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Tesina per il corso di

Storia del Jazz

“La rivoluzione silenziosa di Jim Hall”

Conservatorio “G.B. Pergolesi”

Biennio Jazz

a.a. 2013/2014

prof. Nicola Verzina

a cura di
Walter Pignotti
Prefazione

Il chitarrista Jim Hall ha indubbiamente influenzato schiere di musicisti


provenienti da differenti generi musicali e dai più svariati strumenti. Il
contributo che ha dato alla storia del jazz potrebbe essere analizzato sotto
molteplici aspetti. Potremmo parlare di come abbia contribuito a creare la
cosiddetta scena della West Coast, potremmo approfondire la sua visione
della chitarra e dell’improvvisazione, oppure ci potremmo concentrare sulle
decine di collaborazioni che ha avuto ed in questo modo potremmo andare
avanti ancora per molto. Quindi quale strada percorrere tra queste?
Ho scelto di puntare la mia attenzione sul ruolo fondamentale che Jim Hall ha
avuto nell’emancipare la chitarra da strumento per così dire “secondario” del
jazz a quello di protagonista, andando a ricoprire ruoli che in precedenza si
pensava fosse possibile affidare solo al pianoforte.
Basti pensare che un altro gigante della chitarra come Wes Montgomery
abbia raramente suonato senza il supporto di un pianoforte o di un organo
Hammond. Nei primi decenni del novecento la chitarra nel jazz aveva un
ruolo ben definito: o si accompagnava con la maestria di un Freddy Green o
si improvvisavano linee solistiche alla Charlie Christian. Solo dalla fine degli
anni ’50, grazie a Jim Hall, le peculiarità armoniche e ritmiche della chitarra si
faranno avanti. Chi aveva immaginato che, con il solo supporto di basso e
batteria, la chitarra potesse suonare intervalli, accordi e frasi tutto nella
stessa performance?
Per approfondire questo aspetto ho voluto circoscrivere il mio lavoro a quattro
uscite discografiche che, oltre ad indicare dei momenti significativi della
carriera del chitarrista, rappresentano molto bene la sua rivoluzione
silenziosa.
Introduzione

Dopo una breve biografia del chitarrista andrò ad analizzare quattro incisioni
discografiche selezionate in base a dei momenti decisivi della carriera di Jim
Hall ed in base al ruolo che la chitarra riveste in queste registrazioni.
In questi dischi infatti la prima cosa che salta all’occhio è il tipo di formazione
che, sempre in relazione al periodo di uscita, potremmo di sicuro definire
atipica. Chi si stupirebbe oggi di un trio formato da clarinetto, chitarra e
trombone? Forse nessuno, ma nel 1957 un ensemble “da camera” di questo
tipo era di sicuro una novità. Quindi concentrerò la mia attenzione sulle scelte
di Jim Hall che, nonostante sia considerato un musicista schivo ed
intellettuale, ha dimostrato durante tutta la sua carriera grande audacia e
spregiudicatezza.
Biografia

James Stanley Hall nasce a Buffalo il 4 dicembre del 1930, in una famiglia
dove la madre, il nonno e lo zio suonano uno strumento, e a dieci anni
comincia studiare privatamente la chitarra. A tredici è già attivo
professionalmente nell’Ohio, dove si era trasferito da tempo, e suona con
gruppi locali diretti da musicisti come Bob Hardaway, Ken Hanna, Dave Pell.
Come ricorda dalle sue stesse parole: “Suonavamo qualsiasi cosa: polke,
canzonette. Il clarinettista adorava Benny Goodman e mi fece scoprire
Charlie Christian, che suonava su Solo Flight di Benny. Allora andai in un
negozio di dischi e comprai una raccolta di tre 78 giri del sestetto di
Goodman. Dovevo portarla a casa di amici, perché non avevo il giradischi.
L’assolo di Grand Slam mi fece davvero impressione”.
Hall continuò a studiare con Fred Sharp che ricorda come “un bravo
insegnante davvero, che aveva suonato con Adrian Rollini. Mi fece conoscere
Django Reinhardt. Poi sentii qualche disco di George Barnes alla radio. A
Cleveland ascoltai Willie Lewis, un chitarrista che aveva suonato con Benny
Carter. Arrivò anche Bill De Arango, proveniente da New York, dove aveva
suonato nella 52esima strada con Dizzy e Ben Webster. Ascoltai parecchio
anche il trombettista Benny Bailey e il batterista Fats Heard”.

