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I
lannis Xenakis
MUSICA
ARCHITETTURA
□
SPIRALI EDIZIONI
i.
Titolo dell'opera originale
Musique. Architecture
(Copyright 1976, Casterman, Paris)
Editore
Roberto Sudasassi
Traduzione dal francese di
Letizia Lionello, Giancarlo Secco, Angelo Varese
7
V
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Prima parte
MUSICA
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I
11
Le durate
Il tempo è considerato una linea retta sulla quale si tratta di marcare
i punti corrispondenti alle variazioni delle altre componenti. L’interval
lo tra due punti s’identifica con la durata. Tra tutte le successioni possi
bili di punti, quale scegliere? Posta in questi termini la questione non ha ■i'
senso.
Stabilisco una media di punti su una lunghezza data. La questione
allora diventa: “Data tale media di punti, entro quali limiti i segmenti
così ottenuti possono variare?’’.
Quando si conosce la media dei punti posti a caso su una retta, la
formula che deriva dai ragionamenti delle probabilità continue e che in
dica le probabilità per tutte queste lunghezze possibili è:
— 8x
Px = 0-4 dx
in cui 5 è la densità lineare dei punti e x la lunghezza di un segmento
qualsiasi. Lo scarto tipo è a = _L. Si sa che variazioni di db 5 cr so
no altamente improbabili. Ò
Se ora scegliamo alcuni punti e li confrontiamo con una distribuzio
ne teorica che obbedisca alla legge precedente o a qualsiasi altra distri
buzione, possiamo dedurre la percentuale di probabilità contenuta nella
nostra scelta o l’adeguamento più o meno rigoroso della nostra scelta a
una legge di distribuzione che può anche essere assolutamente funziona
le. Il confronto si stabilisce sulla base di test fra cui il più usato è il crite
rio “X2’’ di Pearson. Nel nostro caso, in cui tutte le componenti del
suono sono misurabili, utilizzeremo inoltre il coefficiente di correlazio
ne. Sappiamo che se il coefficiente di correlazione tra due popolazioni è ò
± 1 queste popolazioni sono in relazione funzionale lineare. Se il coef
ficiente è zero, le due popolazioni sono indipendenti. Sono possibili tutti
i gradi intermedi a seconda delle più o meno strette relazioni di dipen
denza.
Le altezze
PM =
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è possibile ottenere la legge a cui vogliamo che obbedisca la nostra scelta
di altezze mediante confronti con altre distribuzioni di altezze.
Anche la dinamica e i timbri possono obbedire alla legge di Poisson.
Le velocità
Abbiamo parlato dei suoni puntuali e granulari. Esiste un’altra
categoria di suoni, quelli a variazione continua o glissandi. Tra tutte le
possibili forme che può assumere un glissando scegliamo la più sempli
ce, il glissando uniformemente continuo. Questo suono può essere sen
sorialmente e fisicamente assimilato alla nozione fisica di velocità. Ne
deriva una rappresentazione vettoriale a una dimensione. La grandezza
scalare del vettore è data dall’ipotenusa del triangolo rettangolo mentre
gli altri due lati rappresentano la durata e l’intervallo di altezze percorsi.
Ai suoni continui (glissandi) si possono dunque applicare tutte le opera
zioni matematiche. I suoni tradizionali degli strumenti, per esempio a
fiato, sono casi particolari in cui la velocità equivale a zero. Un glissan
do verso le altezze acute può essere definito positivo, un glissando verso
le gravi negativo. La legge di Boltzmann e Maxwell, indicando la riparti
zione delle velocità delle molecole di un gas a una temperatura conosciu
ta trasposta a una dimensione, ci conduce alla formula seguente:
.2 v2
= -—7= e
a \/TT
- 2
a ~ 0,425 a
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v2
probabilità calcolate con la formula y(y) = _.2— e a2
a- TT
S{x-x)(y-y)
P =
Vs (x - x)1 V£(y-y?
n cui ir e y sono le medie aritmetiche delle due variabili.
Ecco dunque in sintesi l’aspetto tecnico di un primo tentativo di ap
plicazione della teoria e del calcolo delle probabilità alla composizione
nusicale.
In base a quanto detto siamo già in grado di verificare:
a) Le trasformazioni continue di grandi insiemi di suoni granulari o
:ontinui. Infatti le densità, le durate, i registri, le velocità, ecc.»possono
essere regolati dalle leggi dei grandi numeri con le necessarie approssi-
nazioni. Con l’aiuto delle medie e degli scarti possiamo quindi dare un
<olto a questi insiemi e farli evolvere in differenti direzioni. La più co-
losciuta è quella che va dall’ordine al disordine o viceversa. È introdot-
a qui la nozione di entropia ma occorre fare ben attenzione a non con-
ondere fisica e arte. Il senso filosofico e teleologico dell’entropia è fer
ie valido in alcuni campi della macro o microfisica ma sarebbe assurdo
arne sempre un principio motore della musica probabilistica. Possiamo
4
concepire altre trasformazioni continue. Per esempio un insieme di suo
ni pizzicati può trasformarsi in modo continuo in un insieme di suoni a
arco. O, nella musica prodotta meccanicamente, passare da una materia
sonora a un’altra stabilendo cosi un legame organico tra le due materie.
Per chiarire questa idea ricordo il sofisma greco della calvizie: “Quanti
capelli occorre togliere da una testa capelluta perché divenga calva?*’.
Questo problema, risolto mediante la teoria delle probabilità, è cono
sciuto con il termine di “definizione statistica’’.
b) Una trasformazione può essere esplosiva quando gli scarti dalla
media diventano improvvisamente eccezionali.
c) Possiamo anche confrontare eventi altamente improbabili con
quelli medi (ma occorre materialmente convincere la mente che gli even
ti medi sono medi e che quelli eccezionali sono eccezionali. Da qui pren
de avvio nella musica un nuovo processo intellettuale).
d) Atmosfere sonore molto rarefatte possono essere elaborate e con
trollate con l’aiuto di formule come quelle di Poisson. Cosi anche una
musica per strumento solista può essere composta con il calcolo delle
probabilità.
e) Infine, ritornando al sofisma della calvizie, vedremo come il pro
blema dell’identità logica, che è la chiave della variazione, sia posto in
modo nuovo.
Problema
15
II
Le tre parabole
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tipo, costruite dalla mano dell’uomo o dai conflitti della natura (monta
gne, mari, nubi). Com’è noto, questa categoria dell’intelletto umano è
fondamentale almeno a partire da Kant. Ora, la prima espressione
dell’intelligenza umana è stata quella di definire le superfici elementari a
partire dall’elemento spaziale base della linea retta. In musica, la retta
più sensibile è quella della variazione costante e continua delle altezze, il
glissando. Costruire superfici (o volumi) sonore sulla base di glissandi è
una ricerca appassionante e ricca di promesse. Inflessioni delle superfici
curve, amplificazioni, riduzioni, torsioni, ecc., tutto questo nuovo mon
do è aJla portata della mano che tiene la penna e che porta all’orecchio e
sullo psichismo. Le Metastasis sono una prima visione di superfici rego
late nello spazio sonoro (niente a che vedere con le stereofonie).
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ste due nozioni hanno un senso e sull’uomo un effetto qualitativo. Il
passaggio da una scala a un’altra, accompagnato dal simultaneo incre
mento del numero delle molecole, produce un risultato qualitativo che a
sua volta può essere misurato. Passaggio dal quantitativo al qualitativo
misurabile. Guardiamo le volute del fumo di una sigaretta in un ambien
te calmo. Sappiamo che il fumo è composto da molecole i cui movimenti
disordinati seguono statisticamente regole che dai nostri sensi vengono
percepite come volumi o superfici mutevoli estremamente mobili e ric
che. Introducendo la nozione statistica otteniamo di nuovo una spazia-
lizzazione a partire da elementi puntuali. Ritroviamo dunque gli stessi
risultati discussi nella prima parabola in cui la spazializzazione è genera
ta da rette.
Identifichiamo i suoni puntuali, per esempio il pizzicato, con le mo
lecole; otteniamo una trasformazione omomorfa dal campo fisico al
campo sonoro. Il movimento individuale dei suoni non conta più. L’ef
fetto massa e la sua evoluzione assumono un senso del tutto nuovo, vali
do, quando il numero di tali suoni è abbastanza elevato. Cogliamo tutta
la portata di questo arricchimento del pensiero musicale che sconvolge
qualsiasi modo di pensare la composizione (melodica o seriale).
Ecco allora collegate le tre parabole fondamentali.
Pithoprakta, per orchestra d’archi, è una sintesi delle tre parabole.
Qui il pensiero è libero dagli schemi polifonici classici e dalle discus
sioni di dettagli. Domina forme e tessiture. Per quanto concerne le enti
tà da manipolare è costretto a allinearsi con le posizioni del pensiero
scientifico e a vedere oltre in tutta la sua generazione i principi della
creazione: collegamenti, trasformazioni, opposizioni, coesistenze. 1
mezzi di controllo e di misurazione di queste entità e delle loro evoluzio
ni si ottengono da una parte sulla base delle formule delle probabilità e
della statistica e dall’altra sulla base delle ultime ricerche della fisiologia
dell’udito. Ma, in definitiva, l’istinto e la scelta soggettiva sono i soli ga
ranti del valore di un’opera. Non esiste riproduzione grafica secondo
criteri scientifici. L’eterno problema rimane e rimarrà non risolto.
“Nutida Musik,” 4,
Sveriges Radio Stockholm, 1958.
19
Ili
Formalizzazione e assiomatizzazione
della composizione musicale
21
oggi questa astrazione assume il suo pieno significato, e soltanto oggi
comprendiamo anche i suoi limiti e le sue posizioni negative.
Da quarant’anni la stessa formalizzazione e assiomatizzazione è sta
ta estesa a tutte le specie di caratteri dei suoni quali le durate, le dinami
che, i timbri, ecc. A Olivier Messiaen e al suo genio particolare va attri
buito il merito di avere generalizzato negli anni cinquanta questa astra
zione.
Il mio primo tentativo fu quello d’introdurre in musica fenomeni
globali scaturiti da un gran numero di eventi sonori isolati. Ne esistono
due specie limitate e fondamentali; in primo luogo gli eventi sonori pun
tuali come i pizzicati degli strumenti a corda o le percussioni, in secondo
luogo gli eventi a variazione continua in senso fisico come i crescendo e
sopra tutto i glissandi.
Possiamo costruire entità sonore dotate di discontinuità o di massi
ma continuità? La risposta è affermativa. Come costruirle? Qui le rispo
ste si diversificano.
Prendiamo i glissandi sugli strumenti a corda. Una grande orchestra
può emettere simultaneamente da quarantacinque a cinquanta glissandi.
