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Corso: Chitarra
Sessione 3^
Anno accademico 2011-2012
1
INDICE
PREMESSA 3
1. LA BIOGRAFIA 5
2. GLI ALBORI (’76 – ‘86) 7
3. MIKE STERN LEADER 14
4. IL FRASEGGIO 18
4.1 La ballad (Goodbye again e Wing and a prayer) 20
4.2 Il fast, jazz rock (Sunnyside) 29
4.3 Fraseggi caratteristici e ricorrenti 34
5. IL RAPPORTO CON GLI STANDARD 36
6. SIGNATURE SOUND 42
7. INTERVISTA 44
8. CONCLUSIONI 51
9. DISCOGRAFIA 54
10. BIBLIOGRAFIA 58
RINGRAZIAMENTI 59
2
PREMESSA
1
L’espressione,
utilizzata
in
un
ambito
affatto
diverso,
è
del
grande
pensatore
rumeno
Emil
Cioran:
“Che
cos’è
religioso?
È
qualcosa
che
si
approfondisce
in
noi
a
scapito
del
mondo,
è
il
progredire
verso
un
silenzio
melodioso”.
Cahiers
1957-‐
1972,
Gallimard,
Paris,
1997
(trad.
it.
di
Tea
Turolla,
Quaderni
1957-‐1972,
Adelphi,
Milano,
2001,
pag.
316,
corsivo
dell’autore).
2
Eliana Cargnelutti, intervista a Mike Stern, 8 novembre 2011, Modena.
3
come colui il quale è posseduto dall’arte. La musica è un estrinsecarsi di
questo silenzio, la musica viene a configurarsi come una realizzazione
dell’ineffabile, essa è impregnata di silenzio. La musica deriva dal
silenzio, “la musica, follia del silenzio”.3
Avevo quasi vent’anni quando iniziai a entrare nel travolgente mondo del
jazz. È dunque un onore, pochi anni dopo, analizzare del materiale jazz
per giungere alle mie prime considerazioni a riguardo. Il mio intento è di
provare a chiarificare le linee di forza del fraseggio di Mike Stern e i
risultati di questa ricerca aspirano ad avere valore come punto di
orientamento che consenta di individuare dei luoghi d’incontro e di
discussione critica intorno all’artista americano.
3
Cioran E. M. Prècis de dècomposition, Gallimard, Paris, 1949 (trad. it di Mario
4
1. LA BIOGRAFIA
5
disintossicazione , nel 1985 si riunisce alla band di Miles dove prende il
posto di John Scofield.
Prima dimostrazione ufficiale della sua bravura anche come leader, è il
primo lavoro solista, Neesh (1985), un’edizione limitata pubblicata in
prima istanza solo in Giappone. Soltanto un anno dopo arriverà l’album
riconosciuto ufficialmente come il suo debutto discografico: Upside
Downside, realizzato in collaborazione con artisti del calibro di David
Sanborn, Jaco Pastorius, Dave Weckl, Steve Jordan e altri. Stern intanto
lavora anche con il sassofonista Michael Brecker, con il vibrafonista
Mike Mainieri, col trombettista Randy Brecker e col batterista Steve
Smith, nella band Steps Ahead.
Terzo, quarto, quinto e sesto album solista di Stern arrivano tutti nel
periodo ’88-’93. A inizio anni ’90, dopo essersi unito a Dennis Chambers,
Bob Berg e Lincoln Goines in una band con cui intraprende vari tours,
inizia a lavorare di nuovo anche con Michael Brecker e il fratello Randy
Brecker nella appena riapparsa Brecker Brothers Band incidendo nel
1992 l’album Return of the Brecker Brothers.
Nel 1993 a Stern viene assegnato il premio Best Jazz Guitarist of the Year
dai critici e dai lettori di Guitar Player Magazine, e viene nominato a tre
Grammy Awards con Is what it is (1994), Between the lines (1996) e
Voices (2001). Il passaggio alla label indipendente Heads Up, dopo
l’interlocutorio These Times (2004) per la label tedesca ESC, avviene con
il disco Let the cats out? (2006) che segna l’avvio di una nuova fase nel
già notevole percorso artistico di Mike Stern. Con il CD più recente Big
Neighborhood (2009) Stern ha ricevuto la Grammy Nomination per la
categoria Best contemporary jazz album.
6
2. GLI ALBORI (BS&T, Miles Davis, Brecker Brothers)
Mike Stern a 18 anni parte per Boston e intraprende gli studi del Berklee
College of Music, dove studia musica jazz con insegnanti del calibro, tra
gli altri, di Mick Goodrick e Pat Metheny. Le prima influenze di Stern
sono state Jimi Hendrix, Buddy Guy, B.B. King e Jeff Beck, in ambito
rock blues, e Jim Hall, Wes Montgomery e John Coltrane, in ambito jazz.
Pat Metheny insegnava a Stern ad approcciarsi alla musica analizzandola
prima con l'orecchio musicale per passare all’esame delle note soltanto in
un secondo tempo, scomponendo le armonie e trascrivendo gli assoli.
Stern mi riferì: “Pat fu il mio insegnante per due anni, tutto quello che
facevamo era suonare, suonare, suonare…”4. Metheny, nel 1976, segnala
Stern a Bobby Colomby, leader dei Blood, Sweat & Tears, in cerca di un
nuovo chitarrista. I Blood, Sweat and Tears sono un gruppo musicale
formatosi a New York nel 1967. Si tratta di un gruppo di difficile
collocazione, come capita ai coevi e per certi versi assimilabili Chicago.
Se volessimo catalogare il loro genere musicale dovremmo senza dubbio
parlare di jazz rock, ma anche di rhythm and blues, pop, funky e soul con
evidenti addentellati alla psichedelia imperante all’epoca negli Stati Uniti.
Diversamente dalle altre band fusion, i Blood, come vengono ancora
chiamati, impiegano anche una sezione fiati: Fred Lipsius al sassofono,
Richard Dick Halligan al trombone, Randy Brecker alla tromba e Jerry
Weiss alla tromba o al flicorno. Gli ultimi due citati sono tra i membri
fondatori della band, ma hanno partecipato solo al primo album Child is
father to the man (1968, Columbia) per poi lasciare il gruppo e suonare in
altre formazioni. Anche Al Kooper, tastierista, cantante, compositore, e
componente fondamentale, ha lasciato la band dopo il primo album a
4
Eliana Cargnelutti, intervista a Mike Stern, 6 aprile 2011, Jesolo.
7
causa di divergenze creative con gli altri musicisti coinvolti nel progetto.
