luciano.vanni@jazzit.it
caporedattore chiara giordano
chiara.giordano@jazzit.it
progetto grafico e impaginazione gianluca grandinetti
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photo editor chiara giordano
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in redazione sergio pasquandrea
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editore vanni editore srl
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direttore responsabile enrico battisti
index
INTERVISTE Kenny Garrett 58 · Paolo Damiani 92 · Silvia Bolognesi 100·
Franco D’Andrea 106 · Claudio Filippini 114 · Lorenzo Paesani, Luca Dalpozzo,
Dario Mazzucco 124 · Rollerball (Massimiliano Sorrentini) 130 · Glauco Venier
136 · SAGGIO Paco de Lucia 74 · FOCUS Raffaele Casarano 103 Max De Aloe e
pubblicità arianna guerin
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Marcella Carboni 110 Paolo Fresu 118 Ibrahim Maalouf 122 Ivo Perelman 128 Sonata
distribuzione marta pangrazi
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abbonamenti marta pangrazi
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sito web chiara giordano
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hanno scritto in questo numero
paolo angeli, antonino di vita , eugenio mirti, sergio
pasquandrea , roberto paviglianiti, roberto spadoni,
18
luciano vanni
CERRI
monica leggio, roberto polillo, emanuele vergari, carlo verri
crediti fotografici
L’editore ha fatto il possibile per rintracciare gli aventi
diritto ai crediti fotografici non specificati e resta a
disposizione per qualsiasi chiarimento in merito
Franco
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© Emanuele Vergari
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Trio
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(edicole)
Songs
58
Garrett
74
de Lucia
92
Damiani
100
Bolognesi
130
Venier
e
editoriale
L’esperienza Jazzit
La verità è che non basta più editare un buon giornale per condividere la nostra passione per il
jazz ed è per questo motivo che Jazzit non è più solo e soltanto una rivista da leggere in edizione
cartacea (in estate avremo pronta l’edizione digitale per smartphone e tablet) ma un magazine da
ascoltare (webradio), vedere (web tv), vivere (Jazzit Club e Jazzit Fest) e, perché no, degustare
(preparatevi a una linea di birra, caffè e vino firmata Jazzit e realizzata in collaborazione a
produttori enogastronomici artigianali d’eccellenza). Un’esperienza, ecco cosa stiamo diventando,
e non poteva essere altrimenti vista la rapidità con cui stanno cambiando le nostre abitudini
di lettura e di vita. E quindi, mantenendo intatta la nostra tradizionale vocazione editoriale
(questo bimestrale rappresenta per certi versi “il vinile” dell’editoria, un prodotto da collezione e
stampato con eccellenza tipografica), abbiamo intrapreso un cammino di trasformazione perché
vogliamo che Jazzit sia eternamente vitale, militante e appassionato, come tutti coloro che amano
il jazz!
Jazzit Stuff
Dedicare la nostra cover story a Franco Cerri significa rendere omaggio a un monumento del jazz
italiano, cui va riconosciuto il merito di aver promosso il jazz nel nostro paese; la sua grazia, i suoi
sorrisi, la sua eleganza, la sua fantasia, la sua testimonianza artistica, la sua musica e la sua vita
rappresentano un patrimonio culturale che torna a manifestarsi in occasione di una nuova pro-
duzione discografica.
PS_Dedico questo numero alla mia nuova e splendida nipotina, Caterina: ben arrivata in questo
mondo e che tu abbia una vita bella, dinamica, libera, felice e giusta.
PS_Ne approfitto per salutare due grandi amici e professionisti che hanno reso sempre più bella
questa rivista, ovvero Elena Chiocchia ed Emanuele Serra, rispettivamente photo editor e grafico:
due compagni di avventura che hanno condiviso con noi nottate in bianco, lunghe discussioni at-
torno a ogni singola pagina, gioie e amarezze. E saluto, e ringrazio, Gianluca Grandinetti, che da
questo numero curerà la grafica e l’impaginazione di questo progetto editoriale: you’re welcome!
Luciano Vanni
COVER STORY
CERRI
Una vita in jazz
Franco
DI SERGIO PASQUANDREA
© PAOLO GALLETTA
COVER STORY FRANCO CERRI
01
GLI ESORDI
IL JAZZ A MILANO
E L'URLO
DELLA TIGRE
I PRIMI CONTATTI DI FRANCO CERRI CON LA MUSICA AVVENGONO
NELLA MILANO DEGLI ANNI QUARANTA: PRIMA LA “MUSICA SINCOPATA”
TRASMESSA DALLA RADIO, POI LA PRIMA CHITARRA, RICEVUTA IN DONO
A DICIASSETTE ANNI. È L'ITALIA DEL FASCISMO E DELLA GUERRA, E FARE
JAZZ È SPESSO UNA VERA E PROPRIA AVVENTURA
DI SERGIO PASQUANDREA
ERAVAMO POVERI
Via Francesco Nava, oggi, è una qualunque strada del centro di Milano. Una traver-
sa del trafficatissimo Viale Zara, nei pressi della circonvallazione interna. Il 29 gen-
naio 1926, al numero 18 di via Nava, nasceva Franco Cerri.
La famiglia era tutt'altro che benestante. Il padre, Mario, è rimasto mutilato grave-
mente in un incidente sotto le armi, perdendo l'uso della mano sinistra e di tre dita
della destra; porta a casa un magro stipendio da impiegato presso un'agenzia di assi-
curazioni, con il quale devono tirare avanti anche la moglie, Rosa, e il fratello mag-
giore di Franco, Sergio, nato due anni prima di lui. Quella in cui cresce Cerri è una
Milano umile, popolare, fatta di oratori e di case di ringhiera.
«Eravamo poveri ma vivevamo in modo sereno», ha ricordato il chitarrista nel libro
Franco Cerri. In punta di dita (Sigma, 2006) di Vittorio Franchini. «Non ho mai sen-
tito litigare i miei genitori e mia madre faceva il possibile perché il povero stipendio
durasse fino alla fine del mese. E non c'era vergogna, l'ultima settimana del mese,
nel chiedere a una vicina due uova, qualcosa che poi sarebbe stata restituita puntual-
mente. C'era una grande solidarietà fra quella gente. Tutti poveri ma che grande di-
gnità e che capacità di affrontare i problemi della vita con coraggio».
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SESTETTO ALLEGRO RONCORONI, 1944
Il giovane Franco Cerri è ritratto con la
chitarra a fianco al fratello Sergio
21
COVER STORY FRANCO CERRI
Uno dei primi brani che Cerri ricorda di aver ascoltato si intitolava L’urlo
della tigre: si tratta in realtà del celeberrimo Tiger Rag, il cui titolo, come
d’uso all’epoca, era mascherato per aggirare la censura
IN FAMIGLIA
Dall'alto: Franco Cerri (secondo
da destra) con la mamma Rosa,
il fratello Sergio e il papà Mario
(1930); Franco Cerri con il fratello
Sergio (1945); Franco Cerri (primo a
destra) con il papà Mario, la mamma
Rosa, il fratello Sergio e la sorella
Rita (1948)
PIPPO BARZIZZA
22
© ROBERTO POLILLO
DUKE ELLINGTON
23
COVER STORY FRANCO CERRI
© ROBERTO POLILLO
GIAMPIERO
LIONEL HAMPTON BONESCHI
Il jazz come professione
Nato a Milano il 31 gennaio 1927, Giam-
COME SI CHIAMA QUEST'ACCORDO?
piero Boneschi fu tra i primi pianisti ita-
Dopo un po', Franco si fa coraggio e chiede ai genitori in regalo una chitarra. La pri-
liani a dedicarsi al jazz come professio-
ma costa settantanove lire, ma il padre mette subito le cose in chiaro: soldi per le le-
nista. Il suo trio con Claudio Gambarelli
zioni non ce ne sono, lo strumento l'ha voluto, quindi ora impari a suonarlo, da solo. alla batteria e Franco Mojoli al clarinetto
Insomma, si arrangi. È il 1943, Cerri ha diciassette anni. In suo soccorso interviene un era tra le principali attrazioni di Radio-
ex-compagno di scuola, di nome Giampiero “Peo” Boneschi, che suona il pianoforte e tevere. Dopo la guerra, ebbe il suo pri-
gli dà le prime dritte su come suonare lo strumento. «Tutto è cominciato verso la fine mo ingaggio importante con l'orchestra
della guerra», ricordava Cerri in un'intervista di qualche anno fa al nostro giornale di Gorni Kramer, di cui fu per anni l'ar-
(L'importanza di essere Franco. Franco Cerri, ottant'anni di swing, Jazzit n. 34, mag- rangiatore. Alcune delle sue prime incisio-
gio-giugno 2006). «Giampiero Boneschi era un pianista, aveva un giradischi e qual- ni da leader, realizzate nel 1945, si pos-
che disco di jazz. Io gli ho detto che suonavo la chitarra e così abbiamo cominciato a sono ascoltare nel disco “Jazz In Italy In
vederci a casa sua per ascoltare i dischi. Poi, quando avevo imparato qualcosa, andavo The 40s” (Riviera Jazz, 2000).
da lui e gli chiedevo: “Ma come si chiama quando metti questa nota qui e quest'altra Boneschi ha lavorato a lungo in televisio-
qua?”. E lui mi rispondeva: “Re minore settima”. E io: “E perché settima?”, e così via. ne, scrivendo le sigle di programmi come
A me sembrava di scoprire il mondo. E un po' alla volta cercavo di capire quali note Lascia o raddoppia? e Scherzi a parte.
potevano andare bene e dove. È così che ho imparato». I dischi ascoltati a casa di Bo- Sua anche la colonna sonora del cartone
neschi rappresentano per Cerri il primo incontro con il vero jazz. Tra quelli che più animato West and Soda (1968) di Bruno
Bozzetto. Negli anni Sessanta fu direttore
lo colpiscono, c'è Jack The Bell Boy di Lionel Hampton, reintitolato Giovannino il cam-
artistico della Ricordi e collaborò con can-
panaro. Nel frattempo, Franco ha perso il posto alla Montecatini: l'Italia è in guerra e
tanti come Luigi Tenco, Ornella Vanoni,
le aziende licenziano spesso i dipendenti più giovani, quando raggiungono l'età per la
Fabrizio De André, Umberto Bindi, Gior-
chiamata alle armi. Facendo di necessità virtù, comincia a usare la chitarra per gua- gio Gaber, Enzo Jannacci, Gino Paoli. Si
dagnarsi da vivere: suona nei locali, nelle feste da ballo, negli spettacoli di varietà, in- è occupato inoltre di elettronica e infor-
somma dovunque si possa guadagnare qualche spicciolo. Nel 1944, finisce addirittu- matica ed è stato tra i pionieri nella spe-
ra a lavorare per Radiotevere, un'emittente che faceva propaganda fascista contro il rimentazione dei sintetizzatori.
governo Badoglio. «Non sapevamo che i fascisti si servivano di noi per fare propagan-
da occulta. A noi bastava suonare», ha raccontato Cerri a Vittorio Franchini. «Certo
eravamo un po' incoscienti ma, tutto sommato, magari in modo inconsapevole, face-
vamo anche noi una sorta di contropropaganda: il jazz era una bandiera di libertà».
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MILANO, DUOMO
RADIOTEVERE
La “voce di Roma libera” (da Milano)
Dopo l'8 settembre 1943, l'Italia è spezzata In questo contesto, si situa la nascita di Ra- Radiotevere trasmetteva notizie fintamente
in due. Al Sud, liberato dalle truppe ameri- diotevere, un'emittente che fingeva di tra- oggettive, sketch comici e tanta musica jazz.
cane, si costituisce il governo libero, guida- smettere clandestinamente dalla capitale e L'emittente rimase attiva per tutto il 1944 e
to dal Maresciallo Badoglio, mentre il Cen- si presentava come “la voce di Roma libe- fino ai primi del 1945, per chiudere i batten-
tro-Nord cade nelle mani dei tedeschi e dei ra”, ma che in realtà aveva sede a Milano, ti dopo la Liberazione, il 25 aprile di quel-
“repubblichini”. in una scuola elementare di via Ripamonti. lo stesso anno.
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COVER STORY FRANCO CERRI
02
KRAMER, DJANGO,
CHET E GLI ALTRI
INCONTRI
ECCELLENTI
NEL 1945 ARRIVA UN INCONTRO FONDAMENTALE NELLA VITA DI CERRI:
QUELLO CON GORNI KRAMER, CHE LO ASSUME NELLA SUA ORCHESTRA E
LO LANCIA SUI PALCOSCENICI PIÙ IMPORTANTI. È SOLO IL PRIMO DI UNA
SERIE DI INCONTRI, CHE LO VEDRANNO AL FIANCO DI TUTTI I GRANDI DEL
JAZZ EUROPEO E AMERICANO
DI SERGIO PASQUANDREA
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27
COVER STORY FRANCO CERRI
LA “PALETTA”
Il lavoro con Kramer è una scuola fondamentale per il giovane Cerri, che è auto-
didatta e ha ancora molto da imparare. Il maestro vuole spronare quel giovanotto,
che secondo lui «ha la paletta» (ossia l'orecchio, il talento naturale) e si diverte a sfi-
darlo in tutti i modi.
«Kramer mi metteva alla prova direttamente in pubblico», ha raccontato Cerri a
Pierluigi Sassetti nel recente libro-intervista Sarò Franco (Arcana Jazz, 2013). «Lui
attaccava con dei brani che non conoscevo, e io non sapevo che fare. Lui lo capiva,
e probabilmente si divertiva anche […]. Ma la cosa non finiva lì, perché lui cambia-
va tonalità da un momento all'altro, e io lo dovevo inseguire più che seguire. Lo fa-
ceva apposta. Quando poi ci capitava di suonare due volte in una giornata, mi dice-
vo che in fondo era andata bene al primo spettacolo e che probabilmente avremmo
fatto lo stesso repertorio nel secondo, e invece Kramer cambiava ancora, e io ero
nuovamente nei guai».
Cerri presenta a Gorni Kramer anche l'amico Giampiero Boneschi. Il rapporto co-
mincia male, con un comico qui pro quo: Kramer aveva l'erre moscia ed era molto
suscettibile al riguardo. Casualmente, Boneschi aveva lo stesso difetto di pronun-
cia. La prima volta che i due si sentono al telefono, Kramer crede di essere preso in
giro e abbassa la cornetta. Sarà Cerri a chiarire l'equivoco, e Boneschi inizierà una
lunga collaborazione con il fisarmonicista, di cui sarà per anni l'arrangiatore.
28
«Io sono completamente autodidatta. Mi sono inventato tutto. Quando ci
ripenso, mi chiedo sempre se ero matto, perché ho cominciato davvero
senza sapere niente»
HO FATTO UN SOGNO
In questo periodo Cerri, che finora ha avuto un rapporto problematico con lo spar-
tito, impara finalmente a leggere e scrivere la musica. Anche questo avviene in ma-
niera autonoma, sebbene l'ispirazione sia quantomeno bizzarra.
«Ho sempre odiato l'idea di studiare, di fare il solfeggio. Poi, una notte, ho fatto un
sogno: avevo davanti a me una partitura che non sapevo leggere, ma c'era scritto un
brano che già conoscevo e suonavo. Allora mi sono svegliato e ho capito che quello
poteva essere un modo per imparare. Non ho appreso la musica sugli spartiti, come
fanno tutti, ma ho fatto un po' il contrario: prendevo gli spartiti dei brani e ci ragio-
navo su. Mi rendevo conto che quella era una terzina, quell'altra una pausa. E così,
piano piano, ho imparato a leggere e scrivere le note».
«Io sono completamente autodidatta. Mi sono inventato tutto. Quando ci ripenso,
mi chiedo sempre se ero matto, perché ho cominciato davvero senza sapere nien-
GORNI KRAMER
te. Ora conosco molte cose, ma ce ne sono milioni che non so, e sono quelle che Una fisarmonica tra jazz e
mi pesano di più. Forse, studiando, avrei capito qualcosa in più. Ma sono conten- canzone
to di essere riuscito a fare quel che ho fatto. Sono stato fortunato, e mi sono anche Gorni Kramer si chiamava in realtà
divertito». Francesco Kramer (di nome) Gorni (di
cognome). Lo strano nome gli era stato
assegnato dal padre in onore del cicli-
© CARLO VERRI
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COVER STORY FRANCO CERRI
NATALINO OTTO E
GIORGIO CONSOLINI
LA CLASSE
DEGLI ASINI,
OVVERO:
“Dove si trovano i
Pirenei?”
C'è un disco di Natalino Otto
che si chiama “La classe de-
gli asini”, in cui il cantante è
accompagnato dall'orchestra
di Gorni Kramer. Subito dopo
il primo ritornello introdutti-
FRANCO CERRI, 1946
vo, Otto esordisce con un bra-
Da sinistra: Gorni Kramer, Franco Cerri, Quartetto Cetra
no parlato: «Gentili signove e
signovi», scandisce affettando
un'erre moscia. «Vi pvesentiam
la classe degli asini, di cui fa
pavte l'orchestva Kvamèv con
i suoi solisti. Cominciamo con
COMPRATI LA “PASTIGLIA”... l'intevvogare il più intelligen-
te. Tu, Franco Cevvi, sai divmi
In questo periodo, Cerri si imbarca in una tournée con Gorni Kramer e il Quartet-
dove si tvovano i Pivenei?». E
to Cetra, che li porta lungo le strade di un'Italia ancora sconvolta dalla guerra. Le Cerri, di rimando, con una vo-
condizioni di lavoro sono incredibili, tra viaggi sul retro di camion militari, stra- cina chioccia: «I Pirenei... I Pi-
de dissestate e incidenti con le pattuglie dell'esercito americano, ma per il giovane renei si trovano... se si cerca-
Franco quel viaggio, che lo porta fino al Sud, con tappe a Roma e a Napoli, è anche no, ma se non si cercano no!».
un'insostituibile fonte di insegnamento. Una delle avventure più comiche avviene a Un «ooooh!» collettivo dell'or-
chestra dà il via alla canzone
Napoli, dove Franco vede, per la prima volta nella sua vita, un amplificatore, che si
vera e propria.
poteva collegare alla chitarra usando una “pastiglia”, ossia un rudimentale pick-up. Come Cerri ha rivelato a Vitto-
Entusiasta, compra tutta l'attrezzatura per novemila lire (una bella somma, all'epo- rio Franchini, lo sketch fu total-
ca, tanto che dovette farsela prestare da Kramer), salvo vedersela sequestrare su- mente improvvisato in studio:
bito dopo dalla polizia militare, con l'accusa di contrabbando. In seguito, scoprirà «Un momento prima di comin-
che si trattava di un bidone: la “Military Police” era in combutta con il proprietario ciare l'incisione Kramer, rivol-
gendosi a Franco, aveva detto:
dell'amplificatore, per spartirsi i guadagni dell'affare. “Attento che a un certo punto
Il lavoro con Kramer comincia a far conoscere Cerri nell'ambiente del jazz milane- ti alzi, ti avvicini al microfono
se. Non sempre – anzi, quasi mai – può suonare jazz, perché gli ingaggi sono per- di Natalino, lui ti dice qualco-
lopiù per serate da ballo, in cui si eseguono le canzoni alla moda, ma nell'orchestra sa e tu rispondi con una bat-
ci sono pur sempre Kramer, i Cetra, Peo Boneschi. Cerri si esibisce anche in picco- tuta”». Dato che a quei tempi
le incisioni venivano realizza-
li numeri di cabaret, canzoni, battute. Iniziano ad arrivare i primi soldi (l'ingaggio
te direttamente sulla matrice
è di trentacinquemila lire alla settimana), con cui contribuisce all'economia fami- di cera, e quindi non era pos-
liare. Può persino portare i genitori in vacanza a Venezia, dove l'orchestra si esibi- sibile sovraincidere, si può star
sce in un teatro al Lido. sicuri che le cose siano andate
Nel 1947, si classifica terzo nel referendum dei lettori di Musica Jazz. Nel 1948, en- davvero così. L'episodio rappre-
tra nel complesso del clarinettista Franco Mojoli e accompagna Armando Trovajo- senta bene quella vena ironi-
ca, un po' surreale, che spes-
li in alcune incisioni discografiche.
so affiora sotto la personalità
quieta e poco appariscente di
Franco Cerri.
