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Conservatorio di Musica “Licinio Refice”

Frosinone

Diploma Accademico di Primo Livello

Scuola di Jazz

TONY WILLIAMS:
THE UNPREDICTABLE
DRUMMER
Relatore: M° Giampaolo Ascolese
Correlatore: prof. Luigi Onori
Candidato: Federica Bernabei
Matricola n. T.8444

A.A. 2016/2017
TONY WILLIAMS:
THE UNPREDICTABLE
DRUMMER

di
Federica Bernabei
Jazzhouse Montmartre, Copenaghen, giugno 1971

Al Village Vanguard, New York City, settembre 1965


INDICE

Premessa 4
Biografia 7
Influenze 12
Lo stile 16
Tecnica e suono 19
Kit e accordatura 21
L’esperienza con Miles Davis 23
Lifetime 29
Fred 33
Footprints 35
Una mas 38
Nefertiti 39
Conclusioni 40

Sitografia 42
Bibliografia 43
Discografia 44
PREMESSA

Tony Williams merita una menzione speciale per il suo contributo significativo allo
sviluppo di una lingua melodica per batteristi. Il suo concetto avanzato di timing e
l'uso esclusivo dello spazio, o meglio, del silenzio all’interno dei brani musicali, gli
ha consentito di eseguire in modo brillante, i passaggi melodici all’interno e nello
sviluppo delle forme musicali.
La scelta di sviluppare una tesi su Tony Williams è stata dettata dal fatto che era un
Musicista molto istruito, curioso, tenace ed un virtuoso batterista che non ha mai
smesso di imparare e di creare, introducendo molte cose, molte novità di
linguaggio, oggi divenute dei capisaldi della tecnica e del fraseggio batteristico, in
modo spontaneo e mai calcolato.
Questa è la bellezza del personaggio. Analizzerò quindi il batterista nel suo percorso
in ensemble e da solista.

È interessante vedere, grazie alla grande eredità sonora che ci ha lasciato, come sia
possibile evincere l’amore autentico e il grande apprezzamento che nutriva nei
confronti della musica e del suo strumento, mettendolo al servizio, con innovative
tecniche e ricerche dei suoni e della buona “dizione”, della musica stessa, la vera
arte suprema, senza mai contrastare o prevaricare con la tecnica pura.

Tony Williams ha offerto a molti batteristi una nuova concezione di suonare la batteria,
basata soprattutto su quello che è stato descritto come "caos controllato", fornendo un
nuovo e stimolante vocabolario batteristico, fino ad allora non ancora sviluppato.
Tutte queste qualità sono diventate in modo più pronunciato il suo modo di suonare,
insieme alla sua capacità di ascoltare, di sentire all'interno del gruppo e riuscire ad
aumentare la conversazione musicale, senza porsi limiti.

Inoltre, Williams non si è limitato ad essere solo un batterista jazz. Ha contribuito a


creare la fusione di tamburi e, a differenza di molti batteristi jazz, si sentiva a suo agio
anche suonando il rock. Egli è stato in grado di essere un camaleonte, perché ha capito
ed ha adattato la sua abilità alle esigenze di nuovi linguaggi.

Tony Williams era un genio e la sua morte prematura, a cinquantuno anni, è stata una
tragica perdita per gli amanti della musica e i batteristi di tutto il mondo.
Nella mia tesi, affronterò la parte biografica ed il percorso musicale di Williams,
prendendo in considerazione ed in analisi alcuni brani, considerando non solo le
influenze batteristiche e musicali ricevute, ma tutto ciò che lo ha portato ad esprimere
a pieno il suo grande e innato genio.
BIOGRAFIA

Tony Williams è nato a Chicago il 12 dicembre del 1945 ed è cresciuto a Boston. Iniziò da
giovanissimo gli studi con il maestro e batterista Alan Dawson (collaboratore di Dave
Brubeck e Sonny Rollins), batterista dotato di una grande tecnica ed un grande
costruttore di linee melodiche che si fondono in un continuum ritmico, ricco di
raffinatezza timbriche, leggerezza ed elasticità.
Tale insegnamento restò presente nello stile di Williams, appassionato allo studio del
jazz e del drumming di Art Blakey, Philly Jo Jones e soprattutto Max Roach.
Il padre era un sassofonista ed Anthony lo seguiva nelle serate nei club, dove ebbe
l'opportunità di esibirsi. Cominciò a suonare come professionista all'età di tredici anni
con il sassofonista Sam Rivers e, a diciassette anni, trasferitosi a New York, venne
ingaggiato da Jackie McLean.

Qualche mese più tardi Williams acquisì una fama considerevole grazie a Miles Davis,
unendosi ad un gruppo che venne successivamente definito come il Secondo grande
quintetto di Davis.

Williams è stato un elemento fondamentale del gruppo. Nella autobiografia, Miles Davis
affermava:

...the center that the group's sound revolved around.... (il centro attorno al quale il
suono del gruppo girava intorno).

La sua musica creativa contribuiva a ridefinire il ruolo della sezione ritmica del jazz
attraverso l'impiego di poliritmie e modulazioni metriche.

All’inizio della sua carriera professionale, Tony Williams considerava il drumming e la


composizione di uguale importanza. Era un musicista ossessionato solo dalla musica.
Williams ha partecipato integralmente nella prima-metà degli anni 60 al movimento
d'avanguardia, suonando in album come "ONE STEP BEYOND" di Jackie McLean,
"EVOLUTION" e "SOME OTHER STUFF" di Grachan Moncur III, "FUCHSIA SWING SONG" di
Sam Rivers, "POINT OF DEPARTURE" di Andrew Hill, e "OUT TO LUNCH" di Eric Dolphy.

Tony esplose sullo scenario jazz nel 1963, appena diciassettenne, con un dirompente e
straordinario drumming.
Ha cominciato a scrivere quando stava con Miles registrando tre sue composizioni: “Pee
Wee”, “Hand Jive” e “Black comedy”.
William studiò orchestrazione, armonia e composizione alla Julliard School of Music di
New York e Alla Berkeley, University of music, in California.
Amava tra i compositori classici Bela Bartòk, Stravinsky, Chopin, Edward Grieg, Edward
Algar e Aaron Copland.
Strano che un batterista citi tra le sue influenze Stravinsky.

Williams diceva:

“Se suoni il sassofono non significa che sei un compositore, se suoni il pianoforte,
non significa che sai scrivere. Ci sono molti musicisti che non sanno scrivere e quando lo
fanno è un
disastro”.

