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Roberto Iovino

Appunti di

ACUSTICA E PSICOACUSTICA

PER IL
BIENNIO SUPERIORE
Indicazioni bibliografiche

L.Azzaroni, Canone infinito, Clueb, Bologna, 2001


H.De la Motte-Haber, Psicologia della musica, Discanto, Bo-
logna, 1982
A. Frova, Armonia celeste e dodecafonia, BUR, Milano, 2006
S.Leoni, Le armonie del mondo, Ecig, Genova, 1988
S.Leoni, P.A.Rossi, Manuale di acustica e teoria del suono,
Rugginenti, Milano, 1992
S.Pintacuda, Acustica musicale, Curci, Milano, 1972
P.Righini, L’acustica per il musicista, Zanibon, Padova,
1978
P.Righini, Lessico di acustica e tecnica musicale, Zanibon,
Padova, 1980
M.Sanna, Musica e matematica, tesi di laura in Scienze del-
la Formazione Primaria, Università di Genova, AA.2002/2003
M.Tarrini, Dispense di Acustica (relativamente alla tesi
sulle scale).

2
PREMESSA

Musica e matematica

Musica come scienza. Musica costituita da numeri. A partire


da Pitagora (ma anche prima se si tiene conto dell’Oriente
e degli studi dei cinesi) la musica è stata costantemente
(e correttamente) posta in relazione con la matematica e i
numeri. Non solo per quel che riguarda la costruzione delle
scale, ma anche per l’analisi dei suoni, per la costruzione
formale ecc.
Nel corso di acustica e psicoacustica, il riferimento alla
matematica (e alla fisica, naturalmente) sarà frequente.
A livello introduttivo può essere utile, intanto, accennare
a qualche momento di incontro più diretto fra musica e ma-
tematica lasciando agli argomenti successivi una trattazio-
ne fisica e psicoacustica più approfondita e dettagliata.

Iannis Xenakis (1922 – 2001) nel suo libro “Musica e Archi-


tettura” riflette sulla compenetrazione tra musica e mate-
matica nel loro sviluppo storico, arrivando a sostenere la
tesi secondo cui con la musica del Novecento, soprattutto
grazie all’avvento della musica seriale, il pensiero puro
della matematica

viene consapevolmente reintrodotto nella composizione musi-


cale.

Prima di scendere nel dettaglio attraverso una tavola di


corrispondenze che riporta in appendice al libro, l’autore
nota l’esistenza più generale di un parallelismo evolutivo
tra la musica europea e i successivi tentativi di spiegare
il mondo attraverso la ragione:

Già l'antichità, con Pitagora, Platone e altri ha tentato


d'introdurre leggi universali nel discorso musicale attiran-
do nel campo dell'astrazione, cioè della formalizzazione, i
dati immediati della percezione sonora e della costruzione
musicale. Questo primo tentativo consapevole è rimasto pra-
ticamente in ibernazione per circa due millenni e un nuovo
sforzo innovativo è dovuto sopra tutto a Rameau che ha ten-
tato una sintesi con la matematica ispirandosi all'atteggia-
mento filosofico di Cartesio. Dopo Rameau ci sono stati ra-
pidi cambiamenti, sia nelle scienze fisiche e umane, sia
nelle produzioni dei grandi maestri della musica del dician-
novesimo secolo. Si rese necessario un nuovo adattamento che
dal punto di vista tecnico fu brillantemente espresso sopra
tutto dall'astrazione del principio seriale. Il principio
seriale fu un punto di sbocco dell'inconscia lotta dell'arte
musicale verso una formalizzazione ancora più radicale di

3
quella della tonalità. [...] La formalizzazione determini-
stica che il principio seriale introduceva nella struttura
musicale corrispondeva direttamente alla formalizzazione de-
terministica della meccanica classica del diciannovesimo se-
colo che spiegava l'universo attraverso le leggi dei movi-
mento dei corpi solidi. [...] Oltre alla formalizzazione la
serie tentava la ricerca di un minimo di principi di base.
Si può dire dunque che la serie operava un superbo quanto
inconsapevole tentativo di assiomatizzazione della composi-
zione musicale.

Estratto dalla tabella di Xenakis

MUSICA MATEMATICA
500 a. C. Vengono messe in re- Scoperta dell’importanza
lazione le altezze e le lun- fondamentale dei numeri na-
ghezze della corda. In questo turali e invenzione dei ra-
periodo la musica dà un mera- zionali positivi (le frazio-
viglioso impulso alla teoria ni).
dei numeri e alla geometria.
La musica inventa le scale in-
complete.
1700 A partire dalla pratica La teoria dei numeri sta a-
viene riscoperta la scala cro- vanzando ma non ha ancora un
matica ben temperata (J. S. equivalente nelle strutture
Bach). La musica passa ora nel temporali. Queste ultime
campo delle strutture di base. verranno più tardi con i
Per contro, le strutture tona- processi stocastici, la teo-
li, la polifonia e ria dei giochi, gli automi,
l’invenzione di macroforme ecc.
(fughe e sonate) sono in via Invenzione del corpo dei nu-
di sviluppo e mettono in luce meri complessi (Eulero,
i semi che inoculeranno una Gauss) e dei quaternioni
nuova vita nella musica di og- (Hamilton), definizione del-
gi e di domani. La fuga, per la continuità (Cauchy) e in-
esempio, è un automa astratto, venzione delle strutture di
concepito due secoli prima gruppo (Galois, Abel).
della nascita della scienza
degli automi.
Inconsapevole manipolazione di
gruppi finiti (gruppo di
Klein) nelle quattro variazio-
ni di una linea melodica usata
dal contrappunto.
1900 Liberazione dal giogo to- I numeri infiniti e transfi-
nale. Prima accettazione della niti (Cantor).
neutralità del totale cromati- L’assiomatica dei numeri na-
co (Loquin 1895, Hauer, Schön- turali di Peano.
berg) La bella teoria della misura
(Lebesgue, Borel, Heine).
1920 Prima formalizzazione ra- Nessun nuovo sviluppo della
dicale delle macrostrutture teoria dei numeri. C’è un
attraverso il sistema seriale arresto ma procede la di-

