; mentre nel canale destro suonano: Eric Dolphy al clarinetto basso, Freddie Hubbard alla tromba,
Charlie Haden al contrabbasso e Ed Blackwell alla batteria. La piena libertà di improvvisazione si estende
anche alla sezione ritmica, priva di una pulsazione costante, creando una musica a tratti aleatoria e dai
risultati imprevedibili. Un’altra scelta radicale fu l’abolizione di qualsiasi concetto di forma, contenuto o
durata, identificando i brani con le intere facciate del 33 giri.11 Nel 1961 Haden trascorre momenti difficili
a causa della dipendenza dall’alcol: perde la sua cabaret card e di conseguenza, vista l’impossibilità di esibirsi
nei locali di New York, anche l’impiego con Ornette. I due torneranno a suonare insieme poco tempo
dopo, sia in studio sia in tour e scriveranno ancora pagine importanti con album come: “The Empty
Foxhole” (Blue Note, 1966), “Crisis” (Impulse!, 1969), “Science Fiction” (Columbia, 1971), “Song X”
(Geffen, 1985) e “In All Languages” (Caravan Dreams Productions, 1987).

11 Cfr. MARCO RAVASINI, Storia del jazz moderno: dal cool alla fusion, formato kindle, pp 50-51
Il sodalizio artistico con Keith Jarrett

L’attività discografica di Charlie Haden all’interno del trio e del cosiddetto quartetto americano
di Keith Jarrett si sviluppa nell’arco di dieci anni ed è rappresentata da sedici album incisi tra il maggio
del 1967 e il febbraio del 1977. All’inizio fu un trio, poi, con l’aggiunta del sassofonista Dewey Redman,
la formazione divenne un quartetto, aperto all’occorrenza al contributo di altri musicisti. Jarrett, cresciuto
come bambino prodigio, si era fatto notare da subito grazie al lavoro svolto a fianco di Art Blakey e
soprattutto nel quartetto di Charles Lloyd, dove ebbe modo di esprimere un’abilità tecnica e una
conoscenza musicale che parte dal concertismo di matrice eurocolta, per poi fondersi con il pianismo di
stampo afroamericano (Art Tatum), con quello improvvisativo classico (Bill Evans) e contemporaneo
(Paul Bley).12 George Avakian, allora produttore di Charles Lloyd, rimase talmente colpito dal talento del
pianista che decise di produrre il suo primo album da leader. La formazione scelta fu un trio, e Jarrett
aveva da subito chiari i riferimenti musicali cui ispirarsi: una contaminazione tra il classicismo di Bill
Evans, l’ecletticità di Rahsaan Roland Kirk, la raffinatezza di Ahmad Jamal e la ricerca infinita di Ornette
Coleman e Paul Bley. Alla batteria Jarrett chiamò Paul Motian, con cui aveva avuto modo di suonare ad
alcune jam session, mentre il coinvolgimento di Charlie Haden, fu determinato dal percorso artistico del
contrabbassista, in particolare per le sue collaborazioni con Coleman e Bley. Lo stesso Jarrett ha affermato
pochi anni fa, ricordando l’amico da poco scomparso, che Haden fu la sua seconda scelta:

Agli esordi, ebbi l’occasione di registrare il mio primo disco con qualunque musicista avessi voluto.
Provai con un altro contrabbassista, che era troppo impegnato con un’altra formazione all’epoca;
così Charlie fu la mia seconda scelta (!?). Non lo avevo ascoltato molto all’epoca, ma dopo la prima
prova non ho mai pensato di cercare nessun altro. Abbiamo avuto una connessione indelebile che
è durata più di quarant’anni. Dopo che il quartetto si sciolse, Charlie si è ripulito e abbiamo
registrato di nuovo insieme dopo più di trent’anni. Le persone ameranno per sempre il suo modo
di suonare, ma nessuno lo potrà imitare. Era unico, realmente originale. Intonazione perfetta,
l’orecchio più grande, il più caldo e travolgente suono nella storia del contrabbasso jazz.13

Completata la formazione, il 4 maggio 1967 i tre musicisti si danno appuntamento negli Atlantic
Studios di New York per registrare “Life Between The Exit Signs” (Vortex, 1968). L’importanza
dell’album rispetto all’intera discografia di Jarrett è duplice. Oltre ad essere il primo disco da leader, il
disco mette in scena un’esplosione di creatività, prevalentemente sul fronte compositivo. Sono evidenti

12 LUCIANO VANNI, L’utopia Sonora: 1967-1977, Jazzit, n. 60, settembre/ottobre 2010.


13 Queste dichiarazioni sono state pubblicate sulla pagina ufficiale Facebook di Keith Jarrett dopo la scomparsa di Charlie
Haden avvenuta l’11 luglio 2014, http://ottawacitizen.com/entertainment/jazzblog/a-belated-tribute-to-charlie-haden-from-
keith-jarrett.
le ispirazioni di Jarrett ai suoi idoli: il jazz waltz “Margot”, scritto per la moglie, ricorda “Waltz for Debby”,
“Long Time Gone” evoca le sonorità di Ornette, “Lisbon Stomp” quelle di Bley. A Charlie Haden è
concessa ampia libertà d’azione e ne sono testimonianza gli ampi spazi di assolo concessi in “Lisbon
Stomp” e in “Love No. 2”. Il trio si presenta come un vero e proprio collettivo capace di offrire diverse
configurazioni e soluzioni stilistiche, e di esprimersi in improvvisazioni radicali, ballad e schegge
colemaniane. Haden, avendo passato già parecchio tempo con Coleman, porta insieme un forte senso
dell'avventura e un chiaro senso della storia e della tradizione. Motian, al tempo meglio conosciuto per il
suo lavoro con Evans, ha l'opportunità di mostrare le sue abilità di musicista testurale e colorista, che gli
valse poi la sua reputazione negli anni a venire
Nell’estate del 1968, il trio Jarrett – Haden – Motian registra allo Shelly’s Manne Hole di Los
Angeles e nove delle trentaquattro tracce suonate dal vivo, saranno riportate in “Somewhere Before”
(Vortex, 1968). L’album si configura come una sorta di utopia sonora, all’interno della quale viene rifiutata
qualsiasi classificazione o separazione di stili, liberando la musica da convenzioni e affidandole un
significato di tipo rivoluzionario. E’ un album hippie, all’interno del quale il trio si cimenta con sonorità
giocose e retrò (New Rag), melanconiche (Moment of a tears), frenetiche (Moving Soon) e persino alla
rilettura di un brano pop (My Back Pages) composto da Bob Dylan, a testimonianza di quanto fosse
apprezzato dai tre jazzmen anche l’ambiente folk-rock contemporaneo.14
Ci rivorranno tre anni prima che il trio si ricomponga in studio di registrazione nel luglio del 1971.
In soli quattro giorni di riprese (8,9, 15 e 16 luglio 1971) Jarrett, Haden e Motian realizzano tre album:
“The Mourning of a Star”, “El Juico (The Judgement)” e “Birth” che segnano la loro raggiunta maturità
artistica. Jarrett accompagna con il canto i passaggi più intensi delle sue improvvisazioni e si cimenta con
congas, sonagli e sax soprano. La stessa esuberanza coinvolge Charlie Haden alle prese con elementi
percussivi quali congas e steel drums. Le sonorità seguono il filo conduttore già espresso nei precedenti
lavori, la novità assoluta è l’aggiunta del sassofonista Dewey Redman, suggerito a Jarrett proprio da
Charlie Haden. Questa nuova formazione, conosciuta come il quartetto americano di Jarrett, espande le
possibilità timbriche, si fa più elastica e imprevedibile. La struttura armonica di certe songs viene
abbandonata in favore di sketches free: i musicisti suonano in maniera completamente libera, guidati dalla
consapevolezza che non esiste un’unica maniera di suonare jazz. Jarrett descrive così il suo programma
musicale:

