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Duke Ellington
Storia della Musica e guida all'ascolto - Dispense relative alle materie Teoriche
Coordinatore Guido Di Leone.
N.6 Storia Del Jazz. I BATTERISTI. Il XX secolo fino agli anni ’60.
A cura di Alceste Ayroldi, del dipartimento di batteria del Pentagramma e di altri cari
prestigiosi amici batteristi.
Louie Bellson.
Louie Bellson è stato il primo batterista di Jazz che ho ascoltato e che mi ha, in
qualche modo, avvicinato a questo fantastico genere musicale. Tra i tanti suoi lavori
discografici ne ho trovato uno, registrato con un altro grande batterista, Gene Krupa.
Il disco in questione s’ intitola “The Mighty two” del 1963.
Tra i batteristi, egli è stato il primo ad utilizzare la doppia cassa nel Jazz. Inoltre, il
disco ha innescato una certa curiosità, poiché quasi tutti brani prendono spunto dagli
esercizi di batteria. Tra questi, troviamo: Paradiddle song, The three drags, etc.
Tra i musicisti, spicca il nome di un sassofonista a me molto caro, con il quale ho avuto
l’onore di registrare un disco, dal nome “Be Tune” con il “Davide Santorsola trio” e
fare alcuni concerti: Phil Woods.
“Sing Sing Sing” di Louis Prima, è uno dei brani che hanno reso celebre Gene Krupa.
Prima di Krupa, gli assolo di batteria erano una rarità e, grazie a lui, la batteria ha
cominciato ad essere anche uno strumento solistico.
“Ball Of Fire” - Gene Krupa and His Orchestra;
Ho conosciuto prima il suo metodo, dal nome “Snare drums Rudiments” e poi ho
cercato la sua musica. Il batterista in questione è Buddy Rich.
Uno dei più grandi batteristi di tutti i tempi per tecnica, velocità, potenza e creatività.
Dalla discografia infinita anche per Rich, un disco dove lo si ascolta in versione Funk è
“Mercy, Mercy” di J. Zawinul, del 1968 “The Buddy Rich Big Band Pacific Jazz”. Prima
di questo, vi sono “Krupa And Rich – Clef” del 1955 e il “The Lester Young & Buddy
Rich Trio - Norgran” sempre dello stesso anno.
Arthur Blakey, in arte Art, è stato un batterista carismatico ed anche leader del
gruppo Hard Bop - Jazz Messengers, fondato nel 1955.
Riconoscibile per il suo press roll, prima dell’inizio di un assolo del solista.
Come per gli altri batteristi dei quali vi ho parlato precedentemente, anche Blakey ha
registrato molti dischi.
Moanin’, del 1958, Blue Note;
Night in Tunisia, del 1960, Blue note;
Caravan, del 1963, River Side Records;
Max Roach ha percorso il solco tracciato da Kenny Clark, codificando lo stile della
batteria bebop e offrendo un contributo determinante ai gruppi di D.Gillespie,
M.Davis, T.Monk, C. Parker. Grazie alla sua inventiva, Roach fu uno dei batteristi
preferiti di Charlie Parker e partecipò a molte delle incisioni di “Bird”, creando spesso
degli assolo rivoluzionari per l'epoca. Memorabile, ad esempio, è quello sul brano
“Ko-Ko”, del 1945, vero punto di svolta del jazz moderno. Sono famosi i suoi assoli sul
H.H.,
Jazz in ¾ Time 1957 Verve;
1945 - 1948: The Complete Savoy Studio Recordings, con Charlie Parker;
Elvin Jones
Insieme al quartetto di John Coltrane, egli ha ridefinito i canoni del jazz tanto quanto
lo era stato Charlie Parker con l'invenzione del bebop. Il suo stile inconfondibile, con
l’uso frequente delle terzine e poliritmi, con un suono molto presente, non
intaccavano la pulsazione dello Swing. Ogni sua frase suonata sul set, aveva swing!
Dal 1960 al 1966, ha partecipato alle registrazioni più significative di J. Coltrane:
“My Favorite things” del 1961;
1964 in “A love supreme” e “Crescent”, e, sempre nello stesso anno, in “Speak
no Evil” con Wayne Shorter.