(intervista DrumMagazine- May/June 1997)

Per questo è stato uno dei primi batteristi ad approcciarsi allo strumento come
compositore; infatti il kit offre moltissimi suoni che possono essere orchestrati in tanti
modi e variazioni.
Quindi la batteria non era solo una questione di tenere il tempo.
I suoi grooves richiamavano la melodia, il contrappunto e l’armonia dimostrando grande
talento e grande capacità di compositore e arrangiatore tanto quanto la sua immensa
bravura e continua innovazione sullo strumento.

Nel suo ultimo cd “WILDERNESS”, con gli Ark21, ha presentato la sua scrittura per
un’intera orchestra, oltre che per un quintetto di All – Star, come Michael Brecker, Pat
Metheny, Herbie Hancock e Stanley Clarke.
Molti di questi album progressive sono stati considerati tra le più grandi registrazioni
jazz di tutti i tempi.
Il giovane Tony nel quintetto con Miles

Nel 1969 alla vigilia di “BITCHES BREW”, Tony si tirò fuori dal gruppo di Miles e cominciò
a preparare la sua personale evoluzione musicale e batteristica. Fondò così il trio
"Lifetime" con John McLaughlin alla chitarra e Larry Young all'organo, a cui aderì
successivamente Jack Bruce al basso diventando così un quartetto.

I "Lifetime" sono stati un gruppo pioniere del movimento fusion.


Il loro primo album, "EMERGENCY!" viene registrato dalla Polydor. Quest’album dalla
musica interessante, densa di empatia e vitalità, è stato in gran parte disapprovato dalla
comunità jazz al momento della sua uscita, ma ad oggi è considerato da molti come un
classico del genere fusion.
Dopo la partenza di McLaughlin, e diversi altri album, il gruppo si sciolse per sempre
nella prima metà degli anni settanta.
Nel 1975, Williams mise insieme una band che chiamò "The New Lifetime", con il
bassista Tony Newton, il pianista Alan Pasqua, e il chitarrista Allan Holdsworth con i quali
incise due album per la
Columbia Records: "BELIEVE IT" e "MILLION DOLLAR LEGS".
I suoni di Williams cambiarono notevolmente facendosi più pesanti. La cassa è diventata
più sonora e cupa, mentre il rullante è diventato molto più incisivo e profondo, quindi
più lontano dal tocco dei primi tempi.

Nel 1977, il batterista, trasferì a San Francisco occupandosi quasi esclusivamente alla
composizione, sotto la guida dei maestri Robert Greenberg e Robert Stine, presso la
Berkeley, the University of California.

Nel marzo del 1994, Tony Williams realizzò un album speciale dedicato all’uomo che l’ha
scoperto, dal titolo “A TRIBUTE TO MILES”, una collezione di composizioni che celebrano
la vita e la musica del celebre trombettista. Quest’album ha riunito un gruppo di
musicisti, icone della musica jazz e non solo, quali Herbie Hancock, Wayne Shorter,
Wallace Roney e Ron Carter, vincendo il GRAMMY AWARD for BEST JAZZ INSTRUMENTAL
PERFORMANCE-INDIVIDUAL or GROUP.

Nel dicembre del 1995 registrò il suo ultimo lavoro- già citato- dal titolo “Wilderness”
con Herbie Hancock, Michael Brecker, Stanley Clarke e Pat Metheny, cimentandosi anche
con la composizione per orchestra dove appunto riconosciamo le abilità compositive e di
orchestrazione acquisite negli anni ’80 nelle istituzioni Juilliard (N.Y.) e al Berkley in
California.

In un’intervista rilasciata per il Downbeat Magazine nel dicembre del 1996, Tony
affermava:

“La composizione mi fa sentire come se avessi ottenuto tutta la strada che un musicista
può percorrere”.

Williams visse e insegnò nella zona della baia di San Francisco fino alla sua morte dovuta
ad un attacco di cuore dopo una semplice operazione chirurgica della vescica biliare, il
23 febbraio del 1997.
Una delle sue ultime registrazioni è stata "The last way" con il trio "Arcana", una
collaborazione dovuta al bassista Bill Laswell.
INFLUENZE

I grandi jazzmen del passato hanno inventato una lingua, facendola poi evolvere,
rendendola più complessa e talvolta deframmentandola e destrutturandola fino al limite
della comprensione.
Da questo presupposto viene naturale pensare che per comprendere una lingua, bisogna
prima di tutto ascoltarla e cercare di imitarla, imparando vocabolario e grammatica.
Le influenze di Tony, proprio per il periodo in cui viveva, furono tante, ricordiamo Max
Roach, primo fra tutti, il suo più grande idolo, poi, Art Blakey, Roy Haynes e Philly Jo
Jones a cui riconosce l’indipendenza tra mani e piedi.
Suonare come i nostri idoli di riferimento e imitarne lo stile ci permette di costruire un
linguaggio musicale.

“I think that Max was the most dynamic of this time, the state of art at the moment.”
(intervista Modern Drummer 1978).

Lo stile di Max Roach contemplava anche la dinamica, la narrativa e lo spazio sonoro,


dove anche le pause acquistano valenza estetica e di grande importanza per il brano.
Infatti ritroviamo molto spesso l’uso di questo vocabolario nel drumming di Williams.
Grande fonte d’ispirazione per il giovane Williams, ed è stato una grande fonte di
ispirazione, sia per quanto riguarda la tecnica che per quanto riguarda il gusto musicale
e del fraseggio.
Anche Roach, batterista talentuoso, cominciò a suonare nei locali molto giovane, per
finire a 16 anni nell’orchestra di Duke Ellington (come sostituto di Sonny Greer).
A Max Roach, come a Kenny Clarke, si deve la nascita, negli anni ’40, del nuovo modo di
portare il tempo, abbandonando la cassa sui quarti e spostando la pulsazione sul piatto
ride.

Max Roach ricorda Tony Williams così:

“La prima volta che l’ho conosciuto fu a Boston. Il padre era solito portarlo nei club
poiché anche lui musicista (sassofonista). Sua madre era un’amica di mia moglie ed
un’estate gli diede il permesso di scendere giù da me. Una sera andammo ad una
session e Jackie Mc Lean, lo sentì suonare. L’anno successivo stava suonando con Miles
Davis ed aveva 16 anni.
La prima impressione su Tony è che poteva suonare con qualsiasi band e lui sapeva tutto
quello che suonavano. Lui sapeva suonare gli arrangiamenti di Clifford Brown quando io
ero nella band.

Si avvicinò allo strumento da piccolo e le sue influenze furono Art Blakey ed Elvin
Jones. Era originale e per questo non possiamo paragonarlo ad altri batteristi.
Era una persona che quando lo senti dici – Oh questo è Tony! Oh questo è Miles! Oh
questo è John Coltrane! – ecco di cosa si tratta.
Tutti noi siamo influenzati dal nostro ambiente. Lavorando con gente come Miles e
nascendo in un momento in cui le figuri dominanti erano Elvin e Kenny (Clarke) ho
sentito un po’ di tutto, ma ciò che ha fatto Tony era diverso. Tony era un fenomeno.”

