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La Storia del Jazz, dalle Origini ai Giorni Nostri

Il genere della musica jazz nasce, come il Blues, affondano le loro radici nella tradizione degli
schiavi afroamericani e indonesiani, la storia purtroppo è povera di riferimenti e documentazioni,
in special modo per quanto riguarda le origini e i primi anni.

schiavi a New Orleans

A quanto si dice in tutti i testi che si rispettano, il Jazz è nato nella notte dei tempi (guarda caso) a
New Orleans tra l’ottocento e il novecento. Le prime fonti orali sulla nascita del jazz a New
Orleans risalgono ai primi anni del XX secolo mentre le prime fonti scritte al decennio successivo.
Il jazz fu creato dagli africani deportati negli Stati Uniti e schiavizzati, che cantavano per
alleggerire il lavoro. Il genere si sviluppò in modo esponenziale tra il 1915 e il 1940, diventando la
musica da ballo dominante tra il 1930 e il 1940. Nel frattempo la musica destava un crescente
interesse in Europa e nel resto del mondo.

L’origine della parola jazz


che per molto tempo fu pronunciata e scritta jass è molto incerta e vi sono nate al proposito molte
ipotesi, a quanto pare l’ipotesi, più accreditata, fa derivare jass, dalla parola di etimologia
francese jaser (gracchiare, fare rumore, ciarlare, chiaccherare e perfino copulare nel dialetto della
Louisiana francofona del ‘700).La linea etimologica francese jaser-jass sembra avvalorata dai
giornali dalla fine del ‘800 al 1918 e dalle testimonianze di musicisti di New Orleans, secondo cui
questa musica veniva considerata in ambienti tradizionali come fracasso, rumore sgradevole,
musica cacofonica e perfino orgia sessuale.

Molti sono gli antenati del jazz: reminiscenze della musica africana, canti e richiami di lavoro, canti
religiosi spiritual delle chiese protestanti, canto blues degli afroamericani, ragtime pianistico di
derivazione euro-americana, musica europea per banda militare e perfino echi dell’opera lirica sono
i più importanti elementi che hanno contribuito a questa fortunata e geniale sintesi artistica.
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Chicago e il Midwest
La migrazione degli afroamericani dal Sud al Nord degli Stati Uniti, che ebbe luogo tra il 1910 e il
1920, portò con sé anche molti musicisti di New Orleans, attratti dai maggiori guadagni che
venivano offerti ai musicisti al Nord e, secondo molte testimonianze, anche dalla decadenza
dell’intrattenimento a New Orleans, che viene fatta coincidere simbolicamente, con la chiusura
di Storyville, il quartiere a luci rosse di New Orleans, che avvenne nel 1917 ad opera del Ministero
della Guerra: la tradizione vuole che il jazz fosse nato e avesse prosperato nei bordelli del quartiere.
Molto probabilmente l’importanza di Storyville per il jazz è stata esagerata, ma è certo che molti
protagonisti vi suonarono, e che, forse anche a causa di questo, fin dagli inizi il jazz ebbe una
pessima reputazione. Il jazz veniva spesso portato al Nord sui battelli che risalivano il Mississippi,
che assumevano orchestre come intrattenimento di bordo. La meta di molti dei musicisti
fu Chicago, città che attrasse anche King Oliver , e attorno alla quale si creò una scuola da cui
emersero molti protagonisti soprattutto bianchi, tra cui Bix Beiderbecke, Frank Trumbauer (primo
Saxofonista americano – il Sax era stato brevettato nel 1846 a Parigi ed esportato al seguito delle
bande militari), Pee Wee Russell.

Dal punto di vista musicale il suono contrappuntistico e d’insieme (normalmente con esposizione
del tema alla cornetta, supporto armonico affidato agli arpeggi del clarinetto il tutto legato dalle
frasi e dagli effetti di glissato del trombone e con improvvisazioni collettive finali) delle formazioni
di New Orleans cede il passo ad uno stile in cui domina la performance del solista (grazie anche ad
una nuova generazione di musicisti più preparate tecnicamente), mentre iniziano ad emergere
figurazioni ritmiche più sofisticate di quelle di derivazioni bandistica. La figura principale del
periodo è Louis Armstrong, che fu chiamato a Chicago dal “Re” di New Orleans Joe “King” Oliver.
Dopo alcuni mesi con il gruppo di Oliver, Armstrong (con le storiche registrazioni dei suoi gruppi,
gli Hot Five e gli Hot Seven), nel 1925 si affermò come il trombettista simbolo del movimento
(Armstrong è considerato il più prolifico e talentuoso musicista jazz di tutti i tempi). Alla richiesta
di scrivere una storia della musica Jazz, Miles Davis rispose: “La storia del jazz si scrive in
quattro parole… Louis Armstrong, Charlie Parker”.
Sono gli anni che vedono anche la nascita dell’industria discografica: nel 1920, la cantante
blues Mamie Smith incide “Crazy Blues”, che vende un milione di copie e fa esplodere il settore
delle incisioni dedicate ai neri, i cosiddetti “race records” (registrazioni razziali), che fanno
decollare la carriera di molti musicisti, tra cui molti cantanti di blues, dei quali forse la più famosa
è Bessie Smith.