30
«Quando conobbi Django, mi resi conto che anche lui non sapeva leggere e
scrivere la musica, e anzi era quasi completamente analfabeta. Però era lo stesso
un grande: in tutto quello che faceva, si basava solo sul suo orecchio»
«La prima volta in studio di registrazio- segno quando c'è lo stop”. Ed Enrico mi
ne è stata pazzesca. Ero con Kramer, e rispondeva: “Ma figurati, sono già pre-
io non sapevo ancora leggere la musica. occupato io, pensa se mi metto a fare
Ma Kramer mi diceva: “Va benissimo lo dei segni a te!”. Una grana, veramente.
stesso, tanto tu hai la paletta ”. “Sì, la Andando avanti Kramer ha cominciato a
paletta”, pensavo tra me e me, “ma qui farmi fare dei soli e mi diceva: “Suona
ci sono gli stop, e come è scritto uno bene, eh, perché altrimenti sono peda-
stop?”. Allora chiedevo al batterista, En- te nel culo!”. È stato un periodo molto
rico Cuomo, uno bravo che ha suonato complesso...».
con Kramer per lungo tempo: “Fammi un (da Pierluigi Sassetti, cit., pag. 61)
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COVER STORY FRANCO CERRI
«Anche con Chet Baker, che ho frequentato per tre anni, suonavo soprattutto il
basso. Negli anni, ho fatto qualche progresso, ma poi ho capito che lo strumento
andava studiato. E siccome non ho mai studiato gran che neanche la chitarra, ho
pensato che era meglio concentrarmi su un solo strumento»
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FRANCO E STEFANO CERRI
STEFANO CERRI
Gone too soon
Figlio maggiore di Franco, Stefano Cer- la celebre Extraterrestre, aperta proprio polifoniche. Insieme al padre, registra
ri nasce a Milano il 22 settembre 1958. dalle note del suo basso). nel 1993 il disco “Cerri & Cerri” (Dire,
Esordisce a soli otto anni, quando, nel Nel 1979 lascia l'Italia per trasferirsi a 1994). Collabora inoltre con musicisti
1960, compare accanto al padre nel va- Londra, dove l'anno successivo è ingag- come Sante Palumbo, Mario Rusca, En-
rietà televisivo Un, due, tre, condotto giato come bassista negli Animation, il rico Intra e Guido Manusardi.
da Vianello e Tognazzi, suonando l'uku- nuovo gruppo dell'ex-cantante degli Yes, Nel 2000, Stefano Cerri scompare pre-
lele. Come il padre, si avvicina alla mu- Jon Anderson, che segue anche in un maturamente, a soli quarantotto anni.
sica da autodidatta, prima come chitar- tour americano. Tornato in Italia, lavo- «Stefano mi è stato portato via da un
rista e poi come bassista, lavorando in ra a lungo come session-man, al fian- tumore ai polmoni», ricorda Franco Cer-
ambito pop e rock. Nel 1974, a soli se- co di artisti come Alice, Fiorella Man- ri. «Gli diagnosticarono la malattia e in
dici anni, affianca Franco Cerri nel di- noia, Pino Daniele, Fabrizio De André, pochi mesi se ne andò. Ma il periodo
sco “From Cathetus To Cicero” (Malobbia Franco Battiato. In seguito, inizia a inte- in cui suonavo con lui è uno dei ricordi
Records) e appare in diverse trasmissio- ressarsi sempre più attivamente al jazz, più belli della mia vita. Suonare con un
ni da lui condotte. Fra le esperienze più fondando i gruppi Chandé (dedicato alla figlio, che ho tenuto in braccio da pic-
importanti, il gruppo progressive Crisali- musica etnica) e Linea C (di ambito fu- colo, che ho cresciuto, averlo accanto a
de, con il quale accompagna il cantauto- sion). Sviluppa, sul basso, una tecnica me, sul palco, in tanti concerti, è stata
re Eugenio Finardi (ad esempio nel disco particolare, di origine chitarristica, che una grande gioia. Non eravamo padre e
“Blitz”, Cramps, 1978, che comprende gli permette di ottenere accordi e linee figlio: eravamo due fratelli».
33
COVER STORY FRANCO CERRI
03
JAZZ? NON SOLO
I MILLE VOLTI DI
FRANCO CERRI
CON JIM HALL
DI SERGIO PASQUANDREA
IL SUCCESSO INTERNAZIONALE
Gli anni Cinquanta segnano, per Franco Cerri, l'inizio del successo nazionale e in-
ternazionale. Dopo il primo disco, un 78 giri RCA-Victor intitolato “Franco Cerri e la
CON STÉPHANE GRAPPELLI
sua orchestra” (1950), la produzione discografica prosegue, continua e copiosa. Fra gli
italiani, suona con Gianni Basso e Oscar Valdambrini, Renato Sellani, Gianni Cazzo-
la, Dino Piana, Gil Cuppini, Berto e Franco Pisano, Umberto Cesàri, Giulio Libano,
Glauco Masetti; fra gli europei, ci sono il violinista Stéphane Grappelli, il sassofonista
svizzero-italiano Flavio Ambrosetti, il baritonista Lars Gullin, il trombettista Dusko
Gojkovic, i pianisti Martial Solal e George Gruntz, il chitarrista René Thomas («uno
dei più grandi musicisti con cui abbia mai suonato, un vero poeta, peccato che sia mor-
to così giovane, a causa della droga»), i batteristi Daniel Humair e Pierre Favre, l'armo-
nicista Toots Thielemans. E poi, ovviamente, i tanti americani di passaggio in Italia,
che apprezzano il suo stile solido e affidabile: Lee Konitz, Gerry Mulligan, Tony Scott,
Chet Baker, Barney Kessel, Dizzy Gillespie, Ray Brown, Buddy Collette, Milt Jackson,
Percy Heath, Phil Woods (e l'elenco potrebbe andare avanti molto a lungo).
In questi anni, il suo modo di suonare matura, sganciandosi dai suoi primi modelli, an- CON DIZZY GILLESPIE
cora legati allo swing, e aggiornandosi con le ultime tendenze del jazz americano. L'ar-
ticolazione delle frasi, asciutta e nervosa, è ora di chiara marca be bop; il suono si fa più
rotondo e morbido, grazie alla lezione di maestri come Jim Hall e Barney Kessel. Ciò
che rimane invariato, invece, è il suo senso melodico, l'amore per la chiarezza e la con-
cisione espressiva, quel modo di suonare che Vittorio Franchini ha efficacemente de-
finito «in punta di dita».
Nel 1956, durante una tournée in Svizzera, Cerri conosce Marion, con cui inizierà una
relazione destinata a durare fino a oggi, ma che potrà diventare matrimonio solo nel
1973, quando in Italia sarà approvata la legge sul divorzio. Da questa unione nascerà nel
1962 Nicola, che oggi lavora nell'ambito della pubblicità.
CON BARNEY KESSEL
34
© CARLO VERRI
35
COVER STORY FRANCO CERRI
STUDIO 7
L'attività di Franco Cerri, dagli anni Sessanta in poi, è troppo abbondante
per essere anche soltanto riassunta. È ormai un artista pienamente afferma-
to e diventa anche un grande scopritore di talenti: musicisti come Dado Mo-
roni, Gianluigi Trovesi, Tullio De Piscopo devono a lui le prime occasioni di
farsi notare. Oltre alle tante tournée italiane ed europee, nel 1966 debutta in IL GIORNO CHE
America, al celebre Lincoln Center. Dagli anni Ottanta, Cerri inizia un lungo
sodalizio discografico con Enrico Intra, con il quale ha inciso in diversi for-
FISCHIARONO
mati, dal duo al quartetto, oltre alle collaborazioni con la Civica Jazz Band. BILLIE
L'unico peccato è che solo pochi dei dischi da lui incisi in questi anni siano Teatro Smeraldo, novembre 1958
stati rieditati in cd: molti di essi sono ormai rarità introvabili, destinate solo
Lo Smeraldo era un teatro di Milano, spe-
ai collezionisti. Fanno eccezione alcuni titoli come “From Cathetus To Cice- cializzato in avanspettacolo. Vi si esibiva-
ro” (1974), ripubblicato nel 2004, o “Metti una sera Cerri” (1973), incluso nel no comici, ballerine, fantasisti, cantanti.
2004 in “Ieri & Oggi” (GMG Music). Altri brani si possono trovare in cd an- Il 3 novembre 1958 apparve sul palco-
tologici come “Passavo di qui” (uscito come allegato a Musica Jazz, maggio scenico del teatro Smeraldo una cantante
2012) o “In punta di dita” (accluso all'omonimo libro di Vittorio Franchini del di colore, accompagnata da un pianista
anch'egli nero. Cominciò a cantare con
2006, già più volte citato).
una voce lacerata, ridotta a un filo, den-
Negli anni Settanta, Cerri comincia a frequentare lo Studio 7, gestito da Tito sa di dolore. Era Billie Holiday ma quel
Fontana, un industriale (era titolare della ditta di borse e valigie Valextra) pubblico non la conosceva e la fischiò
con la passione per la musica, che organizza jam-session e si esibisce egli stes- ferocemente. Dopo quattro o cinque bra-
so come chitarrista. Grazie a lui, prende forma la Dire Records, etichetta di- ni, fu costretta ad abbandonare il palco.
Per fortuna, fra gli appassionati di jazz
scografica che rimarrà attiva fino agli anni Novanta, registrando molti dei
milanesi si sparse la voce che la Holi-
migliori nomi del jazz italiano (fra i tanti, Renato Sellani, Flavio Ambroset- day era in città. Furono contattati i mi-
ti, Maurizio Lama, Enrico Intra, Guido Manusardi, Giorgio Azzolini, Clau- gliori musicisti disponibili, per organiz-
dio Fasoli, Franco D'Andrea, oltre ovviamente allo stesso Cerri). Più tardi, in zare uno spettacolo degno di lei. Il 9
quegli stessi locali avranno sede i Civici Corsi di Jazz, fondati da Cerri insie- novembre Billie cantò sul palco del tea-
me a Enrico Intra. tro Gerolamo (un luogo deputato in ge-
nere agli spettacoli di marionette per i
bambini) per due concerti, uno pome-
ridiano e uno serale, che fecero il tut-
to esaurito. Ad accompagnarla c'erano
Mal Waldron, il batterista Gene Victory
(il cui nome è scritto “Gin” sugli inviti
dell'epoca), il quintetto di Basso e Val-
dambrini e Franco Cerri, che per l'occa-
sione suonava anche il contrabbasso. La
stessa sera, la cantante si esibì anche
alla Taverna Messicana, il più noto loca-
le jazz della città, accompagnata da En-
rico Intra, Gianni Basso, Oscar Valdam-
brini, Giorgio Azzolini e Gianni Cazzola.
Poi ripartì per l'America, dove sarebbe
morta pochi mesi dopo.
«Ho suonato con tanti jazzisti famosi»,
ricorda Cerri in In punta di dita, «al loro
fianco mi sentivo sempre piccolo picco-
lo, mi sembravano sempre bravissimi,
ma nessuno di loro mi ha emozionato
come l'esperienza con Billie, una cosa
fugace, un solo concerto, ma alla fine di
quel concerto l'abbraccio con lei, la stra-
STUDIO 7 ordinaria Billie, beh è stato un momento
davvero eccezionale».
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© EMANUELE VERGARI
FRANCO CERRI
RACCONTA (3)
Sellani e il quarto a scopa
«Avevo chiamato Renato Sellani. Lo avevo co-
nosciuto a Roma, mi era piaciuto quel suo
modo poetico di suonare. Vieni a Milano, gli
avevo detto, c'è lavoro. E lui subito con entu-
siasmo, vengo, vengo, arrivo, arrivo, ma non
arrivava mai. Finché un giorno gli ho dato un
ultimatum, se non vieni subito, gli ho detto,
devo cercare un altro pianista. Ma lui: Fran-
co, io sarei già partito, sai che mi piace suo-
nare con te, vengo, ma sono in imbarazzo con
i miei qui a Roma, se io parto rimangono sen-
za il quarto a scopa».
(da Vittorio Franchini, cit., p. 18)
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COVER STORY FRANCO CERRI
Negli anni Sessanta e Settanta, non è raro vedere Franco Cerri partecipare
a show televisivi, dove suona con Mina, Bruno Martino, Renato Carosone,
Nicola Arigliano, Johnny Dorelli, Bruno Lauzi
CON MINA
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CON GIORGIO GABER
JAZZ AL DERBY
Milano by night
Negli anni Sessanta, Milano conosce
un vivace sviluppo della scena musi-
cale, che ne fanno la capitale del di-
vertimento e della vita notturna. Uno
dei locali più celebri è il Derby, dove si
possono incontrare artisti come Char-
les Aznavour, Cochi e Renato, Enzo
Jannacci, Giorgio Gaber, I Gufi, Bruno
Lauzi, Lino Toffolo, Walter Valdi, Pao-
lo Villaggio. Più tardi, vi esordiranno
Diego Abatantuono (nipote dei gesto-
ri del locale), Giobbe Covatta, Giorgio
Faletti, Umberto Smaila, Giorgio Falet-
ti, Paolo Rossi, Teo Teocoli, Francesco
FRANCO CERRI, L'UOMO IN AMMOLLO Salvi. Per anni, fino alla sua chiusura
Tutti gli appassionati di jazz conoscono Franco Cerri per il grande musicista che è. Ma nel 1985, il locale fu anche il ritrovo
anche chi non ascolta jazz – e ha, magari, più di una quarantina d'anni – ricorderà il della Milano più aperta e bohemienne.
suo volto e la sua voce in una celebre pubblicità del Bio Presto, quella nota come “l'uo- Pochi sanno che il Derby era inizial-
mo in ammollo”, che andò in onda dal 1968 fino ai primi anni Ottanta, con lo slogan mente un ristorante e si chiamava “Go-
Go”. L'idea di trasformarlo in un locale
«Non esiste sporco impossibile!».
destinato alla musica e lo spettaco-
Tutto nacque per puro caso: Cerri era in studio d'incisione per registrare dei jingle lo nasce nel 1962, grazie al pianista
pubblicitari e fu notato da alcuni funzionari della società che stavano preparando la e compositore Enrico Intra. Il nome
campagna per il noto detersivo. La sua faccia piacque e fu preferita persino a volti più originale è Intra's Derby Club, ispira-
noti, come quelli di Lando Buzzanca, Gastone Moschin, Peter Sellers e Alec Guinness. to dalla vicinanza all'Ippodromo. Cerri,
In punta di dita di Vittorio Franchini riporta uno stralcio dalla relazione dell'agenzia stretto collaboratore di Intra, si esibi-
va spesso nel locale, fondendo il suo
pubblicitaria Lintas, la quale concludeva che «[Cerri] è percepito innanzi tutto come
jazz con la miglior canzone d'autore.
simpatico e ciò avviene senza mezzi termini, la percezione soggettiva di simpatia è
inoltre, nella maggior parte dei soggetti, motivata da particolari inferenze sulla sua
personalità obbiettiva. Franco Cerri, in effetti, sembra risvegliare una spontanea sim-
patia di tipo pseudo materno, quel tipo di sentimento cioè che fa dire a una donna di un
uomo, magari più vecchio di lei e verso il quale ha rapporti che non sono necessaria-
mente materni, che è un simpatico bambinone».
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COVER STORY FRANCO CERRI
04
FRANCO CERRI
OGGI
A OTTANTOTTO ANNI, FRANCO CERRI NON È POI MOLTO DIVERSO DA
QUEL RAGAZZINO CHE, NEI PRIMI ANNI QUARANTA, SI APPASSIONAVA
AI DISCHI DI LIONEL HAMPTON E DI DJANGO REINHARDT: HA
CONSERVATO LO STESSO ENTUSIASMO, LA STESSA PASSIONE E LA
STESSA INCONFONDIBILE IRONIA
DI SERGIO PASQUANDREA
MI È ANDATA BENE
«Quando, nel 1943, mio padre mi regalò la mia prima chitarra, non c'erano
metodi per imparare il jazz. C'erano, sì, dei grandi libroni in cui studiavano
quelli che potevano permettersi di farlo, ma io non ci capivo nulla. Se ci ripenso,
mi dico che mi è andata bene. Devo ringraziare i miei genitori, che mi hanno
fatto nascere con un po' d'orecchio per la musica. Suonare gli accordi giusti,
mettere il basso dove doveva stare, leggere lo spartito, scrivere arrangiamenti,
sono tutte cose che mi sono inventato da solo. Sono stato fortunato».
Nonostante questi inizi (o, forse, proprio a causa di essi), Franco Cerri è sempre
stato un appassionato didatta. Va ricordato perlomeno il suo pionieristico Corso
di chitarra, scritto con Mario Gangi, pubblicato per la prima volta da Fabbri
nel 1974 e più volte ristampato. Negli anni, si sono aggiunti altri volumi, come
Chitarra jazz – Approcci, Sviluppi, Esperienze (con Paolo Cattaneo e Giovanni
Monteforte, Ricordi 1993), Un suo modo di dire (Curci, 1979), Poliedrico (Curci,
1999) e Franco Cerri (con Antonio Ongarello, Carisch 2008).
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© PAOLO GALLETTA
COVER STORY FRANCO CERRI
© ROBERTO CIFARELLI
ENRICO INTRA E FRANCO CERRI
MUSICA OGGI
© ROBERTO CIFARELLI
Da oltre venticinque anni, Cerri è attivamente impegnato con l'Associazione Musi-
ca Oggi, fondata nel 1986 insieme all'amico e collega Enrico Intra, a Franco Fayenz
e a Luca Cerchiari, con lo scopo di diffondere e favorire la musica jazz attraverso
seminari, corsi, concerti, lezioni e incontri. Nel 1987 sono nati i Civici Corsi di Jazz,
che ancor oggi dirige insieme a Intra e al musicologo Maurizio Franco.
Si tratta di una delle esperienze più solide nella didattica del jazz in Italia. I cor-
si, che recentemente sono stati equiparati a quelli universitari, sono organizzati in
un triennio di base, seguito da un biennio di specializzazione e possono vantare
un corpo docente composto da artisti di chiara fama: oltre a Cerri (che cura i labo-
ratori di musica d'insieme) e Intra (direttore della big band), figurano nomi come
MAURIZIO FRANCO
Riccardo Bianchi, Franco D'Andrea, Giulio Visibelli, Claudio Fasoli, Fabio Jegher,
Mario Rusca, Emilio Soana, Paolo Tomelleri, Tony Arco, Marco Vaggi; Maurizio
Franco cura i corsi di estetica del jazz e storia della musica. La scuola incentiva
anche la formazione di gruppi formati da allievi e docenti; la sua big band stabile,
chiamata Civica Jazz Band, collabora spesso con nomi italiani e internazionali e ha
un ricco curriculum di produzioni discografiche.