4
di Schönberg. scussione intorno a alcune
tra le più antiche contrad-
dizioni della teoria degli
insiemi. (La musica riuscirà
a recuperare il proprio ri-
tardo negli anni seguenti).
1930 Reintroduzione di gradazioni più sottili per
l’utilizzazione del quarto- sesto- ecc. di tono, sebbene an-
cora immersi nel sistema tonale (Wichnegradsky, Haba, Caril-
lo).
1950 Seconda formalizzazione radicale delle macrostrutture
con le permutazioni, i modi a trasposizioni limitate e i
ritmi non retrogradabili (Messiaen)
1953 Introduzione della scala continua delle altezze e del
tempo (impiego dei numeri reali) nel calcolo delle caratte-
ristiche del suono, anche se, per ragioni di percezione ed
interpretazione, i numeri reali sono approssimati dai razio-
nali (questo costituisce il mio contributo personale, sia
teorico, sia musicale, che include anche l’utilizzazione dei
vari settori della matematica, come le probabilità e il cal-
colo logico, e molteplici strutture, compresa la struttura
di gruppo. Più tardi queste avranno un ruolo importante nel-
la macro e microcomposizione).
1957 Nuove formalizzazioni in musica sul piano delle macro-
strutture: processi stocastici, catene di Markov, seppure
utilizzate in maniere molto diverse (Hiller, Xenakis), non-
ché impiego dei calcolatori (Hiller).
1960 Assiomatica delle scale musicali per mezzo della teoria
dei “reticoli” e introduzione dei numeri complessi nella
complessi nella composizione (anche questo è il risultato
del mio lavoro personale).
1970 Nuove proposte nella microstruttura dei suoni con
l’introduzione di una discontinuità continua tramite una
qualunque legge di probabilità (cammino erratico, moto bro-
wniano). Essa viene estesa alle macrostrutture e introduce
così un altro aspetto architettonico su un macropiano, per
esempio nella musica strumentale (anche questo è il risulta-
to del mio lavoro personale).

Comporre con i numeri


Già nel tardo Rinascimento si utilizzavano pratiche numero-
logiche e cabalistiche. Si può ricordare lo scienziato e
teorico della musica Athanasius Kircher (1602 – 1680) che
in Musurgia Universalis (1650), oltre a cercare di raziona-
lizzare ogni aspetto musicale, ricorrendo alla sua forma-
zione matematica, inserì un metodo di composizione automa-
tizzata, basata ovviamente sui numeri.
Qualcosa di simile è il Musikalisches Würfelspiel (1793),
attribuito a Mozart (ma probabilmente si tratta di una at-
tribuzione falsa) che recita:

5
Istruzione per comporre tanti valzer quanto si desidera fa-
cendo uso di due dadi senza alcuna conoscenza né di musica
né di composizione.

Metodo ingegnoso basato su una combinazione di battute e di


suoni che consentiva tra l’altro una estrema varietà: le
possibilità sono pressochè infinite.
Compositori del Novecento hanno ad esempio scritto sulla
base della serie di Fibonacci: ogni numero della serie è
uguale alla somma dei due che lo precedono. Partendo da 1 e
2 come primi termini si ha:

1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55…

Interessante notare che pian piano che ci si eleva nella


serie, ci si avvicina sempre più al valore corrispondente
alla sezione aurea = 1,61803398875.

In geometria, quando un segmento AB è diviso da un punto C


in modo tale che:

AB : AC = AC : CB

si dice che AC è la sezione aurea di AB.


Dalla relazione sopraindicata posto AB=a e AC=b deriva:

b2 + ab – a2 = 0

da cui:

b = a (√5 – 1)/2

E si trova che le due parti in cui si divide il segmento AB


valgono rispettivamente 0,6181 e 0,3819 dell’intero.

La sezione aurea ebbe a partire dal Rinascimento un signi-


ficato estetico, in relazione alla teoria delle proporzio-
ni. Riflettono questa interpretazione L.Pacioli e A. Dürer,
secondo i quali la Sezione Aurea si presenta come rapporto
proporzionale esistente fra la figura umana e la realtà og-
gettiva, Ka sezione aurea fu rivalutata nella trattatistica
contemporanea come mezzo di lettura delle forme architetto-
niche (Le Corbusier).

Vari musicisti nel corso della storia hanno strutturato le


loro composizioni ispirandosi alla sezione aurea a partire
da Bach per andare fino a Debussy e a Bartok (Musica per
archi, percussioni e celesta).

6
Serialismo integrale e alea

La “composizione con numeri” offre richiami quanto mai va-


ri. Tutto il discorso contrappuntistico ha basi matemati-
che, la dodecafonia di Schoenberg e i modi di Messiaen si
basano su rapporti numerici che a loro volta guardano al
contrappunto fiammingo e bachiano.
Il Novecento (lo ricordava Xenakis) ha ulteriormente svi-
luppato questi rapporti.
Tralasciando l’ovvio riferimento alla musica elettronica,
si può qui citare il serialismo integrale di Darmstadt i-
spirato alla lezione di Webern (1883 – 1945) che aveva con-
dotto la materia sonora alla sua estrema rarefazione assu-
mendo

“il meccanismo seriale come struttura integrale, come fatto-


re di decentramento in cui ogni principio organizzativo tra-
dizionale [...] viene annullato in una trama dissociata di
piccole cellule ricorrenti”.1

Il serialismo integrale porta cioè anche alla nascita del


principio della “costellazione” o “puntillismo”, cioè alla

frantumazione del tessuto musicale in un pulviscolo di nu-


clei sonori dissociati e privi di attrazione di gravità.2

Consideriamo una serie e numeriamo le note da 1 a 12.

La serie può essere elaborata in diversi modi:


1. trasponendola sui 12 gradi cromatici ascendenti e
discendenti, ad esempio

1
Lanza “Il Novecento II”, EDT, Torino
2
ibid.

7
2. trasponendola seguendo la successione delle sue note
e mantenendo il numero assegnato ad ogni nota nella
serie originale, ottenendo così delle serie cifrate:

3. costruendo le serie retrograde, ossia invertendo


l’ordine delle note:

4. costruendo le inversioni della serie originale (come


l’esempio nella figura seguente), delle trasposte,
delle cifrate e delle retrograde.

Il serialismo, nel secondo Novecento, ha interessato non


solo i suoni e le altezze dei suoni, ma anche le durate e
gli altri parametri.
E’ ciò che è stato fatto ad esempio a Darmstadt, dove nel
1946, per iniziativa di Wolfgang Steinecke, venne fondato
l’istituto “Kranischstein” con l’obiettivo di ricostruire
la vita musicale tedesca a partire dal punto in cui era
stata interrotta. Webern fu assunto come “livello zero”.
Darmstadt, nonostante le premesse, non fu soltanto aperta
ai giovani musicisti tedeschi, ma i suoi corsi ospitarono
quelli che oggi sono grandi nomi della musica europea del
Novecento (Maderna, Messiaen, Boulez, Stockhausen, Nono,
Berio, Xenakis, Ligeti ed altri) divenendo quindi
l’epicentro di quella corrente internazionale che Adorno
definì la “Nuova Musica”.
Darmstadt segnò la piena riaffermazione del pensiero mate-
matico nel mondo musicale; analizziamo, ad esempio,
un’opera di Boulez, Structures per 2 pianoforti, che nei

8
suoi due libri (1951- 52; 1956- 61) esprime al meglio le
conquiste della nuova avanguardia: il rigido costruttivismo
matematico e l’uso dell’alea controllata.
Structures I è un esempio di rigoroso costruttivismo mate-
matico: la sua prima sezione è infatti composta usando del-
le matrici come mezzo di rielaborazione di una serie. Bou-
lez sceglie la serie fondamentale ricavandola da “Mode de
valeurs” di Messiaen:

Da questa desume una matrice numerica, che denominiamo “ma-


trice originale” (O), comprendente la serie originale e un-
dici trasposizioni che iniziano a turno da ciascuna nota.

