Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Biennio Jazz
a.a. 2013/2014
a cura di
Walter Pignotti
Prefazione
Dopo una breve biografia del chitarrista andrò ad analizzare quattro incisioni
discografiche selezionate in base a dei momenti decisivi della carriera di Jim
Hall ed in base al ruolo che la chitarra riveste in queste registrazioni.
In questi dischi infatti la prima cosa che salta all’occhio è il tipo di formazione
che, sempre in relazione al periodo di uscita, potremmo di sicuro definire
atipica. Chi si stupirebbe oggi di un trio formato da clarinetto, chitarra e
trombone? Forse nessuno, ma nel 1957 un ensemble “da camera” di questo
tipo era di sicuro una novità. Quindi concentrerò la mia attenzione sulle scelte
di Jim Hall che, nonostante sia considerato un musicista schivo ed
intellettuale, ha dimostrato durante tutta la sua carriera grande audacia e
spregiudicatezza.
Biografia
James Stanley Hall nasce a Buffalo il 4 dicembre del 1930, in una famiglia
dove la madre, il nonno e lo zio suonano uno strumento, e a dieci anni
comincia studiare privatamente la chitarra. A tredici è già attivo
professionalmente nell’Ohio, dove si era trasferito da tempo, e suona con
gruppi locali diretti da musicisti come Bob Hardaway, Ken Hanna, Dave Pell.
Come ricorda dalle sue stesse parole: “Suonavamo qualsiasi cosa: polke,
canzonette. Il clarinettista adorava Benny Goodman e mi fece scoprire
Charlie Christian, che suonava su Solo Flight di Benny. Allora andai in un
negozio di dischi e comprai una raccolta di tre 78 giri del sestetto di
Goodman. Dovevo portarla a casa di amici, perché non avevo il giradischi.
L’assolo di Grand Slam mi fece davvero impressione”.
Hall continuò a studiare con Fred Sharp che ricorda come “un bravo
insegnante davvero, che aveva suonato con Adrian Rollini. Mi fece conoscere
Django Reinhardt. Poi sentii qualche disco di George Barnes alla radio. A
Cleveland ascoltai Willie Lewis, un chitarrista che aveva suonato con Benny
Carter. Arrivò anche Bill De Arango, proveniente da New York, dove aveva
suonato nella 52esima strada con Dizzy e Ben Webster. Ascoltai parecchio
anche il trombettista Benny Bailey e il batterista Fats Heard”.
Tra il 1946 e il 1955 il giovane Jim lavorò in molti club, come contrabbassista
oltre che come chitarrista, ma si concentrò sempre più su questo strumento
suonandolo in formazioni diverse. Dal 1948 al ’50 fece parte di un trio con
piano e basso diretto dal pianista Joe Howard; tra il 1947 e il ’49 era membro
di un gruppo chiamato The Spectacles. “Avevamo tutti gli occhiali”, dice. “Era
un quartetto con sax tenore, chitarra, piano e basso; io stavo finendo il liceo.
“C’era un circolo di jazzisti, in cui si riunivano tutti i musicisti locali. Ci ho fatto
delle jam con il padre di Joe Lovano. Ascoltavamo anche i dischi; il nonetto di
Miles Davis mi fece una grande impressione. Sentii tutti i sassofonisti tenori e
Johnny Hodges. Al Tiajuana Club ascoltai Bird, ma Tatum per me era ancora
più sbalorditivo di lui. Più tardi, anche Bill Evans e Ornette Coleman mi
aprirono le orecchie”.
Infatti nel 1961 il sassofonista Sonny Rollins, dopo un periodo di ritiro che si
era imposto, chiederà ad Hall ad unirsi a lui per un nuovo quartetto. Questo
evento avrà grande risonanza nella comunità del jazz, sia per l’attesissimo
ritorno sulle scene di Rollins, sia per la scelta di un ensemble senza
pianoforte. Questo sodalizio darà vita a due incisioni memorabili nella storia
del jazz, “The Bridge” e “What’s new?”, ancora oggi considerati come pietre
miliari della musica.
Da qui in poi la carriera di Hall sarà in continua ascesa alternando una fitta
discografia come leader a importanti collaborazioni: una su tutte quella con il
pianista Bill Evans immortalata in due splendidi dischi di cui “Undercurrent”
rimane un punto di riferimento per la discografia jazz di tutti i tempi.