«Mi sembra importante sottolineare una cosa», ci raccontava Cerri nell'intervista
del 2006. «Lo sviluppo che il jazz ha avuto in Italia deve molto a queste scuole di
musica, che non sono state procurate dal “Palazzo”, ma da noi musicisti, attraverso
i nostri sforzi. Il “Palazzo” è intervenuto solo dopo, quando ha visto che le cose fun-
zionavano. […] La scuola è diventata come una grande famiglia, dove i ragazzi ven-
gono anche quando non hanno lezione, dove nascono amicizie e persino amori... è
una cosa di una dolcezza incredibile».
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«Sono arrivato a ottantotto anni e, finché dura, io sono contento.
Considero la musica una medicina. Quando si fa un mestiere che piace, il
lavoro stesso è un modo per sostenersi, per riuscire ad andare avanti»
© ROBERTO CIFARELLI
Non sono molti i jazzisti che possono vantarsi di essere stati nominati Commendatori
della Repubblica, com'è successo a Cerri nel 2006, in concomitanza con i festeggiamenti
per i suoi ottant'anni. Sempre in quell'occasione, la città di Milano gli ha conferito l'Am-
brogino d'Oro, il riconoscimento che la città riserva ai suoi figli più illustri. Il 29 genna-
io 2006, tremila spettatori hanno assistito a un concerto celebrativo, in cui molti dei col-
leghi di Cerri si sono riuniti per festeggiarlo («Io piangevo come un bambino», ricordava
poco dopo quell'evento, «mi dicevo: no, non è possibile. […] Una cosa talmente bella, tal-
mente più grande di me, che ancora mi ci sveglio la notte e mi chiedo: Madonna, ma che
cosa è successo?»). Nel 2013, gli spettatori del festival di Sanremo l'hanno potuto vede-
re sul palco dell'Ariston, impegnato ad accompagnare Simona Molinari e Peter Cincotti.
Ma il chitarrista non ha alcuna intenzione di andare in pensione o di sedere sugli allori.
«Quando il concerto finisce», dichiara nel libro di Pierluigi Sassetti, «spesso mi doman-
do: “Ma avrò suonato bene?”. Poi, ripensando alle risposte affettuose della gente, sento di
aver comunicato qualcosa, e tutto ciò vale di più di un assolo tecnicamente ineccepibile.
Per me, “suonare bene” è qualcosa di molto vicino a un atto d'amore».
«Sono arrivato a ottantotto anni», riflette, in chiusura della nostra intervista, «e, finché
dura, io sono contento. Considero la musica una medicina. Quando si fa un mestiere che
piace, il lavoro stesso è un modo per sostenersi, per riuscire ad andare avanti. Io ho potu-
to suonare con tanti grandi, ho fatto quel che mi piaceva. Ciò che è stato è stato. Ora non
sono in attesa di andarmene, ma del giorno dopo».
I CIVICI CORSI DI
© ROBERTO CIFARELLI
JAZZ
Un'avventura lunga ventisette anni
«L'Associazione Musica oggi è stata costitu-
ita nel 1986: si tratta di una struttura nata
per lavorare su più fronti, tuttora punto di par-
tenza di diverse iniziative. Nel 1987 c'è sta-
ta la fondazione dei Civici Corsi di Jazz, di
cui divido, con Maurizio Franco, la direzione
e la programmazione didattica; tra l'altro con
grande soddisfazione: quest'anno i nostri cor-
si sono stati equiparati a quelli universitari e
ai conservatori. Inoltre da più di cinque lustri
la nostra associazione, di cui Franco Cerri è
il presidente onorario, cura il programma per
il Piccolo Teatro di Milano - Teatro d'Europa e
una rassegna internazionale, Orchestra senza
Confini, che ha ospitato centinaia di musici-
sti. L'attività didattica della scuola è rappre-
sentata dai saggi pubblici dei nostri studenti,
che si svolgono in Piazza Mercanti a Milano,
nei pressi di Piazza Duomo. L'incontro è inti-
tolato Break in Jazz e si svolge all'ora di pran-
zo, dalle 13 alle 14. Con Franco ho condiviso
questa stupenda, irripetibile avventura orga-
nizzativa e musicale, che continua con pas-
sione ed entusiasmo anche oggi».
ENRICO INTRA E LA CIVICA JAZZ BAND (Enrico Intra)
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COVER STORY FRANCO CERRI
© PAOLO GALLETTA
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«Certe cose sembrano stupidate: una battuta, un doppio senso. Però sono
convinto che ne abbiamo bisogno: non bisogna mai dimenticarsi che nella
vita, nonostante tante cose brutte, bisogna sempre continuare a sorridere»
SARÒ FRANCO
ARCANA JAZZ, 2013
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COVER STORY FRANCO CERRI
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CELEBRANDO
L'AMICIZIA
DADO MORONI
RACCONTA
“BARBER SHOP”
DADO MORONI VANTA UNA COLLABORAZIONE PLURIDECENNALE CON
FRANCO CERRI. È LUI A RACCONTARCI LA GENESI DI “BARBER SHOP”,
L'ULTIMO DISCO DEL CHITARRISTA, APPENA USCITO PER LA ABEAT, CHE
LO VEDE AFFIANCATO DA RICCARDO FIORAVANTI AL CONTRABBASSO E
STEFANO BAGNOLI ALLA BATTERIA
DI SERGIO PASQUANDREA
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© MARIAGRAZIA GIOVE
COVER STORY FRANCO CERRI
© EMANUELE VERGARI
AMARSI, ASCOLTARSI, RISPETTARSI
«“Barber Shop” è una celebrazione dell'amicizia che ci lega, dell'amore comune
di tutti noi quattro per questa musica. Il rapporto che c'è tra musicisti è un po'
come quello di una relazione di coppia: serve affetto, complicità, ascolto e rispet-
to reciproco. Se siamo in quattro a suonare, dobbiamo aiutarci l'un l'altro: quando
uno di noi ha un assolo, gli altri devono consentirgli di esprimersi al meglio, sup-
portarlo, dargli degli spunti, senza mettergli i bastoni tra le ruote. È una relazio-
ne complessa, che deve avere come base delle passioni comuni. Tutti noi abbiamo
in comune la passione per il jazz, anche se poi ciascuno ha le sue esperienze: Ric-
cardo ha fatto anche tanto pop, che gli ha dato questo enorme senso di professio-
nalità, la capacità di piazzare la nota giusta al momento giusto, senza mai strafa-
re; Stefano è un musicista talmente poliedrico che funziona in qualunque tipo di
contesto; io ho avuto una formazione molto legata agli Stati Uniti, dove ho fatto
la mia gavetta; e Franco, alla sua giovane età, ha più esperienza di tutti noi mes-
si insieme!».
PIONIERI
«Fare musica con Franco è sempre un onore, non solo per la sua grandezza come
chitarrista, che riesce sempre a comunicare qualcosa di significativo con il suo
strumento, ma anche perché è senz'altro uno dei jazzisti più importanti a livel-
lo europeo. Basta pensare che ha suonato con Billie Holiday, Django Reinhardt,
Chet Baker, per capire che è davvero uno dei pionieri del linguaggio jazz in Eu-
ropa. E non solo: è apprezzato ovunque, anche da maestri come Jim Hall, Geor-
ge Benson o Barney Kessel. Stiamo parlando di un musicista che è un caposcuola
della chitarra, senza bisogno di specificare altro. Anche Mario Caccia non vedeva
l'ora di registrare questo disco, perché avere in catalogo un musicista come Fran-
co è un fiore all'occhiello».
© MARIAGRAZIA GIOVE
© MARIAGRAZIA GIOVE
© PAOLO GALLETTA
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«Ha davvero il gusto della nota che conta, e tutte le altre sa toglierle via.
Ma, soprattutto, pensa alla musica come a qualcosa che si fa insieme, in cui
nessuno deve prevaricare sugli altri. Vuol sempre tenere la chitarra più bassa
di quanto farebbe la maggior parte dei suoi colleghi»
© MARIAGRAZIA GIOVE
FRANCO CERRI
BARBER SHOP
ABEAT, 2014
Franco Cerri (ch); Dado Moroni (pf); Riccardo Fioravanti (cb); Ste-
fano Bagnoli (batt)
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TAKES ON CERRI
RICORDI E
TESTIMONIANZE
DADO MORONI VANTA UNA COLLABORAZIONE PLURIDECENNALE CON
FRANCO CERRI. È LUI A RACCONTARCI LA GENESI DI “BARBER SHOP”,
L'ULTIMO DISCO DEL CHITARRISTA, APPENA USCITO PER LA ABEAT, CHE
LO VEDE AFFIANCATO DA RICCARDO FIORAVANTI AL CONTRABBASSO E
STEFANO BAGNOLI ALLA BATTERIA
DI SERGIO PASQUANDREA
MAURIZIO FRANCO
«Ho conosciuto Franco Cerri nel 1986, al Teatro delle Erbe, grazie al chitarrista
Giovanni Monteforte, che mi ha presentato a lui e a Enrico Intra. Un incontro che
ha portato sviluppi importanti nella mia vita professionale. Da venticinque anni,
infatti, divido con Cerri e Intra l'ufficio di Musica Oggi e dei Civici Corsi di Jazz,
che è il centro motore delle nostre attività.
Dopo una frequentazione così lunga, i ricordi si sommano l'uno sull'altro e, a vol-
te, si confondono. Non posso però dimenticare quando, nei camerini della Società
Umanitaria, prima di un concerto, mi ha espresso le sue paure, sino a quel momen-
to celate a tutti, per un rigonfiamento al collo che poi si rivelò un tumore dal quale
è perfettamente e fortunatamente guarito. Il musicista Cerri riflette perfettamen-
te l'uomo Cerri. Musicalmente parlando, è un autentico stilista della chitarra, pos-
siede un linguaggio personale e riconoscibile, ma nell'esprimersi costruisce le sue
frasi con cautela, riflettendoci sopra, come fa quando parla. In fondo, è un uomo
timido, ma con una forte personalità che gli consente di essere un personaggio».
FRANCO D'ANDREA
«Franco Cerri è stato uno dei più importanti pionieri del jazz in Italia. Non ho
mai registrato con lui, ma lo conosco bene. Ho un bel ricordo di una jam session
in cui suonammo insieme What Is This Thing Called Love, nei lontani anni Ses-
santa. L'avevo comunque sentito per radio quando ero ancora un ragazzino e mi
fece una grande impressione, sia suonando la chitarra sia il contrabbasso (non
tutti sanno che aveva una formidabile cavata e uno swing come pochi). Per il re-
sto, ho sempre ammirato il suo raffinatissimo senso armonico e dinamico, oltre
al suo fraseggio di purissima matrice jazzistica. Ultima e non trascurabile quali-
tà, il fatto di essere un vero gentleman».
© RICCARDO CRIMI
COVER STORY FRANCO CERRI
© PINO NINFA
ENRICO INTRA
«Non ricordo il primo incontro con Franco Cerri, ma quello significativo fu fine
anni Cinquanta, negli uffici del direttore artistico della Voce del Padrone, John
Lee, dove iniziò il nostro rapporto di lavoro e di collaborazione. È stato un incon-
tro fertile. Il nostro quartetto è un sodalizio che è durato più di quaranta anni,
ancora vivo, anche se ultimamente abbiamo scelto due strade musicali diverse. Il
mio lavoro con Franco dura da quasi mezzo secolo ed è fitto di soddisfazioni e an-
che di sconfitte. Ma soprattutto (che fortuna) grazie alla nostra determinata e ap-
passionata azione siamo riusciti a ottenere gratificanti successi come quello per
esempio di aver portato il jazz in televisione, dagli anni Settanta agli anni Novan-
ta, cercando di suscitare interesse attorno a questa musica. Abbiamo creato con-
corsi in cui erano coinvolte diverse città nelle sedi RAI di Milano, Torino e Vene-
zia, nelle quali si svolgevano concerti e selezioni realizzati in funzione di nuove
aperture, rivolte a giovani musicisti. È stata un'esperienza edificante ed entusia-
smante. È sempre molto difficile riassumere in due parole il carattere umano o
le caratteristiche di una persona, soprattutto dopo una lunga frequentazione. In
pratica siamo stati una "coppia”, e come succede nelle copie tradizionali, spesso,
nonostante la convivenza, non si riesce a entrare nel misterioso pianeta del pen-
siero di ognuno di noi. In tutti questi anni si è consolidata – e di questo ne sono
certo – una stima per il Cerri musicista, che considero un grande “stilista”. E na-
turalmente vorrei sottolineare quel suo tipico e rispettoso riguardo, la sua incon-
fondibile sensibilità, il suo comportamento con l'esterno e con le persone con cui
viene in contatto».
RICCARDO BIANCHI
«Ho conosciuto Franco al Teatro Verdi di Milano attorno al 1988, ma è stato un
fugace incontro da dietro le quinte. In seguito, abbiamo suonato insieme quat-
tro o cinque volte, di cui una in trio con il figlio Stefano. Franco Cerri è la per-
sona più rispettosa dell’universo. Fa fatica, o addirittura non riesce, a dire cose
che non vanno bene. Anche se ha incontrato un allievo una volta sola, appena lo
vede si alza, smette di fare qualunque cosa stia facendo, lo saluta da lontano e gli
si avvicina sorridendo. Ricordo che un giorno percorrevamo via Turati, a Mila-
no, tutti e tre sulla mia auto, per andare a un concerto e Franco mi fa: “Riccardo,
lo vedi quel grattacielo lì sulla destra?”. “Sì”, rispondo io. “Beh, lì dentro duran-
te la guerra io ci lavoravo”. “Ah sì? E cosa facevi?”. “Facevo il ragazzo dell'ascen-
sore!”. Lo disse con un divertimento e una naturalezza che mi sono rimasti im-
pressi nella memoria».
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FRANCO D'ANDREA GIULIO VISIBELLI RICCARDO BIANCHI
GIULIO VISIBELLI
«L'incontro con Franco Cerri è coinciso con l'inizio della mia collaborazione come
docente all'interno dei Corsi Civici di Jazz e con l'attività concertistica legata alle
innumerevoli iniziative organizzate dall'Associazione Musica Oggi, specialmente
con la Civica Jazz Band. Ho anche avuto la fortuna di poter ripercorrere la sua
carriera musicale suonando con lui in un concerto in sestetto, dedicato alla sua
storia così ricca di aneddoti. Sono inoltre molto riconoscente a Franco per la
sua preziosa partecipazione a un mio recente lavoro discografico dedicato alla
rielaborazione di arie del compositore di commedie musicali Giuseppe Pietri.
La personalità di Franco è fatta di modestia, umiltà, curiosità, acume, gentilezza,
cordialità, timidezza, spirito».
DADO MORONI
«Franco mi ha tenuto a battesimo. Negli anni Settanta, aveva una trasmissione
radiofonica in cui andava in giro per i club italiani a scoprire nuovi talenti. Era il 1975
o il 1976, io avevo tredici anni. Ci incontrammo al Louisiana Jazz Club di Genova.
Lui rimase colpito dal fatto che un ragazzo – o meglio, un bambino – di quell'età
ascoltasse il jazz, invece di Lucio Battisti.
Un annetto dopo, mi invitò in televisione, dove conduceva una trasmissione simile,
insieme a Giampiero Boneschi (e a Sabina Ciuffini, la famosa valletta di Rischiatutto,
della quale a quell'epoca eravamo tutti innamorati!). In quell'occasione facemmo
anche una breve intervista e suonai con l'Orchestra della Rai di Milano, che
comprendeva il meglio dei jazzisti del Nord-Italia. Fu la mia introduzione nella
scena jazz italiana.
Nel tempo, è nata un'amicizia e una frequentazione che va avanti ormai da quasi
quarant'anni. Fu lui a presentarmi a Tito Fontana, il produttore della Dire Records,
per cui incisi i miei primi cinque dischi. Il primo, realizzato nel 1979, si intitolava
“Franco Cerri Introducing Dado Moroni Jazz Piano”, inciso insieme a Tullio De
Piscopo e Julius Farmer, che all'epoca suonavano nel suo gruppo.
Franco potrebbe sembrare, ma non lo è, una persona timida: piuttosto, è una persona
molto riservata e cortese, un vero gentleman d'altri tempi. Ma sa sempre esattamente
ciò che vuole. Inoltre, ha un grande rispetto per la privacy altrui. Ogni volta che mi
chiama, non manca mai di chiedere “Ti disturbo?”, cosa che trovo sempre molto
carina. Poi, ha anche la sua ironia: è una persona che ha vissuto la grande stagione
del cabaret milanese, era amico di personaggi come Renato Pozzetto, Cochi Ponzoni,
Enzo Jannacci. Ma è la sua stessa natura a essere portata al gioco: sa prendersi in
giro e prendere in giro gli altri, mai però in maniera pesante o volgare. È come se ti
desse un buffetto sulla guancia, un segno d'affetto»
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COVER STORY FRANCO CERRI
07
FRANCO CERRI
DISCOGRAFIA
ESSENZIALE
1999 - 2014
K
DI KENNY GARRETT. VARCATA LA SOGLIA DELLA CINQUANTINA, IL
SASSOFONISTA SI VOLGE INDIETRO A CONSIDERARE LA SUA LUNGA
CARRIERA CHE LO HA VISTO AL FIANCO DI MOLTI DEI GIGANTI DEL JAZZ. E DÀ
QUALCHE CONSIGLIO AI GIOVANI, CHE OGGI SI AFFACCIANO ALLA MUSICA
Gar
DI STUART NICHOLSON
© EMANUELE VERGARI
Kenny
rrett
DAL PASSATO AL FUTURO
INTERVISTA KENNY GARRETT
© ROBERTO POLILLO
e imparare. Penso che questa sia la differenza. Mi rendo conto che il labora-
torio dà molte più informazioni, ma bisogna andar fuori e suonare. Suona-
re con i giganti della musica mi ha aiutato moltissimo ad assimilare un cer-
to tipo di indirizzo».
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NON DIMENTICATE IL PASSATO
Non è una sorpresa, quindi, che la grande porzione di storia del jazz che
Garrett ha sperimentato di prima mano, oggi dia forma al suo stile. Nel 2012
ha esordito su etichetta Mack Avenue con il disco “Seeds From The Under-
ground”. Era il suo diciottesimo disco da leader, e probabilmente il più ac-
clamato dalla critica fra tutti quelli finora realizzati. In esso, ha reso omag-
gio ai suoi predecessori e mentori. Ci sono brani dedicati a Duke Ellington,
a Jackie McLean, a Roy Haynes, al suo insegnante Bill Wiggins, a Keith Jar-
rett (un musicista che ha incontrato solo due volte, ma che ammira per il suo
lirismo), al trombettista Marcus Belgrave.
© EMANUELE VERGARI
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INTERVISTA KENNY GARRETT
© ROBERTO POLILLO
SONNY ROLLINS
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«Attraverso di me, [i giovani musicisti] possono avere la
possibilità di capire Miles e Freddie Hubbard e Woody Shaw e
tutti quelli con cui ho condiviso il palco»
TRASMETTERE L’ESPERIENZA
Uno dei brani più interessanti è Alpha Man, registrato in quartetto con Ver-
nell Brown al pianoforte Corcoran Holt al contrabbasso e Mark Whitfield
Jr. alla batteria.