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12
2 8 4 5 6 11 1 9 12 3 7 10
3 4 1 2 8 9 10 5 6 7 12 11
4 5 2 8 9 12 3 6 11 1 10 7
5 6 8 9 12 10 4 11 7 2 3 1
6 11 9 12 10 3 5 7 1 8 4 2
7 1 10 3 4 5 11 2 8 12 6 9
8 9 5 6 11 7 2 12 10 4 1 3
9 12 6 11 7 1 8 10 3 5 2 4
10 3 7 1 2 8 12 4 5 11 9 6
11 7 12 10 3 4 6 1 2 9 5 8
12 10 11 7 1 2 9 3 4 6 8 5

Lo stesso avviene a partire dalla serie inversa


dell’originale, in modo da formare una seconda matrice di
dodici serie, che chiamiamo “matrice inversa”3 (I).

3
La dizione “matrice inversa”, che esprime la costruzione della matri-
ce utilizzando gli intervalli inversi, è impropria dal punto di vista
matematico. Infatti rispetto ad una matrice quadrata A, in cui ossia
il numero di righe è uguale a quello delle colonne, si chiama matrice
inversa B quella matrice che moltiplicata per A dia come prodotto la
matrice identica (= ha uguale a 1 tutti gli elementi della diagonale
principale, mentre i rimanenti sono nulli)

9
1 7 3 10 12 9 2 11 6 4 8 5
7 11 10 12 9 8 1 6 5 3 2 4
3 10 1 7 11 6 4 12 9 2 5 8
10 12 7 11 6 5 3 9 8 1 4 2
12 9 11 6 5 4 10 8 2 7 3 1
9 8 6 5 4 3 12 2 1 11 10 7
2 1 4 3 10 12 8 7 11 5 9 6
11 6 12 9 8 2 7 5 4 10 1 3
6 5 9 8 2 1 11 4 3 12 7 10
4 3 2 1 7 11 5 10 12 8 6 9
8 2 5 4 3 10 9 1 7 6 12 11
5 4 8 2 1 7 6 3 10 9 11 12

Le due matrici sono utilizzate per determinare l’uso di:


durate, dinamiche, modi di attacco e ordine delle serie di
note.
La costruzione della serie delle durate si ottiene molti-
1
plicando la biscroma (= ) per ciascun numero della serie
32

La serie dei segni dinamici è stabilita nel modo se-


guente:

pppp ppp pp p quasi p mp mf quasi f f ff fff ffff


1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12

L’ordine è determinato per il pianoforte 1 dalle diagonali


della matrice O:

10
7 12
9 7
6 7
11 1
11 3
5 2
7 5
9 11
6 11
7 1
7 3
12 2

per il pianoforte 2 da quelle costruite sulla matrice I.

2 5
6 2
9 2
8 1
8 3
12 7
2 12
6 8
9 8
2 1
2 3
5 7

I modi d’attacco sono assegnati come segue.

e anche per essi l’ordine è stabilito dalle diagonali delle


matrici: per il primo pianoforte sempre estrapolandole da O

11
1 6
8 6
1 2
2 8
6 12
6 3
11 9
12 1
3 5
5 11
1 5
9 5

per il secondo da I.

1 9
11 9
1 7
7 11
9 5
9 3
8 6
5 1
3 12
12 8
1 12
6 12

È possibile notare che in questa costruzione sulle matrici


non vengono utilizzati i numeri 4 e 10 e di ciò l’autore
tiene conto nell’invenzione della serie; si può quindi ipo-
tizzare che la parte matematica sia stata pensata prima di
quella musicale.
Va notato che nella seconda parte di Structures II si può
verificare una applicazione dell’alea controllata alla mu-
sica.
Il termine “alea” è mutuato dal linguaggio della probabili-
tà per indicare l’impiego della casualità all’opera musica-
le che cambia sia il modo di composizione che il carattere
dell’esecuzione. Al momento della composizione viene co-
struita non una struttura statica, ma virtuale, fatta di

12
un’ossatura generale e di “incastri” (intendendo con questo
termine sia la musica da inserire, sia i punti in cui inse-
rirla); l’esecutore si trova così di fronte ad una molte-
plicità di esecuzioni sempre diverse e, oggettivando le
singole possibilità, facendosi interprete, diventa così
compartecipe della creazione dell’opera.
L’alea in musica non è una pratica univoca, ma esistono di-
versi modi di applicazione: Darmstadt utilizza il concetto
di “necessità casuale” o di “alea controllata” in cui non
viene negata la struttura, ma questa diviene ragione
d’essere dell’alea, altri come Morton Feldman e John Cage
intendono l’alea come “puro fortuito”. Per loro la pratica
aleatoria è

sospensione totale o parziale dell’intenzionalità preforman-


te dell’autore, così da affidare a una logica misteriosa e
incontrollata di fattori accidentali gli esiti combinatori
della materia sonora 4.

Musica e computer

Il fatto di avere utilizzato alcune leggi matematiche apriva


il campo a un trattamento meccanico di tale tesi con
l’ausilio di cervelli elettronici”5

Ecco come Xenakis spiega il connubio che già dagli anni `50
si instaura tra musica e computer.
La struttura di base che permette questo incontro è il co-
mune uso degli algoritmi. L’algoritmo è definito da The En-
cyclopedia of Computer Science and Engineering come

un problema e un meccanismo che possono essere usati nella


soluzione di un problema. Il problema può essere di natura
Matematica o no, semplice o complesso. I requisiti di base
di un problema ben formulato sono (1) le informazioni cono-
sciute sono specificate chiaramente; (2) possiamo determina-
re quando il problema è stato risolto; e (3) il problema non
cambia durante il tentativo di soluzione.

