Sei sulla pagina 1di 145

direttore luciano vanni

luciano.vanni@jazzit.it
caporedattore chiara giordano
chiara.giordano@jazzit.it
progetto grafico e impaginazione gianluca grandinetti
grafica@vannieditore.com
photo editor chiara giordano
chiara.giordano@jazzit.it
in redazione sergio pasquandrea
sergio.pasquandrea@jazzit.it
editore vanni editore srl
info@vannieditore.com
direttore responsabile enrico battisti
index
INTERVISTE Kenny Garrett 58 · Paolo Damiani 92 · Silvia Bolognesi 100·
Franco D’Andrea 106 · Claudio Filippini 114 · Lorenzo Paesani, Luca Dalpozzo,
Dario Mazzucco 124 · Rollerball (Massimiliano Sorrentini) 130 · Glauco Venier
136 · SAGGIO Paco de Lucia 74 · FOCUS Raffaele Casarano 103 Max De Aloe e
pubblicità arianna guerin
arianna.guerin@vannieditore.com
Marcella Carboni 110 Paolo Fresu 118 Ibrahim Maalouf 122 Ivo Perelman 128 Sonata
distribuzione marta pangrazi
ordini@vannieditore.com Islands 134 Kenny Wheeler 140 · RUBRICHE Jazz Anatomy 86 Records 98 Books 142
abbonamenti marta pangrazi
abbonamenti@vannieditore.com
sito web chiara giordano
chiara.giordano@jazzit.it
hanno scritto in questo numero
paolo angeli, antonino di vita , eugenio mirti, sergio
pasquandrea , roberto paviglianiti, roberto spadoni,

18
luciano vanni

Da Londra: stuart nicholson


(tradotto da sergio pasquandrea)
hanno fotografato in questo numero COVER STORY
andrea boccalini, roberto cifarelli, glauco comoretto, niko
giovanni coniglio, daniela crevena , riccardo crimi, paolo
galletta , mariagrazia giove, fabrizio giammarco/c jam shots,

CERRI
monica leggio, roberto polillo, emanuele vergari, carlo verri

crediti fotografici
L’editore ha fatto il possibile per rintracciare gli aventi
diritto ai crediti fotografici non specificati e resta a
disposizione per qualsiasi chiarimento in merito
Franco
foto di copertina
© Emanuele Vergari

stampa
d’auria printing spa , Ascoli Piceno

Iscrizione al tribunale di Terni n. 1/2000


del 25 febbraio 2000
Una vita in jazz
redazione
via Villa Glori, 3/a - 05100 Collescipoli (TR)
tel 0744.817579 fax 0744.801252
servizio abbonamenti
Per abbonarsi a jazzit versare 60 euro (6 numeri annui
+ 6 cd) o 40 euro (6 numeri annui) sul c/c bancoposta
n. 94412897 intestato a Vanni Editore Srl, via Villa Glori, 3/a
- 05100 Collescipoli (TR), oppure collegarsi al sito
www.jazzit.it per pagare con carta di credito.
Per informazioni: abbonamenti@vannieditore.com
servizio arretrati
Per ricevere gli arretrati di jazzit collegarsi al sito
www.jazzit.it per pagare con carta di credito o specificare
numero, bimestre e anno di uscita delle copie desiderate
scrivendo ad abbonamenti@vannieditore.com.
Ciascuna copia arretrata di jazzit costa 10 euro senza cd
e 14 euro con cd. La somma dell’ordine dovrà essere
versata sul c/c bancoposta n. 94412897 intestato a Vanni
Editore Srl, via Villa Glori, 3/a - 05100 Collescipoli (TR)
66
CD STORY
jazzit è distribuito da
(Milano)
joo distribuzione
tel 02.8375671 fax 02.5811232
Giovanni Mazzarino
(circuito Feltrinelli) Riccardo Fioravanti
Stefano Bagnoli

Trio
vanni editore distribuzione (Terni)
tel 0744.817579 fax 0744.801252
(jazz club, scuole di musica, negozi di dischi, librerie)
reds distribuzione (Roma)
tel 06.39372955 fax 06.39762130
(edicole)
Songs
58
Garrett
74
de Lucia
92

Damiani
100

Bolognesi
130

Venier
e
editoriale
L’esperienza Jazzit
La verità è che non basta più editare un buon giornale per condividere la nostra passione per il
jazz ed è per questo motivo che Jazzit non è più solo e soltanto una rivista da leggere in edizione
cartacea (in estate avremo pronta l’edizione digitale per smartphone e tablet) ma un magazine da
ascoltare (webradio), vedere (web tv), vivere (Jazzit Club e Jazzit Fest) e, perché no, degustare
(preparatevi a una linea di birra, caffè e vino firmata Jazzit e realizzata in collaborazione a
produttori enogastronomici artigianali d’eccellenza). Un’esperienza, ecco cosa stiamo diventando,
e non poteva essere altrimenti vista la rapidità con cui stanno cambiando le nostre abitudini
di lettura e di vita. E quindi, mantenendo intatta la nostra tradizionale vocazione editoriale
(questo bimestrale rappresenta per certi versi “il vinile” dell’editoria, un prodotto da collezione e
stampato con eccellenza tipografica), abbiamo intrapreso un cammino di trasformazione perché
vogliamo che Jazzit sia eternamente vitale, militante e appassionato, come tutti coloro che amano
il jazz!

Jazzit Fest - Italian Jazz Expo


E quale migliore occasione di “viverci” se non il Jazzit Fest - Italian Jazz Expo, un meeting
del jazz italiano che anche quest’anno sarà organizzato nel piccolo borgo medievale umbro di
Collescipoli, sede della nostra redazione. Sarà una gran bella festa della musica, che ha meritato
il patrocinio UNESCO (concesso dalla Commissione Nazionale). Prodotto a impatto zero e
senza contributi pubblici, il Jazzit Fest - Italian Jazz Expo ospiterà sessanta showcase con
trecentocinquanta musicisti e poi ancora workshop, conferenze, seminari, videoproiezioni e
mostre d’arte.
Save the date: 27, 28 e 29 giugno! La vostra partecipazione è di fondamentale importanza così
come un vostro sostegno economico tramite crowdfunding cui potrete accedere tramite il sito
www.jazzitfest.it.

Jazzit Stuff
Dedicare la nostra cover story a Franco Cerri significa rendere omaggio a un monumento del jazz
italiano, cui va riconosciuto il merito di aver promosso il jazz nel nostro paese; la sua grazia, i suoi
sorrisi, la sua eleganza, la sua fantasia, la sua testimonianza artistica, la sua musica e la sua vita
rappresentano un patrimonio culturale che torna a manifestarsi in occasione di una nuova pro-
duzione discografica.

PS_Dedico questo numero alla mia nuova e splendida nipotina, Caterina: ben arrivata in questo
mondo e che tu abbia una vita bella, dinamica, libera, felice e giusta.
PS_Ne approfitto per salutare due grandi amici e professionisti che hanno reso sempre più bella
questa rivista, ovvero Elena Chiocchia ed Emanuele Serra, rispettivamente photo editor e grafico:
due compagni di avventura che hanno condiviso con noi nottate in bianco, lunghe discussioni at-
torno a ogni singola pagina, gioie e amarezze. E saluto, e ringrazio, Gianluca Grandinetti, che da
questo numero curerà la grafica e l’impaginazione di questo progetto editoriale: you’re welcome!

Luciano Vanni
COVER STORY

CERRI
Una vita in jazz
Franco

Chi ha ascoltato suonare Franco Cerri, può farsi un'idea di come


parla: a bassa voce, lentamente, con frasi attentamente ponderate,
ma illuminate da improvvisi lampi di ironia.
A ottantotto anni, con una carriera alle spalle che ha pochi eguali al
mondo, il chitarrista mantiene intatto quello che è il tratto principale
della sua personalità: una profonda, quasi inverosimile modestia.
«La ringrazio», così saluta al termine dell'intervista, «e... mi scusi
se non sono stato all'altezza». E ciò che in altri potrebbe essere
affettazione o civetteria, in lui suona assolutamente sincero e
naturale. Fare la lista delle collaborazioni di Cerri significherebbe
redigere un who's who del jazz degli ultimi cinquanta o sessant'anni.
Ci sono tutti: da Django Reinhardt a Chet Baker, da Billie Holiday
a Barney Kessel, da Gerry Mulligan a Lee Konitz. Per non parlare
degli italiani: Gorni Kramer, Armando Trovajoli, Flavio Ambrosetti,
Nunzio Rotondo, Gianni Basso, Enrico Intra, fino ai giovani delle
ultime generazioni, spesso scoperti e lanciati proprio da lui. È uscito
da poco l'ultimo disco di Franco Cerri, intitolato “Barber Shop”
(Abeat, 2014), in quartetto con Dado Moroni al pianoforte, Riccardo
Fioravanti al contrabbasso e Stefano Bagnoli alla batteria. Un'ottima
occasione per celebrare uno dei maestri del nostro jazz.

DI SERGIO PASQUANDREA
© PAOLO GALLETTA
COVER STORY FRANCO CERRI

01
GLI ESORDI
IL JAZZ A MILANO
E L'URLO
DELLA TIGRE
I PRIMI CONTATTI DI FRANCO CERRI CON LA MUSICA AVVENGONO
NELLA MILANO DEGLI ANNI QUARANTA: PRIMA LA “MUSICA SINCOPATA”
TRASMESSA DALLA RADIO, POI LA PRIMA CHITARRA, RICEVUTA IN DONO
A DICIASSETTE ANNI. È L'ITALIA DEL FASCISMO E DELLA GUERRA, E FARE
JAZZ È SPESSO UNA VERA E PROPRIA AVVENTURA

DI SERGIO PASQUANDREA

ERAVAMO POVERI
Via Francesco Nava, oggi, è una qualunque strada del centro di Milano. Una traver-
sa del trafficatissimo Viale Zara, nei pressi della circonvallazione interna. Il 29 gen-
naio 1926, al numero 18 di via Nava, nasceva Franco Cerri.
La famiglia era tutt'altro che benestante. Il padre, Mario, è rimasto mutilato grave-
mente in un incidente sotto le armi, perdendo l'uso della mano sinistra e di tre dita
della destra; porta a casa un magro stipendio da impiegato presso un'agenzia di assi-
curazioni, con il quale devono tirare avanti anche la moglie, Rosa, e il fratello mag-
giore di Franco, Sergio, nato due anni prima di lui. Quella in cui cresce Cerri è una
Milano umile, popolare, fatta di oratori e di case di ringhiera.
«Eravamo poveri ma vivevamo in modo sereno», ha ricordato il chitarrista nel libro
Franco Cerri. In punta di dita (Sigma, 2006) di Vittorio Franchini. «Non ho mai sen-
tito litigare i miei genitori e mia madre faceva il possibile perché il povero stipendio
durasse fino alla fine del mese. E non c'era vergogna, l'ultima settimana del mese,
nel chiedere a una vicina due uova, qualcosa che poi sarebbe stata restituita puntual-
mente. C'era una grande solidarietà fra quella gente. Tutti poveri ma che grande di-
gnità e che capacità di affrontare i problemi della vita con coraggio».

20
SESTETTO ALLEGRO RONCORONI, 1944
Il giovane Franco Cerri è ritratto con la
chitarra a fianco al fratello Sergio

21
COVER STORY FRANCO CERRI

Uno dei primi brani che Cerri ricorda di aver ascoltato si intitolava L’urlo
della tigre: si tratta in realtà del celeberrimo Tiger Rag, il cui titolo, come
d’uso all’epoca, era mascherato per aggirare la censura

L'URLO DELLA TIGRE


I primi contatti con la musica avvengono nel coro della chiesa, dove canta insieme al
fratello Sergio. Ma le finanze della famiglia non permettono di prendere lezioni di
musica. Finita la terza media, nel 1940, Franco decide di lasciare la scuola e viene as-
sunto nell’impresa edile gestita da un parente: dieci lire al giorno per caricare e sca-
ricare sacchi di malta e costruire cancellate in cemento (il ferro, all’epoca, serviva
alla patria, per fabbricare cannoni). Per lui è un modo per aiutare le finanze familiari.
Dopo qualche mese, trova un impiego migliore, come ascensorista presso la sede del-
le industrie chimiche Montecatini, un posto che gli permette, perlomeno, di lavorare
al chiuso («Fare il muratore era durissimo, un freddo insopportabile. Almeno lì sta-
vo al caldo»). Riesce anche a fare un po’ di carriera: prima addetto all’ascensore per-
sonale del capoufficio, poi fattorino, quindi impiegato all’ufficio brevetti. La madre
sogna di vederlo promosso a “fattorino di fiducia”, quello al quale sono affidati i do-
cumenti riservati e le grosse somme di denaro. Ma qualcosa sta maturando in quel
giovanotto magro e allampanato: l’amore per la musica. In quegli anni, la radio è in
ogni casa, e da lì cominciano a uscire suoni sconosciuti. Non è ancora il jazz, ufficial-
mente proibito dal regime fascista, ma piuttosto quella che all’epoca si chiamava “mu-
sica sincopata”: canzoni, sostanzialmente, ma che spesso contenevano robuste dosi
di ritmi americani. Le orchestre erano quelle di Alberto Rabagliati, Cinico Angelini,
Pippo Barzizza, Gorni Kramer, Natalino Otto. Uno dei primi brani che Cerri ricorda
di aver ascoltato si intitolava L’urlo della tigre: si tratta in realtà del celeberrimo Ti-
ger Rag, il cui titolo, come d’uso all’epoca, era mascherato per aggirare la censura. Lo
eseguiva l’orchestra Angelini, e c’era anche un assolo di chitarra, che replicava quel-
lo (di trombone) del disco originale. Il chitarrista era Michele “Mike” Ortuso (1908-
1981), un pugliese di Monte Sant’Angelo (FG), che a soli tre anni era emigrato in Ame-
rica con la famiglia, aveva suonato con la Dixieland Jazz Band di Nick LaRocca e poi
era tornato in Italia, dove era stato tra i primi pionieri del jazz.

IN FAMIGLIA
Dall'alto: Franco Cerri (secondo
da destra) con la mamma Rosa,
il fratello Sergio e il papà Mario
(1930); Franco Cerri con il fratello
Sergio (1945); Franco Cerri (primo a
destra) con il papà Mario, la mamma
Rosa, il fratello Sergio e la sorella
Rita (1948)
PIPPO BARZIZZA

22
© ROBERTO POLILLO

DUKE ELLINGTON

SIGNORE SOFISTICATE E TRISTEZZE DI SAN LUIGI


Le origini del jazz in Italia
Il fascismo, così come più tardi il nazismo, dei brani americani, ai quali vengono cam- lavoro di scavo storico e musicologico, Maz-
proibiva il jazz. Almeno ufficialmente. La poli- biati semplicemente i titoli: e così Sophisti- zoletti ha rivelato un panorama di incredibile
tica ufficiale del regime era che quella musica cated Lady diventa La signora sofisticata, Ho- ricchezza: dai primi, timidi esperimenti, ne-
americana (anzi, “demoplutogiudeomassoni- neysuckle Rose si trasforma in Il pepe sulle gli anni subito successivi alla grande guerra,
ca”, secondo lo slogan dell'epoca), “negroi- rose, Stompin' At The Savoy in Savoiardi, e fino alle orchestre degli anni Trenta, per ar-
de”, degenerata, non fosse degna di essere così via (è passato tristemente alla storia il rivare a coloro che, a guerra finita, poterono
ascoltata dalle orecchie italiche. caso di St. Louis Blues tradotto come Le tri- finalmente uscire allo scoperto e dare inizio
In realtà, i ritmi americani arrivavano lo stes- stezze di San Luigi). all'avventura del jazz italiano. I volumi sono
so, più o meno di nascosto. Gli emigrati in Questo panorama, a lungo dimenticato, è sta- arricchiti anche da un'enorme mole di ma-
America tornavano spesso portando con sé to riportato alla luce dalle pazienti ricerche teriale documentario.
gli ultimi dischi a 78 giri, i musicisti che la- di Adriano Mazzoletti, che le ha riassunte nei Quei dischi sono rimasti a lungo dimenticati
voravano sui transatlantici della rotta Geno- tre monumentali volumi di Il jazz in Italia: il e introvabili. Molti sono stati ripubblicati in
va-New York avevano l'occasione di confron- primo, Dalle origini alle grandi orchestre, è anni recenti dall'etichetta Riviera Jazz, e tra
tarsi in prima persona con i grandi. E così, uscito per EDT nel 2004, il secondo e il ter- essi anche parecchie delle prime incisioni di
nella musica leggera italiana di quegli anni, zo, Dallo swing agli anni Sessanta, sempre un giovanissimo Franco Cerri, che si esibiva
cominciano a farsi strada ritmi di fox-trot e per lo stesso editore nel 2010. Attingendo in gruppi a nome di Gorni Kramer, Giampie-
fraseggi sincopati. A volte, si tratta proprio sia ai propri archivi privati, sia a un certosino ro Boneschi e Armando Trovajoli.

23
COVER STORY FRANCO CERRI

I dischi ascoltati a casa di Boneschi rappresentano per Cerri il primo


incontro con il vero jazz. Tra quelli che più lo colpiscono, c'è Jack The Bell
Boy di Lionel Hampton, reintitolato Giovannino il campanaro

© ROBERTO POLILLO

GIAMPIERO
LIONEL HAMPTON BONESCHI
Il jazz come professione
Nato a Milano il 31 gennaio 1927, Giam-
COME SI CHIAMA QUEST'ACCORDO?
piero Boneschi fu tra i primi pianisti ita-
Dopo un po', Franco si fa coraggio e chiede ai genitori in regalo una chitarra. La pri-
liani a dedicarsi al jazz come professio-
ma costa settantanove lire, ma il padre mette subito le cose in chiaro: soldi per le le-
nista. Il suo trio con Claudio Gambarelli
zioni non ce ne sono, lo strumento l'ha voluto, quindi ora impari a suonarlo, da solo. alla batteria e Franco Mojoli al clarinetto
Insomma, si arrangi. È il 1943, Cerri ha diciassette anni. In suo soccorso interviene un era tra le principali attrazioni di Radio-
ex-compagno di scuola, di nome Giampiero “Peo” Boneschi, che suona il pianoforte e tevere. Dopo la guerra, ebbe il suo pri-
gli dà le prime dritte su come suonare lo strumento. «Tutto è cominciato verso la fine mo ingaggio importante con l'orchestra
della guerra», ricordava Cerri in un'intervista di qualche anno fa al nostro giornale di Gorni Kramer, di cui fu per anni l'ar-
(L'importanza di essere Franco. Franco Cerri, ottant'anni di swing, Jazzit n. 34, mag- rangiatore. Alcune delle sue prime incisio-
gio-giugno 2006). «Giampiero Boneschi era un pianista, aveva un giradischi e qual- ni da leader, realizzate nel 1945, si pos-
che disco di jazz. Io gli ho detto che suonavo la chitarra e così abbiamo cominciato a sono ascoltare nel disco “Jazz In Italy In
vederci a casa sua per ascoltare i dischi. Poi, quando avevo imparato qualcosa, andavo The 40s” (Riviera Jazz, 2000).
da lui e gli chiedevo: “Ma come si chiama quando metti questa nota qui e quest'altra Boneschi ha lavorato a lungo in televisio-
qua?”. E lui mi rispondeva: “Re minore settima”. E io: “E perché settima?”, e così via. ne, scrivendo le sigle di programmi come
A me sembrava di scoprire il mondo. E un po' alla volta cercavo di capire quali note Lascia o raddoppia? e Scherzi a parte.
potevano andare bene e dove. È così che ho imparato». I dischi ascoltati a casa di Bo- Sua anche la colonna sonora del cartone
neschi rappresentano per Cerri il primo incontro con il vero jazz. Tra quelli che più animato West and Soda (1968) di Bruno
Bozzetto. Negli anni Sessanta fu direttore
lo colpiscono, c'è Jack The Bell Boy di Lionel Hampton, reintitolato Giovannino il cam-
artistico della Ricordi e collaborò con can-
panaro. Nel frattempo, Franco ha perso il posto alla Montecatini: l'Italia è in guerra e
tanti come Luigi Tenco, Ornella Vanoni,
le aziende licenziano spesso i dipendenti più giovani, quando raggiungono l'età per la
Fabrizio De André, Umberto Bindi, Gior-
chiamata alle armi. Facendo di necessità virtù, comincia a usare la chitarra per gua- gio Gaber, Enzo Jannacci, Gino Paoli. Si
dagnarsi da vivere: suona nei locali, nelle feste da ballo, negli spettacoli di varietà, in- è occupato inoltre di elettronica e infor-
somma dovunque si possa guadagnare qualche spicciolo. Nel 1944, finisce addirittu- matica ed è stato tra i pionieri nella spe-
ra a lavorare per Radiotevere, un'emittente che faceva propaganda fascista contro il rimentazione dei sintetizzatori.
governo Badoglio. «Non sapevamo che i fascisti si servivano di noi per fare propagan-
da occulta. A noi bastava suonare», ha raccontato Cerri a Vittorio Franchini. «Certo
eravamo un po' incoscienti ma, tutto sommato, magari in modo inconsapevole, face-
vamo anche noi una sorta di contropropaganda: il jazz era una bandiera di libertà».

24
MILANO, DUOMO

RADIOTEVERE
La “voce di Roma libera” (da Milano)
Dopo l'8 settembre 1943, l'Italia è spezzata In questo contesto, si situa la nascita di Ra- Radiotevere trasmetteva notizie fintamente
in due. Al Sud, liberato dalle truppe ameri- diotevere, un'emittente che fingeva di tra- oggettive, sketch comici e tanta musica jazz.
cane, si costituisce il governo libero, guida- smettere clandestinamente dalla capitale e L'emittente rimase attiva per tutto il 1944 e
to dal Maresciallo Badoglio, mentre il Cen- si presentava come “la voce di Roma libe- fino ai primi del 1945, per chiudere i batten-
tro-Nord cade nelle mani dei tedeschi e dei ra”, ma che in realtà aveva sede a Milano, ti dopo la Liberazione, il 25 aprile di quel-
“repubblichini”. in una scuola elementare di via Ripamonti. lo stesso anno.

25
COVER STORY FRANCO CERRI

02
KRAMER, DJANGO,
CHET E GLI ALTRI
INCONTRI
ECCELLENTI
NEL 1945 ARRIVA UN INCONTRO FONDAMENTALE NELLA VITA DI CERRI:
QUELLO CON GORNI KRAMER, CHE LO ASSUME NELLA SUA ORCHESTRA E
LO LANCIA SUI PALCOSCENICI PIÙ IMPORTANTI. È SOLO IL PRIMO DI UNA
SERIE DI INCONTRI, CHE LO VEDRANNO AL FIANCO DI TUTTI I GRANDI DEL
JAZZ EUROPEO E AMERICANO

DI SERGIO PASQUANDREA

STASERA ARRIVA KRAMER


Alla fine di aprile del 1945, arrivano a Milano i soldati americani della Terza Armata,
portando con sé dollari, sigarette, cioccolata, ma anche qualcosa che a molti fa anco-
ra più gola: i V-Disc, 78 giri in formato-maxi da 30 centimetri, dove si possono ascol-
tare nomi come Duke Ellington, Armstrong, Nat King Cole, Bing Crosby, Benny Go-
odman, Count Basie. Una vera e propria manna per i giovani musicisti appassionati
di jazz, costretti dal Fascismo a un lungo digiuno.
Con la fine della guerra, riprende anche la vita sociale e, di conseguenza, aumenta-
no le opportunità di lavoro per chi, come Cerri, si guadagna da vivere con la musica.
Una sera, il direttore dell'orchestrina in cui suonano Cerri e Boneschi arriva con una
notizia sensazionale: quella sera, verrà ad ascoltarli Gorni Kramer. Incredulità ge-
nerale, ma la promessa è mantenuta: il maestro si presenta, portando con sé la fisar-
monica. Si avvicina ai musicisti e chiede chi di loro fosse in grado di suonare qualche
canzone americana. L'unico a farsi timidamente avanti è proprio Cerri. Eseguono
qualche standard insieme, alla fine Kramer gli fa i complimenti e se ne va.
Per il giovane Cerri, sarebbe già abbastanza. Quando torna a casa, racconta tutto ai
genitori, che reagiscono con un certo scetticismo («Di' minga stupidat!», gli rispon-
de la madre). Del resto, l'atteggiamento è comprensibile, se si pensa che, all'epoca,
Gorni Kramer era già una star, la cui orchestra si esibiva regolarmente alla radio ac-
compagnando i più celebri cantanti. Senonché, qualche settimana dopo, mentre Cer-
ri chiacchiera con gli amici nella Galleria del Corso, si presenta proprio Kramer. Con
sua somma incredulità, il maestro non solo lo riconosce e lo saluta, ma lo invita a pro-
vare con il suo nuovo gruppo: appuntamento per il giorno dopo, senza troppi conve-
nevoli. Stavolta Franco si premunisce e invita anche i genitori ad assistere alle pro-
ve; ci sono anche il Quartetto Cetra e Natalino Otto («El me Franco, cun Kramer!»,
commenta mamma Rosa, incredula e commossa).
È l'inizio della sua carriera professionale: Cerri rimarrà al fianco di Kramer per anni
e sarà proprio lui a lanciarlo sulla grande scena.

GORNI KRAMER E CHET BAKER

26
27
COVER STORY FRANCO CERRI

© WILLIAM GOTTLIEB / LIBRARY OF CONGRESS


V-DISC
Musica per gli americani al fronte
La V in “V-Disc” sta per “Victory”, perché
quei dischi dovevano servire a tirar su il mo-
rale delle truppe al fronte. Vennero prodotti in
parte dal governo americano, in parte da va-
rie case discografiche, fra il 1943 e il 1949.
Adottarono un nuovo formato da 12 pollici
DUKE ELLINGTON
(circa trenta centimetri), che consentiva di
ospitare su ogni facciata fino a sei minuti e
mezzo di musica, invece dei tre-tre e mezzo
di un normale 78 giri.
© WILLIAM GOTTLIEB / LIBRARY OF CONGRESS

© WILLIAM GOTTLIEB / LIBRARY OF CONGRESS

Sui V-Disc non era inciso solo jazz, e sicura-


mente non vi compariva la musica più spe-
rimentale e impegnata (come ad esempio il
nascente be bop), ma quei dischi furono fon-
damentali per far conoscere agli europei la
musica americana dell'epoca. In totale, furo-
no prodotti oltre novecento titoli, per un nu-
mero complessivo di oltre duemilasettecento
brani, incisi a titolo del tutto gratuito da mu-
sicisti come Duke Ellington, Louis Armstrong,
Glenn Miller, Benny Goodman, Frank Sina-
tra, Billie Holiday, Artie Shaw, Tommy Dor-
sey e infiniti altri.
LOUIS ARMSTRONG FRANK SINATRA

LA “PALETTA”
Il lavoro con Kramer è una scuola fondamentale per il giovane Cerri, che è auto-
didatta e ha ancora molto da imparare. Il maestro vuole spronare quel giovanotto,
che secondo lui «ha la paletta» (ossia l'orecchio, il talento naturale) e si diverte a sfi-
darlo in tutti i modi.
«Kramer mi metteva alla prova direttamente in pubblico», ha raccontato Cerri a
Pierluigi Sassetti nel recente libro-intervista Sarò Franco (Arcana Jazz, 2013). «Lui
attaccava con dei brani che non conoscevo, e io non sapevo che fare. Lui lo capiva,
e probabilmente si divertiva anche […]. Ma la cosa non finiva lì, perché lui cambia-
va tonalità da un momento all'altro, e io lo dovevo inseguire più che seguire. Lo fa-
ceva apposta. Quando poi ci capitava di suonare due volte in una giornata, mi dice-
vo che in fondo era andata bene al primo spettacolo e che probabilmente avremmo
fatto lo stesso repertorio nel secondo, e invece Kramer cambiava ancora, e io ero
nuovamente nei guai».
Cerri presenta a Gorni Kramer anche l'amico Giampiero Boneschi. Il rapporto co-
mincia male, con un comico qui pro quo: Kramer aveva l'erre moscia ed era molto
suscettibile al riguardo. Casualmente, Boneschi aveva lo stesso difetto di pronun-
cia. La prima volta che i due si sentono al telefono, Kramer crede di essere preso in
giro e abbassa la cornetta. Sarà Cerri a chiarire l'equivoco, e Boneschi inizierà una
lunga collaborazione con il fisarmonicista, di cui sarà per anni l'arrangiatore.

28
«Io sono completamente autodidatta. Mi sono inventato tutto. Quando ci
ripenso, mi chiedo sempre se ero matto, perché ho cominciato davvero
senza sapere niente»

HO FATTO UN SOGNO
In questo periodo Cerri, che finora ha avuto un rapporto problematico con lo spar-
tito, impara finalmente a leggere e scrivere la musica. Anche questo avviene in ma-
niera autonoma, sebbene l'ispirazione sia quantomeno bizzarra.
«Ho sempre odiato l'idea di studiare, di fare il solfeggio. Poi, una notte, ho fatto un
sogno: avevo davanti a me una partitura che non sapevo leggere, ma c'era scritto un
brano che già conoscevo e suonavo. Allora mi sono svegliato e ho capito che quello
poteva essere un modo per imparare. Non ho appreso la musica sugli spartiti, come
fanno tutti, ma ho fatto un po' il contrario: prendevo gli spartiti dei brani e ci ragio-
navo su. Mi rendevo conto che quella era una terzina, quell'altra una pausa. E così,
piano piano, ho imparato a leggere e scrivere le note».
«Io sono completamente autodidatta. Mi sono inventato tutto. Quando ci ripenso,
mi chiedo sempre se ero matto, perché ho cominciato davvero senza sapere nien-
GORNI KRAMER
te. Ora conosco molte cose, ma ce ne sono milioni che non so, e sono quelle che Una fisarmonica tra jazz e
mi pesano di più. Forse, studiando, avrei capito qualcosa in più. Ma sono conten- canzone
to di essere riuscito a fare quel che ho fatto. Sono stato fortunato, e mi sono anche Gorni Kramer si chiamava in realtà
divertito». Francesco Kramer (di nome) Gorni (di
cognome). Lo strano nome gli era stato
assegnato dal padre in onore del cicli-
© CARLO VERRI

sta statunitense Frank Kramer, cam-


pione del mondo su pista nel 1912.
Nacque a Rivarolo Mantovano nel 1913.
Il padre era un musicista e lo fece
esibire fin da bambino con la sua or-
chestra. Kramer iniziò con la fisarmo-
nica e in seguito si diplomò in con-
trabbasso. Negli anni Trenta, fu tra i
primi musicisti italiani a dedicarsi al
jazz, ma si affermò anche come autore
di canzoni quali Crapa pelada (1936,
con testo di Tata Giacobetti), porta-
ta al successo da Alberto Rabaglia-
ti, e Pippo non lo sa (1939), uno dei
cavalli di battaglia del Trio Lescano.
Nel dopoguerra, lavorò con Natalino
Otto (Ho un sassolino nella scarpa)
e con il Quartetto Cetra (In un palco
della scala). Durante la sua vita, de-
positò alla Siae un totale di oltre mil-
leduecento brani.
Dagli anni Cinquanta, conobbe un
grande successo anche come autore
di commedie musicali, scritte perlo-
più con il celebre duo Pietro Garinei-
Franco Giovannini (Attanasio cavallo
vanesio, Tobia candida spia, Alvaro
piuttosto corsaro), e come personag-
gio televisivo (sua la sigla del Musi-
chiere di Mario Riva, la celebre Do-
menica è sempre domenica).
Morì a Milano il 26 ottobre 1995.

29
COVER STORY FRANCO CERRI

NATALINO OTTO E
GIORGIO CONSOLINI

LA CLASSE
DEGLI ASINI,
OVVERO:
“Dove si trovano i
Pirenei?”
C'è un disco di Natalino Otto
che si chiama “La classe de-
gli asini”, in cui il cantante è
accompagnato dall'orchestra
di Gorni Kramer. Subito dopo
il primo ritornello introdutti-
FRANCO CERRI, 1946
vo, Otto esordisce con un bra-
Da sinistra: Gorni Kramer, Franco Cerri, Quartetto Cetra
no parlato: «Gentili signove e
signovi», scandisce affettando
un'erre moscia. «Vi pvesentiam
la classe degli asini, di cui fa
pavte l'orchestva Kvamèv con
i suoi solisti. Cominciamo con
COMPRATI LA “PASTIGLIA”... l'intevvogare il più intelligen-
te. Tu, Franco Cevvi, sai divmi
In questo periodo, Cerri si imbarca in una tournée con Gorni Kramer e il Quartet-
dove si tvovano i Pivenei?». E
to Cetra, che li porta lungo le strade di un'Italia ancora sconvolta dalla guerra. Le Cerri, di rimando, con una vo-
condizioni di lavoro sono incredibili, tra viaggi sul retro di camion militari, stra- cina chioccia: «I Pirenei... I Pi-
de dissestate e incidenti con le pattuglie dell'esercito americano, ma per il giovane renei si trovano... se si cerca-
Franco quel viaggio, che lo porta fino al Sud, con tappe a Roma e a Napoli, è anche no, ma se non si cercano no!».
un'insostituibile fonte di insegnamento. Una delle avventure più comiche avviene a Un «ooooh!» collettivo dell'or-
chestra dà il via alla canzone
Napoli, dove Franco vede, per la prima volta nella sua vita, un amplificatore, che si
vera e propria.
poteva collegare alla chitarra usando una “pastiglia”, ossia un rudimentale pick-up. Come Cerri ha rivelato a Vitto-
Entusiasta, compra tutta l'attrezzatura per novemila lire (una bella somma, all'epo- rio Franchini, lo sketch fu total-
ca, tanto che dovette farsela prestare da Kramer), salvo vedersela sequestrare su- mente improvvisato in studio:
bito dopo dalla polizia militare, con l'accusa di contrabbando. In seguito, scoprirà «Un momento prima di comin-
che si trattava di un bidone: la “Military Police” era in combutta con il proprietario ciare l'incisione Kramer, rivol-
gendosi a Franco, aveva detto:
dell'amplificatore, per spartirsi i guadagni dell'affare. “Attento che a un certo punto
Il lavoro con Kramer comincia a far conoscere Cerri nell'ambiente del jazz milane- ti alzi, ti avvicini al microfono
se. Non sempre – anzi, quasi mai – può suonare jazz, perché gli ingaggi sono per- di Natalino, lui ti dice qualco-
lopiù per serate da ballo, in cui si eseguono le canzoni alla moda, ma nell'orchestra sa e tu rispondi con una bat-
ci sono pur sempre Kramer, i Cetra, Peo Boneschi. Cerri si esibisce anche in picco- tuta”». Dato che a quei tempi
le incisioni venivano realizza-
li numeri di cabaret, canzoni, battute. Iniziano ad arrivare i primi soldi (l'ingaggio
te direttamente sulla matrice
è di trentacinquemila lire alla settimana), con cui contribuisce all'economia fami- di cera, e quindi non era pos-
liare. Può persino portare i genitori in vacanza a Venezia, dove l'orchestra si esibi- sibile sovraincidere, si può star
sce in un teatro al Lido. sicuri che le cose siano andate
Nel 1947, si classifica terzo nel referendum dei lettori di Musica Jazz. Nel 1948, en- davvero così. L'episodio rappre-
tra nel complesso del clarinettista Franco Mojoli e accompagna Armando Trovajo- senta bene quella vena ironi-
ca, un po' surreale, che spes-
li in alcune incisioni discografiche.
so affiora sotto la personalità
quieta e poco appariscente di
Franco Cerri.

30
«Quando conobbi Django, mi resi conto che anche lui non sapeva leggere e
scrivere la musica, e anzi era quasi completamente analfabeta. Però era lo stesso
un grande: in tutto quello che faceva, si basava solo sul suo orecchio»

TI VA DI SUONARE CON DJANGO?