«Vernell ha una maniera particolare di improvvisare, che lui chiama “alfa-
beti”: vede una certa forma sul pianoforte, come una A, una B o una C. Per
questo lo chiamo “Alpha Man”. Mentre scrivevo, pensavo a Vernell e al suo
modo di improvvisare. Pensavo anche all’armonia, a come volevo suonasse.
Volevo che il brano avesse un’atmosfera romantica, in modo che lui potes-
se suonare nella sua maniera e io nella mia. Queste erano le idee che avevo
in mente: come si sarebbe comportato il batterista, e il bassista, e il piani-
sta, e come avrei voluto eseguirlo io. È così che mi vengono in mente le me-
lodie e le idee per i brani».
Garrett afferma che l’ispirazione a comporre brani propri affonda le radici
nel suo primo concerto importante con la Duke Ellington Orchestra diretta
da Mercer Ellington. «Cootie Williams mi incoraggiò a scrivere le mie com-
posizioni. Era rientrato in attività quando io suonavo con quella band, nel
1979. Mi disse: “Scrivi i tuoi brani”, perché io me ne stavo lì al pianoforte, a
suonare. La stessa cosa fece Miles. Credo che siano stati loro a ispirarmi nel
cercare un mio stile, ed è quello che faccio io con i giovani musicisti che suo-
nano con me: li aiuto a trovare la loro voce, a fare esperienza, semplicemen-
te a suonare. Attraverso di me, possono avere la possibilità di capire Miles e
Freddie Hubbard e Woody Shaw e tutti quelli con cui ho condiviso il palco».
© ROBERTO POLILLO
WOODY SHAW
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INTERVISTA KENNY GARRETT
© ROBERTO POLILLO
JOHN COLTRANE
QUARANTA DOLLARI A SERATA
Non è un segreto che, non solo negli Stati Uniti ma in molti altri paesi, ci si-
ano molti più musicisti di quelli che effettivamente lavorano: soprattutto a
New York, dove, a meno di non essere un leader che suona in uno dei prin-
cipali club (il Village Vanguard, il Blue Note, l’Iridium, il Birdland, eccete-
ra), in genere si viene pagati con una percentuale sugli incassi. Quindi, ba-
sta fare un po’ di calcoli: la maggior parte dei piccoli locali possono ospitare
circa trenta o quaranta persone, o anche meno nel caso dei più piccoli. Il
pubblico paga intorno ai dieci o quindici dollari per l’entrata. Ammesso che
si faccia il tutto esaurito (e non c’è nessuna garanzia di ciò, in una di quel-
KENNY GARRETT
le fredde sere d’inverno nella Grande Mela, dove a gennaio di quest’anno la
temperatura media era di quindici gradi sotto zero), si incassano più o meno PUSHING THE WORLD AWAY
quattrocento dollari. Alla band ne vanno duecento, da dividere tra – mettia- MACK AVENUE, 2013
mo – cinque musicisti. Fanno quaranta dollari per una serata di lavoro. Non
Kenny Garrett (alto, sop, voc, pf); Benito Gonzalez (pf); Corco-
è molto, per sopravvivere in una città costosa come New York. Nel frattem- ran Holt (cb); Marcus Baylor (batt); Rudy Bird (perc); Ravi Best
po, le università e i college sfornano sempre più musicisti, in un mercato già (tr); Vernell Brown (pf, voc); McClenty Hunter (batt, voc); Mark
Whitfield, Jr. (batt); Jean Baylor (voc); Carolin Pook (vl); Brian
saturo. E dunque, come vede il futuro Kenny Garrett? Sanders (vlc); Jen Herman (vla)
Giovanni Mazzarino
Riccardo Fioravanti
Trio
Stefano Bagnoli
Songs
ALLEGHIAMO A QUESTO NUMERO UN CD INEDITO FIRMATO
DAL TRIO DI GIOVANNI MAZZARINO, RICCARDO FIORAVANTI E
STEFANO BAGNOLI. UN’OCCASIONE PER DIALOGARE CON I TRE
MUSICISTI SULLA GENESI DELLA LORO COLLABORAZIONE E
SULLA LORO IDEA DI MUSICA
DI LUCIANO VANNI
CD STORY GIOVANNI MAZZARINO - RICCARDO FIORAVANTI - STEFANO BAGNOLI TRIO
© PAOLO
© GALLETTA
PAOLO GALLETTA
GIOVANNI MAZZARINO
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«In cent’anni di jazz si possono scovare e assaporare un’infinità di gusti e colori
armonici, melodici e ritmici senza per forza seguire una traccia specifica»
Stefano Bagnoli
tra noi, come se parlassimo la stessa lingua ma con inflessio- Fresu e molti altri. Certo è che, quando si suona in un
ni dialettali differenti: questo ci permette di concepire un’e- trio con pianoforte, contrabbasso e batteria, i riferimen-
stetica musicale multiforme e un’evidente compattezza di ti che vengono subito in mente sono quelli di Bill Evans
gruppo. Direi inoltre che la scelta di song meravigliose ci ha con LaFaro e Motian piuttosto che con Gomez o LaBar-
aiutato molto: se la musica nasce già scritta bene, devi solo bera, Keith Jarrett con Peacock e DeJohnette, Brad Mehl-
cercare di non rovinarla! dau con Grenadier e Ballard, ma anche Chick Corea con
Vitous e Haynes, Herbie Hancock con Carter e Williams,
Partiamo dai riferimenti stilistici ed espressivi. McCoy Tyner con Garrison e Jones, e Winton Kelly con
GM / Vengono dettati da un forte interplay che stabilisce Chambers e Cobb. Un pianista che io amo tantissimo, è
sempre una direzione molto “open” (sia pure formalmente Fred Hersch sia musicalmente sia concettualmente. È poi
dentro le strutture) e che dà un carattere "circolare" alla chiaro che, al momento di suonare, tutte queste influen-
nostra musica. ze, mischiate a quelle di Stefano e Giovanni, hanno dato
RF / Personalmente mi riferisco a tutta la musica che con- vita a una miscela che spero risulti all'ascolto il più per-
sidero bella, se pensi che ho iniziato a suonare il rock dei sonale possibile.
Led Zeppelin, di Hendrix e di Zappa, ho studiato musi- SB / Il repertorio jazzistico generale attinge da un bacino
ca classica in conservatorio, ho fatto pop con Mina, Jan- enorme di stili ed estetiche musicali; in cent’anni di jazz
nacci, Mia Martini e tantissimi altri, ho avuto la fortuna si possono scovare e assaporare un’infinità di gusti e colo-
di collaborare in concerti con Gino Vannelli, Chico Buar- ri armonici, melodici e ritmici senza per forza seguire una
que de Hollanda, Stevie Wonder e Ray Charles, e natural- traccia specifica. Noi abbiamo semplicemente scelto dei
mente con molti grandi jazzisti come Tom Harrell, Phil brani che ci piacevano e che abbiamo interpretato istinti-
Woods, Bob Mintzer, Giorgio Gaslini, Enrico Rava, Paolo vamente, senza una codifica stilistica precisa.
© CARLO VERRI
© ROBERTO POLILLO
BILL EVANS
© ROBERTO POLILLO
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CD STORY GIOVANNI MAZZARINO - RICCARDO FIORAVANTI - STEFANO BAGNOLI TRIO
© PAOLO GALLETTA
RICCARDO FIORAVANTI
Ciò che ascoltiamo è frutto di una registrazione dal la sinergia perfetta indipendentemente dalla prepara-
vivo in studio o c'è stato un lavoro di post produzione? zione e dalla professionalità di chi suona. L’interplay a
GM / Ciò che ascoltate è una session live durata otto volte conta più di un metronomo perfetto o di una nota
ore. Abbiamo suonato brani scritti da compositori che intonatissima.
nell'ambito della materia “musica” hanno fatto la dif-
ferenza, ognuno nel suo ambito culturale e storico di Quanto è stato scritto e quanto improvvisato?
appartenenza: Steve Swallow, Charlie Haden, George GM / Direi tanto improvvisato! A parte qualche "en-
Gershwin, J.J. Johnson, Glenn Miller, Jerome Kern. La ding" concordato, il resto è andato da sé!
musica contenuta in questo disco nasce dall'invenzione RF / Di scritto c'è ben poco, a parte delle piccole con-
"non inventata" senza la pretesa di genialità o originali- venzioni che ci siamo dati su qualche inizio e qualche
tà, ma con contenuti appartenenti alle nostre persona- finale. Il resto è totale improvvisazione e grande affia-
lità musicali, assimilati in tanti anni di frequentazione tamento. Siamo stati fortunati come spesso succede,
e di ascolto della musica tutta! quando si interagisce con musicisti preparati e creativi.
RF / Non c'è trucco e non c'è inganno: tutto quello che SB / Per me l’improvvisazione nel jazz è la conseguenza
si ascolta è stato praticamente registrato in una sola di un capillare studio di regole e discipline stilistiche,
giornata. Il vero miracolo, tuttavia, l'ha fatto quel ge- che sfocia in conoscenza storica e conseguente conte-
nio di Stefano Amerio, che ha missato il tutto in poco stualizzazione della creatività. Intendo dire che pos-
più di un'ora e mezza. Quando ci siamo rimessi sulla so suonare free oppure dixieland ma se non conosco la
mia auto e abbiamo infilato il CD nel lettore, siamo let- “grammatica” specifica di ogni linguaggio, il mio talen-
teralmente rimasti senza parole: era tutto perfettamen- to improvvisativo sarà incompleto e avrò poco da co-
te bilanciato. municare. Col nostro trio bilanciamo in modo natura-
SB / Un giorno in studio con le idee chiare sui titoli da le meccanismi tecnici e creativi e conoscenza dei vari
scegliere e su quali groove adottare… tutto il resto è slang stilistici e delle regole a essi collegati. Conside-
stato “battere" il tempo e suonare. Un disco jazz lo puoi rando imprescindibili improvvisazione creativa e co-
plasmare in un mese di studio così come in poche ore, noscenza del linguaggio, pertanto, rispondo che la mi-
è questione di interplay oltre che di esperienza. È an- scela tra scritto e improvvisato non ha a mio parere una
che questione di fortuna poiché la giornata magica crea percentuale definibile.
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© PAOLO GALLETTA
STEFANO BAGNOLI
Che cosa ti piace di più di questo CD? Che cosa ricor- stravolgere tutto in un attimo. Suono da trentacinque anni
di con maggior piacere di questa incisione? e ogni volta che faccio un disco si rinnova il malinconico
GM / Di questo CD amo la freschezza! Abbiamo condot- entusiasmo dell’aver lasciato una firma, fissato un momen-
to la seduta di registrazione in assoluto relax; ovviamente, to della mia vita.
il tutto è stato possibile anche per la nota professionalità e
competenza di Stefano Amerio, sound engeneer e proprie- Ciascuno di voi presenti in poche battute gli altri due
tario dello studio di Cavalicco. membri del trio!
RF / Mi piace il suono complessivo, cosa molto importan- GM / Riccardo Fioravanti e Stefano Bagnoli vivono,
te in questo genere di musica. Come se i tre strumenti si suonano, si comportano, si confrontano, amano, pensa-
fondessero naturalmente tra di loro, in un dialogo che non no e agiscono in maniera jazzistica. Che cosa significa?
prevede né solisti né accompagnatori ma un unico magma Non lo so ma di certo è una cosa bellissima! Jazz…
sonoro che, secondo i momenti, fa emergere una voce piut- RF / Giovanni, come dico sempre, è un siculo teutonico:
tosto che un'altra. Ricordo la bellissima atmosfera che si è un vulcano ribollente di sempre nuove idee ma con la
creata in studio, dove la reciproca stima artistica si è mi- volontà e la capacità di portarle a termine di un Panzer.
schiata a una sincera e tutt'altro che superficiale amicizia. Stefano, che sembra una persona così controllata e ra-
Complici, sicuramente, l'ospitalità udinese e i grandi vini zionale, in realtà è un pazzo furioso! Li amo anche per
friulani! questo, oltre che per come suonano.
SB / Sono brani importanti, suonati con passione e diver- SB / Giovanni è cronicamente e visceralmente un ma-
timento. Noi musicisti siamo tutti in balia dell’eterno sfug- lato di jazz, molto infettivo; Riccardo è un motore, ine-
gire del tempo che ci fa vivere amicizie forti e durature sauribile e non inquinante. Un perfetto congegno mu-
ma nello stesso tempo grandi incognite che ci portano a sicale
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CD STORY GIOVANNI MAZZARINO - RICCARDO FIORAVANTI - STEFANO BAGNOLI TRIO
Introduzione
all’ascolto
DI STEFANO BAGNOLI, RICCARDO FIORAVANTI, GIOVANNI MAZZARINO
01 Wrong Together
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Giovanni Mazzarino
Trio
Riccardo Fioravanti
Stefano Bagnoli CD STORY 31
Songs
TRACKLIST LINEUP
1. WRONG TOGETHER (S. Swallow) GIOVANNI MAZZARINO PIANOFORTE
2. I'M THROUGH WITH LOVE (G. Kahn) RICCARDO FIORAVANTI CONTRABBASSO
03. WALTZ FOR RUTH (C. Haden) STEFANO BAGNOLI BATTERIA
04. WHO CARES (G. Gershwin)
05. LAMENT (J. J. Johnson)
06. MOONLIGHT SERANADE (G. Miller)
07. TS MONK Y STRAUSS (G. Mazzarino/R. Fioravanti/S. Bagnoli)
08. NOBODY ELSE BUT ME (J. Kern)
09. I LOVES YOU PORGY (G. Gershwin)
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© FABRIZIO GIAMMARCO/C JAM SHOTS SAGGIO
PACO DE LUCIA
©JIMMY KATZ
Paco
de Lucia
TRA ANDALUSIA
E AMERICA
UN BAMBINO DI DODICI ANNI PRENDE LA CHITARRA, LA METTE SOTTO
IL BRACCIO E, SOLO, SI IMBARCA SU UN VOLO INTERCONTINENTALE
DIRETTO A CHICAGO. VIVE QUESTO VIAGGIO CON LO SGUARDO
INCANTATO E SOGNATORE DELL’AVVENTURIERO, SENTENDOSI QUASI
COME UN PICCOLO CRISTOFORO COLOMBO. AD ACCOGLIERLO A
DESTINAZIONE, DOPO LA TAPPA A NEW YORK, C’È SUO FRATELLO
PEPE, CANTAOR NELLA COMPAGNIA DI BALLO FLAMENCO DEL FAMOSO
JOSÉ GRECO. HA INIZIO COSÌ LA PRIMA TOURNÉE DI UN BAMBINO DI
NOME FRANCISCO SANCHEZ, ALIAS PACO DE LUCIA
DI PAOLO ANGELI
SAGGIO PACO DE LUCIA
«Il flamenco è molto facile da capire se sei nato dentro di lui. È come respirare.
Mi svegliavo la mattina e nella mia casa c’era una festa, sentivo suonare mio
padre, i miei fratelli, cantare Pepe e mia sorella. Prima di suonare la chitarra
fisicamente, già conoscevo il linguaggio flamenco»
PAQUITO DE LA PORTUGHESA
«Luzia è mia madre. Io sono Paco, il figlio di Luzia. Tu sai che in Andalusia, i bambi-
ni li identifichiamo, perché ci sono molti Paco e molti Pepe nella strada, per il nome
della madre. A me, mi chiamavano Paquito de la portughesa, Paquito de Luzia». Paco
de Lucia nasce ad Algeciras il 21 dicembre 1947. All’inizio degli anni Cinquanta il pic-
colo centro dell’Andalusia era un nucleo molto importante per la musica flamenca.
Il contrabbando con Gilbilterra alimentava una micro economia sotterranea ed era
comune assoldare chitarristi e cantaores per le feste private dei señoritos (latifondi-
sti che sfruttavano i braccianti, o, in generale, le classi sociali più ricche). Dopo aver
suonato tutta la notte, i musicisti rincasavano e nell’intimità dell’alba la musica si
diffondeva nel patio di casa, senza padroni, accarezzando i sogni dei bambini ancora
addormentati. «Il flamenco è molto facile da capire se sei nato dentro di lui. È come
respirare. Mi svegliavo la mattina e nella mia casa c’era una festa, sentivo suonare
mio padre, i miei fratelli, cantare Pepe e mia sorella. Prima di suonare la chitarra fi-
sicamente, già conoscevo il linguaggio flamenco».
Inizialmente il rapporto di Paco con la chitarra è strettamente legato al risolvere
economicamente l’instabilità della sua famiglia e la musica è vissuta come uno stru-
mento per non patire la fame. Suo padre Antonio, non appena ne intuisce il talen-
to, sceglie di fargli lasciare la scuola all’età di nove anni. Il vivere la strada e la gioia
per le cose semplici si fondono con lo studio sullo strumento per dieci ore al giorno.
PACO DE LUCIA
Il chitarrista è ritratto in famiglia e
con cantaor Camarón de la Isla
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© PEPE LAMARCA
CAMARÓN DE LA ISLA E PACO DE LUCIA
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SAGGIO PACO DE LUCIA
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© PACO JUNQUERA
SAGGIO PACO DE LUCIA
LA TRANSIZIONE
Il 20 novembre 1975 muore il dittatore Francisco Franco. Esplode la voglia di rinasci-
ta. Gli artisti si presentano con una veste rinnovata e si fanno strada i pantaloni jeans a
zampa di elefante. Il 25 febbraio 1976 Jesús Quintero, durante una trasmissione televi-
siva, chiede a de Lucia se nel suonare la chitarra sia più importante la mano destra o la
mano sinistra. Il chitarrista risponde: «La sinistra è quella che ricerca, è creativa, è in-
telligente. La destra esegue».
Qualche mese dopo, Paco de Lucia è aggredito da un gruppo di fascisti che, nell’indif-
ferenza di una guardia civile che non interviene e continua a dirigere il traffico, cerca-
no di spezzargli le mani. L’aneddoto evidenzia come l’evoluzione musicale sia in stret-
ta connessione con i cambiamenti sociali avvenuti dopo la morte del dittatore. La gioia
di vivere e la transizione democratica si riflettono nel fare musica, dove vacillano gli
steccati che separano i generi.
Se negli album precedenti de Lucia aveva introdotto elementi estratti da altri gene-
ri musicali, in “Almoraima” (Philips, 1976) il flamenco inizia a perdere la sua purez-
za anche nella strumentazione di riferimento. Questo avviene soprattutto nei palos
più festosi (tango, buleria, rumba, alegria) che permettono un approcio differente. L’a-
pertura dell’album è una buleria orchestrata con oud, percussioni, basso elettrico: un
riuscito incontro che prepara alle orchestrazioni dei lavori futuri. Le palmas entrano
ed escono nelle composizioni con organicità. Inoltre l’uso della seconda chitarra per-
mette un’altra innovazione: l’assolo. Questo avviene soprattutto nella rumba Rio An-
cho, un brano che, come vedremo, avrà notevole importanza nel percorso del musici-
sta. Le composizioni spesso sono strutturate con tema, sviluppo e ripresa del tema,
schematizzazione estranea al flamenco tradizionale. “Almoraima” è frutto di un mu-
sicista che ha alle sue spalle la militanza con i più grandi cantaores tradizionali ma che
conosce band come Smash e Gong.