Praticamente accade che i dati del problema vengono proces-


sati attraverso l’algoritmo organizzandoli singolarmente e
progressivamente, sino alla soluzione del problema stesso.
L’algoritmo non compare però nella musica, solo a partire
dal serialismo, ma l’idea di utilizzare istruzioni formali
e processi predeterminanti per comporre percorre tutta la
storia della musica. Per fare esempi lontani nel tempo, ma

4
ibid.
5
Xenakis, Musica e Architettura, op. cit

13
paradigmatici di questa applicazione, possiamo partire dai
Greci con Pitagora che vede nell’armonia della natura il
modello per la musica, ricordare i Fiamminghi (XV- XVI se-
colo) con ad esempio l’uso del canone enigmatico6 e citare
nuovamente il gioco per comporre i valzer già menzionato.
Gli algoritmi usati nell’applicazione della musica al com-
puter possono essere suddivisi in tre categorie principali:

stocastici,
“rule- based”
e applicati all’intelligenza artificiale (I. A.).

L’approccio stocastico è il più semplice, infatti è stato


il primo ad essere utilizzato negli esperimenti di composi-
zione tramite algoritmi. Il termine “stocastico” è sinonimo
di “alea”, di cui ne sottolinea le diverse possibilità di
applicazione abbracciando uno specchio che va da un minimo
di complessità, in cui la serie di note viene generata in
maniera totalmente casuale, ad un massimo caratterizzato
dall’applicazione della teoria statistica dei processi a
catena di Markov, esposta al pubblico per la prima volta
nel 1905. Questa teoria ammette che in una serie di eventi
di numero finito (siano essi altezze, durate, intensi-
tà...), che si designano con le lettere A, B. C. D...., e-
sistano delle probabilità di concatenazione. Ad esempio a B
può seguire nel 60% dei casi C; il restante 40% è suddiviso
tra tutte le altre lettere. Si tratta cioè di un processo
con memoria e proprio in ciò risiede la sua complessità. La
composizione stocastica è stata molto utilizzata da Xena-
kis: a lui è attribuita anche la prima opera composta con
l’uso di catene di Markov, “Analogica A” per tre violini,
tre violoncelli e tre contrabbassi.
Parlare di algoritmi “ruled- based” significa considerare
gli algoritmi come assegnazioni di regole; si tratta cioè
della costruzione di programmi attraverso i quali il compu-
ter processa in modo autonomo il materiale musicale. Uno
dei primi esempi risale al 1955, anno in cui Lejaren Hil-
ler, direttore del laboratorio di musica elettronica a Ur-
bana, e Leonard Isaacson, un matematico, iniziarono a pro-
grammare in sistema binario7 la calcolatrice elettronica
ILLIAC.
ILLIAC funzionava attraverso 4 passaggi:

6
Nel canone enigmatico il tema viene presentato in una voce e la ri-
sposta è affidata ad un motto latino indicante il modo di modificare
il tema.
7
La scelta del sistema binario, a cui si è arrivati dopo aver speri-
mentato altri metodi più complessi, è la più comoda perché si basa sul
funzionamento delle valvole elettroniche che possono condurre o meno.

14
1. accumulazione di tutte le possibilità;
2. un filtro lascia passare solo le possibilità buone;
3. i suoni scelti vengono immagazzinati;
4. viene prodotto il risultato tramite numeri e lo si può
tradurre in notazione tradizionale.

Il filtro al passaggio 2 si basa su tre regole:


 non vengono lasciati passare il tritono e la set-
tima;
 per la prima e l’ultima nota è consentita qual-
siasi scelta tranne il do dell’ottava centrale;
 non sono ammessi tutti quegli intervalli che por-
terebbero l’ambito della melodia oltre
l’estensione di un’ottava .

Per ogni scelta sbagliata veniva concessa una scelta sup-


pletiva. Gli altri gradi del programma erano invece accor-
dati a regole di contrappunto, ritmica, dinamica, tecnica
di esecuzione (scelta tra legato, staccato, pizzicato e sul
ponticello) e certe forme della cadenza. Nel 1956 vide la
luce la prima opera di ILLIAC: una “Suite” in quattro tempi
per quartetto d’archi.
L’ultimo approccio è quello che coinvolge i sistemi di in-
telligenza artificiali. Esso combina i primi due, aggiun-
gendovi la capacità di apprendere, di generare nuove strut-
ture personali che vengono riapplicate in circostanze simi-
li.

15
1.
Il suono e le sue qualità

Premessa

Nel mondo esterno, governato da leggi e forze meccani-


che e non ancora penetrato nella coscienza, al di fuori
degli organismi viventi, la luce e il suono sono sol-
tanto flussi di onde ciechi e muti che, partendo da
punti materiali posti in maggiore o minore vibrazione,
attraversano l’etere e l’aria e solo quando colpiscono
il groviglio di proteine del nostro cervello, anzi for-
se solo quando colpiscono un punto determinato di esso,
grazie alla magia spiritica di questo mezzo, si tra-
sformano in vibrazioni luminose e sonore…

Scriveva così Gustav Theodor Fechner in Tages und Nachtan-


sicht8 sottolineando il rapporto fra processi fisici e psi-
chici. L’affermazione è interessante perché mette in luce
l’esigenza di collegare la oggettività dell’elemento fisico
alla soggettività della sensazione, nel nostro caso, uditi-
va. Se infatti uno studio rigoroso di eventi sul piano fi-
sico-acustico è fondamentale ai fini, ad esempio, della
progettazione di un teatro, per un musicista riveste un ri-
lievo anche maggiore la sensazione uditiva che, come si ve-
drà, dipende da una serie di fattori non sempre “fisici”.

8
In H. De La Motte-Haber, Psicologia della musica, Discanto, Bologna,
1982

16
Suono e rumore
Proprio in virtù delle osservazioni sopraelencate si può
dire, con il Vocabolario internazionale di elettroacustica
(1960) che il suono è

1. una sensazione uditiva determinata da vibrazioni acu-


stiche
2. vibrazioni acustiche che determinano una sensazione
uditiva

Per suono intendiamo dunque sia il fenomeno fisico che ge-


nera la stimolazione sensoriale, sia la sensazione che ne
deriva.
Se il suono sta pertanto a indicare qualsiasi stimolazione
e sensazione uditiva, comprende anche i rumori.
Una vecchia distinzione fra suono e rumore precisa che si
ha il primo nel caso di vibrazioni periodiche e regolari;
si ha il secondo nel caso di vibrazioni irregolari e non
periodiche. Il discorso, tuttavia, è più complesso. Come
giustamente osserva Pietro Righini9

è la componente soggettiva ad avere importanza determi-


nante, tanto che uno stesso evento sonoro può essere
considerato suono musicale, oppure rumore, a seconda
delle variabili che influiscono sulla modalità del fat-
to e sulla psicologia dell'ascoltatore. Per esempio, un
regolo di legno secco che cade casualmente sul pavimen-
to produce, per la generalità degli ascoltatori, un ru-
more. Ma se, in modo altrettanto casuale, cadono sul
pavimento un certo numero di regoli dello stesso legno
del primo, ma di dimensioni adeguate, quella inaspetta-
ta xilofonia può essere riconosciuta come una scala mu-
sicale o come frammento di essa....