14 LUCIANO VANNI, L’utopia Sonora: 1967-1977, Jazzit, n. 60, settembre/ottobre 2010.


Il mio obiettivo non è mai stato quello di essere capito dalle etichette discografiche e dai promoter.
Il mio obiettivo era la musica, anche quando Charlie Haden, Paul Motian e io suonavamo davanti
a sedici persone al Village Vanguard negli anni sessanta, non ci interessava diventare grandi, ci
interessava la musica.15

Le esperienze in studio del quartetto continueranno con l’ambizioso “Expectations” (Columbia,


1971), album che vede la partecipazione del chitarrista Sam Brown, già insieme a Haden due anni prima
tra le fila della Liberation Music Orchestra; del percussionista Airto Moreira e un’ensemble di ottoni ed
archi. L’album mette in luce un eclettismo sfrenato e una miscellanea stilistica senza confini, fatta di
sonorità che spaziano dal gospel alle avanguardie atonali. Charlie Haden, nell’assolo di “Expectations”,
offre con nitidezza quel suono plastico, carico, pastoso e rotondo che lo caratterizzerà nel corso di tutta
la sua carriera. Seguiranno altri lavori discografici importanti, tra cui: “Fort Yawuh” (Imulse!, 1973)
ripreso dal vivo al Village Vanguard; “Tresaure Island” (Impulse!, 1974); “Death and The Flower”
(Impulse!, 1975) e “Back Hand” (Impulse!, 1974) che rappresentano appieno, attraverso improvvisazioni
collettive e scrittura di ampie suite, il desiderio di evasione e il superamento dei classici canoni espressivi
del jazz; “Bop-Be” (Impulse!, 1977) in cui spicca l’interpretazione di “Silence” di Charlie Haden,
composizione tra le più importanti e conosciute del contrabbassista, che verrà inserita infinite volte nelle
sue scalette.16
Keith Jarrett e Charlie Haden collaboreranno insieme in altri progetti tra cui spiccano, per bellezza
e riconoscimento da critica e pubblico, gli album in duo: “Jasmine” (ECM, 2010) e “Last Dance” (ECM,
2014). Il primo, registrato nel 2007 al Cavelight Studio di Jarrett ma uscito solo tre anni più tardi, è una
raccolta di ballad e standard jazz dalle atmosfere introspettive e melanconiche, suonate rispettando il
materiale melodico, armonico e soprattutto il messaggio originale. Il risultato finale è stato
particolarmente apprezzato dallo stesso Jarrett, solitamente molto critico sui suoi lavori:

Non sono mai stato più felice per un disco che sta per uscire. Quasi non ce la faccio ad aspettare.
Sentivo che con Charlie avremmo trovato un mondo da esplorare e che sarebbe stato abbastanza
unico da non farne l’ennesimo album di duetti. Sarebbe stato un altro mondo: ed è questo che
sentivo in alcuni dei brani.17

Le nove tracce di Last Dance sono state registrate durante la stessa sessione e ricalcano le stesse
atmosfere del precedente lavoro. Il titolo è quasi profetico: Haden è alle prese con problemi di salute che
gli impediscono di continuare a suonare e l’album, uscito appena un mese prima della sua scomparsa, ne
rappresenta una sorta di canto del cigno.

15 Ibid.
16 Ibid.
17 Ibid.
Charlie Haden leader: Liberation Music Orchestra

Il più grande e significativo contributo al mondo del jazz da parte di Charlie Haden, per quanto
concerne i progetti da leader, è stata certamente la musica prodotta in oltre quarant’anni di carriera con
la sua Liberation Music Orchestra. Haden decide di formare il suo collettivo a ridosso del ’68, con
l’intento di rendere omaggio ai patrioti e ai partigiani di tutti i tempi e tutti i luoghi, ai cittadini che hanno
reagito alle oppressioni senza far parte di eserciti, alle donne e agli uomini che si sono mobilitati per
difendere il proprio popolo da dittature e occupazioni. Questa volontà di emancipazione popolare, la
lotta per la conquista di diritti e libertà è il principio sul quale viene organizzata la formazione. Haden,
sconvolto dalle ormai quotidiane immagini di guerra che arrivavano dal Vietnam e dai tragici assassinii
che colpirono figure di riferimento per i loro ideali ideologici (Che Guevara, John Fitzgerald Kennedy,
Malcom X, Martin Luther King), è determinato a esprimere il suo dissenso attraverso la musica.18
Dal punto di vista strettamente musicale, l’idea di costituire una vera e propria orchestra, è un’aspirazione
che deriva dal fascino provato dal contrabbassista per il suono delle grandi orchestre di Stan Kenton,
Duke Ellington e Count Basie. L’esordio discografico è rappresentato dal disco omonimo “Liberation
Music Orchestra” (Impulse!, 1969), le cui musiche sono ispirate a quelle tratte da canzoni popolari
spagnole risalenti al periodo della Guerra Civile.

Ho trovato tutte queste canzoni della Guerra Civile Spagnola che mi piacciono molto. Ho visto
questo documentario di Frédéric Rossif intitolato To Die in Madrid [Mourir à Madrid, 1963].
C’erano tutte queste canzoni bellissime, e potevo immaginare perfettamente Roswell Rudd e Don
Cherry e tutti gli altri musicisti improvvisare su quella musica, quasi come succede in una marching
band.19

Per Haden, l’episodio epico della Guerra Civile Spagnola è un modo attraverso il quale raccontare
la contestazione rivolta contro la politica estera del governo americano. Nelle note di copertina del disco,
è lo stesso Haden a raccontare la sua ispirazione:

Questo album fu concepito qualche anno fa, quando ascoltai per la prima volta le canzoni relative
alla Guerra Civile Spagnola. Negli anni tra il 1936 e il 1937 uomini provenienti da cinquantasette
differenti nazioni si recarono in Spagna come volontari per difendere la libertà e la democrazia del
governo regolarmente eletto. Oltre tremila volontari americani decisero di combattere per quella
Repubblica. Furono chiamate le Abraham Lincoln Brigade. Approssimativamente tornarono a casa

18 Cfr. LUCIANO VANNI, Liberation Music Orchestra: 1969-2005, Jazzit, n. 60, settembre/ottobre 2010.
19 JOSEF WOODARD, Charlie, Pursuing Liberation, DownBeat, volume 84/3, marzo 2017.
in seicento […] La lotta di queste persone per la libertà continua a vivere nelle canzoni che furono
composte durante la Guerra Civile Spagnola.