Jim Hall si spegne a New York, nella sua casa sulla dodicesima strada, dove
viveva fin da i primi anni Sessanta il 10 dicembre del 2013.
Chico Hamilton quintet
Questa fu una delle prime formazioni importanti in cui Jim Hall venne
coinvolto. Nel 1955, infatti, il batterista Chico Hamilton decide di creare un
quintetto dalla formazione decisamente inusuale per il jazz. Questo gruppo
infatti, oltre ad avere la classica sezione ritmica formata da contrabasso e
batteria, comprendeva anche chitarra, violoncello ed un sassofonista che si
adatterà anche al clarinetto ed al flauto.
In verità Hamilton non era nuovo a combos atipici come questo, infatti egli fu
il primo batterista del noto quartetto del sassofonista Gerry Mulligan, che per
primo propose una formazione pianoless. Il quintetto di Hamilton fu definito
con il termine di “chamber jazz”, cioè “jazz da camera”, per i toni delicati ed
intellettuali del gruppo. Esso entra di sicuro a far parte di quella “Third stream
music”, teorizzata da Gunther Schuller, in cui si tenta di unire la tradizione
musicale eurocolta con quella improvvisativa del jazz.
Jim Hall si unisce al gruppo nel 1955 e fin dall’inizio l’ensemble riscuote un
notevole successo. A quel tempo per un jazzista uno degli appuntamenti più
prestigiosi era rappresentato dal festival jazz di Newport, Rhode Island. Il
quintetto di Chico Hamilton vi partecipò nel 1956 aprendo per il concerto di
Duke Ellington e, come dice egli stesso, il pubblico dopo tre giorni di
formazioni con trombe e sassofoni, rimase letteralmente folgorato dalla
bellezza della loro musica. Jim Hall in questa musica si inserisce
perfettamente eseguendo parti tematiche scritte, raffinati contrappunti ed
assoli su tipiche progressioni jazz.
Jimmy Giuffre trio
Nel 1956 Jim Hall entra a far parte del trio di Jimmy Giuffre e, anche stavolta,
la formazione è del tutto particolare comprendendo infatti sassofono, chitarra
e contrabbasso. Molto intenso ciò che scrive lo stesso Giuffrè nelle note di
copertina del disco “3”:
“The Bridge”, cioè “il Ponte”. Mai un nome è stato così appropriato per un
disco. Il ponte, poco distante da casa sua, sotto il quale si dice che Sonny
Rollins abbia suonato durante i suoi due anni di ritiro dalle scene (dal 1959 al
’61 circa); ma anche “il ponte” che fa collegamento tra un jazz che aveva
raggiunto il suo massimo apice nel 1959, e una nuova direzione, di cui i
musicisti newyorkesi andavano in cerca a quel tempo.
Come dice lo stesso Hall: “Sonny mi lasciò un bigliettino attaccato alla porta,
perché non avevo il telefono. C’era scritto semplicemente “Ti vorrei per
registrare un disco; questo è il mio numero. Chiamami! Sonny Rollins”.
Questo disco avrà una grandissima importanza per la carriera del chitarrista,
che infatti dopo questa esperienza, sarà proiettato nel circuito dei nomi più
importanti della scena jazz mondiale.
Maurizio Franco descrive bene, su un articolo per la storica rivista italiana
“Musica Jazz”, questo incontro:
“«The Bridge» segnò il ritorno sulle scene del sassofonista. Anche qui siamo
di fronte a un capolavoro, che si concretizza in brani come “Without a Song”,
“John S.”, “The Bridge”, registrati tra gennaio e febbraio del 1962 insieme al
contrabbasso di Bob Cranshaw e alla batteria di Ben Riley. Hall svolge un
lavoro essenziale, lascia i giusti spazi al sassofonista, gli permette di
muoversi senza il peso costante delle armonie alle spalle e, al tempo stesso,
quando improvvisa pone in atto una serie di contrasti armonizzati
assolutamente affascinanti, e subisce in parte anche l’influenza di Rollins,
soprattutto nell’uso di apparenti divagazioni melodiche tra una frase e l’altra.”
Jim Hall’s Three
- Capua, Enzo. Jim Hall, invisibile come Billy Wilder, Musica Jazz, Febbraio
2014.
- Paviglianiti, Roberto. Jim Hall, una leggenda della chitarra jazz, Jazzit news,
Gennaio 2014.
Discografia selezionata