(intervista rilasciata al JazzTimes nel giugno del 1997)

Da sinistra Max Roach e Tony Williams

Da Blakey aveva messo in luce e preso come esempio, l’energica carica emotiva del
drumming e la presenza dello studio dei ritmi africani, passione avuta dopo il suo viaggio
in Africa nel 1948, oltre all’approccio ai ritmi afro-cubani. Williams prese da lui, il suo
drumming, esplosivo, genuino e puro.
Da Elvin Jones l’uso della poliritmia, la pronuncia e i raggruppamenti ternari mentre da
Philly Jo Jones, che usava definire come “l’amalgama di Blakey e Roach”, l’uso raffinato
e snodato del cross-stick. Fu l’inventore del groove divenuto base per ogni batterista
jazz.

Grazie alle sue influenze e alla creatività di questi batteristi che ho citato ed a partire
dagli anni ’40, la batteria cominciava ad abbandonare progressivamente il ruolo
dell’accompagnamento, svincolandosi da figurazioni abituali e standard, attingendo ad
un linguaggio e ad un approccio più complesso e libero, dando allo strumento pari
dignità e possibilità degli altri.

I suoi idoli. Da sinistra Elvin Jones, Philly Jo Jones e Max Roach


LO STILE

Il vocabolario musicale di Tony Williams era nuovo ed originale ed includeva un livello di


virtuosismo tecnico elevato, quasi senza precedenti, con una consapevolezza crescente
che la batteria potrebbe essere concepita come uno strumento melodico, straordinaria
risorsa rispetto ai tempi.
Questa maturazione è stata alimentata dall’influenza dell’ascolto anche della musica
non-jazz del XX secolo.

Ricordiamo inoltre che Tony inizia i suoi studi da giovanissimo con il Maestro Alan
Dawson, batterista e insegnante conosciuto per la sua grande abilità e musicalità.

Williams lo ricorda così:

“Da lui ho ottenuto la chiarezza. Molti batteristi hanno tanta indipendenza ma capita
che non
abbiano ben chiaro le loro idee e da Alan ho preso l’idea che si deve suonare in modo
chiaro.”
(Downbeat magazine 11/1/1983 by Paul de Barros)

Dotato di una tecnica eccellente caratterizzata da movimenti rapidi per non sprecare
energia, il batterista aveva una musicalità straordinaria, che gli permise di creare uno
stile innovativo proprio perché riusciva a riproporre e ad ottenere diversi suoni e
sonorità introducendo in modo più insistente e presente, l’uso di poliritmia e
modulazioni metriche.
Utilizzava molti tamburi e cassa da dimensioni ridotte dall’accordata chiara e definita.
Una tra le caratteristiche più salienti che lo ha contraddistinto è stata l’eliminazione
della costante sottolineatura dei tempi deboli con il charleston (il secondo e quarto
movimento).
La scansione del piatto varia in base agli accenti che decidi di suonare e la sua forza è
stata quella di tenere, allo stesso momento, la regolarità e la scansione del tempo in
modo sempre costante, in un regolare rapporto tra beat e off-beat.

La bellezza del drumming di Tony è che riusciva sempre a creare delle tensioni,
abbandonando l’accompagnamento terzinato, passando poi ad uno ad ottavi regolari con
un gusto musicale ed una semplicità sconvolgente.
“Ogni volta che sento Tony mi ricordo di quanto è grande. È sempre
fresco e sorprendente. Tony ha portato i tamburi alla ribalta più che mai.
Prese da Roy Haynes per poi sviluppare a modo suo. Odio parlare in assoluto, ma è stato
il batterista che ha detto di più di tutti sullo strumento. La sua tecnica era incredibile
e aveva il più importante elemento, la percezione interna del tempo”.
(Terri Lyne Carrington, intervista per la rivista Jazz profiles, marzo 2011)

Nell’accompagnamento non era mai regolare. Suonando solo il piatto ride riusciva a
sostenere il gruppo, con una pulsazione che dava la sensazione di tirare “avanti”.
Il timing di Williams germinava proprio dall’intuizione geniale di segnare sul ride il
tempo come se fosse in ottavi, abbandonando l’abituale struttura terzinata. Si tratta di
una straordinaria evoluzione linguistica, dove questa pronuncia ritmica implicava una
diversa segmentazione e ripartizione delle note suonate sugli altri tamburi, esprimendo
per la prima volta, una pulsazione in sedicesimi reali e quindi proiettata in avanti,
all’incedere del tempo.

“Una delle cose che amo nel modo di suonare di Tony, è la capacità d’ascolto, la sue
interazione e il timing. Suona queste cose interattive in un determinato momento in
musica, che la spinge in avanti. Parlo di spazi in cui interpreta cose.”
(Bill Stewart, intervista per la rivista Jazz profiles, marzo 2011)

Nel 1963 Williams aveva già espresso e maturato tutti i valori stilistici del suo
linguaggio, come appunto quella attitudine di suonare sempre leggermente in anticipo
sul beat, che rendeva il suo drumming quindi ancora più proiettato in avanti.
La potenza, l’imprevedibilità e l’esplosività sono caratteristiche che troviamo nel suo
drumming.
Con Williams il ruolo della batteria cambia. Non ci sono più gerarchie tra i vari
strumenti. La batteria muta e trasfigura l’accompagnamento inventando nuove forme
ritmiche.

Con il suo nuovo modo di suonare è riuscito - oltre a cambiare radicalmente il ruolo
della batteria nell’ambito della musica jazz - a creare un vocabolario nuovo e stimolante
dal quale molti batteristi hanno attinto e continuano ad attingere.
“I tamburi sono percepiti come rumori. La gente non pensa che i tamburi possono
parlare, cantare, sussurrare”.
(intervista rilasciata alla rivista DownBeat, 11/1/1983)

Con questa frase, William ci ha voluto far notare che prima di essere uno strumentista,
si è musicista.

Tony fu uno dei primi batteristi ad usare il piatto straight e ad effettuare una variazione
sia in base alla velocità del brano che a l’interplay dei musicisti coi quali si accompagna.

Per quanto riguarda l’uso del charleston, nei suoi brani è impressionante; sebbene non
preferisse accompagnare sul 2 e sul 4, perché lo riteneva un procedimento monotono e
per “inutilità musicale”.

In alcuni brani usava mettere il charleston su tutti i quarti per garantire ancora più
groove e stabilità ritmica. Per lui il charleston era la terza voce nel fraseggio, dopo il
rullante e la cassa,insieme ai quali riusciva a creare frasi e sistemi melodici e ritmici di
pregevole gusto.

