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Il De brevitate vitae anzitutto costruito come una lunga serie di riflessioni che si snoda tra la

considerazione da un lato che il tempo uno scorrere precipitoso (tam velociter, tam rapide dati nobis
temporis spatia) e che l'uomo nato per vivere un'et breve (quod in exiguum gignimur, br.v. 1.1); dall'altro,
che gli affaccendati (gli occupati: coloro che sono sempre impegnati negli affari pubblici o nell'eccessiva e
maniacale attenzione per s) non sono liberi, non sono sapienti. Come dire: occorre fare i conti con la vita
vissuta e non bisogna rinviare allinfinito le proprie decisioni (3.1 e 5); si arriver quindi a usare bene il
proprio tempo, n desiderando il domani, n temendolo (7.9: At ille qui nullum non tempus in usus suos
confert, qui omnem diem tamquam vitam ordinat, nec optat crastinum nec timet).
L'epistolario invece costituisce uno dei maggiori esempi di meditazione letteraria: in esso Seneca ha modo di
riesaminare la personale esperienza di vita, all'insegna dellideale filosofico di scuola stoica del quale dare
testimonianza. In particolare, concluso il periodo trascorso come maestro e consigliere politico di Nerone,
egli fa daccapo i conti con l'uso del tempo e con il proprio stile di vita. Lo fa gi a partire dalla Lettera 1, ma
poi sono da vedere in particolare le lettere 4, 8, 12, 13, 32, 49, 59, 61, 93, 101. Per proprio nella prima
lettera che sono ripresi alcuni dei temi messi a fuoco nel De brevitate vitae. Tuttavia laccento ora sembra
spostarsi in una prospettiva pi disincantata rispetto alla vita e alla fortuna; si affaccia il tema della morte e
di come sia importante amministrare bene il tempo che ci stato concesso. Seneca osserva che occorre dare a
esso il giusto valore e aver cara ogni ora (1, 2); soprattutto spiega all'amico Lucilio che necessario essere
padroni del proprio tempo, rivendicando s a se stessi:ita fac, mi Lucili, vindica te tibi (1, 1). Quella
dell'epistolario sembra una prospettiva forse pi serena, dalla quale emerge la consapevolezza che in fin dei
conti, al contrario di tutte le altre cose, il tempo pur sempre nelle nostre mani: omnia, Lucili, aliena sunt,
tempus tantum nostrum est (1.3). E ovviamente si tratta del tempo in cui viviamo, dato che futuro e passato
non ci appartengono, non eris nec fuisti, utrumque tempus alienum est (77.11).
La percezione fisica del tempo e quella psicologica
Da queste considerazioni si coglie come il tempo sia, per Seneca, la vita stessa, quella che individualmente
ciascuno decide (o non decide) di trascorrere in piena coscienza. Solo sullo sfondo sta la concezione tecnica
dell'antica scuola stoica per la quale il tempo era un'estensione connessa al movimento del cosmo
(Crisippo, II. 509). Certamente il filosofo romano sa quali interrogativi sorgono riguardo alla concezione
puramente fisica del tempo: anzitutto se sia qualcosa di per s (an per se sit aliquid); poi se ci sia qualcosa,
senza tempo, prima del tempo (an aliquid ante tempus sit sine tempus); se esso ha cominciato a esistere con
il mondo (cum mundo coeperit) oppure, dato che qualcosa dev'essere esistito prima del mondo, se anche il
tempo gi esistesse (fuerit et tempus), ep. 88.33. Sembra peraltro scontato che il tempo costituisca una
particolare causa del divenire: nihil sine tempore potest fieri (ep.65.11). Tuttavia per Seneca esso qualcosa
di determinato e oggettivo in quanto indubbiamente sta tra la nascita e la morte, sta cio tra la 'non vita'
prima della vita e la 'non vita' dopo la vita; una sorta di contenitore all'interno del quale si raccolgono i fatti
di cui si protagonisti.Ma anche, e soprattutto, qualcosa di sperimentabile, percepibile e giudicabile dal
punto di vista psicologico e morale. Si pensi anzitutto al fatto che siamo noi a sprecare o a impegnare il
nostro tempo: di qui il primo forte invito a far s che tutto il tempo ci appartenga (id agamus ut nostrum
omne tempus sit, ep. 71.36), che ogni istante sia messo a frutto (omnes horas conplectere), e che dunque non
ci si accontenti di essere semiliberi (br.v. 5.2).
Il tempo e la morte
Decisiva in ogni caso la consapevolezza critica che Seneca mostra per lo svolgersi della propria giornata
lungo il percorso (o, meglio, il precipitare) verso la morte: cotidie mori (ep. 1.2); cotidie morimur, cotidie
enim demitur aliqua pars vitae, et tunc quoque cum crescimus vita decrescit (ogni giorno moriamo, ogni
giorno infatti si riduce parte della nostra vita e anche quando cresciamo in realt la vita decresce, ep. 24.20).
Solo chi consapevole di vivere non sar sorpreso dalla morte che gli destinata: ma questo esattamente il
contrario di ci che accade a quanti, rammolliti e annoiati, non piace avere un punto di riferimento verso cui
dirigere la rotta (quibusdam nihil, quo cursum derigant, placet, sed marcentis oscitantesque fata
deprendunt, br.v. 2.2). Di conseguenza, secondo Seneca c' una precisa differenza tra la vita (spesso breve)
durante la quale consapevoli viviamo veramente e il lasso di tempo (a volte lungo) durante il quale non
siamo consapevoli di cosa facciamo: exigua pars est vitae, qua vivimus. Ceterum quidem omne spatium non
vita sed tempus est, br.v. 2.2.
Il tempo e la sua scansione
Scrive Seneca: In tre fasi si divide la vita; ci che fu, ci che , ci che sar (quod fuit, quod est , quod
futurum est). Di queste, quella che viviamo breve (his quod agimus breve est), quella che vivremo dubbia