Philly Jo Jones
Ballerino di tip tap, cantante, pianista, contrabbassista e, infine, batterista e ché
batterista! È stato il batterista preferito di Miles Davis ed anche suo grande amico.
Nella sua carriera, ha inciso più di 1.500 dischi con la Blue Note Records, dalla quale é
stato assunto come House drummer, e con altre etichette discografiche, tra le quali:
Riverside Records – “Blues for Dracula” nel 1958;
Atlantic Records – “Elvin Jones/Philly Joe Jones: Together!” nel 1961;
Columbia – “‘Round about Midnight” nel 1957;
Columbia - “Milestone” nel 1958;
Tony Williams raggiunge l’apice del successo partecipando a quello che fu definito il
secondo grande quintetto di Miles Davis. La sua musica creativa ha contribuito a
ridefinire il ruolo della sezione ritmica del jazz, attraverso l'utilizzo di poliritmi e
modulazioni metriche.
Tony Williams lo ritroviamo in diversi dischi, alcuni in veste di leader e in altri come
sideman.
con la Columbia Records, “Seven Steps to Heaven” del 1963 e “My Funny
Valentine” del 1964;
con la Blue Note Records, “Life Time” e “Maiden Voyage”, entrambi del 1965;
Roy Haynes
Concludo questa prima parte dei miei consigli con una leggenda vivente Roy Haynes.
Felice di usare il presente e non il passato per questo grande batterista, poiché
continua a scrivere la storia del Jazz mondiale.
Oltre ad essere uno dei più registrati e longevi batteristi della scena jazz, è anche
ritenuto, da alcuni, uno dei musicisti più originali nel suo genere.
“Out of the Afternoon” del 1962;
“People” del 1964;
“Cracklin'” del 1963;
I cinque elementi
Mi piace pensare a questi cinque elementi come la base per portare avanti lo studio sulla
batteria, e pensare che uno non può fare a meno dell’altro ed infine tutti sono ‘uno’.
Attraverso questi elementi vorrei consigliare dei testi didattici che ho trovato illuminanti.
1) Lettura. Penso che la lettura sia indispensabile per il dialogo con altri musicisti, la lettura e
la scrittura fanno parte del linguaggio imprescindibile di un musicista. Si impara più
velocemente. A questo proposito consiglio i testi di Dante Agostini, Morris Goldberg ed
Anthony Cirone.
2) Tecnica. La tecnica la vedo come una tavolozza di colori, tanti colori, che puoi miscelare ed
attraverso il quale comunicare. Per un batterista è fondamentale riuscire a riportare sullo
strumento quello che si ha in mente in un istante, specie se si suona musica dove si fa
improvvisazione. Le bacchette sono il mezzo con il quale ci esprimiamo e si pongono al
centro tra il batterista e la batteria, quindi lo studio dei rudiments, delle dinamiche, gli studi
di endurance, e tanto altro portano a familiarizzare sempre più con le bacchette. I testi scritti
sono tanti e quelli a cui sono molto affezionato sono il ‘Master Studies’ di Joe Morello, ‘Stick
control for snare drummer’ e ‘Accents & rebounds’ entrambi di George L. Stone, ‘The all
American drummer - 150 Rudimental solos’ di Charley Wilcoxon e il NARD, una collezione di
soli per rullante di vari autori. Sono cosciente di lasciarne fuori molti ancora ma questi sono
un buon inizio. Ovviamente lo studio della tecnica la si trasferisce anche agli arti inferiori.(!)
3) Coordinazione. Nello studio della coordinazione i quattro arti lavorano insieme. Questo
studio crea un vero e proprio bilanciamento del corpo, richiama ad una giusta postura, alle
altezze e alle distanze con i singoli strumenti che compongono il set. Non per ultima,
sviluppa una elevata concentrazione. A tal senso ho trovato interessante anche suonare dei
soli trascritti molto lentamente. Secondo me un testo meraviglioso è il ‘4 Way coordination’
di Marvin Dahlgren e Elliot Fine; anche lo ‘Stick control for snare drummer’, sopra citato,
aiuta alla coordinazione ed il ‘Syncopation for the modern drummer’ di Ted Reed.