Un esempio lo possiamo ricavare dal famoso brano “Autumn leaves”, dove, con la voce
del rullante, possiamo notare il gioco di modulazione ritmica applicata, ovvero
un’accentuazione ogni due terzine, scegliendo invece con i pedali una semplice
alternanza a colpi singoli.
TECNICA E SUONO

Williams era un appassionato dello studio della tecnica, tanto è vero che ritroviamo
spesso l’uso di rudimenti a diverse velocità, dallo slow al fast, a varie dinamiche e con
una dizione dei colpi ineccepibile.

Spesso e volentieri eccedeva nell’utilizzo dei rulli e dei flams. Proprio i rulli li troviamo
spesso usati nella composizione dei suoi brani. Tony Williams era solito usare entrambe
le impostazioni per tenere le bacchette (matched grip and traditional grip) in base al
suono che voleva ottenere.
Il batterista era quindi molto consapevole del suono che voleva usare e riproporre nelle
diverse composizioni. Non lasciava nulla al caso.

Come asseriva in un’intervista sul Modern Drummer nell’anno 1978, iniziò a suonare per
conto suo per circa 4-5 anni, dopo di che decise di prendere lezioni private dal Maestro
Alan Dawson.
Racconta di come non faceva altro che praticare, dal mattino fino alla sera, neanche il
tempo cambiarsi il pigiama, persino davanti la televisione si allenava sul pad per
sviluppare la tecnica delle mani, che riteneva molto importante.

“All drumming, everyday.”

All’inizio della sua carriera era il padrone del piatto ride, gli piaceva il suono pulito e
definito.
Forse il motivo per cui lo stile di Tony è così peculiare è che lui non è venuto nel mondo
del Jazz attraverso il tipico percorso delle big band.

“La prima responsabilità di un batterista è il tempo, la seconda è quella di fare da


ponte tra gli altri strumenti, il contrabbasso e il pianoforte, il pianoforte e i fiati, il
basso e i fiati, facendoli sentire a proprio agio. Una volta raggiunto questo, allora si
può passare ad altre cose.”

Questo è ciò che asseriva Williams, come “Drummer’s role” ossia “la regola del
batterista”, in un’intervista rilasciata al Modern Drummer nel 1978.

Soprattutto da questo suo approccio si evince ancor di più il suo essere musicista a tutto
tondo e la sua necessità di far musica a 360 gradi, sfruttando tutto il suo sapere sul
proprio strumento e sulla musica in generale, senza limitarsi ma cercando di superarsi
sempre più. Tutto a servizio della musica.
Il KIT e L’ACCORDATURA

Tony Williams utilizzava una batteria Gretch USA Custom gialla con grancassa da 24”,
rullante 14”x 6.5”, toms da 13” e da 14”, timpani 14”,16” e 18”. Usava suonare i piatti
Zildjian K serie.
Come pelli utilizzava le Remo Controlled sound black dot, e come bacchette amava
suonare con le 2B signature della Zildjian con il collo fino e la punta ad oliva.

In merito all’accordatura dei tamburi, Tony Williams asseriva che per lui l’importante
era che i fusti producessero suoni diversi e armoniosi tra loro, proprio per questo non
aveva un modello d’accordatura prestabilito.

Negli ultimi anni passo alla DW mantenendo il colore giallo, poiché come disse in
un’intervista, il colore giallo era simbolo di intelligenza e anche perché di quel colore
non ce l’aveva nessuno.

Modello Tony Williams della Gretsch in mostra al Gretsch Company headquarters in Pooler, Georgia
ESPERIENZA CON MILES DAVIS

“Era Il centro del sound del gruppo. Il suo modo di suonare, così innovativo, ridefinì il
ruolo della sezione ritmica nel jazz attraverso l’uso della poliritmia e delle modulazioni
metriche”.
(autobiografia di Miles Davis. Editore Minimum Fax)

E ancora:

“A drummer like Tony comes around only once in 30 years”.


(autobiografia di Miles Davis. Editore Minimum Fax)

Miles Davis 22/12/1965 Plugged Nickel Club, Chicago


In quel periodo Miles aveva costituito e disfatto varie formazioni. Appare oggi
abbastanza evidente che negli anni successivi a quelli che videro nascere album quali
“KIND OF BLUE”, “PORGY AND BESS” e “SKETCHES OF SPAIN”, Davis attraversò un
periodo di transizione, se non di crisi.

Non è un caso che proprio nel 1961 avesse annunciato il proposito di ritirarsi dalla
professione.
Ma non si ritirò, risorse, nel 1963, riunendo un nuovo quintetto, molto differente da
quello che lo aveva preceduto e animato da una splendida sezione ritmica, con Herbie
Hancock al piano, Ron Carter al contrabbasso e il giovanissimo Tony Williams.
Rafforzata dal sassofonista Wayne Shorter, la nuova band fu una delle più attive e
brillanti sulla scena jazz degli anni Sessanta e fu probabilmente una tra le migliori fra le
molte che Davis capeggiò nel corso della sua carriera.

Fra tutti fu comunque – a mio parere- la più stabile, la più equilibrata, quella con il
miglior grado di integrazione e la più evoluta.

Miles Davis 22/12/1965 Plugged Nickel Club, Chicago


“Mi sconvolse. Ascoltarlo mi fece tornare l’entusiasmo per la musica. Capii
immediatamente che sarebbe diventato uno dei più cattivi figli di puttana che mai si
siano seduti dietro una batteria…

Illuminò d’immenso chiunque in quel quintetto. Mi fece suonare così tanto che finii per
dimenticarmi dei dolori all’anca che mi stavano tormentando. Giunsi presto alla
conclusione che con Tony potevamo fare qualunque cosa desiderassimo. Fu sempre la
chiave di volta del suono del gruppo. Era qualcosa di speciale.”
(autobiografia di Miles Davis. Editore Minimum Fax, 02/2010)

Miles, ascoltando il giovane Williams, capì subito che quell’intricato stile batteristico e
quell’inedita sezione ritmica, poteva dare una svolta alla sua musica, cosi Tony Williams
fu ingaggiato nel 1963 a soli 17 anni.

Williams si definiva uno studioso di Davis poiché conosceva tutto della sua musica ed era
in grado di poterla eseguire in modo naturale ed istintivo. Il batterista rimarrà nella
band fino al 1969.
Tra le prime incisioni ricordiamo SEVEN STEPS TO HEAVEN, WALKING (1963) e il
CONCERTO ALLA PHILARMONIC HALL di New York nel febbraio del 1964.
Nel 1965 dopo l’arrivo di Wayne Shorter, si ascoltava un Miles davvero ispirato al
batterista.