Il rumore nella musica

Portare nella musica tutti i nuovi atteggiamenti della natu-


ra, sempre diversamente domata dall’uomo per virtù delle in-
cessanti scoperte scientifiche. Dare l'anima musicale delle
folle, dei grandi cantieri industriali, dei treni, dei tran-
satlantici, delle corazzate, delle automobili e degli aero-
plani. Aggiungere ai grandi motivi centrali del poema musi-
cale il dominio della Macchina ed il regno vittorioso della
Elettricità.

9
P. Righini, Lessico di acustica e tecnica musicale, Zanibon, Padova,
1980

17
E’ un passo tratto dal Manifesto tecnico della musica futu-
rista, pubblicato nel 1911 da Francesco Balilla Pratella
(1880 – 1955).
Balilla Pratella esaltava la civiltà delle macchine che en-
trava prepotentemente nella musica. Il suono era accostato
al rumore, il rumore di una società pulsante, trascinata da
una industrializzazione crescente che portava ad una meta-
morfosi epocale. E’ questo certamente il punto più interes-
sante. Già in passato la musica si era interessata ai “ru-
mori” della società, magari addolcendoli con gli strumenti
tradizionali.
Il valzer Accelerationen op. 234, ad esempio, scritto nel
1860, per il ballo organizzato dagli studenti del Collegio
tecnico di Vienna, intendeva per l’autore Johann Strauss
junior descrivere la partenza, elegante ed eufonica, di un
motore. Nel 1881 Luigi Manzotti e Romualdo Marenco avevano
composto il Ballo Excelsior, apoteosi della civiltà attra-
verso l’esaltazione del traforo del Cenisio, del taglio
dell’istmo di Suez, della invenzione della elettricità e
del telefono. E nel 1923 Honegger avrebbe “raccontato” in
Pacific 231 la partenza di un nuovo modello di locomotiva
attraverso un’orchestrazione ricca di colori, uno dei più
interessanti esempi di “musica della macchina”.
Poco dopo le argomentazioni di Balilla Pratella, invece,
Satie in Parade (1917) avrebbe portato in orchestra un mo-
tore vero, una pistola e una macchina da scrivere. Il rumo-
re, insomma, ai primi del Novecento faceva sempre più parte
del contesto musicale, perché era la frenesia della vita
quotidiana che entrava nella musica con i suoi ritmi, i
suoi suoni, le sue angosce.
Il 1912 e il 1913 costituiscono nella storia della musica
del Novecento due anni fondamentali. Nel 1912 Schoenberg
presentò Pierrot lunaire, nel 1913 Stravinskij scandalizzò
Parigi con il Sacre du printemps. Pur nella loro totale di-
versità (e non a caso si fanno risalire a queste partiture
i due principali itinerari seguiti dalla musica nel Nove-
cento storico) Pierrot e Sacre aprirono ufficialmente la
strada ad una nuova visione dell’arte in campo musicale,
nella quale non c’era più posto per il concetto del bello
quale era stato fino ad allora perseguito.
Proprio al 1913 (e probabilmente non è un caso) risale il
Manifesto del pittore e musicista Luigi Russolo (1885-1947)
sull’Arte dei rumori: nella serata futurista al Teatro
Storchi di Modena del 2 giugno 1913 veniva presentato un
ronzatore, primo modello della serie degli intonarumori,
pionieri delle successive apparecchiature sonore che in Eu-
ropa e negli Stati Uniti avrebbero sconvolto il mondo della
musica novecentesca: si pensi alla ricerca sulla musica
concreta realizzata a Parigi all’apparire (e siamo nel se-

18
condo dopoguerra) delle prime esperienze di musica elettro-
nica con Pierre Shaeffer e Pierre Henry.
Scriveva Russolo:

I musicisti futuristi devono allargare ed arricchire sempre


più il campo dei suoni. Ciò risponde a un bisogno della no-
stra sensibilità. Notiamo infatti nei compositori geniali
d’oggi una tendenza verso le più complicate dissonanze. Es-
si, allontanandosi sempre più dal suono puro, giungono quasi
al suono-rumore. Questo bisogno e questa tendenza non po-
tranno essere soddisfatti che coll’aggiunta e la sostituzio-
ne dei rumori ai suoni. I musicisti futuristi devono sosti-
tuire alla limitata varietà dei timbri degli strumenti che
l’orchestra possiede oggi, l’infinita varietà dei timbri dei
rumori, riprodotti con appositi meccanismi….

Gli intonarumori sono una serie di apparecchi meccanici ed


elettrici ideati da Russolo per recuperare i rumori del
quotidiano. Tra i vari tipi si ritrovano lo scoppiatore,
l’ululatore, il sibilatore, il ronzatore, il crepitatore,
il rombatore, lo stropicciatore ecc.
Strumenti che non hanno avuto, a dire il vero, una effetti-
va applicazione, finendo rapidamente nei musei come muti
testimoni di un movimento purtroppo incapace di esprimere
una rilevante esperienza musicale.

Il moto pendolare e il ritmo

L'andamento delle vibrazioni acustiche può essere esempli-


ficato studiando il moto di un pendolo semplice (es.1).
Il pendolo semplice è un sistema ideale formato da una mas-
sa puntiforme sospesa ad un filo inestensibile di massa

19
trascurabile. Quando viene spostato dalla sua posizione di
equilibrio e, quindi, abbandonato a se stesso, il pendolo
oscilla in un piano verticale sotto l'azione della forza di
gravità, finchè per le resistenze passive, non torna a fer-
marsi nella sua posizione iniziale di equilibrio.
Il moto del pendolo è un esempio di fenomeno periodico,
termine che va attribuito ad ogni avvenimento che si ripete
ad intervalli di tempo uguali. Sono fenomeni periodici, in
natura, ad esempio, il ciclo delle stagioni, del giorno e
della notte, ecc.

Il ritmo musicale è un fenomeno periodico. Platone lo defi-


nì “L’ordine del movimento”. Una più recente definizione
recita:

Il ritmo è l’ordinata successione delle unità di tempo che,


sulla base della misura assunta, regolano le accentuazioni
periodiche dei suoni.

Il ritmo psicologico è invece da intendersi cone la compo-


nente soggettiva che consente l’apprezzamento del ritmo se-
condo le varie forme delle sue manifestazioni, nella danza,
nella musica, nella poesia, ma anche nella architettura e
nelle arti figurative.

Elementi caratteristici dei fenomeni periodici sono il pe-


riodo e la frequenza.
Il periodo T è il tempo impiegato a realizzare un ciclo
completo del movimento.
La frequenza f fornisce, invece, il numero di cicli com-
piuti nell'unità di tempo.
Si ha
T = 1/f

Supponiamo, infatti, che in un secondo vengano compiuti 5


cicli completi (f = 5); allora, per compiere un ciclo, sarà
necessario 1/5 di sec. Ne deriva che T = 1/5 sec.