Una mattina del 1949, Cerri riceve una telefonata da un impresario. C'è a Milano un
musicista francese, uno famoso, un certo Django Reinhardt. Sta cercando un chi-
tarrista, non è che lui sarebbe disponibile? Ovviamente, Cerri è disponibile, e non
tarda a presentare Django anche ai colleghi dell'orchestra Kramer. È il primo dei
tanti incontri eccellenti che costelleranno la sua carriera. «Quando conobbi Djan-
go, mi resi conto che anche lui non sapeva leggere e scrivere la musica, e anzi era
quasi completamente analfabeta. Però era lo stesso un grande: in tutto quello che
faceva, si basava solo sul suo orecchio. E allora mi sono detto che se lui riusciva a
fare quelle cose senza aver mai letto uno spartito, forse anch'io avrei potuto riu-
scirci. Frequentando lui e tutti gli altri grandi che ho conosciuto, cercavo sempre
di captare qualcosa, di ispirarmi: ma senza copiarlo, perché copiare è una cosa che
mi ha dato sempre fastidio». FRANCO CERRI E DJANGO REINHARDT
Cerri viene ingaggiato nel quintetto di Reinhardt, con Stéphane Grappelli al
violino; sostituisce Joseph, fratello di Django, che di solito era il secondo chi-
tarrista del gruppo. La band avrebbe dovuto suonare al Club Astoria di Mila-

© WILLIAM GOTTLIEB / LIBRARY OF CONGRESS


no per due mesi, ma l'ingaggio dura solo quindici giorni, a causa – incredibile
a dirsi – dello scarso interesse del pubblico per quella musica («Dicevano che
il jazz disturbava»). Sono comunque giorni preziosi, che permettono a Cerri di
confrontarsi direttamente con lo stile e la tecnica del grande chitarrista ziga-
no: «Confesso che a quell'epoca la cosa che mi colpi di più di Django fu la velo-
cità», racconta Cerri nel libro di Pierluigi Sassetti, «ma quando seppi che non
suonava con tutte le dita la cosa mi stravolse ancora di più. […] A un certo punto
lo vidi andare giù per la tastiera con una scala cromatica fatta con un solo dito,
l'indice. Oggi c'è YouTube, si fa presto a capire, ma ai miei tempi, quando ti ca-
pitava di vedere una cosa rara come quella, non te la dimenticavi più e rimane-
vi inevitabilmente spiazzato, confuso. Il suo era un suono pulito, preciso, lumi-
noso, vivo, che mi ha letteralmente spaventato. Mi chiedevo: “Ma come si fa a
fare una roba simile?”». DJANGO REINHARDT

FRANCO CERRI RACCONTA (1)


In studio con Kramer

«La prima volta in studio di registrazio- segno quando c'è lo stop”. Ed Enrico mi
ne è stata pazzesca. Ero con Kramer, e rispondeva: “Ma figurati, sono già pre-
io non sapevo ancora leggere la musica. occupato io, pensa se mi metto a fare
Ma Kramer mi diceva: “Va benissimo lo dei segni a te!”. Una grana, veramente.
stesso, tanto tu hai la paletta ”. “Sì, la Andando avanti Kramer ha cominciato a
paletta”, pensavo tra me e me, “ma qui farmi fare dei soli e mi diceva: “Suona
ci sono gli stop, e come è scritto uno bene, eh, perché altrimenti sono peda-
stop?”. Allora chiedevo al batterista, En- te nel culo!”. È stato un periodo molto
rico Cuomo, uno bravo che ha suonato complesso...».
con Kramer per lungo tempo: “Fammi un (da Pierluigi Sassetti, cit., pag. 61)

31
COVER STORY FRANCO CERRI

«Anche con Chet Baker, che ho frequentato per tre anni, suonavo soprattutto il
basso. Negli anni, ho fatto qualche progresso, ma poi ho capito che lo strumento
andava studiato. E siccome non ho mai studiato gran che neanche la chitarra, ho
pensato che era meglio concentrarmi su un solo strumento»

GERRY AL PIANOFORTE, FRANCO AL CONTRABBASSO


Nel 1951 conosce quella che sarà la sua prima moglie, Ingeborg. Il matrimonio dure-
rà solo cinque anni, ma genererà Stefano, primogenito di Cerri, che in seguito si de-
dicherà anch'egli alla carriera musicale.
Nel 1952, arriva il primo gruppo a suo nome, con Vittorio Paltrinieri al pianofor-
te, Sandro Bagalini al sax, Alberto Pizzigoni al contrabbasso e Rodolfo Bonetto alla
batteria. Una sera il contrabbassista non può arrivare al lavoro e Franco, senza mai
aver messo mano allo strumento, prova a suonarlo e scopre di saperlo fare. Negli
anni successivi, tornerà spesso a praticarlo, sempre da autodidatta, per poi abban-
donarlo («Quando ho capito come andava suonato sul serio, ho lasciato perdere!»,
commenta con la sua solita modestia).
È un peccato, perché il Cerri contrabbassista era un musicista davvero di prim'or-
dine, apprezzato anche da molti musicisti americani: «Poteva capitare», ricorda lui GERRY MULLIGAN E FRANCO CERRI
stesso «che Gerry Mulligan, di passaggio a Milano, mi chiedesse se mi andava di
suonare. Allora si andava a mangiare insieme in qualche ristorante, poi lasciavamo
le nostre mogli a chiacchierare, lui si sedeva al pianoforte (era anche un grande pia-
nista) e si metteva su una jam-session, con me al contrabbasso. Ci siamo divertiti.
Anche con Chet Baker, che ho frequentato per tre anni, suonavo soprattutto il bas-
so. Negli anni, ho fatto qualche progresso, ma poi ho capito che lo strumento anda-
va studiato. E siccome non ho mai studiato gran che neanche la chitarra, ho pensato
che era meglio concentrarmi su un solo strumento. Ogni tanto lo riprendo in mano,
perché è lo strumento che mi è rimasto più caro dentro».

CHET BAKER E FRANCO CERRI

FRANCO CERRI RACCONTA (2)


Una sera, dopo lo spettacolo...
«Una sera avevamo finito il lavoro, la gen- ancora famoso, ma già si parlava di lui
te se n'era andata, ma a un tavolo era an- come di un genio del pianoforte. In un'al-
cora seduto un signore che aveva chiama- tra occasione, a un tavolo avevamo ricono-
to un cameriere indicandoci. Il cameriere sciuto Evita Peron. Per farle un omaggio io
era venuto da noi, dicendo: “Quel cliente e Chiusano (Felice Chiusano, componente
chiede se non potete fermarvi ancora un del Quartetto Cetra, NdR) ci eravamo avvi-
po' per fare una jam-session”. La richie- cinati offrendole una canzone napoletana.
sta ci aveva stupiti. Di solito ci chiedeva- Lei aveva ascoltato sorridendo; poi aveva
no una certa canzone, non un'improvvisa- fatto cenno a un suo accompagnatore, il
zione jazzistica. Comunque avevamo detto quale, con molta discrezione, aveva infilato
sì, che avremmo suonato per lui. Avevamo nel taschino della giacca di Chiusano una
scoperto che quel signore era Arturo Be- banconota da cento dollari: un capitale».
ARTURO BENEDETTI MICHELANGELI
nedetti Michelangeli, il pianista. Non era (da Vittorio Franchini, cit., pag. 65)

32
FRANCO E STEFANO CERRI

STEFANO CERRI
Gone too soon
Figlio maggiore di Franco, Stefano Cer- la celebre Extraterrestre, aperta proprio polifoniche. Insieme al padre, registra
ri nasce a Milano il 22 settembre 1958. dalle note del suo basso). nel 1993 il disco “Cerri & Cerri” (Dire,
Esordisce a soli otto anni, quando, nel Nel 1979 lascia l'Italia per trasferirsi a 1994). Collabora inoltre con musicisti
1960, compare accanto al padre nel va- Londra, dove l'anno successivo è ingag- come Sante Palumbo, Mario Rusca, En-
rietà televisivo Un, due, tre, condotto giato come bassista negli Animation, il rico Intra e Guido Manusardi.
da Vianello e Tognazzi, suonando l'uku- nuovo gruppo dell'ex-cantante degli Yes, Nel 2000, Stefano Cerri scompare pre-
lele. Come il padre, si avvicina alla mu- Jon Anderson, che segue anche in un maturamente, a soli quarantotto anni.
sica da autodidatta, prima come chitar- tour americano. Tornato in Italia, lavo- «Stefano mi è stato portato via da un
rista e poi come bassista, lavorando in ra a lungo come session-man, al fian- tumore ai polmoni», ricorda Franco Cer-
ambito pop e rock. Nel 1974, a soli se- co di artisti come Alice, Fiorella Man- ri. «Gli diagnosticarono la malattia e in
dici anni, affianca Franco Cerri nel di- noia, Pino Daniele, Fabrizio De André, pochi mesi se ne andò. Ma il periodo
sco “From Cathetus To Cicero” (Malobbia Franco Battiato. In seguito, inizia a inte- in cui suonavo con lui è uno dei ricordi
Records) e appare in diverse trasmissio- ressarsi sempre più attivamente al jazz, più belli della mia vita. Suonare con un
ni da lui condotte. Fra le esperienze più fondando i gruppi Chandé (dedicato alla figlio, che ho tenuto in braccio da pic-
importanti, il gruppo progressive Crisali- musica etnica) e Linea C (di ambito fu- colo, che ho cresciuto, averlo accanto a
de, con il quale accompagna il cantauto- sion). Sviluppa, sul basso, una tecnica me, sul palco, in tanti concerti, è stata
re Eugenio Finardi (ad esempio nel disco particolare, di origine chitarristica, che una grande gioia. Non eravamo padre e
“Blitz”, Cramps, 1978, che comprende gli permette di ottenere accordi e linee figlio: eravamo due fratelli».

33
COVER STORY FRANCO CERRI

03
JAZZ? NON SOLO
I MILLE VOLTI DI
FRANCO CERRI
CON JIM HALL

GLI ANNI CINQUANTA E SESSANTA SONO QUELLI IN CUI IL NOME DI


FRANCO CERRI SI ISCRIVE TRA QUELLI CHE CONTANO. MA IL SUO
CAMPO D'AZIONE NON SI LIMITA AL JAZZ, BENSÌ COMPRENDE ANCHE
LA CANZONE, LA TELEVISIONE, IL VARIETÀ, PERSINO LA PUBBLICITÀ

DI SERGIO PASQUANDREA

IL SUCCESSO INTERNAZIONALE
Gli anni Cinquanta segnano, per Franco Cerri, l'inizio del successo nazionale e in-
ternazionale. Dopo il primo disco, un 78 giri RCA-Victor intitolato “Franco Cerri e la
CON STÉPHANE GRAPPELLI
sua orchestra” (1950), la produzione discografica prosegue, continua e copiosa. Fra gli
italiani, suona con Gianni Basso e Oscar Valdambrini, Renato Sellani, Gianni Cazzo-
la, Dino Piana, Gil Cuppini, Berto e Franco Pisano, Umberto Cesàri, Giulio Libano,
Glauco Masetti; fra gli europei, ci sono il violinista Stéphane Grappelli, il sassofonista
svizzero-italiano Flavio Ambrosetti, il baritonista Lars Gullin, il trombettista Dusko
Gojkovic, i pianisti Martial Solal e George Gruntz, il chitarrista René Thomas («uno
dei più grandi musicisti con cui abbia mai suonato, un vero poeta, peccato che sia mor-
to così giovane, a causa della droga»), i batteristi Daniel Humair e Pierre Favre, l'armo-
nicista Toots Thielemans. E poi, ovviamente, i tanti americani di passaggio in Italia,
che apprezzano il suo stile solido e affidabile: Lee Konitz, Gerry Mulligan, Tony Scott,
Chet Baker, Barney Kessel, Dizzy Gillespie, Ray Brown, Buddy Collette, Milt Jackson,
Percy Heath, Phil Woods (e l'elenco potrebbe andare avanti molto a lungo).
In questi anni, il suo modo di suonare matura, sganciandosi dai suoi primi modelli, an- CON DIZZY GILLESPIE
cora legati allo swing, e aggiornandosi con le ultime tendenze del jazz americano. L'ar-
ticolazione delle frasi, asciutta e nervosa, è ora di chiara marca be bop; il suono si fa più
rotondo e morbido, grazie alla lezione di maestri come Jim Hall e Barney Kessel. Ciò
che rimane invariato, invece, è il suo senso melodico, l'amore per la chiarezza e la con-
cisione espressiva, quel modo di suonare che Vittorio Franchini ha efficacemente de-
finito «in punta di dita».
Nel 1956, durante una tournée in Svizzera, Cerri conosce Marion, con cui inizierà una
relazione destinata a durare fino a oggi, ma che potrà diventare matrimonio solo nel
1973, quando in Italia sarà approvata la legge sul divorzio. Da questa unione nascerà nel
1962 Nicola, che oggi lavora nell'ambito della pubblicità.
CON BARNEY KESSEL

34
© CARLO VERRI

35
COVER STORY FRANCO CERRI

© WILLIAM GOTTLIEB / LIBRARY OF CONGRESS


Negli anni Settanta, Cerri comincia a frequentare lo
Studio 7, gestito da Tito Fontana, un industriale con la
passione per la musica, che organizza jam-session e si
esibisce egli stesso come chitarrista

STUDIO 7
L'attività di Franco Cerri, dagli anni Sessanta in poi, è troppo abbondante
per essere anche soltanto riassunta. È ormai un artista pienamente afferma-
to e diventa anche un grande scopritore di talenti: musicisti come Dado Mo-
roni, Gianluigi Trovesi, Tullio De Piscopo devono a lui le prime occasioni di
farsi notare. Oltre alle tante tournée italiane ed europee, nel 1966 debutta in IL GIORNO CHE
America, al celebre Lincoln Center. Dagli anni Ottanta, Cerri inizia un lungo
sodalizio discografico con Enrico Intra, con il quale ha inciso in diversi for-
FISCHIARONO
mati, dal duo al quartetto, oltre alle collaborazioni con la Civica Jazz Band. BILLIE
L'unico peccato è che solo pochi dei dischi da lui incisi in questi anni siano Teatro Smeraldo, novembre 1958
stati rieditati in cd: molti di essi sono ormai rarità introvabili, destinate solo
Lo Smeraldo era un teatro di Milano, spe-
ai collezionisti. Fanno eccezione alcuni titoli come “From Cathetus To Cice- cializzato in avanspettacolo. Vi si esibiva-
ro” (1974), ripubblicato nel 2004, o “Metti una sera Cerri” (1973), incluso nel no comici, ballerine, fantasisti, cantanti.
2004 in “Ieri & Oggi” (GMG Music). Altri brani si possono trovare in cd an- Il 3 novembre 1958 apparve sul palco-
tologici come “Passavo di qui” (uscito come allegato a Musica Jazz, maggio scenico del teatro Smeraldo una cantante
2012) o “In punta di dita” (accluso all'omonimo libro di Vittorio Franchini del di colore, accompagnata da un pianista
anch'egli nero. Cominciò a cantare con
2006, già più volte citato).
una voce lacerata, ridotta a un filo, den-
Negli anni Settanta, Cerri comincia a frequentare lo Studio 7, gestito da Tito sa di dolore. Era Billie Holiday ma quel
Fontana, un industriale (era titolare della ditta di borse e valigie Valextra) pubblico non la conosceva e la fischiò
con la passione per la musica, che organizza jam-session e si esibisce egli stes- ferocemente. Dopo quattro o cinque bra-
so come chitarrista. Grazie a lui, prende forma la Dire Records, etichetta di- ni, fu costretta ad abbandonare il palco.
Per fortuna, fra gli appassionati di jazz
scografica che rimarrà attiva fino agli anni Novanta, registrando molti dei
milanesi si sparse la voce che la Holi-
migliori nomi del jazz italiano (fra i tanti, Renato Sellani, Flavio Ambroset- day era in città. Furono contattati i mi-
ti, Maurizio Lama, Enrico Intra, Guido Manusardi, Giorgio Azzolini, Clau- gliori musicisti disponibili, per organiz-
dio Fasoli, Franco D'Andrea, oltre ovviamente allo stesso Cerri). Più tardi, in zare uno spettacolo degno di lei. Il 9
quegli stessi locali avranno sede i Civici Corsi di Jazz, fondati da Cerri insie- novembre Billie cantò sul palco del tea-
me a Enrico Intra. tro Gerolamo (un luogo deputato in ge-
nere agli spettacoli di marionette per i
bambini) per due concerti, uno pome-
ridiano e uno serale, che fecero il tut-
to esaurito. Ad accompagnarla c'erano
Mal Waldron, il batterista Gene Victory
(il cui nome è scritto “Gin” sugli inviti
dell'epoca), il quintetto di Basso e Val-
dambrini e Franco Cerri, che per l'occa-
sione suonava anche il contrabbasso. La
stessa sera, la cantante si esibì anche
alla Taverna Messicana, il più noto loca-
le jazz della città, accompagnata da En-
rico Intra, Gianni Basso, Oscar Valdam-
brini, Giorgio Azzolini e Gianni Cazzola.
Poi ripartì per l'America, dove sarebbe
morta pochi mesi dopo.
«Ho suonato con tanti jazzisti famosi»,
ricorda Cerri in In punta di dita, «al loro
fianco mi sentivo sempre piccolo picco-
lo, mi sembravano sempre bravissimi,
ma nessuno di loro mi ha emozionato
come l'esperienza con Billie, una cosa
fugace, un solo concerto, ma alla fine di
quel concerto l'abbraccio con lei, la stra-
STUDIO 7 ordinaria Billie, beh è stato un momento
davvero eccezionale».

36
© EMANUELE VERGARI
FRANCO CERRI
RACCONTA (3)
Sellani e il quarto a scopa
«Avevo chiamato Renato Sellani. Lo avevo co-
nosciuto a Roma, mi era piaciuto quel suo
modo poetico di suonare. Vieni a Milano, gli
avevo detto, c'è lavoro. E lui subito con entu-
siasmo, vengo, vengo, arrivo, arrivo, ma non
arrivava mai. Finché un giorno gli ho dato un
ultimatum, se non vieni subito, gli ho detto,
devo cercare un altro pianista. Ma lui: Fran-
co, io sarei già partito, sai che mi piace suo-
nare con te, vengo, ma sono in imbarazzo con
i miei qui a Roma, se io parto rimangono sen-
za il quarto a scopa».
(da Vittorio Franchini, cit., p. 18)

37
COVER STORY FRANCO CERRI

Negli anni Sessanta e Settanta, non è raro vedere Franco Cerri partecipare
a show televisivi, dove suona con Mina, Bruno Martino, Renato Carosone,
Nicola Arigliano, Johnny Dorelli, Bruno Lauzi

TEATRO, TELEVISIONE, COMMEDIA


L'attività di Franco Cerri non si limita al jazz, ma ha spaziato spesso e volentieri nei
territori della musica leggera, del varietà, della commedia musicale. Fin dai tempi del-
le esibizioni con Kramer, a fine anni Quaranta, era normale che i musicisti si esibisse-
ro in siparietti umoristici; quando, negli anni Cinquanta, il fisarmonicista si affermò
come autore di musical, la chitarra di Cerri si trovò ad accompagnare quelle musiche.
Nel 1954, il cantante ha addirittura avuto un'esperienza come attore e ballerino, lavo-
rando con Renato Rascel nella commedia Tobia candida spia, nella parte di un soldato
americano che suona un boogie-woogie. È di Cerri anche la chitarra che accompagna,
con uno swingante turnaround, la voce del comico romano nel celebre sketch del “pic-
CON NICOLA ARIGLIANO
colo corazziere” («Mamma ti ricordi quando ero piccoletto, / Che me ce voleva la sca-
letta p'annà a letto? / Ora son cresciuto, madre mia, potrai vedere: / Figurati che fac-
cio il corazziere!»).
Vista la sua simpatia e presenza scenica, gli viene affidata la conduzione di program-
mi divulgativi sulla musica e sul jazz (Di jazz in jazz, Jazz primo amore, Il jazz in Italia,
Il jazz in Europa, Chitarra e fagotto, Fine serata con Franco Cerri), durante i quali si esi-
bisce spesso con gli ospiti in studio. Negli anni Sessanta e Settanta, non è raro veder-
lo partecipare a show televisivi, dove suona con Mina, Bruno Martino, Renato Caro-
sone, Nicola Arigliano, Johnny Dorelli, Bruno Lauzi. Scrive egli stesso canzoni per il
Quartetto Cetra (Mister Jackson), Bruno Martino (Se mi vuoi, Stazione Termini) e Ni-
cola Arigliano (La riconoscerei tra mille, Passavo di qui). Molti di quei filmati sono oggi
disponibili su YouTube e permettono di apprezzare la sua ironia garbata e la sua inna-
ta eleganza.
CON CATERINA VALENTE E MINA

CON MINA

FRANCO CERRI RACCONTA (4)


Pastasciutta con George Benson
«I musicisti con cui ho suonato sono così A un certo punto, mia moglie arrivò con
tanti... Ricordo una jam session a casa una gran pentola di pastasciutta per tut-
mia, una sera di fine anni Sessanta, con ti. Ancora l'estate scorsa, a Roma, sono
Jim Hall e George Benson. Suonammo andato a un concerto di George Benson
fino alle sei del mattino. Le chitarre era- e sono passato in camerino a salutarlo.
no senza amplificazione, per non sveglia- Appena mi ha visto, mi ha subito grida-
re i vicini. È uno dei miei ricordi più cari. to: «Franco! Pastasciutta, pastasciutta!».

38
CON GIORGIO GABER

JAZZ AL DERBY
Milano by night
Negli anni Sessanta, Milano conosce
un vivace sviluppo della scena musi-
cale, che ne fanno la capitale del di-
vertimento e della vita notturna. Uno
dei locali più celebri è il Derby, dove si
possono incontrare artisti come Char-
les Aznavour, Cochi e Renato, Enzo
Jannacci, Giorgio Gaber, I Gufi, Bruno
Lauzi, Lino Toffolo, Walter Valdi, Pao-
lo Villaggio. Più tardi, vi esordiranno
Diego Abatantuono (nipote dei gesto-
ri del locale), Giobbe Covatta, Giorgio
Faletti, Umberto Smaila, Giorgio Falet-
ti, Paolo Rossi, Teo Teocoli, Francesco
FRANCO CERRI, L'UOMO IN AMMOLLO Salvi. Per anni, fino alla sua chiusura
Tutti gli appassionati di jazz conoscono Franco Cerri per il grande musicista che è. Ma nel 1985, il locale fu anche il ritrovo
anche chi non ascolta jazz – e ha, magari, più di una quarantina d'anni – ricorderà il della Milano più aperta e bohemienne.
suo volto e la sua voce in una celebre pubblicità del Bio Presto, quella nota come “l'uo- Pochi sanno che il Derby era inizial-
mo in ammollo”, che andò in onda dal 1968 fino ai primi anni Ottanta, con lo slogan mente un ristorante e si chiamava “Go-
Go”. L'idea di trasformarlo in un locale
«Non esiste sporco impossibile!».
destinato alla musica e lo spettaco-
Tutto nacque per puro caso: Cerri era in studio d'incisione per registrare dei jingle lo nasce nel 1962, grazie al pianista
pubblicitari e fu notato da alcuni funzionari della società che stavano preparando la e compositore Enrico Intra. Il nome
campagna per il noto detersivo. La sua faccia piacque e fu preferita persino a volti più originale è Intra's Derby Club, ispira-
noti, come quelli di Lando Buzzanca, Gastone Moschin, Peter Sellers e Alec Guinness. to dalla vicinanza all'Ippodromo. Cerri,
In punta di dita di Vittorio Franchini riporta uno stralcio dalla relazione dell'agenzia stretto collaboratore di Intra, si esibi-
va spesso nel locale, fondendo il suo
pubblicitaria Lintas, la quale concludeva che «[Cerri] è percepito innanzi tutto come
jazz con la miglior canzone d'autore.
simpatico e ciò avviene senza mezzi termini, la percezione soggettiva di simpatia è
inoltre, nella maggior parte dei soggetti, motivata da particolari inferenze sulla sua
personalità obbiettiva. Franco Cerri, in effetti, sembra risvegliare una spontanea sim-
patia di tipo pseudo materno, quel tipo di sentimento cioè che fa dire a una donna di un
uomo, magari più vecchio di lei e verso il quale ha rapporti che non sono necessaria-
mente materni, che è un simpatico bambinone».

39
COVER STORY FRANCO CERRI

04
FRANCO CERRI
OGGI
A OTTANTOTTO ANNI, FRANCO CERRI NON È POI MOLTO DIVERSO DA
QUEL RAGAZZINO CHE, NEI PRIMI ANNI QUARANTA, SI APPASSIONAVA
AI DISCHI DI LIONEL HAMPTON E DI DJANGO REINHARDT: HA
CONSERVATO LO STESSO ENTUSIASMO, LA STESSA PASSIONE E LA
STESSA INCONFONDIBILE IRONIA

DI SERGIO PASQUANDREA

MI È ANDATA BENE
«Quando, nel 1943, mio padre mi regalò la mia prima chitarra, non c'erano
metodi per imparare il jazz. C'erano, sì, dei grandi libroni in cui studiavano
quelli che potevano permettersi di farlo, ma io non ci capivo nulla. Se ci ripenso,
mi dico che mi è andata bene. Devo ringraziare i miei genitori, che mi hanno
fatto nascere con un po' d'orecchio per la musica. Suonare gli accordi giusti,
mettere il basso dove doveva stare, leggere lo spartito, scrivere arrangiamenti,
sono tutte cose che mi sono inventato da solo. Sono stato fortunato».
Nonostante questi inizi (o, forse, proprio a causa di essi), Franco Cerri è sempre
stato un appassionato didatta. Va ricordato perlomeno il suo pionieristico Corso
di chitarra, scritto con Mario Gangi, pubblicato per la prima volta da Fabbri
nel 1974 e più volte ristampato. Negli anni, si sono aggiunti altri volumi, come
Chitarra jazz – Approcci, Sviluppi, Esperienze (con Paolo Cattaneo e Giovanni
Monteforte, Ricordi 1993), Un suo modo di dire (Curci, 1979), Poliedrico (Curci,
1999) e Franco Cerri (con Antonio Ongarello, Carisch 2008).

40
41
© PAOLO GALLETTA
COVER STORY FRANCO CERRI

© ROBERTO CIFARELLI
ENRICO INTRA E FRANCO CERRI

MUSICA OGGI

© ROBERTO CIFARELLI
Da oltre venticinque anni, Cerri è attivamente impegnato con l'Associazione Musi-
ca Oggi, fondata nel 1986 insieme all'amico e collega Enrico Intra, a Franco Fayenz
e a Luca Cerchiari, con lo scopo di diffondere e favorire la musica jazz attraverso
seminari, corsi, concerti, lezioni e incontri. Nel 1987 sono nati i Civici Corsi di Jazz,
che ancor oggi dirige insieme a Intra e al musicologo Maurizio Franco.
Si tratta di una delle esperienze più solide nella didattica del jazz in Italia. I cor-
si, che recentemente sono stati equiparati a quelli universitari, sono organizzati in
un triennio di base, seguito da un biennio di specializzazione e possono vantare
un corpo docente composto da artisti di chiara fama: oltre a Cerri (che cura i labo-
ratori di musica d'insieme) e Intra (direttore della big band), figurano nomi come
MAURIZIO FRANCO
Riccardo Bianchi, Franco D'Andrea, Giulio Visibelli, Claudio Fasoli, Fabio Jegher,
Mario Rusca, Emilio Soana, Paolo Tomelleri, Tony Arco, Marco Vaggi; Maurizio
Franco cura i corsi di estetica del jazz e storia della musica. La scuola incentiva
anche la formazione di gruppi formati da allievi e docenti; la sua big band stabile,
chiamata Civica Jazz Band, collabora spesso con nomi italiani e internazionali e ha
un ricco curriculum di produzioni discografiche.
«Mi sembra importante sottolineare una cosa», ci raccontava Cerri nell'intervista
del 2006. «Lo sviluppo che il jazz ha avuto in Italia deve molto a queste scuole di
musica, che non sono state procurate dal “Palazzo”, ma da noi musicisti, attraverso
i nostri sforzi. Il “Palazzo” è intervenuto solo dopo, quando ha visto che le cose fun-
zionavano. […] La scuola è diventata come una grande famiglia, dove i ragazzi ven-
gono anche quando non hanno lezione, dove nascono amicizie e persino amori... è
una cosa di una dolcezza incredibile».

42
«Sono arrivato a ottantotto anni e, finché dura, io sono contento.
Considero la musica una medicina. Quando si fa un mestiere che piace, il
lavoro stesso è un modo per sostenersi, per riuscire ad andare avanti»

ASPETTO IL GIORNO DOPO

© ROBERTO CIFARELLI
Non sono molti i jazzisti che possono vantarsi di essere stati nominati Commendatori
della Repubblica, com'è successo a Cerri nel 2006, in concomitanza con i festeggiamenti
per i suoi ottant'anni. Sempre in quell'occasione, la città di Milano gli ha conferito l'Am-
brogino d'Oro, il riconoscimento che la città riserva ai suoi figli più illustri. Il 29 genna-
io 2006, tremila spettatori hanno assistito a un concerto celebrativo, in cui molti dei col-
leghi di Cerri si sono riuniti per festeggiarlo («Io piangevo come un bambino», ricordava
poco dopo quell'evento, «mi dicevo: no, non è possibile. […] Una cosa talmente bella, tal-
mente più grande di me, che ancora mi ci sveglio la notte e mi chiedo: Madonna, ma che
cosa è successo?»). Nel 2013, gli spettatori del festival di Sanremo l'hanno potuto vede-
re sul palco dell'Ariston, impegnato ad accompagnare Simona Molinari e Peter Cincotti.
Ma il chitarrista non ha alcuna intenzione di andare in pensione o di sedere sugli allori.
«Quando il concerto finisce», dichiara nel libro di Pierluigi Sassetti, «spesso mi doman-
do: “Ma avrò suonato bene?”. Poi, ripensando alle risposte affettuose della gente, sento di
aver comunicato qualcosa, e tutto ciò vale di più di un assolo tecnicamente ineccepibile.
Per me, “suonare bene” è qualcosa di molto vicino a un atto d'amore».
«Sono arrivato a ottantotto anni», riflette, in chiusura della nostra intervista, «e, finché
dura, io sono contento. Considero la musica una medicina. Quando si fa un mestiere che
piace, il lavoro stesso è un modo per sostenersi, per riuscire ad andare avanti. Io ho potu-
to suonare con tanti grandi, ho fatto quel che mi piaceva. Ciò che è stato è stato. Ora non
sono in attesa di andarmene, ma del giorno dopo».

I CIVICI CORSI DI
© ROBERTO CIFARELLI

JAZZ
Un'avventura lunga ventisette anni
«L'Associazione Musica oggi è stata costitu-
ita nel 1986: si tratta di una struttura nata
per lavorare su più fronti, tuttora punto di par-
tenza di diverse iniziative. Nel 1987 c'è sta-
ta la fondazione dei Civici Corsi di Jazz, di
cui divido, con Maurizio Franco, la direzione
e la programmazione didattica; tra l'altro con
grande soddisfazione: quest'anno i nostri cor-
si sono stati equiparati a quelli universitari e
ai conservatori. Inoltre da più di cinque lustri
la nostra associazione, di cui Franco Cerri è
il presidente onorario, cura il programma per
il Piccolo Teatro di Milano - Teatro d'Europa e
una rassegna internazionale, Orchestra senza
Confini, che ha ospitato centinaia di musici-
sti. L'attività didattica della scuola è rappre-
sentata dai saggi pubblici dei nostri studenti,
che si svolgono in Piazza Mercanti a Milano,
nei pressi di Piazza Duomo. L'incontro è inti-
tolato Break in Jazz e si svolge all'ora di pran-
zo, dalle 13 alle 14. Con Franco ho condiviso
questa stupenda, irripetibile avventura orga-
nizzativa e musicale, che continua con pas-
sione ed entusiasmo anche oggi».
ENRICO INTRA E LA CIVICA JAZZ BAND (Enrico Intra)

43
COVER STORY FRANCO CERRI

© PAOLO GALLETTA

I GIOVANI E IL JAZZ, OGGI


«Insegno nei Civici Corsi di Jazz da più non lavoreranno mai. E questo è grave. ma tutto finisce lì. La musica è com-
di venticinque anni. Molti dei ragazzi che Spesso sento ragazzi che accettano di pletamente tagliata fuori. Invece, dare
abbiamo formato hanno fatto una bel- fare una serata e ciò che guadagnano ai ragazzi, nelle scuole, la possibilità di
la carriera e hanno anche suonato con basta a malapena per prendere un taxi ascoltare la musica, di capirla, di viver-
me e con gli altri docenti. Il mio par t- e tornare a casa. Io non ho mai chiesto la, potrebbe creare un pubblico diverso.
ner fisso, og gi, è Alber to Gurrisi, un ra- grandi cifre per suonare, ma ho potuto Ci sono pochissime eccezioni. Un gio -
gazzo che è stato allievo della scuola e vivere abbastanza tranquillamente. Oggi, vane bravissimo come Stefano Bollani è
che suona, oltre al pianofor te, anche i giovani non hanno più questa possibi- riuscito a farsi strada, a por tare persi-
l'organo Hammond. Suoniamo insieme, lità. Vivere con il jazz è difficilissimo». no il jazz in televisione. Lui è un gran-
quando c'è qualche possibilità di lavo - «Ci sono due cose che mi hanno sempre de musicista, ma è stato anche for tuna-
ro, ma il problema è che il periodo at- infastidito della scuola italiana: manca to perché è riuscito a farsi apprezzare
tuale è di grande crisi e il lavoro è po - l'educazione musicale, e manca l'edu- e sta facendo una bellissima carriera.
chissimo. La prima cosa che si taglia cazione sessuale. Due mancanze terri- Ma per i giovani, in generale, è dav vero
è sempre l'ar te. I giovani che studiano bili. Il pubblico non è educato, non rie - difficile, e lo dico io che faccio questo
con noi sono seri, bravissimi e si impe- sce a comprendere l'ar te in profondità. mestiere ormai da settant'anni». (Fran-
gnano con passione, pur sapendo che In T V si vede molto calcio, molti seni, co Cerri)

44
«Certe cose sembrano stupidate: una battuta, un doppio senso. Però sono
convinto che ne abbiamo bisogno: non bisogna mai dimenticarsi che nella
vita, nonostante tante cose brutte, bisogna sempre continuare a sorridere»

FRANCO CERRI/PIERLUIGI SASSETTI

SARÒ FRANCO
ARCANA JAZZ, 2013

Pagine 186 – 17,50 euro


© RICCARDO CRIMI

Due fotografie di Franco Cerri ci guar-


dano sulla copertina di Sarò Franco. Da-
vanti, c'è il Cerri di oggi: magro, elegante,
con in mano il fodero della fedele chitar-
ra, sorride guardando l'obiettivo con gli
occhi leggermente socchiusi, con il pu-
dore e l'affabilità che sempre lo contrad-
distinguono. Sul retro, c'è un Cerri a ma-
lapena adolescente, ugualmente magro
ed elegante, che imbraccia una chitarra;
FRANCO CERRI E L'IRONIA l'espressione è la stessa, forse solo leg-
«Io devo sempre dire una scemenza, sennò non son contento. Anche durante le le- germente più incerta e timida. Fra queste
due foto è racchiuso il percorso che Sarò
zioni, quando magari i ragazzi sono impegnati a leggere un arrangiamento diffi- Franco racconta. In realtà, “raccontare”
cile, e procediamo lentamente, due battute per volta, mi scappa sempre una battu- è un termine impreciso, perché le pagi-
ne di questo libro non sono, né voglio-
ta. Serve a sdrammatizzare, a rendere tutto più leggero. Anche sul palco, la battuta no essere, una biografia di Franco Cer-
aiuta molto a rompere il ghiaccio con il pubblico. Ormai gli amici mi conoscono e ri. Piuttosto, i centotrentatré capitoletti
che lo compongono (brevi, a volte bre-
spesso, di punto in bianco, mi chiedono: “Dai, Franco, dimmi qualcosa di diver- vissimi) mettono in fila, in ordine rigoro-
tente”, e capita che a me, proprio in quel momento lì, non venga in mente niente da samente sparso, ricordi, aneddoti, a vol-
te veri e propri fulminanti aforismi (uno
dire!». fra tanti: «L'accompagnatore non esiste.
Scorrendo la discografia di Cerri, ci si imbatte facilmente nel suo gusto per i calem- È un modo diverso di essere protagoni-
sta»). Insomma, l'impressione è quella di
bour, le freddure e i giochi di parole. I brani da lui composti portano titoli come L'a- poter cogliere i frammenti di una conver-
raba felice, Andante con yogurt, Ciò nonostante sono un assiduo bagnante, La sorella sazione privata, recitati dalla voce stessa
di Cerri, con la sua onestà, il suo candore
del figlio unico, Tom And Cerri, Tristossa, Si fa fa re la mi do (ossia, “si fa fare l'ami- e la sua inconfondibile ironia. E, in effet-
do”), Lady Stinta (da leggere come “la distinta”), Miss Iva, Il grillo del morbillo, Mar- ti, è proprio così, come confessa lo stes-
so Cerri: «Pierluigi Sassetti è un amico.
mo molle, Lei non sa chi suono io. Un tema dedicato al grande compositore Franco Un giorno mi ha detto che voleva venire
Donatoni è intitolato S.O.S., che sta per “Schietto” (Franco) “Offre” (Dona) “Suo- a Milano per parlarmi. Poi mi ha chiesto
di raccontare la mia vita e ha registra-
ni” (Toni). Tra i suoi dischi, ci sono “Querce, Platani e Cerri”, “In punta di Cerri”, to tutto. È venuto sei o sette volte e, un
“Metti una sera Cerri”, “Cerrimedioatutto”, “E venia da' campi che di cerri sentia”. annetto dopo, mi ha rivelato di volerne
trarre un libro. Mi è piaciuto perché non
«Certe cose sembrano stupidate: una battuta, un doppio senso», spiega il chitarri- è un romanzo: sono momenti della mia
sta. «Però sono convinto che ne abbiamo bisogno: non bisogna mai dimenticarsi che vita, riflessioni, scritti così come sono ve-
nuti fuori. (SP)
nella vita, nonostante tante cose brutte, bisogna sempre continuare a sorridere».

45
COVER STORY FRANCO CERRI

05
CELEBRANDO
L'AMICIZIA
DADO MORONI
RACCONTA
“BARBER SHOP”
DADO MORONI VANTA UNA COLLABORAZIONE PLURIDECENNALE CON
FRANCO CERRI. È LUI A RACCONTARCI LA GENESI DI “BARBER SHOP”,
L'ULTIMO DISCO DEL CHITARRISTA, APPENA USCITO PER LA ABEAT, CHE
LO VEDE AFFIANCATO DA RICCARDO FIORAVANTI AL CONTRABBASSO E
STEFANO BAGNOLI ALLA BATTERIA

DI SERGIO PASQUANDREA

NOW IS THE TIME


«Conosco Franco da quasi quarant'anni e ho suonato con lui moltissime volte, ma
non avevamo mai registrato insieme prima d'ora. Nel frattempo, si era formato que-
sto quartetto con Stefano Bagnoli e Riccardo Fioravanti, con il quale ogni tanto ri-
usciamo a incontrarci. Ricordo ad esempio un concerto bellissimo al Blue Note di
Milano, qualche anno fa: anche in quell'occasione, ci siamo detti, come già aveva-
mo fatto molte altre volte, che prima o poi avremmo dovuto registrare un disco in-
sieme, perché era un peccato che dopo tanti anni non ci fosse un documento di que-
sta collaborazione. Grazie all'aiuto di Mario Caccia, il produttore dell'Abeat, siamo
riusciti a concretizzare il progetto. Abbiamo cominciato a parlarne un anno fa e,
appena siamo riusciti a trovare una data che andasse bene a tutti, abbiamo deciso
di entrare in studio e realizzarlo».
spiritual, il soul jazz, addirittura memorie classiche.

46
47
© MARIAGRAZIA GIOVE
COVER STORY FRANCO CERRI
© EMANUELE VERGARI
AMARSI, ASCOLTARSI, RISPETTARSI
«“Barber Shop” è una celebrazione dell'amicizia che ci lega, dell'amore comune
di tutti noi quattro per questa musica. Il rapporto che c'è tra musicisti è un po'
come quello di una relazione di coppia: serve affetto, complicità, ascolto e rispet-
to reciproco. Se siamo in quattro a suonare, dobbiamo aiutarci l'un l'altro: quando
uno di noi ha un assolo, gli altri devono consentirgli di esprimersi al meglio, sup-
portarlo, dargli degli spunti, senza mettergli i bastoni tra le ruote. È una relazio-
ne complessa, che deve avere come base delle passioni comuni. Tutti noi abbiamo
in comune la passione per il jazz, anche se poi ciascuno ha le sue esperienze: Ric-
cardo ha fatto anche tanto pop, che gli ha dato questo enorme senso di professio-
nalità, la capacità di piazzare la nota giusta al momento giusto, senza mai strafa-
re; Stefano è un musicista talmente poliedrico che funziona in qualunque tipo di
contesto; io ho avuto una formazione molto legata agli Stati Uniti, dove ho fatto
la mia gavetta; e Franco, alla sua giovane età, ha più esperienza di tutti noi mes-
si insieme!».