Kooper è colui che ha scelto il nome del gruppo, ispirandosi a un
concerto al Cafè au go go dove un taglio alla mano lasciò la tastiera del
suo organo completamente insanguinata.
Mike Stern, a soli 22 anni, diventa il chitarrista di questa band
ricostituitasi, all’epoca del secondo disco, intorno alle figure del batterista
e leader Bobby Colomby e del cantante canadese David Clayton-Thomas,
dotato di una voce estremamente potente. Merito e forza di questo
progetto sono appunto la fusione di generi musicali diversi. Stern suona
con loro per due anni e assieme registrano tre album: Brand New Day
(novembre 1977, ABC), decimo album per la band, More Than Ever
(1976, Wounded Bird) ed un doppio dal vivo: In Concert (1976,
Columbia). Nel tour del ’75-’76 il bassista era Jaco Pastorius. Pare che
Pastorius abbia detto a Mike Stern: “Man, you must get some flash in
your playing”5 e questo forse ha spinto Stern a fare sempre più pratica,
fino ad ottenere una tecnica ed un timing brillanti, una delle principali
qualità per cui ora viene riconosciuto ed apprezzato a livello
internazionale. La sonorità di Mike Stern nei dischi dei BS&T è
praticamente sempre pentatonica, come forse l’ambiente armonico
richiede. Il disco più interessante, Brand new day, è un’unione di blues,
soul, pop e rhythm and blues, lontano dai precedenti lavori della band ed
ha fatto sterzare il loro sound decisamente verso il pop. Pur essendo un
album evidentemente poco innovativo, ha comunque incontrato un buon
apprezzamento da parte degli ascoltatori. Stern usa una distorsione molto
secca e tagliente. Si riconoscono già i bending e alcuni fraseggi personali
ricorrenti. Non mancano tecnica e timing che lo designano come
chitarrista eccellente per critica e fan. Le canzoni, briose e di facile
ascolto, hanno portato il gruppo al grande successo commerciale e negli
5
http://www.guitarmasterclass.net
8
anni i Blood hanno venduto oltre 35 milioni di album, hanno vinto vari
Grammy Awards ed hanno continuato a sviluppare la contaminazione tra
elementi rock, jazz, blues, pop, classica, latin e soul.
Successivamente Mike Stern lascia la band ed inizia una collaborazione
con Billy Cobham che dura poco più di un anno. Suonano in moltissimi
club e locali di New York e dintorni. Bill Evans, sassofonista che aveva
già collaborato con Miles Davis, stringe un rapporto di amicizia con Stern
e una sera porta Davis ad uno di questi concerti. Miles era stato molto
colpito dalla morte prematura di Jimi Hendrix (avvenuta a Londra il 18
settembre 1970), poiché avrebbe fortemente voluto incidere con lui, ma
ciò non accadde mai. Davis era una fan del suono della chitarra elettrica e
lo stile musicale di Stern, un mix tra blues, rock, be-bop e funky, ha
favorito un interesse nei suoi confronti e chiede così a Stern di presentarsi
in studio il giorno seguente e una settimana dopo diviene il chitarrista
ufficiale per le registrazioni di Fat Time.
6
fotografia di Rico D’Rozario, Al Foster, Miles Davis e Mike Stern, 1982
9
Fat Time (1981, Jazz door) è un album live di Miles Davis con la sua
nuova band che comprendeva Marcus Miller al basso, Al Foster alla
batteria, Mino Cinelu alle percussioni e Bill Evans al sassofono. Dopo la
prima take Stern non fu soddisfatto del suo lavoro e chiese di farne
un’altra, ma Miles rispose “Fat Time, when you're at a party, you gotta
know when to leave.”7 Inizia il tour di Miles Davis del 1981 e il primo
debutto di Stern con lui e la sua band è esattamente il 27 giugno 1981 al
KIX nightclub a Boston, un concerto documentato dalla CBS come
l’album live We Want Miles, prodotto da Teo Macero e pubblicato dalla
Columbia Records nel 1982. Questo album ha vinto un Grammy Award
per la migliore performance jazz solistica, di Davis. In seguito Stern
partecipa anche alle registrazioni di Man with the horn (1981, Columbia),
primo disco ufficiale in studio di Davis dopo cinque anni passati lontani
dalle scene. Questo disco è contraddistinto da sonorità decisamente
rockeggianti pur in una fusione con il sound pop anni ’80 e
l’improvvisazione funk e fusion. La sezione ritmica rappresentata da
Marcus Miller e Al Foster non si smentisce fornendo una prestazione
memorabile. Man with the horn si apre con la composizione Fat time
dedicata proprio a Stern. Il titolo diventa anche il suo soprannome: Time
perchè Miles aveva molto rispetto per il timing di Stern, e Fat perchè il
chitarrista in quel periodo era un po’ in sovrappeso.
Fat time è un funky piuttosto lento, la composizione riprende in gran
parte il discorso musicale del 1975 che Miles Davis aveva interrotto: un
denso e potente groove di basso, una struttura piuttosto definita ed una
chitarra che accompagna in modo netto e preciso. Il suono di Davis è
chiaro, nitido e scorta i solisti con l’uso della sordina. Specialmente in
questa composizione Stern mette in mostra il suo stile personale che
diventerà un marchio di fabbrica. Nell’assolo decolla lentamente per poi
7
http://www.berklee.edu/bt/132/lesson.html
10
scatenarsi e sobbalzare tra foga, energia e furia, per poi ritornare verso il
basso con un atterraggio ordinato, mostrando impertinenza e sincopi
lungo tutto il volo, obbligando Miller e Foster a tenere il passo e seguire
le sue dinamiche. Rappresento qui sotto la più classica dinamica che
utilizza Stern nei suoi assoli:
11
note, interessante è il contrasto tra le due chitarre, mentre è ambiguo il
senso negli assoli di sassofono di Evans, in gran parte editati in seguito.
Mike Stern dunque rimane con Davis fino al 1983, in seguito continua a
suonare in vari club e in varie situazioni col batterista Adam Nussbaum,
col sassofonista Steve Slagle e con Jaco Pastorius (ciò è confermato dal
bootleg Live in Old York). Mike accompagna Jaco Pastorius anche nel
suo World of Mouth tour. World of Mouth è sia il titolo del secondo
album da solista del bassista, sia il nome che ha dato alla band impiegata
nel tour (che annovera, tra gli altri, David Sanborn al sax soprano).
Stern, dopo essersi disintossicato, torna nuovamente con Davis per un
altro anno, il 1985, dove suona in tour al posto di Scofield che aveva
iniziato a intraprendere la carriera da solista.
