Miles Davis
Miles Davis (Alton, IL 1926 – Santa Monica, CA1991)
Studi a East St. Louis
1945, New York: brevemente alla Juilliard School of Music, sideman con Billy Eckstine, Charlie
Parker, Dizzy Gillespie e altri.
1947-48: membro stabile del quintetto di Parker e partecipazione al workshop di Gil Evans che
culmina nel
1949-50: registrazioni, firmate come leader di Birth of the Cool con Gerry Mulligan, Johnny Carisi,
John Lewis, Lee Konitz…
1949-54: varia attività con musicisti bebop (a parte Parker e Gillespie, J.J. Johnson, Horace Silver,
Sonny Rollins, Thelonius Monk, Milt Jackson) e dipendenza dall’eroina
1955-57: I quintetto con John Coltrane (ts), Red Garland (p), Paul Chambers (b), Philly Joe Jones
(d)
Relaxin’, Steamin’, Workin’, Cookin’,’Round Midnight (tutti del 1956)
1957: a Parigi, musiche per Ascenseur pour l’échafaud di Louis Malle
Ancora con Gil Evans: Miles Ahead (1957)
1957-59: il quintetto è ampliato a sestetto con Julian Cannonball Adderley (ts, as), a Red Garland
succedono Wynton Kelly e Bill Evans (p), e a Philly Joe Jones succede Jimmy Cobb (d)
Milestones (1958), Porgy and Bess (1958), Kind of Blue (1959), Sketches of Spain (1959-60)
Lasciano Miles per formare gruppi propri: Bill Evans (1958), Julian Cannonball Adderley (1959),
John Coltrane (1960), Kelly con Chambers e Cobb (1962) e nei primi anni Sessanta Miles impiega
nelle sue formazioni diversi musicisti tra cui Victor Feldman (p), George Coleman e Sam Rivers
(ts)
1963-68: II quintetto con Wayne Shorter (1964-70), Herbie Hancock (1963-68), Ron Carter (1963-
68), Tony Williams (1963-69)
1968-69: popolarizzazione del jazz-rock o della fusion, inizio del periodo elettrico
In A Silent Way, Bitches Brew (1969)
Fine anni Sessanta-inizio anni Settanta, numerosi musicisti entrano nella – ed escono dalla – band di
Miles: Chick Corea, Joe Zawinul, Keith Jarrett (p/k), John McLaughlin (g), Miroslav Vitous, Dave
Holland, Michael Henderson (b), Jack DeJohnette, Billy Cobham, Al Foster, Airto Moreira (d/p),
Bennie Maupin, Steve Grossman, Gary Bartz, Dave Liebman (s)
1975-80: ritiro dalle scene, malattie, depressione
1981: ritorno con nuovi gruppi
Giovani nuovi musicisti che entrano nella band: i saxofonisti Bill Evans (1980-84), Branford
Marsalis (1984-85), Bob Berg (1985-87) e Kenny Garrett (dal 1987), i chitarristi Mike Stern (1981-
83), John Scofield (1982-85), il tastierista Bobby Irving III (1980 e dal 1983). Negli anni Ottanta
molti musicisti che suonano con Miles non provengono più dal jazz ma piuttosto dal rock o da altri
tipi di musica.
- La musica di Miles: continuo rinnovamento, apertura a sollecitazioni diverse nel corso dei
decenni, cambi di direzione che spesso hanno disorientato la critica (Duke Ellington: Miles Davis è
“il Picasso del jazz”). Dal bop al cool (1949-50) allo hard bop (anni Cinquanta) al jazz modale
(1958-59) alla fusion (1969) sino al pop (1980-91): percorso che attraversa la storia del jazz
moderno, ne anticipa e ne segna alcune svolte essenziali
- Miles talent scout e il rapporto complesso e controverso con i suoi sidemen
- Miles compositore: aspetto multiforme e problematico, spesso non chiarito da quanto dichiarato
nelle registrazioni:
1) Autore di temi come Boplicity, Milestones, So What, All Blues, Freddie Freeloader, Nardis
2) Leader che si appropria di brani composti in realtà dai suoi sidemen come Blue in Green (di Bill
Evans) e forse anche Solar (in origine Sonny di Chuck Wayne)
3) Leader che sviluppa, modifica e amplia idee dei suoi sidemen come Flamenco Sketches (da Bill
Evans) o In A Silent Way (da Joe Zawinul), prassi di appropriazione-collaborazione creativa poi
diventata comune nel periodo fusion
4) Personalità complessa, contraddittoria, controversa tanto nell’attività musicale quanto nella vita:
egocentrico e insicuro, carismatico e sensitivo, orgoglioso e autodistruttivo, irascibile e scontroso e
ironioco e giocoso…Gli aggettivi per definirlo potrebbero essere infiniti.
Sin dagli esordi ricerca di una via alternativa allo stile dell’improvvisazione bop negli anni
Quaranta definito per la tromba da Dizzy Gillespie sia per una tecnica strumentale limitata – e in
ogni caso non paragonabile a quella di virtuosi come Gillespie e Roy Eldridge – sia per interessi
diversi. Definizione invece di alcune caratteristiche che rimarranno essenziali nel modo di suonare
di Miles anche nei decenni a venire:
- melodie liriche e distese imperniate attorno al registro medio
- repertorio di licks limitato e ripetitivo al punto da far apparire molti assoli tanto “composti”
quanto “improvvisati”
- armonia conservatrice, in stretto accordo con l’accompagnamento (fino al II quintetto)
- sottile senso della distribuzione ritmica e delle sfumature espressive
- sordina harmon (dal 1954), suono divenuto una sorta di marchio distintivo di Miles
- impiego del flicorno in alternativa alla tromba (nelle registrazioni con Gil Evans)
Le idee sonore che ispirarono questa formazione derivavano in larga misura dall’orchestra di
Claude Thornhill (da cui provenivano Gerry Mulligan e Lee Konitz), famosa per le sue sonorità
impressionistiche, la raffinatezza delle dinamiche e delle armonie e per un particolare uso della
strumentazione (con corni e tuba), nonché per uno stile esecutivo senza vibrato. Gil Evans ricorda
che “Miles had liked some of what Gerry and I had written for Claude. The instrumentation for the
Miles session was caused by the fact that this was the smallest number of instruments that could get
the sound and still express all the harmonies the Thornhill band used. Miles wanted to his idiom
with that kind of sound”(Stephanie Crease, “Gil Evans: Forever Cool." Down Beat, May 2012. p.
33).
Davis, Evans e Mulligan iniziarono poi a chiamare i musicisti; Davis era alla tromba e Mulligan al
sax baritono; per il sax contralto Miles pensava a Sonny Stitt, il cui suono molto bop s’avvicinava a
quello di Charlie Parker, per cui poi fu ingaggiato per il suo suono leggero Lee Konitz,
dell’orchestra di Thornhill, da cui furono chiamati anche molti altri sidemen. Altri musicisti furono
chiamati dai gruppi bop attivi a New York in quel periodo: il trombonista J.J. Johnson, i pianisti
John Lewis e Al Haig, i batteristi Max Roach e Kenny Clarke.
Ingaggio al Royal Roost per due settimane nel settembre 1948, dove Pete Rugolo ascolta il gruppo e
gli propone di realizzare alcune registrazioni per la Capitol: tre sessioni tra il 1949 e il 1950 con soli
quattro musicisti presenti a tutte e tre (Miles, Mulligan, Konitz e il suonatore di tuba John Barber);
altri musicisti di rilievo a prendere parte alla registrazione furono Kai Winding al trombone e
Gunther Schuller al corno.
Fonte generativa di successive esperienze per Davis e molti degli altri partecipanti alla registrazione
a dispetto del fatto che il nonetto suonò poco dal vivo prima della registrazione stessa e che questa
rimase unica. Rapporto dialettico con il bop – da cui peraltro l’esperienza in questione
indubitabilmente nasce – per cercare di superarne alcuni aspetti: in particolare gli arrangiamenti
elementari, le sonorità aggressive e le strutture esecutive dei piccoli gruppi.
1. Approccio alla scrittura per ensemble che conserva la freschezza e immediatezza
della musica improvvisata con fusione di elementi bop con altri aspetti: suono senza
vibrato, sottili sfumature ritmiche, tentativo di ottenere una ricchezza di colori e
varietà nella tessitura simile a quella di una grande orchestra usando però un numero
limitato di strumenti.
2. Integrazione più equilibrata e più fluida tra scrittura e improvvisazione di quanto non
avvenisse nel bop: da un lato l’arrangiamento guida e vincola il solista che d’altro
lato restituisce e risolve l’improvvisazione in riferimento alla sezione scritta che
segue.
Certo musica non cool nel senso di musica “fredda”, ma musica lucida, controllata, precisa questo
sì. Tessitura trasparente e spaziosa, articolata con sottigliezza nella compresenza di linee diverse
(dimensione polifonica) e concezione coerente in tutti gli aspetti: presentazione e sviluppo dei
materiali tematici attraverso una sequenza organizzata di sezioni dei pezzi o parti strumentali scritte
e improvvisate. Al di là della qualità degli assoli, ciò che più connota la musica del nonetto è
appunto l’integrazione, l’equilibrio tra lo scritto (ciò che è prearrangiato, predeterminato) e
l’improvvisato.
La registrazione reca il segno soprattutto di Miles, Mulligan, Evans e John Lewis come compositori
e arrangiatori: per quanto riguarda gli arrangiamenti Mulligan contribuisce con 6 brani, Lewis con
3, Evans con 2, Johnny Carisi con 1.
Track list
Recording dates
Una delle caratteristiche del nonetto è l’uso degli accoppiamenti tra gli strumenti. Per esempio in
Move John Lewis affida:
- melodia principale a tromba e alto sax;
- contrappunto melodico a sax baritono e tuba
- note d’armonia a corno e trombone.
In Jeru Mulligan manifesta un altro tratto tipico: l’impiego dell’unisono e di una ricca armonia dei
fiati. D’altro canto altri brani come Budo (con gli assoli di Miles, Mulligan, Konitz e Winding simili
a un head arrangement del bop). Moon Dreams è l’esempio di un pezzo scritto (arrangiato) per
intero, senza pianoforte.