Un glissando è definito dalla rapidità di scivolamento del dito sulla cor
da, e come immagine geometrica equivale a una linea tracciata su un fo
glio di carta tra due assi, l’asse dei tempi graduato in secondi e l’asse del
le altezze graduato in semitoni temperati. Un glissando è dunque defini
to da una curva di velocità v = dh. Se il glissando è uniformemen-
dt
te continuo è una linea retta ascendente, discendente o orizzontale e di
velocità costante.
Questa immagine geometrica invita a costruire reticoli di rette con I
vergenti, parallele, divergenti o di tutt’altra configurazione. Otteniamo
in questo modo molte forme, cioè molti tipi di spazi sonori a variazione
continua.
Una configurazione caratteristica è il tracciato di una curva per mez
zo delle sue tangenti. Per esempio una parabola.
Ma il vantaggio di queste supposizioni è che possiamo costruire
un’infinità di evoluzioni sonore continue la cui formazione è rigorosa
mente controllata con i glissandi, cioè con rette che tutti gli strumentisti
dell’orchestra classica sanno eseguire in notazione musicale tradiziona
le.
La mia opera Metastasis, per grande orchestra, composta nel 1953-
1954 e realizzala nel 1955 dall’impareggiabile Hans Rosband al Festival di
Donaueschingen mi ha suggerito tre anni dopo l’idea architettonica del
Padiglione Philips che Le Corbusier mi ha chiesto di disegnargli. Questo
padiglione era interamente concepito secondo superfici continue genera
te da rette che gli imprenditori e gli operai sanno costruire.
In quest’opera i glissandi sono perfettamente ordinati. Che cosa suc
cederebbe invece se i glissandi fossero molto disordinati? Immaginiamo
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ogni glissando differente nella velocità, nel senso, nella durata e nelle
tessiture. Otterremo una specie di accozzaglia caotica dovuta al caso.
Come organizzare un tale disordine statistico?
Ricorreremo a nozioni ancora più lontane dalla musica tradizionale
e seriale, contenute nella famosa teoria cinetica dei gas messa a punto
nel diciannovesimo secolo da Maxwell e Boltzmann. Questa teoria risol
ve il problema della distribuzione delle velocità molecolari in un dato
gas richiamandosi in modo generale al calcolo delle probabilità. Ma, an
che se non conoscessimo la teoria cinetica dei gas, semplici ipotesi di
simmetria della distribuzione dei glissandi nello spazio sonoro di un’or
chestra virtuale ci condurrebbero agli stessi ragionamenti e alle stesse
formule della teoria cinetica dei gas, come ho dimostrato in “Gravesa-
ner Blàtter”, 23 e 24, e in Musiques formelles.
D’altronde abbiamo preso atto in Metastasis di un confronto tra
l’aspetto continuo espresso dai glissandi e dai fiati e l’aspetto disconti
nuo espresso dai pizzicati.
Ora, come le musiche tradizionali e seriali non davano i mezzi teorici
per la soluzione dei problemi di continuità, cosi i problemi delle masse
di suoni, delle nubi di suoni puntuali li superavano.
Infatti la formalizzazione seriale da una parte si limitava a una sorta
di combinazione deterministica, cosa che costituiva il suo limite, e
dall’altra optava per un linguaggio polifonico antiquato che costituiva
non solo una regressione formale ma anche una contraddizione con il
principio della dispersione delle note sugli strumenti dell’orchestra
(Klangfarben Melodie).
Infine la complessità auditiva dei due principi formali della serie riu
niti creava una nuova contraddizione, sopra tutto nei postweberniani.
Per uscire dal flusso delle contraddizioni, occorre richiamarsi prima
a una combinatoria deterministica allargata e poi alla nozione di nube di
suono, cioè all’entità sonora come massa.
Anche queste due considerazioni conducono alle teorie del calcolo
delle probabilità che classificano il determinismo in senso stretto come
aspetto particolare di una logica più generale il cui limite è il puro caso.
Ipotesi di simmetrie analoghe alle precedenti portano a regole di
coordinazione espresse da formule del calcolo delle probabilità.
Queste formule elementari sono quelle di Gauss, di Poisson, dell’ir
raggiamento dei corpi radioattivi e le formule di correlazione e delle so
glie di significazioni sviluppate dai biologi anglosassoni.
Ecco già una sorta di corpo logico probabilistico di nuova organizza
zione della composizione musicale che include tutte le musiche prece
denti e che consente la risoluzione dei problemi di continuità e di discon
tinuità delle entità sonore composte. D’ora in poi chiameremo questo
corpo “sistema stocastico’’, dal termine stocastico introdotto per la pri
ma volta da Jacques Bernoulli, uno dei fondatori del calcolo delle pro
babilità.
23
La mia opera Pithoprakta, per orchestra, prima opera stocastica
coerente composta nel 1955-1956, fu diretta dal professor Scherchen ai
concerti “Musica Viva’’ di Monaco nel marzo del 1957.
Voglio qui rendere omaggio alla grandezza di H. Scherchen che mi
ha appoggiato moralmente e materialmente in queste nuove ricerche, in
coraggiandomi, pubblicando le mie riflessioni sulla sua.rivista “Grave-
saner Blatter” e dirigendo le mie opere in un mondo musicale, sia tradi
zionale sia postweberniano, ostile.
Per questo posso affermare con riconoscenza che la musica stocasti
ca è nata in un punto qualunque lungo una linea mentale che collega
Gravesano a Parigi.
Dopo queste prime esplorazioni verso una formalizzazione stocasti
ca di problemi parziali, si poneva una nuova doppia questione ma que
sta volta di ordine assiomatico. Eccola: possiamo prendere in considera
zione resistenza di una regione limite della strutturazione in cui il nume
ro dei principi di base sia minimo? In caso affermativo, quali sarebbero
questi principi? I
Ora senza entrare nei dettagli di questi ragionamenti, possiamo af
fermare che conducono alle leggi di apparizione e di successione di even
ti, riassunti da formule stocastiche al cui centro sarà collocata quella di
Poisson. I
Un’opera calcolata sulla base di queste leggi costituisce un campione
e l’insieme infinito dei campioni possibili costituisce il contenuto di
quello che si potrebbe chiamare una “forma”.
24
IV
25
scoperta di leggi similari. Una volta definita, la struttura astratta
dell’evento massivo costituito da migliaia di elementi può servire a con
dizionare una massa di pizzicati o di qualsiasi altro colpo d’archetto
“puntuale” in un’orchestra d'archi classica. Ecco dunque un’osserva
zione che conduce verso una nuova tecnica dell’orchestrazione e una
nuova estetica. Infatti, in tale concezione non ha importanza il suono
individuale (purché, beninteso, esista) che non viene più distinto, invece
è l’insieme delle particelle sonore a colpire la corteccia e la modulazione
di tale insieme. Va verso l’acuto, verso il grave, si rarefà oppure il suo
disordine aumenta? J
Ecco il tipo di domande che l’osservatore ascoltatore è obbligato a
porsi, come quando si osservano le nuvole e le loro formazioni in un
film accelerato.
Questi nuovi problemi di audizione e di strutturazione sono stati
trattati in Metastasi per grande orchestra e in Pithoprakta per orche
stra d’archi. Ma l’esempio delle cicale non è l’unico. 11 rumore prodotto
dalle gocce di pioggia su un tendone da circo, i clamori ordinati o disor
dinati di una manifestazione politica, i sibili delle pallottole durante i
combattimenti nelle strade sono altrettanti fenomeni ricchi di insegna
mento sulle strutture e sulla loro percezione, prescindendo naturalmente
dal loro dinamismo emozionale. Tutti questi eventi sono retti pratica-
mente dalle stesse regole logiche, dalle stesse formule che l’uomo ha in
ventato per la “teoria cinetica dei gas” e che sono riassunte dalle equa
zioni del calcolo delle probabilità.
Quello che abbiamo detto finora riguarda le masse di suoni “pun
tuali”. Considerazioni analoghe possono essere fatte per masse di suoni
a evoluzione continua quali i glissandi delle corde di un’orchestra gra ì
duate aH’estremo. 11 confronto fra continuità e discontinuità ci offre un
modo nuovo di modellare la plastica sonora dell’orchestra o delle mac 1
chine elettroniche. Di questo aspetto trattano anche Metastasis e Pitho
prakta a partire dal 1954.
Ho parlato di un primo motivo che ci obbliga a fare riferimento alla
stocastica. Un secondo motivo consiste nello sviluppo del linguaggio
musicale contemporaneo che ha creato dapprima la dodecafonia, cioè
l’abolizione delle gerarchie tonali, e in seguito il sistema seriale, ossia
una nuova gerarchia delle componenti del suono. Ora, Schònberg non
aveva nessun motivo, all’infuori di un’ignoranza relativa al suo tempo e
alla sua educazione di musicista, per introdurre di nuovo un ordine tem
porale nei dodici suoni e quindi forgiare una nuova struttura polifonica
certamente pura ma sorpassata. Se Schònberg avesse conosciuto la fisi
ca del suo tempo, avrebbe potuto sin dagli anni venti fare il passo decisi
vo dall’abolizione delle funzioni tonali alla concezione stocastica:
avrebbe cioè osservato che il determinismo non era lo strumento più ge
nerale per la programmazione e poiché la musica della sua epoca aveva
liberato i suoni dalla schiavitù tonale o modale non occorreva irreggi-
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meritarli di nuovo con una regola deterministica (il principio seriale) ma
anzi lasciarli in totale libertà introducendo quindi un principio d’incer
tezza che inglobasse il determinismo come caso particolare e fare appel
lo alla logica e ai ragionamenti probabilistici.
Ecco allora in poche parole un secondo motivo teorico che conduce
alla stocastica. Alla luce di quanto si è detto, le musiche di tutti i tempi,
compresa la musica seriale, costituiscono i casi particolari di una musica
indeterministica, cioè stocastica.
Ci sono anche altri motivi, più musicali o più filosofici, che ci obbli
gano a ricorrere alla stocastica ma che non spiegheremo in questa sede.