Proprio per il suo forte contenuto politico, non fu facile trovare una casa discografica interessata
al progetto e, anche dopo la sua pubblicazione, il disco non fu promosso in maniera adeguata. Nonostante
questa ritrosia, che portò anche alla censura di alcuni passaggi nelle note di copertina, il disco ottenne
numerosi successi internazionale e fu nominato, in America, per un Grammy.
L’idea di base del contrabbassista fu quella di trattare con sperimentazione free i brani della
tradizione popolare inclusi nel disco, tra cui quattro canzoni provenienti dal repertorio anarchico e
socialista spagnolo, Song Of The United Front, El Quinto Regimiento, Los Cuatro Generales e Viva la Quince
Brigada, queste ultime tre utilizzate all’interno di un’unica suite. La contaminazione free carica le canzoni
di una prorompente forza espressiva mentre l’aggiunta di frammenti audio delle versioni originali
all’interno delle performance, rende ancora più vivo il ricordo di queste testimonianze. A completare il
lavoro tre brani di Carla Bley, che curerà tutti gli arrangiamenti del collettivo, uno di Ornette Coleman,
uno di Charlie Haden e la splendida Song For Che, una rivisitazione armonica di Hasta Siempre, brano scritto
dal Carlos Puebla nel 1965 e dedicato al rivoluzionario cubano Ernesto “Che” Guevara.
La portata rivoluzionaria di Song For Che fu causa dell’arresto subito dal contrabbassista americano
che la eseguì dal vivo in Portogallo durante il regime dittatoriale di Marcelo Caetano.
I successivi lavori discografici della Liberation Music Orchestra hanno mantenuta intatta la
volontà di fotografare lo stato del mondo attraverso la musica infatti, le uscite degli album coincidono
con eventi significativi della politica americana. “The Ballad Of The Fallen” (ECM, 1983) fu pubblicato
durante l’amministrazione Regan, criticata per l’atteggiamento conservatore e anti-comunista; “Dream
Keaper” (Blue Note, 1990) durante quella di George H. Bush; “Not in Our Name” (Verve, 2005) nel
corso dell’amministrazione di George W. Bush sulla quale Haden spenderà parole poco lusinghiere:
«Vogliamo che il mondo sappia che la devastazione che questa amministrazione sta seminando non è in nostro nome. E
non è in nome di tante persone in questo Paese».20
Le altre due release del collettivo sono il live “Liberation Music Orchestra – The Montreal Tapes”
(Verve, 1999), registrato durante la residenza artistica di Charlie Haden al Montreal Jazz Festival del 1989,
e il disco postumo “Time/Life (Songs for the Whales And Other Beings)” (Impulse!, 2016), progetto
iniziato nel 2011 e completato da Carla Bley dopo la morte del contrabbassista. Nel disco sarà Steve
Swallow a suonare le tracce di basso mancanti.

20 LUCIANO VANNI, Liberation Music Orchestra: 1969-2005, Jazzit, n. 60, settembre/ottobre 2010.
Charlie Haden leader: Quartet West

Alla fine degli anni ottanta Haden, che all’epoca viveva a New York, decide di trasferirsi
nuovamente a Los Angeles. Il ritorno nella città che lo aveva lanciato nella scena jazz è lo stimolo per
creare una nuova formazione stabile della quale Charlie Haden sarà leader per oltre venticinque anni.
Viene dunque costituito, tra il 1986 e il 1987, il Quartet West formato da Ernie Watts al sassofono tenore,
Alan Broadbent al pianoforte, Laranca Marable alla batteria.
Charlie Haden è ormai diventato un punto di riferimento del contrabbasso jazz, ha perso il conto
dei dischi che ha inciso e delle band con cui ha suonato durante la sua lunga carriera ma di fatto, da qui
in avanti, i progetti ai quali il contrabbassista si dedicherà costantemente fino alla fine della sua carriera
saranno la Liberation Music Orchestra e il Quartet West. Sono due gruppi che non potrebbero essere più
diversi. Uno fu creato per dare voce al dissenso nei confronti delle politiche estere attuate dal governo
americano e musicalmente vira spesso verso la free improvisation; l’altro è ispirato alle atmosfere
Hollywoodiane degli anni quaranta e cinquanta, la città dei film noir nella quale Haden si era trasferito
appena diciottenne, e suona un eloquente jazz straight-ahead.21 Questa diversità apparente nella natura dei
progetti musicali, non va però intesa come una volontà di tornare a un approccio verso il jazz più
tradizionale, quanto piuttosto continuare un percorso finalizzato alla contaminazione e alla ricerca di un
suono e di una musica bella e al di fuori dei generi:

L’ho sempre fatto [suonare jazz in modo tradizionale, NdA]. Di tutte le registrazioni che ho fatto
nel corso degli anni, tantissime erano basate su armonie cordali: Pat Metheny, Michael Brecker,
Joe Henderson, Alice Coltrane, Hampton Hawes… La mia sola intenzione era fare della musica
bella con questa band. E’ stato egoista da parte mia, perché volevo qualcuno con cui suonare qui
[a Los Angeles, NdA]. Volevo fare tutto quello che mi pace. Suonare bellissimi standard, come
Body and Soul. Volevo fare qualche pezzo di Ornette, qualcuno dei miei, qualche brano free e
qualcuno hillibilly, ed è quello che faccio.22

Agli esordi il gruppo registrò privatamente i propri dischi. Il primo fu registrato per il
cinquantesimo compleanno di Haden, nell’agosto del 1987. Il secondo è un concerto alla Webster
University di St. Louis. Per via degli obblighi contrattuali di Haden con la Verve, questi dischi rimasero
inediti fino al 1994, quando furono pubblicati in edizione strettamente limitata dalla Naim Records e
successivamente riediti, sempre dalla Naim, con il titolo di “Charlie Haden - The Private Collection”
(Naim, 2007). Il disco mette in luce una band in grande spolvero, specie sul brano Passport di Charlie

21 STUART NICHOLSON, Quartet West, Charlie Haden 1987-1999, Jazzit, n. 60, settembre/ottobre 2010.
22 JOSEF WOODARD, CHARLIE HADEN, Conversation With Charlie Haden, Silman – James Press, Los Angeles, 2017, p 5
Parker, ma il progetto di creare una musica ispirata al noir non sembra essersi ancora radicata nella mente
del contrabbassista.
Solo nel 1987, nel disco di debutto per la Verve intitolato semplicemente “Quartet West”, con le
sue fotografie in bianco e nero delle case della Los Angeles degli anni quaranta, Haden provò a creare
un’immagine nostalgica e crepuscolare della Città degli Angeli. Un tema che sarebbe stato sviluppato nei
dischi successivi, nei quali vecchie incisioni di Billie Holiday e di Jo Stafford sono collegate e lasciate
scorrere in un flusso ininterrotto insieme alle versioni degli stessi brani eseguite dalla sua band.23 “Quartet
West” (Verve, 1987) è un mix di brani originali, standard e pezzi di Ornette rivisitati dal contrabbassista.
Una menzione particolare va fatta al commuovente assolo di Charlie Haden su Taney Country, un vero e
proprio tributo al suo passato.
La produzione del quartetto fu prolifica: “In Angel City” (Verve, 1988), “Haunted Heart” (Verve,
1992), “Now Is The Hour” (Verve, 1996), “The Art Of The Song” (Polygram/Verve, 1999) che vide la
partecipazione di un’orchestra da camera. Tra i dischi che più segnarono la storia discografica del
quartetto va sicuramente citato “Always Say Goodbye” (Universal, 1993). I rimandi alle atmosfere noir
sono qui particolarmente evidenti:

Quel periodo di Los Angeles mi ha sempre affascinato. Tutti i membri del quartetto hanno
qualcosa a che fare con quel periodo. Non è come se volessimo suonare in quel periodo; ci
ispiriamo a quelle atmosfere e suoniamo/componiamo nel presente, riportando quel periodo di
LA all’attenzione del maggior numero di persone possibile.24

L’intero disco si configura come un omaggio al mondo del cinema (ed in particolare al film “The
Big Sleep” di Howard Hawks con Humphrey Bogart), alla storia del jazz e alla loro bellezza intrinseca;
una rievocazione nostalgica e malinconica che allontana l’ascoltatore dalla follia e dalla violenza del
mondo di oggi. Anche in questo album Haden fa ricorso all’editing inserendo frammenti delle versioni
originali di alcuni brani, come già aveva fatto in lavori precedenti del Quartet West e con la Liberation
Music Orchestra. Si può ascoltare un esempio pratico di questo espediente nella versione di Alone Togheter,
suonata in principio in trio con il contrabbasso a esporre la linea melodica del brano in tonalità di re
minore per poi modulare in la minore e dare spazio, attraverso un cross fade, alla versione dello stesso
brano cantata da Jo Stafford.

23 STUART NICHOLSON, Quartet West, Charlie Haden 1987-1999, Jazzit, n. 60, settembre/ottobre 2010.
24 JOSEF WOODARD, CHARLIE HADEN, Conversation With Charlie Haden, Silman – James Press, Los Angeles, 2017, p 109
Lo stile strumentale di Charlie Haden. Analisi delle trascrizioni

Charlie Haden è stato uno dei contrabbassisti più importanti ma anche atipici del panorama jazz.
La portata dell’impatto che ha avuto come strumentista è stata enorme e ha ridefinito le potenzialità
ancora inespresse del contrabbasso nella musica jazz. Fino ad allora, il ruolo principale del basso era
quello di garantire la pulsazione e assicurare che tutto fluisse in maniera naturale. Ogni nota è finalizzata
a costruire una base solida per il ritmo, l’armonia e la melodia. Molto spesso, in particolare agli albori del
jazz, il contrabbasso è stato confinato nel background musicale e il suo utilizzo è stato ristretto a ruolo di
supporto. Charlie Haden, assieme a bassisti del calibro di Jimmy Blanton, Oscar Pettiford, Charles
Mingus e Scott LaFaro, è stata una delle figure carismatiche ad uscire prepotentemente dalle retrovie e
fare del basso una voce solistica importante nel sound del jazz. Nel caso di Haden, questo processo di
emancipazione è stato reso possibile anche grazie alla scena musicale nel quale era coinvolto, il free jazz,
che enfatizzava l’importanza di ciascun membro della band. Il suo grande merito è stato quello di
assumersi il ruolo da coprotagonista, fare del suo stile una vera e propria dichiarazione di intenti.
Nel corso della sua lunga e trasversale carriera, a dispetto degli innumerevoli generi e musiche
con le quali si è confrontato, Haden è riuscito ad essere sempre sé stesso: un musicista capace di fondere
la sua voce col il contesto sonoro piuttosto senza alterare il proprio stile in base alle circostanze. La ricerca
di questa unicità è stato da sempre uno degli obiettivi del contrabbassista:

Bisogna lasciarsi andare completamente. […] Se riesci ad approcciarti alla musica con questo senso
di trasporto totale, con completo altruismo e umiltà, allora non stai più suonando ma stai
ascoltando. E quando ascolti, non pensi. E’ molto importante approcciarsi alla musica in termini
di ascolto e ascoltare prima di iniziare a suonare, in modo da porsi con la giusta reverenza. Si tratta
quasi di un rituale religioso, dirigersi verso un luogo mistico. Ogni grande musicista che sa come
farlo è il tipo di persona che, quando prende in mano il proprio strumento, dice “grazie”. Ogni
artista che si approccia a una forma d’arte con questo senso di gratitudine e umiltà è in grado di
raggiungere un tale livello di concentrazione da consentire di fare qualunque cosa.25

Da queste frasi si intuisce chiaramente come quello di Haden sia stato un percorso musicale
focalizzato dal principio sul trovare la propria voce piuttosto che lavorare sull’imitazione. Questo non
esclude certamente la mancanza di riferimenti più tradizionali. La musica country ha segnato
profondamente lo stile di Haden, così come lo studio degli standard del jazz e del bebop che il
contrabbassista suonava regolarmente alle jam session appena trasferitosi a Los Angeles. Tuttavia, così
come i migliori musicisti jazz del passato, era guidato da una forte ispirazione che lo spingeva a esplorare
altre strade:

25 JOSEF WOODARD, CHARLIE HADEN, Conversation With Charlie Haden, Silman – James Press, Los Angeles, 2017, p 11
Agli studenti del mio corso di improvvisazione dico sempre che i grandi musicisti del jazz sono
stati grandi e hanno avuto un impatto sulla loro arte perché suonava e improvvisavano in modo
libero, anche se stavano suonando sui cambi di accordi. La ragione di questo è che ogni grande
musicista, così come ogni grande pittore e ogni grande artista in qualsiasi forma d’arte, ha un
impatto sul mondo perché non è soddisfatto semplicemente di creare. Hanno quasi un
irrefrenabile, disperato desiderio di creare qualcosa che prima non c’era. […] E’ questo tipo di
scoperta che penso sia importante nell’arte. Trasmettere e comunicare questo messaggio alle
persone che non hanno mai scoperto il loro lato artistico può aiutarle a farlo. Credo fermamente
che ci sia arte in ognuno di noi. Se potessimo tirare fuori l’arte da ogni persona sarebbe un mondo
fantastico. Se potessimo tirare fuori l’arte da [George H. W.] Bush, governerebbero il paese molto
meglio.26

Questo bisogno di ricerca e sperimentazione, misto ad una carriera artistica quanto mai
eterogenea, ha portato Haden a maturare uno stile unico e una voce strumentale riconoscibile fin dalle
prime note. Il suo è un suono plastico, carico, pastoso e rotondo che ricorda a tratti quello di una chitarra
acustica, non a caso lo strumento principe della musica country con la quale è cresciuto. Le note sono
definite, si espandono come bolle d’aria e ciascuna di esse ha un peso specifico enorme dal punto di vista
ritmico, armonico e melodico. Il suo non è un fraseggio denso ma al contrario caratterizzato da ampi
spazi che permettono al suo di allargarsi ed è caratterizzato da linee suonate dentro gli accordi, al di fuori
di essi, frammenti scalari, melodie in stretta relazione con gli accordi ma al di fuori di essi. Parafrasando
un concetto espresso da Jarrett parlando dell’amico, si potrebbe dire che Charlie Haden suoni melodie
come se fossero delle linee di basso:

Solitamente i bassisti suonano le fondamentali degli accordi e creano linee per connettere tali
fondamentali che molto spesso hanno poco a che fare con qualcosa di melodico. Quello che devo
aver sentito nel modo di suonare di Charlie quando abbiamo provato la prima volta erano melodie
che non avevo percepito. […] Questo mi libera, come pianista, dal fornire un contenuto melodico
costante.27

Sensazioni similari sullo stile del contrabbassista sono state espresse da Pat Metheny:

Penso che il ruolo del bassista, all’interno di qualsiasi contesto musicale, definisca in qualche modo
quali sono le reali possibilità. Suonando con un bassista con il potenziale espansivo che Charlie
porta con se in ogni situazione, ti ispira a conversare attraverso gli strumenti e pensare a cose che
probabilmente non avevi considerato prima.28

26 Ibid., p. 104
27 KEITH JARRETT, Charlie Haden, Ramblin boy, Reg. RETO CADUFF, PiXiu films, 2009
28 PAT METHENY, Charlie Haden, Ramblin boy, Reg. RETO CADUFF, PiXiu films, 2009
Per scendere nel dettaglio e approfondire lo stile del contrabbassista, verranno di seguito analizzate
alcune trascrizioni da me realizzate per questo lavoro monografico. Il criterio di scelta è stato dettato in
prima battuta da ragioni legato allo strumento: fornire degli esempi pratici delle linee di Charlie Haden
applicate nelle principali forme e tipologie di brani. Non si tratta di trascrizioni integrali ma solamente
di frammenti di uno o due chorus. Sono stati selezionati due assolo, uno su uno standard jazz e uno su un
brano originale; due walking bass, il primo su uno standard jazz e il secondo su un blues; infine un
accompagnamento su un jazz waltz composto da Keith Jarrett.
• Body And Soul, dall’album “Quartet West” (Verve, 1987) di Charlie Haden: trascrizione integrale
dell’assolo.
• First Song, dall’album “First Song” (Soul Note, 1992) di Enrico Pieranunzi: trascrizione integrale
dell’assolo.
• Nice Work If You Can Get It, dall’album “On Broadway, Vol.2” (Winter & Winter, 2003) di Paul
Motian: trascrizione del walking bass sul primo chorus del brano.
• Blues In Motian, dall’album “Etudes” (Soul Note, 1988) di Charlie Haden, Paul Motian, Geri Allen:
trascrizione del walking bass sui primi due chorus del brano.
• Rainbow, dall’album “Byablue” (Impulse!, 1977) di Keith Jarrett: trascrizione del walking bass sul
sull’esposizione tematica.
Partitura 2 – Body And Soul, dall’album “Quartet West” (Verve, 1987) di Charlie Haden
Body And Soul, di Johnny Green, è sicuramente uno dei brani jazz più famosi e suonati ed è uno
degli standard preferiti da Charlie Haden che lo ha inciso più volte nei suoi dischi. La versione qui
riportata (Partitura 2) è tratta dal disco “Quartet West” (Verve, 1987). Il brano si apre proprio con questo
assolo di Charlie Haden accompagnato in maniera parsimoniosa dal pianoforte di Alan Broadbent e dalla
batteria di Billy Higgins, suonata dapprima solamente sui piatti e nel bridge anche con l’utilizzo del
rullante. L’esecuzione è semplice, sintetica, con un enorme rispetto per la melodia originale e un grande
rigore armonico. Ci sono la classe, la sensibilità, il gusto, la tecnica, l’amore per la propria tradizione
musicale. Dando un primo sguardo alla partitura, l’assolo sembra fitto e denso di note, ma basta ascoltarlo
per capire che in realtà è l’esatto opposto: il tempo lento della ballad e le numerose legature di valore
danno ampio respiro al fraseggio. Un’altra cosa che attira subito l’attenzione semplicemente guardando
la parte è l’utilizzo massiccio delle terzine di ottavi che conferiscono alla melodia un andamento trascinato
e decisamente lay back. Le terzine si mescolano in maniera naturale con altre figurazioni ritmiche simili
che danno un senso di accelerazione o rallentamento a seconda del loro valore. Questo approccio ritmico
è evidente nel bridge: il fraseggio inizia con un frammento scalare suonato a terzine di ottavi ma a battuta
18 e 19, l’utilizzo dei sedicesimi prima e di una quintina di ottavi poi danno un senso di accelerazione alla
melodia che frena nuovamente a misura 20 col ritorno delle terzine di ottavi. Questo andamento di
apparenti scatti e frenate è reso possibile dal passaggio improvviso, all’interno di una frase, a figure
ritmiche immediatamente vicine per quanto riguarda il loro valore è presente non solo in tutto l’assolo
ma costituisce un tratto distintivo del fraseggio del contrabbassista. Si potrebbe dire che Haden suona
attorno al beat, navigando sul tempo enfatizzando la melodia con una profonda espressività esattamente
come farebbe un cantante. Ed infatti anche dal punto di vista melodico si tratta di un assolo cantabile
quasi come se fosse stato scritto per essere eseguito da una voce umana.
Il fraseggio procede prevalentemente in maniera scalare, per esempio le prime quattro battute
procedono in maniera diatonica sulla scala di Bb minore. A cantare sono esattamente le note della scala:
Bb, C, D, Eb, F, Gb, Ab collegate tra loro con brevi frammenti di scala suonati a terzine e costruiti
attorno a queste note cardine. Sono presenti pochissime frasi costruite su intervalli ampi e anche quando
compaiono sono strutturati in piccoli pattern che si muovono in maniera scalare. A battuta 7, per esempio,
una scala discendente da F a Ab è abbellita da un pattern costruito su un intervallo di quarta che porta
alla chiusura della prima A. A battuta 20, invece, l’utilizzo di un intervallo che si allarga da una 5 a una 7
(A-E, A-F#, A-G) in contrapposizione a un bordone di A crea una tensione che precede la modulazione
da D maggiore a D minore. Un altro espediente utilizzato da Haden è la ripetizione prolungata di una
singola nota per drammatizzare la melodia, così come farebbe un cantante che articola un testo tenendo
ferma la nota. La ripetizione è resa necessaria per via del breve sustain dello strumento. Esempi di questa
tecnica si trovano a battuta 5 durante la quale il contrabbassista suona un Bb sugli accordi |Ebm |
Ebm/Db|, e a battuta 25 dove suona un F sugli accordi |Ebm | Bb7 |.
Partitura 3 – First Song, dall’album First Song (Soul Note, 1992) di Enrico Pieranunzi
La seconda analisi proposta è l’assolo di Charlie Haden su First Song, brano originale composto
dallo stesso contrabbassista e dedicato alla moglie Ruth Cameron. Si tratta di uno dei brani più popolari
e suonati del musicista, qui proposta nella versione suonata in trio con Billy Higgins alla batteria e Enrico
Pieranunzi al pianoforte nell’omonimo disco a nome del pianista.
Così come la versione di Body and Soul proposta in precedenza, anche in questo caso siamo di
fronte a una ballad dal tempo lento. La forma è circolare di 20 battute e l’assolo è strutturato su due chorus
ed è preceduto dall’esposizione tematica eseguita prima in piano solo e poi con l’accompagnamento di
contrabbasso e batteria.
Solamente guardando la partitura si possono trovare subito degli elementi comuni
nell’improvvisazione come, per esempio, l’uso delle terzine di ottavi che caratterizzano l’andamento
generale dell’assolo. Si nota anche come la trascrizione sia piena di figure ritmiche apparentemente
spezzate: compaiono terzine, quintine, sestine, sedicesimi, trentaduesimi spesso mischiate tra loro.
Questo è stato necessario, in fase di trascrizione, per riprodurre su carta in maniera più fedele possibile il
fraseggio di Charlie Haden. In realtà, ed è questa a mio parere la bellezza più grande della sua
improvvisazione, all’ascolto si ha la percezione di una melodia semplice, lineare ma carica di pathos. In
questa esecuzione, in effetti, è ancora più evidente il modo di suonare attorno al beat utilizzato da Charlie
Haden che ricorda da vicino la poetica e lo stile di Chet Baker e il suo concetto di “posizionamento delle
note”. La cosa più importante, quando si suona una nota, è dove la si piazza. Una frazione infinitesimale
di secondo prima o dopo decide la qualità di ogni nota, in un assolo o nell’interpretazione di un tema, e
fa la differenza. In questo assolo enfatizza la grandezza di Haden in questo senso: ogni nota occupa una
posizione, nello spazio, perfetta in relazione alle altre, costruendo un’architettura solida ma allo stesso
tempo lieve e lirica.29
Un esempio, a mio avviso particolarmente riuscito, di questa mescolanza ritmica si trova nelle
battute 26-27. A battuta 26 viene suonata esattamente la scala di C7b9, ma con un’alternanza ritmica
interessante: si susseguono una quartina di sedicesimi, due crome, due terzine di sedicesimi e una sestina
di sedicesimi che sposta nuovamente gli accenti. Ogni beat è suonato in maniera differente, ma la ritmica
in apparenza complessa è resa efficace da un pensiero melodico lineare, semplice e di effetto. A battuta
27 la frase continua con una quartina di sedicesimi e due crome e si allarga nel finale. Questa distensione
ritmica precede la tensione che si viene a creare a battuta 28 dove a cantare è un Ab su un accordo di B°,
probabilmente inteso qui come un G7b9. In queste poche battute è sintetizzato quel concetto di semplicità
assoluta già citato in precedenza. Laddove la melodia è lineare la ritmica può essere articolata e viceversa,
una tensione melodica, ha bisogno di spazio per poter cantare.