Nell’LP sono già presenti in embrione gli elementi per la seconda rivoluzione di Paco
de Lucia: l’orchestrazione. Allo stesso tempo, in brani come Cueva del Gato (Rondeña)
il musicista innova falsetas e armonie tradizionali, introducendo scale e modi spesso
basati su progressioni esatoniche. Questo dualismo sarà mantenuto da Paco nel corso
di tutta la sua carriera e lo porterà a un’innovazione formale e all’orchestrazione del- CARLOS SANTANA
le arie festose ma, allo stesso tempo, a mantenere un ruolo di solista nei palos solenni
e liberi dalla pulsazione e dal compas, dove raggiunge la massima introspezione, rom-
pendo il linguaggio convenzionale e approdando a una totale ridefinizione del lessi-
co chitarristico.
FLAMENCO E JAZZ-ROCK
La sete di conoscenza e la voglia di esplorare altri generi aprono le porte a colla-
borazioni con musicisti di aree diverse ed estranei alla cultura tradizionale da cui
Paco de Lucia proviene (ad esempio, Carlos Santana). Nel 1978 il chitarrista inter-
preta il compositore classico Manuel de Falla, ma lo fa con la collaborazione del-
la band jazz Dolores. «Ascoltavo De Falla perché mi curava. Se ero triste, lo ascol-
tavo e stavo bene». L’album, “Paco de Lucia interpreta a Manuel de Falla” (Philips,
1978), è un esempio coraggiosissimo dove, a dispetto della copertina in cui è raffi-
gurata la paletta di un’antica chitarra flamenco, la partitura è eseguita con batte-
ria, flauto traverso, basso freetless mentre le chitarre propongono intarsi polirit-
mici. I tempi per una fusione con altri linguaggi sono ormai maturi e la dimensione
cosmopolita di Madrid facilita gli incontri con musicisti di aree diverse. MANUEL DE FALLA
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TOMATITO E CAMARÓN
LARRY CORYELL
MEETING OF SPIRITS
Contemporaneante Paco de Lucia consolida la sua carriera internazionale. Su ini-
ziativa del suo manager nasce il guitar trio Meeting of Spirits, con John McLau-
ghlin e Larry Coryell. È lo stesso de Lucia a sostenere che più di una fusione tra
musiche, si tratta di una fusione tra musicisti di diversa estrazione.
A causa della dipendenza dalla droga, Coryell è sostituito da Al Di Meola. Il trio re-
gistra dal vivo “Friday Night In San Francisco” (Philips, 1981), album di culto per i
chitarristi, che venderà oltre sei milioni di copie. Nell’incontro Paco sviluppa per
la prima volta con sistematicità l’improvvisazione su un materiale armonico.
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SAGGIO PACO DE LUCIA
“Solo quiero caminar” (Philips, 1981) segna una nuova rivoluzione di Paco de
Lucia apportata al flamenco. Se la prima tensione del suo percorso creativo era
stata affrancare il ruolo del chitarrista da subordinato al canto e al ballo, ora
l’obiettivo era di rendere il flamenco universale
L’ORCHESTRAZIONE
L’eccesso di note che caratterizza il trio (è lo stesso de Lucia a evidenziare
che spesso il virtuosismo ricordava i numeri circensi) contrasta con il lavoro
successivo del chitarrista di Algecira.
“Solo quiero caminar” (Philips, 1981) segna una nuova rivoluzione di Paco de
Lucia apportata al f lamenco. Se la prima tensione del suo percorso creativo
era stata affrancare il ruolo del chitarrista da subordinato al canto e al ballo,
ora l’obiettivo era di rendere il f lamenco universale. Il testo rappresenta una
vera e propria dichiarazione d’indipendenza: «Voglio solo camminare, come
scivola la pioggia sul vetro, come il fiume scorre verso il mare».
Anche se non appare in copertina, è la nascita del Paco de Lucia Sextet: Paco
alla chitarra solista, suo fratello Ramón de Algeciras come seconda chitarra,
il brasiliano Rubem Dantas alle percussioni, Carles Benavent al basso elettri-
co, Jorge Pardo al sax contralto e al f lauto, Pepe de Lucia al canto. Oltre ai tre
fratelli Sanchez, il resto della formazione arriva in gran parte dalla band Do-
lores con cui era stato inciso l’omaggio a de Falla.
Paco de Lucia aveva già partecipato nel 1967, con il nome di Paco de Algeci-
ras, al bellissimo album “Flamenco Jazz” del sassofonista Pedro Iturralde. Se
in quel caso i due elementi, chitarra f lamenco e linguaggio jazz, erano sepa-
rati, in “Solo quiero caminar” si definisce la totale compenetrazione del sax
e del f lauto f lamenco con palmas, chitarra e voce. È, inoltre, introdotto per
la prima volta il cajon peruviano (strumento ormai immancabile in qualsia-
si combo f lamenco) e acquista un ruolo di primo piano anche il basso freet-
CARLES BENAVENT
less, suonato da Benavent (che fonde la tecnica dell’alzapua con l’inf luenza di
Jaco Pastorius).
Il lavoro segna un “prima” e un “dopo”. Se “La leyenda del tiempo” di Ca-
marón de la Isla è il disco che ha rivoluzionato la storia del f lamenco, “Solo
quiero caminar” impone quello che sarà il nuovo modello di orchestrazione.
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SIROCO
E arriviamo al 1987. Paco sospende per un attimo l’indagine sull’orchestrazione
per ritornare alla chitarra e concentrarsi su un repertorio interamente dedicato
ai palos tradizionali. Il suo linguaggio solistico appare completamente rinnova-
to, caratterizzato da un toque modernissimo, all’avanguardia ma radicato nel sol-
co più puro del cante jondo. Il virtuosismo strumentale è spasmodico nella buleria
ma è nei brani liberi dalla pulsazione che rinnova le convenzioni armoniche. In Mi
Niño Curro (“Siroco”, Verve) si è più vicini all’immaginario di un pittore che a quel-
lo di un chitarrista. Paco disegna, abbozza le linee e distribuisce le masse accorda-
li quasi come un impressionista. Si afferma l’indipendenza degli accordi dal con-
testo. Il tremolo evoca la tradizione dei grandi maestri gitani ma il passato dialoga
con deviazioni dalle cadenze armoniche e con aperture al modale. È l’opera mae-
stra e la pietra tombale del chitarrismo flamenco espresso per tutto il Novecento.
83
SAGGIO
SAGGIO PACO DEDE
PACO LUCIA
LUCIA
IL JAZZ
Se “Siroco” (Verve, 1987) è un alito di vento che, rinnovando le armonie, definisce
come forma d’arte contemporanea il flamenco, nel 1990 assistiamo a un altro cam-
biamento. «Quando la musica inizia a essere una routine, si perde l’eccitazione del-
la novità e hai bisogno di qualcosa che ti muova dentro. Non avevo mai sentito un
musicista con un sentimento così vicino alla nostra musica come Corea, pianista in
grado di proporre una musica sempre diversa e cangiante».
Paco registra “Zyryab” (Philips, 1990) con, tra gli ospiti, Chick Corea e il superbo
chitarrista Manolo Sanlúcar. Il brano che dà il titolo all’album (dedicato al musici-
sta originario di Baghdad, che tra il Settecento e l’Ottocento rivoluzionò la musi-
ca andalusa) è forse la composizione più riuscita della sua carriera, quella in cui de
Lucia sintetizza al meglio la sua idea di orchestrazione e in cui fonde tutte le sue
esperienze musicali in un capolavoro di arrangiamento al servizio dell’espressi-
vità. Siamo alla piena maturità del musicista che propone un disco jazz-fusion in
cui composizioni che possiamo considerare ballad (Cancion de amor) si alterna-
no ad altre come Tio Sabas in cui il chitarrista ripercorre territori più consoni al
flamenco.
Dopo la parentesi del “Concierto de Aranjuez” (Philips, 1991), opera di Joaquín Ro-
drigo, in parte incisa anche da Miles Davis con Gil Evans in “Sketches Of Spain”
(Columbia, 1960), è la volta del “Live In America” (Philips, 1993), un album che dà
un’idea di quello che sarà da qui in avanti lo sviluppo dei suoi concerti, con l’alter-
nanza tra parti in solo, duetti, orchestrazione della band e ballo.
giammarco/c jam shots
© fabrizio
«Non vedo il flamenco compatibile con la morte. È tutto il contrario. C’è
un’allegria isterica, una voglia di vivere, una grande sensualità… e la sensualità
non ha nulla a che vedere con la morte. È tutto il contrario: è la vita»
LUZIA
E arriviamo a “Luzia” (Mercury, 1998), un lavoro introspettivo caratterizzato dal com-
miato da due persone a lui carissime: sua madre e Camarón (che muore nel 1992).
Se “Siroco” è impeto, sicurezza, virilità, “Luzia” è delicatezza, sussurro, pacatezza. Il
brano che dà il titolo all’album è una seguirilla, la forma con maggior enfasi drammati-
ca della tradizione flamenca, quella più legata al pianto, al dolore, alla sofferenza. Per
quanto Paco interpreti per la prima volta il testo come cantaor, è l’irrequietezza della
sua chitarra che evoca l’ultima carezza, il saluto, la solennità della separazione da sua
madre: “Le corde della mia chitarra piangono… piangono per seguirilla… per mia ma-
dre Luzia”. La sensazione di vuoto e di solitudine è espressa con intensità nella ron-
deña Camarón. Il musicista apporta continue variazioni. Il tempo è sospeso, la ricerca
della dissonanza si sposa con cadenze armoniche irrisolte. La chitarra evoca il canto
ma la melodia è nascosta nella continua ricerca di un’armonizzazione non convenzio-
nale, con progressioni care a Debussy. La voce di Paco mostra un uomo in tutta la sua
fragilità.
85
JAZZ ANATOMY
© ROBERTO POLILLO
D-NATURAL BLUES
DI ROBERTO SPADONI LA STELLA DI WES MONTGOMERY NEL FIRMAMENTO DEL JAZZ
86
A
ll’inizio degli anni Quaranta il pianista e direttore d’orchestra
Claude Thornhill (1908 Terre Haute, Indiana – 1965, New Jersey),
dopo aver collaborato nei primi anni della sua carriera con organici e
musicisti prestigiosi quali Paul Whiteman, Benny Goodman, Ray Noble, Glenn
Miller e Billie Holiday, formò un’orchestra a proprio nome. Lo affiancarono in
quest’avventura, tra il 1941 e il 1948, alcuni giovanissimi e valenti musicisti tra
cui spiccano i nomi dei sassofonisti Lee Konitz e Gerry Mulligan, del chitarrista
Barry Galbraith, del clarinettista Danny Polo, del tubista Bill Barber. Una
pedina fondamentale fu l’arrangiatore Gil Evans, la cui formazione giovanile
avvenne proprio grazie alla collaborazione con Thornhill: le esperienze
e le scelte maturate in quegli anni di continua e fruttuosa cooperazione
influenzarono tutta la brillante carriera dell’arrangiatore canadese. Claude
Thornhill costruì il suo organico introducendo strumenti inconsueti per
un’orchestra jazz quali il corno, il basso tuba, il clarinetto basso e in alcune
occasioni un’intera sezione di clarinetti: produsse in questo modo un suono
cameristico soave, leggero e subito riconoscibile, riscuotendo durante quegli
anni di attività un ottimo successo. Si trattava di un’elegante dance band che
suonava soprattutto per far ballare il suo pubblico, ma con un alto grado di
attenzione alla sonorità, al timbro e al repertorio, con richiami più o meno
celati alla musica europea. Nel panorama delle orchestre da ballo jazzistiche
introdusse un elemento di discontinuità clamoroso che ispirò molte esperienze
negli anni successivi, a partire dal corpus di incisioni raccolte sotto il titolo di
“Birth Of The Cool”. In un certo senso fu proprio Thornhill, indubbiamente
coadiuvato dalla sensibilità di Evans, a inventare con qualche anno di anticipo
quell’estetica che venne poi definita per l’appunto “cool jazz”.
Gil Evans scrisse degli ottimi arrangiamenti per quell’ensemble,
impratichendosi rapidamente nell’impiego di una strumentazione così
originale. Alcuni dei musicisti dell’orchestra (come il già citato Bill Barber o
il trombettista Louis Mucci) parteciparono nel decennio successivo a molte
incisioni effettuate da Evans, tra cui quelle realizzate con Miles Davis.
Un altro punto importante da sottolineare è l’influenza che Evans ebbe anche
sulla scelta del repertorio dell’orchestra: fu lui infatti a suggerire l’inserimento
di brani scritti da quegli autori afroamericani (i bopper) che proprio in quegli
anni stavano compiendo un’altra rivoluzione assoluta. Il canadese abitava in
un seminterrato posto alle spalle di una lavanderia cinese, a New York, in cui
amava ospitare musicisti per scambiare idee e opinioni. Tra i vari frequentatori,
i due dioscuri del be bop, Charlie Parker e Dizzy Gillespie. Nacque così l’idea
di poter lavorare sulle loro composizioni: Evans produsse per l’orchestra di
Thornhill arrangiamenti di brani come Anthropology e Donna Lee (tra i più
famosi del repertorio boppistico), che si rivelarono carte vincenti, con un
ottimo successo di vendite.
Questa congiuntura mise in contatto Evans con molti dei musicisti che a New
York lavoravano a nuovi orizzonti per il jazz: tra questi, il trombettista Miles
Davis, con il quale avrebbe intrecciato le strade per il resto della sua esistenza.
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JAZZ ANATOMY
esempio 1
88
© ROBERTO POLILLO
esempio 2
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JAZZ ANATOMY
esempio 3
esempio 4
© ROBERTO POLILLO
90
A cavallo tra la fine del secondo e l’inizio del terzo chorus il solista
abbassa improvvisamente la tensione ritmica e melodica: è una zona
di stasi gestita con totale padronanza della forma e dello sviluppo,
preludio delicato alle esplosioni che ci attendono nel quarto e nel
quinto giro di improvvisazione.
È in questa sezione di chiusura che egli intende portare il f lusso
improvvisativo al climax: non appena il chitarrista approccia il nuovo
chorus con la potenza debordante delle ottave, la reazione di Albert
Heath alla batteria è immediata, con uno scattante e propulsivo double
feel che crea un dinamico contrasto con l’inamovibile pulsazione del
contrabbasso.
L’inizio dell’ultimo chorus investe l’ascoltatore di strabordante
ma controllata energia ritmica. Wes Montgomery sta ormai
sovrapponendo un altro brano, è immerso completamente nel double
feel che ha suggerito e costruito dall’inizio dell’assolo: si inoltra
a questo punto su una straordinaria sovrapposizione poliritmica
e polimetrica suonando, dal secondo movimento della battuta,
in quello che lui vive come un 3/4, ma che risulta essere rispetto
al contrabbasso, che non si è spostato di un millimetro, una fitta
figurazione in 3/8. Il contrasto ritmico tra contrabbasso e chitarra,
la carne che si percepisce dalle loro sonorità è goduria impagabile.
esempio 5
91
INTERVISTA PAOLO DAMIANI
Paolo
INTUIZIONI JAZZ
IL CONTRABBASSISTA PAOLO DAMIANI HA DA POCO
PUBBLICATO PER LA VOLONTÈ & CO. IL VOLUME
DAL TITOLO “MANUALE DI COMPOSIZIONE E
IMPROVVISAZIONE – INTUIZIONI JAZZ” (2013).
IL LIBRO DIDATTICO PROPONE NON SOLO
ELABORAZIONI TECNICHE E TEORICHE MA ANCHE UN
INTERESSANTE LEGAME TRA IL LINGUAGGIO DELLA
MUSICA E QUELLO DELLE ALTRE ARTI: IL TUTTO CON
UN APPROCCIO INNOVATIVO E INEDITO.
NE ABBIAMO PARLATO CON L’AUTORE
DI EUGENIO MIRTI
© MONICA LEGGIO
INTERVISTA PAOLO DAMIANI
«Nella mia vita avrei dovuto fare l’architetto e questo mi ha lasciato una
sorta di “deformazione” che mi fa pensare alla musica anche in funzione
del suo ruolo nello spazio, che è fatto di pieni e di vuoti, di percorsi»
94
© MONICA LEGGIO
© MONICA LEGGIO
Che cosa ti piacerebbe che lasciasse a un lettore lo studio del tuo libro?
Che possa riuscire a guardare alla musica come a un campo inesplorato, in modo
più aperto, in relazione alla vita e ad altri linguaggi artistici. Per me la musica non
è solo intrattenimento, penso sia un sistema di segni capace di rappresentare il
mondo; la musica ha a che fare con l’Assoluto, che è tale in quanto non dipende da
null’altro che da sé. L’importante è che ci sia poesia, nella musica come nella vita. I
mezzi per crearla sono infiniti e compito della scuola o di una didattica è appunto
quello di aiutare a svilupparli. Inoltre penso che «ciascuno di noi sia una moltitudi-
ne, la ricerca dell’identità è un tentativo destinato all’insuccesso», come ha scritto
Umberto Galimberti. In musica l’alterità è un campo d’esplorazione privilegiato, i
suoni valicano agevolmente le frontiere verso moltitudini di ascolti e sguardi; per-
ciò è sano andare verso nomadismi e meticciati artistici. L’alterità si gioca su piani
diversi: quello dell’artista con sé stesso («Je est un autre», Rimbaud), con il proprio
inconscio, e quello dell’artista con altri artisti, che si esprimono con differenti lin-
guaggi o che provengono da luoghi diversi.
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INTERVISTA PAOLO DAMIANI
© MONICA LEGGIO
© MONICA LEGGIO
Dati i contenuti originali e correlati con personalità pensi che sarà possibile
una traduzione in inglese del lavoro?
Certamente sì, e spero anche in francese; naturalmente dovrò pensare a un tra-
duttore che possieda non solo la competenza, ma anche la sensibilità per cogliere a
fondo certe sfumature che caratterizzano il metodo.
Quali sono secondo te i metodi più importanti che uno studente dovrebbe co-
noscere e che il tuo in un certo senso integra?
Citerei i metodi classici, e molto utilizzati, che ho ovviamente ripreso nella mia ric-
ca bibliografia: George Russell, certi testi della Berklee, Dobbins, Nestico, Inside
the Score di R. Wright, Lacy, Persichetti, Gaslini, Schönberg, Liebman, le partitu-
re di Kenny Wheeler… ma ce ne sono molti altri. Si tratta di testi solidi che nell’am-
biente jazzistico costituiscono la base del sapere comune. Ma ormai da qualche
anno, oltre ai testi di origine americana, si stanno affermando altri autori che pro-
pongono approcci assai originali; penso ai libri di Siron, al recente lavoro di Fran-
co D’Andrea sulle aree intervallari ma anche a opere dal taglio musicologico come
quelle di Caporaletti, Franco, Onori e altri. ARNOLD SCHÖNBERG
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«La scuola ha il dovere di garantire le competenze musicali irrinunciabili
per tutti gli studenti e al tempo stesso di sostenere i talenti emergenti:
l’alfabetizzazione artistica ha lo stesso valore di quella linguistica»
Pensi che questo manuale avrà un seguito? Immagino una versione “2.0” con
approfondimenti e nuovi stimoli derivanti da altri linguaggi artistici?