Dopo parecchi anni di ricerche in questo nuovo campo della compo
sizione musicale ero giunto a pormi un interrogativo: se sia possibile po
stulare una regione di frontiera della strutturazione tale che il numero di
regole di composizione sia minimo. In caso affermativo, quali sarebbe
ro queste regole? Per essere più concreti immaginiamo il seguente espe
rimento: supponiamo che alcuni individui, di preferenza non musicisti,
siano posti in una stanza ermeticamente chiusa che contenga ogni sorta
di apparecchiature o strumenti adatti a produrre eventi sonori di ogni ti
po (suoni sinusoidali, suoni d’orchestra classica e anche rumori). Sup
poniamo inoltre che questi individui non abbiano nessun particolare de
siderio di prendere contatto con queste apparecchiature o strumenti e
ancor meno di fare musica. Ammettiamo tuttavia che non è impossibile
che questi individui tocchino le apparecchiature in maniera tale da pro
vocare remissione di suoni. Se questi individui hanno la pazienza di re
stare abbastanza a lungo nella.stanza chiusa, è fatale che dopo un certo
periodo di tempo, che sarà in relazione alla loro placidità o al loro ner
vosismo, produrranno loro malgrado eventi sonori. Questo tempo ab
bastanza lungo “può essere di un secondo o di molti secoli’*
In quanto abbiamo esposto non c’è nessuna velleità di strutturazio
ne, nessuna regola, nessun determinismo, c’è una totale libertà. Possia
mo quindi accettare questa situazione come un caso limite di composi
zione astratta minima. Non ci resta che sperimentarla.
Si presentano due possibilità:
a) Si ricorre a individui cosi definiti e si registrano i risultati. È il me
todo sperimentale immediato.
b) Si ragiona a priori su tali fenomeni e si cerca di trarne alcune rego
le quanto più possibile generali. In base a tali regole si ricostruisce
l’esperienza, ma questa volta con una volontà precisa e sapendo dove si
va.
Il secondo metodo è di gran lunga il migliore giacché consente di
esplorare in sede teorica tutte le possibilità e di riprodurre solamente
quelle che preferiamo e non le altre. Il primo metodo è troppo lungo e
incerto.
Senza entrare ora nei dettagli di questi ragionamenti possiamo affer
mare che essi portano alle leggi di comparsa di eventi rari riassunti dalle
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formule probabilistiche, tra cui una delle più importanti è la cosiddetta
formula di Poisson, dal nome del matematico e fisico francese che l’ha
scoperta verso la metà del secolo scorso.
La legge, apparentemente astratta, ha dovuto attendere circa mezzo
secolo prima di trovare una clamorosa verifica sperimentale da parte di
Bortkewitch. Questa verifica fu all’origine di tutto un fascio di applica
zioni della legge di Poisson a problemi di biologia, di agronomia, di eco
nomia, di sociologia e infine di strategia militare, e attualmente fa parte
della ricerca operazionale che è a sua volta un capitolo di quella che è
stata battezzata “cibernetica”. )
Ecco allora come un fondamentale problema di strutturazione, di
composizione musicale ci obbliga a utilizzare una legge stocastica. Que
sta legge ci consentirà di creare di sana pianta una forma musicale libe
ra, basata su un numero minimo di dipendenze logiche, su un numero
minimo di relazioni tra eventi sonori.
Achorripsis, un’opera per ventuno strumenti, basata su una forma
che si trova all’estrema frontiera teorica di quella che per abuso d’igno k
ranza e di linguaggio è definita dai compositori contemporanei ora for
ma aperta ora forza libera ora improvvisazione, è stata da me elaborata
nel 1956-1957 e eseguita nel 1958 a Buenos Aires dal professor Hermann
Scherchen. )
Qui apriamo una breve parentesi. Il compositore contemporaneo de
ve essere un pioniere. È obbligato a rimettere tutto in discussione sia sul
piano della forma sia sul piano della realizzazione sonora. È trascinato :
nella regione delle leggi che guidano le strutture. La sua evoluzione si
svolge nel campo della metacomposizione. Chiudiamo la parentesi.
Se la tesi del minimo di regole e di dipendenze equivale a una forma
musicale, sarebbe interessante poter creare più opere che si ricolleghino
a queste forme basate sulle stesse leggi stocastiche. Ora, il fatto di aver
utilizzato alcune leggi matematiche apriva il campo a un trattamento
meccanico di tale tesi con l’ausilio di cervelli elettronici. Ecco i principa
l
li vantaggi ottenuti dall’utilizzazione delle macchine:
a) 11 lungo e laborioso calcolo fatto a mano è ridotto a niente. La ve
locità di calcolo delle macchine, per esempio della IBM 7090 che con
trolla in questo momento il razzo per Venere degli USA, è molto alta,
dell’ordine di cinquecentomila operazioni elementari al secondo. Dun
que un’economia di tempo.
b) Libero da fastidiosi calcoli, il compositore può ora dedicarsi mag
giormente ai problemi generali posti dalla nuova forma musicale e
esplorare le pieghe e gli angoli di questa forma modificando i valori dei
dati iniziali. Per esempio può provare tutte le combinazioni strumentali
che vanno dagli strumenti solisti alle orchestre da camera e alle grandi
orchestre. Con l’aiuto dei cervelli elettronici il compositore diventa una
specie di pilota che preme su alcuni pulsanti, introducendo coordinate e
sorvegliando i quadranti di un vascello cosmico in navigazione nello
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spazio dei suoni attraverso costellazioni e galassie sonore che prima po
teva intravedere solo da lontano nel sogno.
Ora può esplorarle a proprio agio standosene seduto in poltrona.
c) Il programma, cioè l’elenco delle operazioni sequenziali che costi
tuiscono la nuova forma musicale, è un’obiettivazione di questa forma.
Il programma quindi può essere spedito in qualsiasi parte della terra do
tata di cervelli simili e utilizzato da qualsiasi compositore-pilota.
d) Poiché nel programma sono introdotte alcune incertezze, un
compositore-pilota può imprimere la propria personalità nel risultato
sonoro che otterrà.
Ho potuto costruire questo programma solo quattro anni dopo la
formulazione della tesi formale del minimo di regole, e questo grazie al
la benevolenza del Centro di Ricerche Scientifiche della IBM-Francia
che mi ha accordato un’ora di calcolo sul calcolatore 7090, uno dei più
potenti cervelli del mondo. Per l’elaborazione di questo programma so
no stati necessari parecchi mesi di lavoro e infine è stata calcolata una
prima realizzazione per un insieme di dieci strumentisti, identico a quel
lo della Sinfonia op. 21 di Webern cui ho aggiunto una percussione.
Quest’opera è stata presentata a Parigi dalla Compagnia IBM-
Francia dinanzi alla stampa scientifica e musicale internazionale a due
riprese, nell’aprile e nel maggio del 1962. Ha come titolo ST/10-1,
080262, che significa che è un’opera stocastica per dieci strumentisti (la
prima), elaborata dal calcolatore 1’8 febbraio del 1962. È stata eseguita
dall’“Ensemble instrumentai de musique contemporaine” di Parigi con
la direzione di Constantin Simonovic.
29
gneremo con le lettere A, B, C, D, ecc., può darsi che l’occorrenza di
una lettera, per esempio C, sia probabilisticamente legata all’occorrenza
di un’altra lettera B. Cioè, per esempio, nel 60% dei casi la lettera B sarà
seguita dalla lettera C, e nel 40% la lettera B sarà seguita da altre lettere
con probabilità corrispondenti.
Le probabilità di passaggio da una lettera all’altra possono essere
scritte su un pannello quadrato, una matrice cui si possono far subire di
verse operazioni del calcolo di matrice così come giocare con la sua en
tropia in relazione con l’entropia di altre matrici analoghe.
Questo legame stocastico di tipo markoviano ci appare come una
sorta di memoria interna alla catena degli eventi, contrariamente ;
all’ipotesi del minimo di regole che non ammette dipendenze né memo
ria.
Introducendo i legami markoviani nei diversi parametri del suono,
possiamo costruire una nuova forma musicale di tipo markoviano sem
i
pre più complessa, integrandovi tutti i mezzi sonori messi a disposizione
dal compositore contemporaneo.
Un primo tentativo di organizzare una struttura markoviana è rap
presentato da Analogica A per tre violini, tre violoncelli e tre contrab
bassi, composta nel 1958.
Questa nuova forma di musica stocastica di tipo markoviano era si
multaneamente completata da un’ipotesi più fondamentale che sviscera
va l’essenza stessa del suono. Eccola: dai lavori di fisiologia acustica di
Fletcher e poi da quelli di Davies e altri è noto come l’orecchio percepi
sca i suoni in maniera discontinua, dovuta alle soglie delle diverse com
ponenti del suono; inoltre, in base alle teorie sul segnale elementare acu
stico introdotte da Gabor nella teoria dell’informazione, è noto come si
possano ammettere segnali la cui forma d’onda possiede un rivestimen
to gaussiano. Questi due punti di partenza, l’uno fisiologico, l’altro fisi
co, mi hanno indotto a formulare l’ipotesi cui accennavo, cioè che ogni
suono come ogni musica può essere considerato una nuvola gigantesca
di corpuscoli sonori, di granelli sonori, che attraverso modulazioni stati
stiche nel tempo ci dà l’impressione di un determinato suono o di una !
determinata musica. Quest’ipotesi si discosta dalle analisi continue di
Fourrier che si sono rivelate efficaci nella musica elettronica. Ma tale
ipotesi necessita di mezzi tecnici molto potenti sia per la costruzione di
tali nuvole sia per la materializzazione dei quanta sonori. Sono necessari
cervelli elettronici accoppiati con macchine analogiche che convertano i
risultati numerici dei calcolatori in suoni, direttamente e senza
nessun’altra manipolazione elettronica come quelle eseguite negli studi
più perfezionati di musica elettromagnetica.
In attesa di questi potenti mezzi ho fabbricato alcuni quanta sonori
partendo da suoni sinusoidali che sono un’approssimazione dei segnali
di Gabor, e con missaggi stocastici multipli ho realizzato Analogica B
che in qualche modo si pone in parallelo con Analogica A. Analogica B
30
è stata in parte realizzata negli Studi Hermann Scherchen di Gravesano
e presso la RTF di Parigi e data in prima audizione pubblica nel luglio
del 1959 al Congresso di Gravesano.
Alternando le due composizioni si ottiene un confronto sensoriale e
strutturale dei due punti di vista espressi in Analogica A e in Analogi
ca B.
31
le. Otteniamo la terza struttura fondamentale, la struttura algebrica ne!
tempo.
Mi è impossibile spiegare ulteriormente queste concezioni estreme,
benché molto semplici, e ancor meno fare l’analisi anche succinta
dell’opera Henna per piano solo che scaturisce da queste teorie.
Posso comunque dire che in quest’opera esistono quattro insiemi
fondamentali che creano tra loro funzioni booleane con l’aiuto di tre
operazioni logiche di base (la riunione, l’intersezione, la negazione) e di
due relazioni fondamentali (l’inclusione e l’uguaglianza).
Quest’opera è stata scritta fra il 1960 e il 1961 e eseguita nel febbraio
del 1962 a Tokio dallo straordinario pianista Yuji Takahashi che la suo
na a memoria.