4) Indipendenza. Attraverso l’applicazione dell’indipendenza entriamo sicuramente più a
contatto con la musica jazz. In questa fase tutto si espande e si acquista più consapevolezza
dei propri limiti, ma anche dei propri traguardi; tutto dipende dalla qualità e quantità di
come si è affrontato i primi tre ‘elementi’. Questo studio, che trovo una esperienza
fantastica, prevede che i quattro arti suonino linee diverse creando una musica ad unisono:
poliritmia e polimetria.
I testi scritti sono davvero tanti e tra i primi metterei il già citato ‘Syncopation for the
modern drummer’ di Ted Reed; anche se molti pensano sia un testo vecchio ed obsoleto io
lo includerei per il suo approccio semplice e chiaro si tratta del famigerato ‘Advanced
Techniques For The Modern Drummer’ di Jim Chapin; ed ancora ho trovato utile il testo di
Jack Dejohnette e Charlie Perry ‘Modern Jazz Drumming’. Tra i testi più moderni vorrei
citare ‘The evolution of Jazz drumming’ di Dannie Gottlieb, e poi tutti i testi scritti da un
cultore del jazz John Riley. Per un buon approccio alle spazzole Philly Joe Jones pubblicò
‘Brush Artistry’.
Mentre se ci si vuol cimentare con le origini del jazz, ed è bene farlo a mio avviso, ci sono due
testi davvero interessanti, il primo è ‘New Orleans jazz and second line drummer’ di Herlin
Riley e Johnny Vidacovich e l’altro è ‘A modern approach to New Orleans “second line”
Drumming’ scritto da Chris Lacinak. Un testo interessante per l’approccio ai tempi dispari è
quello di Joe Morello dal titolo ‘New directions in rhythm’.
Buona pratica
5) Esplorazione. Arriva prima o poi il giorno che non vuoi studiare, che la mente è stanca,
non vuole concentrarsi, sei demotivato, tutto ciò porta inevitabilmente ad una stanchezza
fisica. Pioveva quel giorno ed ero nello stato appena descritto. Arrivai al locale dove
praticavo giornalmente, chiusi la porta, era buio, non accesi la luce ed arrivai a sedermi
dietro la batteria. A tentoni cercai le bacchette, chiusi anche gli occhi ed iniziai a percuotere,
suonavo senza costringermi a seguire nulla, era come se facessi delle pulizie di casa, misi
ordine dentro di me. Improvvisazione solo quello con il silenzio. Capii che c’era altro a tutto
ciò che ho elencato prima. Qualcosa che non ha forma perché muta in continuazione ed ogni
volta che pensi di averlo catturato è già volato via. Adottai quella pratica ogni giorno a fine
studio. Ma a volte funziona altre no…
Il Jazz
La parola Jazz mi riporta ad un linguaggio molto vasto, non riesco a chiuderla in un periodo
storico o ad autori ben precisi che conosciamo, ed imparare il linguaggio primordiale di
questa musica è fondamentale. Ascoltarla fa parte dello studio, non si può suonare jazz se
non l’ascolti e ami. Conoscere la storia è altrettanto importante perché ogni stile che si è
succeduto, dal 1910 in poi, è stato marcato da eventi umani attraverso migrazioni,
sofferenze, intuiti, mode, business, politica, rivoluzioni, contestazioni. Per questo ho sempre
trovato sì importante studiare i grandi batteristi storici del jazz e filtrare tutto attraverso il
mio modo di sentire.
Il mio studio maggiore l’ho fatto attraverso trascrizione dei soli e dei comping. E dentro di
me dopo vari ascolti è avvenuta una sorta di catalogazione dei batteristi di quel periodo
(1920-60) che riconoscevo come fisici, emozionali e razionali, o a volte si miscelavano. Ad
esempio:
Max Roach geometrico razionale
Philly Joe Jones emozionale
Art Blakey fisico
Elvin Jones fisico-emozionale
Tony Williams fisico-razionale
Shelly Manne emozionale ed a volte razionale
Joe Morello razionale-emozionale
Buddy Rich esplosione!
Questo è solo un mio modo di vedere questi straordinari musicisti che hanno dettato la
storia della batteria.
Come amante di Thelonious Monk ho trascritto spesso ciò che suonava Art Tayler in ‘5 by
Monk by 5’ ed in ‘The Thelonious Monk Orchestra at Town Hall’, oppure un altro batterista
intelligibile come Frankie Dunlop in ‘Monk’s dream’.