Scarse ma generalmente positive reazioni al debutto del nonetto dal vivo al Royal Roost, per
esempio da parte di Count Basie. Winthrop Sargeant, critico di classica di The New Yorker,
paragonò il suono della band al lavoro di un “impressionist composer with a great sense of aural
poetry and a very fastidious feeling for tone color. . . The music sounds more like that of a new
Maurice Ravel than it does like jazz . . . it is not really jazz”, pur giudicandone la musica “charming
and exciting”. Tuttavia ampia influenza nel tempo delle registrazioni nel considerate come una via
nuova e percorribile, alternativa al bop.
All’inizio la Capitol pubblicò in 78 giri soltanto alcuni dei pezzi; 8 furono raccolti nel 1954, 11
(tranne Darn That Dream) nel 1957, tutti e 12 soltanto nel 1971.
Caratteri generali:
- vocabolario gestuale e linguaggio armonico del bop ma ripensati in una dimensione di
attenuazione e smussamento delle punte, di moderazione;
- senso di rilassatezza che prevale sul movimento frenetico e sulla turbinosa turbolenza del
bop;
- alla brillantezza virtuosistica del bop succede un lirismo acuto e penetrante;
- al protagonismo spinto dei solisti del bop succede la precisione collettiva caratteristica delle
big bands;
- rispetto al bop: toni dai profili morbidi e soffusi, espressione più raffinata e discreta;
- ricerca di un modello più flessibile per integrare l’improvvisazione solistica con passaggi
d’insieme: intreccio simbiotico di linee scritte e linee improvvisate che si distaccano sia
dalla prassi convenzionale delle big bands (i solisti suonano soltanto quando accompagnati
dalla sezione ritmica oppure con riffs d’accompagnamento) sia da quella del bop (scritto è o
può essere soltanto il tema);
- levigatezza espressiva e delle tessiture strumentali, dinamiche contenute;
- ricerca di nuove soluzioni e di nuovi modelli formali (in questo Davis si avvicina al Modern
Jazz Quartet e a Dave Brubeck).
Nascita e morte del cool jazz? È la tesi di Ted Gioia; senz’altro dopo questa esperienza di rapporto
dialettico con il bop e che lo vede per la prima volta nelle vesti di leader, Miles prende altre strade,
soprattutto quella dello hard bop e poi del jazz modale, anche se tornerà a collaborare ripetutamente
con Gil Evans in progetti che risentono in misura significativa di Birth of the Cool. Numerosi
membri del nonetto intraprenderanno poi carriere di successo con formazioni proprie (Gerry
Mulligan col quartetto con Chet Baker, John Lewis con il Modern Jazz Quartet).
00:00 A - Tutti i fiati suonano insieme la melodia (re maggiore) con lunghe note tenute del tema,
condotta dalla tromba, generando armonie intricate, semidissonanti. La sonorità dell’insieme
è dominata dal registro grave (sax baritono, corno, tuba).
00:25 B - Il sax contralto assume la condotta melodica, mentre gli altri fiati suonano un
accompagnamento ritmicamente distinto; poi l’insieme ritorna a una tessitura per blocchi
accordali.
00:51 A’ - Ritorno variato del periodo iniziale; la melodia ora è raddoppiata dal sax baritono; poi
nei passaggi più mossi la tuba aggiunge un’indipendente linea melodica.
01:17 C - Il sax contralto assume la guida melodica; mentre la linea del basso si muove
rapidamente, il sax contralto, ora mescolato agli altri fiati, accelera in una melodia quasi bop
sino a che, insieme con la tromba, tiene una nota lunga sotto alla quale gli altri fiati suonano
un modulo ritmico più veloce.
Quattro album del I Quintetto registrati nel 1956 per la Prestige in due sessioni (11 maggio e 26
ottobre). Repertorio con mescolanza di brani bebop (Salt Peanuts, Woody’n You, Oleo, Airegin),
pezzi originali di Miles hard bop (Four, Half Nelson) o Red Garland (Blues By Five) e ballads
(When I Fall In Love, It Never Entered My Mind, It Could Happen to You, My Funny Valentine).
Alcuni esempi: Four, brano di Davis in stile hard bop destinato a divenire uno standard; It Could
Happen to You, ballad (1944) eseguita a tempo medio con tocco leggerissimo di Garland e piatti per
l’accompagnamento; My Funny Valentine (1937), ballad sentimentale esempio di intensità lirica e
reinvenzione di uno standard celeberrimo con cambi della pulsazione; Blues For Five (1956) di
gusto hard bop di Red Garland; Airegin (1954) di Sonny Rollins, richiamo hard bop alle radici
africane (il titolo è “Nigeria”scritto al contrario).
Workin’ (1956)
Four (Miles Davis) [7:12]
00:00 Intro (batteria)
00:08 Tema 30 bb. ABAB’ (8+8+8+6)
00:43 Impro Davis (3 chorus)
02:40 Impro Coltrane (3 chorus)
04:32 Impro Garland (2 chorus)
05:48 Impro Davis con ripetuti break della batteria (1 chorus)
06:26 Tema
Relaxin’ (1956)
It Could Happen to You (Jimmy van Heusen – Johnny Burke) [6:37]
00:00 Intro (piano e batteria)
00:10 Tema 32 bb. ABAB’: Davis
00:51 Impro Davis (2 chorus)
02:15 Impro Coltrane (2 chorus)
04:18 Impro Garland ( 2 chorus)
05:39 Tema: Davis
Cookin’ (1956)
My Funny Valentine (Richard Rodgers – Lorenz Hart) [5:59]
00:00 Intro (sezione ritmica)
00.15 Tema-impro AA’BA’’ (8 x 3 + 12) 36 bb. AA’- Davis ballad time feel
01.09 B- Double time feel
01:27 BA’’ - Ballad time feel
02:17 Double time feel passaggio di connessione
02:31 Impro Garland (1 chorus)
04:15 Ballad time feel
04:29 Tema/impro abbreviato BA’’ 16 bb.
05:27 Coda
00:00 Intro
00:32 Tema-impro AABA 32 bb. Davis, ballad time feel
02:42 Stacco e transizione (rintocchi del piano, riff dei fiati, rullo della batteria)
02:58 Impro Coltrane, double time feel
05:09 Tema-impro Davis e Coltrane abbreviato A b bb. e conclusione, ballad time feel
S1 S2
: chorus : : turnaround :
S1 = Segnale sonoro 1
S2 = Segnale sonoro 2
Uno dei sue segnali può venire a mancare ed essere sostituito da un cenno
Milestones (1958)
Primo e unico album del sestetto con Cannonball Adderley realizzato in studio. Ultima sessione con
la sezione ritmica con Red Garland, Paul Chambers e Philly Joe Jones (Garland e Jones
abbandonarono la formazione subito dopo la registrazione: saranno sostituiti rispettivamente da
Wynton Kelly e Bill Evans e da Jimmy Cobb). Nel brano che dà il titolo all’album, registrato
nell’aprile 1958, c’è il primo esempio di jazz modale.
In realtà la struttura così com’è realizzata nella registrazione pone notevoli problemi di trascrizione
e interpretazione. Questa semplificazione non tiene conto del fatto che la sezione A si svolge
inizialmente (bb. 1-4) su un pedale di do (quindi sol7/do) e che la conclusione di ogni sezione A
(bb. 7-8) implica da parte del basso una risoluzione a fa (FA7), per non parlare. Si può dire che il
tema si svolge in un ambito modale con 1 bemolle, ma la definizione sol dorico non appare
appropriata riguardo al senso di risoluzione a fa alla fine delle sezioni A. Anche il riferimento ad un
ambito modale con 1 bemolle in chiave non funziona se si considera il rapporto del tema con gli
assoli: nelle prime 16 bb. del suo assolo Miles si allontana sensibilmente da questo ambito, negando
l’idea di un singolo modo a controllare la sezione A del pezzo; in particolare in tutti i takes
registrati, alla fine della seconda sezione A della sua impro risolve su un si naturale che contraddice
la risoluzione a fa proposta dal tema.
Nel rapporto tra i due modi si pone comunque in evidenza l’intervallo di tritono fa-si, al centro della
teoria modale elaborata da George Russell. L’anticipazione dell’armonia modale comporta il
passaggio dalla densità alla semplificazione accordale e a un ritmo armonico lento che serve a
proiettare e liberare l’improvvisazione anzitutto melodica ma anche armonica dai vincoli della
struttura metrica. Per ora si tratta ancora di impro relativamente brevi (il pezzo dura ‘soltanto’ poco
più di 5’).
Altri aspetti caratterizzanti del tema:
- struttura a riff che mima gli accordi di una sezione orchestrale;
- incrinatura della quadratura ritmica nella sezione B del tema, con effetti di sfasatura tra gli
strumenti melodici (i due sax rispetto alla tromba), poi sovrapposizioni poliritmiche e giochi
che mettono in discussione la coincidenza metrica delle parti (fiati, piano, basso, batteria)
- senso circolare, ipnotico dato dall’alternanza pendolare tra i modi
00:00 Tema
00:39 Impro Adderley (2 chorus), tra i licks c’è una citazione di Fascinating Rhythm
02:00 Impro Davis (2 chorus)
03:21 Impro Coltrane (2 chorus)
04:42 Tema (a sfumare)
Kind of Blue sestetto (2 marzo e 22 aprile 1959) con Bill Evans/Wynton Kelly, John Coltrane,
Julian Cannonball Adderley, Paul Chambers, James Cobb: esperienza decisiva e liberatoria per i
musicisti degli anni Sessanta.
Jazz modale caratterizzato da:
1) impiego dei modi come riferimento per il materiale
2) rallentamento del ritmo armonico
La rapida successione funzionale di accordi tipica del bebop è sostituita da ostinati diatonici
(vamps), pedali, oscillazioni di semitono, alternanza I-V al basso.
“Allontanamento dalle convenzionali successioni di accordi e ritorno all’enfasi sulla variazione
melodica piuttosto che armonica”, tipo di jazz basato più sugli assolo individuali che su parti pre-
arrangiate e possibilità di costruire gli assoli utilizzando modi specifici sopra una struttura armonica
sottostante radicalmente semplificata anziché su una prestabilita successione di accordi.