Dopo il tour con Davis, Mike Stern è stato membro fisso della jazz fusion
band del sassofonista Michael Brecker e del vibrafonista Mike Manieri,
per due anni, gli Steps Ahead, ed è anche presente sul progetto di Michael
Brecker solista nell’album Don’t try this at home che è diventato un
punto di riferimento nel mondo del jazz moderno. Stern in questo periodo
quindi ha l’occasione di suonare col sassofonista David Sanborn, col
bassista Darryl Jones e col batterista Steve Smith: avere l’opportunità di
ascoltare e dialogare con musicisti di quel calibro è uno dei metodi di
crescita più efficaci. Essi suonarono assieme dal 1989 al 1992, quando
Mike Stern decise di partecipare con Michael Brecker e Randy Brecker al
ritorno sulle scene della Brecker Brothers Band, realizzando appunto
Return of the Brecker Brothers, pubblicato nel 1992. Nel frattempo il
successo di Stern con i suoi album è sorprendente e apre la strada alla sua
luminosa carriera da leader. Da non perdere è la collaborazione di Stern
in un album degli Yellowjackets: Lifecycle (2008, Heads up), candidato
Grammy come "Best contemporary jazz recording" e come "Best
instrumental composer" (il pianista Russell Ferrante) per il brano
12
"Claire's Closet”. Si tratta della prima volta, dopo quindici anni, che gli
Yellowjackets registrano con un chitarrista.8 Le tracce sono dieci, sette
delle quali con Stern ospite alla chitarra. I restanti tre sono brani del
famoso quartetto jazz-fusion che dimostra il gran talento individuale e
collettivo della formazione: il pianista Russel Ferrante, il sassofonista
Bob Mintzer, il bassista Jimmy Haslip e il batterista Marcus Baylor.
“Ho avuto la chance di suonare con gli Yellowjackets, mi piacciono
moltissimo. Io e Richard Bona ci trovavamo ad un festival a Montreal,
dove c’erano anche loro, alla fine abbiamo suonato assieme ed è
accaduto il tutto così. Un progetto speciale.”9
8
l'ultimo era del 1994, Run for your life (GRP), con Robben Ford
9
Eliana
Cargnelutti,
intervista a Mike Stern, 8 novembre 2011, Modena.
13
3. MIKE STERN LEADER
10
il 1 gennaio 2006
11
Eliana
Cargnelutti,
intervista a Mike Stern, 6 aprile 2011, Jesolo.
14
ascoltatori del genere. E’ estremamente godibile, le frasi esplosive della
chitarra si uniscono a groove accattivanti e a uno stile nel complesso
fresco e potente per l’epoca.
A inizio anni ’90 esce Odds or Evens (1991), album contenente
piacevolissime composizioni, quali Common Ground, una ballad
struggente in Eb dove chitarra e pianoforte dialogano, scorrono e si
fondono, fino ad allacciarsi al groove di batteria che dirompe a metà
brano richiamato da un “bending urlato” di Stern: una delle canzoni di
Mike Stern che potrebbe avere una parvenza di standard jazz.
Stern è sulla cresta dell’onda quando inizia a incidere un album che
avrebbe voluto pubblicare da tempo: Standards (and other songs), nel
1993. E’ un album contenente molti standard jazz e grazie ad esso Stern
viene assegnato il premio “Best Jazz Guitarist of the Year” dai critici e
dai lettori di Guitar Player Magazine.
Nominato a due Grammy Awards con Is what it is (1994) e Between the
lines (1996), vince inoltre il premio Orville W. Gibson Award come
“Best Jazz Guitarist of the year” con Give and Take (1997), con ospite
John Patitucci.
Il nono CD che Stern pubblica per la Atlantic è Play, dove suonano due
illustri ospiti, a loro volta autentici maestri della sei corde: Bill Frisell e
John Scofield. L’album si caratterizza pertanto per l’esposizione di tre
diverse interpretazioni del jazz chitarristico contemporaneo, sempre più
influenzato dalle contaminazioni con gli altri generi musicali. Al
trascinante lirismo di Mike Stern, evidente soprattutto nelle situazioni più
rilassate, si contrappone, riconoscibilissimo, sia il sound di Scofield, il
quale in molti momenti si diverte a fraseggiare, anzi “chiacchierare” con
il suo strumento, sia quello di Frisell, allo stesso tempo acustico ed
elettrico, dall’intenzione vagamente e piacevolmente sperimentale.
“Scofield è un chitarrista “up-front”, possiede un modo di suonare molto
15
vicino agli strumenti a fiato, spesso molto lirico, fluido, ma allo stesso
tempo anche funky. Bill Frisell è in grado di suonare molto veloce e allo
stesso tempo cerca di creare, soprattutto sul piano melodico, delle idee
davvero inusuali, cose alle quali io sono molto attento, cose che mi
affascinano”. “Con Scofield avevo già suonato quando ero con Miles
Davis, ma in precedenza avevamo anche un gruppo a New York e spesso
ci capitava di suonare in quartetto o quintetto, ricordo che c’era Peter
Warner al basso. Per quanto riguarda Frisell ci conosciamo fin dai tempi
in cui suonavo a Boston ed anche con lui c’è stata più di un’occasione in
cui suonare, per cui tutto questo progetto si è realizzato in modo molto
naturale.”12
Un’altra nomination al Grammy Award l’ha avuta anche il CD più vocale
di Mike Stern, Voices (2001), dove Richard Bona ed Elisabeth
Kontonamnou dialogano con la Telecaster di Stern. Le atmosfere molto
evocative soprattutto delle prime tracce del CD si mescolano con dei
groove energici e con dei richiami melodici alla musica vocale africana.
Il 2004 è l’anno di These Times, un’avventura sincera, solare e spontanea,
ancora con degli ospiti importanti tra i quali Vinnie Colaiuta, Victor
Wooten , Bob Malach , Kenny Garrett , Arto Tunçboyacıyan.
Gli ultimi due lavori di Stern, Who let the cats out? (2006) e Big
Neighborhood (2009), al momento la più recente release del chitarrista di
Boston, contraddistinti dalla partecipazione di Steve Vai, Eric Johnson,
Esperanza Spalding, sono intervallati da seminari, collaborazioni e
tournèe mondiali dalle quali è stato estratto anche un Dvd (Live in Paris
2009). Dal sound più o meno omogeneo di questi ultimi due lavori
emerge prevalentemente la forza del suono di Stern, la tipicità di una
voce così autorevole e riconoscibile tra tutte che sa essere dirompente e
12
Mauro Salvadori, intervista a Mike Stern, Chitarre, gennaio 2000, Music Press srl.