PIONIERI
«Fare musica con Franco è sempre un onore, non solo per la sua grandezza come
chitarrista, che riesce sempre a comunicare qualcosa di significativo con il suo
strumento, ma anche perché è senz'altro uno dei jazzisti più importanti a livel-
lo europeo. Basta pensare che ha suonato con Billie Holiday, Django Reinhardt,
Chet Baker, per capire che è davvero uno dei pionieri del linguaggio jazz in Eu-
ropa. E non solo: è apprezzato ovunque, anche da maestri come Jim Hall, Geor-
ge Benson o Barney Kessel. Stiamo parlando di un musicista che è un caposcuola
della chitarra, senza bisogno di specificare altro. Anche Mario Caccia non vedeva
l'ora di registrare questo disco, perché avere in catalogo un musicista come Fran-
co è un fiore all'occhiello».

UNA VECCHIA SEDIA DA BARBIERE


All'inizio, non avevamo alcuna idea circa il titolo. Per puro caso, nello studio in
cui registravamo, abbiamo trovato una vecchia sedia da barbiere, tenuta benissi-
mo, e persino una divisa da barbiere, che però entrava solo a Franco, che è così
magro. Abbiamo portato la sedia in strada, perché era un pomeriggio di maggio,
molto caldo, e quel giorno a Milano le macchine non potevano circolare. Ci siamo
piazzati in mezzo alla strada e abbiamo scattato le foto del libretto, in cui ognuno
di noi fa la barba all'altro. Era un modo per prenderci un po' in giro, e Franco, con
la sua ironia, ha colto subito la palla al balzo. Il titolo è nato da lì.
Poi, riflettendoci a posteriori, ci potrebbe essere il riferimento ai quartetti vo-
cali che si chiamavano appunto “barber shop”. Quella del disco è una musi-
ca intima, gioiosa, com'era quella dei barbershop quartets. Ma questa è una mia
interpretazione...».
COVER STORY FRANCO CERRI

UN DISCO REALIZZATO CON GIOIA


Franco Cerri su “Barber Shop”
«Dado, Riccardo e Stefano sono stati davvero eccezionali. A suona- settimane o un mese senza ascoltarlo, allora tutto ciò che sembra-
re con loro, accompagnato da loro, mi sembrava di essere in vacan- va sbagliato scompare. Dimentichiamo gli errori e accettiamo quel
za. Abbiamo vissuto la musica insieme, nella stessa maniera. Erano che abbiamo fatto. Mentre sto suonando un assolo, dentro di me
anni che continuavamo a dire di fare un disco con questo quartetto penso sempre: «Ma cretino, che cosa stai facendo?». Però intan-
e finalmente ci siamo riusciti, con grande piacere di tutti. Io sono to vado avanti lo stesso, perché ormai lo so che potrei incidere sei
convinto di una cosa: non fa mai bene riascoltare un disco subi- o sette versioni di uno stesso brano, ma alla fine sceglierò sempre
to dopo averlo registrato. Si sente tutto sbagliato, si pensa che qui la prima. “Barber Shop” è un disco realizzato con gioia e ne siamo
avresti potuto far questo, qui quell'altro... Poi, però, se si sta due tutti molto soddisfatti».

© MARIAGRAZIA GIOVE
© MARIAGRAZIA GIOVE
© PAOLO GALLETTA

50
«Ha davvero il gusto della nota che conta, e tutte le altre sa toglierle via.
Ma, soprattutto, pensa alla musica come a qualcosa che si fa insieme, in cui
nessuno deve prevaricare sugli altri. Vuol sempre tenere la chitarra più bassa
di quanto farebbe la maggior parte dei suoi colleghi»

© MARIAGRAZIA GIOVE

FRANCO CERRI

BARBER SHOP
ABEAT, 2014

Franco Cerri (ch); Dado Moroni (pf); Riccardo Fioravanti (cb); Ste-
fano Bagnoli (batt)

Bastano poche note, proprio all'inizio


di Beautiful Friendship, per rendersene
conto: quella chitarra non può che es-
sere in mano a Franco Cerri. Lo rivelano
il volume contenuto, il procedere parco,
lo swing sottile e felpato, il modo sem-
plice ed essenziale di scandire l'armonia;
COME IN UNA FUGA DI BACH e lo conferma il successivo assolo, con
Il modo di suonare di Franco riflette la sua personalità. Magari parte in sordina, quelle frasi dal profilo melodico elegan-
te, innervato da un senso ritmico tanto
quasi dal nulla, ma arriva sempre a dire quel che ha da dire. Ha davvero il gusto infallibile quanto poco esibito. La sezio-
della nota che conta, e tutte le altre sa toglierle via. Ma, soprattutto, pensa alla ne ritmica di Moroni, Fioravanti e Ba-
gnoli fa il resto, generando un senso di
musica come a qualcosa che si fa insieme, in cui nessuno deve prevaricare sugli crescente eccitazione, sempre però go-
altri. Vuol sempre tenere la chitarra più bassa di quanto farebbe la maggior par- vernato da un impeccabile aplomb. La
maggior parte del repertorio è compo-
te dei suoi colleghi. Oggi, tanti chitarristi, specialmente quelli più giovani, ten- sto da veri e propri sempreverdi, come
dono a girare il pomello e a sparare con il volume. Franco no: per lui l'importan- Body And Soul, Laura, Corcovado, But
Not For Me, con l'aggiunta di un origi-
te è fare musica, non spaccare gli amplificatori. Vede il suo strumento come una nale di Moroni (il tenero Franco's Barber
delle tante voci che dialogano in perfetta parità ed equilibrio, come in una fuga Shop) e di una perla poco conosciuta,
The Trolley Song, ripresa dal film musi-
di Bach. Proprio per questo, ciò che fa acquista ancora maggior peso: se c'è Fran- cale Meet Me In St. Louis (1944). Tutti e
co, te ne accorgi, sempre, anche se suona piano o pianissimo». tre gli accompagnatori sono musicisti di
prim'ordine, ma c'è poco da fare: tutto il
disco risente della personalità di Cerri.
UN SECONDO PADRE Anche quando la sua chitarra tace (e lo
fa spesso, per dare spazio ai partner), si
«Nelle note di copertina abbiamo voluto inserire delle piccole dediche a Franco, percepisce sempre quel senso di misu-
perché per tutti noi quattro lui è stato un secondo padre. In realtà, tutti i musicisti ra e understatement che sono la sua ci-
fra distintiva. (SP)
jazz italiani, in un certo senso, sono figli suoi. Ha sempre aiutato tutti, specialmen-
te i giovani, dei quali si è sempre circondato. È un grandissimo altruista, e questo Beautiful Friendship / Adnumasor (Rosamunda) / Laura / Slow Boat
To China / Franco's Barber Shop / Incentive / Body And Soul / But
per me è il tratto più bello della sua personalità». Not For Me / Corcovado - Você e Eu - Corcovado / The Trolley Song

51
06
TAKES ON CERRI
RICORDI E
TESTIMONIANZE
DADO MORONI VANTA UNA COLLABORAZIONE PLURIDECENNALE CON
FRANCO CERRI. È LUI A RACCONTARCI LA GENESI DI “BARBER SHOP”,
L'ULTIMO DISCO DEL CHITARRISTA, APPENA USCITO PER LA ABEAT, CHE
LO VEDE AFFIANCATO DA RICCARDO FIORAVANTI AL CONTRABBASSO E
STEFANO BAGNOLI ALLA BATTERIA

DI SERGIO PASQUANDREA

MAURIZIO FRANCO
«Ho conosciuto Franco Cerri nel 1986, al Teatro delle Erbe, grazie al chitarrista
Giovanni Monteforte, che mi ha presentato a lui e a Enrico Intra. Un incontro che
ha portato sviluppi importanti nella mia vita professionale. Da venticinque anni,
infatti, divido con Cerri e Intra l'ufficio di Musica Oggi e dei Civici Corsi di Jazz,
che è il centro motore delle nostre attività.
Dopo una frequentazione così lunga, i ricordi si sommano l'uno sull'altro e, a vol-
te, si confondono. Non posso però dimenticare quando, nei camerini della Società
Umanitaria, prima di un concerto, mi ha espresso le sue paure, sino a quel momen-
to celate a tutti, per un rigonfiamento al collo che poi si rivelò un tumore dal quale
è perfettamente e fortunatamente guarito. Il musicista Cerri riflette perfettamen-
te l'uomo Cerri. Musicalmente parlando, è un autentico stilista della chitarra, pos-
siede un linguaggio personale e riconoscibile, ma nell'esprimersi costruisce le sue
frasi con cautela, riflettendoci sopra, come fa quando parla. In fondo, è un uomo
timido, ma con una forte personalità che gli consente di essere un personaggio».

FRANCO D'ANDREA
«Franco Cerri è stato uno dei più importanti pionieri del jazz in Italia. Non ho
mai registrato con lui, ma lo conosco bene. Ho un bel ricordo di una jam session
in cui suonammo insieme What Is This Thing Called Love, nei lontani anni Ses-
santa. L'avevo comunque sentito per radio quando ero ancora un ragazzino e mi
fece una grande impressione, sia suonando la chitarra sia il contrabbasso (non
tutti sanno che aveva una formidabile cavata e uno swing come pochi). Per il re-
sto, ho sempre ammirato il suo raffinatissimo senso armonico e dinamico, oltre
al suo fraseggio di purissima matrice jazzistica. Ultima e non trascurabile quali-
tà, il fatto di essere un vero gentleman».
© RICCARDO CRIMI
COVER STORY FRANCO CERRI

© PINO NINFA

MAURIZIO FRANCO ENRICO INTRA DADO MORONI

ENRICO INTRA
«Non ricordo il primo incontro con Franco Cerri, ma quello significativo fu fine
anni Cinquanta, negli uffici del direttore artistico della Voce del Padrone, John
Lee, dove iniziò il nostro rapporto di lavoro e di collaborazione. È stato un incon-
tro fertile. Il nostro quartetto è un sodalizio che è durato più di quaranta anni,
ancora vivo, anche se ultimamente abbiamo scelto due strade musicali diverse. Il
mio lavoro con Franco dura da quasi mezzo secolo ed è fitto di soddisfazioni e an-
che di sconfitte. Ma soprattutto (che fortuna) grazie alla nostra determinata e ap-
passionata azione siamo riusciti a ottenere gratificanti successi come quello per
esempio di aver portato il jazz in televisione, dagli anni Settanta agli anni Novan-
ta, cercando di suscitare interesse attorno a questa musica. Abbiamo creato con-
corsi in cui erano coinvolte diverse città nelle sedi RAI di Milano, Torino e Vene-
zia, nelle quali si svolgevano concerti e selezioni realizzati in funzione di nuove
aperture, rivolte a giovani musicisti. È stata un'esperienza edificante ed entusia-
smante. È sempre molto difficile riassumere in due parole il carattere umano o
le caratteristiche di una persona, soprattutto dopo una lunga frequentazione. In
pratica siamo stati una "coppia”, e come succede nelle copie tradizionali, spesso,
nonostante la convivenza, non si riesce a entrare nel misterioso pianeta del pen-
siero di ognuno di noi. In tutti questi anni si è consolidata – e di questo ne sono
certo – una stima per il Cerri musicista, che considero un grande “stilista”. E na-
turalmente vorrei sottolineare quel suo tipico e rispettoso riguardo, la sua incon-
fondibile sensibilità, il suo comportamento con l'esterno e con le persone con cui
viene in contatto».

RICCARDO BIANCHI
«Ho conosciuto Franco al Teatro Verdi di Milano attorno al 1988, ma è stato un
fugace incontro da dietro le quinte. In seguito, abbiamo suonato insieme quat-
tro o cinque volte, di cui una in trio con il figlio Stefano. Franco Cerri è la per-
sona più rispettosa dell’universo. Fa fatica, o addirittura non riesce, a dire cose
che non vanno bene. Anche se ha incontrato un allievo una volta sola, appena lo
vede si alza, smette di fare qualunque cosa stia facendo, lo saluta da lontano e gli
si avvicina sorridendo. Ricordo che un giorno percorrevamo via Turati, a Mila-
no, tutti e tre sulla mia auto, per andare a un concerto e Franco mi fa: “Riccardo,
lo vedi quel grattacielo lì sulla destra?”. “Sì”, rispondo io. “Beh, lì dentro duran-
te la guerra io ci lavoravo”. “Ah sì? E cosa facevi?”. “Facevo il ragazzo dell'ascen-
sore!”. Lo disse con un divertimento e una naturalezza che mi sono rimasti im-
pressi nella memoria».

54
FRANCO D'ANDREA GIULIO VISIBELLI RICCARDO BIANCHI

GIULIO VISIBELLI
«L'incontro con Franco Cerri è coinciso con l'inizio della mia collaborazione come
docente all'interno dei Corsi Civici di Jazz e con l'attività concertistica legata alle
innumerevoli iniziative organizzate dall'Associazione Musica Oggi, specialmente
con la Civica Jazz Band. Ho anche avuto la fortuna di poter ripercorrere la sua
carriera musicale suonando con lui in un concerto in sestetto, dedicato alla sua
storia così ricca di aneddoti. Sono inoltre molto riconoscente a Franco per la
sua preziosa partecipazione a un mio recente lavoro discografico dedicato alla
rielaborazione di arie del compositore di commedie musicali Giuseppe Pietri.
La personalità di Franco è fatta di modestia, umiltà, curiosità, acume, gentilezza,
cordialità, timidezza, spirito».

DADO MORONI
«Franco mi ha tenuto a battesimo. Negli anni Settanta, aveva una trasmissione
radiofonica in cui andava in giro per i club italiani a scoprire nuovi talenti. Era il 1975
o il 1976, io avevo tredici anni. Ci incontrammo al Louisiana Jazz Club di Genova.
Lui rimase colpito dal fatto che un ragazzo – o meglio, un bambino – di quell'età
ascoltasse il jazz, invece di Lucio Battisti.
Un annetto dopo, mi invitò in televisione, dove conduceva una trasmissione simile,
insieme a Giampiero Boneschi (e a Sabina Ciuffini, la famosa valletta di Rischiatutto,
della quale a quell'epoca eravamo tutti innamorati!). In quell'occasione facemmo
anche una breve intervista e suonai con l'Orchestra della Rai di Milano, che
comprendeva il meglio dei jazzisti del Nord-Italia. Fu la mia introduzione nella
scena jazz italiana.
Nel tempo, è nata un'amicizia e una frequentazione che va avanti ormai da quasi
quarant'anni. Fu lui a presentarmi a Tito Fontana, il produttore della Dire Records,
per cui incisi i miei primi cinque dischi. Il primo, realizzato nel 1979, si intitolava
“Franco Cerri Introducing Dado Moroni Jazz Piano”, inciso insieme a Tullio De
Piscopo e Julius Farmer, che all'epoca suonavano nel suo gruppo.
Franco potrebbe sembrare, ma non lo è, una persona timida: piuttosto, è una persona
molto riservata e cortese, un vero gentleman d'altri tempi. Ma sa sempre esattamente
ciò che vuole. Inoltre, ha un grande rispetto per la privacy altrui. Ogni volta che mi
chiama, non manca mai di chiedere “Ti disturbo?”, cosa che trovo sempre molto
carina. Poi, ha anche la sua ironia: è una persona che ha vissuto la grande stagione
del cabaret milanese, era amico di personaggi come Renato Pozzetto, Cochi Ponzoni,
Enzo Jannacci. Ma è la sua stessa natura a essere portata al gioco: sa prendersi in
giro e prendere in giro gli altri, mai però in maniera pesante o volgare. È come se ti
desse un buffetto sulla guancia, un segno d'affetto»

55
COVER STORY FRANCO CERRI

07
FRANCO CERRI
DISCOGRAFIA
ESSENZIALE
1999 - 2014

Come leader o co-leader


Boneschi/Kramer/Cerri • Jazz In Italy In The 40s (Riviera Jazz, 1999)
Franco Cerri • Franco Cerri e la sua orchestra (78 giri, RCA-Victor, 1950)
Franco Cerri • Quintet (1952)
Franco Cerri • Franco Cerri suona con Franco Cerri (1952-1958)
Franco Cerri • Nel blu dipinto di blu (1952-28)
Franco Cerri • Franco Cerri e il suo complesso (1952-58)
Franco Cerri • Jazzin' With Cerri (Fox, 1958)
Franco Cerri • Franco Cerri e orchestra (1959)
Franco Cerri • And His European Jazz Stars (Columbia, 1959)
Franco Cerri • And His International Quartet (Astraphon, 1959)
Franco Cerri • Quartet (Columbia, 1960)
Franco Cerri • Quartet And Choristers (Columbia, 1960)
Franco Cerri • International Jazz Meeting (Ricordi, 1961)
AA. VV. • The European All Star Meeting (Telefunken, 1961)
Franco Cerri • Bossa Nova (Columbia, 1963)
Franco Cerri • Chitarra (Columbia, 1964)
© RICCARDO CRIMI
Franco Cerri • 12 bacchette per una chitarra (GTA Records, 1966)
Franco Cerri • La sera a casa con te (CGD Records, 1968)
Franco Cerri • Franco Cerri Jazz (Dire Records, 1970)
Franco Cerri • Metti una sera Cerri (Music LPM, 1972)
Franco Cerri • From Cathetus To Cicero (Malobbia, 1974; rist. 2004)
Franco Cerri • A Limen (Malobbia, 1975)
Franco Cerri • Querce, platani e Cerri (PDU, 1975)
Franco Cerri • Nuages (Ricordi, 1975)
Franco Cerri • Franco, Tony e Pompeo (Malobbia, 1976)
Franco Cerri • Un suo modo di dire (Dire Records, 1977)
Franco Cerri • Concert For Brunello (Col d'Orcia Jazz, ed. limitata, 1977)
Franco Cerri • Noi duero (Malobbia, 1978)
Franco Cerri • Demoiselle (Dire Records, 1979)
Franco Cerri • Introducing Dado Moroni (Dire Records, 1979)
Enrico Intra/Franco Cerri • Omaggio a Bill Evans (Dire Records, 1981)
Franco Cerri • Effetto Alfa (Paragon, 1982)
Franco Cerri • Franco Cerri Today! (Dire Records, 1984)
Franco Cerri/Enrico Entra • From Milan To Frankfurt (Dire Records, 1985)
Franco Cerri • Jazz In Italy (1990)
Franco Cerri • Di jazz in jazz (Dire Records, 1991)
Franco e Stefano Cerri • Di Cerri in Cerri (Dire Records, 1994)
Franco Cerri • A Django, en souvenir de Milan (CDPM Lion, 1995)
Franco Cerri • From Milan To Brussels (Sabena, 1997)
Franco Cerri/Gianni Basso | Jazz (Azzurra Music, 1998)
Franco Cerri • Images (1998)
Franco Cerri • Di jazz in Cerri... di Cerri in jazz (1999)
Franco Cerri • In punta di Cerri (CDPM Lion, 2000)
Franco Cerri • Ieri & oggi (GMG, 2004)
Contemporary Jazz Guitars • Four Brothers (Wide Sound, 2004)
Franco Cerri/Gianni Basso • Take The A Train (Azzurra Music, 2006)
Franco Cerri/Enrico Intra • Double Trio (Casa del Jazz, 2007)
Franco Cerri • E venia da' campi che di Cerri sentia (Red Records, 2008)
Franco Cerri • Bossa With strings (Blue Serge, 2011)
Franco Cerri • Cerrimedioatutto (antologia con brani inediti) (Map Golden, 2012)
Franco Cerri • Passavo di qui (antologia) (Musica Jazz, 2012)
Franco Cerri • Barber Shop (Abeat, 2014)

Come sideman o ospite


Gorni Kramer • Jazz In Italy In The 30s And 40s (Riviera Jazz, 1999)
Giampiero Boneschi e il suo complesso • Jazz In Italy In The 40s (Riviera Jazz, 1999)
Umberto Cesàri/Nunzio Rotondo/Armando Trovajoli • Jazz In Italy In The 50s (Riviera Jazz, 1999)
AA. VV. • Il jazz in Italia: 4 dimensioni (RCA, 1959)
Chet Baker • In Milan (Riverside, 1959)
Buddy Collette • The Soft Touch Of Buddy Collette (GMG, 1961)
Basso/Valdambrini • Blues For Gassman (GMG 1961, rist. BTF 2003)
Milt Jackson/Enrico Intra • Milt Jackson & Enrico Intra Group (Disques Festival, 1964)
Bruno Lauzi • Back To Jazz (Dire, 1985)
Civica Jazz Band • Italian “Club” Graffiti (Erga,1998)
Larry Franco • Nuttin' But Nat (Azzurra Music, 1999)
Civica Jazz Band Milano • New Perspectives. Bernstein/Gershwin/Rodgers (CAM Jazz, 2000)
INTERVISTA KENNY GARRETT

“PUSHING THE WORLD AWAY” (MACK AVENUE, 2013) È L’ULTIMO DISCO

K
DI KENNY GARRETT. VARCATA LA SOGLIA DELLA CINQUANTINA, IL
SASSOFONISTA SI VOLGE INDIETRO A CONSIDERARE LA SUA LUNGA
CARRIERA CHE LO HA VISTO AL FIANCO DI MOLTI DEI GIGANTI DEL JAZZ. E DÀ
QUALCHE CONSIGLIO AI GIOVANI, CHE OGGI SI AFFACCIANO ALLA MUSICA

Gar
DI STUART NICHOLSON
© EMANUELE VERGARI
Kenny
rrett
DAL PASSATO AL FUTURO
INTERVISTA KENNY GARRETT

«Per me, sostanzialmente, o sei “in laboratorio”, oppure sei sul


palco: per quello che mi riguarda, io sono stato sul palco e ho
fatto esperienza pratica»

ESCI DAL LABORATORIO


Kenny Garrett è entrato nel jazz in quella che lui stesso definisce «la vec-
chia maniera». Proviene da una generazione di musicisti che sono stati gli
ultimi a imparare la propria arte direttamente dai veri giganti del jazz e a
sperimentare la tradizione orale della musica sul palco, piuttosto che nel-
le aule scolastiche.
«Se ripenso alla mia esperienza – e io ormai faccio parte del club dei cin-
quantenni – vedo che è molto diversa da quella dei giovani di oggi» afferma.
«Non sono mai andato al college, ma so che cosa imparano lì ed è completa-
mente diverso da come l’ho imparato io. Per me, sostanzialmente, o sei “in
laboratorio”, oppure sei sul palco: per quello che mi riguarda, io sono stato
sul palco e ho fatto esperienza pratica. In “laboratorio”, puoi provare cer-
te cose, fermarti, tornare indietro e correggerti, ma sul palco, quando toc-
ca a te, sei sotto il fuoco, e non si può far altro che reagire a ciò che succede

© ROBERTO POLILLO
e imparare. Penso che questa sia la differenza. Mi rendo conto che il labora-
torio dà molte più informazioni, ma bisogna andar fuori e suonare. Suona-
re con i giganti della musica mi ha aiutato moltissimo ad assimilare un cer-
to tipo di indirizzo».

IMPARARE DAI GRANDI


Anche se oggi Garrett è un cinquantatreenne dall’aspetto giovanile, è con- FREDDIE HUBBARD
siderato uno dei senatori del jazz dalle nuove generazioni di jazzisti emer-
genti. Non ha problemi a sostenere questo ruolo, perché ama condividere i
vantaggi dell’esperienza. Nei suoi anni giovanili, nella natìa Detroit, fu il
suo maestro e mentore, Bill Wiggins, a convincerlo a entrare nell’orchestra
del liceo; in seguito, lasciò la scuola per seguire la Duke Ellington Orche-
stra diretta da Mercer, il figlio di Duke, in un tour di tre anni e mezzo; potè
imparare da un gigante come George Coleman; lavorò nell’orchestra di Mel
Lewis e nella band di Freddie Hubbard; trascorse un periodo nei Jazz Mes-
sengers di Art Blakey; suonò per cinque anni e mezzo con Miles Davis; e ul-
timamente ha lavorato nella Five Peace Band di Chick Corea, insieme a John
McLaughlin, e nella Freedom Band di Chick Corea.
«Credo che sia molto importante parlare di tutte queste esperienze con i
giovani. Penso sia parte della storia: quando hai l’occasione di suonare con
questi grandi, non ci pensi, vivi il momento, l’essere sul palco con Freddie
© ROBERTO POLILLO

Hubbard, o Woody Shaw, o Miles Davis, o Dizzy Gillespie. Di recente, ho


guardato un video su YouTube: era il 1985 ed ero insieme a Freddie Hub-
bard, Woody Shaw e Dizzy Gillespie. Mi ricordo di aver pensato: “Wow, che
fortuna, sono qui con questi grandi trombettisti”. Ti preparano, ti fornisco-
no informazioni, ti insegnano il linguaggio. Penso che oggi molto di tutto
ciò si sia perso». MILES DAVIS

60
NON DIMENTICATE IL PASSATO
Non è una sorpresa, quindi, che la grande porzione di storia del jazz che
Garrett ha sperimentato di prima mano, oggi dia forma al suo stile. Nel 2012
ha esordito su etichetta Mack Avenue con il disco “Seeds From The Under-
ground”. Era il suo diciottesimo disco da leader, e probabilmente il più ac-
clamato dalla critica fra tutti quelli finora realizzati. In esso, ha reso omag-
gio ai suoi predecessori e mentori. Ci sono brani dedicati a Duke Ellington,
a Jackie McLean, a Roy Haynes, al suo insegnante Bill Wiggins, a Keith Jar-
rett (un musicista che ha incontrato solo due volte, ma che ammira per il suo
lirismo), al trombettista Marcus Belgrave.
© EMANUELE VERGARI

L’idea che Garrett ha di un disco di “tributo” è diversa da quella di molti al-


tri musicisti, perché gli artisti che omaggia gli forniscono uno sprone per
la sua creatività. «Molti hanno notato che mi piace rendere omaggio e di-
mostrare rispetto per i musicisti o per la mia esperienza. A volte ci dimen-
tichiamo dei predecessori, di chi ha reso possibile che noi fossimo quel che
siamo. Io credo che sia importante dichiarare le persone che rispettiamo».

61
INTERVISTA KENNY GARRETT

© ROBERTO POLILLO
SONNY ROLLINS

RIMUOVERE GLI OSTACOLI


Considerazioni simili sono alla base del suo ultimo disco, “Pushing The
World Away”, l’attesissimo seguito del precedente. «”Pushing The World
Away” rappresenta il punto in cui sono in questo momento. “Seeds From
The Underground” ha avuto molto successo. Dato che è stato registrato nel
2012, avevo in mente molta musica che aspettava di venir fuori e credo stes-
si cercando di farla uscire. Ovviamente, ho avuto molte esperienze e, in re-
altà, stavo solo scrivendo di quelle».
Registrato nel 2013 agli Avatar Studios di New York, “Pushing The World
Away” include un cast di giovani musicisti come il pianista Benito Gonzalez BURT BACHARACH
(già in “Seeds From The Underground”), il bassista Corcoran Holt e i bat-
teristi McClenty Hunter e Mark Whitfield Jr. Compaiono anche Rudy Bird,
già percussionista di Miles Davis, il pianista Vernell Brown e il batterista
Marcus Baylor, che hanno già collaborato con Garrett per “Happy People”
(2002), e Ravi Best alla tromba.
I brani sono tutti originali di Garrett, con l’eccezione di I Say A Little Prayer
di Burt Bacharach. Ci sono anche un delizioso tributo a Sonny Rollins, in-
titolato J’ouvert («è per fargli sapere che penso sempre a lui»), e un impres-
sionante tour de force sassofonistico nel tributo a Chick Corea Hey, Chick.
Come quello del disco precedente, anche il titolo di “Pushing The World
Away” (letteralmente: “spingendo via il mondo”, NdR) richiede qualche
spiegazione: «Beh, vuol dire che in questo mondo ci sono tanti ostacoli, tan-
te cose che ti distraggono. Avevo bisogno di “spingere via il mondo” per con-
centrarmi su ciò che mi interessava e per riuscire a realizzare la musica, il
disco. È questo che intendevo». CHICK COREA

62
«Attraverso di me, [i giovani musicisti] possono avere la
possibilità di capire Miles e Freddie Hubbard e Woody Shaw e
tutti quelli con cui ho condiviso il palco»

TRASMETTERE L’ESPERIENZA
Uno dei brani più interessanti è Alpha Man, registrato in quartetto con Ver-
nell Brown al pianoforte Corcoran Holt al contrabbasso e Mark Whitfield
Jr. alla batteria.
«Vernell ha una maniera particolare di improvvisare, che lui chiama “alfa-
beti”: vede una certa forma sul pianoforte, come una A, una B o una C. Per
questo lo chiamo “Alpha Man”. Mentre scrivevo, pensavo a Vernell e al suo
modo di improvvisare. Pensavo anche all’armonia, a come volevo suonasse.
Volevo che il brano avesse un’atmosfera romantica, in modo che lui potes-
se suonare nella sua maniera e io nella mia. Queste erano le idee che avevo
in mente: come si sarebbe comportato il batterista, e il bassista, e il piani-
sta, e come avrei voluto eseguirlo io. È così che mi vengono in mente le me-
lodie e le idee per i brani».
Garrett afferma che l’ispirazione a comporre brani propri affonda le radici
nel suo primo concerto importante con la Duke Ellington Orchestra diretta
da Mercer Ellington. «Cootie Williams mi incoraggiò a scrivere le mie com-
posizioni. Era rientrato in attività quando io suonavo con quella band, nel
1979. Mi disse: “Scrivi i tuoi brani”, perché io me ne stavo lì al pianoforte, a
suonare. La stessa cosa fece Miles. Credo che siano stati loro a ispirarmi nel
cercare un mio stile, ed è quello che faccio io con i giovani musicisti che suo-
nano con me: li aiuto a trovare la loro voce, a fare esperienza, semplicemen-
te a suonare. Attraverso di me, possono avere la possibilità di capire Miles e
Freddie Hubbard e Woody Shaw e tutti quelli con cui ho condiviso il palco».

© ROBERTO POLILLO

WOODY SHAW

63
INTERVISTA KENNY GARRETT
© ROBERTO POLILLO

JOHN COLTRANE
QUARANTA DOLLARI A SERATA
Non è un segreto che, non solo negli Stati Uniti ma in molti altri paesi, ci si-
ano molti più musicisti di quelli che effettivamente lavorano: soprattutto a
New York, dove, a meno di non essere un leader che suona in uno dei prin-
cipali club (il Village Vanguard, il Blue Note, l’Iridium, il Birdland, eccete-
ra), in genere si viene pagati con una percentuale sugli incassi. Quindi, ba-
sta fare un po’ di calcoli: la maggior parte dei piccoli locali possono ospitare
circa trenta o quaranta persone, o anche meno nel caso dei più piccoli. Il
pubblico paga intorno ai dieci o quindici dollari per l’entrata. Ammesso che
si faccia il tutto esaurito (e non c’è nessuna garanzia di ciò, in una di quel-
KENNY GARRETT
le fredde sere d’inverno nella Grande Mela, dove a gennaio di quest’anno la
temperatura media era di quindici gradi sotto zero), si incassano più o meno PUSHING THE WORLD AWAY
quattrocento dollari. Alla band ne vanno duecento, da dividere tra – mettia- MACK AVENUE, 2013
mo – cinque musicisti. Fanno quaranta dollari per una serata di lavoro. Non
Kenny Garrett (alto, sop, voc, pf); Benito Gonzalez (pf); Corco-
è molto, per sopravvivere in una città costosa come New York. Nel frattem- ran Holt (cb); Marcus Baylor (batt); Rudy Bird (perc); Ravi Best
po, le università e i college sfornano sempre più musicisti, in un mercato già (tr); Vernell Brown (pf, voc); McClenty Hunter (batt, voc); Mark
Whitfield, Jr. (batt); Jean Baylor (voc); Carolin Pook (vl); Brian
saturo. E dunque, come vede il futuro Kenny Garrett? Sanders (vlc); Jen Herman (vla)

SE HAI LA PASSIONE, SUONI “Pushing The World Away” è il natu-


rale seguito di “Seeds From The Un-
«Beh, oggi ci sono moltissimi musicisti e non tutti lo faranno come profes- derground” (Mack Avenue, 2012) e
sione ma credo sia una buona cosa che imparino la musica, perché li rende- come il suo predecessore è prodotto
rà persone migliori. Poi, ci saranno quelli che emergeranno, che andran- da Donald Brown. Garrett propone la
no avanti e si faranno un nome. È la sola cosa da fare, con la musica, perché sua inconfondibile miscela di temi post
bop, latin, jazz waltz, contemporary
i musicisti che suonano sono troppi. Le cose sono cambiate molto: ai miei jazz: un mélange sonoro personale
tempi non ce n’erano tanti, non erano molte le università in cui si potes- ed esaltato dalle vibranti esecuzioni.
se studiare jazz, perché al massimo si studiava musica classica, il reperto- Alcuni brani sono dedicati a notissimi
rio classico per il sassofono, ma non il jazz. Adesso è diverso, c’è tanta gente personaggi musicali: Hey, Chick, rende
omaggio a Chick Corea ed è caratte-
che ha un master in jazz, ma non tutti potranno guadagnarsi da vivere con rizzato da una tenue melodia modale
questa musica. Come ho già detto, l’unico modo per farsi un nome è uscir discendente, un jazz waltz che poi si
fuori e continuare a suonare. È difficile dire come andranno le cose, ma di sviluppa sul trainante riff di contrab-
sicuro è diverso, rispetto all’esperienza che ho fatto io. Conoscevamo i jaz- basso; alla figura di Chucho Valdés è
dedicata la composizione Chucho’s
zisti, sapevamo che non guadagnavano molto, ma amavamo la musica e vo- Mambo, un brillante e divertente mo-
levamo suonare. Quando si invecchia, si comincia a rendersene conto. Pen- mento latin, con un bell’assolo nervo-
so a persone come Coltrane, Miles Davis, Monk, che hanno dedicato la vita so di Garrett. Richiama invece i mondi
a questa musica. È qualcosa di più profondo, che non imparare soltanto a solari di St. Thomas il pezzo J’ouvert
(Homage To Sonny Rollins), un gio-
suonare. Se lo si vuol guardare così, erano in trincea a suonare, a cercare di ioso calypso irresistibile nel suo por-
imparare. John Coltrane si sforzava di trovare la musica che cercava, c’era tamento. Ottimi i momenti più jazz,
la sua passione: non è l’unico, ma è quello che mi viene in mente per primo come i temi coltraniani di A Side Or-
quando ci penso. Bisogna essere convinti di voler suonare. Se hai la passio- der Of Hijiki e Rotation, e Alpha Man,
una splendida ballad arricchita dagli
ne, suoni. C’è gente che lo fa e non guadagna molto, ce n’è altra che invece archi. (EM)
guadagna, ma se si sceglie questa musica, bisogna essere preparati, qualun-
que cosa succeda» A Side Order of Hijiki/ Hey, Chick / Chucho’s Mambo / Lincoln
Center / J’ouvert (Homage To Sonny Rollins) / That’s It / I Say a
Little Prayer / Pushing The World Away / Homma San / Brother
Brown / Alpha Man / Rotation
31 CD STORY

Giovanni Mazzarino
Riccardo Fioravanti

Trio
Stefano Bagnoli

Songs
ALLEGHIAMO A QUESTO NUMERO UN CD INEDITO FIRMATO
DAL TRIO DI GIOVANNI MAZZARINO, RICCARDO FIORAVANTI E
STEFANO BAGNOLI. UN’OCCASIONE PER DIALOGARE CON I TRE
MUSICISTI SULLA GENESI DELLA LORO COLLABORAZIONE E
SULLA LORO IDEA DI MUSICA

DI LUCIANO VANNI
CD STORY GIOVANNI MAZZARINO - RICCARDO FIORAVANTI - STEFANO BAGNOLI TRIO

© PAOLO
© GALLETTA
PAOLO GALLETTA
GIOVANNI MAZZARINO

Come nasce il gruppo? Con quale idea di musica vi siete incontrati?