Volendo studiare il comportamento fisico di un pendolo semplice,


scelta una coppia di assi cartesiani, chiamata m la massa del
pendolo, avremo due forze in azione: mg, la forza di gravità, e
T la tensione del filo (es.2). Scomponiamo mg nelle sue due com-
ponenti, radiale (mg cosß) e tangenziale (mg senß). La com-
ponente tangenziale è la forza di richiamo su m, tendente a ri-
condurre il pendolo nella sua posizione di equilibrio. La forza
di richiamo è data da F = - mg senß.
F è proporzionale non allo spostamento angolare ß bensì a senß.
Tuttavia, se ß è molto piccolo senß è praticamente uguale a
ß.

20
Lo spostamento lungo l'arco di cerchio è x = lß e per piccoli
spostamenti il moto è praticamente rettilineo.
Supponendo quindi che senß = ß si ha
F = - mgß = - mg x/1
Inoltre, sempre per piccoli spostamenti:

T = 2π √ (m¨1/mg) = 2π √1/g

Si deducono le seguenti leggi di Galileo Galilei sulle o-


scillazioni pendolari:

1) Le oscillazioni di piccola grandezza sono isocrone


2) La durata delle oscillazioni è indipendente dalla mate-
ria, dalla forma e dal peso del pendolo stesso
3) La durata delle oscillazioni è direttamente proporzio-
nale alla radice quadrata della lunghezza del pendolo.

Il moto pendolare è rappresentabile con una curva chiamata


sinusoide che ha il vantaggio di unire le due componenti
essenziali del fenomeno, il moto vibratorio e il trascorre-
re del tempo (es.3).

Si definiscono:
suono puro quello generato da vibrazioni sinusoidali prive
di distorsioni;
rumore puro (o suono bianco) quello generato contemporanea-
mente da tutte le vibrazioni del campo di udibilità.

Il campo di udibilità
Il campo delle frequenze acustiche può essere ripartito in
tre parti:
1) vibrazioni inferiori ai 16 Hz: sono gli infrasuoni, non
udibili dall'uomo

21
2) vibrazioni fra i 16 e i 16.000 Hz: sono i suoni che pos-
siamo percepire
3) vibrazioni dai 16.000 in su: sono gli ultrasuoni che non
interessano il nostro udito.

Il campo di udibilità può essere dunque fissato tra i 16 e


i 16.000 Hz (valore recentemente elevato a 20.000 Hz).

Le qualità del suono

I caratteri distintivi di un suono sono: altezza, intensi-


tà, timbro e durata.

L’altezza è la qualità che consente di distinguere i suoni


in acuti e gravi. Dipende dalla frequenza delle vibrazioni:
maggiore è la frequenza, più alto è il suono e viceversa.
L'intensità e il timbro influiscono sulla sensazione del-
l'altezza. Le frequenze si misurano in Hertz10, equivalenti
a periodi al secondo. Frequenza caratteristica di riferi-
mento nel campo musicale è il La normale, pari a 440 Hz.

La frequenza del La di riferimento ha assunto valori sva-


riatissimi a seconda del tempo e del luogo, fino a che si
sono stabilite leggi che tendono ad attribuire al La cam-
pione un valore di frequenza ben determinato e uguale in
tutti i Paesi del mondo.
Nel secolo scorso in seguito alla Conferenza di Vienna del
1885 si è stabilita per il La campione la frequenza di 435
Hz; nella Conferenza di Londra del 1953 questa frequenza è
stata portata a 440 Hz.
Quanto detto finora riguarda l’altezza oggettiva, un dato
fisico inoppugnabile e misurabile con precisione.
Occorre, però, tener presente anche l’altezza soggettiva
che si riferisce alla sensazione di altezza di un ascolta-
tore, alla sua capacità di ordinare i suoni in una scala
10
Il nome deriva dal fisico tedesco Heinrich Rudolf Hertz (1857 –
1894) che si occupò principalmente di elettromagnetismo e di induzione
elettromagnetica.

22
ascendente o discendente. Dipende naturalmente da vari fat-
tori, inclusie le caratteristiche fisiche e fisiologiche
del percipiente. La sensazione d’altezza si misura in mel:
a un suono puro di frequenza pari a 1.000 Hz, con intensi-
tà 40 dB al di sopra della soglia di udibilità (vedi più
avanti intensità) a quella frequenza, corrisponde
un’altezza soggettiva di 1.000 mel. Interessante è la non
linearità` della sensazione dell'altezza rispetto alla pro-
gressione dei rapporti fisici della frequenza. Di questo
problema si sono occupati, negli anni Trenta, due studiosi
americani, Stevens e Volkman che hanno notato come la sen-
sazione musicale dell'altezza non sia strettamente legata
alla legge fisica della progressione della frequenza. Se-
condo tale legge, infatti, il rapporto di ottava corrispon-
de al raddoppio della frequenza. A partire dai 500 periodi,
invece per realizzare un intervallo qualunque valutato udi-
tivamente, fra suoni non simultanei ma uno di seguito al-
l'altro, si deve aumentare la frequenza oltre il valore fi-
sico normale. Il grafico sottoriportato dà un'idea esatta
della situazione. La diagonale visualizza la progressione
fisica delle frequenze. La curva a evidenzia la sensazione
uditiva in un soggetto musicalmente educato; la b in sog-
getti musicalmente non educati.

___________ progressione della frequenza


a sensazione dell’altezza con soggetti musicalmente educati
b sensazione dell’altezza con soggetti non musicalmente ed.

La sensazione è invece molto diversa per intervalli armoni-


ci, ovvero per suoni emessi simultaneamente; in questo caso
la coerenza fra l’altezza fisica e la sensazione uditiva è
decisamente maggiore.

23
Anche l’intensità del suono come l’altezza può essere ana-
lizzata da due diverse prospettive: intensità oggettiva,
propriamente fisica, e intensità soggettiva, dipendente
dalle condizioni di percezione (e pertanto sia dal perci-
piente, sia dal contesto ambientale in cui si verifica il
fenomeno sonoro).
Sul piano propriamente fisico, l'intensità di un suono è
definita come
l'energia sonora trasmessa nell'unità di tempo in una
determinata direzione attraverso l'unità di superficie
perpendicolare a quella direzione.
In pratica, dipende dalla forza con cui si produce il suono
e consente dunque di distinguere i suoni in deboli e forti.
L'unità è l'erg/s per centimetro quadrato. Altro dato quan-
titativo legato alla intensità di un suono è la potenza e-
messa misurata in watt11 che è possibile determinare stru-
mentalmente con buona precisione. La potenza sonora pro-
dotta da uno strumento è un dato utile per un giudizio su
determinate qualità dello strumento, per il calcolo delle
proprietà acustiche di una sala, per il progetto dell'iso-
lamento. La potenza sonora emessa da un'orchestra è uguale
alla somma della potenza emessa da ogni singolo strumento.
Qualche dato:

pieno d'orchestra di 75 esecutori watt 70


canne d'organo al massimo watt 13
pianoforte al massimo watt 0,4
potenza media di orchestra di 75 esecutori watt 0,1
voce cantata fortissimo watt 0,03
violino pianissimo watt 0,000004

11
Il watt, unità di misura di potenza, corrisponde a 1 joule al secon-
do: il nome deriva dal tecnico e inventore scozzese James Watt (1736 –
1819) inventore della macchina a vapore.