La possibilità di assumere come materiale per l’improvvisazione una struttura modale nasce dalle
istanze di semplificazione del jazz del periodo post-bop che tentava di trovare nuove strade rispetto
ai limiti vincolanti di una grande complessità accordale. Davis: “La musica si è fatta densa [thick]. I
ragazzi mi danno temi ed essi sono pieni di accordi. Non li posso suonare… Immagino un
movimento nel jazz che inizia a distaccarsi dalle convenzionali sequenze di accordi e un ritorno
sull’enfasi della variazione melodica piuttosto che armonica. Ci saranno meno accordi ma infinite
possibilità di cosa farne” (The Jazz Review, 1958).
Tutti i pezzi composti effettivamente da Miles come dichiarato nel disco? Blue in Green e
Flamenco Sketches sono di Evans o perlomeno nascono da sue idee… Blue in Green nella versione
di Portrait in Jazz di Bill Evans (1959) è attribuito a Davis-Evans, ma in interviste successive il
pianista dichiarò di aver composto lui il pezzo.
Note di copertina di Bill Evans (richiamato per l’occasione da Miles dopo che aveva lasciato il
quintetto l’anno precedente), che richiamano l’arte giapponese di dipingere pergamene in modo
spontaneo, senza interruzioni e ripensamenti. Le strutture musicali utilizzate qui per
l’improvvisazione sono qualcosa di simile: nella loro semplicità contengono tutto ciò che è
necessario per sollecitare la performance. Miles concepì queste strutture soltanto poche ore prima la
registrazione e diede ai musicisti soltanto degli abbozzi su che cosa suonare. I musicisti perciò non
avevano mai suonato prima questi pezzi e senza eccezioni la prima performance completa di ogni
pezzo fu un take [una prima registrazione assoluta] (il che non è peraltro vero perché ad esempio la
versione pubblicata nell’LP originale di Flamenco Sketches è il secondo take). Accento sulla
dimensione della sfida e della spontaneità di questa performance.
Nell’album sono soprattutto So What, Blue in Green e Flamenco Sketches a formulare la nuova
tendenza, mentre Freddie Freeloader e All Blues restano piuttosto legati alla forma del blues.
So What [9:22]
So What, struttura basata su due modi (re e mi bemolle dorico).
Introduzione “in libero stile ritmico” poi struttura ‘tematica’ modale basata su due scale: 16 bb.
(Scala 1: re minore dorico) – 8 bb. (Scala 2: mi bemolle dorico) – 8 bb. (Scala 1). Funzioni intro,
tema, assoli che sono conservate ma al tempo stesso ripensate in modo piuttosto radicale.
Alla fine della sezione B, l'improvvisatore ha a disposizione ben 24 battute in re minore dorico
senza alcun cambio di accordo. Il tema, normalmente esposto dal basso, è in forma antifonale con la
funzione della risposta assunta in dagli ottoni e consiste, per la parte di basso, di una frase della
durata di sei quarti che viene ripetuta, con variazioni, quattro volte per sezione, trasposta di un
semitono nella sezione B. L'esposizione del tema è preceduta da un'introduzione di basso e
pianoforte.
Intro
00:00 Introduzione ritmicamente libera (Bill Evans, Paul Chambers)
Esposizione del tema (tutti)
00:32 AA Modo 1, 16 bb.
01:02 B Modo 2, 8 bb.
01:16 A Modo 1, 8 bb.
Assoli
01:30 Miles Davis (2 chorus)
03:26 John Coltrane (2 chorus)
05:17 Cannonball Adderley (2 chorus)
07:07 Bill Evans (1 chorus) [riff dei fiati, poi vamp di ritransizione alla ripresa del tema del piano]
Tema (tutti)
00:00 A (chorus) 12 bb.
00:22 A ripetizione 12 bb.
Assoli
00:45 Wynton Kelly (4 chorus)
02:13 Miles Davis (6 chorus)
04:30 John Coltrane (5 chorus)
06:23 Cannonball Adderley (5 chorus)
08:16 Paul Chambers (2 chorus)
Tema (tutti)
08:55 A
08:19 A ripetizione
Quindi: se il tema è di 10 bb. il ritmo armonico di base è l’intero. Ciascun solista percorre la forma
2 volte (2 chorus).
Soli 1 e 5 di Miles: ritmo armonico di base (intero)
Solo 2 di Evans e Solo 3 di Coltrane: “diminuzione” del ritmo armonico (metà)
Soli 4 e fine di Evans: “diminuzione della diminuzione” del ritmo armonico (quarto)
Questa interpretazione, tuttavia, se spiega il riferimento che Evans fa nelle note alla “diminuzione”
non spiega quello all’ “aumentazione”.
Quest’ultimo si spiega soltanto se si intende la forma di 5 anziché di 10 bb. Nel libro di Ashley
Kahn Kind of Blue: The Making of Miles Davis Masterpiece ci sono fotografie che riproducono la
carta con le annotazioni di Bill Evans che sarebbero poi servite per le note di copertina e
contengono alcune correzioni riguardo alla descrizione di Blue in Green: indicata dapprima come “a
five measure circular form”, poi il “five” è mezzo cancellato e corretto in “four”, e il “four” è poi
cancellato del tutto. Questo spiegherebbe il fatto che il ritmo armonico di base del pezzo è la metà e
non l’intero, così come viene suonato nell’introduzione (bb. 2-5 della forma).
Quindi: i Soli 1 e 5 di Miles sarebbero un’“aumentazione” (sempre il doppio del ritmo armonico di
base: un intero), i Soli 2 e 3 seguirebbero il ritmo armonico di base mentre il Solo 4 e e la
finesarebbero una “diminuzione” (sempre la metà del ritmo armonico di base: quarto).
Non è chiaro come mai le note di copertina indichino che la forma è di 10 anziché di battute, ma
certo non è questo il solo errore che esse contengono (l’inversione della descrizione di Flamenco
Sketches con quella di All Blues).
Intro
00:00 Vamp 1 (Chambers e Evans) e Vamp 2 (Adderley e Coltrane)
Tema (tutti)
00:10 AA
Assoli
01:45 Miles Davis (4 chorus)
04:01 Cannonball Adderley (4 chorus)
06:14 John Coltrane (4 chorus)
08:27 Bill Evans (2 chorus)
Tema (tutti)
09:28 AA vamp a sfumare
Bill Evans: “Serie di cinque scale, ciascuna da suonarsi a piacimento da parte del solista sino a
quando ha completato la serie”.
Pezzo senza una melodia scritta. La struttura è definita da chorus di lunghezza variabile nella forma
abcde (preceduta da una introduzione), in cui ciascuna sezione è identificata da una diversa scala e
tonalità in cui il solista improvvisa, a sua discrezione, per 4 o 8 bb. Da ciò sortisce l’importanza
dell’ambito, dell’atmosfera e del colore modale come struttura portante in luogo dell’unità e della
scansione armonico-metrica di una successione di accordi.
5 sezioni: la prima e la terza sono in statiche tonalità maggiori (o in modo ionico), mentre la
seconda e la quinta alludono a dei modi. La quarta sezione, che dà il titolo al pezzo, è basata su una
scala di flamenco:
re – mi bemolle – fa diesis – sol – la – si bemolle – do/ do diesis (- re)
sottolineata dall’oscillazione tra gli accordi di re maggiore e mi bemolle maggiore al pianoforte.
La scala in questione è una variante del cosiddetto modo frigio “spagnolo”, caratterizzato dalla
seconda eccedente tra il II e il III ed eventualmente anche tra il VI e il VII grado
mi – fa – sol diesis – la – si – do – re (/re diesis) – mi
Nell’improvvisazione i solisti ora aderiscono alla struttura scalare ora sostituiscono il fa al fa diesis,
in urto con l’accompagnamento, delineando alla melodia un modo frigio puro.
A quanto pare l’introduzione (4 battute di vamp su Cmaj7 e G9sus4: sol-la-do-fa) è di Bill Evans (è
l’intro di Peace Piece da Everybody Digs Bill Evans, 1958)
Il pezzo è caratterizzato da 5 scale modali per l’improvvisazione e da una serie di accordi che fanno
da tappeto sonoro. I modi utilizzati sono i seguenti:
Nel libro Kind of Blue: The Making of the Miles Davis Masterpiece di Ashley Kahn c’è una
fotografia che risale al giorno dell’incisione di Flamenco Sketches e che ritrae il leggio di
Cannonball Adderley: sopra c’è della carta da musica con le scale scritte da Bill Evans, sulle quali
egli scrisse qualcosa del tipo “play in the sound of these scales” senza denominare in qualche modo
le scale stesse e senza far riferimento ad accordi precisi. Purtroppo due delle scale sono oscurate nel
mezzo dalla custodia del bocchino del sax e il testo a quanto pare definisce in modo scorretto due
delle scale. Ingrandendo l’immagine, considerando la trasposizione del sax contralto (in mi
bemolle) e ascoltando l’incisione si possono estrapolare i seguenti accordi base in relazione alla
serie di scale utilizzate:
|: Ab9sus :| ... Eb F Gb Ab Bb C Db Eb
|: Bbma7 F7sus :| ... Bb C D Eb F G A Bb
|: G-9 :| ... G A Bb C D Eb F G
00:00 Introduzione
4 bb. Modo #1, indicato dalle note del basso e dai voicings che richiamano Peace Piece di Evans (la
parte già alla mano sinistra di Evans ora passa a Paul Chambers, che suona soltanto sul primo e sul
quarto tempo di ogni misura, mentre gli accordi del pianoforte arricchiscono il colore del modo).
modo #1 – 4 bb.
modo #2 – 4 bb.
modo #3 – 4 bb.
modo #4 – 8 bb.
modo #5 - 4 bb.
02:02 Assolo di John Coltrane (con accompagnamento di piano, basso e piatto ride)
modo #1 – 4 bb.
modo #2 - 4 bb.
modo #3 – 4 bb.
modo #4 – 8 bb.
modo #5 – 4 bb.