Davis ricorda ancora di lui:

“ Tony cambiava modo di suonare ogni notte e suonava un tempo differente per ogni
pezzo, ogni notte.”
(autobiografia di Miles Davis. Editore Minimum Fax)

L’elemento che colpì maggiormente Miles fu la sua decisa scansione del tempo, la
facilità con la quale raddoppiava il tempo sui piatti, accompagnando anche con il
rimshot, spostando quindi l’attenzione dal rullante. La sezione dello strumento che
usava di rado è la grancassa non suonando quasi mai un tempo in quattro ma
sottintendendo la pulsazione nelle continue figurazioni.
La migliore sezione ritmica che abbia mai avuto fu proprio quella di Williams e Carter.
Avevano un modo del tutto particolare di creare o allentare la tensione musicale,
interagendo con i musicisti e alzando l’interplay ad un livello incredibile.

Un esempio lampante, lo possiamo osservare in Stella by Starlight dove la sezione


ritmica passa dal tempo base al raddoppiato o a ritmiche latine mentre Hancock suona
un ballad.
È un eccellente esempio d’interplay e della grande attenzione di Williams per il suono e
la dinamica.

In un’intervista di “Scenario” di Pat Cox, Tony dice:

“ The group that i was with Miles, was so great everything else to me was. There was
nothing that I had any desire to be a part of it.”

Nel 1965 Williams registra l’album E.S.P. da l’ Etichetta Columbia/ Legacy Recordings.
È il primo album del secondo quintetto di Davis. Con la sua durata di oltre 48 minuti,
E.S.P. è uno degli album più lunghi dell’epoca. A differenza della maggior parte dei
precedenti album di Davis, E.S.P. è composto interamente di nuove composizioni scritte
dai membri del gruppo.
La formazione vede artisti come Wayne Shorter, Herbie Hancock, Ron Carter ed
ovviamente, Tony Williams.

Nel 1969, Miles incide un album in studio dal titolo IN A SILENT WAY, considerato uno dei
veri e propri tentativi di esplorazione di Davis, verso un genere definito fusion, contro la
tradizione che utilizza strumenti elettrici.
L'album è stato prodotto da Teo Macero, il cui lavoro di arrangiatore e direttore dà un
contributo significativo al suono della registrazione.

Al momento della sua uscita, l'album è stato accolto da polemiche tra critici musicali, in
particolare quelli del jazz e rock, che sono stati divisi nella loro reazione alla sua
struttura musicale sperimentale e l'approccio elettronico di Davis.
Davis si è avvalso di musicisti dal calibro di Joe Zawinul, Chick Corea, John McLaughlin e
Dave Holland.

Peter Erskine e Billy Hart, due grandi batteristi jazz, ricordano Tony Williams durante il
periodo con Miles, con queste parole:

“Le parole sembrano inadeguate per esprimere il suo lavoro con Miles.”
(Peter Erskine, intervista per la rivista Jazz profiles, marzo 2011)

"Quando Tony si è unito a Miles era un prolifico giovane studente di Alan Dawson.

Tony aveva capito i ragazzi bebop, e che stavano suonando latin da Dizzy e afro-cuban
da Bird.
Nello stesso tempo, la “cosa brasiliana” colpì. Tony ha il vantaggio rispetto ai
precedenti batteristi Bebop, di poter confrontare il vocabolario cubano con quello
brasiliano. Tony era in grado di utilizzare tutti gli stili in arrivo come parte del suo
vocabolario. “
(Billie Hart, intervista per la rivista Jazz profiles, marzo 2011)
I LIFETIME

“Tutti parlano di Lifetime come della prima band fusion, ma in realtà era una sorta di
ritorno al passato di cosa stava accadendo, come quando cominciai a Boston.”

Lifetime è stato il primo gruppo creato da Tony Williams nel 1969, dopo aver suonato
circa un lustro nel quintetto di Davis. È stato un gruppo innovativo dal carattere rock ma
dall’animo jazz.
Con i Lifetime, cambierà molti compagni di viaggio, incidendo numerosi album,
differenti tra loro, sinonimo di una ricerca e un “work in progress” continuo da parte di
Williams.

Dice il leader-batterista:

“Tutti sembravano suonare qualcos’altro in quel gruppo. John era come un altro
batterista molto ritmico e percussivo, Larry stava facendo tutte queste cose alla John
Coltrane e suonava le parti di basso fino a quando non era arrivato Jack, in un secondo
momento. Io ero effettivamente il pianista.. in un gruppo che non aveva un piano.”

Con i Lifetime nasce il primo “power trio” della storia jazz-rock, anticipando i grandi
gruppi fusion degli anni ’70 come i Weather Reporter, Return to forever, Mahavishnu
Orchestra.Williams, Larry Young e John Mclaughlin entrano in studio a fine maggio per
registrare
“EMERGENCY”, il loro esordio.
È un E.p. dal drumming complesso e dall’ insieme di suoni e rumori incredibili.
Il disco vende poco e la critica si divide in due parti: c’è chi lo definisce “un’accozzaglia
di suoni”, come la rivista <<Jazz Guide>>, e come chi dice che “i Lifetime dovrebbero
diventare famosi come lo Jimi Hendrix Experience”, secondo quanto asserito dalla
rivista <<Rolling Stone>>.

A febbraio i Lifetime tornano di nuovo in studio a New York e al trio si unì Jack Bruce.
Dopo un tour in America e in Europa, all’inizio del ’71 il gruppo si sciolse. Tony Williams
non perse tempo e già a febbraio entrò in studio con una nuova formazione composta
sempre da Larry Young e poi da Ted Dunbar (chitarra), Ron Carter (basso), Don Alias e
Warren Smith (percussioni).

Con la nuova formazione, il sapore rock presente nei primi due album, scompare
totalmente dando spazio a fraseggi più ariosi. Proprio il suono delle percussioni
caratterizza le atmosfere dei nuovi Lifetime evidente nei brani “ Clap city”, “Piskow’s
filigree” e “ Some Hip Drum Shit”.
Una grande innovazione.
Il rock dei primi due album è comunque scomparso dalle idee ed esigenze dei Lifetime.
Anche Larry Young è meno presente e lascerà il gruppo prima delle registrazioni
dell’album successivo.
Nel disco “THE OLD BUM’S RUSH”, ultimo disco pubblicato della Polydor, avvertiamo dei
suoni funky, il sound è ricco di tastiere e di connessioni melodiche lontane dal rock degli
album precedenti. Williams cambiò nuovamente formazione servendosi di Laura Logan
(voce e chitarra),
Tillmon William (sax), Webster Lewis (organo), David Horovitz (sintetizzatori)ed Herb
Bushler (basso).