Come per tutte le attività, il problema non sono le idee ma il tempo. Tra didattica, com-
posizione, attività concertistica e di direzione artistica c’è sempre un conflitto in corso:
per scrivere Intuizioni Jazz mi sono dovuto chiudere per un po’ di tempo nella mia casa
di Parigi per trovare il silenzio e la distanza, la giusta concentrazione. Ma certamente
il fatto che ormai il testo già esista e venga utilizzato nei conservatori crea un presup-
posto importante che, mi rendo conto, mi porta istintivamente ad accumulare appun-
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ti, idee, brani musicali interessanti, e così via. Vedremo che ne pensa il mio editore Mar-
Paolo Damiani
co Volontè!
Paolo Damiani
PAOLO DAMIANI
Compositore, direttore d’orchestra, contrabbassista e violoncellista, didatta, direttore artistico
e architetto.
Dal 2002 dirige il Dipartimento di jazz presso il Conservatorio romano di Santa Cecilia, che
comprende musicisti fra i più importanti in Europa.
MANUALE DI COMPOSIZIONE
È stato direttore artistico e musicale dell’ONJ – Orchestra Nazionale Francese di Jazz, primo
artista straniero ad averne vinto il concorso.
Ha fondato e diretto festival internazionali di Jazz. Tra essi “Una striscia di terra feconda” di
E IMPROVVISAZIONE
Intuizioni Jazz
Roma, insieme ad Armand Meignan (dal 1998); «Percorsi Jazz» di Roma (dal 2007); «Rumori
Mediterranei» di Roccella Jonica (1982 – 2012); “Atina jazz” (1986-1992).
Domanda assai complessa... Come possono reagire gli artisti allo stato di profonda umi- “Arriva un momento in cui la passione, col tempo, diventa piena consapevolezza, l'emozione trova finalmente il pensiero e inizia
un nuovo cammino artistico. A quel punto, in quel preciso momento, dopo tanto vagare, scrivere un libro in musica è come tornare
a casa. Grazie Paolo!”
liazione in cui oggi versa la cultura in Italia, al degrado estetico e quindi etico che è sotto
Danilo Rea
“Un libro anomalo che non è un metodo tradizionale e che dunque manca nell’ampio panorama della recente editoria musicale.
Avessi avuto allora un libro come questo o avessi avuto l’intuizione del capire, sarei stato in grado di individuare la mia strada
velocemente e la mia musica sarebbe lievitata prima. Intuizioni Jazz è un lavoro con molte parole e molte note, a volte la risposta
alle domande non c’è ma esiste invece un luogo di riflessione e di scambio che dovrebbe essere alla base della filosofia
gli occhi di tutti? Come opporsi ai tagli dissennati contro la scuola, la ricerca, lo spetta-
dell’apprendimento”.
Paolo Fresu
“Non sono sorpreso che Paolo sia autore di questa splendida opera: conoscendolo sono sorpreso che abbia aspettato così tanto.
Da sempre è in possesso della "pietra angolare" su cui costruire un edificio nel quale ci siano "domande più che risposte". Questo
lavoro permetterà a "BLANCHE" di essere cosciente che "Nel mondo dell'arte e della musica si avanza tutti ricalcando le orme
altrui, seguendo il cammino aperto da qualcuno altro, per intraprendere successivamente il nostro..." (Reginal Smith Brindle)”.
colo? Come uscirne? Credo facendo ciò che ci riesce meglio, incentivando cioè la cre-
Gianluigi Trovesi
“Paolo Damiani, comme l’a remarquablement montré son passage à la tête de l’Orchestre National de Jazz, est un compositeur
brillant et novateur, un « architecte des sons », capable de fédérer avec bonheur, au sein de ses différentes formations, les
personnalités musicales les plus diverses”.
“Come ha magnificamente dimostrato dirigendo l’Orchestra Nazionale Francese di Jazz (ONJ), Paolo Damiani è compositore splendido e
Intuizioni Jazz
Armand Meignan
“Intuizioni jazz è un saggio e un manuale singolare: non fornisce solo informazioni puntuali e corredate da esempi vitali, ma propone
aperture di pensiero e pone interrogativi: il dono più grande che si possa fare ad un musicista che si affacci al lavoro peculiare
un pubblico numeroso nonché interlocutori pubblici e privati. Tutto questo non nasce
dell’essere arrangiatore e compositore nell’ambito della musica improvvisata. Un libro immensamente utile non solo a studenti e
musicisti jazz, ma anche a fruitori e ricercatori di provenienza classica o di altre matrici stilistiche. Enjoy!” Maria Pia De Vito
“Non un semplice libro, ma un vero e proprio trattato di musica a 360 gradi. Un’opera indispensabile, colta, ricca di spunti e
approfondimenti fondamentali. Complimenti Paolo, un grande lavoro”
Roberto Gatto
dal nulla ma è frutto di un processo culturale e di un progetto educativo basato su scel- ISBN 978-88-63883-40-4
Code MB346
PAOLO DAMIANI
Sei un didatta molto attivo: quale dovrebbe essere in questo senso il ruolo MANUALE DI COMPOSIZIONE E IMPROVVISAZIONE
della scuola? INTUIZIONE JAZZ
VOLONTÈ & CO., 2013
La scuola ha il dovere di garantire le competenze musicali irrinunciabili per tutti gli
studenti e al tempo stesso di sostenere i talenti emergenti: l’alfabetizzazione artistica Pagine 186 – 240 + CD - 29,90 euro
ha lo stesso valore di quella linguistica. La vocazione artistica è patrimonio individuale
Il lavoro di Paolo Damiani costituisce
di ogni cittadino e dovrebbe essere sviluppata nell’ambito della scuola secondo percor-
una valida alternativa alle migliori
si che prevedano sia studi finalizzati a futuri sbocchi professionali sia azioni musicali e produzioni anglosassoni dedicate
artistiche rivolte a tutti gli studenti, senza intenti professionali. A mio parere è arrivato alla composizione e a all’improvvisa-
insomma il momento di progettare un percorso di studi che si sviluppi logicamente dal- zione, integrandole e completandole
con elaborazioni inedite e originali.
la primaria fino all’Alta Formazione, ripensando ruolo e funzioni dei conservatori e po-
La peculiarità del volume è la mol-
tenziando i corsi per la formazione dei formatori, magari sul modello francese dei CFMI teplicità di riferimenti: alla brillante
(Centres de Formation de Musiciens Intervenants). esposizione delle tecniche specifi-
che si abbina così l’analisi della mu-
sica nell’ambito di un contesto cul-
Come unire questi aspetti legati alla formazione con la produzione musicale,
turale più ampio, e paragrafi come
la ricerca e la musica dal vivo? Il jazz come processo intercultura-
La musica è una risorsa economica e occupazionale fondamentale… ma di quale speci- le e La musica è architettura sono
fica musica stiamo parlando? Si impongono alcune distinzioni: la prima è quella della stimolanti e di particolare bellezza.
Naturalmente la parte più tecnica
qualità, la seconda è quella fra musiche che possano vivere in autonomia sole sul merca-
costituisce il cuore del metodo: te-
to e quelle che hanno bisogno del sostegno pubblico. I capitali spesi per la cultura devo- oria degli armonici, intervalli, siste-
no essere potenziati in quanto sono investimento, non elargizione. Ogni centesimo inve- ma tonale, melodia, tempo, metro,
stito dal paese in cultura, ritorna centuplicato. Il vero profitto della cultura è la crescita ritmo, poliritmia, e così via. Ogni ar-
gomento è esposto in un paragra-
sociale e culturale del paese, che consente nel tempo anche ricadute di tipo economico.
fo sintetico ma chiaro, con nume-
rosi esempi tratti dai brani che si
Hai in programma nuovi dischi? possono ascoltare nel CD allegato.
Proprio nello spirito della sinergia delle diverse discipline ho registrato un lavoro con Di rilievo sono le sezioni dedicate
a forma, struttura, caso e serialità.
Rosario Giuliani, Daniele Tittarelli, Michele Rabbia e Marco Bardoscia, che vuole co-
Un lavoro che riesce brillantemen-
niugare le danze di Bach con i teatri di Renzo Piano: un incontro-scontro che mi ha ispi- te nel portare contributi originali e
rato sette composizioni originali che usciranno per la Parco della Musica Records ingegnosi alla materia. (EM)
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3DB TRIO
CHIAROSCURO
DODICILUNE, 2013
RECORDS
le sue splendide melodie». Ed ecco un
omaggio tutt’altro che filologico quanto un
riaggiornamento del repertorio ellingtoniano
sotto il profilo armonico, timbrico e ritmico: affascinante la
trasformazione di Washington Wobble che il Jazz Academy Sextet
a cura di rivista con due diversi approcci metrici e con diversi arrangiamenti
Luciano Vanni brass: a dimostrazione che la musica del Duca è open source. (LV)
JULIAN ARGÜELLES
CIRCULARITY
CAM JAZZ, 2014
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totalmente inglese, comprendente John
Taylor al pianoforte, Dave Holland
al contrabbasso e Martin France alla
batteria. Argüelles combina diverse virtù:
competenza armonica, fraseggio plastico, tecnica invidiabile
ed eleganza espressiva, in costante equilibrio tra esuberanza e
liricità, energia e concentrazione. Dentro “Circularity” funziona
tutto alla perfezione, nelle ballad e nei fast più modern hard bop
MAGGIO / GIUGNO 2014
JAZZ
oriented. (LV)
BELÉM TRIO
KARABASH
NEU KLANG, 2014
REVIEW
pesarese (composto dal pianista Diego
Brancaccio, dal bassista Filippo Macchiarelli e
dal batterista Luca Luzi) è il sound di gruppo,
di grande impatto timbrico e carico di groove.
Significativa la scelta espressiva, che possiamo
definire progressive jazz, che si manifesta
in un repertorio originale (a eccezione dello standard God Bless
The Child) fatto da composizioni ora vertiginose, ora liriche, ora
melanconiche, ma comunque fortemente personali e cariche di
energia, ben scritte e arrangiate. Un debutto significativo. (LV)
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RECORDS JAZZ REVIEW
Ciò che un tempo era una pratica diffusa, quella «Nove racconti trasformati in nove pezzi jazz»:
di rileggere il songbook dei padri fondatori è il contrabbassita abruzzese Luigi Blasioli,
della canzone americana, ultimamente è cosa nella decima e ultima traccia del CD, dal titolo
rara ed ecco perché questo album registrato My Voice From The Valley, a indicarci una
dal pianista Paolo Birro e dal clarinettista possibile lettura di un disco che si connota
Alfredo Ferrario è qualcosa di speciale. Ma come un concept album. Questo si evolve con
non solo. Birro e Ferrario passeggiano attorno un unico flusso narrativo; divertissement,
a uno dei più significativi repertori del Novecento, quello di Irving swing, atmosfere briose (A Village Holiday) e altre più contemplative
Berlin, con grande disinvoltura, eleganza, fantasia, ispirazione, e intimiste (Lost In The Woods). Il quintetto diretto da Blasioli si
swing, partecipazione emotiva e soprattutto con quel feeling e avvale di tre special guest: il trombettista Gabriel Oscar Rosati e i
quel relax che denota confidenza con repertorio e autore. (LV) sassofonisti Michael Rosen e Max Ionata. (LV)
Session discografica “live in studio” in puro «Ho lavorato sull’anima classica di Bill
spirito modern hard bop per il quintetto Evans, cercando di mettere in rilievo
americano composto da Seamus Blake (sax l’influenza che hanno esercitato su di
tenore), Chris Cheek (sax tenore e soprano), lui Chopin, Ravel, Debussy e Satie»: con
Ethan Iverson (pianoforte), Matt Penman queste parole Branciamore introduce
(contrabbasso) e Jochen Rueckert (batteria). “Remembering B. E.”, un album dove le
Atmosfere anni Cinquanta con citazioni del composizioni di Evans (Peace Piece, Waltz
repertorio di Elmo Hope e di Eddie Harris. Ma l’album “Reeds For Debby e Time Remembered), e buona parte del repertorio
Ramble” è anche una testimonianza di trasversalità espressiva da lui più amato, tornano a nuova vita con arrangiamenti che
attraverso l’interpretazione di brani a firma di Chico Buarque (Na prevedono l’esecuzione delle trascrizioni delle improvvisazioni
Carreira) e di Brian Wilson (‘Till I Die): un sax summit dei nostri evansiane con un organico da musica da camera. Emergono nuove
tempi. (LV) potenzialità espressive. (LV)
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RECORDS
INTERVISTA JAZZ
SILVIA
REVIEW
BOLOGNESI
DI ROBERTO PAVIGLIANITI
100
«Praticando tanta musica improvvisata uso molto di più l’archetto
rispetto alla media. Ho studiato contrabbasso classico e non voglio
rinunciare a un aspetto così importante dello strumento»
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FOCUS JAZZ REVIEW
© ROBERTO CIFARELLI
NOÉ
RAFFAELE CASARANO & LOCOMOTIVE
DI EUGENIO MIRTI
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RECORDS JAZZ REVIEW
Il pianista Enrico Brion ha un’idea di jazz Il chitarrista belga Robban Cirrin (alla guida
dai confini alquanto vasti con composizioni di un quartetto comprendente Massimo
che offrono scenari diversi nel loro Zamboni al sax tenore e soprano, Paolo
svolgimento aprendosi ad ampie sezioni Ghetti al contrabbasso e Stefano Calvano
d’improvvisazione. Ci sono ballad (Lalaide), alla batteria e percussioni) mette in scena
vamp che conducono a forme aperte (M.O.M.), una musica fatta di temi di ampio respiro,
cadenze ritmiche massicce con echi post-rock elaborati e particolarmente estesi. Si tratta
(Lagrein) e groove rilassati (Sgarrupato). Ma tutto cambia, sempre, di un repertorio originale costruito su architetture armoniche
anche timbricamente: merito di un organico che da quartetto base complesse. Risulta evidente la predilezione per atmosfere
– Giovanni Masiero (tenore), Salvatore Pinello (contrabbasso) e multietniche – ora latin (Perdido no ar) ora d’ispirazione caraibica
Igor Cecchini (batteria) – si apre a numerosi solisti. (LV) (Canção dos malandros) e ora indiana (El ran’s raga) – e la ricerca
di un effetto timbrico sobrio e controllato. (LV)
Fulvio Buccafusco, contrabbassista siciliano Riverberi, echi, silenzi e suoni: tutto procede in
classe 1973, racconta così la sua musica: un flusso ininterrotto di libera improvvisazione
«Questo album nasce durante un periodo di e in un gioco di incastri, di effetti timbrici
tre anni trascorsi in una città multiculturale e di minimalismo espressivo. Con Eugenio
come Londra, guardando a diverse culture, Colombo (sax contralto, soprano e flauto),
luoghi, suoni e persone come un profondo e Giancarlo Schiaffini (trombone) e Luigi Marino
immenso archivio emozionale». La musica del (zarb, cimbali, elettronica e oggetti vari) va in
quartetto (completato da Stan Sulzmann al tenore, Nikki Iles al scena una performance intensa che si materializza in undici diversi
pianoforte, Ettore Fioravanti alla batteria) nasce da una session frammenti sonori denominati Tanz, termine che in tedesco significa
live in studio ed è un modern maistream ispirato, costruito attorno danza. I tre musicisti si dividono gli spazi tra melodie (Colombo),
a un corpus di brani originali. (LV) squarci sonori (Schiaffini) e atmosfere percussive (Marino). (LV)
104
RECORDS JAZZ REVIEW
Il lavoro svolto sul flauto da Massimo Federico Casagrande alla chitarra, Christophe
De Mattia, classe 1959, è di straordinaria Panzani al sax tenore e Ferenc Neemeth alla
importanza ed è anche grazie a lui se il suo batteria sono i tre coleader di The Drops,
strumento è riuscito a costruirsi, a livello un’idea musicale intensamente creativa e che
internazionale, uno spessore espressivo post dà vita a composizioni eclettiche sul piano
mainstream. “Trilemma” vede De Mattia alla armonico e ritmico: un labirinto di melodie,
guida di un trio drumless con Alessandro forme, ambientazioni sonore ora oniriche, ora
Turchet al contrabbasso e Bruno Cesselli al pianoforte ed è il cariche di tensione, ora dolcemente liriche e suadenti. L’ascoltatore
risultato di una session che celebra una tensione creativa e un è continuamente stimolato a prestare attenzione a ogni singolo
interplay serrato, con schegge di free, ambienti cameristici e frammento delle composizioni tanti sono gli orizzonti espressivi e
atmosfere rarefatte, ipnotiche e liriche. (LV) tanto diverse sono le soluzioni messe in scena dal trio. (LV)
Il sassofonista Fabio Delvò, classe 1971, guida La cantante americana Kat Edmonson,
il suo quartetto (completato dal clarinettista classe 1983, esprime un canto neoromantico,
e altoista Achille Succi, dal contrabbassista melodico, suadente e dalla pronuncia morbida.
Danilo Gallo e dal batterista Marco Rizzini) La produzione, eccellente sul fronte della
alla materializzazione di una musica intensa, ripresa sonora e della qualità performativa,
spirituale e ad alta densità improvvisativa. fa ascoltare Kat Edmonson alle prese con un
Ed ecco temi costruiti attorno a piccole repertorio che sfiora atmosfere country (I
cellule motiviche (Whithout Inspiration), contrasti timbrici Don’t Know), pop (interessante l’interpretazione del classico dei
(eccezionali quando Succi e Delvò dialogano in Lullaby Of Wind) e Beach Boys I Just Wasn’t Made For These Times) e latin (This Was
un certo minimalismo armonico: come dice il leader «il risultato è The One) anche se è la ballad il territorio espressivo prediletto
contemporaneo, fresco, deciso, sghembo, pulsante». (LV) come dimostra la splendida Nobody Knows That. (LV)
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RECORDS
INTERVISTA JAZZ
FRANCO
REVIEW
D'ANDREA
DI ROBERTO PAVIGLIANITI
FRANCO
D’ANDREA
© NIKO GIOVANNI CONIGLIO
Perché di nuovo Monk, dopo i lavori a lui dedicati negli anni passati?
Ho ritenuto che era il momento di dare maggiore importanza al lavoro svolto in preceden-
za, in solo e in duo, con un gruppo formato da diversi musicisti. Monk è un personaggio fon-
damentale, è un gigante. Nelle sue composizioni sento viva la forza della tradizione, e questo
me lo rende molto familiare. Allo stesso modo in lui sento un’enorme innovazione, parola in-
sufficiente per esprimere tutto quello che ha creato. Aveva costruito quelli che amo chiama-
re “giocattoli”, una serie di strumenti espressivi con i quali anche i posteri avrebbero giocato
FRANCO D’ANDREA SEXTET
volentieri.
MONK AND THE TIME MACHINE
Monk è una fonte infinita di spunti e idee. Qual è la caratteristica più interessante del- PARCO DELLA MUSICA RECORDS, 2014
la sua musica?