Tra il 1946 e il 1955 il giovane Jim lavorò in molti club, come contrabbassista
oltre che come chitarrista, ma si concentrò sempre più su questo strumento
suonandolo in formazioni diverse. Dal 1948 al ’50 fece parte di un trio con
piano e basso diretto dal pianista Joe Howard; tra il 1947 e il ’49 era membro
di un gruppo chiamato The Spectacles. “Avevamo tutti gli occhiali”, dice. “Era
un quartetto con sax tenore, chitarra, piano e basso; io stavo finendo il liceo.
“C’era un circolo di jazzisti, in cui si riunivano tutti i musicisti locali. Ci ho fatto
delle jam con il padre di Joe Lovano. Ascoltavamo anche i dischi; il nonetto di
Miles Davis mi fece una grande impressione. Sentii tutti i sassofonisti tenori e
Johnny Hodges. Al Tiajuana Club ascoltai Bird, ma Tatum per me era ancora
più sbalorditivo di lui. Più tardi, anche Bill Evans e Ornette Coleman mi
aprirono le orecchie”.

“Al Cleveland Institute of Music mi diplomai in teoria musicale, e cominciai a


considerare tutta la musica in modo unitario. Suonavo la chitarra nei fine
settimana, ma in quel periodo mi interessavo meno al jazz. Ritenevo che
sarei diventato un compositore accademico e che avrei insegnato. Poi, a
metà del mio semestre di mastering, mi resi conto che dovevo diventare un
chitarrista, altrimenti me lo sarei rimproverato per tutta la vita.”
Nel 1955, si trasferisce a Los Angeles ed entra a far parte del quintetto di
Chico Hamilton. E’ questa una delle formazioni più interessanti della West
Coast: in essa timbriche cameristiche (per esempio quelle del violoncello) si
uniscono a un concetto di gruppo che tende a scardinare la rigidità dei ruoli
pur senza perdere la pronuncia e l’intensità del jazz. Come dice lo stesso
Hall, questo per lui era un lavoro perfetto, perché gli permetteva di esprimersi
come compositore. In quello stesso periodo entra anche a far parte del trio di
Jimmi Giuffrè, con il quale esplorerà i confini tra jazz e musica eurocolta.
Alla fine degli anni’ 50 Jim Hall si trasferirà a New York, dove per lui inizierà
una nuova fortunata stagione.

Infatti nel 1961 il sassofonista Sonny Rollins, dopo un periodo di ritiro che si
era imposto, chiederà ad Hall ad unirsi a lui per un nuovo quartetto. Questo
evento avrà grande risonanza nella comunità del jazz, sia per l’attesissimo
ritorno sulle scene di Rollins, sia per la scelta di un ensemble senza
pianoforte. Questo sodalizio darà vita a due incisioni memorabili nella storia
del jazz, “The Bridge” e “What’s new?”, ancora oggi considerati come pietre
miliari della musica.

Da qui in poi la carriera di Hall sarà in continua ascesa alternando una fitta
discografia come leader a importanti collaborazioni: una su tutte quella con il
pianista Bill Evans immortalata in due splendidi dischi di cui “Undercurrent”
rimane un punto di riferimento per la discografia jazz di tutti i tempi.

Jim Hall si spegne a New York, nella sua casa sulla dodicesima strada, dove
viveva fin da i primi anni Sessanta il 10 dicembre del 2013.
Chico Hamilton quintet