Philly Joe Jones è stato, come per tutti, un dispensatore di idee e penso che ‘Cookin’’,
Steamin’’, Relaxin’’ e Workin’’ di Miles Davis possono donare tante idee.
Art Blakey con i Jazz Messengers è una grande palestra.
Roy Hanes e Tony Williams hanno un drumming molto particolare, certamente hanno
apportato serie modifiche sull’accompagnamento del piatto discostandosi dalla linearità del
fraseggio. Non posso fare a meno di citare Sonny Payne, perché adoro Frank Sinatra e
l’orchestra di Count Basie.
Elvin Jones lo si ascolta con John Coltrane ed è ciò che sento più vicino.
Joe Morello è una vera trappola. Ci sono tantissimi batteristi che non ho citato ma
ugualmente importanti e quindi esorto a tutti quelli che si avvicinano a questa musica di
spingere la vostra curiosità a cercare sempre senza fermarsi.
Un tempo si diceva “suonare sui dischi” oggi non so come volete tradurlo, ma ascoltare uno
standars jazz e “suonarci sopra” è davvero formativo.
Il palco
Il momento del concerto è la chiave di volta; portare il tuo contributo davanti ad un
pubblico: essere concentrato, ascoltare, interagire, mescolarsi, prendersi le responsabilità
rischiando, mettersi a disposizione, fare silenzio, il pubblico, lo stato d’animo, i respiri, gli
sguardi, il luogo, gli applausi, i ringraziamenti. Un viaggio che vuoi sempre ripercorrere e che
non sarà mai lo stesso perché non si è mai gli stessi.
Buon viaggio
CHICK WEBB
GENE KRUPA
JO JONES
KENNY CLARKE
BUDDY RICH
MEL LEWIS
MAX ROACK
LOUIS BELSON
JIMMY COBB
DAVE BAILEY
PHILLY JOE JONES
ED THIGPEN
ROY HAYNES
CONNIE KAY
ELVIN JONES
DANNIE RICHMOND
BOBBY DURHAM
JOE MORELLO
PAUL MOTION
GRADY TATE
ART TAYLOR
BILL HIGGINS
JAKE HANNA
CHARLES SAUDRAIS
GUS JOHNSON
LIMEHOUSE BLUES
Cannonball Adderley-Wynton Kelly-Paul Chambers-Jimmy Cobb batteria incisa 1959
CRAZY BABY
Cannonball Adderly-Horace Silver-Paul Chambers-Roy Haynes batteria incisa 1955
Baby Dodds
Gene Krupa
“Ball Of Fire” - Gene Krupa and His Orchestra, “77 Hits : Gene Krupa Vol 2”
https://www.youtube.com/watch?v=D1QQ8UyBFoA
Krupa fu influenzato da Baby Dodds, che si trasferì da New Orleans a Chicago, dove Krupa
crebbe, 1922. Nonostante suoni la cassa principalmente in 4, Krupa inserisce alcuni colpi in
ottavi, usa anche il charleston con la cassa per portare il tempo. Sotto i soli usa il rullante
(come Baby Dodds.) Prestate attenzione al modo in cui Krupa crea differenti sfumature sotto
ogni sezione del brano.
Papa Jo Jones
Papa Jo usa il charleston come primo elemento per portare il tempo, era famoso per questo.
Suonava anche il 4 sulla cassa in modo più soft rispetto a Krupa o Dodds, questo dava alla
band di Count Basie un effetto più leggero. I “colpi di bacchetta” sul rullante sul quarto
movimento sono un’altra caratteristica per cui era noto. Si noti che porta il tempo sul ride
sotto il solo di Lester Young. Fate anche attenzione al modo in cui inserisce la cassa durante
la parte dei fiati.
Kenny Clarke
Anche se batteristi come Jo Jones portavano il tempo sul ride prima di Kenny Clarke, lui è
noto come il batterista che portò la pulsazione principale su quella parte della batteria. Il suo
modo di portare il tempo sui piatti è il più famoso della storia del jazz. Come sentirete in
questo esempio, è coerente, vivace e swingante. In aggiunta all’uso della cassa per accenti e
pause, Klook suona in modo molto leggero su tutti i 4 movimenti delle battute (una piuma).