03:47 Assolo di Julian Cannonball Adderley (con accompagnamento di piano, basso e piatti)
modo #1 – 8 bb.
modo #2 – 4 bb.
modo #3 – 8 bb.
modo #4 – 4 bb.
modo #5 – 4 bb.
07:48 Assolo di Miles Davis (con accompagnamento di piano, basso e piatto ride)
modo #1 – 4 bb.
modo #2 – 4 bb.
modo #3 – 4 bb.
modo #4 – 8 bb.
modo #5 – 2 bb.
II Quintetto
Keith Waters, The Studio Recordings of the Miles Davis Quintet, 1965-68, New York,
Oxford University Press, 2011.
Sino al 1964 il gruppo di Miles suonava un piccolo repertorio costituito da pezzi bop,
standard, blues e pezzi costruiti su ostinato. Con l’arrivo in pianta stabile di Wayne Shorter,
che incomincia ad agire come condirettore del quintetto si delinea – a partire da E.S.P. (1965)
– un nuovo repertorio di pezzi inediti, composti principalmente da Shorter e dagli altri
membri del quintetto: questi pezzi impiegano improvvisazioni riferite a un strutture basate su
ostinati (con la sezione ritmica che articola con straordinaria flessibilità e fantasia il metro di
4/4 peraltro non l’unico adottato), in cui gli accordi in quanto tali tendono a perdere di
importanza e l’armonia diviene totalmente molto ambigua e sfuggente. Notevole espansione
della gamma tecnica ed espressiva del II quintetto, il cui linguaggio sarà det erminato in buona
misura dalla personalità di Shorter, che pur ispirato da Coltrane, porterà nel gruppo un
elemento di introspezione, raffinatezza armonica, attenzione al silenzio e all’impiego delle
pause. Atmosfera lunare, sospesa. Tipico dello stile compositivo di Shorter è il ricorso a
concatenazioni accordali che non sono riconducibili ai principi dell’armonia funzionale, a
finali imprevisti. Notevole sperimentazione formale, oltre che linguistica del II quintetto,
forse portato peraltro con passare degli anni verso uno stile – e con questo un sound – molto
astratto, compiaciuto e ricercatamente manieristico, specie in Sorcerer e Nefertiti, che alla
fine sarà tra le principali cause dell’implosione del gruppo (come accadde quasi sempre per i
gruppi di Miles, la sezione ritmica a un certo momento si staccò dal quintetto e si mise in
proprio: cosa che farà per ultimo anche Wayne Shorter).
Il jazz degli album in studio del II quintetto è molto “cameristico”, aperto a una
sperimentazione che spesso conduce il discorso alle soglie della dissoluzione dell’impianto
tonale può risultare a tratti anche intellettualistico – o troppo intellettualistico, al punto da
suonare ostico al grande pubblico (le vendite degli album del II quintetto, non a caso, furono
di molto inferiori a quelle dei grandi successi di Davis degli anni 1950, evidentemente non
soltanto per ragioni di più ampia portata culturale e generazionale). Il II quintetto come vero e
proprio laboratorio sonoro in cui le fantasiose, sperimentali idee compo sitive-performative
potevano essere lavorate, sviluppate e alla fine registrate
Differenziazione tra gli album registrati in studio e quelli che do cumentano performances dal
vivo (in cui il gruppo continuava a suonare pezzi del repertorio di Miles e un num ero ristretto
di ballads), ma comunque ruolo e contributo molto preciso svolto da ciascun membro del
quintetto.
E.S.P. (1965)
Registrato nel gennaio 1965 è il primo, straordinario album in studio del secondo quintetto e
consiste interamente di pezzi originali composti dai membri del gruppo . Little One fu inciso
due mesi più tardi dal quintetto di Herbie Hancock (con Freddie Hubbard, George Coleman,
Ron Carter e Tony Williams) nell’album Maiden Voyage, dove il brano che dà il titolo
all’album è prefigurato nel finale di Eighty-One. Per la sua durata (oltre 48’), E.S.P. è uno dei
più lunghi album di jazz del periodo (ma gli album successivi del II quintetto saranno anche
più lunghi) e comprende 7 pezzi. L’album segna l’inizio della divaricazione tra album
registati in studio e performaces dal vivo; il titolo, tratto da uno dei pezzi, E.S.P., allude alla
ricerca di nuove sensazioni e percezioni
Rispetto al grande successo di My Funny Valentine, imperniato sul lato più accessibile della
musica di Miles, quello romantico e delle ballad, l’album disorientò e confuse il pubblico. Tra
l’altro, primo album di Miles in cui compaiono elementi funk e ritmi rock. Secondo Ian Carr,
E.S.P. è il miglior album in studio di Miles da A Kind of Blue e in esso tutti i brani, a
eccezione di Eighty One, un blues, recano inflessioni funk (affermazione sorprendente: ma
non è piuttosto che invece proprio Eighty One è il brano che più prefigura la svolta fusion di
là da venire?...)
1. E.S.P. (Wayne Shorter) – 5:27
2. Eighty-One (Ron Carter - Miles Davis) – 6:11
3. Little One (Herbie Hancock) – 7:21
4. R.J. (Ron Carter) – 3:56
5. Agitation (Miles Davis) – 7:46
6. Iris (Wayne Shorter) – 8:29
7. Mood (Ron Carter - Miles Davis) – 8:50
Liner notes di notevole valore di Bob Belden per la versione in cd (1999). L’ambum si
caratterizza per alcuni aspetti di sperimentazione formale e ritmica, che il quintetto stava
sviluppando in quel periodo dall’esperienza della performance live in una struttura
“compositiva”:
- impiego nei temi di melodie sempre più indipendenti dalla struttura armonica che le
sottende
- tecnica dello “stop-and-go”, guidata anzitutto da Carter e Williams (R.J., Agitation)
- lunghi pedali (Little One, Mood)
- creazione di una direzione “armonica” sulla base di suggestioni e implicazioni date dal
tema ma in contrasto rispetto a queste (E.S.P.)
- sospensione ritmica (R.J., Eighty-One)
- criteri di “modulazione formale”, cioè trattamento della forma e della struttura
metrico-armonica come entità distinte (Iris)
A 11 bb.
B 4 bb.
A abbreviato o tronco 6 bb.
In questo schema le diverse sezioni spingono il solista a creare un pulse differente; in particolare le
4 bb. centrali fungono da sospensione ritmica e al contempo da catapulta dinamica per rilanciare il
movimento in avanti. La struttura asimmetrica è sottolineata dalla sucessione degli accordi della
sezione A, mentre il senso di sospensione della sezione centrale B è accresciuto dal fatto di
svolgersi su un pedale.
Assoli: Miles Davis [00.22], Wayne Shorter [01:32], Herbie Hancock [02:56]
Ripresa del tema [03:28]
A B A Coda
18 bb. 30 bb. 18 bb. ---
La forma circolare del tema (ABA e la forma può essere ripetuta ad libitum sino a concludere
nella coda) si riflette nella sequenza delle improvvisazioni
Nefertiti (1967)
00:00 Intro
00:30 Tema
01:50 Taglio del montaggio, ancora intro
01:58 Tema seguito da una serie di parafrasi del tema stesso sino a 05:47
05:47 Impro Miles Davis
09:06 Impro Wayne Shorter
12:14 Impro Herbie Hancock
14:35 Tema e coda, con vamp a sfumare
Dopo Filles de Kilimanjaro, come sottolinea Ian Carr, Miles pensò di riprodurre in studio un
certo modo di suonare del gruppo in concerto, con lunghe arcate musicali senza soluzione di
continuità e svincolate dalla concezione occidentale della forma musicale. Da quel momento
in avanti Miles non entrò più in studio con l’idea di pezzi già definiti ma iniziò a esplorare
alcuni elementi e alcune sezioni del tutto per combinarli poi a posteriori in un insieme. Questo
modo di procedere e di concepire la registrazione – in cui le fasi del montaggio e della post-
produzione diventano decisive per la concezione e configurazione dell’album – è stato
descritto da Teo Macero, l’ingegnere del suono e produttore di Miles dal 1959 al 1983, che
divenne quindi a tutti gli effetti un “membro” delle band e una specie di coautore.Per questo
la svolta stilistica “elettrica” comporta anche un cambiamento radicale della concezione stessa
della registrazione: editing delle registrazioni a partire da lunghe performance realizzate e
catturate a microfoni aperti sia dal vivo sia in studio. “Il registratore non si ferma mai durante
le sedute, non ci sono attimi di sosta, ci sono solo le pause per il playback. Non appena Miles
entra in studio facciamo partire i nastri. Tutto quel che si fa in studio viene così registrato;
abbiamo un fantatico archivio di tutto quel che è accaduto. Non si è perso niente.
Probabilmente Miles è l’unico artista in tutto il globo, dacché ce l’ho io in mano, la cui
musica è intatta, completamente. Di norma facevamo dei masters, dei nastri d’origine, ma con
l’avvento dei registratori a tre, quattro piste e anche più ho deciso di smettere. Non si fanno
più masters, prendo ciò che volgio da quel che abbiamo registrato e ne faccio una copia, e il
nastro originale torna negli archivi, intatto. Se a qualcuno non piace quello che ho fatto,
scaduti i diritti si potrà risalire all’originale e rifare tutto”.
Con In A Silent Way e Bitches Brew (1969) mescolanza di strumenti acustici ed elettrici e di
improvvisazione melodica jazzistica con modalità “aperte” di accompagnamento rock e funk.
Gruppi che impiegano strumenti diversi nel segno della fusion: strumenti acustici, elettrici ed
etnici come il sitar e il tabla indiani, i piatti cinesi, vari tipi di percussioni africane e
sudamericane.