Questa fu una delle prime formazioni importanti in cui Jim Hall venne
coinvolto. Nel 1955, infatti, il batterista Chico Hamilton decide di creare un
quintetto dalla formazione decisamente inusuale per il jazz. Questo gruppo
infatti, oltre ad avere la classica sezione ritmica formata da contrabasso e
batteria, comprendeva anche chitarra, violoncello ed un sassofonista che si
adatterà anche al clarinetto ed al flauto.
In verità Hamilton non era nuovo a combos atipici come questo, infatti egli fu
il primo batterista del noto quartetto del sassofonista Gerry Mulligan, che per
primo propose una formazione pianoless. Il quintetto di Hamilton fu definito
con il termine di “chamber jazz”, cioè “jazz da camera”, per i toni delicati ed
intellettuali del gruppo. Esso entra di sicuro a far parte di quella “Third stream
music”, teorizzata da Gunther Schuller, in cui si tenta di unire la tradizione
musicale eurocolta con quella improvvisativa del jazz.
Jim Hall si unisce al gruppo nel 1955 e fin dall’inizio l’ensemble riscuote un
notevole successo. A quel tempo per un jazzista uno degli appuntamenti più
prestigiosi era rappresentato dal festival jazz di Newport, Rhode Island. Il
quintetto di Chico Hamilton vi partecipò nel 1956 aprendo per il concerto di
Duke Ellington e, come dice egli stesso, il pubblico dopo tre giorni di
formazioni con trombe e sassofoni, rimase letteralmente folgorato dalla
bellezza della loro musica. Jim Hall in questa musica si inserisce
perfettamente eseguendo parti tematiche scritte, raffinati contrappunti ed
assoli su tipiche progressioni jazz.
Jimmy Giuffre trio

Nel 1956 Jim Hall entra a far parte del trio di Jimmy Giuffre e, anche stavolta,
la formazione è del tutto particolare comprendendo infatti sassofono, chitarra
e contrabbasso. Molto intenso ciò che scrive lo stesso Giuffrè nelle note di
copertina del disco “3”:

“La strumentazione è il risultato dello sviluppo di un gruppo di lavoro


permanente. Considero la scelta di particolari strumenti di secondaria
importanza rispetto ad altri fattori, come ad esempio:

1. La nostra capacità di comunicare e vivere insieme personalmente e


musicalmente.
2. Avere rispetto tra di noi personalmente e musicalmente.
3. Il fatto che tutti i membri desiderano suonare lo stesso tipo di materiale.

Secondo me ogni tipo di combinazione strumentale può creare un’


espressione musicale completa. Nessuno strumento è inutilizzabile. Ci sono
stati molti gruppi senza sassofono, clarinetto, chitarra, etc., senza piano,
senza basso, e alla fine, senza batteria. Questo può essere il primo gruppo
ad usare un fiato, la chitarra e il basso senza batteria.”
Anche in questo caso l’espressione “jazz da camera” è più che appropriata
per questo trio. Anzi, il fatto che sia una formazione così ridotta e che il sound
del disco sia completamente privo di riverberazione, rende ancora di più
l’idea di “intimità”. Anche in questo caso Jim Hall si trova perfettamente a suo
agio in questo contesto, là dove un altro chitarrista si sarebbe fatto prendere
da horror vacui. Non solo, tutti i vuoti ed i silenzi nei brani vengono
enfatizzati, in uno spendido discorso a tre in cui nessuno interrompe mai
l’altro a sproposito.

Sonny Rollins “The Bridge”

“The Bridge”, cioè “il Ponte”. Mai un nome è stato così appropriato per un
disco. Il ponte, poco distante da casa sua, sotto il quale si dice che Sonny
Rollins abbia suonato durante i suoi due anni di ritiro dalle scene (dal 1959 al
’61 circa); ma anche “il ponte” che fa collegamento tra un jazz che aveva
raggiunto il suo massimo apice nel 1959, e una nuova direzione, di cui i
musicisti newyorkesi andavano in cerca a quel tempo.
Come dice lo stesso Hall: “Sonny mi lasciò un bigliettino attaccato alla porta,
perché non avevo il telefono. C’era scritto semplicemente “Ti vorrei per
registrare un disco; questo è il mio numero. Chiamami! Sonny Rollins”.
Questo disco avrà una grandissima importanza per la carriera del chitarrista,
che infatti dopo questa esperienza, sarà proiettato nel circuito dei nomi più
importanti della scena jazz mondiale.
Maurizio Franco descrive bene, su un articolo per la storica rivista italiana
“Musica Jazz”, questo incontro:
“«The Bridge» segnò il ritorno sulle scene del sassofonista. Anche qui siamo
di fronte a un capolavoro, che si concretizza in brani come “Without a Song”,
“John S.”, “The Bridge”, registrati tra gennaio e febbraio del 1962 insieme al
contrabbasso di Bob Cranshaw e alla batteria di Ben Riley. Hall svolge un
lavoro essenziale, lascia i giusti spazi al sassofonista, gli permette di
muoversi senza il peso costante delle armonie alle spalle e, al tempo stesso,
quando improvvisa pone in atto una serie di contrasti armonizzati
assolutamente affascinanti, e subisce in parte anche l’influenza di Rollins,
soprattutto nell’uso di apparenti divagazioni melodiche tra una frase e l’altra.”
Jim Hall’s Three