24
Altra unità di misura spesso utilizzata è il decibel (dB)
che è la decima parte del Bel12 ed è il rapporto fra
l’intensità di un suono ed un valore convenzionale di rife-
rimento.
Il decibel viene ad esempio utilizzato per controllare e-
ventuali inquinamenti acustici o dirimere questioni di con-
dominio relative a denunce per disturbi sonori.
Per quanto riguarda invece l’intensità soggettiva, entrano
in gioco diverse altre variabili.
E’ad esempio interessante notare che la percezione dei suo-
ni da parte del nostro orecchio, dipende dalla loro inten-
sità e che la nostra sensibilità non è lineare.
Prendiamo, ad esempio, in considerazione il seguente grafi-
co nel quale abbiamo riportato in ascissa le frequenze e in
ordinata la pressione acustica (equivalente alla intensità
del suono).
La curva che
rappresenta la
“soglia di udi-
bilità” ci in-
dica che la
pressione acu-
stica è massima
per le frequen-
ze basse e alte
e minima per
500 Hz < f <
5000 Hz.
Anche la soglia
del dolore of-
fre valori più
bassi per le
frequenze molto basse o molto alte: abbiamo cioè la capaci-
tà fisica di sopportare intensità più forti nella zona in-
termedia di frequenze ove viene a trovarsi l'area della pa-
rola.
La sensazione sonora dipende inoltre in maniera determinan-
te dall’ambiente entro cui si verifica il fenomeno sonoro.
Se si ascolta un ottetto di ottoni in una stanza chiusa di
dimensioni limitate o in un parco all’aperto, l’effetto a-
custico che ne ricaviamo è certamente diverso (si veda su
questo aspetto, anche la parte relativa alla “Trasmissione
del suono”).

12
Il nome deriva dal fisico inglese Alexander Graham Bell (1847 –
1922) che nel 1876 ottenne negli Stati Uniti il brevetto del telefono
(anche se l’invenzione non fu esclusivamente sua).

25
Il timbro è l'attributo caratteristico di un dato suono che
ci permette di distinguere i singoli strumenti. Due suoni
di pari altezza e intensità, emessi da diversi strumenti,
risultano, al nostro orecchio differenti grazie, appunto,
alla qualità timbrica. Il timbro dipende da vari fattori.
Ad esempio, il materiale usato per la costruzione dello
strumento (legno, metallo ecc.) il livello qualitativo del-
la costruzione (uno Stradivari suona meglio rispetto a un
violino di fabbrica), le modalità di produzione del suono
ecc.
Questi fattori concorrono ad una variegata partecipazione
dei suoni armonici (si veda più avanti il capitolo relati-
vo) la cui “presenza”, accanto al fondamentale è la princi-
pale causa della “qualità” del suono stesso.
A tale proposito si può citare lo spettogramma armonico,
ovvero la rappresentazione su un diagramma bidimensionale
della intensità relativa, in funzione della frequenza, del-
le armoniche presenti in un suono. Essendo la forma di
un’onda complessa determinata dalla somma algebrica delle
vibrazioni sinusoidali compresenti, lo spettro armonico è
significativo, anche della forma d’onda.
Ad esempio nella figura seguente è esemplificato lo spetto-
gramma di un suono emesso da una tromba (DO3). Sulle ascis-
se troviamo il numero d’ordine delle prime dieci armoniche,
indicando con la n.1 il suono fondamentale. Sulle ordinate
viene invece indicata l’intensità relativa delle singole
armoniche espressa in decibel, come rapporto fra le inten-
sità delle varie armoniche e l’intensità del suono fonda-
mentale.

26
Importanti ai fini del timbro sono anche i transitori.
Qualsiasi sorgente sonora, voce umana compresa, richiede un
tempo di transizione per passare dallo stato di riposo al
regime normale di vibrazione, così come lo richiede il pro-
cesso inverso, ossia il ritorno al riposo. Questi tempusco-
li sono chiamati, appunto, <transitori> rispettivamente di
attacco e di estinzione. Vi sono transitori d'attacco molto
brevi (martelletto sulla corda) e altri molto lenti (emis-
sione vocale). Variano anche di durata i transitori di e-
stinzione (campana tempi lunghi, tromba brevissimi). La
qualità e le modalità d'attacco e di estinzione del suono
influiscono molto sul timbro. Il timbro del suono ricavato
da un violino usando l'archetto differisce da quello che si
ottiene pizzicando la corda perchè diversi sono i transito-
ri e il regime stazionario di vibrazione.

In tempi relativamente recenti alle tre qualità del suono


analizzata precedentemente se ne è aggiunta una quarta al-
quanto particolare, la durata. La durata non è tanto impor-
tante come “qualità” a sé, quanto come mezzo per garantire
la percezione delle altre e, quindi, un’analisi completa
del suono da parte dell’ascoltatore. In questo senso se
prima si è parlato di transitori di attacco e di estinzio-
ne, ora si deve aggiungere il tempo di integrazione per la
sensazione uditiva.
Una durata troppo breve dell'emissione sonora non consente
di stabilire con esattezza altezza, intensità e timbro.
Quando avviene la sollecitazione sonora si mette in moto il
meccanismo del nostro udito che, tuttavia, per raggiungere
lo stato normale di lavoro ha bisogno di un breve tempo,
detto, appunto, tempo di integrazione durante il quale al-

27
tezza, intensità e timbro raggiungono i loro punti ottimali
di risposta.
Si tratta di un tempo brevissimo, valutabile mediamente in
100 millisecondi.
Il diagramma seguente illustra la situazione13. Nella riga
superiore sono dati i riferimenti del normale regime: per
l’altezza (60 ms), per l’intensità (90 ms), per il timbro
(100 ms). I primi 10 ms servono invece a separare il suono
da analizzarsi dai rumori circostanti.