29 ENZO PIETROPAOLI, Jasmine on my mind, Jazzit, n. 60, settembre/ottobre 2010.


Anche in questo caso il fraseggio prosegue in maniera prevalentemente scalare e diatonico e, salvo
alcuni punti dove vengono enfatizzati accordi estranei al centro tonale come il C7b9 alla prima battuta,
l’intero l’assolo così come la melodia del brano, è costruito su una scala di C minore naturale. L’utilizzo
di brevi pattern ascendenti e discendenti rendono fluido e sinuoso il movimento scalare: ne sono un
esempio le ultime quattro battute dove il movimento melodico è suggerito da una linea guida diatonica
che procede da Bb a G abbellita da frammenti scalari con una ritmica simile ma suonata in maniera
sempre più stretta.
A differenza dell’assolo analizzato su Body and Soul, qui non viene fatto uso di note ribattute,
tuttavia spesso il contrabbassista indugia su una nota circondandola con brevi commenti melodici. Ad
esempio, da battuta 6 a battuta 9 canta sostanzialmente sempre un Bb al quale Haden si approccia ogni
volta in maniera differente. Una strategia analoga è usata nelle battute 12 e 13 dove il G al canto è abbellito
da un cromatismo prima discendente e poi ascendente.
Un’altra differenza rispetto al precedente solo è la densità del fraseggio in questo caso più fitto e
aggressivo, somigliante più a una chitarra che ad una voce. Nei passaggi più gravi suonati in IV corda si
può sentire distintamente, così come in tanti altri brani suonati dal contrabbassista, lo schiocco delle dita
sul palmo della mano a testimonianza di una maggiore pesantezza del tocco.
Partitura 4 - Nice Work If You Can Get It, dall’album “On Broadway, Vol.2” (Winter & Winter, 2003) di Paul Motian
Oltre ad un’analisi legata al fraseggio, mi è sembrato doveroso, proponendo un lavoro
monografico su un contrabbassista, trattare anche gli aspetti stilistici di Charlie Haden legati
all’accompagnamento. Per quanto riguarda il walking bass ho scelto due brani che sintetizzano il suo stile
e che mettono particolarmente in risalto le sue linee. Il primo è tratto dalla versione di Nice Work If You
Can Get It dall’album “On Broadway, Vol. 2” (Winter & Winter, 2003) di Paul Motian (Partitura 4). Il
pezzo, una AABA con un codino di due misure, apre senza indugi con questo chorus suonato solamente
da contrabbasso e batteria. La ritmica, composta da Charlie Haden e Paul Motian, suona un fast swing a
circa 260 bpm. La sonorità è completamente opposta alle ballad analizzate in precedenza: piatto e basso
sono incollati tra loro e Haden esplode un walking solido e preciso in cui ogni nota ha la stessa enorme
potenza propulsiva. Non ci sono sbavature, sincopi, ghost note, accenti o ritardi ma solo ed esclusivamente
quarti: un beat carico e costante. Anche Motian suona con lo stesso stile facendo un uso parsimonioso
del rullante tanto che il chorus, avrebbe probabilmente avuto la stessa energia anche se fosse stato
suonando esclusivamente sul piatto.
Dal punto di vista strettamente analitico la partitura ci dice che sul primo beat di ogni battuta
Haden suona quasi sempre la tonica ed infatti il chorus, pur essendo privato dell’accompagnamento di uno
strumento armonico, ha un’armonia chiara e definita che contribuisce a creare la sensazione di solidità
derivata dal walking. Questa sensazione di chiarezza armonica è enfatizzata anche dall’utilizzo prevalente
di note cordali, per lo più triadi, per la costruzione della linea. In misura minore vengono utilizzati
frammenti scalari e note ribattute mentre sono totalmente assenti intervalli ampi, tanto è vero che tutto
il giro è suonato nel registro grave dello strumento e potrebbe essere eseguito interamente in prima
posizione: ancora una volta è la semplicità ad essere protagonista.
Il secondo walking bass trascritto è tratto dalla versione di Blues in Motian, un blues scritto da
Charlie Haden, contenuta nell’album “Etudes” (Soul Note, 1988) di Charlie Haden – Paul Motian – Geri
Allen (Partitura 5). La struttura del brano è quella di un classico blues da 12 misure suonato a circa 200
bpm. Per certi versi è stilisticamente simile alla linea analizzata in precedenza: quarti rotondi, puliti, carichi
di suono e precisi sul beat. Anche in questo caso a farla da padrone sono contrabbasso e batteria, al piano
è affidata esclusivamente l’esposizione tematica privata di accompagnamento armonico. La melodia è
semplicissima e ricorda quella di un tradizionale blues, essendo costituita quasi interamente dalla
ripetizione di una breve frase sul modello domanda, risposta, conclusione. Stilisticamente sembra di
trovarsi di fronte a un brano di Ornette ed infatti Haden, complice la chiarezza della melodia e della
forma, si prende molte più libertà dal punto di vista armonico, ed è per questo che nella trascrizione non
sono stati inseriti gli accordi.
Partitura 5 – Blues In Motian, dall’album “Etudes” (Soul Note, 1988) di Charlie Haden, Paul Motian, Geri Allen
Si intuisce chiaramente che si tratta di un blues in F, si avvertono i changes fondamentali e la
struttura è rispettata, ma siamo lontani sia da quella chiarezza armonica espressa in Nice Work If You Can