16
garbata, sfrontata e discreta. E questo riesce a porre in secondo piano la
composizione stessa, diventa quasi poco importante se il brano sia bello o
no, se si stia dicendo qualcosa di nuovo o meno. Stern quindi si rivela un
bravo padrone di casa perché sa rispettare gli ospiti, si rivela capace di
accontentare i fan e non si toglie dalle scene, perché è consapevole di
poter contare su ottimi musicisti che lo seguono in ogni direzione
musicale garantendo all’audience divertimento e curiosità.
Un’altra importante collaborazione di Stern è quella con George
Coleman, Joe Henderson, Ron Carter e Jimmy Cobb, nella registrazione
live in memoria di Miles Davis: 4 Generations of Miles (Chesky
Records), registrato il 5 dicembre 2002 a Makor, New York.
17
4. IL FRASEGGIO
18
Scofield, Bill Frisell, Richard Bona, Steve Vai, Eric Johnson, Vinnie
Colaiuta…), in molte composizioni ci si è affidati a linee vocali tese ad
accrescere l’appeal commerciale del prodotto e si è puntato in maggior
misura sull’improvvisazione dei musicisti piuttosto che sulla bellezza
intrinseca delle composizioni. D’altra parte, se guardiamo indietro nella
storia della musica, ci si accorge che la maggioranza dei grandi musicisti
del passato furono formidabili improvvisatori , J. S. Bach, W.A. Mozart,
F. Chopin, solo per citarne alcuni, erano in grado di improvvisare musica
geniale. Ciò che penso, in definitiva, è che non ci sia una chiara
distinzione tra composizione e improvvisazione, visto che è possibile
considerare l’improvvisazione come una sorta di composizione
estemporanea o, e credo che questo aspetto sia anche più interessante da
essere approfondito, si può pensare alla composizione come a una
improvvisazione congelata. Non è accidentale che, ad esempio, in inglese
e tedesco, il verbo “to play” (o spielen) sia correlato alla musica (to play
an instrument), all’elemento ludico (to play a game) e alla
rappresentazione teatrale (to play a role). La maggioranza delle persone
considera la parola “gioco” come qualcosa di leggero, connesso al tempo
libero e, in ultima analisi, non troppo seria. La verità è che non c’è nulla
di più serio del gioco (come mostrato dagli studi del filosofo olandese
Johan Huizinga nel libro Homo Ludens del 1939) per la semplice ragione
che ogni gioco possiede delle regole che definiscono una cornice
d’azione. L’uscita dalla cornice, in altre parole, la rottura delle regole,
causa la distruzione del gioco stesso. Ciò che il musicista può fare è
tentare di “forzare” le regole allo scopo di ampliare la cornice.
L’improvvisazione è una sorta di gioco e una volta presi dentro accade
qualcosa, ci si accorge che il confine tra il momento compositivo e quello
improvvisativo è posticcio e che la composizione stessa nasce sovente
dalla cristallizzazione del “gioco improvvisativo”. Ciò precisato resta il
19
fatto che i dischi in questione appaiono musicalmente più deboli e meno
innovativi di quelli che li hanno preceduti.
Goodbye again
Goodbye again è la terza traccia del secondo album solista di Mike Stern
Upside Downside (1986). E’ una composizione melodica, piena di
sentimento, nella quale si trovano sia elementi jazz che rock. La
formazione comprende alla batteria Dave Weckl, al basso Mark Egan,
alle tastiere Mitch Forman e al sax contralto David Sanborn, i quattro
accompagnano Mike Stern in una delle due ballad di questo disco (l’altra
è After you). Il produttore è il noto chitarrista Hiram Bullock, che fa
uscire dalla registrazione “grezza” una delle migliori qualità audio del
momento (la tecnologia è ancora legata alla registrazione analogica su
bobina).
20
ripetono le sezioni A e B. La struttura del solo è dunque un classico di 32
misure.
A) I IV | V | bVI | IV |
B) I | VI | IV | III |
A) I IV | V | bVI | IV |
B) I | VI | IV | III |
C) V |I |V |I |
I | IV |V |I |
A) I IV | V | bVI | IV |
B) I | VI | IV | III |
21
22
“Mi piacciono gli accordi aperti, la chitarra è uno strumento a corde e
le corde suonano anche senza la mano sinistra, quindi a volte perché non
usarle liberamente?14”.
14
Eliana
Cargnelutti,
intervista a Mike Stern, 8 novembre 2011, Modena.
23
Sul dominante F7 Stern usa la scala di F superlocrio (F, Gb, Ab, A, B,
C#, D#, VII grado di SOLb minore melodica). In seguito sull’accordo di
Bb usa un modulo parkeriano che si conclude con un cromatismo per
arrivare alla terza dell’accordo, D. Lo stesso frammento è ripetuto un
tono sopra subito dopo per risolvere questa volta sulla nona di D7 (E).
15
Elena Gillespie, allaboutjazz.com, 3 aprile 2006 (traduzione mia)
24
“Ho provato a dare nuove emozioni, prendo spazio, do respiro, il tempo è
il sentimento della canzone. Wing and a prayer è qualcosa di triste,
cantabile, una ballad. Quando scrivo sgorgano fuori cose diverse,
melodie, accordi, linee di basso. A volte resto colpito da una battuta che
sento o leggo in altre canzoni di altri musicisti. Questa volta mi ha
ispirato Bach, stavo leggendo le sonate e partite per violino solo. Non so
suonare musica classica, non ho la tecnica necessaria con la mano
destra. Comunque mi hanno ispirato i primi due intervalli, poi ho esteso
la frase melodica, ci ho messo qualche giorno per ultimarla, altre canzoni
necessitano mesi.”
25
A) I | IV | III | VI |
A) I | IV | III | VI |
B) VI | IV | I/III Vsus4 | I |
C) VI | II7 | IV | IV |
La sezione A del solo inizia con un Gmaj7, primo grado della tonalità,
per poi passare al suo quarto grado C, che assieme a D/C formano un
pedale che risolve su Bm terzo grado della tonalità. Successivamente c’è
un passaggio in Em7, il quale avviene anche nella prima sezione A del
tema.
Nella sezione A’ del tema invece16 il Em7 dissimula un II, V, I in Am,
accordo di risoluzione che diventa ben visibile sulla fine della sezione A’
con l’accordo di Am7, raggiunto con una discesa cromatica del basso
(D/C, Gm/Bb, Am7).
In seguito, nella sezione B, c’è una modulazione un tono sotto, da una
tonalità diesata ci si sposta ad una bemollata: F (Dm7, Bb, F).
La sezione C ritorna in un ambiente di G maggiore (Em, A7sus, C), ma il
brano non ha un finale ben definito, anzi, sembra voler restare apposta in
16
Sezioni A del tema:
26
una situazione armonicamente sospesa (C su G), inoltre la registrazione
in studio va in fade out.