13
Il diagramma è tratto da P.Righini, op. cit.

28
APPENDICE

La normalizzazione del diapason

Il termine diapason ha tre accezioni relativamente corren-


ti:

1. l’estensione dei suoni che uno strumento o una voce può


produrre (estensione, tessitura)
2. lo strumento a forma di forchetta a due branche (rebbi)
che emette un suono quasi pure di determinata altezza
3. la nota che dà l’intonazione.14

La nota di riferimento è il La3


L’invenzione del diapason (strumento) è attribuita ad un
sergente trombettiere dell’esercito britannico, Matthias
Shore, nel 1711.
La storia del diapason può essere vista sia seguendo la sua
evoluzione e poi soffermandosi sui tentativi di normalizza-
zione.

Il diapason nelle varie epoche


Il diapason è variato sensibilmente non solo nelle varie
epoche, ma anche da un luogo ad un altro.
La tabella successiva15 mostra alcune misurazioni del dia-
pason a partire dal 1495 e fino al 1969.
A parte alcuni valori decisamente al di fuori della norma,
si può dedurre che fra il 1699 e il 1969 l’escursione del
diapason sia stata fra 392 Hz (un sol crescente) e 461,6 Hz
(un la diesis calante). Si può inoltre notare che dal 1810
al 1880 si è verificata una graduale ascesa del diapason
valutabile in circa 34 Hz. Dopo il 1880 il diapason iniziò
ad abbassarsi fino al 1939 per poi salire nuovamente fino
al 1953 ed attestarsi su valori intorno a 440/450 Hz.

Il processo di normalizzazione
Nel 1636 era stato Mersenne, nel suo III libro dedicato a-
gli strumento a sollevare il problema di un unico riferi-
mento per l’accordatura degli strumenti che favorisse la
circolazione della musica in Europa e fuori senza problemi
di intonazione. Successivamente fu suggerito di indicare la
frequenza della prima nota di un brano, ma questa prassi
non ebbe seguito.
Nel Settecento il problema cominciò ad essere preso sul se-
rio da vari studiosi.

14
In realtà il termine ha un altro significator elativo alla storia
della musica dell’antica Grecia dove indicava l’intervallo di ottava
15
Tratta da U.Leone, La normalizzazione del diapason, Roma, 1972

29
Nel 1812 Sarette fissa il diapason del Conservatorio di Pa-
rigi, seguito nel 1827 da Fetis che richiede un diapason
uniforme in tutta la Francia.
Nel 1859 il Governo francese fissò il diapason a 435 Hz do-
po i lavori di una commissione di cui facevano parte Auber,
Berlioz e Halevy. Il diapason francese fu adottato
nell’impero austroungarico e in particolare nei teatri im-
periali di Vienna e di Praga a partire dal 1863 e successi-
vamente entrò gradualmente in uso in altri Paesi. Questo,
tuttavia, non significa che ovunque si adottasse quel dia-
pason, ma quella misura era in qualche modo considerata un
punto di riferimento generale. In Italia per lungo tempo si
continua ad esempio a oscillare fra 440 e 450 Hz,

30
quest’ultima misura adottata in particolare dalle bande e
dalle fanfare militari.

Nel 1881 il Congresso di Milano (fra i partecipanti Boito,


Ponchielli, Verdi) adottò, pur senza contrasti, un diapason
decisamente più basso, a 432 Hz.
Il 16 novembre 1885 si aprì a Vienna la Conferenza interna-
zionale cui parteciparono rappresentanti di numerosi Paesi:
per l’Italia c’erano Pietro Blaserna, professore di fisica
sperimentale all’Università di Roma e Arrigo Boito. Sul ta-
volo tre soluzioni differenti: 432 Hz (come in Italia), 435
Hz (Francia) o 440 Hz (Germania, anche se molte città di
quel Paese avevano altro diapason).

31
Il corista tedesco – ha scritto Blaserna nella sua relazione
finale16 – esiste più di nome che di fatto in Germania. Si
può dire in suo favore, che esso è meno basso degli altri e
presenta il vantaggio didattico che i suoni della scala na-
turale maggiore vi sono rappresentati da numeri interi. Di-
fatti si ha la seguente scala in do maggiore:

DO RE MI FA SOL LA SI DO
264 287 330 352 396 440 495 528

16
P. Blaserna, La Conferenza internazionale di Vienna e l’adozione di
un corista uniforme, “Nuova Antologia, fasc. 1, vol. LV.

32
il che non ha alcuna importanza per la musica, ma può far
comodo nell’insegnamento teorico della scala musicale.
Il corista francese vanta in suo favore, di essere già in-
trodotto in Francia fin dal 1859, di essersi mantenuto ri-
gorosamente a tale altezza, e di avere conquistato poco a
poco il favore di molti musicisti in tutte le parti
d’Europa. Finalmente, il corista di 432 vibrazioni è più
basso di tutti, quantunque differisca dal francese di una
quantità musicalmente appena apprezzabile. Esso fu proposto
nel 1873 dal belga Meerens, e presenta alcuni caratteri
d’indole scientifica, per cui sarebbe preferibile a quello
francese. Il ragionamento del Meerens fu riprodotto in forma
più severa dal distinto fisico Soret di Ginevra . Se si pone
il

LA3 = 432 vibrazioni,

scendendo per tre quinte pure, nel rapporto di 2 a 3, come è


richiesto dall’accordatura degli strumenti ad arco – gli
strumenti più perfetti che abbiamo – si arriva al

DO2 della viola = 128 vibrazioni

ed un’ottava più bassa al

DO = 64 vibrazioni del violoncello

Questo DO è una potenza di 2, per cui scendendo per ottave


basse, nel rapporto di 1 a 2, si arriva ad un DO bassissimo
e puramente ideale di 1 vibrazione al secondo il quale non è
altro che il pendolo a secondi, e sarebbe così la base del
nostro sistema musicale.
Invece di un corista convenzionale si avrebbe uno a base più
naturale; precisamente come ad una lunghezza soltanto con-
venzionale si è preferito il metro, il quale è riposto
all’incirca nella natura, essendo in prima approssimazione,
la diecimilionesima parte del quadrante di meridiano, che
passa per Parigi. Aggiungasi a ciò che nei laboratori di fi-
sica i diversi DO che si adoperano hanno, per ragioni di
semplicità, questa base naturale; per cui adottando il

LA3 = 432 vibrazioni

si metterebbe d’accordo la musica pratica con la pratica dei


laboratori; vantaggio di una certa entità quando si conside-
rino i continui ed incessanti rapporti, che passano fra la
musica e l’acustica.

Il giorno successivo agli inizi dei lavori a Vienna, si de-


cise ufficialmente per il diapason a 435 Hz.
Successivamente, nel 1953 si è deciso di innalzare il dia-
pason a 440 Hz, decisione ribadito dal Comitato dei Mini-
stri dei Consigli d’Europa nel 1971.

33

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