Alle origini della svolta di Miles nella direzione della fusion ci sono alcuni aspetti che vanno
tenuti in considerazione per non cadere in equivoci:
- l’influsso di gruppi di matrice jazzistica che nel 1969 già perseguivano in vari modi un
discorso di fusion: 1) il Cannonball Adderley Quintet (con Nat Adderley alla cornetta,
Joe Zawinul al piano, Walter Brooker al basso e Roy McCurdy alla batteria), grazie a
un mix di jazz, soul e rock sin dall’album 74 Miles Away (1967); 2) Tony Williams
Lifetime (con John McLaughlin alla chitarra, Larry Young all’organo), grazie a un mix
di jazz e rock e a un duplice riferimento allo stesso Miles Davis da una parte e a Jimi
Hendrix dall’altra;
- il rapporto controverso e tutt’altro che generalmente positivo di Miles con il rock , che
in riferimento agli anni intorno al 1970 ebbe a dire: “incominciai a capire che i
musicisti rock non sanno niente di musica. Non la studiano, non sann o suonare stili
differenti, e di leggerla non se ne parla nemmeno. Ma andavano di moda e vendevano
un mucchio di dischi perché davano al pubblico unc erto sound, quello che voleva
ascoltare. Così cominciai a pensare che se potevano farcela loro, a raggiungere tutta
questa gente e vendere tutti quei dischi senza nemmeno sapere cosa stessero facendo,
allora potevo farlo anch’io, soltanto meglio” (Miles Davis con Quincy Troupe,
L’autobiografia, Roma, Minimum fax, 20102, pp. 391);
- volontà di cambiare continuamente direzione e senso alla propria musica unita al desiderio
di raggiungere un ampio pubblico, al di là della nicchia degli appassionati di jazz in un
periodo in cui i giovani si mostrano – specialmente negli USA – sempre più disinteressati al
jazz: atteggiamento indubbiamente ambiguo tra motivazioni estetiche o di poetica e mere
preoccupazioni commerciali (cfr. il ruolo del presidente della Columbia, Clive Davis).
Lato uno
Shhh/Peaceful (Miles Davis) - 18:16
Shhh - 6:14
Peaceful -5:42
Shhh - 6:20
Lato due
In a Silent Way/It's About That Time (Joe Zawinul - Miles Davis) - 19:52
In a Silent Way (Joe Zawinul) - 4:11
It's About That Time (Joe Zawinul - Miles Davis) - 11:27
In a Silent Way (Joe Zawinul) - 4:14
Ssh [6:14]
00:00 Strati sonori sovrapposti: sezione ritmica
01:28 - 01:34 Stop and go
01:43 Impro Miles Davis
05:15 Sezione ritmica
05:55 – 06:13 Stop and go
Peaceful [5:42]
06:14 Impro John McLaughlin
09:13 Impro Wayn Shorter
10:48 Impro John McLaughlin
Ssh [6:14]
11:56 Ripresa di Ssh
In A Silent Way/It’s About That Time (Joe Zawinul – Miles Davis) [19:52]
Rispetto a Ssh/Peaceful che delinea uno svolgimento compatto, In A Silent Way/It’s About That
Time è un trittico in cui i pannelli estremi sono nettamente diversi per forma e carattere, anzi
decisamente contrastanti da quello centrale.
In A Silent Way, tema di Joe Zawinul (la versione originale s’ascolta nell’album Zawinul del
1971) ma in una versione radicalmente semplificata dall’editing di Miles. Di fatto, il tema di
ballad è suonato su un solo accordo, di mi maggiore, ed è presentato quattro volte, senza
assoli, senza una pulsazione precisa e con strumentazione ogni volta leggermente diversa sul
pedale del basso: pura melodia accompagnata, in una clima di magica evocazione.
It’s About That Time non si basa su alcun tema vero e proprio (le uniche parti composte nel
senso di messe per iscritto riguardano basso, batteria e tastiere), bensì su 3 sezioni che si
ripetono e si avvidendano:
A, 4 bb.: riff del basso di 3 note (mi bemolle-re-mi bemolle) + scansione ritmica regolare
della batteria (otto ottavi per battuta sul charleston piatti chiusi e quattro quarti battendo sul
metallo del rullante)
B, 3 bb.: riff del basso di 3 note (re bemolle-re bequadro-mi bemolle) + accordi contigui per
quarte delle tastiere + scansione ritmica regolare della batteria come in A
C, 2 bb.: riff del basso (fa-fa-la-la-si bemolle ecc.) + scansione ritmica regolare della batteria
come in A
In sostanza si trattò di una messa in discussione complessiva di tutta la musica precedente di Miles
(strumenti, tecniche compositive, metodi di produzione) e di un allontanamento dal pubblico
tradizionale del jazz. Eppure, nonostante la sua complessità, Bitches Brew ebbe un grande successo
di pubblico, sia tra gli amanti del rock sia tra gli appassionati di jazz, anche se fu rifiutato dai
“puristi” del jazz: con la vendita di oltre mezzo milione di copie, l’album rappresenta il secondo
miglior successo commerciale della storia del jazz, dopo Kind of Blue (1959). È piuttosto dubbio
che Bitches Brew possa essere considerato come il primo album di jazz-rock (Emergency! dei Tony
Williams Lifetime uscì nel 1969, mentre Bitches Brew fu pubblicato nel 1970), ma certo è l’opera
con cui Miles prende definitivamente le distanze da un certo modo tradizionale di concepire la
musica e il jazz, aprendo la propria esperienza ad altre musiche e ad altri mondi sonori.
L'ispirazione per l’album giunse a Davis dal Festival di Woodstock (agosto 1969). La prima
sessione per l’album ebbe infatti luogo pochi giorni dopo la conclusione della manifestazione che
aveva fatto conoscere al mondo il popolo del rock con tutte le sue implicazioni sociologiche
connesse. In particolare, le influenze principali nell’ideazione e composizione di Bitches Brew
furono quelle di Sly Stone, Jimi Hendrix, James Brown.
I profondi cambiamenti nello stile e nei concetti musicali di Miles Davis che portarono alla fusione
di jazz e rock, si realizzarono principalmente in studio di registrazione per poi svilupparsi però
anche nelle performances dal vivo. Clive Davis aveva convinto Miles ad esibirsi in grandi spazi
aperti come il Fillmore East di New York, anziché in piccoli club come aveva fatto in precedenza.
Questa apertura verso una fetta di pubblico più ampia, portò a curiose commistioni di artisti
musicali dallo stile differente che si esibirono sullo stesso palco. Nello stesso periodo anche il look
di Davis subì delle modifiche radicali come riflesso delle sue nuove scelte musicali: il musicista
iniziò ad indossare giacche di pelle, vistosi occhialoni neri, camicie dai colori psichedelici, un
abbigliamento eccentrico simile a quello dei musicisti rock dell’epoca.
Bitches Brew è stato registrato in soli tre giorni: il 19, 20 e 21 agosto 1969. nello Studio B della
Columbia sulla 52a Strada di New York In tre giorni di session, Miles e Teo Macero registrarono
tutto il materiale come fosse una lunga, unica jam session – guidata e “orchestrata” da Davis –
senza fermare mai il nastro. L’improvvisazione collettiva in sala di incisione era stata già
sperimentata da altri jazzisti come Ornette Coleman e John Coltrane, ma Davis volle che qui ogni
strumento fosse precisamente integrato in un caleidoscopico insieme collettivo appunto
“orchestrato” nei dettagli. Il gruppo di musicisti impiegati (che può essere considerato come
un’estensione del quintetto archetipico di Miles grazie a una moltiplicazione delle funzioni con in
più 1 batteria, 3 percussionisti, clarinetto basso, 2 tastiere e chitarra) comprende:
- tromba (Miles Davis)
- 2 batterie (Jack DeJohnette e Lenny White)
- 3 percussionisti (Don Alias, Juma Santos e Airto Moreira)
- sax soprano (Wayne Shorter) e clarinetto basso (Bennie Maupin)
- 2/3 pianoforti elettrici (Chick Corea, Joe Zawinul, Larry Young)
- chitarra (John McLaughlin)
- 1/2 due bassi acustico e/o elettrico (Dave Holland e Harvey Brooks)
Per la realizzazione di un’opera così complessa e difficile, Davis utilizzò il copione già
sperimentato per Kind of Blue e In A Silent Way, portando in studio solo semplici sequenze di due,
tre accordi e indicazioni dinamiche e ritmiche, lasciando per il resto carta bianca all’intuizione e
all’improvvisazione dei musicisti, sotto la sua supervisione d’insieme. Processo improvvisativo
basato su un minimo di indicazioni e su un rapporto di interazione non verbale (o quasi del tutto non
verbale) ma piuttosto intuitivo, emozionale con i musicisti; quando impiega le parole per esprimere
ai musicisti le sue intenzioni, Miles usa un linguaggio “in codice”, aforismi o haiku di poche parole
che tuttavia riescono a stimolare nel modo giusto la creatività dei musicisti (secondo quanto
riportato da Mc Laughlin e Holland, mentre Corea avrebbe preferito che Miles esprimesse
chiaramente quel che voleva e non voleva, se le cose andavano bene o potevano essere fatte in altro
modo o in modo migliore). Reticenza a parlare della musica e sulla musica, a concettualizzare le
idee, ma indicazioni sibilline, apparentemente provocatorie che vanno comunque sempre nella
direzione di ciò che non è abituale, banale, prevedibile, legato a pregiudizi e preconcetti per liberare
la fantasia creativa nell’improvvisazione.
Come nota Ian Carr, con Bitches Brew Miles si era completamente disfatto “della vecchia idea per
cui un brano consisteva di una serie di assoli e gli elementi-base venivano a essere la tromba e il
resto del complesso. I diversi modi di porsi, di interagire di quegli elementi (Miles, appunto, e il
complesso) costituiscono il motivo di interesse dell’album e il principale elemento drammatico. Se
c’è un assolo di qualche altro strumento, il sax soprano, per fare un esempio, o il clarinetto basso,
solitamente ciò è parte della trama strumentale d’insieme più che un assolo vero e proprio. Miles
governa lo svolgimento in ogni sua parte”.
La post-produzione
Enrico Merlin - Veniero Rizzardi, Bitches Brew. Genesi del capolavoro di Miles Davis, Milano,
Il Saggiatore, 2009
L’aspetto della post-produzione fu decisivo nella realizzazione del doppio album, come hanno
illustrato gli studi di Enrico Merlin e la pubblicazione di tutti i materiali della registrazione (1998).