È inesauribile, come diceva Steve Lacy. La sua musica è infinita perché aveva in mente un’e- Franco D’Andrea (pf); Andrea Ayassot (alto, sop); Daniele D’Aga-
ro (cl); Mauro Ottolini (trn); Aldo Mella (cb); Zeno De Rossi (batt)
norme serie di possibilità per crearla, e sfruttava a fondo tutti i parametri che formano una
musica. Il ritmo, la melodia, l’armonia e il timbro delle sue composizioni hanno sempre degli Di nuovo Thelonious Monk nel
elementi di particolarità, e concedono agli interpreti un ampio ventaglio di soluzioni, sia d’im- lungo percorso artistico di Fran-
provvisazione sia d’arrangiamento. Chi dà la direzione, come lui, è importante, anche se poi il co D’Andrea. Era già succes-
jazz assume il suo senso compiuto nella performance. so in duo con Phil Woods nell’al-
bum “Our Monk” nel 1994, e in
solo nel 2003 con il lavoro “Plays
Senso che tu hai raggiunto con il sestetto. Monk”. Stavolta al fianco del piani-
Sì, ho dei collaboratori molto validi. Musicisti bravi, che conoscono molto bene la mia musica. sta c’è un sestetto di assoluta dut-
Con questo gruppo sto lavorando da qualche tempo, quindi si è creata una certa unione, e oggi tilità espressiva e formale, capace
abbiamo, rispetto agli inizi, una serie più ampia di possibilità espressive grazie all’esperienza sia di firmare movimenti d’insieme
acquisita con i concerti. Ho grande fiducia in loro, scrivo abbastanza poco, cerco solo di dare di grande impatto, sia di scocca-
re decise frecce soliste. Il doppio
delle linee guida. Ho acquisito una maggiore sintesi, quindi comunico loro solo qualcosa, a vol-
CD include rivisitazioni e brani ori-
te anche solo verbalmente, e poi ognuno si regola secondo le proprie caratteristiche e le proprie ginali, che si fondono in una lunga
abitudini. Loro hanno la possibilità di entrare nella forma musicale, e in caso di spostarla da sequenza che riflette il concetto di
un’altra parte. Il tutto accade con molta naturalezza, e nel disco emerge questa caratteristica. “movimento temporale” che il ti-
tolo dell’album vuole far intende-
In che modo è avvenuta la registrazione dell’album? re. Si tratta, in effetti, di un viag-
gio che oscilla dal jazz tradizionale
Lo abbiamo registrato in due tappe, al Parco della Musica di Roma. La prima dal vivo, davanti
al blues, dall’improvvisazione a si-
a un pubblico ristretto, come se fosse un concerto. Questo materiale occupa tutta la prima par- tuazioni essenziali e dalla stret-
te del disco e una porzione della seconda. Gli altri brani li abbiamo registrati la mattina dopo, ta connotazione di modernità.
senza pubblico, suonando quello che non avevamo in scaletta la sera prima, ma che già aveva- Nell’album c’è Monk, ovviamen-
mo in repertorio, in un assetto più vicino a quello dello studio. In questa fase abbiamo affron- te, in ogni passaggio, con le sue
tato anche dei pezzi più complicati, come Un gioco, un brano che dal vivo avrebbe funzionato soluzioni angolari, percussive, vi-
sionare, ma c’è soprattutto Fran-
meno. Eravamo molto tranquilli e ci siamo presi il tempo necessario.
co D’Andrea, e il suo formidabile
bagaglio di esperienza. C’è la sua
Come hai scelto i tuoi brani per la scaletta? infinita curiosità pianistica, che
Alcuni già li avevo pronti, anche se sono stati proposti in versione diversa, e altri sono inediti. lo porta a disegnare itinerari che
Ho scelto le composizioni che ho ritenuto compatibili con lo spirito della musica di Monk, e con uniscono concretezza e astratti-
questo intendo indicare certi intervalli, alcuni giri armonici e alcune assonanze che lui ama- smo con un piglio di rara sapien-
za. (RP)
va. Monk, per esempio, amava l’intervallo di seconda maggiore, quindi in alcuni pezzi ho usa-
to questa soluzione, creando un’allusione alla sua musica, anche in maniera astratta. Alcuni CD 1: Into The Mystery - Deep Riff / Light Blue - Epistrophy / Mi-
passaggi non hanno una tonalità precisa, sono liberi e inventati su improvvisazione collettiva. sterioso - Monk’s W.T.L. - Bright Mississippi / Monk’s Mood - O.T.
Abstraction / Monodic - Well You Needn’t; CD 2: A New Rag Suite
Ci sono poi dei riff ritmici, alcuni ostinati di basso, richiami al blues, e tutta una serie di fram-
/ I Mean You / Monk’s W.T.L. - Locomotive / Un gioco / Blue Monk
menti che in qualche modo alludono, magari in maniera sottile, o citano la musica monkiana. / Brake’s Sake / Naïf / Blue Monk - Brake’s Sake - Naif - Un gioco
L’album si muove anche in ambienti del passato, come il dixieland, e a volte si sposta verso ter- / Coming On The Hudson / Brake’s Sake (alternate take) / Coming
ritori più misteriosi On The Hudson (alternate take)
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RECORDS JAZZ REVIEW
RECORDS JAZZ REVIEW
DONALD EDWARDS
EVOLUTION OF AN INFLUENCED MIND
CRISS CROSS JAZZ, 2014
ELVIO GHIGLIORDINI
LIBERO
IL MILLENNIO, 2013
109
FOCUS JAZZ REVIEW
© ROBERTO CIFARELLI
proposti. In scaletta, tra le molte rivisitazio-
ni, troviamo anche dei brani originali. King
Kong ha gli occhi lucidi è un breve passaggio
firmato da De Aloe, nel quale i due strumen-
ti dialogano con frasi accennate in un’am-
bientazione sonora chiaroscurale, quasi di-
messa, mentre nella successiva Ciao Manu!,
firmata dall’arpista, si respira una melodia
MARCELLA CARBONIHARP
POP co, che segna l’intero programma, registra-
to in un’unica sessione nel settembre 2012.
Oblivion, di Astor Piazzolla, e la beatlesiana
Here, There And Everywhere si pongono come
DI EUGENIO MIRTI
vertici di un lungo ponte che unisce il mondo
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RECORDS JAZZ REVIEW
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RECORDS JAZZ REVIEW
Il quintetto Infinita raccoglie due musicisti Christine Jensen è una sassofonista (contralto
finlandesi (il trombettista Tero Saarti e il e soprano) canadese che ha una notevole
pianista Sid Hille) e tre italiani (il sassofonista facilità nel comporre e arrangiare per
Massimo Carboni, il contrabbassista Paolo orchestra. In questa sua ultima opera, dal
Spanu e il batterista Gianni Filindeu) e fa titolo “Habitat”, si fa ascoltare alla direzione
ascoltare ballad liriche, di evanescente di un large ensemble, mettendo insieme alcuni
bellezza e forte identità timbrica dettata dal tra i suoi più stretti collaboratori degli ultimi
contrasto tra il suono sottile e morbido della tromba di Saarti anni. La sua è una scrittura morbida, a tratti modale e dal sapore
e quello più brillante e potente del tenore di Carboni. Assai etnico, melodica e ricca di soluzioni timbriche, capace di far
affascinante è l'interpretazione di Strawberry Fields Forever. (LV) muovere sapientemente la sezione brass come Maria Schneider,
suo grande riferimento espressivo. (LV)
Dietro alla sigla Inside Jazz Quartet si celano Il batterista franco-algerino Karim Ziad,
il sassofonista Tino Tracanna, il pianista classe 1966, giunge a “Jdid” (che in arabo
Massimo Colombo (in questa circostanza significa "nuovo" e quindi anche nuova
anche al Fender Rhodes), il contrabbassista direzione) con il desiderio di mettere insieme
Attilio Zanchi e il batterista Tommaso una ventina di musicisti di diversa origine e
Bradascio, quattro solisti che si sono dati connotazione stilistica, come il chitarrista
appuntamento per celebrare la memoria di Nguyên Lê, il pianista Bojan Z, il batterista
Wayne Shorter, Thelonious Monk, Steve Swallow, Carla Bley e Ari Hoenig, il pianista Tigran Hamasyan e il sassofonista Jacques
Yusef Lateef. Non c’è spazio per musica da repertorio, prevalendo Schwarz-Bart. Il risultato è una musica fusion per eccellenza, un
uno sguardo, autentico, fresco, ispirato e originale. Viene alla luce blend di sonorità etniche e jazz-rock, densa di soluzioni ritmiche
una session che garantisce nuova forza e freschezza melodica a e di orizzonti espressivi in virtù dei tanti ospiti. (LV)
ciascuno spartito. (LV)
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RECORDS JAZZ REVIEW
Il batterista svizzero Alex Huber, cofondatore Come recita il nome, il tentetto ha come
dell’etichetta discografica Wide Ear, è tra stella polare l’attività della Brass Fantasy
i protagonisti della nuova scena jazzistica del trombettista Lester Bowie e, infatti,
creativa europea. In questa circostanza l’organico si presenta con una sezione fiati
(affiancato dal sassofonista Dan Kinzelman, preponderante (tre trombe, due tromboni,
dal chitarrista Roberto Pianca e dal due corni francesi e una tuba), senza
contrabbassista Stefano Senni) Huber dà strumenti armonici e con una base ritmica
alle stampe una musica che trova la sua identità espressiva priva di contrabbasso ma con batteria e percussioni.
nell’equilibrio tra partiture complesse (dai temi ampi, dettagliati Il ricco impasto timbrico dell’ensemble, gli efficaci arrangiamenti brass
e con un carico di obbligati) e spazi aperti all’improvvisazione e gli ispiratissimi interventi solistici, il tocco di humor e l’entusiasmo che
totale: musica jazz contemporanea. (LV) emerge in I Am With You sono il miglior omaggio a Lester Bowie! (LV)
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RECORDS
INTERVISTA JAZZ
CLAUDIO
REVIEW
FILIPPINI
© ANDREA BOCCALINI
CLAUDIO
FILIPPINI BREATHING IN UNISON
DI EUGENIO MIRTI
«Con Palle e Olavi riesco a creare sempre delle belle atmosfere e in
quest’ultima session sono riuscito a ottenere perfettamente ciò che stavo
cercando. La concentrazione era al massimo e i nostri respiri
sembravano davvero sincronizzati»
Come hai scelto il repertorio? Ancora una volta ci sono brani originali e un “Breathing In Unison” è il segui-
numero quasi uguale di riletture. to di “Facing North” (CAM Jazz,
2012) e del precedente lavoro
Mi sono lasciato trasportare dalle emozioni che stavo provando nei mesi dedicati mantiene sia la formazione sia le
alla scrittura. Modern Times #evolutions è un’evoluzione dell’ultimo brano di “Fa- atmosfere sonore, orientate ver-
cing North”, mentre Breathing In Unison l’ho scritta di getto dopo aver letto A De- so un mood rilassato e leggero
dication to My Wife di Thomas Stearns Eliot, nella quale il poeta esprime a paro- che privilegia chiaroscuri sonori
le quello che io avrei sempre voluto esprimere in musica. South Michigan Avenue è e suggestioni melodiche. Il reper-
torio è ancora una volta organiz-
un altro brano originale che ho composto dopo una visita all’Art Institute di Chica- zato da Filippini in maniera bilan-
go, dove sono rimasto folgorato dall’opera America Windows di Marc Chagall. Ho ciata tra brani originali e riletture
pensato di registrare anche altri brani già conosciuti che ho sempre amato suona- di varia natura, e come sempre
re ma che non ero ancora riuscito a immortalare in un disco: As Time Goes By cui l’accento maggiore è dato allo
sono davvero affezionato, Poses di Rufus Wainwright e At The Dark End Of The Stre- sviluppo melodico, a volte molto
complesso (come in A Time For
et, brano che suonai una volta con Cristian Panetto, un mio caro amico e musicista Love) ma sempre irresistibile. Le
che ha lasciato questo mondo proprio mentre stavo lavorando al disco. atmosfere solari di Secret Love si
alternano ai momenti più malinco-
Come mai hai voluto usare anche la celesta? nici e riflessivi di At The Dark End
Nello studio Bauer c’è questo strumento meraviglioso, immacolato, accordato, con Of The Street, fino ad arrivare alle
modalità più misteriose e quasi
una sonorità magica. La celesta è molto difficile da gestire, ci sono pochi tecnici ca- free di The Sleepwalker, che pre-
paci di metterla a punto. Quella nello studio è speciale, ha i tasti piccoli e sembra di vede un bel tema esposto dal con-
suonare un pianoforte giocattolo. Secondo il registro, ha un suono che ricorda ma- trabbasso con l’arco tutto basato
rimba, Rhodes o glockenspiel. Mi sono innamorato del suono e ho voluto usarla. sulle “corone” ritmiche (i momen-
ti musicali che si dilatano a pia-
cere dell’esecutore). Il titolo (per-
È cambiato il vostro approccio alla registrazione? tinente) del disco cita un verso di
Lavorare insieme dal vivo ha permesso di provare qualche brano prima, in parti- Thomas Stearn Eliot, ed è eviden-
colare quelli originali. Per il resto abbiamo ripetuto il modus operandi di “Facing te come Filippini, Danielsson e
North”: di solito abbiamo scelto la prima (e unica) take. Naturalmente buona parte Louhivuori riescano a esprimere in
del merito va allo studio, che è meraviglioso e in un giorno e mezzo di registrazio- questo nuovo lavoro un interplay
ancora più ispirato e leggiadro,
ni ti permette di realizzare un prodotto finito. come ben esemplifica l’ascolto di
As Time Goes By. (EM)
Ci sarà una terza tappa di questo trio?
Modern Times #evolutions / As Time Goes By / Poses / The Sle-
Il primo lavoro è andato bene e abbiamo avuto la possibilità di presentarlo dal vivo epwalker / Breathing In Unison / Night Flower / South Michigan
diffusamente. Sappiamo già che anche questo nuovo disco ha creato interesse, c’è Avenue / A Time For Love / Secret Love / At The Dark End Of The
Street
stato un ottimo feedback, quindi… squadra che vince non si cambia!
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RECORDS JAZZ REVIEW
116
RECORDS JAZZ REVIEW
117
FOCUS JAZZ REVIEW
FRESU
sedici elementi nata nel 1988 e che è tra le for-
mazioni più attive nel panorama artistico in-
ternazionale: vanta molteplici collaborazioni
con solisti e direttori di fama, ha suonato per i
più importanti teatri e ha realizzato oltre cin-
quanta CD.
Il lavoro si caratterizza per lo strepitoso
mélange di jazz, classica ed elettronica ed è
V I N O D ENTRO impreziosito dagli immaginifici arrangiamen-
ti di Daniele Di Bonaventura. Considerando il
rapporto con le immagini, i brani sono parti-
colarmente evocativi e coinvolgenti da un pun-
DI EUGENIO MIRTI
to di vista emotivo; ad alcuni bozzetti molto
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RECORDS JAZZ REVIEW
SEBASTIAN MARINO
INCIPIT
INDACO, 2013
119
120
RECORDS JAZZ REVIEW
Il quintetto italoamericano guidato dal Il nuovo lavoro degli Omit Five – Mattia
fisarmonicista Antonello Messina (comprendente Dalla Pozza (sax contralto), Filippo Vignato
Umberto Fiorentino alla chitarra, Michel Rosen (trombone), Joseph Circelli (chitarra), Rosa
al sassofono, Luca Pirozzi al contrabbasso e basso Brunello (contrabbasso) e Simone Sferruzza
elettrico e John Arnold alla batteria) fa ascoltare (batteria) – si distingue per il sound di gruppo
un repertorio, tutto originale, che evoca scenari (si sente che la band è molto attiva dal vivo, in
tipici dei Weather Report (The Forest Called), Italia e soprattutto all’estero), per il raffinato
gentle waltz (Les contradictions), scomposizioni ritmiche, melodie, incastro timbrico della front line (sax contralto e trombone), per
partiture ricche di obbligati e spazi liberi per l’improvvisazione. la scrittura (tutto il repertorio è originale, fuori dai canoni tema-
Affascinante il suono strumentale di Messina: morbido, tagliente e improvvisazione-tema) e per gli orizzonti espressivi che sfiorano
incisivo, non per forza elegante. (LV) il jazz di ieri e di oggi, dal rock alla classica. (LV)
«Ho costruito la scaletta dell’incisione volendo Il pianista Stefano Onorati, classe 1966, si
concentrarmi su tre atteggiamenti musicali fa ascoltare dal vivo alla guida di un trio
che noto ricorrenti nel mio modo di suonare completato da Stefano Senni al contrabbasso
e improvvisare; così, ecco tre serie di brani, e Walter Paoli alla batteria. Il repertorio
ciascuna composta da una fantasia, una melodia è quanto mai singolare (a firma di Kenny
e una danza», scrive il pianista Marco Olivieri. Wheeler, Bill Evans e Ornette Coleman, con
E in effetti in questo suo piano solo si alternano un brano originale e uno standard, Blame It
più orizzonti espressivi, ora cupi e introversi, ora carichi di energia e On My Youth, amato anche dai più celebri jazz singer) e mette in
solarità. Il suono strumentale è anch’esso vario, ora carico di vibrati, risalto l’eleganza espressiva del pianista, la sua vena lirica e una
ora meccanico, aspro e al tempo stesso brillante. Emerge appieno una ricerca profonda per lo sviluppo improvvisativo colto e al tempo
grazia e una certa compostezza classica. (LV) stesso emozionale: gran bel feeling di gruppo. (LV)
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FOCUS JAZZ REVIEW
DI EUGENIO MIRTI
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RECORDS JAZZ REVIEW
JASON PALMER
PLACES
STEEPLECHASE, 2014
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RECORDS
INTERVISTA JAZZ
LORENZO
REVIEW
PAESANI/LUCA DALPOZZO/DARIO MAZZUCCO
LORENZO PAESANI
LUCA DALPOZZO
DARIO MAZZUCCO
IMBISS
“IMBISS” (2013) È IL TITOLO DEL SECONDO LAVORO PUBBLICATO PER
L'ETICHETTA ABEAT DAL TRIO PAESANI/DALPOZZO/MAZZUCCO: UN CROGIOLO
D'INFLUENZE MUSICALI DI CUI ABBIAMO PARLATO CON I DIRETTI INTERESSATI
DI ANTONINO DI VITA
124 124
«Ci accomuna l'ascolto dei grandi piano trio contemporanei quali
Mehldau, Taborn, Moran o Iyer. Per ciò che riguarda la sfera extra-
musicale, dobbiamo confessare una comune passione per i serial TV
americani [...], il cinema e la letteratura di fantascienza del Novecento»
Che cosa accomuna i fast food tedeschi (Imbiss), il deserto nordamericano riportato
nell'immagine di copertina e la musica contenuta nel disco?
LP / È un gioco di rimandi reciproci, di simboli. Gli Imbiss per me rappresentano la globaliz-
zazione, chioschi che vendono cibo turco dove tutti fanno la fila a prescindere dal loro ceto so-
ciale, dalla loro etnia o dalle loro idee politiche. Un luogo affollato e caotico la cui immagine
“ombra” è il deserto: (quasi) nessuna presenza umana, un posto in cui si parla la lingua dello
spirito e dimorano misteri arcani. La musica si muove attraverso questi due estremi, fra sug-
gestioni antitetiche.