GM / Ci conosciamo e ci stimiamo da tanto tempo; abbiamo GM / L’idea musicale non poteva che essere il jazz quale
cominciato tuttavia a condividere la musica pochi anni fa, evento culturale tra i più importanti del XX secolo! Il termi-
capendo sin da subito che siamo assolutamente compatibi- ne “jazz” non si riferisce solo a quel periodo di cinquant’an-
li da un punto di vista della sensibilità musicale e delle idee ni, che in linea generale possiamo individuare tra il 1917 e
concernenti la musica jazz! il 1970, ma si riferisce anche alla speculazione intellettua-
RF / Conosco Stefano da più di trent'anni, da quando, giova- le, all'approfondimento della musica cosiddetta “classica” e
nissimo, suonava ancora jazz tradizionale; già allora mi col- quindi alla generazione di altre estetiche legate soprattut-
pì il suo grande senso del tempo e intuii che avrebbe potuto to al mondo dell'Africa. Con Riccardo e Stefano è stato pos-
diventare un batterista molto eclettico e poliedrico, come si sibile oltre che facile poter esplorare la musica in tal senso.
è poi verificato grazie alle moltissime esperienze maturate RF / Pur provenendo da ambiti musicali jazzistici abbastan-
in questi anni. Per un bassista suonare con lui è una sicurez- za diversi tra loro, abbiamo un terreno comune, quello degli
za, oltre che un piacere. Infatti, ha incrociato le sue spazzo- standard, che ci unisce fortemente. L'idea iniziale era stata
le in molti dei miei progetti. Con Giovanni, pur conoscendolo appunto quella di scegliere alcune tra le song dei nostri auto-
e stimandolo da molto tempo, c'erano state meno occasioni ri preferiti, classici come Gershwin, Kern e così via, ma ben
di confronto. Per questo quando mi chiamò, pochi anni or presto ci siamo resi conto che il solo repertorio di Broadway
sono, per collaborare a un album di cui stava curando gli ar- ci andava stretto; così abbiamo deciso di aggiungere altri sa-
rangiamenti, accettai con curiosità ed entusiasmo. Lì capim- pori, tra cui brani di grandi strumentisti come i trombonisti
mo immediatamente che era nato un trio. J.J. Johnson e Glenn Miller, e i bassisti Charlie Haden e Ste-
SB / Con Riccardo la collaborazione è iniziata circa trent’an- ve Swallow. Con quest'ultimo, grande amico di Giovanni, ho
ni fa e di avventure passate insieme potremmo raccontar- appena registrato dei duetti di contrabbasso e basso elettri-
ne un bel po’. Con Giovanni il sodalizio si è reso concreto co, che vedranno presto la luce.
alcuni anni fa, quando mi chiamò come docente nei suoi se- SB / Ognuno di noi tre ha un passato fitto di collaborazio-
minari estivi di Piazza Armerina (ora trasferitisi a Messina). ni negli ambiti jazzistici più diversi. Siamo curiosi, speri-
Giovanni è carismatico e un vulcano di idee e progetti che mentatori e onnivori anche se con delle peculiarità stilisti-
convogliano nella realizzazione di collaborazioni durature e che e interpretative ben definite dalle rispettive esperienze.
importanti. Questo trio è l’alchimia perfetta tra idee musica- L’idea del trio, per quanto mi riguarda, corrisponde al flus-
li comuni e feeling umano. so di energia che si tramuta in un dialogo musicale costante

68
«In cent’anni di jazz si possono scovare e assaporare un’infinità di gusti e colori
armonici, melodici e ritmici senza per forza seguire una traccia specifica»
Stefano Bagnoli

tra noi, come se parlassimo la stessa lingua ma con inflessio- Fresu e molti altri. Certo è che, quando si suona in un
ni dialettali differenti: questo ci permette di concepire un’e- trio con pianoforte, contrabbasso e batteria, i riferimen-
stetica musicale multiforme e un’evidente compattezza di ti che vengono subito in mente sono quelli di Bill Evans
gruppo. Direi inoltre che la scelta di song meravigliose ci ha con LaFaro e Motian piuttosto che con Gomez o LaBar-
aiutato molto: se la musica nasce già scritta bene, devi solo bera, Keith Jarrett con Peacock e DeJohnette, Brad Mehl-
cercare di non rovinarla! dau con Grenadier e Ballard, ma anche Chick Corea con
Vitous e Haynes, Herbie Hancock con Carter e Williams,
Partiamo dai riferimenti stilistici ed espressivi. McCoy Tyner con Garrison e Jones, e Winton Kelly con
GM / Vengono dettati da un forte interplay che stabilisce Chambers e Cobb. Un pianista che io amo tantissimo, è
sempre una direzione molto “open” (sia pure formalmente Fred Hersch sia musicalmente sia concettualmente. È poi
dentro le strutture) e che dà un carattere "circolare" alla chiaro che, al momento di suonare, tutte queste influen-
nostra musica. ze, mischiate a quelle di Stefano e Giovanni, hanno dato
RF / Personalmente mi riferisco a tutta la musica che con- vita a una miscela che spero risulti all'ascolto il più per-
sidero bella, se pensi che ho iniziato a suonare il rock dei sonale possibile.
Led Zeppelin, di Hendrix e di Zappa, ho studiato musi- SB / Il repertorio jazzistico generale attinge da un bacino
ca classica in conservatorio, ho fatto pop con Mina, Jan- enorme di stili ed estetiche musicali; in cent’anni di jazz
nacci, Mia Martini e tantissimi altri, ho avuto la fortuna si possono scovare e assaporare un’infinità di gusti e colo-
di collaborare in concerti con Gino Vannelli, Chico Buar- ri armonici, melodici e ritmici senza per forza seguire una
que de Hollanda, Stevie Wonder e Ray Charles, e natural- traccia specifica. Noi abbiamo semplicemente scelto dei
mente con molti grandi jazzisti come Tom Harrell, Phil brani che ci piacevano e che abbiamo interpretato istinti-
Woods, Bob Mintzer, Giorgio Gaslini, Enrico Rava, Paolo vamente, senza una codifica stilistica precisa.

© CARLO VERRI
© ROBERTO POLILLO

BILL EVANS
© ROBERTO POLILLO

MCCOY TYNER KEITH JARRETT

69
CD STORY GIOVANNI MAZZARINO - RICCARDO FIORAVANTI - STEFANO BAGNOLI TRIO

© PAOLO GALLETTA
RICCARDO FIORAVANTI

Ciò che ascoltiamo è frutto di una registrazione dal la sinergia perfetta indipendentemente dalla prepara-
vivo in studio o c'è stato un lavoro di post produzione? zione e dalla professionalità di chi suona. L’interplay a
GM / Ciò che ascoltate è una session live durata otto volte conta più di un metronomo perfetto o di una nota
ore. Abbiamo suonato brani scritti da compositori che intonatissima.
nell'ambito della materia “musica” hanno fatto la dif-
ferenza, ognuno nel suo ambito culturale e storico di Quanto è stato scritto e quanto improvvisato?
appartenenza: Steve Swallow, Charlie Haden, George GM / Direi tanto improvvisato! A parte qualche "en-
Gershwin, J.J. Johnson, Glenn Miller, Jerome Kern. La ding" concordato, il resto è andato da sé!
musica contenuta in questo disco nasce dall'invenzione RF / Di scritto c'è ben poco, a parte delle piccole con-
"non inventata" senza la pretesa di genialità o originali- venzioni che ci siamo dati su qualche inizio e qualche
tà, ma con contenuti appartenenti alle nostre persona- finale. Il resto è totale improvvisazione e grande affia-
lità musicali, assimilati in tanti anni di frequentazione tamento. Siamo stati fortunati come spesso succede,
e di ascolto della musica tutta! quando si interagisce con musicisti preparati e creativi.
RF / Non c'è trucco e non c'è inganno: tutto quello che SB / Per me l’improvvisazione nel jazz è la conseguenza
si ascolta è stato praticamente registrato in una sola di un capillare studio di regole e discipline stilistiche,
giornata. Il vero miracolo, tuttavia, l'ha fatto quel ge- che sfocia in conoscenza storica e conseguente conte-
nio di Stefano Amerio, che ha missato il tutto in poco stualizzazione della creatività. Intendo dire che pos-
più di un'ora e mezza. Quando ci siamo rimessi sulla so suonare free oppure dixieland ma se non conosco la
mia auto e abbiamo infilato il CD nel lettore, siamo let- “grammatica” specifica di ogni linguaggio, il mio talen-
teralmente rimasti senza parole: era tutto perfettamen- to improvvisativo sarà incompleto e avrò poco da co-
te bilanciato. municare. Col nostro trio bilanciamo in modo natura-
SB / Un giorno in studio con le idee chiare sui titoli da le meccanismi tecnici e creativi e conoscenza dei vari
scegliere e su quali groove adottare… tutto il resto è slang stilistici e delle regole a essi collegati. Conside-
stato “battere" il tempo e suonare. Un disco jazz lo puoi rando imprescindibili improvvisazione creativa e co-
plasmare in un mese di studio così come in poche ore, noscenza del linguaggio, pertanto, rispondo che la mi-
è questione di interplay oltre che di esperienza. È an- scela tra scritto e improvvisato non ha a mio parere una
che questione di fortuna poiché la giornata magica crea percentuale definibile.

70
© PAOLO GALLETTA
STEFANO BAGNOLI

Che cosa ti piace di più di questo CD? Che cosa ricor- stravolgere tutto in un attimo. Suono da trentacinque anni
di con maggior piacere di questa incisione? e ogni volta che faccio un disco si rinnova il malinconico
GM / Di questo CD amo la freschezza! Abbiamo condot- entusiasmo dell’aver lasciato una firma, fissato un momen-
to la seduta di registrazione in assoluto relax; ovviamente, to della mia vita.
il tutto è stato possibile anche per la nota professionalità e
competenza di Stefano Amerio, sound engeneer e proprie- Ciascuno di voi presenti in poche battute gli altri due
tario dello studio di Cavalicco. membri del trio!
RF / Mi piace il suono complessivo, cosa molto importan- GM / Riccardo Fioravanti e Stefano Bagnoli vivono,
te in questo genere di musica. Come se i tre strumenti si suonano, si comportano, si confrontano, amano, pensa-
fondessero naturalmente tra di loro, in un dialogo che non no e agiscono in maniera jazzistica. Che cosa significa?
prevede né solisti né accompagnatori ma un unico magma Non lo so ma di certo è una cosa bellissima! Jazz…
sonoro che, secondo i momenti, fa emergere una voce piut- RF / Giovanni, come dico sempre, è un siculo teutonico:
tosto che un'altra. Ricordo la bellissima atmosfera che si è un vulcano ribollente di sempre nuove idee ma con la
creata in studio, dove la reciproca stima artistica si è mi- volontà e la capacità di portarle a termine di un Panzer.
schiata a una sincera e tutt'altro che superficiale amicizia. Stefano, che sembra una persona così controllata e ra-
Complici, sicuramente, l'ospitalità udinese e i grandi vini zionale, in realtà è un pazzo furioso! Li amo anche per
friulani! questo, oltre che per come suonano.
SB / Sono brani importanti, suonati con passione e diver- SB / Giovanni è cronicamente e visceralmente un ma-
timento. Noi musicisti siamo tutti in balia dell’eterno sfug- lato di jazz, molto infettivo; Riccardo è un motore, ine-
gire del tempo che ci fa vivere amicizie forti e durature sauribile e non inquinante. Un perfetto congegno mu-
ma nello stesso tempo grandi incognite che ci portano a sicale

71
CD STORY GIOVANNI MAZZARINO - RICCARDO FIORAVANTI - STEFANO BAGNOLI TRIO

Introduzione
all’ascolto
DI STEFANO BAGNOLI, RICCARDO FIORAVANTI, GIOVANNI MAZZARINO

01 Wrong Together

È un brano che ho scoperto a fine anni Novan-


04 Who Cares

È uno degli standard meno frequentati di Ira e


07 Ts Monk Y Strauss

Sembra un bozzetto campato per aria ma in real-


ta, quando ho cominciato a occuparmi seriamen- George Gershwin, forse perché proveniente dal tà è sin dalla prima nota, un giro di blues (anche se
te, oltre che con grande passione, della musica di misconosciuto, perlomeno da noi, musical politi- "leggermente" fuori dai confini tradizionali). In-
Steve Swallow. Ho suonato questa meravigliosa co-satirico "Of Thee I Sing", vincitore nel 1932 del teressante è l’aneddoto che ha scatenato l’enig-
composizione "in tutte le salse", sperando sem- Premio Pulitzer per il dramma. Per noi jazzisti la matico titolo. A cena, un’altolocata signora trie-
pre di interpretarla con il compositore america- sua struttura armonica è una vera fonte d’ispira- stina, favellando con un Mazzarino dal suadente
no. Al primo concerto del Jazz in Trio (Swallow- zione improvvisativa, come quasi sempre accade accento siciliano: ”A proposito di Sicilia, l’estate
Mazzarino-Nussbaum), Swallow mi chiese se per le opere di Gershwin. Ne abbiamo dato una scorsa ero in vacanza a Caltagirone e caso volle
conoscevo Wrong Together... presto fatto! Propo- versione molto più binaria metricamente, con un che quella sera ci fosse il concerto di un’orchestri-
si allora di suonare il brano in maniera differente andamento ritmico assai marcato, quasi funk, in na che suonava Strauss: ma ci pensate? Dei sici-
rispetto all'originale: ecco che ne nasce una nuo- modo da far risaltare le nostre peculiarità mag- liani che suonano Strauss!”. Dunque “TS” (Trie-
va versione, la stessa che ascoltate in questo disco giormente percussive. Peccato che alla batteria ci ste, in omaggio all’inopportuna protagonista del
e che tanti musicisti oggi suonano, e io non pos- fosse Stefano Bagnoli… (Riccardo Fioravanti) racconto), Monk (da un velato richiamo stilistico
so che esserne orgoglioso! (Giovanni Mazzarino) del nostro) e Strauss (per un doveroso gemellag-

02 I'm Through With Love 05 Lament gio Austria-Sicilia). (Stefano Bagnoli)

Questa deliziosa ballad è stata composta dal cla-


rinettista e arrangiatore Fud Livingston, scono-
Bellissima e dolente composizione del grandissi-
mo trombonista J.J. Johnson. Durante la mia vita
musicale, ho avuto la fortuna di suonare con alcu-
08 Nobody Else But Me

Un brano importante e poco frequentato, swing


sciuto ai più poiché non ha mai inciso come lea- ni dei più straordinari solisti di trombone, tra cui allo stato brado senza paletti o rigori stilistici par-
der, ma attivo con artisti quali Benny Goodman, Slide Hampton, Carl Fontana e i nostri Dino Pia- ticolari. Credo che oggi suonare mainstream (jazz
Glenn Miller, Bix Beiderbecke, Paul Whiteman e na e Roberto Rossi, e tutti erano concordi nel defi- classico) significhi avere l’opportunità di poter sce-
altri. È stata suonata da innumerevoli solisti, tra nirlo il più grande e innovativo strumentista mai gliere due strade: quella filologica che mantiene il
cui Bing Crosby, Nat King Cole, Chet Baker, Co- esistito. Personalmente ho sempre amato il trom- rigore della tessitura originale per fare un salto in-
leman Hawkins, Sara Vaughan, Dizzy Gillespie bone, forse anche per l'evidente assonanza tim- dietro nel tempo, rispettando devotamente sonori-
e Keith Jarrett, ma la versione che preferisco, è brica col contrabbasso e, ancor di più, con il basso tà e linguaggio, oppure, come è nel nostro intento
quella di Marilyn Monroe nel film di Billy Wil- elettrico fretless, e ho spesso cercato di emulare istintivo, quella di mantenere i contenuti originali
der A qualcuno piace caldo. Abbiamo cercato di ri- lo scintillante fraseggio di Jay Jay. Senza natural- pur reinterpretandoli in chiave attuale con licenze
spettare la delicata poetica del brano, suonandolo mente mai riuscirci. (Riccardo Fioravanti) armoniche e creative senza confini a parte quello
quasi in punta di piedi. La musica è uscita da sola. del gusto personale. (Stefano Bagnoli)
(Riccardo Fioravanti)
06 Moonlight Serenade

09 I Loves You Porgy

03 Waltz For Ruth

Ascoltai per la prima volta questo brano nell'al-


Mio padre la domenica mattina ascoltava quel-
la che lui definiva "musica d'appeal", musica che
lui considerava attraente, intrigante, emozionan-
È il tassello di un’opera fondamentale della storia
musicale americana, “Porgy And Bess” di Ger-
bum “Night And The City” (Verve), un disco me- te e visionaria. I suoi ascolti spaziavano dalla liri- shwin. Abbiamo considerato il mood del testo,
raviglioso registrato live nel 1996 presso l’Iridium ca al jazz e anche noi della famiglia subivamo (un avvolgendolo in un tessuto classico e senza trop-
Jazz Club di New York da due giganti della mu- dolce subire) tanta musica. Avevo sei anni quando pi fronzoli. Come diceva il nostro comune amico
sica jazz: Charlie Haden e Kenny Barron. Sin da un giorno, ascoltando Moonlight Serenade, decisi Gianni Basso, con il quale tutti e tre abbiamo suo-
subito compresi la semplice, disarmante bellezza di provare a riprodurla sul pianoforte. Allora co- nato in tempi diversi ma per lunghi anni, la ballad
di questa composizione. La sua melodia è chiara e minciai a cantare e suonare questa melodia me- è il banco di prova per un jazzista. Con Giovanni e
diretta come gli assolo di Haden. Da allora in poi ravigliosa in maniera naturale e da allora anche Riccardo riesco a interpretare una classica ballad
Waltz For Ruth fa parte del mio repertorio con- questo brano è entrato prepotentemente nel mio così come i padri musicali delle passate epoche mi
certistico e discografico. (Giovanni Mazzarino) repertorio. (Giovanni Mazzarino) hanno insegnato. Naturalmente Giovanni e Ric-
cardo sono vecchissimi, quindi considero anche
loro miei padri musicali… (Stefano Bagnoli)

72
Giovanni Mazzarino

Trio
Riccardo Fioravanti
Stefano Bagnoli CD STORY 31

Songs

TRACKLIST LINEUP
1. WRONG TOGETHER (S. Swallow) GIOVANNI MAZZARINO PIANOFORTE
2. I'M THROUGH WITH LOVE (G. Kahn) RICCARDO FIORAVANTI CONTRABBASSO
03. WALTZ FOR RUTH (C. Haden) STEFANO BAGNOLI BATTERIA
04. WHO CARES (G. Gershwin)
05. LAMENT (J. J. Johnson)
06. MOONLIGHT SERANADE (G. Miller)
07. TS MONK Y STRAUSS (G. Mazzarino/R. Fioravanti/S. Bagnoli)
08. NOBODY ELSE BUT ME (J. Kern)
09. I LOVES YOU PORGY (G. Gershwin)

Registrato presso Artesuono (Cavalicco, Udine) il 26 marzo 2013

73
© FABRIZIO GIAMMARCO/C JAM SHOTS SAGGIO
PACO DE LUCIA

©JIMMY KATZ
Paco
de Lucia
TRA ANDALUSIA
E AMERICA
UN BAMBINO DI DODICI ANNI PRENDE LA CHITARRA, LA METTE SOTTO
IL BRACCIO E, SOLO, SI IMBARCA SU UN VOLO INTERCONTINENTALE
DIRETTO A CHICAGO. VIVE QUESTO VIAGGIO CON LO SGUARDO
INCANTATO E SOGNATORE DELL’AVVENTURIERO, SENTENDOSI QUASI
COME UN PICCOLO CRISTOFORO COLOMBO. AD ACCOGLIERLO A
DESTINAZIONE, DOPO LA TAPPA A NEW YORK, C’È SUO FRATELLO
PEPE, CANTAOR NELLA COMPAGNIA DI BALLO FLAMENCO DEL FAMOSO
JOSÉ GRECO. HA INIZIO COSÌ LA PRIMA TOURNÉE DI UN BAMBINO DI
NOME FRANCISCO SANCHEZ, ALIAS PACO DE LUCIA

DI PAOLO ANGELI
SAGGIO PACO DE LUCIA

«Il flamenco è molto facile da capire se sei nato dentro di lui. È come respirare.
Mi svegliavo la mattina e nella mia casa c’era una festa, sentivo suonare mio
padre, i miei fratelli, cantare Pepe e mia sorella. Prima di suonare la chitarra
fisicamente, già conoscevo il linguaggio flamenco»

PAQUITO DE LA PORTUGHESA
«Luzia è mia madre. Io sono Paco, il figlio di Luzia. Tu sai che in Andalusia, i bambi-
ni li identifichiamo, perché ci sono molti Paco e molti Pepe nella strada, per il nome
della madre. A me, mi chiamavano Paquito de la portughesa, Paquito de Luzia». Paco
de Lucia nasce ad Algeciras il 21 dicembre 1947. All’inizio degli anni Cinquanta il pic-
colo centro dell’Andalusia era un nucleo molto importante per la musica flamenca.
Il contrabbando con Gilbilterra alimentava una micro economia sotterranea ed era
comune assoldare chitarristi e cantaores per le feste private dei señoritos (latifondi-
sti che sfruttavano i braccianti, o, in generale, le classi sociali più ricche). Dopo aver
suonato tutta la notte, i musicisti rincasavano e nell’intimità dell’alba la musica si
diffondeva nel patio di casa, senza padroni, accarezzando i sogni dei bambini ancora
addormentati. «Il flamenco è molto facile da capire se sei nato dentro di lui. È come
respirare. Mi svegliavo la mattina e nella mia casa c’era una festa, sentivo suonare
mio padre, i miei fratelli, cantare Pepe e mia sorella. Prima di suonare la chitarra fi-
sicamente, già conoscevo il linguaggio flamenco».
Inizialmente il rapporto di Paco con la chitarra è strettamente legato al risolvere
economicamente l’instabilità della sua famiglia e la musica è vissuta come uno stru-
mento per non patire la fame. Suo padre Antonio, non appena ne intuisce il talen-
to, sceglie di fargli lasciare la scuola all’età di nove anni. Il vivere la strada e la gioia
per le cose semplici si fondono con lo studio sullo strumento per dieci ore al giorno.

PACO DE LUCIA
Il chitarrista è ritratto in famiglia e
con cantaor Camarón de la Isla

76
© PEPE LAMARCA
CAMARÓN DE LA ISLA E PACO DE LUCIA

UNA RELAZIONE INSTANCABILE


«Io non fui cantaor per timidezza, ero un bambino introverso; allora mi nasconde-
vo dietro la chitarra, così la protagonista era lei. Però volevo essere cantaor e quan-
do suono cerco di imitare il canto».
Nella prima tournée in America avviene l’incontro di Paco de Lucia con il chitar-
rista Sabicas, uno dei più grandi solisti della storia del flamenco. Emigrato duran-
te la Guerra Civile Spagnola, il chitarrista riconosce nel toque di de Lucia le false-
tas di Niño Ricardo.
«Io dormivo. Mi buttarono dal letto e suonai per lui, che disse: “Un chitarrista non
può suonare la musica di un altro chitarrista”».
Il suggerimento di Sabicas è di maturare uno stile originale, evidenziando che è la
diversità a caratterizzare e a rendere importante un musicista.
Quella che inizialmente è vissuta come una pratica di sostentamento diviene la
principale passione di Paco, alimentata da un perfezionismo ossessivo e dal gusto
per la sfida, aspetto che lo porterà in pochi anni alla ribalta come uno dei miglio-
ri chitarristi spagnoli.
Agli inizi degli anni Sessanta, a Jerez, avviene l’incontro con una figura di impre-
scindibile importanza: il cantaor Camarón de la Isla.
«Lo incontrai al mattino. Passammo insieme l’intera giornata e la notte cantando.
[…] Penso che Camarón sia un rivoluzionario. È il simbolo del flamenco».
Il trasferimento di entrambi a Madrid, la continua frequentazione e la voglia di
rinnovare il linguaggio di una musica ancorata al manierismo e apparentemen-
te confinata nel tradizionalismo, li porta a condividere un decennio di creatività
non comune, in quella che tuttora è considerata la collaborazione più fruttuosa
della storia del flamenco. Tra il 1969 e il 1977 Paco de Lucia registra con Camarón
nove LP, pagine musicali di straordinaria bellezza.
«Era come una relazione instancabile. Si creò una relazione di complicità e una
delle epoche più creative e più belle della mia vita. Passammo molti anni insieme,
spesso vivendo nella stessa stanza, creando e componendo continuamente. A me
piaceva il canto più della chitarra e a lui accadeva il contrario: gli piaceva più la chi-
tarra del canto. Conseguentemente c’era una perfetta complementarietà».

77
SAGGIO PACO DE LUCIA

LA PRIMA RIVOLUZIONE DI PACO


L’incontro con Camarón de la Isla non sottrae energia al percorso da solista di
Paco. “La fabulosa guitarra de Paco de Lucia” (Philips, 1967) e “Fantasia flamen-
ca de Paco de Lucia” (Philips, 1971) sono da considerarsi come un banco di prova in
cui il chitarrista fonde ed elabora le influenze di Sabicas e di Niño Ricardo. Biso-
gnerà aspettare “El duende flamenco de Paco de Lucia” (Philips, 1972) per cogliere
quella che sarà la prima rivoluzione apportata al flamenco.
«Perché non si può suonare solo flamenco senza il canto quando offre tante
possibilità?».
Nel brano Doblas campanas (Rondeña) sono contenuti in fase embrionale diversi
elementi di innovazione. L’uso dell’accordatura aperta Re/La/Re/Fa diesis/Si/Mi
(utilizzata per la prima volta dal grande solista madrileno Ramon Montoya) carat-
terizza le progressioni armoniche in cui de Lucia alterna le cadenze più classiche
del flamenco a episodi dissonanti, con l’uso di accordi di settima maggiore, none a
veri e propri cluster.
Tuttavia, se nei primi tre album il suo lavoro si concentra sul perfezionamento del
linguaggio convenzionale tracciato dai grandi che lo hanno preceduto, la completa
trasformazione si compie con il disco “Fuente y Caudal” (Philips, 1973). L’uso stu-
pefacente della mano destra (con un controllo impressionante delle tecniche “pul-
gar”, “alzapúa” e “rasgueos”, un vertiginoso “picado” e un perfetto “ligado”) è al
servizio di una completa revisione di quello che è il materiale armonico utilizzato.
La purezza dell’armonia flamenca si sposa con la suggestione delle dissonanze de-
rivanti dalla bossa nova (che de Lucia conobbe durante un tour in Sudamerica).
Il disco passerà alla storia grazie al brano che segnerà la fortuna commerciale di
Paco de Lucia: la rumba Entre dos aguas. Il tema, caratterizzato dall’accompagna-
mento con i bongos e il basso elettrico, fu inserito nel vinile per colmare un vuoto
ma divenne il passepartout di un torrenziale successo. Il flamenco inizia a non es-
sere associato solo alle taverne, ai colmados e ai patios andalusi, e approda nelle di-
scoteche delle grandi città.

TEATRO REAL, 18 FEBBRAIO 1975


L’impatto di “Fuente y Caudal” è talmente dirompente da caratterizzare un successivo
evento storico. Il 18 febbraio 1975 per la prima volta un musicista flamenco si esibisce
al Teatro Real. Il tempio della musica classica accoglie un solista che non legge la musi-
ca, che ha formato il suo percorso nella tradizione orale, che eleva una musica associa-
ta alle classi popolari più povere.
Paco de Lucia, nel corso della sua carriera, si era esibito nei teatri di tutto il mondo, ma
l’evento racchiude al suo interno una profonda rottura con le barriere ideologiche del-
la società spagnola. Il quotidiano El País titola l’evento come «la presa della Bastiglia» e
il teatro è pieno a tal punto che parte del pubblico è seduto sul palcoscenico, alle spalle
del chitarrista (lo si può vedere nell’immagine di copertina dell’LP intitolato “En vivo
desde el teatro real”, Philips 1975).
La prima rivoluzione di Paco è compiuta: le composizioni, le falsetas e i palos esegui-
ti (che fanno riferimento ai precedenti lavori discografici) trovano nell’esecuzione live
un momento sublime. La stessa postura del chitarrista cambia, introducendo quello
che sarà il nuovo modo di suonare la chitarra, poggiata sulla gamba destra incrocia-
ta sulla sinistra (elemento che facilita il virtuosismo). I puristi flamencologi gridano
allo scandalo.
Se Francisco Sanchez si fosse fermato lì, avrebbe avuto già un posto nella storia della
musica ma le cose sarebbero andate diversamente.

78
79
© PACO JUNQUERA
SAGGIO PACO DE LUCIA

La sete di conoscenza e la voglia di esplorare altri generi aprono le


porte a collaborazioni con musicisti di aree diverse ed estranei alla
cultura tradizionale da cui Paco de Lucia proviene

LA TRANSIZIONE
Il 20 novembre 1975 muore il dittatore Francisco Franco. Esplode la voglia di rinasci-
ta. Gli artisti si presentano con una veste rinnovata e si fanno strada i pantaloni jeans a
zampa di elefante. Il 25 febbraio 1976 Jesús Quintero, durante una trasmissione televi-
siva, chiede a de Lucia se nel suonare la chitarra sia più importante la mano destra o la
mano sinistra. Il chitarrista risponde: «La sinistra è quella che ricerca, è creativa, è in-
telligente. La destra esegue».
Qualche mese dopo, Paco de Lucia è aggredito da un gruppo di fascisti che, nell’indif-
ferenza di una guardia civile che non interviene e continua a dirigere il traffico, cerca-
no di spezzargli le mani. L’aneddoto evidenzia come l’evoluzione musicale sia in stret-
ta connessione con i cambiamenti sociali avvenuti dopo la morte del dittatore. La gioia
di vivere e la transizione democratica si riflettono nel fare musica, dove vacillano gli
steccati che separano i generi.
Se negli album precedenti de Lucia aveva introdotto elementi estratti da altri gene-
ri musicali, in “Almoraima” (Philips, 1976) il flamenco inizia a perdere la sua purez-
za anche nella strumentazione di riferimento. Questo avviene soprattutto nei palos
più festosi (tango, buleria, rumba, alegria) che permettono un approcio differente. L’a-
pertura dell’album è una buleria orchestrata con oud, percussioni, basso elettrico: un
riuscito incontro che prepara alle orchestrazioni dei lavori futuri. Le palmas entrano
ed escono nelle composizioni con organicità. Inoltre l’uso della seconda chitarra per-
mette un’altra innovazione: l’assolo. Questo avviene soprattutto nella rumba Rio An-
cho, un brano che, come vedremo, avrà notevole importanza nel percorso del musici-
sta. Le composizioni spesso sono strutturate con tema, sviluppo e ripresa del tema,
schematizzazione estranea al flamenco tradizionale. “Almoraima” è frutto di un mu-
sicista che ha alle sue spalle la militanza con i più grandi cantaores tradizionali ma che
conosce band come Smash e Gong.
Nell’LP sono già presenti in embrione gli elementi per la seconda rivoluzione di Paco
de Lucia: l’orchestrazione. Allo stesso tempo, in brani come Cueva del Gato (Rondeña)
il musicista innova falsetas e armonie tradizionali, introducendo scale e modi spesso
basati su progressioni esatoniche. Questo dualismo sarà mantenuto da Paco nel corso
di tutta la sua carriera e lo porterà a un’innovazione formale e all’orchestrazione del- CARLOS SANTANA
le arie festose ma, allo stesso tempo, a mantenere un ruolo di solista nei palos solenni
e liberi dalla pulsazione e dal compas, dove raggiunge la massima introspezione, rom-
pendo il linguaggio convenzionale e approdando a una totale ridefinizione del lessi-
co chitarristico.

FLAMENCO E JAZZ-ROCK
La sete di conoscenza e la voglia di esplorare altri generi aprono le porte a colla-
borazioni con musicisti di aree diverse ed estranei alla cultura tradizionale da cui
Paco de Lucia proviene (ad esempio, Carlos Santana). Nel 1978 il chitarrista inter-
preta il compositore classico Manuel de Falla, ma lo fa con la collaborazione del-
la band jazz Dolores. «Ascoltavo De Falla perché mi curava. Se ero triste, lo ascol-
tavo e stavo bene». L’album, “Paco de Lucia interpreta a Manuel de Falla” (Philips,
1978), è un esempio coraggiosissimo dove, a dispetto della copertina in cui è raffi-
gurata la paletta di un’antica chitarra flamenco, la partitura è eseguita con batte-
ria, flauto traverso, basso freetless mentre le chitarre propongono intarsi polirit-
mici. I tempi per una fusione con altri linguaggi sono ormai maturi e la dimensione
cosmopolita di Madrid facilita gli incontri con musicisti di aree diverse. MANUEL DE FALLA

80
TOMATITO E CAMARÓN
LARRY CORYELL

LA LEYENDA DEL TIEMPO


È importante a questo punto deviare per un attimo dalla biografia di Paco de Lucia.
Nel 1979 Camarón de la Isla realizza quello che è considerato uno dei dischi più im-
portanti della storia del flamenco: “La leyenda del tiempo”.
Nell’opera la musica andalusa incontra il sitar, il moog, le chitarre elettriche, la
batteria, e si fonde con progressive rock, jazz e musiche del mondo, con una conce-
zione così aperta e universale da decretare una catastrofe commerciale (i gitani re-
stituivano il disco nei negozi, affermando che quello non era Camarón).
Nonostante ciò, il lavoro ebbe un’esecuzione live alla Plaza de Toros di Barcello-
na, dove la band di Camarón si esibì insieme ai Wheather Report e a Jeff Beck con
GUITAR TRIO
Stanley Clark. Il mondo (fino a quel momento statico) del flamenco si confronta
con il jazz-rock e approda ai grandi circuiti.

MEETING OF SPIRITS
Contemporaneante Paco de Lucia consolida la sua carriera internazionale. Su ini-
ziativa del suo manager nasce il guitar trio Meeting of Spirits, con John McLau-
ghlin e Larry Coryell. È lo stesso de Lucia a sostenere che più di una fusione tra
musiche, si tratta di una fusione tra musicisti di diversa estrazione.
A causa della dipendenza dalla droga, Coryell è sostituito da Al Di Meola. Il trio re-
gistra dal vivo “Friday Night In San Francisco” (Philips, 1981), album di culto per i
chitarristi, che venderà oltre sei milioni di copie. Nell’incontro Paco sviluppa per
la prima volta con sistematicità l’improvvisazione su un materiale armonico.

81
SAGGIO PACO DE LUCIA

“Solo quiero caminar” (Philips, 1981) segna una nuova rivoluzione di Paco de
Lucia apportata al flamenco. Se la prima tensione del suo percorso creativo era
stata affrancare il ruolo del chitarrista da subordinato al canto e al ballo, ora
l’obiettivo era di rendere il flamenco universale

L’ORCHESTRAZIONE
L’eccesso di note che caratterizza il trio (è lo stesso de Lucia a evidenziare
che spesso il virtuosismo ricordava i numeri circensi) contrasta con il lavoro
successivo del chitarrista di Algecira.
“Solo quiero caminar” (Philips, 1981) segna una nuova rivoluzione di Paco de
Lucia apportata al f lamenco. Se la prima tensione del suo percorso creativo
era stata affrancare il ruolo del chitarrista da subordinato al canto e al ballo,
ora l’obiettivo era di rendere il f lamenco universale. Il testo rappresenta una
vera e propria dichiarazione d’indipendenza: «Voglio solo camminare, come
scivola la pioggia sul vetro, come il fiume scorre verso il mare».
Anche se non appare in copertina, è la nascita del Paco de Lucia Sextet: Paco
alla chitarra solista, suo fratello Ramón de Algeciras come seconda chitarra,
il brasiliano Rubem Dantas alle percussioni, Carles Benavent al basso elettri-
co, Jorge Pardo al sax contralto e al f lauto, Pepe de Lucia al canto. Oltre ai tre
fratelli Sanchez, il resto della formazione arriva in gran parte dalla band Do-
lores con cui era stato inciso l’omaggio a de Falla.
Paco de Lucia aveva già partecipato nel 1967, con il nome di Paco de Algeci-
ras, al bellissimo album “Flamenco Jazz” del sassofonista Pedro Iturralde. Se
in quel caso i due elementi, chitarra f lamenco e linguaggio jazz, erano sepa-
rati, in “Solo quiero caminar” si definisce la totale compenetrazione del sax
e del f lauto f lamenco con palmas, chitarra e voce. È, inoltre, introdotto per
la prima volta il cajon peruviano (strumento ormai immancabile in qualsia-
si combo f lamenco) e acquista un ruolo di primo piano anche il basso freet-
CARLES BENAVENT
less, suonato da Benavent (che fonde la tecnica dell’alzapua con l’inf luenza di
Jaco Pastorius).
Il lavoro segna un “prima” e un “dopo”. Se “La leyenda del tiempo” di Ca-
marón de la Isla è il disco che ha rivoluzionato la storia del f lamenco, “Solo
quiero caminar” impone quello che sarà il nuovo modello di orchestrazione.

ONE SUMMER NIGHT


Il CD “Live… One Summer Night” (Philips, 1984) a firma del Paco de Lucia
Sextet definisce ulteriormente il concetto, dando un respiro collettivo che flet-
te nella direzione di una maggiore libertà individuale. Il titolo in inglese ri-
badisce l’universalità del linguaggio flamenco, che può serenamente trovare
un punto di contatto con generi e musiche di ogni angolo del globo. In un cer-
to senso è la definitiva globalizzazione del flamenco. La compenetrazione tra
PEDRO ITURRALDE
gli esecutori è superba e la definizione degli spazi magistrale. L’orchestrazione
non snatura l’anima tradizionale del repertorio. È un arricchimento timbrico e
una ricollocazione della voce da ruolo di primo piano a strumento orchestran-
te. L’internazionalizzazione del genere nasce dalla capacità di Paco di intro-
durre in questo affresco corale quanto di bello e suggestivo incontra nelle sue
tournée e collaborazioni. Nello stesso tempo, de Lucia riprende la produzione
con Camarón de la Isla e Tomatito, dando alla luce tre dischi che consacrano il
nuovo stile di flamenco elettrico, dove i cori e la strutturazione degli arrangia-
menti definiscono il nuovo genere musicale.

82
SIROCO
E arriviamo al 1987. Paco sospende per un attimo l’indagine sull’orchestrazione
per ritornare alla chitarra e concentrarsi su un repertorio interamente dedicato
ai palos tradizionali. Il suo linguaggio solistico appare completamente rinnova-
to, caratterizzato da un toque modernissimo, all’avanguardia ma radicato nel sol-
co più puro del cante jondo. Il virtuosismo strumentale è spasmodico nella buleria
ma è nei brani liberi dalla pulsazione che rinnova le convenzioni armoniche. In Mi
Niño Curro (“Siroco”, Verve) si è più vicini all’immaginario di un pittore che a quel-
lo di un chitarrista. Paco disegna, abbozza le linee e distribuisce le masse accorda-
li quasi come un impressionista. Si afferma l’indipendenza degli accordi dal con-
testo. Il tremolo evoca la tradizione dei grandi maestri gitani ma il passato dialoga
con deviazioni dalle cadenze armoniche e con aperture al modale. È l’opera mae-
stra e la pietra tombale del chitarrismo flamenco espresso per tutto il Novecento.

giammarco/c jam shots


© fabrizio

83
SAGGIO
SAGGIO PACO DEDE
PACO LUCIA
LUCIA

IL JAZZ
Se “Siroco” (Verve, 1987) è un alito di vento che, rinnovando le armonie, definisce
come forma d’arte contemporanea il flamenco, nel 1990 assistiamo a un altro cam-
biamento. «Quando la musica inizia a essere una routine, si perde l’eccitazione del-
la novità e hai bisogno di qualcosa che ti muova dentro. Non avevo mai sentito un
musicista con un sentimento così vicino alla nostra musica come Corea, pianista in
grado di proporre una musica sempre diversa e cangiante».
Paco registra “Zyryab” (Philips, 1990) con, tra gli ospiti, Chick Corea e il superbo
chitarrista Manolo Sanlúcar. Il brano che dà il titolo all’album (dedicato al musici-
sta originario di Baghdad, che tra il Settecento e l’Ottocento rivoluzionò la musi-
ca andalusa) è forse la composizione più riuscita della sua carriera, quella in cui de
Lucia sintetizza al meglio la sua idea di orchestrazione e in cui fonde tutte le sue
esperienze musicali in un capolavoro di arrangiamento al servizio dell’espressi-
vità. Siamo alla piena maturità del musicista che propone un disco jazz-fusion in
cui composizioni che possiamo considerare ballad (Cancion de amor) si alterna-
no ad altre come Tio Sabas in cui il chitarrista ripercorre territori più consoni al
flamenco.
Dopo la parentesi del “Concierto de Aranjuez” (Philips, 1991), opera di Joaquín Ro-
drigo, in parte incisa anche da Miles Davis con Gil Evans in “Sketches Of Spain”
(Columbia, 1960), è la volta del “Live In America” (Philips, 1993), un album che dà
un’idea di quello che sarà da qui in avanti lo sviluppo dei suoi concerti, con l’alter-
nanza tra parti in solo, duetti, orchestrazione della band e ballo.
giammarco/c jam shots
© fabrizio
«Non vedo il flamenco compatibile con la morte. È tutto il contrario. C’è
un’allegria isterica, una voglia di vivere, una grande sensualità… e la sensualità
non ha nulla a che vedere con la morte. È tutto il contrario: è la vita»

LUZIA
E arriviamo a “Luzia” (Mercury, 1998), un lavoro introspettivo caratterizzato dal com-
miato da due persone a lui carissime: sua madre e Camarón (che muore nel 1992).
Se “Siroco” è impeto, sicurezza, virilità, “Luzia” è delicatezza, sussurro, pacatezza. Il
brano che dà il titolo all’album è una seguirilla, la forma con maggior enfasi drammati-
ca della tradizione flamenca, quella più legata al pianto, al dolore, alla sofferenza. Per
quanto Paco interpreti per la prima volta il testo come cantaor, è l’irrequietezza della
sua chitarra che evoca l’ultima carezza, il saluto, la solennità della separazione da sua
madre: “Le corde della mia chitarra piangono… piangono per seguirilla… per mia ma-
dre Luzia”. La sensazione di vuoto e di solitudine è espressa con intensità nella ron-
deña Camarón. Il musicista apporta continue variazioni. Il tempo è sospeso, la ricerca
della dissonanza si sposa con cadenze armoniche irrisolte. La chitarra evoca il canto
ma la melodia è nascosta nella continua ricerca di un’armonizzazione non convenzio-
nale, con progressioni care a Debussy. La voce di Paco mostra un uomo in tutta la sua
fragilità.