27
L’improvvisazione inizia con tre sole note (B, C, D), eseguite sulla stessa
corda, l’ultima deriva da un lieve slide, tecnica che si ritrova anche nei
frammenti melodici successivi. Stern per tutto il solo accosta slide e
bending, coordinando le dinamiche in modo che le note vengano colte
come un vero e proprio discorso reale. Stern ha sempre cercato di emulare
uno strumento a fiato o delle vere e proprie voci umane con la chitarra.
Anche se l’assolo è piuttosto semplice tecnicamente e non particolarmente
energico rispetto agli standard di Stern, la vena jazz non manca. Alle
misure 17 e 23 si può notare un arpeggio, una salita e discesa tra le note di
Bm (B, D, F#, A) suonate sopra un accordo di C. Questo per portare a
galla i colori, o meglio le estensioni di C, relativamente 7a, 9a, 11a# e 13a.
Da battuta 10 a battuta 15, ed anche nelle misure 30 e 31, Stern invece si
muove nell’armonia utilizzando per gran parte note dell’accordo
sottostante, specialmente la 5a, e a momenti la 3a. “Suonare dev’essere
automatico come parlare, quando accade, le idee escono da sole. Quando
sento che cado troppo spesso sulla terza o sulla tonica, cerco di sforzarmi
di cambiare qualcosa.”
28
Un lick caratteristico nel fraseggio di Stern è la scala discendente suonata
con questa ritmica:
Si nota questa sua firma, soprattutto nei brani jazz di media velocità o
nelle ballad. Esso può essere riconosciuto come suo pattern ricorrente,
nella battuta 18, 21, 28, 29, mentre nelle battute 7, 10, 30, 32 usa questa
ritmica restando fermo Solamente su una o due note.
Si può ascoltare il pattern soprariportato anche in altri assoli del CD come
nella traccia Vine (5’36’’), in Page (2’50’’), in You never know (2’39’’) e
True Enough (3’17’’),
17
Eliana Cargnelutti, intervista a Mike Stern, 8 novembre 2011, Modena.
29
30
Il materiale melodico della sezione A deriva dalla scala blues di E (1, 3b,
4, 5b, 5, 7b, 8) ed occasionalmente richiama l’accordo A7. Per la sezione
B vengono suonati degli intervalli di tritono che provengono dagli accordi
dell’armonia: G7 e D7, che seguono un groove di batteria popolare in
america negli anni ’60, il boogaloo, una esplosiva miscela di ritmi latini,
blues, twist e R&B. Tra le figure ritmiche caratterizzanti la composizione
ci sono le sincopi, di cui Stern fa largo uso in tutto il suo repertorio per
“far muovere” e quindi creare un senso di groove anche nell’armonia
oppure nei cambi di sezione o negli attimi precedenti gli assoli.
31
Questo è il pattern ritmico che Dave Weckl esegue su Sunnyside:
32
E in quest’altra maniera per la seconda parte del ritmo iniziale:
33
4.3 Fraseggi caratteristici e ricorrenti
Una delle frasi distintive di Stern è il lick che usa costruito sull’arpeggio
di un accordo minore settima. Invece di usare un classico arpeggio
minore 6a o 7a, Stern li suona in rapida sequenza ottenendo di fatto un
pattern con una linea melodica cromatica che comprende le note dalla 6a
alla tonica. Prendo un esempio in Em, ecco il pattern ascendente:
34
L’approccio di Stern all’arpeggio dell’accordo minore settima diventa
ancora più interessante se si estende il pattern anche sulla seconda misura,
ossia sopra l’accordo di dominante.
35
5. IL RAPPORTO CON GLI STANDARD
“Mi è stato chiesto quando per me una canzone diventa uno standard. E’
una domanda davvero difficile! Molte canzoni jazz sono state scritte con
un testo per essere cantate e/o per diventare colonne sonore di film o
spettacoli di Broadway... a volte invece sono diventati standard i brani
strumentali di Wayne Shorter o alcuni pezzi di bebop dell'era di Charlie
Parker. Questi creano un comune denominatore tra i musicisti. Jim Hall,
un grandissimo chitarrista, ha fatto un tour in Italia con un bassista e
nessuno dei due parlava la lingua dell'altro, ma riuscivano a intendersi
attraverso gli accordi, ad esempio suonando Someone in love, e questa è
una lingua comune.”18
Nel 1993 esce un album ufficiale dove Stern affronta degli standard. Si
tratta di Standards (and other songs) prodotto da Gil Goldstein per
l’Atlantic e Registrato al Centerfield Productions di New York.
Ecco la tracklist:
18
Adriana Augenti e Alberto Francavilla, intervista a Mike Stern, Ueffilo Jazz Club,
36
Peace (Horace Silver)
Jean-Pierre (Miles Davis)
Nardis (Miles Davis)
37
direzione, riunire più note, crescere con la sezione ritmica. Devi avere
una conversazione col batterista.”19
In questo CD Stern usa un suono più moderno rispetto a quello dei grandi
come Jim Hall. Quest’ultimo usa un solo amplificatore e la chitarra
semiacustica con cassa alta e ha un suono “grosso”, mentre Stern con la
sua chitarra Fender derivata dalla Telecaster, nonostante la scalatura, ha
ovviamente un suono più fino, usa due amplificatori per creare l’effetto
stereo e assume dunque tutt’altra intenzione sonora.
“Non mi piace prendere la chitarra in mano pensando di dover suonare
jazz. Il suono deve essere nella mia testa, deve essere un suono che creo
immaginando di cantare. È quello che cerco di ottenere: un suono stereo,
con più chorus in modo che sembri un po' più “profondo”, un po’ più
legato. È questo il modo in cui sento il suono ed è questo il modo in cui
voglio suonare”.20
Stern ha aspettato quasi dieci anni per fare questo album di standard, un
lavoro tenero e lirico, si tratta del lato più “gentile” di Stern che va in
contrasto con il feroce “bop-rock” che spesso emerge dalle sue
improvvisazioni. Stern qui si focalizza sulla delicatezza, sugli impulsi e
gli scambi con la sezione ritmica, sugli stati d’animo che crea piuttosto
che sui muscoli. In conclusione Stern sta ancora bruciando, ma su una
fiamma molto più bassa.
38
1945. Il solo di chitarra è tratto dal CD di Bob Berg in cui Stern è ospite:
In the shadows (1990).