Radio Varsavia, 1962
I
|
32
V
33
b) Il secondo gruppo vi aggiunge lo spettacolo sotto forma di azioni
sceniche extramusicali che accompagnano l’esecuzione musicale. In
fluenzati dagli happening che esprimono lo smarrimento di certi artisti,
gli appartenenti a questo gruppo si rifugiano nella gestualità e in eventi
disparati facendo così trapelare una fiducia assai limitata nella musica
pura. Di fatto, accettano una sicura sconfitta, in particolare della loro
musica.
Questi due gruppi hanno in comune un atteggiamento romantico.
Credono entrambi nell’azione immediata e si preoccupano pochissimo
di un controllo da parte del pensiero. Ma poiché l’azione musicale per
non cadere nella triviale improvvisazione, nell’imprecisione e nell’irre
sponsabilità, ha un imperioso bisogno di riflessione, questi gruppi di
fatto negano la musica e la conducono fuori da se stessa.
Il pensiero lineare
Non dirò come Aristotele che il bene sta nel giusto mezzo, giacché in
musica come in politica stare nel mezzo comporta un compromesso.
Parlerò invece di chiaroveggenza e di asprezza del pensiero critico, cioè
di azione, di riflessione e di autotrasformazione attraverso i soli suoni.
Così il pensiero scientifico e matematico al servizio della musica e di
ogni attività umana creativa deve amalgamarsi dialetticamente all’intui
zione. L’uomo è uno, indivisibile, totale. Pensa con la pancia e sente
con il pensiero. Vorrei proporre quel che secondo me si cela dietro il ter
mine musica:
1 ° Anzitutto una sorta di comportamento, necessario a chi pensa la
musica e fa la musica.
2° Un pleroma individuale, un completamento.
3° Una fissazione sonora di virtualità immaginate (tesi cosmologi
che, filosofiche...).
4° È normativa, costituisce cioè un modello di essere o di fare che
coinvolge per simpatia, inconsciamente.
5° È catalitica: la sola presenza consente trasformazioni interne
psichiche o del pensiero; come la sfera di cristallo dell’ipnotizzatore.
6° È un gioco gratuito da ragazzi.
7° È un’ascesi mistica (ma atea). Di conseguenza le espressioni di
tristezza, di gioia, di amore sono solo casi particolari molto limitati.
La sintassi musicale ha subito profondi sconvolgimenti e oggi sem
bra che innumerevoli possibilità coesistano caoticamente. C’è un pullu
lare di teorie, di stili individuali (talvolta), di stili di scuole più o meno
vecchie. Ma come fare musica? Che cosa è trasmissibile lungo un inse
gnamento orale? (Domanda scottante se si vuole riformare l’insegna
mento della musica, riforma necessaria in tutto il mondo e non solo in
Francia.)
34
Non si può certo dire che gli informatici, i cibernetici e ancor meno
gli istituzionalisti abbiano posto la questione di una pulizia ideologica
dalle scorie che i secoli e l’evoluzione attuale hanno accumulato. Tutti in
genere ignorano il substrato su cui poggiano una determinata teoria o
una determinata azione. Tuttavia questo substrato esiste e ci permetterà
di fondare per la prima volta un’assiomatica e di sviluppare una forma
lizzazione che unifichino cosi passato, presente e futuro, e questo su sca
la planetaria, ossia comprendendo gli universi sonori ancora chiusi
dell’Asia, dell’Africa e così via.
Nel 19542 ho denunciato il pensiero lineare (polifonico) mettendo in
rilievo le contraddizioni della musica seriale. Ho proposto invece un
universo di masse sonore, vasti insiemi di eventi sonori, nubi, galassie
governate da caratteristiche nuove come la densità, il grado di ordine, la
velocità di cambiamento, ecc., che avevano bisogno di essere definite e
attuate con l’aiuto del calcolo delle probabilità. Nasceva così la musica
stocastica. In realtà questa nuova concezione dei grandi numeri, massi
ca, era più generale di quella lineare polifonica perché poteva compren
derla come un caso particolare (riducendo le condensazioni delle nubi).
Armonia generale? No, non ancora.
Oggi, dopo più di quindici anni, queste idee e le realizzazioni che le
accompagnano hanno fatto il giro del mondo e l’esplorazione sembra
praticamente conclusa. Tuttavia, la nostra “piattaforma” musicale,
quel sistema diatonico temperato su cui poggiano tutte le nostre musi
che, sembra non essere intaccata né dalla riflessione né dalle musiche
stesse1. Proprio per questa via verrà effettuata la prossima tappa, la cui
esplorazione e le cui metamorfosi dischiudono una nuova era ricca di
promesse. Per comprenderne l’importanza determinante è necessario ri
salire alla sua origine precristiana e al suo ulteriore sviluppo. Farò riferi
mento quindi alla struttura della musica greca antica, poi a quella della
musica bizantina che ne è la migliore conservatrice poiché l’ha sviluppa
ta mollo più fedelmente della musica sorella, cioè del canto piano occi
dentale. Dopo aver messo in rilievo in termini moderni le loro costruzio
ni logiche astratte, cercherò di esprimere con un linguaggio matematico
e logico, semplice ma universale, quel che è stato e quel che potrebbe es
sere valido nel tempo (musicologia trasversale) e nello spazio (musicolo
gia comparala).
Per fare questo, propongo di distinguere in architettura musicale le
architetture qualificate come architetture o categorie fuori tempo*, le
35
architetture o categorie in tempo e infine le architetture o categorie tem
porali. Una determinata gamma di altezze, per esempio, è un’architettu
ra fuori tempo perché ciascuna combinazione “orizzontale” o “vertica
le” dei suoi elementi non la altera. L’evento in sé, cioè la sua occorrenza
reale, appartiene alla categoria temporale. Infine una melodia o un ac
cordo su una determinata gamma sono costituiti da relazioni tra la cate
goria fuori tempo e la categoria temporale. Si tratta di immissioni nel
tempo di costruzioni fuori tempo. Ho già accennato altrove a questa di
stinzione, qui mi limiterò a mostrare come si possono analizzare la mu
sica antica e la musica bizantina con l’aiuto di queste categorie e come
tale prospettiva sia generale giacché permette un’assiomatica universale
della musica e la formalizzazione di moltissimi aspetti di tutte le musiche
del nostro pianeta.
Struttura antica
In origine il canto gregoriano si basava sulla struttura antica, chec
ché ne dicano Combarieu e altri che accusano Hucbald di essere un ri
tardatario. La rapida evoluzione della musica dell’Europa occidentale a
partire dal nono secolo semplificò e uniformò il canto piano per cui la
pratica non procedette più di pari passo con la teoria. Ma nella musica
profana del quindicesimo e del sedicesimo secolo si ritrovano ancora al
cuni brani dell’antica teoria. Ne dà testimonianza il Terminorum Musi
cal Diffinitorium di Jean Tinctoris5. L’antichità è vista in genere attra
verso le lenti gregoriane e i suoi “modi”, da tempo ormai incomprensi
bili. E per spiegare i modi del canto piano solo ora s’incominciano a in
travedere altre direzioni. I gregorianisti dicono che il modo non è costi
tuito solo da una scala tipo ma che è caratterizzato da formule melodi
che. Il solo, per quanto ne sappia, ad aver introdotto altre nozioni com
plementari alla nozione di scala è Jacques Chailley", che sembra essere
nel vero. Credo che si possa andare più lontano e affermare che la musi
ca antica, almeno fino ai primi secoli del cristianesimo, non si basava as
solutamente sulle gamme o sui “modi” per ottave ma sui tetracordi e sui
“sistemi”.
Gli specialisti di musica antica (con l’eccezione sopraccitata) sono
passati accanto a questa fondamentale realtà, obnubilati com’erano dal
la costruzione tonale della musica postmedioevale. Ma ecco che presso i
Greci esisteva una struttura gerarchizzata la cui complessità procedeva
per incastri successivi, per inclusioni e per intersezioni dal particolare al
36
generale, di cui si può rintracciare lo schema essenziale seguendo i testi
di Aristosseno7.
a) Grado primario: il tono e le sue suddivisioni. Definito come la
quantità con cui la consonanza di quinta oltrepassa quella di quarta. Si
suddivide nella metà chiamata semitono, nel terzo di tono chiamato die
sis cromatico minimo, nel quarto di tono chiamato diesis enarmonico
minimo, senza alcun intervallo inferiore.
Z?) Grado secondario: il tetracordo, definito dalla prima consonanza,
la dia tessaron (il secondo elemento è il pentacordo che definisce la se
conda consonanza, la dia pente, ecc.). L’intervallo dia tessaron è uguale
a due toni e mezzo, quindi a trenta dodicesimi di tono che chiameremo
segmenti aristossenici. I due suoni estremi hanno sempre lo stesso scarto
consonante di quarta, gli altri due interni sono mobili e le loro posizioni
determinano i tre generi del tetracordo (le altre consonanze di quinta, di
ottava, ecc., non creano niente):
1° l’enarmonico che contiene dal grave all’acuto due diesis enar
monici 3 + 3 + 24 = 30 segm. oppure X,/4. X,/4. X2 = X5'2 (X è il valo
re di un tono);
2° il cromatico: (a) molle, che contiene due diesis cromatici minimi,
4 + 4 + 22 = 30 segm. oppure X,/J. X,/J. X,/, + J/2 = XJ/2; (b) emide
(sesquialtèra) contenente due diesis sesquialtèri, 4,5 + 4,5 4- 21 = 30
segm. oppure x°/2,(|/4). x(3/2)(,/4). X7/4 = XJ/2; (c) “tonin”, contenente
due semitoni e un triemitono 6 + 6 + 18 = 30 segm. oppure X'/2. X'/2. -
X,/J = Xs/2;
3° il diatonico: (a) molle, contenente sempre dal grave all’acuto un
semitono, poi tre diesis enarmonici, poi cinque diesis enarmonici, 6 + .9
+ 15 = 30 segm. oppure X|/2. X,/4. Xs/4 = X5/2; (b) sintono, contenen
te un semitono, poi un tono e ancora un tono, 6 + 12 + 12 = 30 segm.
oppure X,/2. X. X. = X5'2.
’ R. Westphal, Aristoxenos von Tarent, Meliti und Rhythmik, Vcrlag von Ambr.
Abel (Arthur Mciner), Leipzig 1893, introduzione in tedesco e testo in greco.
37
I
i
Due linguaggi
I pentacordi sono suddivisi secondo gli stessi generi del tetracordo
che essi contengono. Derivano dai tetracordi ma al pari di essi servono
ugualmente da nozione prima per definire l’intervallo di tono. Circolo
vizioso, ma che si spiega con la volontà di Aristosseno di restare fedele
all’esperienza musicale (e insiste su questo punto) che da sola definisce
la struttura dei tetracordi e di tutto l’edificio armonico che ne è la conse
guenza combinatoria. Tutta la sua assiomatica parte da qui e il suo testo
si pone come esempio di metodo da seguire. Tuttavia non definisce il va
lore assoluto (fisico) deirintervallo dia tessaron, contrariamente ai pita
gorici che lo definiscono con il rapporto 3/4 delle lunghezze delle corde.