“La composizione mi fa sentire come se avessi finalmente ottenuto tutta la strada su


per la scalata come musicista. Mi piacerebbe molto portare la mia abilità di scrittore
allo stesso livello del mio modo di suonare.”

Dopo due anni Williams registrò un album mai pubblicato “WILDLIFE”, servendosi
stavolta di
Alan Holdsworth alla chitarra di Bruce, Lewis e la Logan.
L’anno dopo con Holdsworth, Tony Newton e Alan Pasqua, incideranno due album
considerati pietre miliari per la fusion degli anni ’70: “ BELIEVE IT” e ” MILLION DOLLAR
LEGS”.
Anche questa formazione non durerà a lungo.

“BELIEVE IT” è un album jazz fusion ed è stato registrato alla fine degli anni dei
Lifetime.
È considerato l’album solista di Tony Williams e comprende tre duetti, due con Jan
Hammer e l’altro con Cecil Taylor e tre diversi quartetti. Il secondo quartetto vede
ancora in scena Herbie
Hancock, Stanley Clarke e Tom Scott.
Il terzo quartetto presenta il “Tony Williams All Stars”.

Ultima formazione dei Lifetime nel 1980 con Patrick O’Hearn al basso, Tom Grant alle
tastiere coi quali registrò un album dai sapori e richiami jazz, dal titolo “PLAY OR DIE”.

Ricordiamo anche che nel 1978, registrò un album dal titolo “THE JOY OF FLYING” dallo
stile molto più R’n’B che al jazz, collaborando col pianista Cecil Taylor, Tom Scott e
Stanley Clarke.
The “JOY OF SPRING” è stato il primo album dei The New Tony Williams Lifetime
realizzato nel 1978 dalla Columbia Records, jazz fusion band formata da Alan
Holdsword, Alan Pasqua e Tony Newton.

Ultimo lavoro è stato “WILDERNESS” registrato nel dicembre del ’95, Williams si cimenta
con la composizione per orchestra grazie alle nozioni apprese dal maestro Robert
Greenbeg.
La batterista americana Cindy Blackman Santana, lavora al suo attuale progetto
“Another Lifetime, 40 years tribute”, in onore al grande Tony Williams, suo mentore di
lunga data.
Ricorda il batterista in questo modo:

“Per me, non era solo un maestro di tecnica, un maestro di batteria, l'innovatore
dell'era, ma anche un innovatore del suono. Aveva tante cose che hanno elevato il suono
e il livello di abilità necessarie per suonare questo tipo di musica ".
FRED

Contenuto nel disco BELIEVE IT, Columbia Records 1975, è un brano fusion up tempo con
un pattern di hi hat che suona “ 1e ah 2 e ah 3 e ah 4 e ah” ed ha un groove che sfida la
resistenza e le abilità di qualsiasi batterista.

Le ultime due battute mostrano il groove di base dove lui ci improvvisa intorno. Ci sono
molti breaks durante la melodia ma alcuni di quelli più interessanti li troviamo durante
l’outro (la coda)del brano.

Williams ha giocato con la ripetizione di RLL accentando ogni terzo sedicesimo per poi
improvvisamente spostarsi su una battuta in stile samba prima di eseguire lo “Swiss
triplet fill” usando lo sticking lRLL e poi suona uno dei suoi velocissimi colpi singoli.
La quinta riga finisce con un paio di misure di sestine con un insolito accento.

Il suo incredibile genio, e questo ne è un buon esempio, influenzerà il drumming di molti


batteristi.
FOOTPRINTS

Il brano è in ¾ ma Tony suona il brano in modo differente, non scontato, partendo da un


intro molto free, cioè non scandendo il tempo, da come osserviamo dal live del ’97, e
nel tema raddoppia la pulsazione di base sul piatto. È scritto spesso in 3 ma non è un
walzer visto che si alterna ad una matrice semplice una composta. Durante il tema con il
rim-shot e con l’hi-hat sembra faccia una sorta di clave. Il batterista è sempre presente
con frasi melodiche sui tamburi.
È uno standard jazz composto da Wayne Shorter, nel disco Adam’s apple registrato dalla
Blue Note nel febbraio del 1966. La versione presa in analisi è quella, sempre dello
stesso anno, suonata da Miles Davis, contenuta nell’album Miles Smiles.

Con il suo drumming è in grado di ingannare l’ascoltatore, come se ci fosse un’illusione


ritmica.
Sul tema, Williams usa modulazioni metriche in modo massiccio e press roll con la mano
destra sul ride. Il charleston viene usato come terza voce con la quale fraseggiare
insieme al resto del set.
Tony ricorre sempre alla tecnica della modulazione ritmica e metrica, accentuando una
scansione meglio nota come Emiola.
La bellezza del drumming di Williams è che riusciva sempre a creare delle tensioni,
abbandonando l’accompagnamento terzinato passando poi ad uno ad ottavi regolari.

La caratteristica del brano è l’ostinato di basso che si muove seguendo il seguente


ostinato:
Dopo i primi due minuti sentiamo la modulazione metrica di Tony che si sovrappone a
quella di Carter, creando quindi una polimetria di 4 contro 3. Un interplay ad altissimi
livelli.

Ad un tratto il ritmo latin che viene suonato sulla campana del ride in modo incisivo,
scende ad una dinamica bassa e controllata che porta alla modulazione swing.

Armonicamente parlando è un blues in Do minore di 12 battute. Shorter raddoppia il


ritmo armonico del turnaround anche se il brano è in Do minore, la melodia è in Do
dorico, in quanto ha il La naturale invece del La bemolle.
UNA MAS

Brano tratto dall’album “UNA MAS (One more time)” del trombettista Kenny Dohram e il
suo quintetto, uscito per la Blue Note nel 1963.
Brano di sedici battute, genere bossanova, dove Williams accompagna con un pattern
bossa, portando gli ottavi dritti, straight eight, sul ride. Il charleston suonato col piede,
segue dapprima il classico andamento bossa, poi incalza su tutti i quarti dando quindi
più grinta e presenza al groove.
Durante gli stacchi rimane sempre musicale e non invadente, sottolineandoli o solo con
la campana del ride o con un rullante dal suono molto delicato.
NEFERTITI

La batteria suona una serie di scomposizioni, il basso è in quattro mentre il pianoforte di


Hancock si alterna tra il beat in quattro e la scomposizione facendo quindi da legame tra
il basso e la batteria.
Nell’assolo presente nel brano, Williams fa un lungo uso di flam e continue modulazioni
metriche che danno la sensazione di passare da una pulsazione all’altra.
CONCLUSIONI

Tony Williams è emerso sulla scena jazz con uno stile molto particolare, diventando
quindi uno dei
batteristi fondamentali nel trentacinquennio 1962-1997.
Ha oltrepassato le convenzioni bebop con l’uso della poliritmia e la modulazione metrica
ridefinendo quindi il ruolo della sezione ritmica nel jazz essendo anche una delle più
influenti e stimolanti figure del jazz.