39
La forma del solo è: ABAB, di 64 misure. Una delle caratteristiche
principali che si riconoscono in questo assolo è sicuramente la tecnica
surrounding, molto jazzistica, ossia quando si giunge alla nota più
importante circondandola prima e dopo da note di passaggio, spesso
diatoniche. Si può trovare nelle battute 12, 13, 14, 26, 41, 54. Altra
caratteristica, già citata a pagina 29, è l’uso frequente della ritmica che
alterna una semiminima e due crome, a battuta 18, 19, 20, 21, 33, 43, 44.
Guardando lo spartito si intuisce che Mike Stern ragiona per frasi lunghe,
in un certo senso non segue perfettamente l’armonia, ma gli capita spesso
di finire una frase in ritardo sull’accordo, ovvero la risoluzione slitta
spesso di due quarti, questo crea tensione. Il solo è imperniato sulla scala
minore armonica di G e viene spesso evidenziata la nota F#. Interessante
a battuta 22 e 23 è l’uso della triade maggiore di F# su F7, generando un
accordo di F11b9#5, e della triade di F su Bbmaj7 che genera invece un
40
accordo di Bbma7 con la 9a. Usa prima la sonorità di un accordo con due
tensioni e poi invece un accordo con un’estensione. A battuta 25 c’è un
arpeggio di Eb6 su A semidiminuito e successivamente su D7 torna la
minore armonica. A battuta 27, suona F# su C7, così diventa un C7#11,
una delle sue sonorità classiche. A battuta 28 invece rientra nel semplice
e approda alla tonica Eb. A battuta 34 Stern suona una triade di B
maggiore su F7, pensa dunque alla sostituzione di tritono, mentre sul
Bbmaj7 successivo suona Gm. Subito dopo, da battuta 36, si scatenano le
terzine, una figura ritmica che Stern utilizza sempre in gruppo, mentre i
cromatismi sono ampiamente impiegati nel corso nell’assolo. Dalle
minime che si trovano nelle battute 54 e 57 si capisce che l’assolo sta
giungendo al termine, le note che suona Stern diventano più legate
all’armonia, a battuta 59 e 60 troviamo un altro aspetto già analizzato in
precedenza: la tecnica pivoting. Stern tiene sospesa una nota fissa, come
pedale, che si alterna con dei voicing al basso, che in questo caso sono 3a
e 7a dell’accordo. Si possono qui notare gli studi di Mike Stern sulla
musica di Bach.
41
6. SIGNATURE SOUND
Mike Stern suona una chitarra custom costruita da un suo amico liutaio di
Boston, Michael Aronson. Questa chitarra ha il corpo di una Telecaster
con un manico broadcaster originale Fender 1950. Al manico c’è un pick-
up Humbucker Seymour Duncan e al ponte un Bill Lawrence single coil.
Questa chitarra rimpiazza una Fender Telecaster originale anni ’50 che gli
fu rubata in una rapina a mano armata in un aeroporto. Stern ha anche una
chitarra a suo nome, la Pacifica 1511 Mike Stern signature, realizzata
dalla Yamaha che è una copia della sua chitarra customizzata.
21
21
Immagine tratta da http://www.reidys.com
42
Usa un amplificatore Yamaha G-100, dotato di 2 coni Electro-Voice da
12 pollici, stadio finale da 100 Watt, ora fuori produzione. E’ un
amplificatore valvolare dall’architettura elettronica simile a quella del
Fender Twin Reverb. A fine anni ’90 usava anche un Pierce GR-1 con un
Hartke cabinet e coni JBL da 10 polici a transistor.
Dal vivo utilizza regolarmente due amplificatori, la sua coppia di Yamaha
o due Fender Twin Reverb allo scopo di ottenere un effetto stereo, in
genere usa anche un processore Yamaha SPX 90 con un pitch shifter che
produce un lieve effetto chorus.
Come pedali possiede un Boss DS-1 per la distorsione e due Boss Digital
Delay (DD-6 o DD-3).
22
Inoltre tempo fa usava altri due pedali: il Boss oc-2 come octaver, e il già
citato multi effetto Yamaha SPX-90 solo come pitch shifter per creare
l’effetto chorus e dividere il suono tra i due amplificatori (microfonati
con due microfoni Shure SM57). Inoltre, come primo pedale della catena,
utilizza un accordatore Boss TU-2.
22
fotografia di Eliana Cargnelutti, a aprile 2011, Jesolo
43
7. INTERVISTA A MIKE STERN
44
Cos’è il jazz per te?
“È una buona domanda anche questa, non è facile rispondere. Penso che
molte volte sia il feeling, come molte altre sia una grande interazione. Le
voci nel jazz non sono indispensabili, quindi il jazz viene fuori gran parte
dall’interplay. Poi esistono così tanti tipi di jazz che è davvero difficile
darne una sola definizione.”
Il tuo suono è sia jazz che rock. Da dove viene fuori la parte rock e
distorta?
“Ho suonato rock per molti anni, fu la prima musica che mi ispirò
quando iniziai a suonare la chitarra. Oltre a dischi di musica classica e a
dischi jazz, mia madre aveva anche qualcosa di rock come Jimi Hendrix
e Jeff Beck. Suonavo quella musica quando ancora non sapevo leggere
gli spartiti, ancora prima di iniziare a studiare jazz seriamente.
Specialmente negli anni ’60 ascoltavo Cream, Beatles, Rolling Stones e
cercavo di riprodurre i loro fraseggi. Sono diventati parte di me e non
voglio dimenticarli. Quindi sono una combinazione tra quello che
suonavo nell’adolescenza e quello che ho studiato dopo. Il mio stile
musicale dipende esattamente da ciò che ho ascoltato. Sono dentro lo
straight ahead jazz, Wes Montgomery, Jim Hall, Miles Davis, John
Coltrane, e vari altri, ma anche molto influenzato dal rock blues che esce
sempre nelle mie composizioni.”
45
Le tue improvvisazioni sono ispirate da immagini, disegni, sentimenti
o qualcosa di extramusicale? Hai delle influenze non musicali come
quadri, fotografie, films?
“Spesso succede a tutti di essere ispirati dalle cose che accadono durante
il giorno, dai tuoi diversi umori o dai tuoi diversi sentimenti. A volte
quando Dave Weckl suona assieme a un bassista io resto ad ascoltare e
traggo sempre qualche ispirazione, il problema è che spesso me ne
dimentico!”
23
Il tampura è lo strumento a 5 corde che si usa per creare l’armonia nei raga. I
46
piacciono i suoi brani e a lei i miei, impariamo sempre qualcosa l’uno
dall’altro. Non facciamo concerti assieme generalmente, qualche volta
lei viene a vedermi, ma non suoniamo quasi mai sullo stesso palco.
Quindi la musica non è tutto, ma è una grande parte della mia vita e la
amo. Amo suonare per le persone in tutto il mondo.”