L’Europa
In Europa si guardava con grande interesse al jazz e gli artisti che venivano sul continente a dare
concerti ricevevano ottime accoglienze, rese ancora migliori dalla relativa assenza della
segregazione razziale e dei pregiudizi che ancora imperavano in America. Questo fece sì che molti
jazzisti intraprendessero lunghe tournée in Europa (Coleman Hawkins e Sidney Bechet tra gli altri)
provocando la nascita di molti gruppi di imitatori. Questa relazione del jazz con l’Europa avrebbe
subito una battuta d’arresto nel corso del secondo conflitto mondiale solo per riprendere con ancora
maggior vigore negli anni del dopo guerra.

Almeno un musicista europeo riuscì in questo periodo a guadagnarsi una fama che avrebbe
attraversato l’oceano in senso opposto, ottenendo una grande fama tra i jazzisti americani. Si tratta
di Django Reinhardt, un chitarrista belga di origini zingare che fuse in maniera apparentemente
improbabile swing e musica tzigana, guadagnandosi il rispetto dei colleghi americani (che avrebbe
incontrato nel loro paese solo verso la fine della sua vita) attraverso le incisioni dei gruppi che
formò assieme al violinista francese Stéphane Grappelli.

Louis Armstrong negli anni


cinquanta

Il bop: trasformazione di un genere (1940-1950)


L’avvento della seconda guerra mondiale, con le ristrettezze e le incertezze che ne conseguirono,
pose fine al periodo delle grandi orchestre, la maggior parte delle quali, nel corso del decennio,
dovette chiudere.

L’età delle avanguardie (1960-1970)


Gli anni sessanta segnarono per gli Stati Uniti la fine dell'”età dell’oro” di Eisenhower e
inaugurarono un periodo di profondi mutamenti, in cui la musica in generale e il jazz in particolare
non furono estranei.
Molti musicisti acuirono la propria consapevolezza sociale nell’epoca delle lotte della popolazione
afroamericana per la conquista della parità dei diritti civili negli Stati del Sud: molti musicisti (tra i
più notevoli Max Roach, Sonny Rollins, Charles Mingus) crearono composizioni dedicate al
movimento con titoli significativi quali “Freedom Suite” (suite della libertà) e diedero vasta eco al
proprio impegno sociale. Perfino Louis Armstrong, che godeva di un’immensa popolarità anche al
di fuori dei ranghi del pubblico del jazz ed era solito separare strettamente la propria vita privata
dalla propria immagine pubblica, rifiutò di partecipare ad una tournée all’estero organizzata dal
dipartimento di stato in segno di protesta per il trattamento dei neri negli Stati del Sud.

Un’altra forza che cambiò la forma del jazz fu l’emergere di un vasto mercato di massa rivolto ai
giovani, i cui gusti andavano alle sonorità più nuove ed orecchiabili della musica rock, funky e soul,
celebrate in enormi concerti di massa che regalavano agli artisti che vi partecipavano e alle case
discografiche che li sostenevano vendite senza precedenti. Mentre molti dei musicisti dei decenni
precedenti scomparvero nell’oscurità, o emigrarono in Europa dove il clima era più favorevole, ed
altri semplicemente aderirono ai nuovi movimenti, altri scelsero di cercare di fondere il jazz con le
nuove sonorità e modi di produzione.

Fusion
Negli anni settanta alcuni musicisti jazz sentono il bisogno di allargare i propri confini. Vogliono
fare nuove esperienze in quanto sentono che tutte le strade sono state già percorse. È l’epoca degli
strumenti elettrici, Chitarre e Tastiere. Molti cercano la direzione