Dagli anni ’40 in poi, i batteristi jazz hanno suonato la pulsazione di base sul ride. Ogni
grande batterista ha un modo unico e personale di suonare. Ogni volta che ascoltate, fate
molta attenzione al suono dei piatti.
Max Roach
Questo è un buon esempio di come Max Roach suona un arrangiamento: è molto partecipe
della melodia, sottolineando le note più importanti con i colpi di piatto e impostando altre
parti con ritmi contrari. Suona persino l’intera melodia sulla B, con tom e piatti. Il suo
accompagnamento crea molto movimento sotto i soli; notate cosa fa con il rullante sotto il
secondo chorus di Clifford Brown. Suona sulla campana del piatto sotto il solo di pianoforte,
per un suono più leggero, questa è una delle sue firme. Gli piaceva accordare la sua batteria
su note acute, questa è un'altra sua “firma”.
“Un Poco Loco Alternate Take 1” - Bud Powell, “The Amazing Bud Powell Volume 1”
“Un Poco Loco” - Bud Powell
https://www.youtube.com/watch?v=Esi8WrUDAXY
https://www.youtube.com/watch?v=W_XWNaLQVAM
Queste due tracce furono registrate a distanza di minuti. Nella prima, traccia alternativa,
Max suona un ritmo mambo standard. Nella traccia successiva, in un momento di genialità,
vien fuori con un iconico ritmo che sposa perfettamente il brano. È incredibile!
Art Blakey
“Work”- Theolonious Monk and Sonny Rollins, “Theolonious Monk and Sonny Rollins”
https://www.youtube.com/watch?v=mQ0W7dIExGE
Thelonious Monk e Blakey suonarono bene insieme. L’uso di Blakey di suoni inusuali in posti
inusuale, combaciava perfettamente con il modo strano di suonare e scrivere di Monk. Nel
primo chorus del solo di batteria di questo esempio, Art “si accompagna” con il ride, nella
seconda A introduce una poliritmia tra il rullante e il charleston. Non suona più il ride
all’inizio del secondo chorus, di nuovo notate il suono inusuale, il suo solo è lungo solo 1
chorus e mezzo, il bassista riprende dalla B.
Roy Haynes
Roy Haynes suonò con Lester Young, Charlie Parker e John Coltrane, tre giganti sassofonisti
con tre diversi stili di jazz. Attesta la sua grandezza il fatto che il suo modo di suonare si
integrasse perfettamente con ognuno di loro, rimanendo sempre fedele a se stesso. È stato
così per tutta la sua carriera e con chiunque abbia suonato.
“Snap, Crackle” era uno dei suoi soprannomi e questo brano dimostra perché: ha un effetto
gorgogliante e scoppiettante. Completa e ispira il solista ma non lo sovrasta mai. Da notare
come il suo modo di accompagnare attreversi le battute e le frasi e come usa in modo
efficace le pause durante il suo solo.
In questo brano, Roy “rompe” effettivamente il tempo senza però perdere mai l’effetto dello
swing di fondo. Ancora il suo accompagnamento si muove attraverso le battute e fa un gran
uso di poliritmie durante gli scambi.
Un perfetto esempio di ciò che è Philly Joe Jones: grande suono e approccio, un
accompagnamento sferzante e pungente con la mano sinistra, un bellissima pulsazione sul
ride e creatività nei soli. Specialmente durante i soli ha un modo di “tenerti sull’attenti”,
chiedendoti quale inaspettata piega prenderà.
Il modo swingante e fluttuante in cui queste sezioni ritmiche suonavano insieme aprì una
nuova strada e divenne il modo da manuale in cui dovevano suonare le sezioni ritmiche da lì
in avanti. Fate particolare attenzione all’interazione dell’accompagnamento tra Philly e Red
Garland e a tutte le differenti figure che utilizzano nel background.
Philly inizia questa sessione con le spazzole; è considerato uno dei migliori nell’uso delle
spazzole. Notate la differenza del suono nel cambio del movimento delle spazzole nella B. Si
noti anche come usa la cassa e il pedale del charleston per accentare - una delle sue “firme”.
Altre sono: le quartine dritte con la mano sinistra (suonate leggere) sul terzo chorus del
piano e il colpo di bacchette sul quarto movimento durante il quarto chorus.