Mi sembra un segno di saggezza e infatti il rapporto 3/4 è una media.
Occorre attirare l’attenzione sul fatto che Aristosseno utilizza l’ope
razione additiva per gli intervalli, presentendo cosi in anticipo i logarit
mi e contrariamente all’uso dei pitagorici che utilizzavano il linguaggio
geometrico (esponenziale) che è moltiplicativo. Su questo punto l’inven
zione di Aristosseno è fondamentale perché:
a) costituisce una delle due modalità che attraverso i millenni hanno
permesso alla teoria musicale d’esprimersi;
b) con l’addizione inaugura un calcolo più economico, più facile e
più adatto alla musica;
c) pone la base del temperamento equabile circa venti secoli prima
della sua applicazione in Europa occidentale.
I due linguaggi, quello aritmetico (operazione di addizione) e quello
geometrico (che proviene dai rapporti delle lunghezze delle corde, con
l’operazione di moltiplicazione) si sono sempre mescolati e interpenetra
ti attraverso i secoli creando inutilmente molteplici confusioni nei calco
li degli intervalli e delle consonanze, e di conseguenza nelle teorie. Sono
in realtà due espressioni della struttura di gruppo con due operazioni
non identiche; c’è dunque equivalenza formale*.
G. Th. Guilbaud, Mathématiques, I, Presses Universitaires de France, Paris 1963.
38
C’è una cosa piuttosto strana, beatamente trasmessa dagli specialisti
musicologi di questi ultimi anni: secondo costoro i Greci scendevano an
ziché salire le scale, come si usa oggi. Di questo non si trova traccia né in
Aristosseno né nei successori, compresi Aristide Quintilliano’ o Alypio,
che approntano una nuova e più completa scrittura dei gradi di molti
tropi. Al contrario tutti gli autori antichi cominciano sempre con il gra
ve per le spiegazioni teoriche e per la nomenclatura dei gradi.
Una seconda stravaganza è la presunta ‘‘gamma di Aristosseno” di
cui non si trova traccia nel suo testo10.
Esporremo ora la struttura della musica bizantina. Può servire per
comprendere infinitamente meglio la musica antica, il canto-piano occi
dentale, le musiche tradizionali non europee, la dialettica della musica
europea più recente, i suoi errori e le sue impasse; può servire per preve
dere e costruire l’avvenire con una visione che domini i lontani paesaggi
del passato e quelli futuri dell’elettronica. Cosi le nuove direzioni della
ricerca assumeranno tutto il loro valore. Le inattitudini della musica se
riale in determinati ambiti e il torto arrecato all’evoluzione musicale a
causa del suo ignorante dogmatismo saranno invece messi in evidenza
solo indirettamente.
Struttura bizantina
La struttura bizantina" amalgama i due calcoli, quello pitagorico
moltiplicativo e quello aristossenico additivo. La quarta viene espressa
dal rapporto 3/4 del monocordo o dai 30 segmenti temperati (72 per
l’ottava)'2. Tale struttura definisce tre specie di toni, il maggiore (9/8 o
12 segmenti), il minore (10/9 o 10 segmenti) e il minimo (16/15 o 8 seg
menti). Ma sono costruiti sia intervalli più piccoli sia intervalli più gran
di e le unità elementari del grado primario sono più complesse che in
Aristosseno. La struttura bizantina attribuisce una preponderanza alla
gamma diatonica naturale (la supposta gamma di Aristosseno) i cui gra
di con il primo tono sono nel rapporto 1, 9/8, 5/4, 4/3, 3/2, 27/16,
15/8, 2 e hanno nomi alfabetici A, B, T, A, E, Z, H, con A grado grave
iniziale che corrisponde press’a poco al sol2 (in segmenti: 0, 12, 22, 30,
39
!
42, 54, 64, 72, oppure 0, 12, 23, 30, 42, 54, 65, 72). È stata enunciata fin
dal primo secolo da Didimo, poi nel secondo secolo da Tolomeo che ha
permutato un termine e ha registrato lo spostamento del tetracordo (to
no-tono-semitono) che da allora è rimasto immutato13. Ma tranne que
sta attrazione del diapason (ottava), l’architettura è gerarchizzata e in
cassata come in Aristosseno. Eccola:
” In Westphal, op. cit., pp. XLVII sg., troviamo lo spostamento del tetracordo
menzionato da Tolomeo: Uchanos- (16/15) - mése- (9/8) -paramèse - (10/9) - /n7e(harm.
2.1, p. 49).
'* In Tolomeo i nomi delle cromatiche erano scambiati: il cromatico molle conteneva
l’intervallo 6/9 e quello duro o sintono l'intervallo 7/6. Cfr. Westphal, op. cit., p.
XXXll.
40
Parentesi
C’è evidentemente un fenomeno di assorbimento dell’antico enar
monico da parte del diatonico. Probabilmente si produsse nei primi se
coli del cristianesimo, durante la lotta dei Padri della Chiesa contro il
paganesimo e alcune sue manifestazioni artistiche. Il diatonico, contra
riamente agli altri generi, era sempre stato consideralo sobrio, severo,
nobile. In realtà il genere cromatico e sopra lutto l’enarmonico richiede
vano una cultura musicale più avanzata, come già constatavano Aristos-
seno e gli altri teorici, una cultura che le masse del periodo romano pos
sedevano ancor meno. Quindi le speculazioni combinatorie da un lato e
la pratica dall’altro determinarono la scomparsa dei caratteri specifici
dell’enarmonico in favore del cromatico, di cui nella musica bizantina è
scomparsa ogni suddivisione, e del diatonico (sintono). Un fenomeno di
assorbimento paragonabile a quello delle gamme (o modi) del Rinasci
mento da parte della gamma diatonica maggiore che perpetua il diatoni
co sintono antico.
Tuttavia si tratta di una strana semplificazione e sarebbe interessante
studiarne le vicissitudini e i motivi. Eccetto alcune differenze o meglio
alcune varianti in relazione agli intervalli antichi, la tipologia bizantina
si adatta rigorosamente all’antico.
Con i tetracordi costrui il piano superiore per mezzo di definizioni
che chiarirono in modo singolare la teoria dei sistemi aristossenici e di
cui si trova già un’enumerazione abbastanza dettagliata in Claudio
Tolomeo1'.
Le scale
a) Grado terziario: le scale costruite per mezzo dei sistemi con le stes
se regole antiche di consonanza, di dissonanza e di assonanza (parafo-
nia). Nei bizantini il principio iterativo e giustappositivo dei sistemi por
ta molto chiaramente alle scale, cosa ancora abbastanza oscura in Ari-
stosseno e nei suoi successori a eccezione di Tolomeo. In Aristosseno,
per il quale il sistema sembra essere una categoria a sé stante e una meta,
la nozione di scala non è staccata dal metodo che la costruiva. Nei bi
zantini invece il sistema è definito metodo di costruzione di scale. Si
tratta di una sorta di operatore di iterazione che, in base alla categoria
inferiore dei tetracordi e dei suoi derivati, il pentacordo e l’ottocordo,
costituisce organismi più complessi, concatenati come i geni dei cromo
somi. Da questo punto di vista la coppia sistema-scala raggiunge uno
sviluppo inesistente presso gli antichi.
'* Esempi in Westphal, op. cif., p. XLVIII, selidio 1 mescolanza del cromatico sin
tono (22:21, 12:11, 7:6) e del diatonico tonin (28: 27, 7:8, 9:8), selidio 2, mescolanza del
diatonico molle (21:20, 10:9, 8:7) e del diatonico tonin (28:27, 8:7, 9:8).
41
Ecco la definizione bizantina del sistema: “Il sistema è la semplice o
multipla ripetizione di due, di molti o di tutti i toni di una scala’’. Per
scala s’intende qui una successione di toni già organizzata come il tetra
cordo o i suoi derivati. La musica bizantina utilizza tre sistemi: (a) il si
stema dell’ottocordo o diapason; (b) il sistema del pentacordo o ruota i
(trochos)\ (c) il sistema del tetracordo o trifonia.
Il sistema può riunire gli elementi per giustapposizione congiunta
(synimena) o disgiunta (diazeegrnena). La giustapposizione disgiunta di
un tono, di due tetracordi, costruisce la scala diapason che contiene
un’ottava esatta. La giustapposizione congiunta di molti di questi dia
pason di ottave esatte conduce alle scale, gamme e modi che ci sono fa
miliari. La giustapposizione congiunta di molti tetracordi (trifonia) pro
duce una scala la cui ottava non è più un suono fisso di tetracordo ma
uno dei suoi suoni mobili. Lo stesso avviene per la giustapposizione con
giunta di molti pentacordi (trochos).
Ma il sistema può essere applicato ai tre generi del tetracordo e sepa
ratamente alla loro suddivisione creando così un ricchissimo fascio di
scale. Infine in una scala si possono mescolare i generi dei tetracordi (co
me nelle selidia di Tolomeo) ottenendo un’enorme varietà. Il grado-
scala è dunque il risultato di una combinatoria o meglio di un gigantesco
montaggio (armonia) attraverso iterate giustapposizioni di organismi
già molto diversificati: i tetracordi e i loro derivati. La scala così definita
è un concetto più ricco e universale di tutti i concetti impoveriti del bas
so Medioevo e dei tempi moderni. Da questo punto di vista non è il tem
peramento ma l’assorbimento attraverso il tetracordo diatonico (e la sua
scala corrispondente derivata dal sistema disgiunto-di-un-tono-maggio-
re = tasti bianchi del pianoforte) di tutte le altre combinazioni o mon
taggi (armonie) degli altri tetracordi a rappresentare un’enorme perdita
di potenziale astratta e sensoriale che si tratta di ricostruire ma, come
vedremo, in modo moderno. Ecco alcuni esempi di scale in segmenti del
temperamento bizantino (aristossenico, una quarta giusta = 30 segmen
ti):
Scale diatoniche
Tetracordi diatonici: sistemi ottenuti con tetracordi disgiunti, 12, 11,
7/12/11,7, 12 cominciando su A grave, 12, 11, 7/12/12, 11,7 comin
ciando su H o su A gravi; sistema per tetracordi e pentacordi, 7, 12,
11/7, 12, 11, cominciando su Z grave; sistema della ruota (trochos), 11,
7, 12, 12/11, 7, 12, 12/11, 7, 12, 12/, ecc.