LA RICERCA DEL SILENZIO


Nell’ultimo decennio la musica di Paco de Lucia ha più a che fare con il vuoto e con
l’assenza che con la ricerca frenetica di una scala. «Richiede maggior sforzo un si-
lenzio che una scala vertiginosa». Questo concetto è approfondito in modo magi-
strale in “Cositas buenas” (Universal, 2004) dove, in modo molto simile ma con
maggior coerenza, de Lucia usa tutti gli ingredienti della tradizione come un com-
positore colto. Nell’album, caratterizzato da colori pastello, si fa strada la consape-
volezza dello spazio, della relazione complessa con il suono del silenzio.
Il live “En vivo - Conciertos España 2010” (Universal, 2011) sviluppa il pensiero
alla base dei suoi ultimi tre album. La rosa degli strumenti coinvolti è allargata
all’armonica a bocca, in sostituzione del flauto traverso, e la band è completamen-
te rinnovata con giovani esecutori. La musica acquista in freschezza e dà forza a
un musicista profondamente innamorato della musica ma stanco di una vita vissu-
ta tra aeroporti, hotel, taxi, interviste.
«Io rivendico Francisco Sanchez, cui piace la tranquillità, la pace, la serenità: tutti
elementi incompatibili con il vivere con Paco de Lucia».
Paco de Lucia trovava questa serenità in Yucatan (Messico), in un contesto in cui
alternava il suo lavoro di compositore e chitarrista al contatto quotidiano con il
mare, elemento di cui più volte ha ribadito l’importanza.
«L’uomo che nasce vicino al mare è più sognatore. Ha una percezione della libertà.
Io non posso stare lontano dal mare per molto tempo. Ho bisogno di questa espan-
sione, quel poter respirare, con giovamento, a fondo».
Il 26 febbraio 2014, guardando il mare, mentre giocava con i suoi bambini, Paco ci
ha lasciati. Il mondo della musica si è svegliato scosso da una violenta onda di ri-
sacca. Oggi sul bagnasciuga, dopo una serena bonaccia, affiorano lame di ossidia-
na, ciottoli levigati dal tempo, gemme preziose che sintetizzano la sua vita, tracce
di una musica sublime.
«Non vedo il flamenco compatibile con la morte. È tutto il contrario. C’è un’allegria
isterica, una voglia di vivere, una grande sensualità… e la sensualità non ha nulla a
che vedere con la morte. È tutto il contrario: è la vita»

85
JAZZ ANATOMY
© ROBERTO POLILLO

D-NATURAL BLUES
DI ROBERTO SPADONI LA STELLA DI WES MONTGOMERY NEL FIRMAMENTO DEL JAZZ

86
A
ll’inizio degli anni Quaranta il pianista e direttore d’orchestra
Claude Thornhill (1908 Terre Haute, Indiana – 1965, New Jersey),
dopo aver collaborato nei primi anni della sua carriera con organici e
musicisti prestigiosi quali Paul Whiteman, Benny Goodman, Ray Noble, Glenn
Miller e Billie Holiday, formò un’orchestra a proprio nome. Lo affiancarono in
quest’avventura, tra il 1941 e il 1948, alcuni giovanissimi e valenti musicisti tra
cui spiccano i nomi dei sassofonisti Lee Konitz e Gerry Mulligan, del chitarrista
Barry Galbraith, del clarinettista Danny Polo, del tubista Bill Barber. Una
pedina fondamentale fu l’arrangiatore Gil Evans, la cui formazione giovanile
avvenne proprio grazie alla collaborazione con Thornhill: le esperienze
e le scelte maturate in quegli anni di continua e fruttuosa cooperazione
influenzarono tutta la brillante carriera dell’arrangiatore canadese. Claude
Thornhill costruì il suo organico introducendo strumenti inconsueti per
un’orchestra jazz quali il corno, il basso tuba, il clarinetto basso e in alcune
occasioni un’intera sezione di clarinetti: produsse in questo modo un suono
cameristico soave, leggero e subito riconoscibile, riscuotendo durante quegli
anni di attività un ottimo successo. Si trattava di un’elegante dance band che
suonava soprattutto per far ballare il suo pubblico, ma con un alto grado di
attenzione alla sonorità, al timbro e al repertorio, con richiami più o meno
celati alla musica europea. Nel panorama delle orchestre da ballo jazzistiche
introdusse un elemento di discontinuità clamoroso che ispirò molte esperienze
negli anni successivi, a partire dal corpus di incisioni raccolte sotto il titolo di
“Birth Of The Cool”. In un certo senso fu proprio Thornhill, indubbiamente
coadiuvato dalla sensibilità di Evans, a inventare con qualche anno di anticipo
quell’estetica che venne poi definita per l’appunto “cool jazz”.
Gil Evans scrisse degli ottimi arrangiamenti per quell’ensemble,
impratichendosi rapidamente nell’impiego di una strumentazione così
originale. Alcuni dei musicisti dell’orchestra (come il già citato Bill Barber o
il trombettista Louis Mucci) parteciparono nel decennio successivo a molte
incisioni effettuate da Evans, tra cui quelle realizzate con Miles Davis.
Un altro punto importante da sottolineare è l’influenza che Evans ebbe anche
sulla scelta del repertorio dell’orchestra: fu lui infatti a suggerire l’inserimento
di brani scritti da quegli autori afroamericani (i bopper) che proprio in quegli
anni stavano compiendo un’altra rivoluzione assoluta. Il canadese abitava in
un seminterrato posto alle spalle di una lavanderia cinese, a New York, in cui
amava ospitare musicisti per scambiare idee e opinioni. Tra i vari frequentatori,
i due dioscuri del be bop, Charlie Parker e Dizzy Gillespie. Nacque così l’idea
di poter lavorare sulle loro composizioni: Evans produsse per l’orchestra di
Thornhill arrangiamenti di brani come Anthropology e Donna Lee (tra i più
famosi del repertorio boppistico), che si rivelarono carte vincenti, con un
ottimo successo di vendite.
Questa congiuntura mise in contatto Evans con molti dei musicisti che a New
York lavoravano a nuovi orizzonti per il jazz: tra questi, il trombettista Miles
Davis, con il quale avrebbe intrecciato le strade per il resto della sua esistenza.

87
JAZZ ANATOMY

THE INCREDIBLE JAZZ GUITAR OF WES MONTGOMERY


Per la seconda pubblicazione Orrin Keepnews decise di affiancare
al chitarrista una sezione ritmica moderna e swingante, scegliendo
i musicisti tra i migliori session man presenti sulla scena newyorkese:
Tommy Flanagan al pianoforte, Percy Heath al contrabbasso e Albert
“Tootie” Heath alla batteria. Nacque così, in due sessioni di registrazione
avvenute il 26 e il 28 gennaio 1960, uno dei più celebri album del jazz
moderno: “The Incredible Jazz Guitar Of Wes Montgomery” (Riverside
1960).
Furono registrate otto tracce: quattro brani originali (tra cui i celeberrimi
Four On Six e West Coast Blues), due brani strumentali di grandi autori di
jazz (Airegin di Sonny Rollins e In Your Own Sweet Way di Dave Brubeck)
e due standard, a testimonianza di uno sguardo ampio al mondo del jazz
da parte di un musicista vissuto per molti anni in una località defilata dai
grandi centri di sviluppo di questa musica. I risultati furono stratosferici:
da quell’uscita discografica tutti i chitarristi jazz a venire non avrebbero
potuto ignorare il nuovo gigante dello strumento.
D-Natural Blues (uno degli originali) è il secondo brano nella scaletta
dell’album: si tratta di un tradizionale blues di dodici misure preso a un
tempo medium molto rilassato (intorno ai 100 bpm), nell’insolita tonalità
di Re maggiore (insolita per il jazz, ma non per la chitarra che ha grande
sonorità in quella tonalità).
Il tema, altro particolare inconsueto, è esposto solo una volta: il
chitarrista lo suona interamente a ottave, mentre la sezione ritmica suona
degli obbligati con la tecnica dello stop time alla fine della prima e della
seconda misura, accompagnando poi dalla quinta battuta in poi con uno
swing morbido e avvolgente, scandito con precisione dal contrabbasso di
Percy Heath e spalmato nello sfondo dalle spazzole del fratello batterista.

esempio 1

Tommy Flanagan prende il primo assolo, perpretando il clima di relax,


stiracchiandosi con virtuosistici fraseggi e inf lessioni bluesy e andando
avanti per due chorus. Quando entra Wes Montgomery (01’:34”) si capisce
subito che non ha intenzione di girare intorno alle questioni molto a lungo:
il fraseggio a single note è da subito serrato, di forte impronta ritmica, con
un attacco deciso. Sin dall’inizio Montgomery comincia a sciorinare frasi
che sottintendono un double time feel e che entreranno nel vocabolario
dei chitarristi jazz di molte generazioni. L’unico degli accompagnatori ad
accennare a una qualche reazione, seppur contenuta, è il pianista, mentre
il resto della ritmica continua imperterrito a macinare relax e swing: il
risultato è una straordinaria tensione che si insinua dalle prime battute e

88
© ROBERTO POLILLO

che il leader porterà sempre più su in un esonerabile crescendo di cinque


chorus.
Ecco alcune di quelle frasi, di meravigliosa fattura hard bop. A misura
4 del primo chorus troviamo una cadenza II V di parkeriana memoria
condotta sulla discesa cromatica della fondamentale di Ami7 che scende
verso la terza di D7

esempio 2

Poco più avanti, a misura 6, Montgomery dimostra di avere un fraseggio


moderno e sofisticato, suonando una scala diminuita tono-semitono
sull’accordo di IV grado G7: nell’esempio 3 è proposta un’analisi della
melodia rispetto all’accordo nascosto G#°7 con i simboli “I” per nota
dell’accordo (inside, all’americana), “Ch” per cromatismo, “pt” per passing

89
JAZZ ANATOMY

tone (“nota di passaggio”) o “enc” per enclosure, ovvero la tecnica di


circondare una nota di risoluzione con il grado superiore e inferiore
o viceversa.

esempio 3

Un altro guizzo denso di tensione e sound jazzistico è la sortita


che ascoltiamo alla misura 4 del secondo chorus dell’assolo: Wes
Montgomery sostituisce di sana pianta la cadenza II/V che porta a G7
(Ami7 - D7) con un’altra cadenza della stessa forma esattamente a un
tritono di distanza (Ebmi7 - Ab7). Siamo agli albori del 1960 e questo
tipo di sostituzione non è certo una novità, ma dimostra nuovamente
come il chitarrista da poco approdato a New York si inserisca con
spontaneità nel novero dei solisti più in auge in quegli anni.

esempio 4
© ROBERTO POLILLO

90
A cavallo tra la fine del secondo e l’inizio del terzo chorus il solista
abbassa improvvisamente la tensione ritmica e melodica: è una zona
di stasi gestita con totale padronanza della forma e dello sviluppo,
preludio delicato alle esplosioni che ci attendono nel quarto e nel
quinto giro di improvvisazione.
È in questa sezione di chiusura che egli intende portare il f lusso
improvvisativo al climax: non appena il chitarrista approccia il nuovo
chorus con la potenza debordante delle ottave, la reazione di Albert
Heath alla batteria è immediata, con uno scattante e propulsivo double
feel che crea un dinamico contrasto con l’inamovibile pulsazione del
contrabbasso.
L’inizio dell’ultimo chorus investe l’ascoltatore di strabordante
ma controllata energia ritmica. Wes Montgomery sta ormai
sovrapponendo un altro brano, è immerso completamente nel double
feel che ha suggerito e costruito dall’inizio dell’assolo: si inoltra
a questo punto su una straordinaria sovrapposizione poliritmica
e polimetrica suonando, dal secondo movimento della battuta,
in quello che lui vive come un 3/4, ma che risulta essere rispetto
al contrabbasso, che non si è spostato di un millimetro, una fitta
figurazione in 3/8. Il contrasto ritmico tra contrabbasso e chitarra,
la carne che si percepisce dalle loro sonorità è goduria impagabile.

esempio 5

L’esplosione definitiva avviene dalla misura cinque di questa sezione


conclusiva: un Re, una semplice tonica del blues in questione, viene
ribattuta a ottave e a distanza di ottava con divisioni ritmiche
strettissime e vertiginose. In una sorte di animata discussione con sé
stesso il chitarrista arriva al culmine, ci porta sulla vetta più alta, ci
consegna un brivido che si rinnova a ogni ascolto. L’uscita di scena
è graduale: le ultime misure ci conducono fino al primo movimento
della prima misura del nuovo chorus, territorio dell’assolo del titanico
Percy Heath.
La conclusione della scorribanda è la più logica e semplice che
si possa immaginare: la sensibile Do# che sale alla tonica Re. In
questo ascolto mancano solo gli scroscianti applausi, gli yeah man, i
mugugni di approvazione che l’ascolto di questo album ha strappato a
generazioni di musicisti e appassionati: la stella di Wes Montgomery
è nata, e il suo posto nel firmamento del jazz non glielo toglierà più
nessuno

91
INTERVISTA PAOLO DAMIANI

Paolo
INTUIZIONI JAZZ
IL CONTRABBASSISTA PAOLO DAMIANI HA DA POCO
PUBBLICATO PER LA VOLONTÈ & CO. IL VOLUME
DAL TITOLO “MANUALE DI COMPOSIZIONE E
IMPROVVISAZIONE – INTUIZIONI JAZZ” (2013).
IL LIBRO DIDATTICO PROPONE NON SOLO
ELABORAZIONI TECNICHE E TEORICHE MA ANCHE UN
INTERESSANTE LEGAME TRA IL LINGUAGGIO DELLA
MUSICA E QUELLO DELLE ALTRE ARTI: IL TUTTO CON
UN APPROCCIO INNOVATIVO E INEDITO.
NE ABBIAMO PARLATO CON L’AUTORE

DI EUGENIO MIRTI
© MONICA LEGGIO
INTERVISTA PAOLO DAMIANI

«Nella mia vita avrei dovuto fare l’architetto e questo mi ha lasciato una
sorta di “deformazione” che mi fa pensare alla musica anche in funzione
del suo ruolo nello spazio, che è fatto di pieni e di vuoti, di percorsi»

Perché il titolo Intuizioni jazz?


È un titolo assolutamente programmatico! L’intuizione rappresenta per me una
forma di conoscenza privilegiata, è un saper vedere dentro senza ragionamenti ma
sulla base di echi e ombre; l’intuizione è immediata, improvvisa: con la logica si
può dimostrare ma con l’intuizione si inventa. Mi pare che la didattica corrente,
soprattutto quella americana, prediliga lo studio tecnico a scapito di tutto il resto;
naturalmente la tecnica è indispensabile, ma nel mio libro la si incontra solo nel-
la seconda parte, perché ho deciso di anteporle altri argomenti più legati all’arte
in generale.

Come hai progettato il lavoro?


Naturalmente è basato sui miei appunti, poiché insegno da più di trent’anni. Ricor-
do le lezioni con il mio maestro storico, Bruno Tommaso: duravano anche otto ore
e si trattava di tutto, improvvisazione, composizione, classica, jazz, con un dialo-
go aperto e costante che spaziava su argomenti e territori assai diversi. Il mio la-
voro rispecchia un po’ questo “non” metodo: ho cercato di affrontare i vari aspet-
ti del jazz e della musica in generale, privilegiando gli aspetti più creativi e più
legati all’immaginazione. Sono convinto, infatti, che tutti possano comporre e
improvvisare.

Qual è il contributo originale di Intuizioni Jazz?


Mi pare che ci sia un’apertura maggiore rispetto a numerosi temi che spesso non
vengono trattati. Un esempio è il rapporto tra musica e testo, che nel mio percor-
so ho sviluppato con Stefano Benni, David Riondino, Ivano Marescotti e molti al-
tri. Tra musica e letteratura possono esserci diverse interazioni, ma nessuno ti in-
segna come sviluppare un rapporto con una voce recitante. Molti di questi capitoli
potrebbero essere dei veri e propri dottorati di ricerca per un nuovo modo di co-
struire una scuola di musica. Nella mia vita avrei dovuto fare l’architetto e questo
mi ha lasciato una sorta di “deformazione” che mi fa pensare alla musica anche in BRUNO TOMMASO
funzione del suo ruolo nello spazio, che è fatto di pieni e di vuoti, di percorsi. Per-
ciò penso la musica in questi termini, come degli andamenti, corridoi che condu-
cono a una piazza, che può metaforicamente rappresentare il tema... Immagino la
musica come un tessuto medievale molto intrecciato dove è facile perdersi e que-
sto mi ispira delle particolari suggestioni per cui magari arrivo a scrivere quat-
tro o cinque melodie contemporaneamente, molto intricate, e il monumento della
piazza può allora diventare, metaforicamente, un evento particolarmente forte dal
punto di vista melodico, ritmico o timbrico. Ho studiato la fuga e il contrappunto,
che sono forme classiche, però non le utilizzo molto: nella mia musica l’architettu-
ra o la danza sono più significative. Tutti questi sono strumenti che ho elaborato
in chiave compositiva per aiutare a far sviluppare poetiche originali; mi piacereb-
be che ognuno possa far emergere la propria e unica voce.

Sei un personaggio poliedrico e “rinascimentale”, nel senso di attivo su più


fronti contemporaneamente. Come ti definiresti?
Un artista che pensa e ragiona sulla musica, ma che soprattutto la inventa, la rea-
lizza, e la fa realizzare. Di certo mi piace anche impegnarmi nella direzione arti-
stica di festival e nell’insegnamento, luogo privilegiato per incontrare giovani ta- STEFANO BENNI

lenti e imparare a mia volta.

94
© MONICA LEGGIO
© MONICA LEGGIO

Che cosa ti piacerebbe che lasciasse a un lettore lo studio del tuo libro?
Che possa riuscire a guardare alla musica come a un campo inesplorato, in modo
più aperto, in relazione alla vita e ad altri linguaggi artistici. Per me la musica non
è solo intrattenimento, penso sia un sistema di segni capace di rappresentare il
mondo; la musica ha a che fare con l’Assoluto, che è tale in quanto non dipende da
null’altro che da sé. L’importante è che ci sia poesia, nella musica come nella vita. I
mezzi per crearla sono infiniti e compito della scuola o di una didattica è appunto
quello di aiutare a svilupparli. Inoltre penso che «ciascuno di noi sia una moltitudi-
ne, la ricerca dell’identità è un tentativo destinato all’insuccesso», come ha scritto
Umberto Galimberti. In musica l’alterità è un campo d’esplorazione privilegiato, i
suoni valicano agevolmente le frontiere verso moltitudini di ascolti e sguardi; per-
ciò è sano andare verso nomadismi e meticciati artistici. L’alterità si gioca su piani
diversi: quello dell’artista con sé stesso («Je est un autre», Rimbaud), con il proprio
inconscio, e quello dell’artista con altri artisti, che si esprimono con differenti lin-
guaggi o che provengono da luoghi diversi.

Qual è il lettore ideale?


Essendo un manuale, Intuizioni Jazz è certamente modellato con prospettive di-
dattiche, ma i suoi contenuti sono assai variegati e soprattutto esposti in modo
aperto, per sollecitare riflessioni, interrogativi e appropriazioni di metodo. In que-
sto senso possono stimolare non solo studenti o studiosi, ma anche quanti desideri-
no approfondire l’approccio jazzistico, che per me si basa su modalità compositive
fortemente caratterizzate dalla creatività pura e dall’improvvisazione. In questo
senso vuol essere un testo di riferimento non solo sul jazz ma sul modo di senti-
re jazzistico tout court, e credo possa essere utile per principianti come per musi-
cisti già formati.

95
INTERVISTA PAOLO DAMIANI

© MONICA LEGGIO
© MONICA LEGGIO
Dati i contenuti originali e correlati con personalità pensi che sarà possibile
una traduzione in inglese del lavoro?
Certamente sì, e spero anche in francese; naturalmente dovrò pensare a un tra-
duttore che possieda non solo la competenza, ma anche la sensibilità per cogliere a
fondo certe sfumature che caratterizzano il metodo.

Molto stimolante è la mancanza di distinzioni stilistiche musicali: si spazia


dal jazz alla classica alla serialità. Come consiglieresti a un giovane di consi-
derare e organizzare ascolti musicali e letture?
Sono convinto che un’eccessiva specializzazione nuoccia alla musica, e anche alla
GIORGIO GASLINI
vita, e del resto sulla composizione musicale ho imparato molto di più alla facol-
tà di Architettura che in conservatorio e in tal senso sarebbe una contraddizione
suggerire un percorso standard o ottimale. Consiglierei al contrario un andamen-
to personalizzato o perché no, anche “random”.

Quali sono secondo te i metodi più importanti che uno studente dovrebbe co-
noscere e che il tuo in un certo senso integra?
Citerei i metodi classici, e molto utilizzati, che ho ovviamente ripreso nella mia ric-
ca bibliografia: George Russell, certi testi della Berklee, Dobbins, Nestico, Inside
the Score di R. Wright, Lacy, Persichetti, Gaslini, Schönberg, Liebman, le partitu-
re di Kenny Wheeler… ma ce ne sono molti altri. Si tratta di testi solidi che nell’am-
biente jazzistico costituiscono la base del sapere comune. Ma ormai da qualche
anno, oltre ai testi di origine americana, si stanno affermando altri autori che pro-
pongono approcci assai originali; penso ai libri di Siron, al recente lavoro di Fran-
co D’Andrea sulle aree intervallari ma anche a opere dal taglio musicologico come
quelle di Caporaletti, Franco, Onori e altri. ARNOLD SCHÖNBERG

96
«La scuola ha il dovere di garantire le competenze musicali irrinunciabili
per tutti gli studenti e al tempo stesso di sostenere i talenti emergenti:
l’alfabetizzazione artistica ha lo stesso valore di quella linguistica»

Pensi che questo manuale avrà un seguito? Immagino una versione “2.0” con
approfondimenti e nuovi stimoli derivanti da altri linguaggi artistici?
Come per tutte le attività, il problema non sono le idee ma il tempo. Tra didattica, com-
posizione, attività concertistica e di direzione artistica c’è sempre un conflitto in corso:
per scrivere Intuizioni Jazz mi sono dovuto chiudere per un po’ di tempo nella mia casa
di Parigi per trovare il silenzio e la distanza, la giusta concentrazione. Ma certamente
il fatto che ormai il testo già esista e venga utilizzato nei conservatori crea un presup-
posto importante che, mi rendo conto, mi porta istintivamente ad accumulare appun-
Copertina_MB346:Layout 1 12/09/13 10:28 Pagina 1

ti, idee, brani musicali interessanti, e così via. Vedremo che ne pensa il mio editore Mar-
Paolo Damiani
co Volontè!

Paolo Damiani
PAOLO DAMIANI
Compositore, direttore d’orchestra, contrabbassista e violoncellista, didatta, direttore artistico
e architetto.
Dal 2002 dirige il Dipartimento di jazz presso il Conservatorio romano di Santa Cecilia, che
comprende musicisti fra i più importanti in Europa.
MANUALE DI COMPOSIZIONE
È stato direttore artistico e musicale dell’ONJ – Orchestra Nazionale Francese di Jazz, primo
artista straniero ad averne vinto il concorso.
Ha fondato e diretto festival internazionali di Jazz. Tra essi “Una striscia di terra feconda” di
E IMPROVVISAZIONE
Intuizioni Jazz
Roma, insieme ad Armand Meignan (dal 1998); «Percorsi Jazz» di Roma (dal 2007); «Rumori
Mediterranei» di Roccella Jonica (1982 – 2012); “Atina jazz” (1986-1992).

MANUALE DI COMPOSIZIONE E IMPROVVISAZIONE


Ha inciso dischi per etichette come ECM, EGEA, ENJA, Splasc(h), Leo Records, Musica Jazz,

Come immagini il futuro del jazz in Italia?


Full Color Sound, Parco della Musica, Rai Trade.
Nel gennaio 2011 ha vinto il referendum TOP JAZZ del mensile Musica Jazz, come miglior
compositore dell’anno.
Il 2 giugno 2008 il Presidente della Repubblica gli ha conferito l’onorificenza di Cavaliere per
meriti artistici.

Domanda assai complessa... Come possono reagire gli artisti allo stato di profonda umi- “Arriva un momento in cui la passione, col tempo, diventa piena consapevolezza, l'emozione trova finalmente il pensiero e inizia
un nuovo cammino artistico. A quel punto, in quel preciso momento, dopo tanto vagare, scrivere un libro in musica è come tornare
a casa. Grazie Paolo!”

liazione in cui oggi versa la cultura in Italia, al degrado estetico e quindi etico che è sotto
Danilo Rea

“Un libro anomalo che non è un metodo tradizionale e che dunque manca nell’ampio panorama della recente editoria musicale.
Avessi avuto allora un libro come questo o avessi avuto l’intuizione del capire, sarei stato in grado di individuare la mia strada
velocemente e la mia musica sarebbe lievitata prima. Intuizioni Jazz è un lavoro con molte parole e molte note, a volte la risposta
alle domande non c’è ma esiste invece un luogo di riflessione e di scambio che dovrebbe essere alla base della filosofia

gli occhi di tutti? Come opporsi ai tagli dissennati contro la scuola, la ricerca, lo spetta-
dell’apprendimento”.
Paolo Fresu

“Non sono sorpreso che Paolo sia autore di questa splendida opera: conoscendolo sono sorpreso che abbia aspettato così tanto.
Da sempre è in possesso della "pietra angolare" su cui costruire un edificio nel quale ci siano "domande più che risposte". Questo
lavoro permetterà a "BLANCHE" di essere cosciente che "Nel mondo dell'arte e della musica si avanza tutti ricalcando le orme
altrui, seguendo il cammino aperto da qualcuno altro, per intraprendere successivamente il nostro..." (Reginal Smith Brindle)”.

colo? Come uscirne? Credo facendo ciò che ci riesce meglio, incentivando cioè la cre-
Gianluigi Trovesi

“Paolo Damiani, comme l’a remarquablement montré son passage à la tête de l’Orchestre National de Jazz, est un compositeur
brillant et novateur, un « architecte des sons », capable de fédérer avec bonheur, au sein de ses différentes formations, les
personnalités musicales les plus diverses”.
“Come ha magnificamente dimostrato dirigendo l’Orchestra Nazionale Francese di Jazz (ONJ), Paolo Damiani è compositore splendido e

azione musicale e artistica che ha bisogno di soggetti diversi: compositori, interpreti,


rivoluzionario, un architetto di suoni in grado di assemblare felicemente le più diverse personalità musicali nei gruppi da lui diretti”.

Intuizioni Jazz
Armand Meignan

“Intuizioni jazz è un saggio e un manuale singolare: non fornisce solo informazioni puntuali e corredate da esempi vitali, ma propone
aperture di pensiero e pone interrogativi: il dono più grande che si possa fare ad un musicista che si affacci al lavoro peculiare

un pubblico numeroso nonché interlocutori pubblici e privati. Tutto questo non nasce
dell’essere arrangiatore e compositore nell’ambito della musica improvvisata. Un libro immensamente utile non solo a studenti e
musicisti jazz, ma anche a fruitori e ricercatori di provenienza classica o di altre matrici stilistiche. Enjoy!” Maria Pia De Vito

“Non un semplice libro, ma un vero e proprio trattato di musica a 360 gradi. Un’opera indispensabile, colta, ricca di spunti e
approfondimenti fondamentali. Complimenti Paolo, un grande lavoro”
Roberto Gatto

dal nulla ma è frutto di un processo culturale e di un progetto educativo basato su scel- ISBN 978-88-63883-40-4

Code MB346

te precise. 9 788863 883404

PAOLO DAMIANI

Sei un didatta molto attivo: quale dovrebbe essere in questo senso il ruolo MANUALE DI COMPOSIZIONE E IMPROVVISAZIONE
della scuola? INTUIZIONE JAZZ
VOLONTÈ & CO., 2013
La scuola ha il dovere di garantire le competenze musicali irrinunciabili per tutti gli
studenti e al tempo stesso di sostenere i talenti emergenti: l’alfabetizzazione artistica Pagine 186 – 240 + CD - 29,90 euro
ha lo stesso valore di quella linguistica. La vocazione artistica è patrimonio individuale
Il lavoro di Paolo Damiani costituisce
di ogni cittadino e dovrebbe essere sviluppata nell’ambito della scuola secondo percor-
una valida alternativa alle migliori
si che prevedano sia studi finalizzati a futuri sbocchi professionali sia azioni musicali e produzioni anglosassoni dedicate
artistiche rivolte a tutti gli studenti, senza intenti professionali. A mio parere è arrivato alla composizione e a all’improvvisa-
insomma il momento di progettare un percorso di studi che si sviluppi logicamente dal- zione, integrandole e completandole
con elaborazioni inedite e originali.
la primaria fino all’Alta Formazione, ripensando ruolo e funzioni dei conservatori e po-
La peculiarità del volume è la mol-
tenziando i corsi per la formazione dei formatori, magari sul modello francese dei CFMI teplicità di riferimenti: alla brillante
(Centres de Formation de Musiciens Intervenants). esposizione delle tecniche specifi-
che si abbina così l’analisi della mu-
sica nell’ambito di un contesto cul-
Come unire questi aspetti legati alla formazione con la produzione musicale,
turale più ampio, e paragrafi come
la ricerca e la musica dal vivo? Il jazz come processo intercultura-
La musica è una risorsa economica e occupazionale fondamentale… ma di quale speci- le e La musica è architettura sono
fica musica stiamo parlando? Si impongono alcune distinzioni: la prima è quella della stimolanti e di particolare bellezza.
Naturalmente la parte più tecnica
qualità, la seconda è quella fra musiche che possano vivere in autonomia sole sul merca-
costituisce il cuore del metodo: te-
to e quelle che hanno bisogno del sostegno pubblico. I capitali spesi per la cultura devo- oria degli armonici, intervalli, siste-
no essere potenziati in quanto sono investimento, non elargizione. Ogni centesimo inve- ma tonale, melodia, tempo, metro,
stito dal paese in cultura, ritorna centuplicato. Il vero profitto della cultura è la crescita ritmo, poliritmia, e così via. Ogni ar-
gomento è esposto in un paragra-
sociale e culturale del paese, che consente nel tempo anche ricadute di tipo economico.
fo sintetico ma chiaro, con nume-
rosi esempi tratti dai brani che si
Hai in programma nuovi dischi? possono ascoltare nel CD allegato.
Proprio nello spirito della sinergia delle diverse discipline ho registrato un lavoro con Di rilievo sono le sezioni dedicate
a forma, struttura, caso e serialità.
Rosario Giuliani, Daniele Tittarelli, Michele Rabbia e Marco Bardoscia, che vuole co-
Un lavoro che riesce brillantemen-
niugare le danze di Bach con i teatri di Renzo Piano: un incontro-scontro che mi ha ispi- te nel portare contributi originali e
rato sette composizioni originali che usciranno per la Parco della Musica Records ingegnosi alla materia. (EM)

97
3DB TRIO
CHIAROSCURO
DODICILUNE, 2013

Dietro alla sigla 3dB si celano il chitarrista


Pietro Di Domizio, il bassista Michelangelo
Brandimarte e il batterista Luca Di Battista,
un trio che si muove con grazia ed eleganza
su un repertorio originale a eccezione dello
standard You Don’t Know What Love Is.
Mantenendo una forte identità timbrica, i 3dB
giocano a costruire ambienti espressivi diversi ora con atmosfere
rarefatte (If ), ora con un nouveau swing (Bad), ora con melodie
fortemente mediterranee (Non era il giorno), ora con sonorità più
acide e con un assetto ritmico jazz-rock oriented (Spring). (LV)

BEPPE ALIPRANDI JAZZ ACADEMY SEXTET


MORE DUKE!
ULTRA SOUND, 2013

Scrive il polistrumentista Beppe Aliprandi:


«Ciò che a me interessa conservare del Duca
sono soprattutto l’atmosfera e il colore,
cioè il mood in cui egli sapeva immergere

RECORDS
le sue splendide melodie». Ed ecco un
omaggio tutt’altro che filologico quanto un
riaggiornamento del repertorio ellingtoniano
sotto il profilo armonico, timbrico e ritmico: affascinante la
trasformazione di Washington Wobble che il Jazz Academy Sextet
a cura di rivista con due diversi approcci metrici e con diversi arrangiamenti
Luciano Vanni brass: a dimostrazione che la musica del Duca è open source. (LV)

JULIAN ARGÜELLES
CIRCULARITY
CAM JAZZ, 2014

Il sassofonista inglese Julian Argüelles,


classe 1966, firma il suo esordio alla CAM
Jazz alla guida di un quartetto stellare

82
totalmente inglese, comprendente John
Taylor al pianoforte, Dave Holland
al contrabbasso e Martin France alla
batteria. Argüelles combina diverse virtù:
competenza armonica, fraseggio plastico, tecnica invidiabile
ed eleganza espressiva, in costante equilibrio tra esuberanza e
liricità, energia e concentrazione. Dentro “Circularity” funziona
tutto alla perfezione, nelle ballad e nei fast più modern hard bop
MAGGIO / GIUGNO 2014

JAZZ
oriented. (LV)

BELÉM TRIO
KARABASH
NEU KLANG, 2014

Ciò che caratterizza questo piano trio

REVIEW
pesarese (composto dal pianista Diego
Brancaccio, dal bassista Filippo Macchiarelli e
dal batterista Luca Luzi) è il sound di gruppo,
di grande impatto timbrico e carico di groove.
Significativa la scelta espressiva, che possiamo
definire progressive jazz, che si manifesta
in un repertorio originale (a eccezione dello standard God Bless
The Child) fatto da composizioni ora vertiginose, ora liriche, ora
melanconiche, ma comunque fortemente personali e cariche di
energia, ben scritte e arrangiate. Un debutto significativo. (LV)

98
RECORDS JAZZ REVIEW

PAOLO BIRRO/ALFREDO FERRARIO LUIGI BLASIOLI


THE IRVING BERLIN SONGBOOK SOUNDS OF ARACSEP VALLEY
VELUT LUNA, 2013 DODICILUNE, 2013

Ciò che un tempo era una pratica diffusa, quella «Nove racconti trasformati in nove pezzi jazz»:
di rileggere il songbook dei padri fondatori è il contrabbassita abruzzese Luigi Blasioli,
della canzone americana, ultimamente è cosa nella decima e ultima traccia del CD, dal titolo
rara ed ecco perché questo album registrato My Voice From The Valley, a indicarci una
dal pianista Paolo Birro e dal clarinettista possibile lettura di un disco che si connota
Alfredo Ferrario è qualcosa di speciale. Ma come un concept album. Questo si evolve con
non solo. Birro e Ferrario passeggiano attorno un unico flusso narrativo; divertissement,
a uno dei più significativi repertori del Novecento, quello di Irving swing, atmosfere briose (A Village Holiday) e altre più contemplative
Berlin, con grande disinvoltura, eleganza, fantasia, ispirazione, e intimiste (Lost In The Woods). Il quintetto diretto da Blasioli si
swing, partecipazione emotiva e soprattutto con quel feeling e avvale di tre special guest: il trombettista Gabriel Oscar Rosati e i
quel relax che denota confidenza con repertorio e autore. (LV) sassofonisti Michael Rosen e Max Ionata. (LV)

SEAMUS BLAKE/CHRIS CHEEK FRANCESCO BRANCIAMORE


REEDS RAMBLE REMEMBERING B. E.
CRISS CROSS JAZZ, 2014 CALIGOLA, 2014

Session discografica “live in studio” in puro «Ho lavorato sull’anima classica di Bill
spirito modern hard bop per il quintetto Evans, cercando di mettere in rilievo
americano composto da Seamus Blake (sax l’influenza che hanno esercitato su di
tenore), Chris Cheek (sax tenore e soprano), lui Chopin, Ravel, Debussy e Satie»: con
Ethan Iverson (pianoforte), Matt Penman queste parole Branciamore introduce
(contrabbasso) e Jochen Rueckert (batteria). “Remembering B. E.”, un album dove le
Atmosfere anni Cinquanta con citazioni del composizioni di Evans (Peace Piece, Waltz
repertorio di Elmo Hope e di Eddie Harris. Ma l’album “Reeds For Debby e Time Remembered), e buona parte del repertorio
Ramble” è anche una testimonianza di trasversalità espressiva da lui più amato, tornano a nuova vita con arrangiamenti che
attraverso l’interpretazione di brani a firma di Chico Buarque (Na prevedono l’esecuzione delle trascrizioni delle improvvisazioni
Carreira) e di Brian Wilson (‘Till I Die): un sax summit dei nostri evansiane con un organico da musica da camera. Emergono nuove
tempi. (LV) potenzialità espressive. (LV)

99
RECORDS
INTERVISTA JAZZ
SILVIA
REVIEW
BOLOGNESI

© NIKO GIOVANNI CONIGLIO


SILVIA
BOLOGNESI
IL MANDORLO
ABBIAMO PARLATO CON SILVIA BOLOGNESI DEL SUO ULTIMO ALBUM, “IL MANDORLO”
(2013), PUBBLICATO DALL’ETICHETTA FONTEROSSA E REALIZZATO CON GLI ALMOND
TREE: PASQUALE MIRRA, TONY CATTANO E DANIELE PAOLETTI

DI ROBERTO PAVIGLIANITI

100
«Praticando tanta musica improvvisata uso molto di più l’archetto
rispetto alla media. Ho studiato contrabbasso classico e non voglio
rinunciare a un aspetto così importante dello strumento»

In che modo si è evoluto il progetto Almond Tree?