La sezione degli scambi mostra perché è considerato uno dei batteristi jazz più melodici.
Fate molta attenzione al modo in cui fa sentire gli ottavi. Di nuovo vi fa stare sull’attenti!
“Kelly at Midnite” era il brano preferito di Philly tra le sue registrazioni.
Elvin Jones
Questo brano mostra quanto fossero importanti le terzine per Elvin Jones. Il “salto” del beat
sul charleston era sempre sulla “a” o la terza nota della suddivisione della terzina, integrate
con diverse terzine vibrate sul rullante. Gli piaceva accentare i levare del ritmo, questo lo
aiutò a dare al ritmo dei suoi piatti una qualità ampia e avvolgente.
Questo è un esempio dell’uso spettacolare delle spazzole di Elvin (l’acustica perfetta del
Vangard faceva si che suonare con le spazzole fosse un piacere). Quando passa alle
bacchette accompagnando Coltrane, suona spesso frasi in 3 anche se il pezzo è in 4/4.
Questa è una delle sue firme. Da notare come questo brano cresca di intensità dalla prima
all’ultima nota.
Mel Lewis
“Billie’s Bounce” - Terry Gibbs and His Exciting Big Band, “Explosion”
https://www.youtube.com/watch?v=ZNrovp3DMnA&list=OLAK5uy_lXAPdrOHx5GZHB
_9 vLuuDuub9wVjPFkWs&index=5
Come ensemble, la Big Band di Terry Gibbs è stata una delle più grandi della storia del jazz e
la batteria di Mel Lewis è una delle regioni di ciò. Sono ben udibili sui piatti, il suo swing e il
suo suono caldo e profondo, così come il senso e la conoscenza degli arrangiamenti. Si noti
come gestisse le sezioni d’insieme, suonando all’unisono quel tanto che bastava a
sottolinearli e sostenerli, ma non così tanto da appesantirli. È sbalorditivo il suo uso della
cassa.
“Once Around” - Thad Jones/ Mel Lewis, “Presenting Thad Jones/Mel Lewis and The
Jazz Orchestra
https://www.youtube.com/watch?v=WpFQJ4AnfEw
Mel è noto per aver portato nel modo di suonare della big band un approccio da piccola
formazione; “Once Around” ne è un buon esempio. Durante il suo solo alla fine si noti come
cita la melodia usando il suono distintivo dei suoi piatti. Un piccolo capolavoro di
moderazione.
“Make Me Smile” - Mel Lewis and The Jazz Orchestra, “Make Me Smile and Other
Works By Bob Brookmeyer”
https://www.youtube.com/watch?v=BQhSjpVenDk&t=76s
Un altro esempio dell’approccio da piccola formazione applicato alla big band. A mio avviso,
la naturale qualità del suono di quest’album riproduce verosimilmente l’esperienza di
ascoltare Mel e la sua band al Vanguard.
Tony Williams
Questo brano dimostra perché Tony Williams cambiò l’intera identità della batteria jazz
quando a 18 arrivò sui palchi. Tutto ciò che riguarda il suo modo di suonare – dal suono
innovativo e distintivo di piatti e legni, alla sua accentazione spigolosa unitamente all’uso
ingegnoso dello spazio - era rivoluzionario.
Billy Higgins
Billy Higgins è uno dei batteristi più registrati, avendo suonato in più di 700 registrazioni.
Come Roy Haynes, le sue idee si adattavano ad un ampio range di stili musicali. Qui possiamo
ascoltare il suo fantastico ritmo di piatti e la sua maestria nel suonare il rullante, usando i
ronzii a suo vantaggio. Era un maestro della moderazione che non ha mai esagerato sia con
le note che con i volumi.
“The Sidewinder” è stato un grande successo di Lee Morgan; uno dei principali motivi è il
delizioso ritmo boogaloo che Higgins suona all’interno del brano. Si noti il bel suono che
ricava Billy – una delle ragioni per le quali tutti lo volevano nelle loro registrazioni.
Spero che queste registrazioni vi diano la stessa ispirazione e lo stesso piacere che hanno
dato a me. Se avete domande in proposito, sentitevi liberi di scrivermi a:
andywatsondrums@gmail.com