Forse il motivo per cui lo stile di Tony sia così peculiare può essere ricollegato al fatto
che è cresciuto in un periodo in cui le big band erano una stirpe ormai in via d
‘estinzione e quindi non aveva subito l’influenza e in parte il vincolo di quell’organico
musicale come molti batteristi.
Inoltre l’influenza dei ritmi latini e la grande capacità di combinazione tra essi e tra le
varie influenze intorno a lui, gli permise naturalmente di stare fuori dalla tipica
tradizione jazz in senso restrittivo.

Nel 1962, all’età di sedici anni, Williams è stato considerato uno dei batteristi migliori di
Boston. Una volta che Tony si trasferisce a New York con Jacky McLean, la sua carriera
discografica inizia quasi immediatamente.

Insieme all’altosassofonista Tony spese tempo ad ascoltare ritmi africani, musica


indiana, nonché ritmi indiani, per cercare di trovare “incastri” tra fiati e batteria.
Nuove idee da sviluppare.
Prestando più attenzione ad analizzare la sua tecnica, il suo feeling e la sua creatività,
come ideologia applicata sul drumset, è inevitabile notare quanto le influenze del
passato quali Max Roach, Art Blakey e Philly Jo Jones, siano stati fondamentali per lo
sviluppo della sua personalità, creando quindi un’identità musicale unica.

Studiò attentamente i suoi idoli, incorporando quanto più possibile, perché per
evolversi, per fare qualcosa di nuovo, è importante conoscere il passato.

Max Roach è stata la più grande influenza, portando musicalità alla batteria, un nuovo
approccio e modo di suonare. Era molto chiaro anche nell’esposizione dei soli, non era
mera tecnica, ma consapevolezza dell’uso delle frasi e quindi anche della tecnica ma
soprattutto della musicalità.
Da Philly Jo Jones, Williams prese come spunto la sua grande creatività.
Nella tesi ho voluto mostrare come Williams ha perseguito ardentemente il suo concetto
di suonare la batteria in modo originale evidenziando la capacità espressiva dello
strumento nonché l’approccio di Williams a diversi stili e alle molteplici innovazioni che
ha evidenziato e introdotto durante la sua carriera.
In termini più semplici, il batterista aumenta e approfondisce l’espressiva capacità del
drumset, in modo moderno facendo predominare la parte armonica e melodica del
solista, sovvertendo quindi il ruolo del “batterista accompagnatore” verso un ruolo più
autonomo che interagisce insieme agli altri musicisti, abolendo le gerarchie tra i
musicisti stessi e facendo apparire il batterista con un ruolo fondamentale per la
creazione musicale.
La caratteristica che più mi affascina della sua personalità non è solo la sua profonda
musicalità, ma è il fatto che prima di tutto è stato un grandioso musicista. Ha
sdoganato, seguendo un processo iniziato fin dagli anni ’40- il ruolo del batterista
asservendo tutto alla musica stessa, con estrema intelligenza e grande curiosità. Inoltre
mi ha affascinato il fatto che non suonava mai in modo scontato, che sapeva far cantare
nel vero senso della parola la batteria, creando melodie interessanti contrassegnate da
varie dinamiche gestendole in modo eccelso.
Tony Williams era un musicista completo, con una sensibilità artistica spiccata e con una
personalità fondamentale, indispensabile ispirazione per i batteristi e i musicisti
moderni, offrendoci un grande esempio di strada da seguire durante il proprio percorso
formativo.

“HEY, DRUMMERS: Basically, you've really got to love the instrument, and love playing
no matter
what music it is.”
(intervista al Modern Drummer, 1978 )
SITOGRAFIA

Wikipedia enciclopedia libera

Ship drummer: Modern drummer interview: Tony Williams. 1978


http://www.cruiseshipdrummer.com/2014/01/groove-o-day-tony-williams-
footprints.html

Tony Williams, the game challenger, 18/08/2011


http://www.moderndrummer.com/site/2011/08/tony-williams-the-game-changer/

Tony Williams 1945-1997: the unpredictable jazz drumming by Steven A.Cerra


29/03/2011
http://jazzprofiles.blogspot.nl/2011/03/tony-williams-1945-1997-unpredictable.html

Tony Williams, Lifetime: dove il jazz incontra il rock a cura di Roberto Mandolini
http://www.ondarock.it/rockedintorni/tonywilliamslifetime.htm

Downbeat, Tony Williams: Two decades of Drum innovation by Paul de Barros,


11/1/1983

http://www.downbeat.com/default.asp?sect=stories&subsect=story_detail&sid=1243

Downbeat, Tony Williams: the final interview by Michael Point (Reprinted from Down
Beat magazine, April 1997)
http://www.cs.cf.ac.uk/Dave/mclaughlin/art/final.html

Jazztimes, Max Roach remember Tony Williams by Greg Robinson, Giugno 1997.
http://jazztimes.com/articles/24823-max-roach-remembers-tony-williams

Kick out the drums- Come Tony Williams rivoluzionò la batteria, il jazz e il rock.

https://venerato-maestro-oppure.com/2015/02/17/kick-out-the-drums-come-tony-
williams-rivoluziono-la-batteria-il-jazz-e-il-rock/
Drum Magazine, Tony Williams: memories of a drum genius by Andy Doerschuk
12/12/2012

http://www.drummagazine.com/features/post/tony-williams-last-words-of-a-
drumming-genius/

Drum Magazine-, Hot licks: Genius of Tony Williams by Brad Schlueter, 28/12/2011
http://www.drummagazine.com/lessons/post/tony-williams-hot-licks/

Downbeat – Tony Williams: Still the Rhythm Magician by John Ephland, 5/1/1989
http://www.downbeat.com/default.asp?sect=stories&subsect=story_detail&sid=981

“Tony” intervista di Vincenzo Martorella, rivista Percussioni maggio 1997

BIBLIOGRAFIA

Jazz di Arrigo Polillo, Edizione aggiornata a cura di Franco Fayenz. Musica Oscar saggi
Mondadori
Tony Williams drumset ideology to 1969: synergistic emergence from an adaptive
modeling of feel, technique and creativity as an archetype for cultivating originality in
jazz drumset performance studies, di Dave Goodman, Dottore in Filosofia.
nell’Università di Sydney, 2011
Miles Davis, Miles. L’autobiografia, Editore Minimum fax, 2007. Traduttore M. Del Freo
DISCOGRAFIA