Scale cromatiche
Tetracordi cromatici molli; sistema della ruota cominciando su H, 7,
16, 7, 12/7, 16, 7, 12/7, 16, 7, 12/, ecc.
42
Scale enarmoniche
Tetracordo enarmonico secondo schema; sistema ottenuto con tetra
cordi disgiunti, cominciando su A, 12, 6, 12/12/12, 6, 12, corrisponden
te al modo di Re.
Le scale enarmoniche con il sistema disgiunto costruiscono tutte le
gamme o modi ecclesiastici dell’occidente. Anche altri, per esempio il te
tracordo enarmonico del primo schema con il sistema trifonico, comin
ciando su H grave: 12, 12, 6/12, 12, 6/12, 12, 6/12, 12, 6/.
Scale miste
Tetracordo diatonico primo schema + cromatico molle; sistema di
sgiunto, cominciando su H grave, 12, 11, 7/12/7, 16, 7/.
Tetracordo cromatico duro + cromatico molle, sistema disgiunto,
cominciando su H grave, 5, 19, 6/12/7, 16, 7/, ecc.
Non tutti i “montaggi” sono utilizzati. E si può osservare il fenome
no di assorbimento delle “ottave” non giuste da parte dell’ottava giusta
in virtù delle regole consonantiche di base. Questo limita molto i casi.
Z?) Grado quaternario: i tropi o echoi. ISechos si definisce attraver
so: (a) i generi dei tetracordi (o derivati) costitutivi; (b) il sistema di giu
stapposizione; (c) le attrazioni; (d) le basi o suoni fondamentali; (e) i
suoni dominanti; (f) le terminazioni o cadenze (katalexis)', (g) melodie
d’introduzione del modo; (h) Vethos che segue le definizioni antiche.
Non entreremo nei dettagli di questo grado.
Termina qui la breve esposizione dell’analisi della struttura fuori
tempo della musica bizantina.
Ma questa struttura non poteva esaurirsi in una rigida gerarchia. Era
necessario poter circolare liberamente tra i toni e le loro suddivisioni, tra
le specie dei tetracordi, i generi, i sistemi e gli echoi. Da qui un abbozzo
di struttura in tempo che esamineremo brevemente. Esistono segni ope
ratori che permettono alterazioni, trasposizioni, modulazioni e altre tra
sformazioni (metabole). Questi segni sono le phthorai e le chroai delle
note, dei tetracordi, dei sistemi (o scale) e degli echoi.
Metabole di nota
1° La metatesi: passaggio da un tetracordo di trenta segmenti
(quarta giusta) a un altro tetracordo di trenta segmenti;
2° la parachordi'. deformazione dell’intervallo che corrisponde ai
trenta segmenti del tetracordo in un altro più grande e inversamente; o
anche passaggio da un tetracordo deformato a un altro deformato.
43
Metabole di genere
1° Phthora caratteristica del genere che non cambia il nome delle
note;
2° con cambio del nome delle note;
3° grazie alla parachordi:,
4° grazie alle chroai.
Metabole di sistema
Passaggio da un sistema a un altro grazie alle metabole precedenti.
Metabole degli echoi attraverso segni speciali, i martyricai phthorai
o alterazione degli inizi dei modi.
1 pedali (isokratima) non possono essere “lasciati agli ignoranti”
proprio a causa della complessità delle metabole. L’isokratima costitui
sce un’arte a sé stante poiché è impiegata per sottolineare e favorire tutte
le fluttuazioni nel tempo della struttura fuori tempo del canto.
Commento primo
È evidente come il coronamento di questo edificio fuori tempo sia la
cosa più complessa e raffinata che potesse essere inventata dal canto
monodico per eccellenza. Quel che non si è sviluppato in polifonia è
sbocciato in una ricchezza cosi lussureggiante che, per raccapezzarsi, è
necessario seguire anni di studi pratici alla maniera dei cantori e degli
strumentisti delle alte culture asiatiche. Ma nessuno degli specialisti del
la musica bizantina sembra riconoscere l’importanza di questo edificio.
Sembra che la decifrazione delle antiche notazioni li abbia assorbiti al
punto da trascurare la tradizione attuale della chiesa bizantina e da
esprimere alcune inesattezze. Così, solo da qualche anno, uno di loro*6,
seguendo i gregorianisti, cominciò a attribuire agli echoi altri caratteri
rispetto a quelli delle gamme occidentali che gli erano state insegnate
nelle scuole conformiste. Hanno infine scoperto che gli echoi conteneva
no alcune formule melodiche caratteristiche, anche se sedimentarie. Ma
non hanno potuto o voluto andare altre e abbandonare il loro ovattato
rifugio manoscritto.
L’incomprensione della musica antica”, bizantina e gregoriana delle
origini, è certamente dovuta all’oblio imposto dal diffondersi della poli
fonia, creazione estremamente originale dell’occidente barbaro e incol-
'• E. Wellesz, A History of Byzantine Music and Hymnography, Oxford at thè Cla-
rendon Press, 1961, p. 71. Alla pagina 70 anch’egli riprende il mito delle scale discendenti
antiche.
” La stessa negligenza può essere constatata negli ellenisti anticheggiami. A titolo di
esempio si veda il classico L. Laloy in Aristoxène de Tarente, 1904, p. 249.
44
to, e dallo scisma delle chiese. I secoli e la scomparsa dello stato bizanti
no hanno consacrato questo oblio e questa separazione. Lo sforzo dun
que di sentire un linguaggio “armonico” molto più fine e complesso di
quello diatonico sintono e delle sue scale per ottave è senza dubbio supe
riore alle normali capacità di uno “specialista” occidentale, anche se la
musica attuale ha potuto liberarlo (in parte) da questo influsso oppri
mente. Farei eccezione per gli specialisti deH’esiremo Oriente1' che non
si sono mai staccati dalla pratica musicale e che, avendo a che fare con
la materia viva, hanno saputo trovare un’armonia diversa da quella to
nale dei dodici semitoni. Il colmo dell’aberrazione è nelle trascrizioni di
melodie bizantine1’ in notazioni occidentali attraverso il sistema tempe
rato. Ma la critica che si può muovere ai bizantinologi consiste nel fatto
che staccandosi dalla grande tradizione musicale della chiesa orientale
hanno fatto scomparire quest’architettura astratta e sensuale, comples
sa e notevolmente inquadrata (armoniosa), questa sopravvivenza e que
sto reale compimento della tradizione ellenica. Hanno in tal modo ritar
dato il progresso delle ricerche musicologiche: (a) dell’antichità; (b) del
canto-piano; (c) del folclore dei paesi europei, segnatamente di quelli
dell’est20; (d) delle culture musicali delle civiltà di altri continenti; (e) di
una migliore comprensione dell’evoluzione musicale dell’Europa occi
dentale dal basso Medioevo fino all’epoca moderna; (f) della prospezio
ne sintattica delle musiche di domani, del loro arricchimento e della loro
sopravvivenza.
Commento secondo
Ci tenevo a presentare questa architettura legata all’antichità e pro
babilmente a altre culture giacché rappresenta un’elegante e attuale te
stimonianza di quel che mi sforzo di definire categoria (algebra, struttu
ra) fuori tempo della musica rispetto alle altre due categorie, in tempo e
temporali. Spesso è stato detto (Stravinski, Messiaen, ecc.) che nella
musica il tempo è tutto dimenticando la struttura di base su cui poggia
no i linguaggi personali, per quanto semplificati, come le musiche seriali
“pre o postweberniane”. Per meglio comprendere il passato e il presen
'• Alain Daniclou ha vissuto per molti anni in India dove ha imparato a suonare stru
menti indiani. La stessa cosa ha fatto Manlle Hood con la musica indonesiana; va ricorda
to anche Tran Van Khé, teorico e artista compositore che pratica la musica tradizionale
del Vietnam.
” Cfr. Wellesz, op. cìt., e le trascrizioni di C. Hoeg, altro grande bizantinologo che
ha negletto i problemi di struttura.
20 Stupore degli “specialisti” alla scoperta della scrittura bizantina nella notazione
del folclore rumeno, in Rapports cotnplémentaires dii XIIe Congrès iniernational des étu-
des byzantines, Ochride 1961, p. 76. Questi specialisti ignorano senza dubbio che un feno
meno identico esiste in Grecia.
45
te universali come per preparare l’avvenire è necessario distinguere la
struttura, l’architettura, gli organismi sonori dalle loro manifestazioni
temporali. È necessario quindi costruire istantanee, fare vere e proprie
tomografie successive nel tempo, porle a confronto e trarne i rapporti,
le architetture e viceversa. D’altra parte, grazie al carattere metrico del
tempo, possiamo “munirlo” a sua volta di una struttura fuori tempo,
lasciando infine alla sola categoria temporale la sua vera natura comple
tamente a nudo, ossia la natura della realtà immediata, del divenire
istantaneo.
Così il tempo potrebbe essere considerato come una lavagna (vuota)
su cui scrivere simboli e relazioni, architetture e organismi astratti. Dal
lo scontro tra organismi-architetture e realtà istantanea, immediata, na
sce la qualità primordiale della coscienza vissuta.
Le architetture antiche e bizantine concernono le altezze (carattere
del suono semplice, dominante) delle entità sonore. Anche i ritmi sono
qui sottomessi a un’organizzazione ma molto più semplice. Dunque non
ne parleremo. Certamente non ci serviremo dei modelli antichi e bizanti
ni per imitarli o per copiarli ma per esibire un’architettura fondamenta
le, fuori tempo, che è stata ostacolata dalle architetture temporali dei si
stemi polifonici moderni (postmedievali). Questi sistemi, compresi quel
li seriali, costituiscono ancora un magma abbastanza confuso di struttu
re fuori tempo e temporali poiché nessuno ancora ha tentato di distri
carle. Non possiamo tuttavia farlo qui.
46
soppressione dogmatica dei Viennesi che accettarono solo l’estremo
“ordine totale” della gamma cromatica temperata. Delle quattro forme
della serie, solo l’inversione degli intervalli si riferisce a una struttura
fuori tempo. Naturalmente, consciamente o no, si fanno sentire alcuni
rimpianti e alcune relazioni intervallari di simmetria vengono innestate
sulla totalità cromatica nella scelta delle note della serie, ma sempre nel
la categoria in tempo. In seguito, con i postweberniani, la situazione non
cambia. La degradazione della struttura fuori tempo della musica dal
basso Medioevo in poi costituisce una caratteristica specifica dell’evolu
zione musicale dell’occidente europeo. Degradazione che conduce
all’escrescenza delle strutture temporali e in tempo ineguagliate. Proprio
in questo risiedono la sua originalità e il suo apporto alla cultura univer
sale, ma anche il suo impoverimento e la sua perdita di carica fino a ri
schiare un arresto. Infatti, la musica europea così come si è evoluta fino
ra non raggiunge un’espressione su scala mondiale, un’universalità. Es
sa rischia in tal modo di isolarsi dalle necessità storiche. Occorre aprire
gli occhi e tentare di gettare un ponte verso altre culture, verso l’avveni
re immediato del pensiero musicale, prima che venga soffocato dalla
tecnica elettronica applicata sia a livello strumentale sia a livello della
composizione con i calcolatori.