A tale proposito, vale la pena di ricordare che Teo Macero ebbe nell’occasione carta bianca: Macero
non si limitò al tape editing per incollare insieme ampie sezioni musicali (come In A Silent Way) ma
estese il suo operato sino a editare piccoli segmenti musicali per creare temi musicali nuovi di
zecca. Inoltre Macero arricchì il suo kit di strumenti con effetti d’eco, riverberi e tape delay grazie a
una macchina chiamata Teo One, costruita dai tecnici della Columbia: questo effetto si nota alla
tromba all’inizio di Bitches Brew e in Pharaoh’s Dance (8:41). A quanto pare Macero s’ispirò in
parte, per il trattamento in post-produzione dei nastri del doppio album, alla musica colta. Secondo
il compositore e violoncellista inglee Paul Buckmaster (che farà conoscere tra l’altro a Miles la
musica di Stockhausen), in Pharaoh’s Dance e in Bitches Brew – i due pezzi connotati da un
impiego massiccio dell’editing di Macero – l’intenzione fu quella di riprodurre la struttura della
forma sonata (esposizione-sviluppo-ripresa). Ora, l’editing di Macero può essere considerato solo
parzialmente riuscito, come sembra dimostrato dal fatto che i pezzi che non furono editati sono
probabilmente i migliori:
- il breve e concentrato John McLaughlin (4:22) è un esempio di come la musica della session
potesse funzionare anche in formato ridotto;
- Spanish Key e Mile Runs the Voodoo Down sono i pezzi più intensi, tesi e contengono anche
i più convincenti assoli di Miles. Spanish Key è un brano in tempo medio di jazz-rock che si
basa su scale e centri tonali diversi e impiega ciò che Enrico Merlin definisce “coded
phrases” (motivi o elementi musicali grazie ai quali la band è indirizzata verso la sezione
musicale successiva in modo da articolare la forma):
“The method devised by Miles to signal the beginning and end of a number was very simple but
extremely effective.
To uncover the system, I started comparing recordings of the various concerts, identifying musical
situations similar in key, form and rhythm. I discovered that all the ‘similar musical situations’ were
preceded by the same phrase played by Miles Davis on the trumpet.
Having checked this theory carefully, it became clear that these “phrases” were used by the leader
during the course of the long medleys to signal the wish to go on to the next piece. In my analyses I
have discovered three types of what I call ‘coded phrase’ corresponding to particular characteristics
of the relative piece:
1. The first notes of the tune
2. The bass vamp
3. The voicings of the harmonic progressions
For example, in the case of It’s About That Time the coded phrase is taken from the voicings of the
descending chord progressions played by the electric piano (audible at 5:02 of the version published
on In a Silent Way)
As many of the compositions performed in the concerts between 1969 and 1975 were without
themes, being based exclusively on a rhythmic idea or on a bass vamp, the coded phrases help us
also to correctly identify the pieces. In addition, the bass vamps often underwent substantial
changes in the course of the tours (see Directions or It’s About That Time) and not even a
comparison of the keys is enough to help us, as there are several cases of similar or identical keys
(as with It’s About That Time and Miles Runs the Voodoo Down) […]
This device was used for the first time in Flamenco Sketches (on the album Kind of Blue) and again
in Teo (on the album Someday My Prince Will Come). Even in these two pieces the moment of
modulation between the various scales – five in the first and three in the second, whose sequence
was decided beforehand – is changed at will by the soloist or by one of the members of the rhythm
section. Another perhaps more superficial point, but one which should be noted, is the Spanish
inspiration of the titles, which is reflected in the character of the actual performances: in these two
pieces, as in Spanish Key, great use is made of strongly Spanish-sounding phrygian scales and
harmonic minors.
Conceptual continuity or use of a tested formal device? I believe that Davis was trying, and he
succeeded brilliantly, to adapt the idea of Flamenco Sketches to the musical experimentation of that
time. In fact, in the course of his career, Davis was to adopt this type of structure again, albeit using
different modal scales (still Spanish-influenced though), in one of his most-frequently performed
pieces at the beginning of the 1980s: Fat Time”.
In una prima fase iniziale dopo la conclusione delle sessioni di registrazione in studio, dopo le
lunghe operazioni di post-produzione, non era ancora ben chiaro se sarebbe stato pubblicato un
album singolo o un doppio LP. Esiste un memorandum della CBS datato 3 novembre 1969 con una
prima revisione dell’album in uscita che avrebbe dovuto intitolarsi Listen to This, un disco singolo
con data di pubblicazione prevista per il febbraio 1970 A questo stadio le tracce presenti nell’album
progettato erano le seguenti:
Lato 1: 1. Listen to This, 2. Starts Here, 3. Ends There
Lato 2: 4. Bitches Brew
I brani presenti sul lato 1 sarebbero poi stati reintitolati Pharaoh’s Dance. Il 14 novembre viene
deciso su espressa volontà di Miles Davis che il titolo dell’album in uscita sia Bitches Brew.
Soltanto il 13 gennaio 1970 viene decisa la forma definitiva nella quale l’album verrà pubblicato,
preceduto dal singolo promozionale Spanish Key / Miles Runs the Voodoo Down (Columbia 4-
45171): sarà un album doppio con l’inserimento anche degli altri titoli registrati durante le sessioni.
La pubblicazione nel maggio del 1970, con il suo titolo shock e la sua copertina psichedelica, non
passò inosservata.
Secondo alcuni, Bitches Brew è l’album di jazz che ha venduto più copie: altri hanno contestato i
dati, e alcuni hanno detto che non si tratta di jazz. Sicuramente vendette più di mezzo milione di
copie, proiettando Miles tra le stelle della scena rock, con i quali, subito dopo, Miles iniziò a
partecipare ai grandi concerti allora in voga (a partire dal concerto al Fillmore di San Francisco con
i Grateful Dead). Partecipò anche a concerti con Carlos Santana e la Steve Miller Band, accettando
ingaggi ridotti pur di poter prendere parte a questo tipo di eventi. Tra gli appassionati di jazz, furono
molti ad accusare Davis di essersi venduto, e i suoi accresciuti guadagni furono addotti come prova.
In questo periodo, Davis diede concerti col cosiddetto “quintetto perduto”, di cui non esistono
registrazioni, con Shorter, Corea, Holland e DeJohnette, suonando materiale tratto da Bitches Brew,
In a Silent Way, e dal repertorio del precedente quintetto. La formazione continuò poi ad evolvere in
direzione funk, con la sostituzione di Shorter con Steve Grossman, l’inserimento di Keith Jarrett
come secondo tastieristae il passaggio definitivo di Holland al basso elettrico. Questi gruppi
produssero diversi album dal vivo: Live at the Fillmore East, March 7, 1970: It’s About That Time
(Marzo 1970; ultima apparizione di Shorter col gruppo), Black Beauty: Miles Davis at Fillmore
West (Aprile 1970 con Steve Grossman) e Miles Davis at Fillmore: Live at the Fillmore East.
Di Bitches Brew:
- Riedizione in cd (1999) con l’inedito Feio (Wayne Shorter) registrato nel gennaio 1970, con note
di Bob Belden
- 2 CD + 1 DVD Bitches Brew 40th Anniversary Legacy Edition (2010)
Punto di svolta epocale nella storia del jazz moderno, comunque la si pensi, Bitches Brew, non
poteva riscuotere un successo unanime: del resto, dopo aver sorpreso i critici con il cool, poi con il
jazz modale, quindi con la musica sofisticata del II quintetto Davis diede vita a un ennesimo
cambiamento stilistico. La musica che inizia con Bitches Brew e prosegue nella prima metà degli
anni Settanta non era fatta per piacere a tutti indistintamente: dall’ambiente jazzistico si levarono
critiche – anche da parte di numerosi musicisti – sull’oscurità, la presunta mancanza di forma e di
direzionalità della musica, lo sconfinamento al di là di ciò che veniva identificato con il jazz, la
propensione a solleticare il gusto del pubblico del rock (anche se, e questo è un aspetto paradossale,
la musica di Bitches Brew e dei primi anni Settanta concepita e realizzata da Davis non è affatto, al
di là della straordinaria carica di energia e della forza delle armosfere sonore, una musica di facile
ascolto, accessibile all’ampio pubblico del rock e del pop per la natura dissonante, la mancanza di
melodie memorabili, l’impegnativa lunghezza dei pezzi). D’altro canto parte della critica e del
pubblico videro l’album come qualcosa di importante e molto innovativo nel panorama musicale –
non soltanto jazzistico – dell’epoca: l’impressione era di una musica inaudita, mai ascoltata prima.
Secondo Paul Tingen sia il forte intervento di editing in Pharaoh’s Dance e Bitches Brew sia
l’inclusione di John McLaughlin possono spiegarsi col fatto che si tratta di pezzi che non erano stati
precedentemente suonati dal vivo dalla band e dunque non avevano ancora ricevuto una chiara
organizzazione strutturale, al contrario di Spanish Key, Miles Runs the Voodoo Down e Sanctuary,
tutti già sperimentati dalla band in concerto (dei tre pezzi soltanto Sanctuary contiene un edit a 5:13,
dove Macero incollà un altro take). Sembra anche verosimile che nell’editing dei primi due pezzi
dell’album, Macero sia stato influenzato dalla forma che Miles aveva plasmato dai tre pezzi già
eseguiti dal vivo, e nello specifico da Spanish Key, che ha una forma circolare.
Intro A B C D
Mi alt. Frase 1 Frase 2 Frase 3
Mi alt. Re alt. Re frigio Mi frigio/alt. Sol misolidio
1) Introduction
2) A (main theme = phrase 1)
3) Phrase 2
4) B (solo)
5) C (solo)
6) Phrase 3
7) D (solo)
8) Phrase 3
9) C (solo)
10) Phrase 3
11) D (solo)
12) A (main theme)
13) Phrase 2
14) B (solo)
15) C (solo)
16) Phrase 3
17) D (solo)
18) A (main theme)
19) Phrase 2 (Miles plays the phrase and band ends on D7#9).