Nel 2010 eravamo un trio senza batteria, io, Pasquale Mirra e Tony Cattano. In seguito abbia-
mo avvertito l’esigenza di inserire un batterista, e chiamare Daniele Paoletti è stato quasi na-
turale perché avevamo già lavorato con lui. Il suo inserimento nei nostri meccanismi è stato
un processo semplice e istintivo. Questo ha migliorato molte situazioni. In quel periodo ero
attratta dalla musica del Mali, ne ascoltavo molta e scrivevo ispirandomi a questo stile. In tal
senso la batteria si è rivelata molto funzionale.

Questo aspetto si avverte nella scaletta del vostro “Il mandorlo”.


Sì, la musica africana è entrata molto nelle composizioni dell’album. Il pezzo Senza Mali è de-
SILVIA BOLOGNESI ALMOND TREE
dicato proprio a dei musicisti del Mali, Djime Sissoko e Ibrahima Séré, con i quali ho suonato
nel 2012 insieme a Pasquale Mirra. IL MANDORLO
FONTEROSSA RECORDS, 2013

L’impasto timbrico è particolarmente affascinante. Come avete ottenuto questa


Silvia Bolognesi (cb); Tony Cattano (trn); Pasquale Mirra (vib); Da-
sintesi? niele Paoletti (batt). Ospite speciale: Marco Colonna (cl)
Uno strumento come il trombone, in realtà, si impasta benissimo con tutti gli altri. Soprat-
tutto se a suonarlo è un musicista attento come Tony. Conosce moltissimo le sordine, ne fa un Gli Almond Tree capitanati da Sil-
ampio uso e questo gli permette di avere una gamma sonora sempre diversa e vasta. Inoltre, via Bolognesi realizzano nell’al-
bum “Il mandorlo” una peculiare
Pasquale e Tony hanno un’ottima interazione tra di loro. Sono musicisti sensibili e che sanno
sintesi stilistica, fortemente ca-
ascoltarsi. Questa caratteristica accomuna tutto il gruppo. ratterizzata dall’impasto timbrico
che chiama in causa i dialoghi tra
Molti brani portano la tua firma. il vibrafono di Pasquale Mirra e
Sì, anche se di scrittura, andando nello specifico, c’è solo un’idea di partenza, e molto spazio è il trombone di Tony Cattano, ma
anche gli interventi del clarinet-
lasciato all’improvvisazione. È proprio nel momento di libertà espressiva che si sente quanto
tista ospite Marco Colonna e le
il gruppo sia ben amalgamato. Alcuni pezzi si basano solo su alcune linee guida che ho dato trame ritmiche e melodiche della
al gruppo, altri hanno una maggiore parte scritta. Per esempio Soprattutto imprevisti, che è leader. Nelle tracce in program-
il pezzo meno legato alla cultura africana, può ricordare l’ambientazione dell’orchestra di El- ma, tutte originali e scritte pre-
lington, e ha dei momenti di scrittura, senza grande improvvisazione. In questo caso si intui- valentemente da Silvia Bolognesi,
ampi spazi sono lasciati all’inven-
sce qual è il tema e il giro di accordi prestabilito. Cicle è invece pensato per arrivare a improv-
tiva e alla capacità d’improvvi-
visare: la melodia ci può dare un aiuto, ma in realtà siamo completamente liberi. sazione dei singoli. Nell’insieme
si avverte una forte componente
Diversi brani sono caratterizzati dal tuo uso dell’archetto. di natura africana, sia per quan-
Sì, praticando tanta musica improvvisata uso molto di più l’archetto rispetto alla media. to riguarda i cicli ritmici, tradot-
ti in maniera efficace dalla duttili-
Ho studiato contrabbasso classico e non voglio rinunciare a un aspetto così importante dello
tà del batterista Daniele Paoletti,
strumento. In questo gruppo mi viene naturale, mi piace molto il suono che ottengo e in certe sia per le atmosfere costruite at-
situazioni è più funzionale, anche dal punto di vista timbrico, soprattutto quando ho voglia di torno a melodie cantabili. La con-
avere un suono più melodico, più lirico. Improvvisando radicalmente, mi piace trovare tim- trabbassista toscana enfatiz-
bri diversi sullo strumento. za questo aspetto con l’utilizzo
dell’archetto, con il quale, oltre a
impastarsi timbricamente con gli
Ad album concluso c’è un aspetto che vi ha particolarmente soddisfatto? altri strumenti, disegna mutevoli
Siamo contenti del suono e della registrazione. Registro spesso con Antonio Castiello, che ha scenari espressivi. L’album oscilla
una grande cura del suono. Lui incide molto sulla riuscita del CD, perché è attento a mantene- tra situazioni talvolta cupe e sini-
re i suoni il più naturali possibile. La qualità del suono de “Il mandorlo” è molto alta. stre (Prato tangueira) e altre cari-
che di solarità e colori scintillanti
(Cicle). (RP)
Quali sono le differenze tra Almond Tree e l’altro tuo gruppo, Open Combo?
Nell’Open Combo c’è un’idea compositiva più rigida. Nell’Almond Tree c’è più libertà e l’in- Clima / Mandorla Mirra / Fermati / Prato tangueira / Cicle /
Chicalqulique / Senza Mali / Soprattutto imprevisti / Cocal /
tenzione maggiore di sottolineare altri aspetti, anche con una matrice, se vogliamo, più “sem-
Camelie
plice”, dove c’è più l’apporto del musicista e non della forza della composizione

101
FOCUS JAZZ REVIEW

© ROBERTO CIFARELLI

NOÉ
RAFFAELE CASARANO & LOCOMOTIVE
DI EUGENIO MIRTI

I Locomotive di Raffaele Casarano sono un


progetto musicale che compie nel 2014 dieci
anni, essendo nato nel settembre del 2004; nel
colori particolari, e l’evidente legame con musi-
che e tradizioni legate al Sud arricchisce il pa-
norama sonoro complessivo, rendendolo unico e
corso del tempo, il quartetto ha dato alle stam- originale. Ottimi gli arrangiamenti, che riesco-
pe due lavori discografici: “Legend” (Dodicilu- no a rendere sempre fresco e piacevole l’ascolto:
ne, 2005) e “Replay” (EmArcy, 2009), entram- dal duetto solistico di sassofono e contrabbasso
bi con la presenza di Paolo Fresu come ospite. Il in Gaia all’accompagnamento minimale di pia-
nuovo album s’intitola “Noé” ed è ispirato dal- noforte in Lu rusciu de lu mare, dall’arpeggio di
la visione di un Sud contadino e moderno allo pianoforte che introduce Arca di Noé alla sezio-
stesso tempo, una terra di partenze e di ritorni, ne all’unisono di contrabbasso con arco e piano-
di tradizioni che si incrociano e si confrontano. forte di Woman’s Drive. La ritmica costituita da
Una scelta, questa, che si riverbera naturalmen- RAFFAELE CASARANO Marco Bardoscia e Marcello Nisi è potente e leg-
& LOCOMOTIVE
te nell’emblematica versione conclusiva di Lu giadra al contempo, e sostiene sempre con inten-
rusciu de lu mare, con ospite Giuliano Sangior- NOÉ sità ed eleganza le evoluzioni degli assolo, come
TUK MUSIC, 2013
gi, leader dei Negramaro, qui protagonista di si ascolta già nell’iniziale Oriental Food: il tema
una brillante prestazione. Musicalmente i Loco- Raffaele Casarano (alto, sop, live electro- allegro si sviluppa sul pedale di basso e prece-
nics); Mirko Signorile (pf); Marco Bardoscia
motive cercano dichiaratamente di approfondi- (cb, live electronics); Marcello Nisi (batt); fe- de un eccellente intervento di Mirko Signorile,
re il suono di gruppo, focalizzandosi su melodia, aturing Giuliano Sangiorgi (voc #9); Lele Spe- sostenuto e incalzato dai pedali di Bardoscia e
dicato (ch #9)
emotività ed espressività. I brani presentano in dal fraseggio energico di Nisi. I due solisti non
Oriental Food / Gaia / Amofene / Lu rusciu de
generale atmosfere rilassate e sembrano gioca- lu mare / Ballata per Bodini / Woman’s Drive
sono da meno, Signorile e Casarano, infatti, sono
re di continuo con i contrasti musicali, da quel- / Legend / Arca di Noé / Lu rusciu de lu mare due autentici virtuosi dei rispettivi strumenti e
lo di ritmo e melodia in Amofene a quelli espres- si producono in invenzioni che lasciano sempre
si nella Ballata per Bodini, una composizione che ammaliati e ammirati per inventiva e intensi-
presenta due nature diverse, una più eterea e tà. Da rilevare anche l’uso dell’elettronica a ope-
leggera, un’altra dal sapore più rock. Il sound ra del leader e di Bardoscia, che riescono così a
dell’ensemble è personale: si tratta di un viaggio colorare in maniera ancora più personale brani
in una dimensione jazz costruita con venature e come Woman’s Drive e Legend

103
RECORDS JAZZ REVIEW

ENRICO BRION ROBBAN CIRRIN


QUADRIVIO ARE WE THREE?
ZONE DI MUSICA, 2013 ULTRA SOUND, 2014

Il pianista Enrico Brion ha un’idea di jazz Il chitarrista belga Robban Cirrin (alla guida
dai confini alquanto vasti con composizioni di un quartetto comprendente Massimo
che offrono scenari diversi nel loro Zamboni al sax tenore e soprano, Paolo
svolgimento aprendosi ad ampie sezioni Ghetti al contrabbasso e Stefano Calvano
d’improvvisazione. Ci sono ballad (Lalaide), alla batteria e percussioni) mette in scena
vamp che conducono a forme aperte (M.O.M.), una musica fatta di temi di ampio respiro,
cadenze ritmiche massicce con echi post-rock elaborati e particolarmente estesi. Si tratta
(Lagrein) e groove rilassati (Sgarrupato). Ma tutto cambia, sempre, di un repertorio originale costruito su architetture armoniche
anche timbricamente: merito di un organico che da quartetto base complesse. Risulta evidente la predilezione per atmosfere
– Giovanni Masiero (tenore), Salvatore Pinello (contrabbasso) e multietniche – ora latin (Perdido no ar) ora d’ispirazione caraibica
Igor Cecchini (batteria) – si apre a numerosi solisti. (LV) (Canção dos malandros) e ora indiana (El ran’s raga) – e la ricerca
di un effetto timbrico sobrio e controllato. (LV)

FULVIO BUCCAFUSCO COLOMBO/SCHIAFFINI/MARINO


A SHORT STORY TOTEM
FITZCARRALDO, 2014 ZONE DI MUSICA, 2014

Fulvio Buccafusco, contrabbassista siciliano Riverberi, echi, silenzi e suoni: tutto procede in
classe 1973, racconta così la sua musica: un flusso ininterrotto di libera improvvisazione
«Questo album nasce durante un periodo di e in un gioco di incastri, di effetti timbrici
tre anni trascorsi in una città multiculturale e di minimalismo espressivo. Con Eugenio
come Londra, guardando a diverse culture, Colombo (sax contralto, soprano e flauto),
luoghi, suoni e persone come un profondo e Giancarlo Schiaffini (trombone) e Luigi Marino
immenso archivio emozionale». La musica del (zarb, cimbali, elettronica e oggetti vari) va in
quartetto (completato da Stan Sulzmann al tenore, Nikki Iles al scena una performance intensa che si materializza in undici diversi
pianoforte, Ettore Fioravanti alla batteria) nasce da una session frammenti sonori denominati Tanz, termine che in tedesco significa
live in studio ed è un modern maistream ispirato, costruito attorno danza. I tre musicisti si dividono gli spazi tra melodie (Colombo),
a un corpus di brani originali. (LV) squarci sonori (Schiaffini) e atmosfere percussive (Marino). (LV)

104
RECORDS JAZZ REVIEW

MASSIMO DE MATTIA THE DROPS


TRILEMMA SPRAY
CALIGOLA, 2013 THE DROPS MUSIC, 2014

Il lavoro svolto sul flauto da Massimo Federico Casagrande alla chitarra, Christophe
De Mattia, classe 1959, è di straordinaria Panzani al sax tenore e Ferenc Neemeth alla
importanza ed è anche grazie a lui se il suo batteria sono i tre coleader di The Drops,
strumento è riuscito a costruirsi, a livello un’idea musicale intensamente creativa e che
internazionale, uno spessore espressivo post dà vita a composizioni eclettiche sul piano
mainstream. “Trilemma” vede De Mattia alla armonico e ritmico: un labirinto di melodie,
guida di un trio drumless con Alessandro forme, ambientazioni sonore ora oniriche, ora
Turchet al contrabbasso e Bruno Cesselli al pianoforte ed è il cariche di tensione, ora dolcemente liriche e suadenti. L’ascoltatore
risultato di una session che celebra una tensione creativa e un è continuamente stimolato a prestare attenzione a ogni singolo
interplay serrato, con schegge di free, ambienti cameristici e frammento delle composizioni tanti sono gli orizzonti espressivi e
atmosfere rarefatte, ipnotiche e liriche. (LV) tanto diverse sono le soluzioni messe in scena dal trio. (LV)

FABIO DELVÒ KAT EDMONSON


RASTPLATZ WAY DOWN LOW
AUTOPRODOTTO, 2014 OKEH, 2013

Il sassofonista Fabio Delvò, classe 1971, guida La cantante americana Kat Edmonson,
il suo quartetto (completato dal clarinettista classe 1983, esprime un canto neoromantico,
e altoista Achille Succi, dal contrabbassista melodico, suadente e dalla pronuncia morbida.
Danilo Gallo e dal batterista Marco Rizzini) La produzione, eccellente sul fronte della
alla materializzazione di una musica intensa, ripresa sonora e della qualità performativa,
spirituale e ad alta densità improvvisativa. fa ascoltare Kat Edmonson alle prese con un
Ed ecco temi costruiti attorno a piccole repertorio che sfiora atmosfere country (I
cellule motiviche (Whithout Inspiration), contrasti timbrici Don’t Know), pop (interessante l’interpretazione del classico dei
(eccezionali quando Succi e Delvò dialogano in Lullaby Of Wind) e Beach Boys I Just Wasn’t Made For These Times) e latin (This Was
un certo minimalismo armonico: come dice il leader «il risultato è The One) anche se è la ballad il territorio espressivo prediletto
contemporaneo, fresco, deciso, sghembo, pulsante». (LV) come dimostra la splendida Nobody Knows That. (LV)

105
RECORDS
INTERVISTA JAZZ
FRANCO
REVIEW
D'ANDREA

FRANCO D’ANDREA CONTINUA


SENZA SOSTA A STUPIRE
PUBBLICO E CRITICA CON
LAVORI DI GRANDE SPESSORE,
COME IL RECENTE “MONK AND
THE TIME MACHINE”, EDITO
DALLA PARCO DELLA MUSICA
RECORDS, DOVE SI CONFRONTA,
UNENDOVI ANCHE DEI BRANI
ORIGINALI, CON IL REPERTORIO
DI THELONIOUS MONK

DI ROBERTO PAVIGLIANITI

FRANCO
D’ANDREA
© NIKO GIOVANNI CONIGLIO

MONK AND THE TIME MACHINE 106 106


«Monk è un personaggio fondamentale, è un gigante. Nelle sue
composizioni sento viva la forza della tradizione, e questo me lo rende
molto familiare. Allo stesso modo in lui sento un’enorme innovazione,
parola insufficiente per esprimere tutto quello che ha creato»

Perché di nuovo Monk, dopo i lavori a lui dedicati negli anni passati?
Ho ritenuto che era il momento di dare maggiore importanza al lavoro svolto in preceden-
za, in solo e in duo, con un gruppo formato da diversi musicisti. Monk è un personaggio fon-
damentale, è un gigante. Nelle sue composizioni sento viva la forza della tradizione, e questo
me lo rende molto familiare. Allo stesso modo in lui sento un’enorme innovazione, parola in-
sufficiente per esprimere tutto quello che ha creato. Aveva costruito quelli che amo chiama-
re “giocattoli”, una serie di strumenti espressivi con i quali anche i posteri avrebbero giocato
FRANCO D’ANDREA SEXTET
volentieri.
MONK AND THE TIME MACHINE
Monk è una fonte infinita di spunti e idee. Qual è la caratteristica più interessante del- PARCO DELLA MUSICA RECORDS, 2014
la sua musica?
È inesauribile, come diceva Steve Lacy. La sua musica è infinita perché aveva in mente un’e- Franco D’Andrea (pf); Andrea Ayassot (alto, sop); Daniele D’Aga-
ro (cl); Mauro Ottolini (trn); Aldo Mella (cb); Zeno De Rossi (batt)
norme serie di possibilità per crearla, e sfruttava a fondo tutti i parametri che formano una
musica. Il ritmo, la melodia, l’armonia e il timbro delle sue composizioni hanno sempre degli Di nuovo Thelonious Monk nel
elementi di particolarità, e concedono agli interpreti un ampio ventaglio di soluzioni, sia d’im- lungo percorso artistico di Fran-
provvisazione sia d’arrangiamento. Chi dà la direzione, come lui, è importante, anche se poi il co D’Andrea. Era già succes-
jazz assume il suo senso compiuto nella performance. so in duo con Phil Woods nell’al-
bum “Our Monk” nel 1994, e in
solo nel 2003 con il lavoro “Plays
Senso che tu hai raggiunto con il sestetto. Monk”. Stavolta al fianco del piani-
Sì, ho dei collaboratori molto validi. Musicisti bravi, che conoscono molto bene la mia musica. sta c’è un sestetto di assoluta dut-
Con questo gruppo sto lavorando da qualche tempo, quindi si è creata una certa unione, e oggi tilità espressiva e formale, capace
abbiamo, rispetto agli inizi, una serie più ampia di possibilità espressive grazie all’esperienza sia di firmare movimenti d’insieme
acquisita con i concerti. Ho grande fiducia in loro, scrivo abbastanza poco, cerco solo di dare di grande impatto, sia di scocca-
re decise frecce soliste. Il doppio
delle linee guida. Ho acquisito una maggiore sintesi, quindi comunico loro solo qualcosa, a vol-
CD include rivisitazioni e brani ori-
te anche solo verbalmente, e poi ognuno si regola secondo le proprie caratteristiche e le proprie ginali, che si fondono in una lunga
abitudini. Loro hanno la possibilità di entrare nella forma musicale, e in caso di spostarla da sequenza che riflette il concetto di
un’altra parte. Il tutto accade con molta naturalezza, e nel disco emerge questa caratteristica. “movimento temporale” che il ti-
tolo dell’album vuole far intende-
In che modo è avvenuta la registrazione dell’album? re. Si tratta, in effetti, di un viag-
gio che oscilla dal jazz tradizionale
Lo abbiamo registrato in due tappe, al Parco della Musica di Roma. La prima dal vivo, davanti
al blues, dall’improvvisazione a si-
a un pubblico ristretto, come se fosse un concerto. Questo materiale occupa tutta la prima par- tuazioni essenziali e dalla stret-
te del disco e una porzione della seconda. Gli altri brani li abbiamo registrati la mattina dopo, ta connotazione di modernità.
senza pubblico, suonando quello che non avevamo in scaletta la sera prima, ma che già aveva- Nell’album c’è Monk, ovviamen-
mo in repertorio, in un assetto più vicino a quello dello studio. In questa fase abbiamo affron- te, in ogni passaggio, con le sue
tato anche dei pezzi più complicati, come Un gioco, un brano che dal vivo avrebbe funzionato soluzioni angolari, percussive, vi-
sionare, ma c’è soprattutto Fran-
meno. Eravamo molto tranquilli e ci siamo presi il tempo necessario.
co D’Andrea, e il suo formidabile
bagaglio di esperienza. C’è la sua
Come hai scelto i tuoi brani per la scaletta? infinita curiosità pianistica, che
Alcuni già li avevo pronti, anche se sono stati proposti in versione diversa, e altri sono inediti. lo porta a disegnare itinerari che
Ho scelto le composizioni che ho ritenuto compatibili con lo spirito della musica di Monk, e con uniscono concretezza e astratti-
questo intendo indicare certi intervalli, alcuni giri armonici e alcune assonanze che lui ama- smo con un piglio di rara sapien-
za. (RP)
va. Monk, per esempio, amava l’intervallo di seconda maggiore, quindi in alcuni pezzi ho usa-
to questa soluzione, creando un’allusione alla sua musica, anche in maniera astratta. Alcuni CD 1: Into The Mystery - Deep Riff / Light Blue - Epistrophy / Mi-
passaggi non hanno una tonalità precisa, sono liberi e inventati su improvvisazione collettiva. sterioso - Monk’s W.T.L. - Bright Mississippi / Monk’s Mood - O.T.
Abstraction / Monodic - Well You Needn’t; CD 2: A New Rag Suite
Ci sono poi dei riff ritmici, alcuni ostinati di basso, richiami al blues, e tutta una serie di fram-
/ I Mean You / Monk’s W.T.L. - Locomotive / Un gioco / Blue Monk
menti che in qualche modo alludono, magari in maniera sottile, o citano la musica monkiana. / Brake’s Sake / Naïf / Blue Monk - Brake’s Sake - Naif - Un gioco
L’album si muove anche in ambienti del passato, come il dixieland, e a volte si sposta verso ter- / Coming On The Hudson / Brake’s Sake (alternate take) / Coming
ritori più misteriosi On The Hudson (alternate take)

107
RECORDS JAZZ REVIEW
RECORDS JAZZ REVIEW

DONALD EDWARDS
EVOLUTION OF AN INFLUENCED MIND
CRISS CROSS JAZZ, 2014

Originario della Louisiana, classe 1966, il


batterista Donald Edwards fa ascoltare una
musica capace di mettere in scena un blend
espressivo di sterminata vastità, zigzagando
tra modern mainstream, hip hop, r’n’b, New
Orleans, funk e noveau swing. Alla guida del
suo quintetto (segnaliamo la presenza del
pianista Orrin Evans e del tenorista Walter Smith III), Edwards
si distingue sotto il profilo compositivo e perché ha come primo
obiettivo quello di creare un sound di gruppo e non di mostrare i
muscoli del virtuosismo ritmico. (LV)

COLIN EDWIN/LORENZO FELICIATI


TWINSCAPES
RARE NOISE RECORDS, 2013

Lorenzo Feliciati è uno dei rarissimi casi


di musicista, compositore, arrangiatore,
didatta e produttore capace di esprimere una
personalissima idea di contemporary music,
mettendo insieme schegge di improvvisazione
jazz con rock, psichedelia, musica elettronica e
campionamenti. “Twinscapes”, co-firmato con
il collega bassista Colin Edwin (già Porcupine Tree ed Ex-Wise Heads),
è un vero e proprio manifesto sonoro grazie a un sound portentoso e
sperimentale, carico di groove e ambienti onirici al limite dell’ambient:
tra i guest anche Nils Petter Molvær. (LV)

PAOLO FRESU QUINTET


¡30!
TUK MUSIC, 2014

Trent’anni di musica vissuti insieme, di


incisioni discografiche e di concerti: un
anniversario, quello del quintetto di Paolo
Fresu, che non poteva che essere festeggiato
con una nuova session discografica (e non con
una compilation) dove il gruppo prosegue
la sua infinita trasformazione espressiva
grazie agli effetti di Paolo Fresu e all’equipment strumentale di
Roberto Cipelli che si alterna al pianoforte, al Fender Rhodes e
alla tastiera. Finché ci sarà la voglia di comporre, di cambiare, di
divertire e divertirsi, il quintetto sarà ancora sulla scena! (LV)

ELVIO GHIGLIORDINI
LIBERO
IL MILLENNIO, 2013

Nomen omen: l’album “Libero” offre


l’opportunità al flautista Elvio Ghigliordini
di far ascoltare le sue numerose influenze
stilistiche, dal latin al funk, dalla musica cubana
a quella d’ispirazione coltraniana quanto a
intensità espressiva. Ghigliordini si misura con
una scrittura che si esalta nei ritmi afro-latini
e che mette in risalto l’eccellente qualità del quintetto composto da
Andrea Biondi (vibrafono), Paolo Tombolesi (pianoforte), Marco
Loddo (contrabbasso) ed Emanuele Smimmo (batteria) con il
sassofonista Maurizio Giammarco ospite in due brani. (LV)

109
FOCUS JAZZ REVIEW

© ROBERTO CIFARELLI
proposti. In scaletta, tra le molte rivisitazio-
ni, troviamo anche dei brani originali. King
Kong ha gli occhi lucidi è un breve passaggio
firmato da De Aloe, nel quale i due strumen-
ti dialogano con frasi accennate in un’am-
bientazione sonora chiaroscurale, quasi di-
messa, mentre nella successiva Ciao Manu!,
firmata dall’arpista, si respira una melodia

MAX DE ALOE & più aperta, solare e incline alla spensieratez-


za. Alternanza, anche sotto il profilo stilisti-

MARCELLA CARBONIHARP
POP co, che segna l’intero programma, registra-
to in un’unica sessione nel settembre 2012.
Oblivion, di Astor Piazzolla, e la beatlesiana
Here, There And Everywhere si pongono come
DI EUGENIO MIRTI
vertici di un lungo ponte che unisce il mondo

Q uello disegnato da Max De Aloe e Mar-


cella Carboni in “Pop Harp” è un per-
corso composto di brani dai diversi motivi di
del tango e quello del pop, mentre nel mez-
zo troviamo rimandi a elementi brasiliani
(Eu preciso de você di Antonio Carlos Jobim)
distinzione. Il più evidente è l’impasto tim- e classici (Sicilienne del compositore Gabriel
brico tra l’armonica cromatica e l’arpa elet- Fauré). Sulla scelta del repertorio, e sul modo
troacustica, due strumenti che raramente di porlo in questo lavoro, Marcella Carboni ci
s’incontrano nelle discografie jazzistiche e ha detto: «All’inizio abbiamo provato le varie
che messi insieme producono una figura ine- possibilità di incontro tra i due strumenti. I
dita e dai lineamenti singolari. Questo aspet- suoni dell’armonica, profondi e agili, e i suo-
to, unito a un perfetto affiatamento, permet- ni versatili dell’arpa si sono rivelati così com-
te ai due musicisti di intraprendere direzioni plementari che ci hanno dato piena libertà di
diverse, mai scontate e sempre distanti tra MAX DE ALOE / scegliere il repertorio che più ci piaceva. Ab-
MARCELLA CARBONI
loro, dal momento che sono messi a reagi- biamo volutamente spaziato tra i generi, in-
re molti repertori, da quello di Irving Berlin POP HARP terpretando a modo nostro e improvvisan-
ABEAT, 2013
(Cheek To Cheek) a quello di Hermeto Pascoal do sia su brani della tradizione jazz, sia su
Max De Aloe (armonica cromatica); Marcella
(Rebuliço), passando per Sting (Sister Moon). Carboni (arpa elettroacustica)
pagine prese in prestito dalla musica classi-
Inoltre, a emergere è l’equilibrio raggiunto ca, pop e brasiliana. Questo gusto della rein-
Oblivion / Eu preciso de você / Sicilienne / Re-
tra le parti di primo piano e quelle dello sfon- buliço / King Kong ha gli occhi lucidi / Ciao
terpretazione lo abbiamo trovato anche per i
do sonoro, ruoli che De Aloe e Carboni a volte Manu! / Here, There And Everywhere / Cheek nostri brani originali, rieseguendo temi che
To Cheek / Il bosco che chiamano Respiro / Ca-
alternano, anche se è l’armonica a scrivere in rinhoso / Ul Giuan Marcora / Rivu isganìu / Si-
avevamo già registrato in altri dischi e con
maniera più decisa il tratto melodico dei temi ster Moon altre formazioni»

110
RECORDS JAZZ REVIEW

MAURO GUBBIOTTI TIM HEGARTY


TRIO TRIBUTE
AUTOPRODUZIONE, 2013 MILES HIGH, 2013

Mauro Gubbiotti, pianista marchigiano classe Il tenorista americano Tim Hegarty ha un


1981, giunge al suo esordio da leader mettendo suono strumentale dalla chiara discendenza
insieme tutte le sue stelle polari espressive con hard bop e non a caso il sottotitolo del cd,
una musica che si muove tra eleganza classica “Tribute”, evoca i nomi dei grandi maestri
(viene da studi classici), melodismo pop (come del jazz di sempre come John Coltrane,
si evince dall’interpretazione di Misread Thelonious Monk, Sonny Rollins, Dexter
dei King Of Convenience), predilezione Gordon, Joe Henderson. La sua musica è
per il mainstream jazzistico (si ascolti la sua Walkin’ By The ispirata, eseguita con gusto, orientata a un modern mainstream
Sea) e un gusto per un blend tra piano acustico e keybords. Ad più romantico che blueseggiante. Ad accompagnarlo una sezione
accompagnarlo con raffinatezza, il contrabbassista Gianludovico ritmica d’eccellenza con Mark Sherman al vibrafono, Kenny
Carmenati e il batterista Mauro Cimarra. (LV) Barron al pianoforte, Rufus Reid al contrabbasso e Carl Allen alla
batteria. (LV)

ELISABETTA GUIDO HONEST JOHN


LET YOUR VOICE DANCE CANARIE
KOINÈ/DODICILUNE, 2013 RUDI RECORDS, 2014

Opera assai curata negli arrangiamenti, Honest John è un quintetto scandinavo


firmati da Mauro Campobasso (ottimo composto da musicisti che provengono
quello per lo spartito di Alfredo Impullitti), dalla Norvegia e dalla Svezia. Si tratta di un
e nell’azione dell’ampio gruppo di musicisti ensemble eccezionalmente schizofrenico
coinvolti (da Javier Girotto a Roberto sotto il profilo espressivo, che zigzaga tra
Ottaviano passando per Marco Tamburini, free form, latin, musica dodecafonica e
Mirko Signorile, Paolo Di Sabatino, Marco decine di altri orizzonti stilistici. Inedito
Bardoscia e Barbara Errico tra i tanti) che danno alla voce di e singolare anche l’assetto timbrico in virtù di una lineup che
Elisabetta Guido ampia libertà di esprimere grazia (in inglese e mette insieme banjo, clarinetto, violino, contrabbasso e batteria:
italiano), personalità, intensità e quella versatilità (dal vocalizzo l’azione del gruppo, nonostante la forte propensione all’azione
alla ballad) che si esalta nei tanti ambienti espressivi esposti. (LV) improvvisativa, è sempre composta e ben organizzata. (LV)

111
RECORDS JAZZ REVIEW

INFINITA CHRISTINE JENSEN JAZZ ORCHESTRA


TIME CONTINUUM HABITAT
SATNAMUSIC, 2013 JUSTIN TIME, 2013

Il quintetto Infinita raccoglie due musicisti Christine Jensen è una sassofonista (contralto
finlandesi (il trombettista Tero Saarti e il e soprano) canadese che ha una notevole
pianista Sid Hille) e tre italiani (il sassofonista facilità nel comporre e arrangiare per
Massimo Carboni, il contrabbassista Paolo orchestra. In questa sua ultima opera, dal
Spanu e il batterista Gianni Filindeu) e fa titolo “Habitat”, si fa ascoltare alla direzione
ascoltare ballad liriche, di evanescente di un large ensemble, mettendo insieme alcuni
bellezza e forte identità timbrica dettata dal tra i suoi più stretti collaboratori degli ultimi
contrasto tra il suono sottile e morbido della tromba di Saarti anni. La sua è una scrittura morbida, a tratti modale e dal sapore
e quello più brillante e potente del tenore di Carboni. Assai etnico, melodica e ricca di soluzioni timbriche, capace di far
affascinante è l'interpretazione di Strawberry Fields Forever. (LV) muovere sapientemente la sezione brass come Maria Schneider,
suo grande riferimento espressivo. (LV)

INSIDE JAZZ QUARTET KARIM ZIAD


PORTRAITS JDID
ABEAT, 2013 JMS, 2013

Dietro alla sigla Inside Jazz Quartet si celano Il batterista franco-algerino Karim Ziad,
il sassofonista Tino Tracanna, il pianista classe 1966, giunge a “Jdid” (che in arabo
Massimo Colombo (in questa circostanza significa "nuovo" e quindi anche nuova
anche al Fender Rhodes), il contrabbassista direzione) con il desiderio di mettere insieme
Attilio Zanchi e il batterista Tommaso una ventina di musicisti di diversa origine e
Bradascio, quattro solisti che si sono dati connotazione stilistica, come il chitarrista
appuntamento per celebrare la memoria di Nguyên  Lê, il pianista Bojan Z, il batterista
Wayne Shorter, Thelonious Monk, Steve Swallow, Carla Bley e Ari Hoenig, il pianista Tigran Hamasyan e il sassofonista Jacques
Yusef Lateef. Non c’è spazio per musica da repertorio, prevalendo Schwarz-Bart. Il risultato è una musica fusion per eccellenza, un
uno sguardo, autentico, fresco, ispirato e originale. Viene alla luce blend di sonorità etniche e jazz-rock, densa di soluzioni ritmiche
una session che garantisce nuova forza e freschezza melodica a e di orizzonti espressivi in virtù dei tanti ospiti. (LV)
ciascuno spartito. (LV)

112
RECORDS JAZZ REVIEW

KINZELMAN/PIANCA/SENNI/HUBER THE LESTER BRASS PROJECT


WHY DON’T YOU GO OUTSIDE? BRASSTOP
WIDE EAR, 2014 CALIGOLA, 2014

Il batterista svizzero Alex Huber, cofondatore Come recita il nome, il tentetto ha come
dell’etichetta discografica Wide Ear, è tra stella polare l’attività della Brass Fantasy
i protagonisti della nuova scena jazzistica del trombettista Lester Bowie e, infatti,
creativa europea. In questa circostanza l’organico si presenta con una sezione fiati
(affiancato dal sassofonista Dan Kinzelman, preponderante (tre trombe, due tromboni,
dal chitarrista Roberto Pianca e dal due corni francesi e una tuba), senza
contrabbassista Stefano Senni) Huber dà strumenti armonici e con una base ritmica
alle stampe una musica che trova la sua identità espressiva priva di contrabbasso ma con batteria e percussioni.
nell’equilibrio tra partiture complesse (dai temi ampi, dettagliati Il ricco impasto timbrico dell’ensemble, gli efficaci arrangiamenti brass
e con un carico di obbligati) e spazi aperti all’improvvisazione e gli ispiratissimi interventi solistici, il tocco di humor e l’entusiasmo che
totale: musica jazz contemporanea. (LV) emerge in I Am With You sono il miglior omaggio a Lester Bowie! (LV)

NILS LANDGREN MATHIAS LÉVY QUARTET


ETERNAL BEAUTY PLAYTIME
ACT, 2014 JMS, 2013

Il trombonista svedese Nils Landgren, Parigino, classe 1982, il violinista Mathias


nell’arco di poco più di un decennio, è Lévy è il nuovo enfant prodige del jazz francese
passato dalla Funk Unit a un presente da anche perché ha il merito, con una freschezza
balladeur e cantante di standard e di pop song di idee e con un invidiabile virtuosismo, di
anche recenti. “Eternal Beauty” è in linea rinnovare la tradizione del violino in ambito
di continuità con queste ultime produzioni jazz. In “Playtime” si fa ascoltare alla guida
anche se in questa circostanza accanto a del suo quartetto (con Emmanuel Bex special
interpretazioni di melodie firmate da George Harrison e James guest in tre brani) tra ballad melanconiche, valzer rétro e fast
Taylor emergono nuovi standard (John Patitucci, Michael Wollny vertiginosi, con un sound d’ispirazione fusion e atmosfere che
ed Esbjörn Svensson) che vengono trasformati in vere e proprie profumano d’oriente. Il fraseggio è plastico e molto gira attorno
canzoni. Emerge, come sempre, gusto, raffinatezza e stile. (LV) alle sue lunghe improvvisazioni. (LV)

113
RECORDS
INTERVISTA JAZZ
CLAUDIO
REVIEW
FILIPPINI

© ANDREA BOCCALINI
CLAUDIO
FILIPPINI BREATHING IN UNISON

PROSEGUE L’ESPERIENZA DI CLAUDIO FILIPPINI CON IL SUO TRIO


NORDEUROPEO COMPLETATO DA PALLE DANIELSSON E OLAVI
LOUHIVUORI. RITROVATISI ANCORA UNA VOLTA AGLI STUDI BAUER DI
LUDWIGSBURG DOPO IL DISCO D’ESORDIO “FACING NORTH” (CAM JAZZ,
2012), I TRE MUSICISTI LICENZIANO UN ALBUM RICCO DI ATMOSFERE
SUGGESTIVE E DI UNA MUSICA ALLO STESSO TEMPO PACATA E INTENSA

DI EUGENIO MIRTI
«Con Palle e Olavi riesco a creare sempre delle belle atmosfere e in
quest’ultima session sono riuscito a ottenere perfettamente ciò che stavo
cercando. La concentrazione era al massimo e i nostri respiri
sembravano davvero sincronizzati»

Quali sono gli elementi di continuità e le differenze tra “Facing North” e


“Breathing In Unison”?
L’incipit di questo lavoro evoca il finale del precedente; ascoltando di seguito i due
dischi, si ha l’impressione di un’opera unica, con la differenza che tra il primo e il
secondo sono passati quasi due anni di lavorazione. In questo gap temporale sono
cambiate molte cose: sono diventato papà, ho visto mia figlia Maia respirare all’u-
nisono con mia moglie mentre era ancora nella pancia, l’ho vista nascere, la sto ve-
dendo crescere ogni giorno. È la cosa più bella che sia capitata nella mia vita.
“Facing North” esprimeva l’inizio del nostro lavoro collettivo, era la testimonian-
za del nostro primo incontro; adesso abbiamo acquisito una buona esperienza live CLAUDIO FILIPPINI TRIO
e maturato un notevole interplay. Con Palle e Olavi riesco a creare sempre delle BREATHING IN UNISON
belle atmosfere e in quest’ultima session ho ottenuto perfettamente ciò che stavo CAM JAZZ, 2014
cercando. La concentrazione era al massimo e i nostri respiri sembravano davve-
Claudio Filippini (pf, celesta); Palle Danielsson (cb); Olavi Louhi-
ro sincronizzati. vuori (batt)

Come hai scelto il repertorio? Ancora una volta ci sono brani originali e un “Breathing In Unison” è il segui-
numero quasi uguale di riletture. to di “Facing North” (CAM Jazz,
2012) e del precedente lavoro
Mi sono lasciato trasportare dalle emozioni che stavo provando nei mesi dedicati mantiene sia la formazione sia le
alla scrittura. Modern Times #evolutions è un’evoluzione dell’ultimo brano di “Fa- atmosfere sonore, orientate ver-
cing North”, mentre Breathing In Unison l’ho scritta di getto dopo aver letto A De- so un mood rilassato e leggero
dication to My Wife di Thomas Stearns Eliot, nella quale il poeta esprime a paro- che privilegia chiaroscuri sonori
le quello che io avrei sempre voluto esprimere in musica. South Michigan Avenue è e suggestioni melodiche. Il reper-
torio è ancora una volta organiz-
un altro brano originale che ho composto dopo una visita all’Art Institute di Chica- zato da Filippini in maniera bilan-
go, dove sono rimasto folgorato dall’opera America Windows di Marc Chagall. Ho ciata tra brani originali e riletture
pensato di registrare anche altri brani già conosciuti che ho sempre amato suona- di varia natura, e come sempre
re ma che non ero ancora riuscito a immortalare in un disco: As Time Goes By cui l’accento maggiore è dato allo
sono davvero affezionato, Poses di Rufus Wainwright e At The Dark End Of The Stre- sviluppo melodico, a volte molto
complesso (come in A Time For
et, brano che suonai una volta con Cristian Panetto, un mio caro amico e musicista Love) ma sempre irresistibile. Le
che ha lasciato questo mondo proprio mentre stavo lavorando al disco. atmosfere solari di Secret Love si
alternano ai momenti più malinco-
Come mai hai voluto usare anche la celesta? nici e riflessivi di At The Dark End
Nello studio Bauer c’è questo strumento meraviglioso, immacolato, accordato, con Of The Street, fino ad arrivare alle
modalità più misteriose e quasi
una sonorità magica. La celesta è molto difficile da gestire, ci sono pochi tecnici ca- free di The Sleepwalker, che pre-
paci di metterla a punto. Quella nello studio è speciale, ha i tasti piccoli e sembra di vede un bel tema esposto dal con-
suonare un pianoforte giocattolo. Secondo il registro, ha un suono che ricorda ma- trabbasso con l’arco tutto basato
rimba, Rhodes o glockenspiel. Mi sono innamorato del suono e ho voluto usarla. sulle “corone” ritmiche (i momen-
ti musicali che si dilatano a pia-
cere dell’esecutore). Il titolo (per-
È cambiato il vostro approccio alla registrazione? tinente) del disco cita un verso di
Lavorare insieme dal vivo ha permesso di provare qualche brano prima, in parti- Thomas Stearn Eliot, ed è eviden-
colare quelli originali. Per il resto abbiamo ripetuto il modus operandi di “Facing te come Filippini, Danielsson e
North”: di solito abbiamo scelto la prima (e unica) take. Naturalmente buona parte Louhivuori riescano a esprimere in
del merito va allo studio, che è meraviglioso e in un giorno e mezzo di registrazio- questo nuovo lavoro un interplay
ancora più ispirato e leggiadro,
ni ti permette di realizzare un prodotto finito. come ben esemplifica l’ascolto di
As Time Goes By. (EM)
Ci sarà una terza tappa di questo trio?
Modern Times #evolutions / As Time Goes By / Poses / The Sle-
Il primo lavoro è andato bene e abbiamo avuto la possibilità di presentarlo dal vivo epwalker / Breathing In Unison / Night Flower / South Michigan
diffusamente. Sappiamo già che anche questo nuovo disco ha creato interesse, c’è Avenue / A Time For Love / Secret Love / At The Dark End Of The
Street
stato un ottimo feedback, quindi… squadra che vince non si cambia!