Collaborazioni
• Out to lunch! (con Eric Dolphy), Blue note, 1964.
• Point of Departure (con Andrew Hill), Blue Note, 1964.
• Some Other Stuff, (con Grachan Moncur III), Blue note, 1964.
• Evolution (con Grachan Moncur III), 1963.
• Empyrean Isles (con Herbie Hancock), Blue note, 1964.
• My Point of View (con Herbie Hancock),Sony music Entertainment Japan, 1982.
• Town Hall Concert (con Herbie Hancock), Blue note, 1998.
• Future 2 Future (postumo con Herbie Hancock),Columbia, 2001.
• The Soothsayer (con Wayne Shorter), Blue note, 1965.
• Maiden voyage (con Herbie Hancock),Blue note, 1965.
• Stanley Clarke (con Stanley Clarke), Atlantic, 1975.
• V.S.P.O. (con Herbie Hancock), Columbia, 1977.
• V.S.P.O.: The Quintet (con Herbie Hancock), Columbia,1977.
• Wynton Marsalis (con Wynton Marsalis), Columbia, 1984.
• Carnaval (con Sadao Watanabe), Hispavox, 1983.
• Sound-System (con H. Hancock), Columbia, 1984.
• Dianne Reeves (con Diane Reeves), Blue Note, 1987.
• Vertigo (con Jackie McLean), Blue Note, 1963.
• One Step Beyond (con Jackie McLean), Blue Note, 1963.
• Fuchsia Swing Song (con Sam Rivers), Blue Note,1964.
• Una Mas (con Kenny Dorham), Blue Note, 1963.
• Third Plane (con Ron Carter), Mileston Records, 1977.
• Supertrios (con McCoy Tyner), Mileston Records, 1977.
• Live Under the Sky (con V.S.O.P.), Columbia Legacy, 1979.
• Tempest in the Colosseum (con V.S.O.P.), CBS/Sony, 1977.
• Trio of Doom, (con John McLaughlin e Jaco Pastorius), Columbia Legacy, 1979.
• Twenty one (con Allen Geri) Blue Note, 1994.
• The last wave, (con Arcana), DIW, 1995.
• You Can't Go Home Again (con Chet Baker),1972.
• The Best Thing for You (con Chet Baker),1977.
• Chet Baker / Wolfgang (con Chet Baker).
• Lackerschmid (con Chet Baker), 1979
• Phantom of the City (con George Cables), 1985.
• Etudes (con Ron Carter), 1982.
• Stanley Clarke (con Stanley Clarke), 1974.
• The Trio (con Tommy Flanagan), 1983.
• Now Hear This ( con Hal Galper), 1977.
• Captain Marvel (con Stan Getz),1972.
• Round Midnight (con Dexter Gordon),1986.
• Herbie Hancock Trio, 1977.
• Sunlight (con Herbie Hancock),1978.
• Herbie Hancock Trio, 1982.
• Mr. Hands (Herbie Hancock), 1982.
• Quartet ( Herbie Hancock),1982.
• The Word (con Jonas Hellborg and the Soldier String Quartet), 1991.
• Relaxin' at Camarillo (with Joe Henderson), 1979.
• Point of Departure (con Andrew Hill), 1964.
• May Dance (con Teresa Hino), 1977.
• Movies (Michael Mantler), 1977.
• The Golden Scarab ( Ray Manzarek), 1973.
• Renaissance (Branford Marsalis), 1987.
• Vertigo (con Jackie McLean), 1963.
• One Step Beyond (con Jackie McLean),1963.
• New Wine In Old Bottles (con Jackie McLean),1978.
• The Sun Don't Lie (con Marcus Miller),1990–92.
• The Countdown (con Mulgrew Miller), 1988.
• Trio of Doom (con Mulgrew Miller), 1979.
• Marvellous (con Michel Petrucciani), 1994.
• New Beginnings (con Don Pullen), Blue Note, 1988.
• Easy Living (con Sonny Rollins), 1977.
• Don't Stop the Carnival (con Sonny Rollins), 1978.
• No Problem (con Sonny Rollins), 1981.
• Verses (con Wallace Roney),1987.
• Travis Shook (1993).
• The Soothsayer (con Wayne Shorter), 1965.
• Counterpoints (con McCoy Tyner),1978.
• Mr. Gone (con Weather Report),1978.
• Arc of the Testimony (con Bill Laswell), Axiom/Island 1997.

Con Miles Davis

• E.S.P., Columbia, 1965.


• Miles Smiles, Columbia, 1966.
• Sorcer, Columbia, 1967.
• Nefertiti, Columbia, 1967.
• Direction, Columbia/Legacy, 1967.
• Circle in the Round, Columbia, 1968.
• Miles in the sky, Columbia, 1968.
• Filles of Kilimangiaro, Columbia, 1969.
• In a Silent way, Columbia, 1969.
• Live Evil, Columbia, 1972.
• Water babies, Columbia, 1977.
• Circle in the Round, Columbia, 1980.
• Big fun, Columbia, 1980.
• Directions, Columbia, 1981.
• Cookin’ at the Plugged Nickel, Columbia Jazz Masterpiece, 1965.
• Live at Plugged Nickel, Columbia, 1982.
• The Columbia years, 1955-1985, Columbia, 1985.
• The Complete Studio Recordings of the Miles Davis Quintet 1965- junio 1968,
Mosaic, 1998.
Coi LifeTime

• Lifetime, Blue Note, 1964.


• Emergency! Blue Note, 1969.
• Spectrum: The Antology, Blue Note, 1969.
• Ego, Blue Note, 1970.
• Turn it over, 1970.
• The Old Bum’s Rush, Columbia, 1972.
• Once in a Lifetime, Columbia, 1972.
• Once in a Lifetime, Columbia,1972.
• Wildlife, 1974.
• Believe it, Columbia, 1975.
• Lifetime: The Collection, Columbia, 1975.
• Million dollar legs, Columbia, 1976.
• The Joy of Flying, Blue Note, 1978.
• Play or die, 1980.
• Foreign Intrigue, Blue Note, 1978.
• Tony Williams Lifetime- Spectrum: the Anthology, Verve, 2001.

Solista
• Live, Blue Note, 1964.
• Spring, Blue Note, 1965.
• Turn it over, Columbia, 1970.
• Civilization, Blue Note, 1986.
• Third plane, Blue Note, 1987.
• Angel Street, Blue Note, 1988.
• Native Heart, Blue Note, 1989.
• The Story of Neptune, Blue Note, 1991.
• Tokyo Live, Blue Note, 1992.
• Unmasked, Ark 21, 1993.
• Wilderness, Ark21, 1996.
• Young at Heart, Blue Note, 1998.
• Ultimate Tony Williams, Blue Note, 1999.
• The Best of Tony Williams, Blue Note, 2000.

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