Da Enrico Merlin, Enrico Merlin, Code MD: Coded Phrases in the First "Electric Period"
(1996) nel sito: http://www.plosin.com/MilesAhead/CodeMD.html
Modulo C
Ascenseur pour l’échafaud (1958)
Musiche per il film d’esordio di Louis Malle, tratto dal romanzo di Noël Calef, sceneggiatura di
Roger Nimier e Louis Malle (1932-1995), fotografia di Henri Decaë, montaggio Léonide Azar con
Séverine Allimann, La Nouvelle Vague a-t-elle changé quelque chose à la musique de cinéma ?,
«1895. Mille huit cent quatre-vingt-quinze» [En ligne], 38 | 2002, mis en ligne le 28 novembre
2007
http://1895.revues.org/362
Alla fine del 1957 Miles Davis si recò a Parigi per una tournée e per un ingaggio al Club Saint-
Germain, locale alla moda di proprietà dello scrittore e musicista Boris Vian. Nella capitale francese
incontrò nuovamente l’attrice Juliette Gréco con la quale aveva instaurato nel 1949 una relazione
che, a fasi alterne, durava da molti anni. Frequentandola Davis entrò in contatto con molti esponenti
del moderno ambiente culturale esistenzialista della Rive Gauche parigina. Scrittori, artisti, filosofi
che avevano come punto di ritrovo i locali e i salotti del quartiere di Saint-Germain-des-Prés. Tra
questi, il regista Louis Malle che aveva da poco terminato le riprese del suo film d’esordio, un noir
a tinte forti che vedeva tra i protagonisti Jeanne Moreau e Maurice Ronet.
Davis era giunto a Parigi grazie al produttore e promoter Marcel Romano il quale aveva da tempo
in progetto la realizzazione di un film sul jazz, proprio con Miles Davis come protagonista. L’idea
era di documentare il processo di creazione musicale tramite una jam session per catturare la
complete communion (“completa comunione”) tra i musicisti, fenomeno descritto come base
dell’improvvisazione colettiva nel jazz. Fu a partire da quest'idea che Romano propose la cosa a
Jean-Claude Rappeneau, amico e assistente di Louis Malle. Rappeneau suggerì di utilizzare Miles
Davis per la colonna sonora del film che Malle stava completando. Già nelle immagini del film il
regista aveva voluto omaggiare Davis in una scena nella quale appare bene evidente la copertina di
un suo disco. Il caso volle che proprio nel periodo in cui si stava finendo il film il trombettista si
trovasse in Francia per l’ingaggio al Club Saint-Germain. Boris Vian, grande appassionato di jazz e
discreto trombettista, era all'epoca il principale contatto francese per i musicisti americani che
transitavano per la Francia. Fu lui, che tra l’altro all’epoca dirigeva il reparto jazzistico della
Philips, a fare da intermediario tra Malle e Davis. Vian aveva in mente come modello quanto aveva
fatto pochi mesi prima Roger Vadim per il suo Un colpo da due miliardi (Sait-on jamais...) le cui
musiche erano state composte da John Lewis e interpretate dal Modern Jazz Quartet.
Malle e Davis, con l’intermediazione di Vian, si incontrarono e, tre giorni dopo l’arrivo del
trombettista a Parigi, fu organizzata una proiezione privata di Ascenseur pour l’échafaud. Malle
spiegò a Davis la storia, l’intreccio tra i personaggi e le loro caratteristiche. Il regista non voleva la
classica registrazione di una colonna sonora, ma una vera seduta d’improvvisazione, una jam
session. Davis fu inizialmente riluttante, perché, pur stimando i musicisti francesi, non era convinto
di poter trovare con loro il feeling adatto. Pensava mancasse il necessario affiatamento che invece
aveva con i suoi abituali collaboratori. Dopo due sole proiezioni però Davis accettò la sfida e si
mise a lavorare alacremente nel suo albergo dove aveva a disposizione un pianoforte.
La sera del 4 dicembre, due settimane dopo l’incontro, Davis non doveva suonare al Club Saint-
Germain e fu così organizzata la registrazione. La produzione affittò lo studio di una radio locale, la
Poste Parisien, dove Davis riunì i musicisti: il pianista René Urtreger, il sassofonista Barney Wilen
il bassista Pierre Michelot e il batterista Kenny Clarke, veterano del bebop e vecchia conoscenza di
Davis che si era stabilito da qualche tempo in via pressoché definitiva a Parigi. Il trombettista aveva
preparato alcuni abbozzi e dopo poche e rudimentali spiegazioni limitate alle sequenze armoniche,
il gruppo iniziò a provare mentre Malle proiettava su uno schermo le scene del film a cui sarebbe
stato aggiunto il commento sonoro. I musicisti iniziarono a lavorare lentamente, ma dopo poche ore
si era creata la giusta atmosfera dettata anche dal modo in cui vennero proiettate le immagini. Malle
aveva preparato una bobina con le sette scene a cui si sarebbe aggiunto il commento che veniva
proiettata di continuo, in una sorta di loop. Ad ogni ciclo seguiva l’analisi di quanto suonato e il
regista forniva indicazioni più precise su quanto voleva. Il lavoro fu completato in una sola notte,
dalle 10 di sera alle 8 del mattino. Alla fine il regista montò la musica sul film, a volte utilizzando
brani pensati per una scena in un’altra (la musica del film dura in tutto circa 18 minuti).
Per Davis si trattò certamente di un’esperienza del tutto nuova. Mai aveva partecipato alla
realizzazione di una colonna sonora. Peraltro la registrazione del commento sonoro di Ascensore
per il patibolo fu un'esperienza del tutto nuova anche per il mondo del cinema e per il jazz. Ad
esempio, nel commento sonoro è presente quello che secondo alcuni è il primo assolo di
contrabbasso senza accompagnamento mai realizzato (i brevi brani Évasion de Julien e Visite du
vigile sono suonati dal solo Pierre Michelot), caratteristica voluta dal regista per meglio sottolineare
alcune sequenze.
Malle definì il lavoro di Davis come fondamentale per la riuscita del film. La musica aggiungeva
secondo il regista una nuova dimensione, in una sorta di contrappunto tra immagini e musica: “Ciò
che Miles Davis riuscì a fare fu eccezionale, il film si trasformò. Ricordo benissimo com’era senza
la musica, ma quando attaccammo il missaggio finale e aggiungemmo al musica, sembrò subito
decollare”.
La colonna sonora del film fu pubblicata nel 1958 dalla Fontana Records, sussidiaria della Philips
molto attiva nel jazz e controparte europea della Columbia Records, in un fortunato album a 10
pollici che conteneva dieci brani ricavati dalle registrazioni effettuate. In sede di post-produzione
alla musica fu aggiunto un effetto di riverbero per enfatizzare la drammaticità del commento sonoro
(effetto pensato per il film ma mantenuto anche sul disco). Alla fine del 1959 la Columbia incluse la
colonna sonora di Ascenseur pour l’échafaud nella prima facciata dell’album Jazz Track distribuito
sul mercato americano. Nel secondo lato furono inseriti tre brani inediti registrati da Davis nel
maggio del 1958 con il suo sestetto in cui all’epoca militavano Bill Evans, John Coltrane e
Connanball Adderley (l’album ottenne una nominationa al Grammy Award del 1961, ma sparì
presto dalla circolazione per essere ristampato solo nel 2013).
Dopo molte ristampe e riedizioni della colonna sonora, nel 1988 la PolyGram, che deteneva il
catalogo Fontana, produsse un CD contenente, oltre ai brani nella versione in cui furono inclusi
nell’album originale, tutte le registrazioni effettuate da Davis e gli altri la notte tra il 4 e il 5
dicembre 1957.
Album Fontana (1958)
Lato A
1. Générique - 2:45
2. L’assassinat de Carala - 2:10
3. Sur l’autoroute - 2:15
4. Julien dans l’ascenseur - 2:07
5. Florence sur les Champs-Élysées - 2:50
Lato B
Genesi
Porgy (1925), romanzo di Edwin Du Bose Heyward omonimo dramma (1927) di Edwin Du
Bose Heyward e Dorothy K. Heyward, grande successo. 1926: Gershwin legge il romanzo e prende
contatti con l’autore; il progetto di un’opera è accantonato sino al 1932, quando il Theatre Guild
manifesta l’intenzione di realizzarne un musical per Al Jolson da affidare a Jerome Kern e Oscar
Hammerstein II. 1933; contratto con il Theatre Guild firmato da Heyward e Gershwin per un’opera.
1934: soggiorno di Gershwin a Folly Island, vicino a Charleston, abitata dai neri Gullah (contatto
diretto con il dialetto black english e una cultura afroamericana fortemente caratterizzata). Libretto:
DuBose Heyward; liriche: DuBose Heyward e Ira Gershwin.
Recezione critica dell’opera legata anche alle diverse versioni (sino al 1976 si rappresentava
soltanto la riduzione non originale in forma di musical).
All’epoca l’opera di Gershwin era al centro di una rinnovata attenzione: l’omonimo film di Otto
Preminger, prodotto da Samuel Goldwyn (con Sidney Poiters, Dorothy Dandridge e Sammy Davis
jr., con le musiche adattate da André Previn) era ancora in lavorazione (sarebbe uscito nel 1959) ma
era già promosso e pubblicizzato, mentre si succedevano le versioni jazzistiche di un’opera che
all’epoca (e fino al 1976) circolava in una versione musical e dunque con i pezzi musicali
decontestualizzati dal tessuto operistico e separati da dialoghi recitati; del 1957 è la celebre versione
di Ella Fitzgerald e Louis Armstrong.
Selezione di alcuni episodi, tra i più significativi, dell’opera con un solo pezzo composto ex novo da
Gil Evans, così da produrre una suite in cui le musiche originali sono decontestualizzate e rimontate
secondo un nuovo ordine drammaturgico (Summertime, per esempio, non è all’inizio ma è il quinto
brano, mentre la conclusione è lasciata al song di Sportin’Life).