115
RECORDS JAZZ REVIEW

116
RECORDS JAZZ REVIEW

LITHIUM J QUARTET MACHINE MASS FEAT. DAVE LIEBMAN


PSYCHEDELIC LIGHT INTI
CALIGOLA, 2013 MOONJUNE RECORDS, 2014

Il quartetto – Mario Corvini (trombone), Disco di grande energia e intensità espressiva,


Antonio Tosques (chitarra), Jacopo Ferrazza quello proposto dal duo Machine Mass
(contrabbasso) e Pietro Iodice (batteria) – fa (composto dal chitarrista Michel Delville e
il suo esordio con una musica la cui creazione dal batterista e percussionista Tony Bianco) in
«è stata un’elaborazione comune: tutti hanno questa circostanza affiancato dalla cantante
partecipato alla costruzione attiva dei brani Saba Tewelde e da Dave Liebman al sax
che sono stati creati sia dal vivo che in sala tenore, soprano e flauto. All’interno di “Inti”
di registrazione», come racconta Mario Corvini. C’è intensità si respira un clima lisergico, al limite del noise, della psichedelia,
espressiva, giochi timbrici (chitarra e trombone) e si sente che si del minimalismo e del serialismo elettronico: spazi che si offrono
tratta di musica che nasce suonando. C’è feeling e interplay e ci si agli interventi solistici di Dave Liebman, particolarmente ispirato e
muove tra ballad, ambienti funkeggianti e post mainstream. (LV) libero di navigare nei territori della libera improvvisazione. (LV)

GEIR LYSNE ROBERTO MAGRIS TRIO


NEW CIRCLE ONE NIGHT IN WITH HOPE AND MORE… VOL. 2
ACT, 2013 JMOOD, 2013

Il polistrumentista norvegese Geir Quella del pianista Roberto Magris appare


Øystein Lysne, classe 1965, predilige  l’arte come una session d’altri tempi e si respira
della composizione e dell’arrangiamento un’atmosfera Fifties grazie al sound di ripresa,
orchestrale e si è spesso misurato nella alla scelta del repertorio (da Herbie Nichols
direzione di ampi ensemble. In “New Circle” a Neal Hefti) e al feeling della performance
mette in scena un’opera ambiziosa, tra che può vantare la partecipazione di uno dei
minimalismo sonoro, musica etnica, open monumenti viventi del jazz: il batterista Albert
space, musica elettronica con ambientazioni techno, loop studio “Tootie” Heath. Il fraseggio di Magris è plastico, blueseggiante,
e un certo gusto psichedelico. Tra gli special guest della session intenso, elegante e carico di swing, fuori da virtuosismi e da un
anche il chitarrista Nguyên Lê, il trombonista Helge Sunde, la melodismo à la page. La sfida è fare rifermento alla tradizione
cantante Huong Thanh e il percussionista Peter Baden. (LV) jazzistica americana e riaggiornarla. (LV)

117
FOCUS JAZZ REVIEW

© NIKO GIOVANNI CONIGLIO


PAOLO
ed è composto da Paolo Fresu, Daniele Di Bo-
naventura e Michele Rabbia, trio che si accom-
pagna con I Virtuosi Italiani, un’orchestra di

FRESU
sedici elementi nata nel 1988 e che è tra le for-
mazioni più attive nel panorama artistico in-
ternazionale: vanta molteplici collaborazioni
con solisti e direttori di fama, ha suonato per i
più importanti teatri e ha realizzato oltre cin-
quanta CD.
Il lavoro si caratterizza per lo strepitoso
mélange di jazz, classica ed elettronica ed è
V I N O D ENTRO impreziosito dagli immaginifici arrangiamen-
ti di Daniele Di Bonaventura. Considerando il
rapporto con le immagini, i brani sono parti-
colarmente evocativi e coinvolgenti da un pun-
DI EUGENIO MIRTI
to di vista emotivo; ad alcuni bozzetti molto

L iberamente ispirato al romanzo Vino den-


tro (Curcu & Genovese) di Fabio Marcotto,
Vinodentro è un film del 2012 diretto da Fer-
corti, come Rarefatto e La visione del bipede,
si alternano composizioni più articolate come
Classico.
dinando Vicentini Orgnani. Interpretato da Gli spunti compositivi sono interessanti e di-
Vincenzo Amato, Giovanna Mezzogiorno, Pie- versi tra loro: l’arpeggio di pianoforte di Dolo-
tro Sermonti, Lambert Wilson, Daniela Virgi- miti’s Sky, le percussioni di La visione del bipe-
lio, alterna a tratti di commedia elementi noir e de, il duetto di contrabbasso e tromba di Fuga.
mistery: «Il mito di Faust incontra il mondo del Si realizza così una piacevole varietà di am-
vino: potrà una passione sottile e segreta, gui- bienti e situazioni, che è una delle caratteristi-
data dal gusto, dai profumi, dai sapori, portare che salienti della colonna sonora.
un uomo normale a perdere l’anima…?». Da segnalare sono le curiose tre versioni di
La colonna sonora è affidata a Paolo Fresu, Martango: la prima con il tema esposto dal
PAOLO FRESU
che è qui coinvolto non solo in veste di musi- bandoneon, la seconda con la tromba protago-
VINODENTRO
cista (tromba, flicorno, multieffetti e pianofor- TUK MUSIC, 2013 nista e la terza in veste orchestrale.
te acustico in Dolomiti’s Sky, Rarefatto e La vi- Il risultato complessivo è sorprendente per
Paolo Fresu (tr, flic, multieffects, pf ac); Da-
sione del bipede) ma anche come autore di tutte niele Di Bonaventura (bandoneon, pf ac, arr leggerezza ed eclettismo: momenti classici sci-
le composizioni, con l’eccezione di Fermo scrit- archi); Michele Rabbia (perc, samplers); I vir- volano in un istante in atmosfere jazz e noir,
tuosi italiani
ta a quattro mani con Daniele Di Bonaventura crescendo imperiosi si alternano a deliziosi
Calmo / Martango (take one) / Dolomiti’s Sky /
e delle due arie di Wolfgang Amadeus Mozart, Vals des soeurs belles et sages / Rarefatto / Fuga
momenti in pizzicato, la tromba con sordina fa
Fin ch’han dal vino e Madamina, il catalogo è / Martango (take two) / Classico / La visione del capolino su percussioni misteriose mentre sul-
bipede / Fin ch’han dal vino / Fermo / Mediterra-
questo. neo / Trance meditativa / Martango (take three) /
lo sfondo compare un bandoneon nostalgico e
L’ensemble dei musicisti è di assoluto rilievo Mosso / Madamina, il catalogo è questo malinconico. Emozionante

118
RECORDS JAZZ REVIEW

TITO MANGIALAJO RANTZER


DAL BASSO IN ALTO
SOLISTA, 2014

La solo performance, per un contrabbassista,


è una pratica assai insidiosa ma Tito
Mangialajo Rantzer la vive con grande relax
e tutto funziona naturalmente. "Dal basso in
alto" è il primo lavoro a suo nome: ed eccolo
passeggiare attorno a originali (con omaggi
a Dave Holland e Sam Rivers), standard
e spartiti di Ornette Coleman, Piero Delle Monache, Antonio
Zambrini, Paolo Botti, Bud Powell. Affascinante la ripresa
sonora che raccoglie i fischi di accompagnamento alla cavata, il
respiro del solista e il reverbero del legno e della meccanica del
contrabbasso, facendoci vivere, da vicino, l’intera session. (LV)

FABIO MARIANI GROUP


ON MY HANDS
VIDEO RADIO, 2014

Il chitarrista Fabio Mariani, noto al grande


pubblico anche in veste di didatta, torna a
incidere da leader alla guida di un nuovo
quintetto, facendo ascoltare un repertorio di
nove composizioni scritte e arrangiate per
l’occasione. Si trovano partiture di grande
ispirazione, melodiche (Cross Travels) e di
ampio respiro (Come Back At Home), ballad melanconiche (Estasi),
ambienti sonori funkeggianti (Easy Fun), latin (Emocao) e fusion
(Unlocked). Curiosa la chiusura, un blues nato sui social e che vede
il coinvolgimento di altri quattro solisti. (LV)

SEBASTIAN MARINO
INCIPIT
INDACO, 2013

L’esordio discografico del pianista Sebastian


Marino, classe 1988, mette in mostra una
musica che si muove tra eleganza classica
(grazie alla presenza di un quartetto d’archi),
melodismo pop (si ascolti la struggente
Come d’incanto), atmosfere rétro ed etniche
(grazie alla presenza di tre voci, fisarmonica
e chitarra classica), anche se il centro espressivo di “Incipit” è il
suo piano jazz trio, che lo vede a fianco di Andy Pietropaolo al
contrabbasso e Luca Fareri alla batteria. Gli ambienti sonori sono
arrangiati con grande sensibilità e profondità. (LV)

BRAD MEHLDAU/MARK GUILIANA


MEHLIANA TAMING THE DRAGON
NONESUCH, 2014

Il disco celebra la collaborazione tra il


pianista Brad Mehldau (in questa circostanza
anche ai sintetizzatori e al Fender Rhodes)
e il batterista Mark Guiliana (anche agli
effetti). Siamo davanti a un’opera che amplia
ulteriormente gli orizzonti espressivi di
Mehldau: il pianista si fa ascoltare in una
miscellanea di atmosfere dance-funk cariche di groove, speech,
schegge di dance e psichedelia, tra lunghe fughe improvvisative
drum’n’bass ed elettro-ballad. È nel sound d’insieme, acido e
prorompente, e nell’incessante interazione tra i due, che si giocano
i destini di “Mehliana”. (LV)

119
120
RECORDS JAZZ REVIEW

ANTONELLO MESSINA OMIT FIVE


POLYFEMO SPEAK RANDOM
AM MUSIC, 2013 SLAM, 2014

Il quintetto italoamericano guidato dal Il nuovo lavoro degli Omit Five – Mattia
fisarmonicista Antonello Messina (comprendente Dalla Pozza (sax contralto), Filippo Vignato
Umberto Fiorentino alla chitarra, Michel Rosen (trombone), Joseph Circelli (chitarra), Rosa
al sassofono, Luca Pirozzi al contrabbasso e basso Brunello (contrabbasso) e Simone Sferruzza
elettrico e John Arnold alla batteria) fa ascoltare (batteria) – si distingue per il sound di gruppo
un repertorio, tutto originale, che evoca scenari (si sente che la band è molto attiva dal vivo, in
tipici dei Weather Report (The Forest Called), Italia e soprattutto all’estero), per il raffinato
gentle waltz (Les contradictions), scomposizioni ritmiche, melodie, incastro timbrico della front line (sax contralto e trombone), per
partiture ricche di obbligati e spazi liberi per l’improvvisazione. la scrittura (tutto il repertorio è originale, fuori dai canoni tema-
Affascinante il suono strumentale di Messina: morbido, tagliente e improvvisazione-tema) e per gli orizzonti espressivi che sfiorano
incisivo, non per forza elegante. (LV) il jazz di ieri e di oggi, dal rock alla classica. (LV)

MARCO OLIVIERI STEFANO ONORATI


FANTASY, MELODY AND DANCE LIVE AT VENEZZE FESTIVAL 2013
ZONE DI MUSICA, 2013 CALIGOLA, 2013

«Ho costruito la scaletta dell’incisione volendo Il pianista Stefano Onorati, classe 1966, si
concentrarmi su tre atteggiamenti musicali fa ascoltare dal vivo alla guida di un trio
che noto ricorrenti nel mio modo di suonare completato da Stefano Senni al contrabbasso
e improvvisare; così, ecco tre serie di brani, e Walter Paoli alla batteria. Il repertorio
ciascuna composta da una fantasia, una melodia è quanto mai singolare (a firma di Kenny
e una danza», scrive il pianista Marco Olivieri. Wheeler, Bill Evans e Ornette Coleman, con
E in effetti in questo suo piano solo si alternano un brano originale e uno standard, Blame It
più orizzonti espressivi, ora cupi e introversi, ora carichi di energia e On My Youth, amato anche dai più celebri jazz singer) e mette in
solarità. Il suono strumentale è anch’esso vario, ora carico di vibrati, risalto l’eleganza espressiva del pianista, la sua vena lirica e una
ora meccanico, aspro e al tempo stesso brillante. Emerge appieno una ricerca profonda per lo sviluppo improvvisativo colto e al tempo
grazia e una certa compostezza classica. (LV) stesso emozionale: gran bel feeling di gruppo. (LV)

121
FOCUS JAZZ REVIEW

IBRAHIM MAALOUF ILLUSIONS

DI EUGENIO MIRTI

“I llusions” è il nuovo lavoro del trombet-


tista libanese (ma parigino di adozione)
Ibrahim Maalouf, album che segue “Wind” del
sezione arrangiata all’unisono (si ascoltino
Conspiracy Generation e InPRESSI). Gli am-
bienti sonori richiamano spesso i film polizie-
2012. Una prima analisi va dedicata al packa- schi degli anni Settanta, specie nelle vamp mo-
ging del CD, una confezione cartonata che rac- dali sviluppate con maestria, come dimostra
coglie numerose e rappresentative fotografie. ancora InPRESSI, un bel brano costruito sul
In queste il trombettista indossa un abito bian- metro di 5/4; a un tema modale e morbido, ba-
co, una camicia di seta turchese e delle scarpe sato sull’utilizzo di note lunghe, segue un fra-
dorate; è seduto su un divano di velluto rosso, goroso e irresistibile arrangiamento funk.
circondato da un insieme bizzarro di elemen- Questi momenti particolarmente intensi si al-
ti: un basso Rickenbacker, un uomo e una don- ternano a brani più eterei, come ben dimostra
na neri in calze a rete, una ragazza dai capelli Busy, una ballad costruita con un tema di due
IBRAHIM
verdi con blusa stars and stripes, una bambina MAALOUF note basato sul riff del basso; notevoli i bei fra-
con la corona regale e un ambiguo personag- ILLUSIONS seggi di batteria che guidano il graduale cre-
gio con lunghi dreadlocks e smalto blu a mani MI’STER PRODUCTIONS, scendo, fino ad arrivare ai parossistici passag-
2013
e piedi. Sullo sfondo un sipario di velluto ros- gi che si ascoltano intorno ai cinque minuti.
so. Una cura iconografica che riproduce fedel- Ibrahim Maalouf (tr); François Delporte (ch); True Sorry è ancora una composizione mode-
Frank Woeste (tast); Laurent David (b el); Xa-
mente i mondi sonori personali e originali di vier Rogé (batt); Youenn Le Cam (1/4 tone tr, fl, rata, con una melodia lirica e trame armoniche
Maalouf. La musica, infatti, propone sonorità cornamusa); Martin Saccardy, Yann Martin (tr) esposte da un Rhodes caldo e avvincente.
che mescolano abilmente jazz e rock, suoni di- Illusions / Conspiracy Generation / InPRESSI / Colpisce la visione personale di Maalouf, un
storti e fraseggi lirici di tromba, funk e psiche- Nomade Slang / Busy / If You Wanna Be A Wo- musicista che ha studiato e frequentato diversi
man / Unfaithful / True Sorry
delia: un vero e proprio Helzzapoppin’ impre- linguaggi musicali (jazz, classica, musica ara-
vedibile e particolarmente ricco di energia. ba e così via) ma che sembra scegliere in “Il-
L’approccio aggressivo che pervade le esecu- lusions” un approccio fortemente basato sul
zioni è proprio uno dei fattori di grande inte- ritmo e sull’esposizione di groove ispirati al ti-
resse di “Illusions”: le parti di batteria di Xa- pico sound della musica nera nordamericana.
vier Rogé sono sempre in primo piano e ben Un album nell’insieme originale, che dimostra
sostengono le trombe che sviluppano spes- pienamente le capacità compositive di Ibrahim
so fraseggi call & response tra il leader e la Maalouf

122
RECORDS JAZZ REVIEW

ORCHESTRA DA TRE SOLDI


VOLUME II
ABEAT, 2014

L’Orchestra da Tre Soldi, attiva dal 2002,


è un esempio di crossover tra linguaggi,
stili e generi musicali, e anche in questo
suo più recente album dichiara la sua
personalissima idea di musica ibrida, a metà
strada tra folk mediterraneo, manouche,
contemporanea, latin e canzone popolare.
Forte del suo originale assetto timbrico (voce, clarinetto, chitarra,
fisarmonica, violino, violoncello e contrabbasso), la piccola
orchestra si muove con raffinatezza zigzagando tra Kurt Weil,
Heitor Villa-Lobos e composizioni originali. (LV)

JASON PALMER
PLACES
STEEPLECHASE, 2014

Il trombettista americano Jason Palmer


costruisce una sorta di concept album
lasciandosi ispirare dalle città che più
lo hanno segnato nel corso della sua
vita (Berlino, Parigi, Berna o la sua città
natale, High Point) ed ecco nascere una
musica sempre varia, diversa e generosa di
riferimenti. Palmer, che si fa ascoltare in fraseggi morbidi e lirici
ma anche eccezionalmente vertiginosi e plastici, è alla guida di un
quintetto (con il tenorista Mark Turner, tra gli altri) che si muove
tra combinazioni ritmiche audaci (brani in 7/4 e 11/4), suite e
spartiti davvero impegnativi. (LV)

PEIRANI & PARISIEN DUO ART


BELLE ÉPOQUE
ACT, 2014

La collana “Duo Art” firmata ACT si


arricchisce di un confronto strumentale assai
inedito sotto il profilo timbrico, quello tra il
fisarmonicista Vincent Peirani e il sopranista
Emile Parisien. Il titolo è un evidente
richiamo a un repertorio d’altri tempi, da
Sidney Bechet a Duke Ellington passando per
Mills Irving, anche se tutto si respira fuorché un’atmosfera rétro e
vintage; merito di Peirani e Parisien quello di aver scelto un’ottica
interpretativa che mette in evidenza nuovi scenari melodici,
ritmici e armonici senza travolgere l’identità primigenia. (LV)

NICOLA PERFETTI & FEDERICO GERINI


LA FORMA DEI RICORDI
DODICILUNE, 2013

Il chitarrista Nicola Perfetti e il pianista Federico


Gerini guidano un quintetto che si misura
con atmosfere tipicamente mediterranee, sia
per quanto concerne la propensione melodica
della composizione sia nell’effetto timbrico
morbidamente acustico e ricercato, che fa perno
proprio sul dialogo costante dei due leader.
C’è una grande eleganza diffusa nelle undici tracce proposte, e ci si
muove anche tra schegge di tango (Tram 28) e profonda liricità (Il
respiro antico), tra notturni carichi di melanconia e vere e proprie
canzoni senza testo (La forma dei ricordi). (LV)

123
RECORDS
INTERVISTA JAZZ
LORENZO
REVIEW
PAESANI/LUCA DALPOZZO/DARIO MAZZUCCO

LORENZO PAESANI
LUCA DALPOZZO
DARIO MAZZUCCO
IMBISS
“IMBISS” (2013) È IL TITOLO DEL SECONDO LAVORO PUBBLICATO PER
L'ETICHETTA ABEAT DAL TRIO PAESANI/DALPOZZO/MAZZUCCO: UN CROGIOLO
D'INFLUENZE MUSICALI DI CUI ABBIAMO PARLATO CON I DIRETTI INTERESSATI

DI ANTONINO DI VITA

124 124
«Ci accomuna l'ascolto dei grandi piano trio contemporanei quali
Mehldau, Taborn, Moran o Iyer. Per ciò che riguarda la sfera extra-
musicale, dobbiamo confessare una comune passione per i serial TV
americani [...], il cinema e la letteratura di fantascienza del Novecento»

Che cosa accomuna i fast food tedeschi (Imbiss), il deserto nordamericano riportato
nell'immagine di copertina e la musica contenuta nel disco?
LP / È un gioco di rimandi reciproci, di simboli. Gli Imbiss per me rappresentano la globaliz-
zazione, chioschi che vendono cibo turco dove tutti fanno la fila a prescindere dal loro ceto so-
ciale, dalla loro etnia o dalle loro idee politiche. Un luogo affollato e caotico la cui immagine
“ombra” è il deserto: (quasi) nessuna presenza umana, un posto in cui si parla la lingua dello
spirito e dimorano misteri arcani. La musica si muove attraverso questi due estremi, fra sug-
gestioni antitetiche.

Un lavoro caratterizzato dalla convergenza di molteplici influenze, non solo musicali. LORENZO PAESANI/
Quali sono le vostre fonti d'ispirazione? LUCA DALPOZZO/DARIO MAZZUCCO

LD / Ci accomuna l'ascolto dei grandi piano trio contemporanei quali Mehldau, Taborn, Mo- IMBISS
ABEAT, 2013
ran o Iyer. Per ciò che riguarda la sfera extra-musicale, dobbiamo confessare una comune pas-
sione per i serial TV americani (in particolare per Breaking Bad), il cinema e la letteratura di Lorenzo Paesani (pf, Wurlitzer); Luca Dalpozzo (cb); Dario Mazzuc-
fantascienza del Novecento: Philip K. Dick, Aldous Huxley, Douglas Adams e Ray Bradbury. co (batt)

Dopo il precedente “Wayne's Play-


Qual è l'obiettivo che vi eravate preposti? Siete soddisfatti del risultato raggiunto? ground” (Abeat, 2011), un album
DM / L'obiettivo era fotografare un determinato periodo musicale del trio. L'esperienza monotematico incentrato sulla mu-
precedente con il lavoro su Shorter, l'intensa attività live, le varie collaborazioni e la scrittu- sica di Wayne Shorter, il trio Pae-
sani/Dalpozzo/Mazzucco matu-
ra finalizzata alla realizzazione di questo nuovo lavoro hanno forgiato il trio così come ap-
ra, sempre per l'etichetta di Mario
pare ora. Credo che il disco ne sia una testimonianza fedele della quale siamo totalmente Caccia, un secondo lavoro compo-
soddisfatti! sto esclusivamente da partiture ori-
ginali. Tre brani a testa per un tota-
Dal precedente “Wayne's Playground” (Abeat, 2011), nel quale rileggevate la musica di le di nove: tracce ispirate oltre che
dalle relative passioni musicali, an-
Wayne Shorter, siete passati a un repertorio composto totalmente da brani originali.
che da cinema e letteratura. Una
Quale dei due progetti è stato maggiormente impegnativo? cifra stilistica che si esprime attra-
LD / Il lavoro svolto sulla musica di Shorter è stato fondamentale per creare, attraverso un ter- verso la sovrapposizione di vari
reno comune, un suono che riflettesse il più possibile le nostre identità artistiche, evitando i elementi: echi mainstream, affla-
classici cliché che affollano i tributi ai grandi compositori jazz. In “Imbiss”, invece, l'impegno ti di jazz elettrico (complice il Wur-
litzer), inflessioni colte, reminiscen-
maggiore ha riguardato il comparto compositivo più che gli arrangiamenti. Personalmente
ze bop ed estemporanee evasioni
ho trovato molto stimolante scrivere per il trio, pensare alle caratteristiche interpretative di free form (come in Contrast Princi-
Lorenzo e Dario, cercando di attenermi alla mia idea originaria. ples o nella coda di Samsara), il tut-
to accomunato da un'elastica pro-
I brani sono caratterizzati da continui cambi d'atmosfera e di metrica: quanto questo nuncia moderna. Emblematica la
scelta del titolo, “Imbiss”, termine
è dovuto alla scrittura e quanto all'estro del momento?
tedesco che identifica i locali de-
LP / Di solito il compositore decide le quantità dell'uno o dell'altro. Ultimamente però il mio diti allo street food dove transita-
linguaggio pianistico sta passando da John Taylor (il mio riferimento principale) a Cecil Tay- no persone di ogni credo e cultura,
lor e alla musica contemporanea. Questo allargamento di orizzonti mi permette di suonare dinamico crocevia d'influenze. L'an-
più liberamente e di cambiare a mio piacimento gli elementi o addirittura la struttura dei miei damento distonico di Time Lapse,
gli arpeggi ad anello che incorni-
brani senza per questo alterarne il messaggio. Mi piace rischiare molto nell'improvvisazione
ciano le elaborazioni tematiche di
e lasciare la stessa libertà agli altri. Dalpozzo e i ricami di Mazzucco
nell'esotica Samsara, il tribalismo
In scaletta appaiono solo brani firmati singolarmente, nessuna composizione colletti- trasfigurato in Sevenths Dance o
va. È casuale o frutto di una scelta precisa? l'oasi riflessiva Dope, interrotta da
morbidi accenti latin, concorrono a
DM / È casuale. Nel periodo in cui lavoravamo al disco, ciascuno di noi ha portato molto più
definire un pensiero multiforme ma
materiale di quello poi registrato. Mi preme sottolineare come, nonostante le composizioni si- coeso. (ADV)
ano accreditate a un solo autore, il lavoro collettivo abbia dato forma a ogni brano, sempre nel
Time Lapse / Samsara / Empty Spaces / Contrast Principles / Dope
rispetto delle peculiarità compositive ma esaltando contemporaneamente l'apporto degli al-
/ Interlude #2 / The Kid From Arizona / Frau C. / Sevenths Dance
tri due musicisti

125
RECORDS JAZZ REVIEW
RECORDS JAZZ REVIEW

GIULIANO PERIN TRIO


MÉNAGE À TROIS
CALIGOLA, 2013

Il polistrumentista Giuliano Perin fa ascoltare


un modern mainstream elegante, eseguito
con grande gusto e feeling, dando voce allo
swing più autentico e a melodie cantabili
più che al virtuosismo fine a sé stesso. Perin
suona il pianoforte, il vibrafono e la marimba,
riuscendo così a offrire un ventaglio timbrico
sempre vario alla ritmica (Domenico Santaniello al contrabbasso e
Daniele Scambia alla batteria) tanto che sembra di avere a che fare
con un large ensemble: la musica proposta assume così coordinate
espressive sempre diverse. (LV)

RICH PERRY
NOCTURNE
STEEPLECHASE, 2014

Il tenorista Rich Perry è un musicista che


si distingue per essere particolarmente
attento all’interpretazione e a ogni dettaglio
espressivo del suo strumento, un sassofonista
vocato (per istinto e propensione emozionale)
alla ballad melodica. Curioso notare che
“Nocturne” mette in programma standard
amati da Charlie Parker (Cherokee) e Kenny Dorham (Lotus
Blossom) mantenendo relax e tempi slow. In questa circostanza,
cosa rara per lui, Rich Perry è alla guida di un quartetto pianoless
ma con chitarra (Nate Radley). (LV)

HOUSTON PERSON
NICE ‘N’ EASY
HIGHNOTE, 2013

Fin dalle prime note di “Nice ‘n’ Easy” il


tenorista Houston Person evoca alla memoria
i grandi maestri di stile suoi predecessori
come Ben Webster, Coleman Hawkins,
Don Byas e Lester Young tanto è forte la
propensione a un fraseggio rilassato, morbido
e da balladeur. Nonostante la presenza di una
ritmica che potrebbe infuocare la session, e cito il contrabbassista
Ray Drummond e il batterista Lewis Nash, Person circumnaviga
gli standard proposti prendendoli a un tempo lento e con un
accompagnamento in punta di piedi, dando risalto e senso a ogni
singola nota “cantata”. (LV)

ALBERTO PIZZO
ON THE WAY
CINEVOX, 2014

Con una produzione firmata dal chitarrista


Fabrizio Sotti (da anni residente a New York
e già collaboratore di Whitney Houston,
Jennifer Lopez e Cassandra Wilson), il
pianista Alberto Pizzo porta a compimento
un disco straordinariamente eclettico dal
punto di vista espressivo: muovendosi tra
atmosfere mediterranee e latin, tra virtuosismo e liricità, la sua
musica è fusion nella sua accezione più estesa. Assai ricco il cast
degli special guest, da Renzo Arbore a Mino Cinelu, da Toquino a
David Knopfler e con, naturalmente, Fabrizio Sotti. (LV)

127
FOCUS JAZZ REVIEW

ONE
IVO PERELMAN
JOE MORRIS
il suo fido tenore di situazioni estreme, nel-
le quali lo strumento viene “torchiato” (dal
punto di vista sia dinamico sia tonale) rifug-
gendo qualsiasi idea di staticità. Insieme i tre

BALÁZS PÁNDI
musicisti danno vita a un denso tessuto nar-
rativo dal pulsare poliritmico, armonicamen-
te elusivo, dove le intemperanze di Perelman
vengono incalzate dall'errare sotterraneo di
Morris, chitarrista all'anagrafe (con una pas-
DI ANTONINO DI VITA sione per il contrabbasso) qui per la prima
volta alle prese con il basso elettrico, e dal-

D i origini italiane (i suoi fondatori sono


Giacomo Bruzzo e il musicista/produt-
tore Eraldo Bernocchi), l'etichetta londinese
le muscolari asimmetrie hardcore di Pándi,
batterista dal background meticcio (metal,
noise, free jazz, grindcore).
RareNoise riafferma con questa nuova usci- L'apripista Freedom, manifesto programma-
ta la sua indole anticonformista. Una fama tico del disco, deflagra in mille direzioni con
costruita licenziando una serie di coraggio- un'incessante frenesia (Coleman docet) che
se proposte perennemente in bilico su quel- non concede tregua, tra fraseggi convulsi e
la impercettibile e indefinita linea di confine un sax che stride sulle sabbie mobili ritmiche
fra i generi, con un'accesa predilezione per i create da Pándi. I fragori del brano preceden-
territori di frontiera nei quali si concentrano te sembrano diluirsi in What Love Can Lead
i flussi magmatici dell'improvvisazione tout To, dove il mood risulta sinuoso e meno teso
court. a fronte di un'insinuante sensazione di ma-
IVO PERELMAN
“One” non delude le attese: il disco docu- JOE MORRIS lessere che ne contamina l'atmosfera genera-
BALÁZS PÁNDI
menta l'incontro fra tre personalità tanto le. Vero e proprio puzzle sonoro in crescen-
diverse quanto convergenti nell'ideale co- ONE do, To Remember What Never Existed ostenta
RARE NOISE, 2013
mune di “caos” organico. Due terzi della for- un'inquietudine composta che aumenta d'in-
mazione, l'americano Joe Morris e il magia- Ivo Perelman (ten); Joe Morris (b el); Balázs tensità senza mai cedere al parossismo: in-
Pándi (batt)
ro Balázs Pándi, sono stati recentemente a teressante l'introduttivo lavoro sui piatti del
fianco a fianco in quel melting pot musica- Freedom / What Love Can Lead To / To Re- batterista ungherese.
member What Never Existed / One / Univer-
le (blues, rock, metal, free jazz, avant-garde) sal Truth / Stigma La title-track rientra nei canoni di un jazz
denominato Slobber Pup, il quartetto che in- più ortodosso, mentre la successiva Universal
clude anche il bassista Trevor Dunn e il ta- Truth sfoggia un confronto a due nella parte
stierista Jamie Saft e che lo scorso anno ha centrale, che mette in luce le elaborate evo-
dato alle stampe l'album “Black Aces” (Rare- luzioni di Morris e Pándi orfani di Perelman.
Noise, 2013), opera prima i cui riflessi scre- Gli oltre diciassette minuti della conclusiva
ziano il lavoro di questo trio. Il brasiliano Ivo Stigma rimettono in gioco tutti gli elementi
Perelman, promotore di questo progetto, è fin qui esibiti in una sorta di compendio im-
uno dei più appassionati seguaci del free jazz provvisativo. Sei tracce che siglano un'inci-
contemporaneo, frequentatore abituale con sione anfetaminica

128
RECORDS JAZZ REVIEW

PLYMOUTH POLO
PLYMOUTH PLEASURES
RARE NOISE, 2014 AUAND, 2014

Il quintetto Plymouth – comprendente Jamie "poLO" è un quartetto – Paolo Porta (sax tenore
Saft (pianoforte, Fender Rhodes e organo), Joe e soprano e flauto), Andrea Lombardini (basso
Morris (chitarra), Mary Halvorson (chitarra), elettrico), Gileno Santana (tromba, flicorno
Chris Lightcap (basso elettrico) e Gerlad e trombone) e Jonas Burgwinkel (batteria) –
Cleaver (batteria) – è protagonista di una dalle idee decisamente personali, che si esprime
session infuocata, con evidenti riferimenti alla attraverso inauditi impasti timbrici (merito
psichedelia e al jazz-rock fine anni Sessanta e delle numerose soluzioni espresse dalla front
inizi anni Settanta, tanto che in molte circostanze sembra di avere line e dal bassista) e originali soluzioni ritmiche (c’è uno sguardo oltre
a che fare con i Grateful Dead. “Plymouth” è composto da tre lo swing) e compositive (sotto il profilo formale e stilistico, con echi
lunghe suite, veri e propri viaggi onirici, intensi e lisergici, carichi di post rock, fusion e addirittura reggae). Efficaci gli arrangiamenti,
di spazi improvvisati e di groove. (LV) ben scritti, e le ampie sezioni improvvisate. (LV)

MARCO POGGIOLESI & FERDINANDO ROMANO QUINTETO PORTEÑO


TANDEM. A RUOTA LIBERA RINASCIMENTO
DODICILUNE, 2013 ALFAMUSIC/ALFAPROJECT, 2014

Il chitarrista Marco Poggiolesi e il contrabbassista Il Quinteto Porteño nasce nel 2006 ed è


Ferdinando Romano costruiscono un album che composto da musicisti friulani: Nicola Milan
sembra avere come stella polare “Beyond The (fisarmonica), Daniele Labelli (pianoforte),
Missouri Sky (Short Stories)” di Charlie Haden e Nicola Mansutti (violino), Roberto
Pat Metheny, come si evince dall’interpretazione Colussi (chitarra) e Alessandro Turchet
del classico pop The Sound Of Silence. (contrabbasso). Centro focale della loro ricerca
Si tratta di un duo altamente lirico, poetico, espressiva è il tango, non esclusivamente
evocativo, morbido ed etereo ma a tratti anche sovraccarico di quello a firma di Astor Piazzolla, tanto che “Rinascimento” ospita
elettronica (come in Lycra). Poggiolesi e Romano, infatti, organizzano un repertorio originale. Ed ecco nascere un personalissimo blend
il repertorio relazionandosi con loop ed elettronica per allargare lo di sonorità, colte e popolari, tra Argentina e Italia, tra partiture
spettro timbrico del combo. (LV) scritte, fitte di obbligati, e ampie sezioni improvvisate. (LV)

129
RECORDS
INTERVISTA JAZZ
ROLLERBALL
REVIEW

ROLLERBALL
POST AMEN
A CINQUE ANNI DALL’ESORDIO “LA CLINICA DEL RASOIO”, TORNANO
I ROLLERBALL, IRRIVERENTE E ICONOCLASTA QUINTETTO CHE BASA
LA PROPRIA CIFRA STILISTICA SULLA BRILLANTE COMMISTIONE DI GENERI
DIVERSI. ABBIAMO INTERVISTATO MASSIMILIANO SORRENTINI,
BATTERISTA DEL GRUPPO
DI EUGENIO MIRTI

130 130
«Ci piace giocare con elementi che noi stessi definiamo «pornografia musicale».
Ci piace anche non prenderci troppo sul serio e lasciarci una certa libertà che
magari, con altri progetti, non possiamo avere»