47
A cosa pensi quando suoni su una progressioni di accordi? Agli
arpeggi, al tema, alle pentatoniche, o le tue mani procedono ormai da
sole?
“Suono col cuore piuttosto che con la testa. Non mi importa che tipo di
musica è, ma cerco di esprimere me stesso. La musica è un linguaggio
del cuore. All'inizio è difficile esprimersi appieno, quando si impara un
nuovo linguaggio, perché è una lingua nuova; bisogna studiare per avere
gli strumenti per trasmettere agli altri. Dopo un po' arrivi a un punto in
cui conosci abbastanza materiale per poter essere più fluido e pensi alle
scale, agli accordi e alle cose più strettamente musicali, ma non devi
dimenticare che ciò che vuoi trasmettere nasce dal cuore. Ci sono alcuni
musicisti rock e blues che non conoscono niente di teoria musicale, ma
riescono a esprimere tanto pur avendo a loro disposizione solo il loro
modo di suonare. Ad esempio B.B.King riesce a dire tantissimo anche
suonando solo due note, è importante la dinamica, l'espressività con cui
le suona quelle due note. Sono modi differenti di leggere la stessa storia.
Io trascrivo tantissimo e imparo davvero tanto da questo perché è il
modo di imparare qualsiasi linguaggio, come a scuola imparare lo
spelling, la pronuncia, la coniugazione dei verbi. A volte si improvvisa
quando parliamo una lingua che conosciamo bene, il concetto da
esprimere lo senti nella testa e immediatamente lo comunichi. Dopo un
po' di tempo questo succede pure con la musica. Studiare appartiene
all'altra fase, ma per imparare a esprimersi è molto importante ascoltare
e trascrivere. Fare errori fa parte del mio stile."
Hai un suono distintivo, hai cercato molto il tuo sound per essere
riconosciuto tra tutti?
“No, cercavo un sound lirico alla chitarra ed ho cercato solo quello che
piaceva a me stesso. Anche il modo in cui suono è una cosa che sento
48
naturale, simile al cantato, meno percussivo e meno plettrato, qualcosa
di più legato, come una voce, come un fiato, sì, come un sassofonista. Di
solito nella mia band ho un sax tenore perché mi piace molto il suono.”
49
Cosa pensi dei chitarristi che sperimentano nuove sonorità con la
chitarra? Ti piace Derek Bailey?
“Sì, lo rispetto molto, ma il mio genere è molto più “straight”.
Apprezzo molto George Benson, John Scofield, Pat Metheny, Bill Frisell,
John Abercrombie. Un altro è Kevin Eubanks, molta gente non lo
conosce, ma suona davvero benissimo. Mi piace il free jazz, ma non è ciò
che ascolterei costantemente.”
50
8. CONCLUSIONI
51
(si pensi a Ornette Coleman o a Sun Ra), attingono a piene mani per
sviluppare il loro personale percorso artistico. Spesso è anche considerato
una pietra di paragone per conoscersi reciprocamente o per trovare un
terreno comune su cui improvvisare. Il blues in Stern si sente soprattutto
quando l’improvvisazione negli assoli non è gravata da progressioni di
accordi complessi, facilitando così l’uso di gusto musicale, cuore e
virtuosismo strumentale. Ciò non toglie che anche in presenza di
ambientazioni armoniche più sofisticate, come ad esempio in ambito
modale, il blues di Stern continui a far sentire la propria voce. Nel blues,
d’altronde, si coglie anche il modo con cui l’artista si relaziona
emotivamente con il suo strumento e il chitarrista americano non ha mai
fatto mistero circa la propria inclinazione strumentale tesa in primis a
esprimere il proprio cuore. Stern mette il blues negli attimi di respiro per
assestare il discorso musicale, nel passaggio alla distorsione per crescere
di energia oppure per concludere una frase con un “saluto” comune a
tutti. Quando Stern costruisce un fraseggio utilizza sia gli automatismi
acquisiti negli anni, sia un approccio consapevole ai rapporti scale-
accordi. A questo bisogna aggiungere il ruolo fondamentale che ha
l’orecchio, il vero motore che muove il fraseggio e che è in grado di
fornire soluzioni inedite. Lo stile di Stern è sempre molto fluido, sia nei
soli che nelle ritmiche, il suo senso del tempo è “laid back”. Ha
sviluppato un tale controllo della dinamica e del timing che ascoltando
una ballad e in seguito un fast non si può non restare ammirati dalla sua
poliedricità e dalla sua capacità di attingere a zone diverse del proprio
inconscio e del suo sentire che hanno come risultante l’emersione di una
sorta di “altro da sé” che tuttavia è reso uniforme e riportato all’unità e
all’integrazione dal suo suono così peculiare. E’ capace di mantenersi
calmo e dolce nelle ballad, e poi invece scatenare una forza e una frenesia
uniche nei trentaduesimi dei brani swing più tirati. La sua mano destra è
52
“metronomica” e la sua plettrata è decisa e dinamicamente non fortissima
(usa un plettro medium), appunto per simulare una voce, fluida e
scorrevole. Stern predilige un approccio orizzontale sulla tastiera,
suonando gran parte dei temi su una corda sola e anche questo rende il
fraseggio più melodico e cantabile. Agli albori della carriera il suo stile è
già presente e riconoscibile, frizzante d’idee e di suggestioni, nel tempo si
è molto evoluto ritmicamente e nelle sue composizioni ha anche
sviluppato la tecnica del contrappunto (retaggio del suo amore per Bach).
Il fraseggio “rock-bop” unito al classico suono pulito e riverberato o
distorto e aggressivo, sono diventati la firma di Mike Stern e un
ascoltatore medio è in grado di riconoscerlo dopo pochi secondi. Anche
quando Stern ha progressivamente trascurato le velleità innovatrici, onde
abbracciare tracciati più commerciali e remunerativi, il suo stile e la sua
spiccata personalità emergono ugualmente forti e significativi. Questo
perché nel suonare è sottolineato il suo vero spirito, la sua vera passione
per la musica come arte derivante dal “silenzio melodioso” e come puro
regalo cordiale all’ascoltatore. Stern mostra sempre un entusiasmo
contagioso nel fare musica, si diverte e fa divertire, sorride, diffonde
passione per la musica e possiede una straordinaria abilità nel valorizzare
i musicisti che condividono il palco con lui a prescindere dal loro grado
di notorietà. Chi è disposto ad ascoltarlo sia il benvenuto nel gioco.