Get It sia da una linea più tradizionale che potremmo trovare in un blues suonato da Paul Chambers o Ron
Carter. La mancanza degli accordi rende alcune misure meno definite e per questo in grado di accogliere
armonie più inaspettate. A battuta 5 e 17 per esempio, dove ci si aspetta un accordo di Bb7, troviamo
esattamente le note della triade di Fm. Potrebbe derivare dalla pratica bebop di sostituire il V grado con il
II e, suonata al basso, questa sostituzione ha l’effetto di mascherare un cambio di armonia altrimenti
scontato. La stessa cosa succede nei turnaroound dove Haden non rispettata in maniera precisa e
inequivocabile l’armonia più classica | Gm7 | C7 | F7 | C7 | ma preferisce costruire una linea che abbia
un suo senso armonico e melodico chiaro ma non per forza in relazione stretta con gli accordi tradizionali.
Altri elementi armonici inattesi si verificano ad esempio a battuta 16 dove Haden sembra anticipare il IV
grado. Tuttavia il senso fluido di circolarità non viene mai a mancare grazie alla definizione timbrica e
all’utilizzo sapiente delle note ribattute, utilizzate in questo caso per creare dei centri tonali temporanei
sui quali sorreggere la melodia, e di passaggi cromatici per collegare tali centri.
L’ultima trascrizione è un estratto dell’accompagnamento di Haden su Rainbow, un jazz waltz
composto da Keith Jarrett e contenuto nell’album “Byablue” (Impulse!, 1977). Il brano ha una forma
circolare di 22 misure ed il chorus qui proposto ha è preceduto da una lunga introduzione in piano solo.
In questo caso la pulizia della partitura ci suggerisce subito un’estrema semplicità. Sono
predominanti le nota da ¼ puntate che conferiscono al pezzo grande dinamismo creando di fatto un
incastro ritmico di tipo “due su tre”. Da battuta 14 a battuta 17, dopo essersi concesso un breve
commento melodico, crea una bella ed efficace linea discendente che copre quasi due ottave dello
strumento e sfruttando così un espediente timbrico per dare drammaticità al brano.
Questo senso costante di armonia “fluttuante” viene stabilizzato dall’utilizzo di note da ¾, sempre
toniche, che fungono da punti di ancoraggio per stabilizzare il tempo. Particolarmente interessante è il
fatto che i punti meno stabili sul tempo siano l’inizio, dove il contrabbassista entra sul levare del secondo
movimento, e la fine dove, sfruttando le minime sposta improvvisamente l’accento sul terzo movimento
della battuta.
Partitura 6 - Rainbow, dall’album “Byablue” (Impulse!, 1977) di Keith Jarrett
Gli infiniti orizzonti

La discografia di Charlie Haden è sicuramente una delle più imponenti nello scenario del jazz per
quanto riguarda i contrabbassisti ed è certamente una delle più eclettiche in generale. L’importanza del
suo lavoro discografica è duplice ed ha un valore strumentale per quanto riguarda soprattutto il suono, il
timbro unico che ha saputo conferire al suo strumento e all’emancipazione che Haden ha portato al ruolo
del contrabbasso nel jazz e non solo. Nel corso della sua carriera ha inciso oltre 200 dischi come leader,
co-leader e sideman30, che spaziano dal repertorio standard jazz americano al free jazz di Ornette Coleman; dal
pop alle canzoni popolari; senza mai dimenticare la sua matrice country e folk. In questo senso la discografia
di Haden non va etichettata nei confini seppur vasti del jazz, ma va vista come una costante ricerca di
una musica bella.

E’ per desiderio e necessità. Ho bisogno di farlo. Ho bisogno di suonare da diversi punti di vista e
in maniera totalmente sincera. Non finisce mai di stupirmi il fatto che esistano musicisti che
percepiscono la musica e la vita allo stesso modo pur avendo differenti personalità e caratteri e
ascoltando musica diversa, ma c’è sempre quella profondità, dedizione, sincerità e reverenza per la
loro bellezza interiore di essere umani.31

Come spesso accade confrontandosi con i grandi musicisti del passato, ridurre la sua opera a un
elenco di titoli essenziali è un compito arduo e pericoloso. Non essendo questo l’obiettivo principale della
mia tesi e avendo già trattato in precedenza le fasi più significative della vita artistica di Haden, ho
preferito fornire in questa sede una visione essenziale e strettamente personale, dando importanza agli
album che da sempre ho associato alla figura del contrabbassista e ad altri lavori che ho scoperto durante
la stesura di questa tesi. Obiettivo di questo capitolo è fornire una breve panoramica sulla discografia da
sideman di Haden, quanto mai ampia e fitta di collaborazioni più o meno durature:

- Beyond The Missouri Sky (Short Stories), Verve, 1997: premiato con un Grammy, si tratta di un disco
in duo con l’amico Pat Metheney, anche lui originario del Missouri. Brani originali si alternano a
canzoni folk della tradizione. C’è spazio per una versione di due temi tratti dalla colonna sonora
del film “Nuovo Cinema Paradiso” di Giuseppe Tornatore.
- Pop Pop, Geffen, 1991: un disco a nome della cantante rhythm and blues Rickie Lee Jones che più
volte, come in questo caso, si è cimentata col repertorio di tradizione jazzistica. Il disco vanta la
presenza di grandissimi musicisti come Charlie Haden, Robben Ford, Joe Henderson e Dino