In questo disco Jim Hall suona in trio accompagnato da Steve La Spina al


contrabbasso e da Akira Tana alla batteria. Uscì nel 1986 per la Concord
records e, oltre a rappresentare una delle formazioni preferite del chitarrista,
mostra già un artista completo e nel pieno della sua maturità. Jim Hall non
deve dimostrare mai niente e questo gli permette di abbandonarsi, come in
questo disco, ad arrangiamenti raffinati, ottime composizioni ed
improvvisazioni mai prolisse e fuori luogo. Per fare un esempio, nell’
esecuzione dello standard All the things you are, i chorus di assolo si
susseguono senza essere mai ripetitivi: quando Hall suona per singol notes
abbandona ogni forma di isoritmia stereotipata, le pause ed i respiri danno il
tempo all’ascoltatore di godere di ogni frase; per passare poi ad una semplice
nota ribattuta più volte che armonizza con estro e creatività; in altri casi suona
accordi pieni con uno strumming ritmico e pieno di energia.
Ho scelto proprio un disco in trio perché Jim Hall è stato uno dei pionieri di
questa formazione con la chitarra che, come dicevamo all’inizio, al massimo
fino agli anni ’60, si poteva presentare con un organo Hammond al posto del
contrabbasso.
In un periodo in cui il pianista Bill Evans aveva sdoganato il trio come
formazione nel jazz, il chitarrista di Buffalo fa la stessa operazione, più
complicata forse, visto che la chitarra non aveva una grossa popolarità nel
jazz, almeno prima degli anni ‘70.
Nel disco poi, in completa solitudine, Hall interpreta un altro celebre standard
della storia del jazz “Skylark”. Esegue il tema sfruttando gli armonici naturali
della chitarra e mettendo gli accordi al servizio di un quadro impressionista
dalle molteplici sfumature. Non abbiamo potuto fare a meno di notare come
l’odierno chitarrista Bill Frisell abbia preso a piene mani (è proprio il caso di
dirlo!) dal suo maestro queste tecniche, estremizzandole e rendendole
personali.
Bibliografia

- Gioia, Ted. Storia del Jazz, Edt, New York, 1997.

- Franco, Maurizio. Jim Hall, Musica Jazz, n.3, 1994.

- Gitler, Ira. Un suono unico ispirato a Christian e all’avanguardia, Musica


Jazz, n.3, 1994.

- Capua, Enzo. Jim Hall, invisibile come Billy Wilder, Musica Jazz, Febbraio
2014.

- Paviglianiti, Roberto. Jim Hall, una leggenda della chitarra jazz, Jazzit news,
Gennaio 2014.

Discografia selezionata

- Jimmy Giuffre, 3, 1957, Atlantic Records

Jimmy Giuffre: clarinetto, sax tenore, sax baritono


Ralph Pena: contrabbasso
Jim Hall: chitarra

- Chico Hamilton quintet, Complete studio recordings, 1956, Pacific records

Fred Katz: violoncello


Jim Hall: chitarra
Buddy Colette: clarinetto, sax alto
Carson Smith: contrabbasso
Chico Hamilton: batteria

- Sonny Rollins, The Bridge, 1962, Bluebird/RCA

Sonny Rollins: sax tenore


Jim Hall: chitarra
Bob Cranshaw: contrabbasso
Ben Riley: batteria

- Jim Hall trio, Three, 1986, Concord

Jim Hall: chitarra


Steve La Spina: contrabbasso
Akira Tana: batteria
Un sentito ringraziamento, per i preziosi consigli e per la raccolta del
materiale, va a Rodolfo Dini ed alla sua audioteca multimediale presso il
conservatorio “G.B. Pergolesi” di Fermo.

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