Interesse di Gil Evans e Miles per la grande forma e la riscrittura in chiave jazzistica della musica
colta (anche se il caso di Gershwin è del tutto particolare). Processo di trasformazione degli
originali, sottoposti a una riscrittura che li rende non soltanto strutture per l’improvvisazione ma
anche materiali per un sostanziale ripensamento timbrico e polifonico orchestrale, ispirato dalla
trasposizione del modello vocale (solistico / corale) alle voci degli strumenti. La filigrana della
riscrittura è il rapporto solista / orchestra, tra voce protaogonista e coro, e la forma dialogica del
call-and-response che del resto sostanzia anche la partitura di Gershwin.
Oltre a Miles Davis alla tromba e al flicorno, band di 19 elementi: 4 trombe, 4 tromboni, 3 corni, 1
tuba, 3 flauti e/o clarinetto, sax contralto (Cannonball Adderley), clarinetto basso, basso, batteria
(Jimmy Cobb e Philly Joe Jones).
In alcuni brani ritorna l’approccio modale iniziato con Milestones: nell’intervista con Nat Hentoff
del dicembre 1958, An Afternoon with Miles Davis (Jazz Review) Davis dichiara:
“Quando Gil compose l’arrangiamento per I Loves You, Porgy, per me scrisse solo una scala.
Nessun accordo. E quell’altro passaggio, con due soli accordi, ti dà molta più libertà e spazio per
sentire ogni cosa […] Tutti gli accordi, in fin dei conti, dipendono dalle scale e certi accordi
formano certe scale [...] Quando segui questa strada, puoi andare avanti per sempre. Non devi
preoccuparti dei giri d’accordi e puoi fare di più con la linea [melodica] Diventa una sfida scoprire
quanto puoi essere creativo con la melodia. Quando ti basi sugli accordi, sai che alla fine di
trentadue battute gli accordi sono finiti e che non c’è nient’altro da fare che ripetere quello che hai
appena fatto; con qualche variazione.”
Qualche confronto tra gli originali e le reinterpretazioni di Evans-Davis.
Esempio di come il flicorno e gli strumenti assumano la valenza delle voci di un solista e del coro.
Clima misterioso, cupo, in una libera dimensione ritmica e declamatoria.
Summertime [3:17]
Song simbolo dell’opera, uno dei pochi standard che Miles suonerà sino alla fine della sua vita.
Summertime (Clara, ninnananna AA, ripetizione con coro Ooh: musica di scena) – 17
Summertime, vero emblema dell’opera, l’unica che ritorna in ogni atto e che ha una molteplice
funzione: musicale (memorabilità melodica), drammaturgica (III, 1: immagine del temporaneo
ravvedimento di Bess, accolta e riconosciuta come membro della comunità) e simbolica (simbolo
della dimensione mitica entro la quale è inscritta la vicenda e della circolarità del tempo narrativo).
Ampliamento dell’episodio originale (che dura circa 2’30’’) in un pezzo di grande forza
drammatica e impatto emotivo. Evans ne riprende il tremolo e la condotta senza tempo,
enucleandone per via analitica alcuni elementi caratterizzanti. Richiami, interiezioni, lamenti della
tromba-voce di Davis in dialogo con l’orchestra-coro. Sorta di disperata preghiera, di scongiuro.
01:43 ritmo di 12/8 lento inizio di un ostinato discendente (desunto dall’originale), figura rituale e
ipnotica che si ripete e cresce a poco a poco sulla scansione dei piatti, portando la tromba di Miles
nel registro più acuto e lancinante: grande climax
03:59 Prosegue l’ostinato discendente: conclusione in anticlimax
Anche in questo caso l’episodio originale (2’30’’) è ampliato. Tappeto sonoro modale con linee
ondeggianti e tremoli dei fiati su cui Miles disegna in filigrana l’avvolgente tema d’amore (A di
Bess), che qui riesce ridimensionato, trattenuto ed è quindi proseguito e sussurrato dall’orchestra
(01:00) su un discreto accompagnamento di spazzole.
Quando Miles rientra (01:48) inizia ad improvvisare liberamente su una semplice stesura modale
sulle linee ondeggianti dei fiati che si sono fatte più ampie.
Concierto de Aranjuez (1939) per chitarra e orchestra di Joaquín Rodrigo (1901-1999), opera
ispirata dai profumi e dai suoni del parco del palazzo reale di Aranjuez. Secondo movimento
Adagio, oggetto – oltre alla rilettura di Evans-Davis – di innumerevoli rielaborazioni e
reinterpretazioni in chiave jazz, rock e pop, tutte avversate dal compositore.
Il movimento centrale in si minore del concerto dura circa 11’ e ha una struttura basata su un tema
di 10 battute (2 frasi di 5 + 5 battute), che si alternano tra la melodia corno inglese e le elaborate
variazioni della chitarra. Il tema ricorda nelle inflessioni la modalità gregoriana e il cante jondo: la
condotta dialogica, che coinvolge altri strumenti dell’orchestra, porta, verso la metà del pezzo, a una
parte centrale introdotta dall’oboe, con spunto più vivace dei fiati, che conduce a una lunga
cadenza-fantasia della chitarra e di qui al climax del movimento con il tema principale suonato a
piena orchestra prima dell’epilogo, in cui ritorna la chitarra. Forma, dunque, tripartita.
Parafrasi ed espansione dell’originale a partire dal tema principal e del movimento, suonato in
parte sul flicorno; secondo Miles la melodia è così forte che “più delicatamente la suoni,
risulta più forte riesce e più forte la suoni, riesce più debole” (“the softer you play it, the
stronger it gets, and the stronger you play it, the weaker it gets”).
La riscrittura di Evans ricalca la condotta dialogica e la macrostruttura dell’originale nella sua
articolazione funzionale, inserendo una sezione di nuova composizione al centro (episodio
“modale”) che sostituisce la cadenza-fantasia della chitarra:
07:22 Parte centrale: motivo dell’oboe dialogo flicorno/orchestra e spunto più vivace dei fiati
08:32 Nuovo tema degli ottoni con castagnette
09:20 Nuovo episodio “modale”: flicorno e voicings dell’orchestra su vamp del basso, con
castagnette
00:00 Tromba: impro di Miles sul modo frigio spagnolo a partire dal motivo 1 la – do
diesis – mi – fa – mi – do diesis…. su note tenute e/o arpeggiate dell’orchestra, percussioni.
01:47 Ritmi militari al tamburo e motivo ostinato 2 la – sol – si bemolle – la – la – / si
bemolle – si bemolle – do – si bemolle – la (oppure fa – fa – sol – fa –– mi)… (basso: la – mi – la)
cui sono sottesi gli accordi do diesis - mi – la (3 volte) e re – mi – fa – la (2 volte). Su questi
elementi Miles inizia a improvvisare; gli elementi sono estesi alle altre parti dell’orchestra ed
elaborati con altri motivi.
06:56 Ripresa del motivo iniziale 1 la – do diesis – mi – fa – mi – do diesis… alla tromba
ora combinato con il motivo ostinato 2 la – sol – si bemolle… dell’orchestra e nuova estensione ed
elaborazione in crescendo di tensione: poi epilogo con effetto di lungo vamp.
A. sound signals of both types A and B, which didn't appear in "All Blues," are used throughout
"All of You";
B. the subdivision of the standard into sections of different meters and accompaniment sections
is very complex;
C. as a result, the interplay among the musicians reaches a level rarely heard before;
D. the standard moves through several unusual and expressive moods, and the quintet combines
dramatic and dissonant sections -- often including complex polyrhythms (as in the beginning
of Hancock's solo, 10:06-10:39) and relaxed moments (as when from Davis' trumpet come
the refined notes of Porter's theme);
E. Williams shows his surest command of pauses and space in this piece;
F. the improvisations are irregularly extended throughout, particularly by the use of
turnarounds.
Consider an especially novel device in the quintet's interpretation of "All of You": in the last two
measures of the C section, a harmonic substitution for the tonic chord allows a turnaround of four
chords in the last four measures of the base structure.
Dopo il successo di Bitches Brew (1969), con 500.000 copie vendute e l’album di maggior successo
commerciale della storia del jazz (ma si tratta poi in effetti di jazz?) ecco la partecipazione al grande
concerto rock e pop dell’isola di Wight. Davanti a 600.000 persone. Eccitazione elettrica. Miles
leader nel senso che detta il groove, i tempi, le svolte di un discorso improvvisativo molto fluido e
libero in cui tutti sono protagonisti (ma le tastiere suonano sempre con un contributo ritmico). Beat,
impulso rock al di sopra del quale si sviluppa l’improvvisazione (quasi free): caleidoscopio di colori
e atmosfere con enfasi posta su ritmo e melodia. Interplay basato sull’ascolto e sull’attenzione
dell’ascolto degli altri che si trasforma in suono (intuizione, anticipazione, sollecitazione,
imitazione e ripresa di gesti, motivi, figure eccetera), cooperazione improvvisativa guidata ma non
controllata da Miles che non voleva che i musicisti della band sapessero prima o pensassero a ciò
che avrebbero suonato dopo. Inoltre, comunicazione verbale tra Miles e i musicisti ridotta al
minimo, spesso a brevi indicazioni allusive. Comunque, a ogni intervento, a ogni entrata di Miles
succede qualcosa. L’impressione è che i musicisti della band, tutti di formazione e provenienza
jazzistica, partecipino affascinati ma anche un poco spaesati all’impresa a causa di Miles e del suo
carisma: musicisti jazz che, sperimentando e mettendosi alla prova ma anche snaturandosi, suonano
rock o funky (emblematico ed estremo il caso di Jarrett, che detestava già da allora gli strumenti
elettrici e suonò l’organo elettrico soltanto per compiacere Miles).
Finale simbolico: Miles lascia il palco prima della fine del pezzo lasciando alla band il compito di
chiedere, a quel punto la musica va avanti ancora per un po’, ma non si sa dove e la conclusione
resta sospesa. Il pezzo finisce perché Miles se n’è andato e la sua musica è già da qualche altra
aprte.
Importanza dell’esperienza per Jarrett: continua tensione innovativa di Miles, libertà
nell’organizzazione di grandi arcate musicali sulla base del timing. Il timing costituisce qui infatti il
principio primo organizzatore del set e degli eventi sonori che lo sostanziano: alternanza di grooves
e sezioni ritmicamente libere, assoli “entrate” e “uscite” degli strumenti