47
Teoria dei reticoli
Per fare questo occorre formulare un’assiomatica della struttura
d’ordine totale (struttura di gruppo additivo = struttura additiva ari-
stossenica) della scala cromatica temperata, riprendendo quanto è stato
pubblicato in altre circostanze21. Assiomatica della scala cromatica tem
perata, che si ispira all’assiomatica dei numeri di Peano:
Termini primi: O pausa-origine, n una pausa, n’ pausa sorta dallo
spostamento elementare di n, D l’insieme dei valori della caratteristica
sonora considerata (altezza, densità, intensità, durata, velocità,
ordine...). I valori verranno identificati con le pause lungo gli sposta
menti.
Proposizioni prime (assiomi): (a) la pausa O è elemento di D; (b) se
la pausa n è elemento di D, allora la nuova pausa n’ è elemento di D; (c)
se le pause n e m sono elementi di D, anche le nuove pause n’ e m’ saran
no identiche se e solo se le pause n e m sono identiche; (d) se la pausa n è
elemento di D sarà diversa dalla pausa-origine O; (e) se elementi appar
tenenti a D hanno una proprietà speciale P tale che anche la pausa O
l’abbia, e se per ogni elemento n di D avente questa proprietà anche
l’elemento n’ ce l’ha, gli elementi di D hanno tutti la proprietà P.
Abbiamo definito assiomaticamente non solo una scala cromatica
temperata delle sensazioni di altezza ma anche di tutte le proprietà o ca
ratteristiche sonore dell’ambito D precedentemente enunciato (densità,
intensità...). Inoltre, come Bertrand Russell ha giustamente sottolineato
a proposito dell’assiomatica di Peano, questa scala astratta non ha uno
spostamento unitario definito o rapportato a una grandezza assoluta.
Così può essere costruita sia con semitoni moderati, sia con segmenti
aristossenici (dodicesimi di tono), sia con commi di Didimo (81/80), sia
con quarte di tono, toni, terze, quarte, quinte, ottave, ecc., o ancora
con un’unità completamente diversa di cui nessun multiplo corrisponda
all’ottava giusta.
Ora in base a questa scala definiamo un’altra scala equivalente ma il
cui spostamento unitario sia multiplo della prima. Essa potrà essere
espressa dalla nozione di congruenza modulo m.
Definizione: due interi x e n sono detti congrui modulo m se m è un
fattore di x - n. Si scrive simbolicamente x = n (mod m). Così due interi
sono congrui modulo m se e solo se differiscono da m di un multiplo in
tero (positivo o negativo), per esempio:
4=19 (mod 5), - 3 = 13 (mod 8), 14 = 0 (mod 7)
Pertanto ogni intero è congruo modulo m a uno e uno solo dei nu
meri n:
” Cfr. il mio testo nel disco pubblicato da Le Chant du monde (LDXA-8368). Vedere
inoltre "Gravesaner Blatter”, 29, ci!., e il mio libro citato.
48
n = (0, 1, 2, ..., m-2, m-1)
Si dice che questi numeri formano ciascuno una classe residuale mo
dulo m\ sono infatti i più piccoli residui moduli m non negativi.
x = n (mod m)
è dunque equivalente a
x = n + km
dove k è un intero
k€Z = (0, 1, - 1, 2, - 2, ...)
Per un n dato e per kGZ qualsiasi, i numeri x apparterranno per de
finizione alla classe residuale n modulo m. Scriveremo questa classe: mn.
Per chiarire le idee, prendiamo come unità di spostamento il semito
no temperato della gamma attuale. Su questa applichiamo una seconda
volta l’assiomatica precedente ponendo una grandezza di 4 semitoni
(terza maggiore) come spostamento elementare-’2. Definiamo una nuova
scala cromatica. Se la pausa-origine della prima è un re diesis, la secon
da ci fornirà tutti i multipli di quattro semitoni, cioè la scala di terze
maggiori,
re diesis 0, sol 0, si 0, re diesis sol si ,
ossia le note della prima scala i cui numeri d’ordine sono congrui a 0
modulo 4. Esse appartengono tutte alla classe residuale 0 modulo 4. Le
classi residuali 1, 2, 3 modulo 4 esauriranno le note di questa totalità
cromatica. Simbolizzeremo queste classi nel modo seguente:
la classe residuale 0 modulo 4 per 40
la classe residuale 1 modulo 4 per 4(
la classe residuale 2 modulo 4 per 4;
la classe residuale 3 modulo 4 per 4,
la classe residuale 4 modulo 4 per 40
ecc.
Poiché si tratta di fatto di un setacciamento della scala di base (spo
stamento elementare di un semitono), ogni classe residuale forma un re
ticolo che lascia passare soltanto determinati elementi della totalità cro
matica. Per estensione la totalità cromatica sarà notata come reticolo
l0. La gamma per quarti sarà data con il reticolo 5n, in cui n avrà uno dei
valori n = 0, 1, 2, 3, 4. A ciascun cambiamento dell’indice n corrispon
derà una trasposizione di questa gamma. Così la gamma debussyana per
toni, 2n con n = 0, 1, ha due trasposizioni:
” Gli spostamenti elementari stanno tra loro come i numeri interi, ossia sono definiti
come elementi di una stessa assiomatica.
49
2(1=> do, re, mi, fa diesis, sol diesis, la diesis, do...
2,=» do diesis, re diesis, fa, sol, la, si, do diesis...
In base a questi reticoli elementari, equivalenti tra loro, possiamo
costruire scale più complesse. Possiamo costruire tutte le scale immagi
nabili con le tre operazioni della Logica delle classi: la riunione (disgiun
zione) notata con V , l’intersezione (congiunzione) notata con /\ , e il
complementare (negazione) notata con una barra sovrapposta al modu
lo del reticolo. Così:
2q — 2, et 2j = 2q
50
Musicologia
scala pentatonica:
(8n A (9n V 9„+J)) v (8n+2 a (9n v 9n+6)) v
(8n f-6 A 9nb3)
scala ettatonica:
(8„ A (9„ V 9n+J)) v (8n+2 a (9n V 9„+s)) V
(8n+4 a (9n+4 v 9n+6)) v (8n+6 a (9n+3 v 9n+6i))
,
con n = 0, 1, 2... 71 (modulo 8 o 9).
51
Queste due scale espresse con un reticolo avente per base il comma di
Didimo c = 81/80 (81/80 alla potenza 55,8 = 2), dunque ascendente
all’ottava superiore di periodo 56, si scriveranno:
scala pentatonica:
(7n A (8n V 8n + ó)) V (?n + 2 A (8q+4 v 8n+7)) V
(?n+5 A 8n+l)
scala ettatonica:
n+6)) v (7n+J a (8n+5 v 8n+7)) v
(7n A (8n v 8’n+ó))
7n+J A 8n+j v (7n+4
n+4 aA (8n+4 v 8 +6)) v (7n+5 a 8,’n + l)
8„n+6
per n = 0, 1, 2... 55 (modulo 7 o 8).
Abbiamo dimostrato come la teoria dei reticoli permetta di esprime
re con funzioni logiche (dunque meccanizzabili) qualsiasi scala e di uni
ficare così lo studio delle strutture di gradi superiori a quello dell’ordine
totale. Essa può servire in costruzioni completamente nuove. Immagi
niamo a tale scopo reticoli complessi non ascendenti di un’ottava
superiore24. Prendiamo come unità dei reticoli il quarto di tono tempe
rato. Un’ottava contiene ventiquattro quarti. Si tratta quindi di costrui
re un reticolo composto il cui periodo sarebbe diverso da 24 o da uno dei
suoi multipli, dunque un periodo non congruo a k.24 modulo 24 (con k
= 0, 1, 2...). Esempio: sia una funzione logica qualsiasi del reticolo di
moduli 11 e 7 (di periodo 11 x 7 = 77 k.24),
(lln v Hn+1) A 7n+6
essa stabilisce una ripartizione dissimmetrica dei gradi di scala cromati
ca per quarti di tono. Si può anche utilizzare un reticolo composto che
rigetterebbe il periodo fuori dei limiti dell’area udibile. Esempio: ogni
funzione logica di moduli 17 e 18, (f [17, 18]), poiché 17 x 18 = 306 >
11 x 24.
Sovrastrutture
11 Questo risponde forse al desiderio di Edgard Varese riassunto dalla sua gamma a
spirale = ciclo di quinte non per ottave. Questa indicazione, purtroppo sommaria, mi è
stata data da Odile Vivier.
52
ca. Otterremo una colorazione statistica della totalità cromatica di un li
vello di complessità superiore.
Con le “metabole”. Sappiamo che a ogni combinazione ciclica degli
indici dei reticoli (trasposizioni), e che a ogni cambiamento del o dei mo
duli del reticolo otteniamo una metabola (modulazione). Ecco, per
esempio, una scelta di trasformazioni metaboliche: prendiamo i più pic
coli residui che siano primi rispetto a un numero positivo r, essi forma
no un gruppo abeliano (commutativo) se la legge di composizione di
questi residui è definita dalla moltiplicazione con riduzione modulo r.
Esempio numerico: se r = 18, i residui 1,5,7, 11, 13, 17 gli sono primi e
i loro prodotti, dopo la riduzione modulo 18, non escono da questo in
sieme (chiusura). Formano un gruppo finito commutativo di cui ecco un
frammento:
5 x 7 = 35; 35 - 18 = 17
11 X 11 = 121; 121 - (6 x 18) =- 13, ecc.
1 moduli 1,7, 13, formano un sottogruppo ciclico d’ordine 3. Sia ora
un’espressione logica,
v 13„
L (5, 13) = (13n+4 V 13n+J v 13n47
+s V 13„i7 v 13„.,) a
,4)
5„,i v (5n + 2 v 5nnt4 a 13n , v I3„1(s
dei due reticoli a moduli 5 e 13. Possiamo immaginare una trasforma
zione dei moduli per coppia, a partire dal gruppo abeliano precedente-
mente definito. Così, il diagramma cinematico sarà (in tempo)
L (5,13) => L (11,17) => L (7,11) => L (5,1) =>
L (5,5) =>...=> L (5,13)
per ritornare all’espressione di partenza (chiusura)25.
” Queste ultime strutture sono state utilizzate in Akrata 1964 per sedici fiati e in No-
rnos per violoncello solo (1965).