53
9. DISCOGRAFIA
Neesh (1983)
Upside Downside (1986)
Time in Place (1988)
Jigsaw (1989)
Odds or Evens (1991)
Standards and Other Songs (1993)
Is What It Is (1994)
Between the Lines (1996)
Give and Take (1997)
Play (1999)
Voices (2001)
These Times (2004)
Who Let the Cats Out? (2006)
Big Neighborhood (2009)
54
Michael Mantler: Something there (1982)
Miles Davis: Star People (1983)
Jaco Pastorius: Eueo Jazz Festival 83 (1983)
Jaco Pastorius Word of Mouth feat. Mike Stern: Let me alone (1983)
Jaco Pastorius Word of Mouth feat. Mike Stern: Fall into debt (1983)
Steve Smith: Vital Information (1983)
Miles Davis: Star People (1983)
Jaco Pastorius & Mike Stern: 55 Grand (1984)
Jaco Pastorius: Live in New York City - Volume 5: Raça (1984)
Harvie Swartz: In A Different Light(1985) Harvie Swartz: Urban Earth
(1985)
Steps Ahead - live in Tokyo (1986)
Michael Brecker - Don't Try This at Home (1986)
Shunzo O'No: Manhattan Blue (1986)
Steve Smith: Global Beat (1986)
Lew Soloff: Yesterdays (1986)
Harvie Swartz: Smart Moves (1986)
Bob Berg: Back Roads, Short Stories (1987)
Jukkis Uotila: Avenida (1987)
Roland Vazquez: The Tides of Time (1987)
Bob Berg: Cycles (1988)
Charles Blenzig: Charles Blenzig (1989)
Eddie Palmieri: Sueno (1989)
Bob Berg: In The Shadows (1990)
Bob Berg / Mike Stern Group: Games (1990)
Jim Beard: Chroma - Music On The Edge (1990)
Eric Le Lann: New York (1990)
Pete Levin: Party In The Basement (1990)
Andrea Marcelli: Silent Will (1990)
55
Andrea Marchesini: Back To Europe (1990)
Kimo Williams: War Stories (1990)
Marc Beacco: The Crocodile Smile (1991)
Motohiko Hino: It's There; Sailing Stone (1991)
Dieter Ilg: Summerhill (1991)
Motohiko Hinò: It's There (1991)
Motohiko Hinò: Sailing Stone (1991)
The Brecker Brothers - Return of the Brecker Brothers (1992)
Joe Amoruso: Rosa del Mare di Mezzo (1992)
Dave Larue: Hub City Kid (1992)
Bunny Brunel: Dedication (1992)
Bunny Brunel: For You To Play (1992)
Blood, Sweat & Tears: Live and Improvised (1992 or 1993)
Ernesto Vitolo: Piano & Bit (1992)
Dave Holland, Jack DeJohnette & others: Echoes of a Note - a tribute to
Louis "Pops" Armstrong (1993)
Jerry Bergonzi/ Mike Stern/Andy LaVerne/George Mraz/Billy Hart:
Vertical realty (1994)
Les Arbuckle: Bush Crew (1994)
Sninichi Kato & B-hot Creations - Something Close To Love (1994)
56
Pat Martino: All Sides Now (1997)
Bob Berg: Another Standard (1997)
Doug Robinson: plays well with others (1998)
Spajazzy: Spajazzy (1998)
David Clayton-Thomas - Bloodlines (1999)
Bunny Brunel: L.A. Zoo (1999)
57
10.
BIBLIOGRAFIA
1949 E. Cioran, Prècis de dècomposition, Gallimard, Paris (trad. it di
Mario Andrea Rigoni e Tea Turolla, Sommario di decomposizione,
Adelphi, Milano, 1996.)
1988 The best of Mike Stern, Pete Billmann, Jeff Jacobson, Paul Pappas,
Little Shoes Music, Hal Leonard
http://www.allaboutjazz.com
http://www.allmusic.com
http://www.guitarmasterclass.net
http://www.jazzitalia.net
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http://www.youtube.com/watch?v=9bj0Vvz4row&feature=player_embed
ded
http://www.youtube.com/watch?v=UABReGFgseo
http://www.youtube.com/watch?v=vcyA4K_WOSc&feature=related
58
RINGRAZIAMENTI
Questa tesi è dedicata a Italo Cargnelutti.
Desidero ringraziare Lino, Loretta, Diego e Alessandro per innumerevoli
motivi. Ringrazio Gianluca Sturiale per avermi fatto capire come
funziona una chitarra, Flavio Paludetti per avermi fatto capire che la
chitarra funziona, Gaetano Valli per avermi fatto capire quanto la chitarra
funziona e Antonio Cavicchi per avermi fatto capire cosa non funziona
sulla chitarra. Ringrazio tutti gli amici universitari che mi hanno fatto
compagnia in questo percorso musicale, specialmente Matteo Comar,
Nicola Avon, Matteo Crotti, Luca di Luzio, Federico Mazzotti, Andrea
Giardi, Francisca Nesti, Stefania Tschantret, Michele Scucchia, Enrico
Ronzani, Giuditta Tomarchio, Mauro Rolfini e Chiara Scaglianti, anche
coloro che per vari motivi hanno interrotto lo studio. Ringrazio gli
insegnanti tutti e gli amici affettuosi come Francesco, Alessandro Arcuri,
Salvia, Pablo, Diana, Hilary che mi hanno sostenuto durante la stesura di
questa tesi. Ringrazio i Gran calma, le Living dolls, i Miss E, i MayDay, i
Musika, i Passover, i Garden Wall e naturalmente i Next Stop. Ringrazio
ulteriori amici perché la vita musicale non si svolge solo tra gente del
settore, grazie ad Anna-Maria, Flavio, Franco, Jimmy Lynn, Ellen
Garfield, Joe Pitts, Elisa Tolomio, Roberto, Pieri, Flavia, Simone Vrech,
Lombardini, Lorena, Gianfranco, Davide De Lucia, Riccardo Chiarion,
Andrea Massaria, Fabio Barzan, Serena e Andrea, Gloria la segretaria, i
MOF, gli W.I.N.D., SRV, Ana Popovìc, Pordenone blues, Udine jazz, il
mio Mac e il mio divano, veri e unici aiutanti per la tesi, Rocknotes, Lara,
Francesca, Patrizia, Norina, Laura, Renzo, Cristian, Mariano, Martin,
Luca, Vidulis, Vinicio, Mariangela, Cinzia, Michela, Elena, Clara,
Filippo, Dany, Nino, Loredana, i fratelli Zucchi, Stefano, Elia, Franca,
Diego Cancian, Zoletto, Fabrizia, Robi Rock, Luca Dal Sacco, Giovanni
Zilli, Alfonso Zanier, Carlotta, Cristina e molti altri.
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