(quod acturi sumus dubium), quella che vivemmo sicura (quod egimus certum). Questa infatti quella
sulla quale la fortuna ha perduto ogni suo diritto e che non pu essere ridotta all'arbitrio di nessuno
(br.v. 10.2).Anticipando pensatori quali Plotino e Agostino, Seneca distingue nettamente il presente dal
passato e dal futuro; quindi segnala la precariet del presente ma, insieme, il fatto che solo esso dipende
realmente da noi e dalle nostre decisioni. Forse possibile avanzare qualche diritto (e rivestire dunque
qualche responsabilit) anche riguardo alla vita futura. Ma si badi che in ogni caso il futuro rimane ambiguo,
non fosse che per l'eccesso di aspettative che in esso oggi cio nel presente riponiamo. Perci Seneca si
raccomanda di non dipendere dal domani (ex crastino pendere, ep. 1.2; cf. br.v. 9.1 ebenef. 7.2.4), cosicch il
futuro non ci preoccupi eccessivamente: Quando mai giunger il tempo in cui capirai che del tempo non ti
importa (scies tempus ad te non pertinere), in cui sarai tranquillo e rilassato, incurante del domani e del
tutto pago di te stesso! (quo tranquillus placidusque eris et crastini neglegens et in summa tui
satietate!), ep.32.4.Quanto al passato, invece, non possiamo assolutamente nulla: n noi n la fortuna.
Il tempo del sapiente
Saggio tenere insieme tutti i diversi momenti, cosicch essi acquistino una continuit e una coerenza
significativa. Il passato e il futuro possono cos essere riscattati nel presente, e il presente diventa in pratica il
luogo di accumulazione del ricordo e dell'anticipazione: La vita del saggio si estende a lungo (multum patet
vitam), egli non si trova a essere circoscritto da quei limiti che segnano i confini per gli altri. Egli solo
svincolato dalle leggi del genere umano: tutti gli uomini e le esperienze del passato sono al suo servizio, come
a un dio. Un determinato tempo passato: ebbene, egli lo tiene ben stretto a s con il ricordo (transit tempus
aliquot: hoc recordatione comprendit). Un altro tempo gli sta innanzi: di esso ne usa (instat: hoc utitur). Un
altro tempo gli verr incontro: ecco che egli lo anticiper (venturum est: hoc praecipit). Il fatto di raccogliere
insieme tutti i diversi tempi gli rende lunga la vita (longam illi vitam facit omnium temporum in unum
conlatio), br.v. 15.5. la filosofia che spinge l'uomo saggio a puntare verso obiettivi incommensurabili ed
eterni (quae inmensa, quae aeterna sunt), a quanto al di l del consueto limitato e caduco volgere del
tempo (ab hoc exiguo et caduco temporis transitu) comune ai migliori tra gli uomini (quae cum
melioribus communia). Cos ci lecito discutere con Socrate, dubitare con Carneade, starsene nella quiete
con Epicuro, vincere la natura umana con gli Stoici, con i Cinici eccederla, br.v. 14.2. Il tempo dunque va
considerato concretamente come l'occasione per riscattare l'umanit e la mortalit dell'essere umano, e il
sapiente stoico, in questo senso, in grado di dominare il tempo: temporis dominus esse (br.v. 12.9).

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