Thelonious Monk, è stato un pianista e


compositore statunitense, conosciuto per il suo singolare stile d’improvvisazione

più commerciale e il desiderio di confrontarsi con gli idoli dei giovani, chitarristi e cantanti rock
ma Miles Davis prima, Herbie Hancock, Weather Report e molti poi, promuovono nuova musica
ispirandosi al funk al rock al soul. In quegli anni si mescolano stili diversi facendo nascere un vero
e proprio genere definito Jazz-rock o Fusion o Jazz elettrico. Secondo alcuni storici le strade del
jazz e quelle del rock cominciarono a mescolarsi fra il 1967 e il 1968 quando il vibrafonista Gary
Burton, il flautista Herbie Mann, il trombettista Don Ellis ed altri, adottarono nelle loro band
alcuni strumenti elettrici donando al loro jazz una velo pop inizialmente tenue ma poi sempre più
osservabile. Il primo gruppo di jazz rock fu i Fourth Way fondato nel 1968 da Yusef Lateef e Mike
Nock destinati ad influenzare uno dei musicisti più importanti di questo genere, Joe Zawinul. Il
jazz, comunque, resiste all’elettrificazione fino a tutti gli anni sessanta. L’incontro tra jazz e rock
avviene, fisicamente, nelle strade, nelle manifestazioni per i diritti civili e contro la guerra, nelle
università occupate e si espande nelle cantine dove si suona il jazz e il rock e sui palchi dove il jazz
ed il rock si danno il cambio. Il rock cerca nel jazz il fulcro della sua liberazione, il jazz cerca
nell’elettricità del rock una nuova accessibilità a comunicare. Ci vorrà un genio, una personalità
carismatica e imprevedibile per consacrare il passaggio al di fuori d’ogni compromesso
commerciale. Questi è Miles Davis. Davis è dunque la chiave di questa rivoluzione nei suoi dischi
compaiono Ron Carter, Tony Williams, Herbie Hancock, Wayne Shorter, Joe Zawinul, Chick
Corea, Jack De Johnette, Airto Moreira, Keith Jarrett, John McLaughlin. Nei primi anni settanta
sono i “figli” di Davis a creare davvero il genere, infatti, perché si possa parlare di jazz-rock, c’è
bisogno dei suoi discepoli. Primi fra tutti i Weather Report di Shorter e Zawinul il loro jazz rock è
elettrico coinvolgente ed intellettuale. Il discorso cambia per Herbie Hancock e Chick Corea che,
diventando delle vere star del jazz rock, mescolano l’esigenza di comunicazione al calcolo
economico, infatti, l’esperienza con Davis ha aperto a Chick Corea la strada che lo ha consacrato
una star della fusion: Nel 1972 fonda con Joe Farrel, Stanley Clarke, Flora Purim, Airto Moreira,
i Return to Forever.
Nel frattempo da Davis nascerà una nuova generazione di allievi: John Scofield, Marcus
Miller, Gary Thomas, Mike Stern, Kenny Garret, Mino Cinelu, Bill Evans, Bob Berg, Al
Foster, Darryl Jones. I Weather Report sono la band di importanza Storica e anticipatrice del genere
jazz rock prima che si chiamasse fusion una band con nomi del calibro di Zawinul,
Shorter, Miroslav Vitous, Jaco Pastorius, Peter Erskine ed altri che si sono avvicendati in 17
anni di esistenza del gruppo. Resta comunque la qualità sempre emozionante dei quindici album
pubblicati tra il 1971 ed il 1986. Un altro è il cambiamento epocale che sta avvenendo; la chitarra
elettrica nel jazz non ha mai avuto un ruolo di guida, ma con gli anni settanta sbarca una
costellazione di chitarristi: Larry Coryell, Allan Holdsworth, Mike Stern, Bill Frisell, John
Scofield, Vernon Reid e Pat Metheny. Nell’immaginario collettivo del jazz rock due chitarristi si
elevano per stile, personalità, carattere: Bill Frisell e John McLaughlin. Nel 1974 Pat
Metheny regala il suo contributo ad una session di grande rilievo nel jazz rock suonando con Paul
Bley, Bruce Ditmas, e Jaco Pastorius. Con Pastorius, virtuoso del basso nel universo jazz rock,
affronta alcuni dei capitoli fondamentali della sua carriera. Infatti, Pastorius, con Bob Moses è
nell’album d’esordio di Metheny “Bright size life” del 1975 e nel 1979 si rincontreranno in un
memorabile tour di Joni Mitchell. Nel 1973 un altro figlio di Davis, Herbie Hancock, spiccato nel
contesto del jazz elettrico come mago delle tastiere, dà vita agli Headhunters dando uno dei migliori
esempi di fusion, forse il più vicino alla consuetudine nera americana tra tutti i discepoli di Davis.
Negli anni ottanta la fusion diventa la forma prevalente del jazz in quanto riesce ad accostarsi a
culture diverse dalla cultura afroamericana, per il suo rapporto con gli strumenti elettrici ed
elettronici e per l’assillante tecnicismo.

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