30 JOSEF WOODARD, CHARLIE HADEN, Conversation With Charlie Haden, Silman – James Press, Los Angeles, 2017, p 1-12
31 Ibid. p9
Saluzzi. L’intero album è caratterizzato da atmosfere pacate, romantiche e soffuse ed è composto
quasi interamente da ballad.
- Wanton Spirit, Verve, 1994: Un album in trio del pianista Kenny Barron, con Charlie Haden al
contrabbasso e Roy Haynes alla batteria. Il trio suona con grande intensità e coesione dando
particolare rilievo alle doti pianistiche di Barron.
- Etudes, Soul Note, 1988: Un disco in trio a nome Charlie Haden – Paul Motian – Geri Allen. La
pianista, che collaborerà anche con la Liberation Music Orchestra, si fonde perfettamente alla
ritmica solida e ampiamente rodata di Haden e Motian. Tra i brani spicca l’interpretazione di
Lonely Woman di Coleman.
- First Song, Soul Note, 1992: Disco registrato a Milano nel 1990 a nome del pianista Enrico
Pieranunzi, con Charlie Haden al contrabbasso e Billy Higgins alla batteria. Tra i brani spicca la
title track First Song a nome del contrabbassista.
- Silence, Soul Note, 1989: Un disco in quartetto registrato a Roma con Enrico Pieranunzi, Charlie
Haden, Billy Higgins e Chet Baker. Magistrale l’interpretazione di Silence, uno dei brani più
celebri del contrabbassista.
- Solemn Meditations, GNP Crescendo, 1958: Si tratta di un disco del pianista Paul Bley, con Dave Pike
al vibrafono e Lennie McBrowne alla batteria. Merita una menzione in quanto si tratta del primo
disco in studio per Charlie Haden. Non ci sono soli del bassista ma si possono già apprezzare
alcune caratteristiche del suo timbro che lo renderanno unico.
Conclusioni

Per ascoltare, studiare a carpire al meglio il messaggio di Charlie Haden, bisogna prestare più
attenzione al suono che al fraseggio. La ricerca timbrica è sempre stata al centro del suo percorso artistico
e lo ha reso una voce inconfondibile del contrabasso jazz e non solo. Ispirandosi al timbro della voce
umana e a quello della chitarra che hanno permeato la sua vita fin dall’infanzia ha creato un suono unico
al contrabbasso.
La cosa che più mi colpisce di Haden è il senso di calma e solidità che traspare in ogni sua
esecuzione, che si tratti di free jazz o di musica pop e trovo che la definizione più calzante per definire in
una frase il suo stile, sia quella usata da Jarrett che lo ha definito come una perfetta dicotomia tra il
controllo assoluto e il totale abbandono. Credo che pochi altri bassisti al mondo avrebbero reso possibile
questo tipo di equilibrio, quasi tutti i suoi soli potrebbero essere dei temi altrettanto efficaci di quelli
originali, il tempo fluisce stabile. Le cose semplici sono le più difficili, togliere note è assai più arduo che
aggiungerle. Una nota isolata acquista un peso diverso e costringe ad assumersi maggiori responsabilità,
tante note ti danno protezione, fungono da diversivo quando mancano le idee. E quella di Haden è
davvero una sintesi assoluta ed estremamente lirica ed efficace, assente da ogni compiacimento
virtuosistico.
Redigere questa tesi è stata un’occasione per approfondire in primis la mia conoscenza
discografica sulla carriera artistica di Haden e scoprire davvero a fondo la sua ecletticità.
L’analisi delle trascrizioni è stata una grande fonte di ispirazione: nelle sue linee di accompagnamento
traspare una grande sensibilità e propensione all’ascolto che si manifesta in una grande duttilità armonica
che apre le possibilità di tutti gli altri musicisti. Lo stesso vale per i suoi assolo, dove è enfatizzata la sua
attenzione per il senso dello spazio musicale. Frasi ritmicamente dense contrapposte a grandi spazi,
lirismo costruito con sintesi e semplicità. Certo è difficile individuare, al di fuori dell’ascolto, degli
strumenti specifici sui quali lavorare per impreziosire il proprio fraseggio con un sound alla Charlie
Haden, ma credo che sfruttare al meglio l’alternanza ritmica di figure tra loro simili sia il modo migliore
per ottenerlo. La fluidità con cui ogni beat viene suonato in modo leggermente diverso (terzine, quartine,
crome, ecc..) è la base del suo lirismo.
Per concludere con un concetto più volte espresso da Charlie Haden nel corso della sua carriera,
l’approccio è fondamentale e ogni volta che si impugna lo strumento lo si dovrebbe fare come se fosse
la prima volta in assoluto: «L’improvvisazione riguarda l’essere qui e ora, nel momento. Possiamo usare
il passato per ispirare il presente, ed è questo che rende così speciale il jazz. Ti insegna ad apprezzare il
momento in cui ti trovi».
Bibliografia, Discografia e altre fonti

Bibliografia
• JOSEF WOODARD, CHARLIE HADEN, Conversation With Charlie Haden, Silman – James Press, Los
Angeles, 2017
• Jazzit Magazine, n. 60, settembre/ottobre 2010.
• DownBeat Magazine, volume 84/3, marzo 2017

Filmografia
• Charlie Haden, Ramblin boy, Reg. RETO CADUFF, PiXiu films, 2009

Sitografia
• www.charliehadenmusic.com
• www.allmusic.com
• www.discogs.com
• www.forbassplayersonly.com

Discografia
Con Ornette Coleman
• The Shape of Jazz to Come (Atlantic, 1959)
• Change of the Century (Atlantic, 1959)
• This Is Our Music (Atlantic, 1960)
• Free Jazz: A Collective Improvisation (Atlantic, 1961)

Con Keith Jarrett


• Life Between the Exit Signs (Vortex, 1967)
• The Mourning of a Star (Atlantic, 1971)
• Hamburg '72 (ECM, 1972 [2014])
• Backhand (Impulse!, 1974)
• Byablue (Impulse!, 1977)
• Jasmine (ECM, 2010)
Con la Liberation Music Orchestra
• Liberation Music Orchestra (Impulse!, 1969)
• The Ballad of the Fallen (ECM, 1982)
• Dream Keeper (Blue Note, 1990)

Con il Quartet West


• Quartet West (Verve, 1987)
• Haunted Heart (Verve, 1991)
• Always Say Goodbye (Verve, 1993)

Come leader e co-leader


• Magico, con Jan Garbarek e Egberto Gismonti (ECM, 1979)
• Etudes, con Geri Allen e Paul Motian (Soul Note, 1988)
• Silence, con Chet Baker, Enrico Pieranunzi e Billy Higgins (Soul Note, 1987)
• First Song, con Enrico Pieranunzi e Billy Higgins (Soul Note, 1990)
• Beyond the Missouri Sky (Short Stories), con Pat Metheny (Verve, 1997)
• American Dreams, con Michael Brecker (Verve, 2002)
• The Montreal Tapes: Tribute to Joe Henderson (rec. 1989, Verve, 2004)
• Rambling Boy (EmArcy, 2008)

Come sideman
• Wanton Spirit, con Kenny Barron e Roy Haynes (1994)
• Solemn Meditation, con Paul Bley (GNP Crescendo, 1958)
• Pop Pop, con Rickie Lee Jones (Geffen, 1991)
• On Broadway Volume 2, con Paul Motian (JMT, 1989)

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