Il disco, dopo ben cinque anni di attesa, segue il precedente “La clinica
del rasoio”, acclamatissimo esordio. Perché avete aspettato così a lungo?
Nulla di pianificato. Quasi tutti noi, in questa lunga pausa, abbiamo lavorato a
progetti personali o con altre formazioni; ad un certo punto, spontaneamen-
te, ci siamo ritrovati a provare insieme del materiale nuovo nella vecchia casa
di Danilo a Padova, suonando in salotto. Tra una pastasciutta e l'altra, abbia-
mo capito che il nuovo materiale ci piaceva e che era arrivato il momento di
registrarlo.
ROLLERBALL
Come avete scelto l’unico brano non originale, Der Kommissar, di Falco? POST AMEN
È stata una mia idea, seguendo il solco tracciato da Chain Reaction Machine EL GALLO ROJO, 2013
presente nel primo disco. Allora Piero riarrangiò una melodia di un video che Piero Bittolo Bon (alto, bar, cl, fl); Beppe Scardino (bar, cl b); Enrico
avevo trovato su YouTube e che mostrava un apparecchio assurdo, sullo stile Terragnoli (ch, banjo, podophono); Danilo Gallo (cb, b el); Massimi-
liano Sorrentini (batt, perc)
delle “macchine inutili” di Munari. Piero ed io ci divertiamo spesso con que-
sti scambi telematici da nerd. Con Der Kommissar è accaduto lo stesso; capisco L’ascolto di Garada K7, scritta
da Piero Bittolo Bon, è un esem-
che ora tra hipster e vintage possa sembrare una scelta molto di moda, ma ci pio emblematico dei mondi so-
divertiva l'idea di provare a riarrangiarlo. Così è stato e ci piace molto. nori proposti dai Rollerball: temi
all’unisono si svolgono sulla ritmi-
L’ironia è una delle caratteristiche principali del progetto Rollerball: sei ca serrata di Danilo Gallo e Massi-
d’accordo sull’importanza di questa componente nella vostra musica? miliano Sorrentini, la chitarra offre
interventi umoristici e ironici (riff
Sì, sono (e siamo, credo) completamente d'accordo. Ci piace giocare con ele- di due note che richiamano le si-
menti che noi stessi definiamo «pornografia musicale». Ci piace anche non rene dell’ambulanza, e così via),
prenderci troppo sul serio e lasciarci una certa libertà che magari, con altri voci ed effetti elettronici colora-
progetti, non possiamo avere: campionare ad esempio una pubblicità giappo- no di “gentile pazzia” la tavolozza
nese e metterla in un brano. Credo che questo divertimento si senta e del re- sonora, arricchita anche dai cam-
bi di tempo e da un inesorabile
sto per citare una felice espressione del nostro Enrico Terragnoli: «Rollerball crescendo. Come si può capire si
è jazz senza la preoccupazione di suonare jazz». tratta di un approccio scherzoso e
irriverente ma al contempo ricco
Come hai lavorato alla scrittura dei tuoi brani? di contenuti e imprevedibile per
A volte improvviso con una tastiera e se il materiale è buono, lo approfondisco. definizione. Non mancano mo-
menti più morbidi e pacati, come
Nella scrittura iniziale mi servo dei campioni orchestrali di GarageBand: è un Kosciunsko o Your Morning. La
software primitivo ma mi aiuta molto a sentire se il timbro di uno strumen- formazione è molto interessante e
to funziona, poiché il suono per me viene prima di tutto. Altre volte trascrivo originale, con i fiati di Bittolo Bon
idee che ho cantato e registrato. In ogni caso preferisco mantenere tutto piut- e Beppe Scardino accompagnati
tosto semplice e scarno, anche perché le mie conoscenze non mi permettereb- dalla chitarra di Enrico Terragno-
li come unico strumento armonico
bero di fare altrimenti. Diciamo che, con l'esperienza, ho imparato a servirmi (e dal timbro costantemente can-
produttivamente della mia ignoranza. giante). Tutti i membri del quin-
tetto hanno contribuito scrivendo
Aspetterete un altro lustro per il seguito di “Post amen”? dei brani, regalando ulteriore va-
Dipende da molti fattori: il primo è quanto riusciremo a suonare con questo rietà alla visione sonora. Geniale
è l’arrangiamento di Der Kommis-
progetto, problema che del resto è comune a tutti i miei colleghi. I gruppi vi- sar! (EM)
vono se li si fa suonare, altrimenti è inutile affollare un mercato già molto sa-
Apathic Avant-Jazz Anthem / Cappuccino Deadline / Moonless /
turo di dischi e progetti. Ultimamente sto abbracciando l'idea di una decresci-
Garada K7 / Kosciunsko / Forse mai / Kosciunsko Reprise / Scazza-
ta discografica felice: c'è troppo da ascoltare oggi, tutti pubblicano un album murillo / Cose che vanno, cose che restano / Tips Are Not Included
ogni due giorni e non la trovo più una buona idea / Your Morning / Der Kommissar

131
RECORDS JAZZ REVIEW
RECORDS JAZZ REVIEW

LEONARDO RADICCHI
RIOT
GROOVE MASTER EDITION, 2013

L’idea di base del cd, che si configura come


un concept album, è quella di raccontare
le tensioni della società contemporanea.
La musica del quintetto guidato dal tenorista
Leonardo Radicchi ha un sound carico di
groove e pulsazioni ritmiche che si rifanno
alla black music, all’organ style, al funk
e al soul. L’elettronica, inoltre, costituisce un asse timbrico
assai rilevante grazie anche all’adozione del Fender Rhodes.
Le partiture scritte, con sezioni piene di obbligati e unisoni (Suite
For Riot), dimostrano grande competenza compositiva. (LV)

PEPE RAGONESE ORGAN TRIO & FRIENDS


SWEET SOUL MOOD
ABEAT, 2014

Qualcosa di più di un organ trio grazie alla


partecipazione di numerosi ospiti, presenti in
cinque delle sette tracce in programma, che vanno
ad arricchire l'impasto timbrico offrendo altresì
un orizzonte più vasto sul fronte improvvisativo.
La macchina da groove capitalizzata dal trio
composto dal trombettista Pepe Ragonese,
dall’organista Alberto Gurrisi e dal batterista Alessandro Minetto
fa ascoltare atmosfere anni Sessanta, tracce evidenti del Medeski,
Martin & Wood feat. John Scofield (Blues For Al’s Hammond), tra fast
e ballad di grande liricità e intensità espressiva. (LV)

STEFANO SAVINI
MUSICA SEMPLICE
DODICILUNE, 2013

Quella proposta dal chitarrista e compositore


Stefano Savini è una vera e propria opera
suddivisa in diciassette sequenze eseguite
da un ensemble eccezionalmente vasto
(diciannove musicisti) e caratterizzato da
infinite soluzioni timbriche, tra violini e sax
tenore, flauto e oboe, chitarra e vibrafono,
trombone e pianoforte. L’improvvisazione è secondaria rispetto
a espliciti riferimenti alla musica contemporanea e vengono
messi in scena composizioni eleganti e complesse sotto il profilo
formale, cariche di obbligati e dal personale dettaglio sonoro. (LV)

FRANCESCA SORTINO
FRANCY’S KICKS
ABEAT, 2014

La musica della cantante Francesca Sortino si


muove abilmente e con gusto tra latin, elettro-
pop, nouveau swing, nu jazz (come la radio
edit di Inside Art a firma di Gerardo Frisina),
groove e ballad, dando vita a un corpus di
composizioni originali (scritte dalla cantante)
che si distinguono per freschezza, per forza
melodica e per un personalissimo blend di sonorità. Una folta
schiera di protagonisti sono stati invitati a dare il loro contributo
e tra questi segnaliamo Fabrizio Bosso, Franco Piana, Pietro
Tonolo, Giampaolo Ascolese, John Arnold e Luca Bulgarelli. (LV)

133
FOCUS JAZZ REVIEW

SONATA ISLANDS
MEETS MAHLER

DI EUGENIO MIRTI

I rapporti tra jazz e musica classica sono uno


degli elementi chiave nell’analisi della storia
della musica del XX secolo: basterebbe citare le
Numerosi temi si intrecciano e si alternano
nell’insieme del disco: richiami alla musica po-
polare (specie nell’accordéon di Zanchini), in-
opere di George Gershwin e di Duke Ellington, terludi con scrittura orchestrale, lunghe vamp
gli stili del Modern Jazz Quartet e dell’orche- modali che sostengono gli assolo realizzati a vol-
stra di Gil Evans fino ad arrivare alla Third te da uno o due strumenti singoli, a volte esposti
Stream teorizzata da Gunther Schuller nel 1957, dall’intero collettivo, con una propensione per
vale a dire all’elaborazione teorica di una musi- atmosfere aperte e free.
ca espressione della sintesi di tradizione classi- Analizzare Commiato rende bene l’idea com-
ca e improvvisazione jazz. Sonata Islands è un plessiva del lavoro: un’introduzione spagnoleg-
ensemble cameristico nato proprio per realizza- giante, resa grazie all’inconfondibile sound del
SONATA ISLANDS
re nuova musica italiana di matrice colta o jazz, modo frigio esposto dalla tromba accompagna-
e nel corso del tempo ha pubblicato numerosi MEETS MAHLER ta dall’accordéon, è seguita da un bel duetto di
ZONE DI MUSICA, 2013
lavori discografici, l’ultimo dei quali, “AltRock sassofono e flauto; è quindi introdotto un secon-
Chamber Quartet - Sonata Island Goes RIO” del Sonata Islands Ensemble: Giovanni Falzone do tema lieve ed etereo che organizza gli accenti
(tr); Emilio Galante (fl, piccolo); Achille Suc-
2012, proponeva trascrizioni per quartetto di ci (cl, cl b, alto); Simone Zanchini (fisa); Stefa- ritmici in una sequenza 3+3+2 con belle textures
composizioni di Fred Frith. no Senni (cb); Francesco Cusa (batt); Tommaso nell’arrangiamento degli strumenti. La tromba
Lonardi (voc #6)
Nell’ultimo CD “Meets Mahler” l’obiettivo di- di Giovanni Falzone rimane da sola e alla fine
Das Trinklied / Kind Of Earth / Non Mahler
chiarato è quello di annullare le differenze tra / Von der Schönheit / Around Mahler /
del suo intervento lancia un groove per l’inse-
musica scritta e improvvisata, elaborando sia Commiato rimento dell’accordéon che esplode in un asso-
una scrittura che preveda forme più aperte sia lo caratterizzato da intensità e crescendo. Si ri-
una richiesta ai musicisti improvvisatori di de- presenta adesso il secondo tema, che precede la
dicarsi a forme più strutturate. L’album consiste voce narrante che conclude il brano.
di sei brani registrati live nel 2011 al Zona K di Come si può capire, si tratta di un progetto gran-
Milano: sono firmati da Hubert Stuppner, Stefa- demente articolato e strutturato, che si apprezza
no Nanni, Simone Zanchini, Achille Succi, Gio- sia per la versatilità del collettivo sia per le dif-
vanni Falzone, Emilio Galante, tutti (a eccezio- ferenze nella scrittura e nell’arrangiamento dei
ne dell’introduttivo Das Trinklied di Stuppner) sei autori, ognuno portatore di una sua visione
particolarmente lunghi ed elaborati. originale

134
RECORDS JAZZ REVIEW

OMAR SOSA
SENSES
OTÁ RECORDS

Di tutti i pianisti di origine cubana, Omar


Sosa è forse il meno interessato all’aspetto
virtuosistico e il più orientato al lato melodico
e lirico, e “Senses” ne è una straordinaria
testimonianza. Il disco nasce senza alcuna
predeterminazione ed è frutto di riprese audio
all’interno dell’Auditorium del Rensselaer
Polytechnic Institute della città di Troy. Si ascoltano sedici brevi
frammenti registrati in piano solo, un vero e proprio zibaldone di
pensieri, elegiaci e allo stesso tempo cupi e notturni: un corpus di
composizioni molto intense. (LV)

NICK SMART’S TROGON


TOWER CASA
BABEL LABEL, 2013

Il sestetto guidato dal trombettista inglese


Nick Smart si muove tra atmosfere afrocubane
e contemporary jazz, dando sviluppo a
composizioni dalla scrittura complessa, con
forme ampie e cariche di obbligati. Il suono
strumentale e lo spirito espressivo del leader,
a metà strada tra quello di Rob Mazurek,
Dave Douglas e Kenny Wheeler, mette in evidenza le qualità di un
musicista colto, che trattiene le emozioni e che non si abbandona
al facile lirismo. (LV)

GIULIANA SOSCIA & PINO JODICE DUET


SONATA PER LUNA CRESCENTE
BARVIN, 2013

Tra la fisarmonicista Giuliana Soscia e il


pianista Pino Jodice corre buon sangue perché
sono compagni di vita e d’arte. La loro idea di
musica tende a mettere in scena un crossover
tra generi diversi: tra canzone popolare e
tango, tra jazz e musica mediterranea, tra
blues e repertorio classico. Domina su tutto
un profondo feeling e interplay mentre il repertorio è tutto
originale, scritto in uguale misura dai due leader: partiture
complesse, affascinanti, emotivamente intense, rétro e al tempo
stesso eccezionalmente contemporanee. (LV)

ALBERTO TACCHINI/VALERIO DELLA FONTE/TONI BOSELLI


STELLA BY STARLIGHT
SPLASC(H), 2013

L’idea è quella di affrontare un corpus di


standard della tradizione americana (e cito, tra
gli otto proposti in scaletta, Stella By Starlight,
Blue In Green, All The Things You Are, Donna
Lee) e rileggerli con una nuova e personale
prospettiva interpretativa. Il trio ne sperimenta
le opportunità e le tessiture armoniche,
prendendo le distanze dalla loro efficacia melodica (si ascolti All
The Thing You Are) e puntando sull’essenzialità, e sull'aleatorietà,
dell’impianto ritmico. Si respira un incessante interplay, una
profonda tensione nervosa e un’atmosfera densa di spiritualità. (LV)

135
RECORDS
INTERVISTA JAZZ
GLAUCO
REVIEW
VENIER

G LAUCO
VENIER
SY M P H O N I KA

DOPO L’OMAGGIO A TOM WAITS, GLAUCO VENIER PRESENTA UN NUOVO LAVORO


FIRMATO ARTESUONO: LA REGISTRAZIONE AUDIO E VIDEO DI UN CONCERTO
REALIZZATO CON LA FVG MITTELEUROPA ORCHESTRA E LA MITTELFEST BIG BAND. LE
ORCHESTRAZIONI SONO A CURA DI MICHELE CORCELLA, COAUTORE DEL PROGETTO,
© GLAUCO COMORETTO

E GLI OSPITI NORMA WINSTONE, ULI BECKERHOFF E MATTHIAS NADOLNY

DI EUGENIO MIRTI

136 136
«La mia attenzione è rivolta alla musica popolare e dialettale,
uno degli strumenti che un musicista europeo ha a disposizione per staccarsi
dai modelli nordamericani»

“Symphonika” è un progetto multimediale costituito da un CD e un DVD e


con due orchestre coinvolte nella loro realizzazione: è stato complicato gesti-
re l’operazione?
Da alcuni anni sono invitato a suonare al Mittelfest, festival promotore di uno scam-
bio culturale tra i musicisti della Mitteleuropa. Questa zona ha una grande impor-
tanza storica: qui c’era il Patriarcato di Aquileia, qui sono nate le prime forme polifo-
niche e così via. Nel 2012 ho presentato questo mio progetto, coniugando le ricerche
musicali che porto avanti da più di vent’anni. La mia attenzione è rivolta alla musi-
ca popolare e dialettale, uno degli strumenti che un musicista europeo ha a disposi-
zione per staccarsi dai modelli nordamericani. L’orchestra sinfonica è la FVG Mitte-
leuropa Orchestra, mentre per il versante jazzistico ho chiamato tutti i miei amici,
realizzando una bella grande famiglia! L’idea iniziale era di realizzare solo il DVD, GLAUCO VENIER/
MICHELE CORCELLA
ma poi abbiamo pensato che il CD potesse essere più pratico e quindi abbiamo inse-
rito entrambi. SYMPHONIKA
ARTESUONO, 2014

Come hai organizzato il lavoro con Michele Corcella? Glauco Venier (pf, comp); Michele Corcella (arr, orchestrazione,
In verità metà del materiale era già pronto e risaliva a una collaborazione che aveva- ch); FVG Mitteleuropa Orchestra; Mittelfest Big Band; Walter The-
mel (dir); Norma Winstone (voc); Uli Beckerhoff (tr, flic); Matthias
mo realizzato con l’Orchestra Radio TV di Colonia. Proprio in quell’occasione ho co- Nadolny (ten)
nosciuto Michele, che ho voluto qui come co-autore del lavoro. Abbiamo una visione
musicale simile e quindi mi sono limitato a dargli le melodie dei brani con gli accor- Il primo motivo d’interesse di
di e lui ha realizzato il lavoro di arrangiamento e orchestrazione. “Symphonika” è il lussuoso packa-
ging: un CD e un DVD raccolti in
una confezione cartonata che con-
Le composizioni sono un patchwork di brani originali, temi popolari e compo- tiene inoltre un booklet di diciot-
sizioni di Arturo Zardini (1869-1923) e Giorgio Mainerio (1535-1582): come hai to pagine. Una produzione cura-
lavorato agli sviluppi? ta nei dettagli, gioia anche per gli
Zardini era un compositore di villotte del tardo Ottocento, un mugnaio divenuto poi occhi. Già dall’iniziale A tor a tor il
titolo emblematico del lavoro vie-
militare che aveva una passione compositiva. Prendo qualsiasi melodia mi interessi
ne spiegato: è un brano che pre-
e la trasporto nel “mio” mondo armonico; mi piace sperimentare con il rispetto sia senta un mélange di influenze di-
della tradizione europea sia di quella jazzistica. verse, con l’orchestra degli archi a
sostenere il sax contralto e la voce
Che cosa ci racconti di Norma Winstone che canta in friulano? di Norma Winstone che espone il
tema; a due minuti entra la ritmi-
Mentre eravamo in tournée in Corea, ho sentito che in un’intervista rispondeva che
ca jazz che sottolinea l’assolo gu-
si è divertita moltissimo perché il dialetto friulano le ricorda molto il ladino e il ca- stoso di Beckerhoff. Colpiscono
talano. Credo che abbia fatto un lavoro egregio: sa che tengo molto alla componente l’abilità di Venier di sovrappor-
dialettale e ha messo davvero il massimo impegno. Ritengo che la cultura regionale re influenze differenti in un insie-
sia la vera ricchezza del nostro paese: venti dialetti, altrettante tradizioni culinarie me organico e quella di Corcella di
orchestrare in maniera eccellente,
e così via. Guai se si perdesse questa varietà!
gestendo al meglio due ensemble
di grande levatura tecnica. Un la-
Com’è nata la collaborazione con Uli Beckerhoff e Matthias Nadolny? voro personale, ben suonato e in-
Li conosco da una decina d’anni, da quando cioè mi invitano al Jazzahead! di Bre- novativo nella sua proposta. (EM)
ma a tenere delle master class. Beckerhoff ne è il direttore artistico, la nostra ami- CD: A tor a tor / Prejera par Tualjas / L’Ave / Tedescha / Stelutis al-
cizia quindi si è sviluppata nel contesto di questa collaborazione. Nadolny è uno dei pinis / Lipe rosize / Gust da essi viva / Ce matine / Schiarazula ma-
miei sassofonisti preferiti in Europa, peculiare per la mistura di suoni particolari. razula / Cjant da lis cjampanis / Gorizia / Ungarescha

DVD: A tor a tor / Ce matine / Prejera par Tualjas / Cjant da lis cjam-
Quale sarà il tuo prossimo progetto? panis / Stelutis alpinis / Lipe rosize / Gust da essi viva / Tedescha
A dicembre uscirà un mio disco per piano solo per la ECM, un lavoro completamen- / L’Ave / Com’è triste Codroipo / Ungarescha / Schiarazula mara-
zula / The Mermaid
te improvvisato. Un’idea sviluppata insieme a Manfred Eicher: ogni brano prende
spunto dal suonare percussioni (idiofoni, membranofoni, eccetera), creando delle si-
tuazioni sonore speciali poi riprese al pianoforte

137
RECORDS JAZZ REVIEW

HENRI TEXIER HOPE QUARTET BRUNO TOMMASO


AT «L’IMPROVISTE» LE OCHE DI LORENZ
LABEL BLEU, 2013 RUDI RECORDS, 2014

Registrato dal vivo nel 2012, “At «l’Improviste»” L’album ospita tre diverse azioni musicali:
fa ascoltare il quartetto del contrabbassista le dodici variazioni su Oh What A Beautiful
Henri Texier, completato dal figlio Sébastian Morning (che dimostrano l’abilità di Bruno
(sax contralto e clarinetto), da François Cornelup Tommaso a esplorare le possibilità espressive
(sax baritono) e da Louis Moutin (batteria). di uno spartito), Il gioco dell’oca, una suite
Texier dà vita a una musica fortemente creativa, di cinque movimenti tra improvvisazione e
nel senso più puro del termine, caratterizzata senso della forma, e quattro composizioni che
da ampi spazi di improvvisazione e aperta ai contributi espressivi dei sfiorano ambienti espressivi tardo ottocenteschi. Affascinante il
solisti, attingendo ad atmosfere liriche, etniche, swing (Sébastian ha un suono d’insieme dell’ottetto con quattro clarinetti (Nico Gori, Achille
fraseggio alla Lee Konitz) e della tradizione jazzistica più d’avanguardia. Succi, Gianluigi Trovesi e Mirco Mariottini), voce (Martina Grossi) e
Si respira una profonda tensione e vitalità espressiva. (LV) ritmica (Sergio Corbini, Piero Leveratto e Paolo Corsi). (LV)

TIRABOSCHI/ZAMBELLI/PRANDO TONOLO/POLGA/SANTANIELLO/CHIARELLA
CHUYPAH PUCCINI IN JAZZ
DODICILUNE, 2013 CALIGOLA, 2014

Poliritmie audaci, schegge d’improvvisazione L’idea di fondo è partire dalle melodie del
totale, ambienti psichedelici e musica repertorio pucciniano e attivare un gioco di
seriale, frammenti di jazz manouche, musica manipolazione, rielaborazione, interpretazione
popolare, sense of humor (come nella Rapsodia e improvvisazione, dando vita a nuove
satanica) e perché no, anche una dolcissima alternative espressive per un repertorio che
ninna nanna, melanconica ed estremamente appare già così perfetto. Tocca al pianista
lirica. “Chuypah” mostra infinite suggestioni Marcello Tonolo elaborare gli arrangiamenti
ed è la perfetta sintesi di un crogiolo di percorsi espressivi, che ma è tutto il quartetto (completato dal tenorista Michele Polga, dal
unisce il chitarrista Marco Tiraboschi, il fisarmonicista Gino contrabbassista e violoncellista Domenico Santaniello e dal batterista
Zambelli e il contrabbassista Simone Prando: eppure, nonostante Massimo Chiarella) a dare forma alla trasformazione jazzistica,
le numerose stelle polari, emerge una grande personalità. (LV) avvicinandosi e allontanandosi dai temi originari. (LV)

138
RECORDS JAZZ REVIEW

T.R.E. + STEFANO BATTAGLIA DANIELE VIANELLO


HORO CUORE. CONCERTO PER GIOCATTOLO
ABEAT, 2014 DODICILUNE, 2013

T.R.E., acronimo di Tri Razional Eccentrico, è C’è aria di festa di paese, melodie che
un piano trio costituito da Alessandro Giachero portano con loro un sapore arcaico e un
(pianoforte), Stefano Risso (contrabbasso) e inconfondibile dettaglio timbrico di matrice
Marco Zanoli (batteria). Per l’occasione il trio mediterranea nella musica del quintetto
diventa un quartetto con doppio pianoforte diretto dal contrabbassista Daniele Vianello.
grazie alla collaborazione di Stefano Battaglia. C’è la materializzazione musicale del Sud,
Fin dalle prime note siamo immersi in un non a caso anche il titolo di un brano, con la
ambiente sonoro intenso, carico di tensione espressiva, ed è un sua esuberanza, vitalità e forza creativa. Ma al tempo stesso si
susseguirsi, quasi cinematografico, di orizzonti emozionali. ascoltano atmosfere fortemente nostalgiche e melanconiche come
Tutto fluisce organicamente, in costante evoluzione, ed è difficile se “cUore. Concerto per giocattolo” fosse un plot cinematografico
distinguere libere improvvisazioni e partiture scritte. (LV) generato dal ricordo di un tempo che non c’è più. (LV)

MARK TURNER/BAPTISTE TROTIGNON VIBEGUITAR QUARTET


DUSK IS A QUIET PLACE THE DUKE
NAÏVE RECORDS, 2013 FOUR, 2014

Nell’incastro timbrico tra vibrafono e chitarra


Registrato nella primavera del 2011 e pubblicato elettrica, rispettivamente di Saverio Tasca e
due anni dopo, “Dusk Is A Quiet Place” è la Guido Di Leone, si giocano i destini di “The
sintesi di un incontro particolarmente intenso Duke”, un album di modern mainstream
e carico di spiritualità, quello tra il tenorista elegante ma carico di groove (Butch), con
americano Mark Turner e il pianista francese sfumature bossa (The Duke), post bop (Half
Baptiste Trotignon. L’atmosfera è intima, di Step Whole Step), gentle waltz (Livia) e dai
tipo cameristico, e non è un caso che vengano temi carichi di liricità (NYC Subway Love Song). Ascoltando
interpretate due corali di Johann Sebastian Bach all’interno di un bene questo disco, merito anche della ritmica composta da Aldo
repertorio di composizioni esclusivamente originali. A eccezione Bassi al contrabbasso e Giovanni Scasciamacchia alla batteria, si
della sola O do borogodo, l’album è fitto di ambientazioni espressive partecipa a una session carica di gioia e piacevolezza. (LV)
ombrose ed enigmatiche. (LV)

139
FOCUS JAZZ REVIEW

© DANIELA CREVENA
KENNY WHEELER
DI ANTONINO DI VITA
SIX FOR SIX

I brani che compongono “Six For Six” sono sta-


ti registrati nell'aprile del 2008 presso i Bauer
Studios di Ludwigsburg in Germania e mostrano
anche se il termine “leader” in questo contesto ri-
sulta inappropriato visto che “Six For Six” è a tutti
gli effetti un lavoro corale, nel quale ogni elemento
un inossidabile Wheeler, allora settantottenne, an- del gruppo è parte integrante di un puzzle armo-
cora in grado di ammaliare con la sua pregnante li- nico, pur nel rispetto delle singole individualità.
ricità sia strumentale (anche se il suono denuncia La scrittura, ricca di particolari e colori interme-
un'evidente flessione dal punto di vista timbrico e di, è quella che da oltre quarant'anni definisce la
dinamico) sia compositiva. Il disco contiene otto cifra stilistica di Wheeler, sempre sorprendente
tracce firmate dal trombettista, sei delle quali – Se- e dal carattere cangiante: ambienti armonici dal-
ven, Eight, Nine (Part 1) e (Part 2); Canter N. 6; The la struttura agevolmente complessa, a tratti velati
Long Waiting; Four, Five, Six e Upwards – inserite da una romantica malinconia, perizia nell'elabora-
KENNY WHEELER
anche, ma con un diverso arrangiamento, in “The zione melodica, che si traduce in fascinosi temi, e
Long Waiting” (CAM Jazz, 2012), un album che ha SIX FOR SIX uno swing al contempo pulsante e morbido; il tut-
CAM JAZZ, 2013
riportato Wheeler ancora una volta a confrontar- to avvolto nei raffinati arrangiamenti curati dallo
Kenny Wheeler (tr, flic); Stan Sulzmann (ten,
si con una big band dopo i fasti di “Music For Lar- sop); Bobby Wellins (ten); John Taylor (pf);
stesso trombettista. È Martin France a introdur-
ge & Small Ensemble” registrato nel 1990 sotto l'e- Chris Laurence (cb); Martin France (batt) re in completa solitudine Seven, Eight, Nine (Part
gida ECM. Anche The Imminent Immigrant, con il Seven, Eight, Nine (Part 1) / Canter N. 6 / The 1) con una serie di evoluzioni ritmiche, anticipan-
suo sviluppo tematico dai tratti evanescenti, era Long Waiting / Four, Five, Six / Ballad N. 130 do una sezione costruita su di un tipico call and re-
/ Seven, Eight, Nine (Part 2) / The Imminent
già apparsa in precedenza nella track-list di un al- Immigrant / Upwards sponse (presente anche in Four, Five, Six) dei fia-
tro lavoro, “All The More” (Soul Note, 1997), che lo ti. Nella poetica Ballad N. 130 aleggia lo spirito di
vedeva interagire con John Taylor, Furio Di Castri Gil Evans, in dissolvenza nella ripresa orchestrale
e Joe La Barbera. Il musicista canadese (ma lon- di Seven, Eight, Nine (Part 2), mentre la struggente
dinese di adozione dal 1952) allestisce un sestet- The Long Waiting, dal riflessivo lirismo, lascia spa-
to all british nel quale ai fidati John Taylor e Stan zio ai suggestivi incroci tensivi di Four, Five, Six.
Sulzmann, nonché all'inappuntabile tandem rit- Chiude Upwards, lunga sequenza di primi piani,
mico Chris Laurence/Martin France, si aggiunge interrotti verso la fine da una parentesi free form,
un interlocutore empatico come lo scozzese Bob- sorretta dalle eleganti geometrie di France. Il di-
by Wellins. I cinque strumentisti, che costituisco- sco celebra inoltre la sinergica intesa decennale tra
no una vivace tavolozza timbrica, sono in perfet- uno dei decani del jazz europeo e la solerte label
ta sintonia con il pensiero musicale del bandleader, romana CAM Jazz

140
RECORDS JAZZ REVIEW

ULF WAKENIUS
MOMENTO MAGICO
ACT, 2014

Viene da pensare all’album “Conversations


With Myself” (Verve, 1963) di Bill Evans
perché il chitarrista svedese Ulf Wakenius
costruisce “Momento Magico” in solitudine
e dialogando con sé stesso tramite
sovraincisioni e adottando un diverso assetto
timbrico tramite chitarra acustica (con corde
metalliche e di nylon) e chitarra basso. Wakenius predilige la ballad,
tempi lenti, atmosfere melanconiche e liriche, e si è avvolti in un
clima di diffuso intimismo. Il repertorio spazia tra new standard
(Lars Danielsson), originali e omaggi alla classica (Erik Satie). (LV)

NILS WOGRAM ROOT 70 WITH STRINGS


RIOMAR
NWOG RECORDS, 2014

Il più recente album del trombonista tedesco


Nils Wogram, classe 1972, è il sesto del
quartetto Root 70, ensemble attivo dal 2001
e comprendente Hayden Chisholm al sax
contralto e basso, Matt Penman al contrabbasso
e Jochen Rückert alla batteria. “Riomar” fa
ascoltare la band alle prese con un nuovo
repertorio pensato per essere inciso con un quartetto d’archi: il
risultato è un’opera affascinante, che allarga i confini del jazz
contemporaneo, e che, come raramente accade, genera un'osmosi
espressiva tra due ensemble di diversa natura. (LV)

MICHAEL WOLLNY TRIO


WELTENTRAUM
ACT, 2014

Enfant prodige del jazz tedesco, classe 1978,


il pianista Michael Wollny torna a incidere
da leader un un cd che viene proposto al
pubblico anche in edizione deluxe, con un
secondo cd “Concert Edition” ripreso dal
vivo nell’estate del 2013. Quella di Wollny, che
nella circostanza si fa ascoltare alla guida del
suo trio (completato da Tim Lefebvre al contrabbasso e da Eric
Schaefer alla batteria) è una musica melodica, raffinata, elegante,
concentrata, per certi versi addirittura calcolata e trattenuta.
Il corpus compositivo di Wollny si fonda su ballad e slow time. (LV)

GERMANO ZENGA NEW QUARTET


CHANGIN’ BALANCE
MUSIC CENTER, 2014

Con il suo New Quartet – completato


da Niccolò Cattaneo (pianoforte), Tito
Mangialajo Rantzer (contrabbasso) e
Ferdinando Faraò (batteria) – il sassofonista
Germano Zenga mette in scena una musica
fortemente emozionale, intimista, intensa,
fragile, dalla forte propensione melodica
e lirica. Zenga si fa ascoltare esclusivamente al tenore e il suo
fraseggio si distingue per finezza e si alimenta della lezione
dei grandi maestri come Joe Henderson, omaggiato con
l’interpretazione della sua Punjab. Ma “Changin’ Balance” è il
risultato di un lavoro collettivo e attivo della ritmica. (LV)

141
RECORDS JAZZ REVIEW

JAMEY AEBERSOLD
BLUES MINORE IN TUTTE LE TONALITÀ
VOLONTÈ & CO., 2013
Pagine 64 – CD audio - 19,90 euro

La Volontè & Co. prosegue nel lavoro di tra-


duzione dei metodi di Jamey Aebersold, i
fascicoli con i CD in allegato che tanta im-
portanza hanno avuto nella didattica jazz
degli ultimi quarant’anni. Il volume 57 trat-
ta del blues minore, proponendo un brano
da studiare per ciascuna delle dodici tona-
lità possibili. Il testo è ricco di strumen-
ti utili per il neofita così come per l’appas-
sionato: lo Scale Syllabus, i voicing pianistici per gli accordi (con
armonie a terze, quarte, l’uso delle alterazioni), l’elenco comple-
to delle possibilità di scelta tra gli accordi di settima di dominante

BOOKS
(Dominant 7th Tree of Scale Choices). Molto interessante è il tre-
dicesimo brano che, cambiando una tonalità per ogni chorus suo-
nato, permette di sviluppare tutte le possibilità armoniche in una
singola traccia. I blues in tonalità minore costituiscono una del-
le progressioni armoniche più utilizzate della storia del jazz, da
Benny Goodman a Jimmy Smith, da Kenny Burrell a John Coltra-
a cura di
ne, e il loro studio è naturalmente imprescindibile per ogni serio
Eugenio Mirti studioso. Uno strumento didattico indispensabile. (EM)
Luciano Vanni

GIOVANNI PALOMBO
IMPROVVISAZIONE FINGERSTYLE
STUDI DI IMPROVVISAZIONE PER SOLA CHITARRA
FINGERPICKING.NET, 2013
Pagine 120 + Video-Rom – 25,00 euro

82
È lo stesso Giovanni Palombo a spiega-
re nell’introduzione del volume il perché
di questo metodo: «Possiamo dire che nel-
la chitarra fingerstyle l’improvvisazione è
affrontata poco e raramente… l’impressione
generale è non esista una scuola di improv-
visazione per sola chitarra fingerstyle».
MAGGIO / GIUGNO 2014 Questo approccio chitarristico prevede l’u-

JAZZ
so delle dita della mano destra in sostitu-
zione del plettro, come avviene cioè nella
chitarra classica, e permette esplorazioni armoniche più com-
plesse; per spiegare meglio, si dice che i fraseggi a plettro a note
singole sono ispirati ai sassofoni mentre i fingerstylers guarda-
no al pianoforte e alle sue ricche possibilità polifoniche, potendo
suonare più voci insieme. Il metodo di Palombo è molto ben orga-
nizzato e l’autore predilige l’immediatezza dell’esecuzione all’e-

REVIEW
laborazione teorica e ha raccolto gli esercizi in un percorso pro-
gressivo, sviluppando numerosi argomenti come sequenze di due
accordi, blues, II-V-I, e così via. Correda il libro un video-rom con
l’esecuzione di tutti gli esercizi. Un metodo brillante che colma
bene un’inspiegabile lacuna. (EM)

142
BOOKS JAZZ REVIEW

GERRY MULLIGAN
GERRY MULLIGAN
ÉDITIONS ACADÉMIE ROYAL DES BEAUX-ARTS, 2014
Pagine 200

Ed ecco un Gerry Mulligan che non ti


aspetti, una sorpresa per molti appassionati
che lo conoscono esclusivamente come ba-
ritonista; perché questo volume raccoglie
un vasto corpus di sue opere d’arte, un cam-
pionario di disegni, prevalentemente a co-
lori, ma anche schizzi, bozze, ritratti e se-
gni su carta o su fogli di quaderno. Ciò che
le Éditions Académie Royal Des Beaux-Arts
hanno dato alle stampe non è altro che un catalogo di una mostra
organizzata a Liegi, in Belgio, nel mese di marzo di quest’anno,
un’esposizione promossa dall'Accademia Reale di Belle Arti e dal
Conservatorio Reale della città belga. Ciò che colpisce sfoglian-
do queste pagine è la vastità di rappresentazioni, da vere e pro-
prie macchie cromatiche a sagome più elaborate, da autoritratti e
frammenti informali a omaggi al jazz e al suo strumento. Lo sti-
le pittorico di Gerry Mulligan è basico, istintivo, semplice, primi-
tivo, puramente emozionale, come se disegnare fosse un’urgenza
espressiva e un fatto privato, una grande passione, e non il tentati-
vo di farne sfoggio tecnico e artistico. (LV)

GABRIEL SOLIS
THELONIOUS MONK QUARTET WITH JOHN COLTRANE AT CARNEGIE HALL
OXFORD UNIVERSITY PRESS, 2014
Pagine 184

New York City, 29 novembre 1957: il pia-


nista Thelonious Monk, il contrabbassi-
ta Ahmed Abdul-Malik e il batterista Sha-
dow Wilson si esibiscono insieme a John
Coltrane sul palco della Carnegie Hall per
un concerto di beneficenza a favore della
Morningside Community Center di Har-
lem. Di quel concerto se ne aveva notizia
solo come cronaca storica fino a quando,
nel settembre 2005, quasi cinquant’anni
dopo, la musica del quartetto torna in vita grazie a un cd pro-
dotto dalla Blue Note sotto la supervisione di Michael Cuscuna.
Passano nove anni ed ecco un bel volume scritto da Gabriel So-
lis e pubblicato dalla Oxford University Press che ne svela aned-
doti, suggestioni, riflessioni critiche, curiosità. Solis inizia il suo
racconto dalla nascita del sodalizio artistico tra Monk e Col-
trane (lo stesso pianista, in una sua intervista, aveva dichiara-
to che la musica di John Coltrane nel suo quartetto - in relazione
a quella espressa nel quintetto diretto da Miles Davis - era «li-
berated», ovvero “emancipata”) ma il senso e il valore del libro
risiedono nell’analisi musicologica della performance, con tra-
scrizioni e analisi dettagliate degli assolo più rilevanti. (LV)

143
RECORDS JAZZ REVIEW

144

Potrebbero piacerti anche