Un lavoro caratterizzato dalla convergenza di molteplici influenze, non solo musicali. LORENZO PAESANI/
Quali sono le vostre fonti d'ispirazione? LUCA DALPOZZO/DARIO MAZZUCCO
LD / Ci accomuna l'ascolto dei grandi piano trio contemporanei quali Mehldau, Taborn, Mo- IMBISS
ABEAT, 2013
ran o Iyer. Per ciò che riguarda la sfera extra-musicale, dobbiamo confessare una comune pas-
sione per i serial TV americani (in particolare per Breaking Bad), il cinema e la letteratura di Lorenzo Paesani (pf, Wurlitzer); Luca Dalpozzo (cb); Dario Mazzuc-
fantascienza del Novecento: Philip K. Dick, Aldous Huxley, Douglas Adams e Ray Bradbury. co (batt)
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RECORDS JAZZ REVIEW
RECORDS JAZZ REVIEW
RICH PERRY
NOCTURNE
STEEPLECHASE, 2014
HOUSTON PERSON
NICE ‘N’ EASY
HIGHNOTE, 2013
ALBERTO PIZZO
ON THE WAY
CINEVOX, 2014
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FOCUS JAZZ REVIEW
ONE
IVO PERELMAN
JOE MORRIS
il suo fido tenore di situazioni estreme, nel-
le quali lo strumento viene “torchiato” (dal
punto di vista sia dinamico sia tonale) rifug-
gendo qualsiasi idea di staticità. Insieme i tre
BALÁZS PÁNDI
musicisti danno vita a un denso tessuto nar-
rativo dal pulsare poliritmico, armonicamen-
te elusivo, dove le intemperanze di Perelman
vengono incalzate dall'errare sotterraneo di
Morris, chitarrista all'anagrafe (con una pas-
DI ANTONINO DI VITA sione per il contrabbasso) qui per la prima
volta alle prese con il basso elettrico, e dal-
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RECORDS JAZZ REVIEW
PLYMOUTH POLO
PLYMOUTH PLEASURES
RARE NOISE, 2014 AUAND, 2014
Il quintetto Plymouth – comprendente Jamie "poLO" è un quartetto – Paolo Porta (sax tenore
Saft (pianoforte, Fender Rhodes e organo), Joe e soprano e flauto), Andrea Lombardini (basso
Morris (chitarra), Mary Halvorson (chitarra), elettrico), Gileno Santana (tromba, flicorno
Chris Lightcap (basso elettrico) e Gerlad e trombone) e Jonas Burgwinkel (batteria) –
Cleaver (batteria) – è protagonista di una dalle idee decisamente personali, che si esprime
session infuocata, con evidenti riferimenti alla attraverso inauditi impasti timbrici (merito
psichedelia e al jazz-rock fine anni Sessanta e delle numerose soluzioni espresse dalla front
inizi anni Settanta, tanto che in molte circostanze sembra di avere line e dal bassista) e originali soluzioni ritmiche (c’è uno sguardo oltre
a che fare con i Grateful Dead. “Plymouth” è composto da tre lo swing) e compositive (sotto il profilo formale e stilistico, con echi
lunghe suite, veri e propri viaggi onirici, intensi e lisergici, carichi di post rock, fusion e addirittura reggae). Efficaci gli arrangiamenti,
di spazi improvvisati e di groove. (LV) ben scritti, e le ampie sezioni improvvisate. (LV)
129
RECORDS
INTERVISTA JAZZ
ROLLERBALL
REVIEW
ROLLERBALL
POST AMEN
A CINQUE ANNI DALL’ESORDIO “LA CLINICA DEL RASOIO”, TORNANO
I ROLLERBALL, IRRIVERENTE E ICONOCLASTA QUINTETTO CHE BASA
LA PROPRIA CIFRA STILISTICA SULLA BRILLANTE COMMISTIONE DI GENERI
DIVERSI. ABBIAMO INTERVISTATO MASSIMILIANO SORRENTINI,
BATTERISTA DEL GRUPPO
DI EUGENIO MIRTI
130 130
«Ci piace giocare con elementi che noi stessi definiamo «pornografia musicale».
Ci piace anche non prenderci troppo sul serio e lasciarci una certa libertà che
magari, con altri progetti, non possiamo avere»
Il disco, dopo ben cinque anni di attesa, segue il precedente “La clinica
del rasoio”, acclamatissimo esordio. Perché avete aspettato così a lungo?
Nulla di pianificato. Quasi tutti noi, in questa lunga pausa, abbiamo lavorato a
progetti personali o con altre formazioni; ad un certo punto, spontaneamen-
te, ci siamo ritrovati a provare insieme del materiale nuovo nella vecchia casa
di Danilo a Padova, suonando in salotto. Tra una pastasciutta e l'altra, abbia-
mo capito che il nuovo materiale ci piaceva e che era arrivato il momento di
registrarlo.
ROLLERBALL
Come avete scelto l’unico brano non originale, Der Kommissar, di Falco? POST AMEN
È stata una mia idea, seguendo il solco tracciato da Chain Reaction Machine EL GALLO ROJO, 2013
presente nel primo disco. Allora Piero riarrangiò una melodia di un video che Piero Bittolo Bon (alto, bar, cl, fl); Beppe Scardino (bar, cl b); Enrico
avevo trovato su YouTube e che mostrava un apparecchio assurdo, sullo stile Terragnoli (ch, banjo, podophono); Danilo Gallo (cb, b el); Massimi-
liano Sorrentini (batt, perc)
delle “macchine inutili” di Munari. Piero ed io ci divertiamo spesso con que-
sti scambi telematici da nerd. Con Der Kommissar è accaduto lo stesso; capisco L’ascolto di Garada K7, scritta
da Piero Bittolo Bon, è un esem-
che ora tra hipster e vintage possa sembrare una scelta molto di moda, ma ci pio emblematico dei mondi so-
divertiva l'idea di provare a riarrangiarlo. Così è stato e ci piace molto. nori proposti dai Rollerball: temi
all’unisono si svolgono sulla ritmi-
L’ironia è una delle caratteristiche principali del progetto Rollerball: sei ca serrata di Danilo Gallo e Massi-
d’accordo sull’importanza di questa componente nella vostra musica? miliano Sorrentini, la chitarra offre
interventi umoristici e ironici (riff
Sì, sono (e siamo, credo) completamente d'accordo. Ci piace giocare con ele- di due note che richiamano le si-
menti che noi stessi definiamo «pornografia musicale». Ci piace anche non rene dell’ambulanza, e così via),
prenderci troppo sul serio e lasciarci una certa libertà che magari, con altri voci ed effetti elettronici colora-
progetti, non possiamo avere: campionare ad esempio una pubblicità giappo- no di “gentile pazzia” la tavolozza
nese e metterla in un brano. Credo che questo divertimento si senta e del re- sonora, arricchita anche dai cam-
bi di tempo e da un inesorabile
sto per citare una felice espressione del nostro Enrico Terragnoli: «Rollerball crescendo. Come si può capire si
è jazz senza la preoccupazione di suonare jazz». tratta di un approccio scherzoso e
irriverente ma al contempo ricco
Come hai lavorato alla scrittura dei tuoi brani? di contenuti e imprevedibile per
A volte improvviso con una tastiera e se il materiale è buono, lo approfondisco. definizione. Non mancano mo-
menti più morbidi e pacati, come
Nella scrittura iniziale mi servo dei campioni orchestrali di GarageBand: è un Kosciunsko o Your Morning. La
software primitivo ma mi aiuta molto a sentire se il timbro di uno strumen- formazione è molto interessante e
to funziona, poiché il suono per me viene prima di tutto. Altre volte trascrivo originale, con i fiati di Bittolo Bon
idee che ho cantato e registrato. In ogni caso preferisco mantenere tutto piut- e Beppe Scardino accompagnati
tosto semplice e scarno, anche perché le mie conoscenze non mi permettereb- dalla chitarra di Enrico Terragno-
li come unico strumento armonico
bero di fare altrimenti. Diciamo che, con l'esperienza, ho imparato a servirmi (e dal timbro costantemente can-
produttivamente della mia ignoranza. giante). Tutti i membri del quin-
tetto hanno contribuito scrivendo
Aspetterete un altro lustro per il seguito di “Post amen”? dei brani, regalando ulteriore va-
Dipende da molti fattori: il primo è quanto riusciremo a suonare con questo rietà alla visione sonora. Geniale
è l’arrangiamento di Der Kommis-
progetto, problema che del resto è comune a tutti i miei colleghi. I gruppi vi- sar! (EM)
vono se li si fa suonare, altrimenti è inutile affollare un mercato già molto sa-
Apathic Avant-Jazz Anthem / Cappuccino Deadline / Moonless /
turo di dischi e progetti. Ultimamente sto abbracciando l'idea di una decresci-
Garada K7 / Kosciunsko / Forse mai / Kosciunsko Reprise / Scazza-
ta discografica felice: c'è troppo da ascoltare oggi, tutti pubblicano un album murillo / Cose che vanno, cose che restano / Tips Are Not Included
ogni due giorni e non la trovo più una buona idea / Your Morning / Der Kommissar
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RECORDS JAZZ REVIEW
RECORDS JAZZ REVIEW
LEONARDO RADICCHI
RIOT
GROOVE MASTER EDITION, 2013
STEFANO SAVINI
MUSICA SEMPLICE
DODICILUNE, 2013
FRANCESCA SORTINO
FRANCY’S KICKS
ABEAT, 2014
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FOCUS JAZZ REVIEW
SONATA ISLANDS
MEETS MAHLER
DI EUGENIO MIRTI
134
RECORDS JAZZ REVIEW
OMAR SOSA
SENSES
OTÁ RECORDS
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RECORDS
INTERVISTA JAZZ
GLAUCO
REVIEW
VENIER
G LAUCO
VENIER
SY M P H O N I KA
DI EUGENIO MIRTI
136 136
«La mia attenzione è rivolta alla musica popolare e dialettale,
uno degli strumenti che un musicista europeo ha a disposizione per staccarsi
dai modelli nordamericani»
Come hai organizzato il lavoro con Michele Corcella? Glauco Venier (pf, comp); Michele Corcella (arr, orchestrazione,
In verità metà del materiale era già pronto e risaliva a una collaborazione che aveva- ch); FVG Mitteleuropa Orchestra; Mittelfest Big Band; Walter The-
mel (dir); Norma Winstone (voc); Uli Beckerhoff (tr, flic); Matthias
mo realizzato con l’Orchestra Radio TV di Colonia. Proprio in quell’occasione ho co- Nadolny (ten)
nosciuto Michele, che ho voluto qui come co-autore del lavoro. Abbiamo una visione
musicale simile e quindi mi sono limitato a dargli le melodie dei brani con gli accor- Il primo motivo d’interesse di
di e lui ha realizzato il lavoro di arrangiamento e orchestrazione. “Symphonika” è il lussuoso packa-
ging: un CD e un DVD raccolti in
una confezione cartonata che con-
Le composizioni sono un patchwork di brani originali, temi popolari e compo- tiene inoltre un booklet di diciot-
sizioni di Arturo Zardini (1869-1923) e Giorgio Mainerio (1535-1582): come hai to pagine. Una produzione cura-
lavorato agli sviluppi? ta nei dettagli, gioia anche per gli
Zardini era un compositore di villotte del tardo Ottocento, un mugnaio divenuto poi occhi. Già dall’iniziale A tor a tor il
titolo emblematico del lavoro vie-
militare che aveva una passione compositiva. Prendo qualsiasi melodia mi interessi
ne spiegato: è un brano che pre-
e la trasporto nel “mio” mondo armonico; mi piace sperimentare con il rispetto sia senta un mélange di influenze di-
della tradizione europea sia di quella jazzistica. verse, con l’orchestra degli archi a
sostenere il sax contralto e la voce
Che cosa ci racconti di Norma Winstone che canta in friulano? di Norma Winstone che espone il
tema; a due minuti entra la ritmi-
Mentre eravamo in tournée in Corea, ho sentito che in un’intervista rispondeva che
ca jazz che sottolinea l’assolo gu-
si è divertita moltissimo perché il dialetto friulano le ricorda molto il ladino e il ca- stoso di Beckerhoff. Colpiscono
talano. Credo che abbia fatto un lavoro egregio: sa che tengo molto alla componente l’abilità di Venier di sovrappor-
dialettale e ha messo davvero il massimo impegno. Ritengo che la cultura regionale re influenze differenti in un insie-
sia la vera ricchezza del nostro paese: venti dialetti, altrettante tradizioni culinarie me organico e quella di Corcella di
orchestrare in maniera eccellente,
e così via. Guai se si perdesse questa varietà!
gestendo al meglio due ensemble
di grande levatura tecnica. Un la-
Com’è nata la collaborazione con Uli Beckerhoff e Matthias Nadolny? voro personale, ben suonato e in-
Li conosco da una decina d’anni, da quando cioè mi invitano al Jazzahead! di Bre- novativo nella sua proposta. (EM)
ma a tenere delle master class. Beckerhoff ne è il direttore artistico, la nostra ami- CD: A tor a tor / Prejera par Tualjas / L’Ave / Tedescha / Stelutis al-
cizia quindi si è sviluppata nel contesto di questa collaborazione. Nadolny è uno dei pinis / Lipe rosize / Gust da essi viva / Ce matine / Schiarazula ma-
miei sassofonisti preferiti in Europa, peculiare per la mistura di suoni particolari. razula / Cjant da lis cjampanis / Gorizia / Ungarescha
DVD: A tor a tor / Ce matine / Prejera par Tualjas / Cjant da lis cjam-
Quale sarà il tuo prossimo progetto? panis / Stelutis alpinis / Lipe rosize / Gust da essi viva / Tedescha
A dicembre uscirà un mio disco per piano solo per la ECM, un lavoro completamen- / L’Ave / Com’è triste Codroipo / Ungarescha / Schiarazula mara-
zula / The Mermaid
te improvvisato. Un’idea sviluppata insieme a Manfred Eicher: ogni brano prende
spunto dal suonare percussioni (idiofoni, membranofoni, eccetera), creando delle si-
tuazioni sonore speciali poi riprese al pianoforte
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RECORDS JAZZ REVIEW
TIRABOSCHI/ZAMBELLI/PRANDO TONOLO/POLGA/SANTANIELLO/CHIARELLA
CHUYPAH PUCCINI IN JAZZ
DODICILUNE, 2013 CALIGOLA, 2014
Poliritmie audaci, schegge d’improvvisazione L’idea di fondo è partire dalle melodie del
totale, ambienti psichedelici e musica repertorio pucciniano e attivare un gioco di
seriale, frammenti di jazz manouche, musica manipolazione, rielaborazione, interpretazione
popolare, sense of humor (come nella Rapsodia e improvvisazione, dando vita a nuove
satanica) e perché no, anche una dolcissima alternative espressive per un repertorio che
ninna nanna, melanconica ed estremamente appare già così perfetto. Tocca al pianista
lirica. “Chuypah” mostra infinite suggestioni Marcello Tonolo elaborare gli arrangiamenti
ed è la perfetta sintesi di un crogiolo di percorsi espressivi, che ma è tutto il quartetto (completato dal tenorista Michele Polga, dal
unisce il chitarrista Marco Tiraboschi, il fisarmonicista Gino contrabbassista e violoncellista Domenico Santaniello e dal batterista
Zambelli e il contrabbassista Simone Prando: eppure, nonostante Massimo Chiarella) a dare forma alla trasformazione jazzistica,
le numerose stelle polari, emerge una grande personalità. (LV) avvicinandosi e allontanandosi dai temi originari. (LV)
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RECORDS JAZZ REVIEW
T.R.E., acronimo di Tri Razional Eccentrico, è C’è aria di festa di paese, melodie che
un piano trio costituito da Alessandro Giachero portano con loro un sapore arcaico e un
(pianoforte), Stefano Risso (contrabbasso) e inconfondibile dettaglio timbrico di matrice
Marco Zanoli (batteria). Per l’occasione il trio mediterranea nella musica del quintetto
diventa un quartetto con doppio pianoforte diretto dal contrabbassista Daniele Vianello.
grazie alla collaborazione di Stefano Battaglia. C’è la materializzazione musicale del Sud,
Fin dalle prime note siamo immersi in un non a caso anche il titolo di un brano, con la
ambiente sonoro intenso, carico di tensione espressiva, ed è un sua esuberanza, vitalità e forza creativa. Ma al tempo stesso si
susseguirsi, quasi cinematografico, di orizzonti emozionali. ascoltano atmosfere fortemente nostalgiche e melanconiche come
Tutto fluisce organicamente, in costante evoluzione, ed è difficile se “cUore. Concerto per giocattolo” fosse un plot cinematografico
distinguere libere improvvisazioni e partiture scritte. (LV) generato dal ricordo di un tempo che non c’è più. (LV)
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FOCUS JAZZ REVIEW
© DANIELA CREVENA
KENNY WHEELER
DI ANTONINO DI VITA
SIX FOR SIX
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RECORDS JAZZ REVIEW
ULF WAKENIUS
MOMENTO MAGICO
ACT, 2014
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RECORDS JAZZ REVIEW
JAMEY AEBERSOLD
BLUES MINORE IN TUTTE LE TONALITÀ
VOLONTÈ & CO., 2013
Pagine 64 – CD audio - 19,90 euro
BOOKS
(Dominant 7th Tree of Scale Choices). Molto interessante è il tre-
dicesimo brano che, cambiando una tonalità per ogni chorus suo-
nato, permette di sviluppare tutte le possibilità armoniche in una
singola traccia. I blues in tonalità minore costituiscono una del-
le progressioni armoniche più utilizzate della storia del jazz, da
Benny Goodman a Jimmy Smith, da Kenny Burrell a John Coltra-
a cura di
ne, e il loro studio è naturalmente imprescindibile per ogni serio
Eugenio Mirti studioso. Uno strumento didattico indispensabile. (EM)
Luciano Vanni
GIOVANNI PALOMBO
IMPROVVISAZIONE FINGERSTYLE
STUDI DI IMPROVVISAZIONE PER SOLA CHITARRA
FINGERPICKING.NET, 2013
Pagine 120 + Video-Rom – 25,00 euro
82
È lo stesso Giovanni Palombo a spiega-
re nell’introduzione del volume il perché
di questo metodo: «Possiamo dire che nel-
la chitarra fingerstyle l’improvvisazione è
affrontata poco e raramente… l’impressione
generale è non esista una scuola di improv-
visazione per sola chitarra fingerstyle».
MAGGIO / GIUGNO 2014 Questo approccio chitarristico prevede l’u-
JAZZ
so delle dita della mano destra in sostitu-
zione del plettro, come avviene cioè nella
chitarra classica, e permette esplorazioni armoniche più com-
plesse; per spiegare meglio, si dice che i fraseggi a plettro a note
singole sono ispirati ai sassofoni mentre i fingerstylers guarda-
no al pianoforte e alle sue ricche possibilità polifoniche, potendo
suonare più voci insieme. Il metodo di Palombo è molto ben orga-
nizzato e l’autore predilige l’immediatezza dell’esecuzione all’e-
REVIEW
laborazione teorica e ha raccolto gli esercizi in un percorso pro-
gressivo, sviluppando numerosi argomenti come sequenze di due
accordi, blues, II-V-I, e così via. Correda il libro un video-rom con
l’esecuzione di tutti gli esercizi. Un metodo brillante che colma
bene un’inspiegabile lacuna. (EM)
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BOOKS JAZZ REVIEW
GERRY MULLIGAN
GERRY MULLIGAN
ÉDITIONS ACADÉMIE ROYAL DES BEAUX-ARTS, 2014
Pagine 200
GABRIEL SOLIS
THELONIOUS MONK QUARTET WITH JOHN COLTRANE AT CARNEGIE HALL
OXFORD UNIVERSITY PRESS, 2014
Pagine 184
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RECORDS JAZZ REVIEW
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