53
d’ordine totale, come l’intensità, la durata, la densità, i gradi d’ordine,
la velocità, ecc. L’ho già detto altrove, anche nell’assiomatica dei retico
li. Ma questo metodo può ugualmente essere applicato alle scale visuali
e ai campi delle arti ottiche del futuro.
D’altra parte assisteremo in un immediato futuro all’esplorazione di
questa teoria, alla sua utilizzazione per mezzo di calcolatori poiché è in
teramente meccanizzabile. Poi, in una seconda tappa, per mezzo della
tecnica delle reti o dei grafi verrà lo studio delle strutture d’ordine par
ziale così come le troviamo nelle classificazioni dei timbri.
Conclusione
L’attuale superamento della musica risiede, a mio avviso, nelle ricer
che delle categorie fuori tempo atrofizzate e dominate dalla categoria
temporale.
Inoltre, questo metodo è in grado di unificare l’espressione delle
strutture fondamentali di tutte le musiche (asiatiche, africane, europee,
e cosi via). Ha un notevole vantaggio: la sua meccanizzazione e di conse
guenza i test e i modelli di ogni tipo che potrà introdurre nei calcolatori
che faranno progredire di molto le scienze musicali.
Assistiamo infatti a un’industrializzazione della musica che, lo si vo
glia o no, è già iniziata. In tutto il mondo invade ormai le nostre orec
chie in molti luoghi pubblici, nei grandi magazzini, dalle radio, dalle
TV, negli aerei e altrove.
Essa consente un consumo di musica su scala fantastica, finora mai
raggiunta. Ma di una musica di infimo livello, fatta di un’accozzaglia di
annosi cliché dei bassifondi dell’intelligenza musicale. Ora, non si tratta
di arrestare questa invasione che, nonostante tutto, aumenta la parteci
pazione alla musica, anche se consumata passivamente. Si tratta di pre
parare una conversione qualitativa di questa musica attraverso una ri Ii
messa in questione e una critica radicale ma costruttiva dei nostri modi
di pensare e di fare musica. Solo cosi, questo scritto vuol essere un mo
dello in tal senso, il musicista può giungere a dominare e a trasformare il
veleno distillato nelle nostre orecchie, a condizione che vi si impegni sen
za più aspettare. Ma occorre anche prendere in considerazione la radica
le trasformazione dell’insegnamento musicale fin dalle prime classi, e
questo in tutto il mondo (avviso per i Consigli nazionali della musica).
In alcuni paesi si insegnano i sistemi non decimali e la logica delle classi.
Perché dunque non insegnare la loro applicazione a una nuova teoria
della musica di cui qui si troverà lo sbocco?
54
VI
1 II senso dato qui a “svelamento della tradizione storica” è paragonabile a quello da
to da E. Husserl in L’origine della geometria.
’ Cfr. Upanishads e Bhagavad GftQ nei riferimenti fatti da A.K. Coomaraswamy in
Hindouisme et Bouddhisme, Gallimard, Paris, p. 36.
55
universale: gli Stati Uniti, la Cina, l’Unione Sovietica, l’Europa, i prin
cipali protagonisti attuali lo ripropongono con un’omogeneità e un’uni
formità che oserei perfino definire inquietanti.
E la ricerca (elenchos) una volta inaugurata incarnò una Ruota della
nascita sui generis e le differenti scuole presocratiche fiorirono condizio
nando tutto l’ulteriore sviluppo della filosofia fino ai nostri giorni. A
mio parere i momenti salienti di questo periodo sono due: il pitagorismo
dei numeri e la dialettica di Parmenide, entrambi espressioni originali
della stessa preoccupazione.
Il pitagorismo dei numeri afferma che le cose sono numeri o che tut
te le cose sono provviste di numeri oppure che le cose sono come i nume
ri, a seconda delle fasi di adattamento che lo stesso pitagorismo ha co
nosciuto fino al quarto secolo avanti Cristo. Questa tesi è sorta — e que
sto interessa particolarmente il musicista — dallo studio degli intervalli
musicali per ottenere la catarsi orfica; infatti secondo Aristosseno, i pi
tagorici usavano la musica per purgare l’anima così come usavano la
medicina per purgare il corpo. Ritroviamo questo metodo anche in altri
orgia, come in quelli dei Coribanti attestati da Platone nelle Leggi. Co
munque il pitagorismo ha impregnato tutto il pensiero occidentale, pri
ma greco poi europeo, attraverso Bisanzio che l’ha trasmesso anche agli
Arabi.
Tutti i teorici della musica, da Aristosseno fino a Hucbald, Zarlino e
Rameau hanno ripreso le stesse tesi colorandole con le espressioni
dell’epoca. Ma la cosa più fantastica è che tutta l’attività intellettuale,
comprese le arti, è attualmente immersa nel mondo del numero (trascu
ro le correnti antiquate e oscurantistiche). Non è lontano il giorno in cui
la genetica, forse, grazie alla struttura geometrica e combinatoria del
DNA, potrà metamorfizzare la Ruota della nascita a volontà, come lo
desideriamo e come preconizzava Pitagora. Dunque non è Vek-stasis or
fica, indù o taoista a raggiungere uno dei massimi obiettivi di sempre —
comandare la qualità delle reincarnazioni (ri-nascite ereditarie, palinge-
nesia) — bensì la forza della “teoria”, della ricerca, che è il fiore
dell’azione umana e di cui il pitagorismo è una delle espressioni più sor
prendenti. Siamo tutti pitagoricP.
Del resto Parmenide, al contrario di Eraclito, ha avuto la capacità di
andare a fondo della questione del cambiamento negandolo. Scoprì il
principio del terzo escluso e della tautologia logica e si produsse una tale
illuminazione che adoperò entrambi i principi come un coltello per rita
gliare nel cambiamento evanescente dei sensi la nozione àeWessente, di
quel che è, uno, immobile, che pervade l’universo, senza nascita e impe
rituro e che, non esistendo il non non essente, è limitato e sferico (quel
che Melisso non aveva compreso).
“Poiché non potrà mai aver forza di costrizione che sia ciò che non
’ B. Russell scrive in “The Nation" del 27-9-1924: “Perhaps thè oddest thing about
modero Science i$ its return to pythagoricism”.
56
è; ma tu allontana invece il pensiero da questa via di ricerca... E rimane
ormai da parlare solo della via che dice che è. Su questa vi sono moltissi
mi segni: essendo ingenerato è anche imperituro, poiché è integro nelle
sue membra e saldo e senza un termine a cui tenda. E non è mai stato e
non sarà mai, perché è ora tutto insieme nella sua compiutezza, uno,
continuo. E infatti quale mai origine vorresti cercare per esso? Come sa
rebbe nato, e di dove? Dal non-essere non ti permetto di dirlo, né di pen
sarlo. Poiché non v’è possibilità di dire o pensare che non è. E qual ne
cessità poi dovrebbe averlo spinto a nascere dopo o prima, se comincia
dal nulla? Cosi è necessario che sia in assoluto o che non sia affatto”4.
Al di là dello stile secco e conciso del pensiero, il metodo della ricer
ca è assoluto. Esso porta a negare il mondo sensibile, fatto soltanto di
apparenze contraddittorie, che gli ‘‘uomini dalla doppia testa” ammet
tono senza batter ciglio, e a porre come unica verità la nozione di realtà.
Ma questa nozione, consolidata con l’aiuto di regole logiche astratte, ha
bisogno soltanto della nozione del suo contrario, il non essere, il niente
che immediatamente risulta impossibile da formulare e da pensare.
Questa concisione e questa assiomatica che vanno oltre gli dei e le
cosmogonie a base di elementi primari5 hanno enormemente colpito i
contemporanei di Parmenide. Si può affermare che questo è il primo
materialismo assoluto e totale. Le ripercussioni immediate sono state, a
grandi linee, la continuità di Anassagora e la discontinuità atomica di
Leucippo. In seguito, tutta l’attività intellettuale è stata profondamente
imbevuta fino ai nostri giorni di questa severa assiomatica. Non è forse
sorprendente in fisica il principio di conservazione dell’energia? L’ener
gia è ciò che pervade l’universo sotto forma elettromagnetica, cinetica o
materiale in virtù dell’equivalenza materia-energia. L’energia è diventa
ta quel che è per eccellenza. La conservazione implica che essa non varia
nemmeno di un fotone in tutto l’universo e che cosi è da sempre e per
l’eternità. D’altronde anche nella logica la verità logica è tautologica:
tutto ciò che è affermato è una verità di cui non esiste alternativa conce
pibile (Wittgenstein). La conoscenza moderna accetta il vuoto, ma è ve
ramente un non essere? O è soltanto la denominazione di una comple
mentarità non chiarita?
Dopo gli scacchi del secolo scorso il pensiero scientifico è diventato
alquanto scettico e pragmatico. E proprio questo ha consentito che si
adattasse e si ampliasse oltre misura. “Tutto avviene come se...” impli
ca un dubbio positivo e ottimistico. Si confida provvisoriamente nelle
nuove teorie e le si abbandona senza difficoltà per altre più efficaci pur
ché tifarlo abbia una spiegazione conveniente che quadri con il tutto. Di
57
fatto questo atteggiamento rappresenta una posizione di ripiego, un ge
nere di fatalismo. Per questo il pitagorismo attuale è relativo (proprio
come l’assiomatica parmenidea) in tutti i campi, comprese le arti.
Nel corso dei secoli le arti hanno avuto conversioni parallele a quelle
delle due creazioni essenziali del pensiero umano: il principio gerarchico
e il principio dei numeri. Di fatto questi hanno dominato la musica, in
particolare dal Rinascimento fino agli attuali procedimenti di composi
zione. Quando a scuola si sottolinea l’unità e la si raccomanda per i temi
e i loro svolgimenti, quando il sistema seriale impone una gerarchia dif
ferente con la sua differente unità tautologica incarnata dalla serie e dal
principio di variazione perpetua ma interno a questa tautologia, eccete
ra eccetera... Insomma tutti questi principi assiomatici che contraddi
stinguono la nostra vita quadrano perfettamente con la questione
dell’essente inaugurata venticinque secoli fa da Parmenide.
Non è mia intenzione mostrare che tutto è ormai stato scoperto e che
siamo soltanto dei plagiari. Sarebbe un evidente nonsenso. Non c’è mai
ripetizione ma una sorta d’identità tautologica attraverso le vicende
dell’essente che si sarebbe immesso nella Ruota della nascita. È come se
avessimo zone meno mutevoli di altre e come se anche il mondo conte
nesse regioni che cambiano solo molto lentamente.
Implicitamente, il poema di Parmenide ammette che la necessità, il
bisogno, la causalità, la giustizia si confondono con la logica e, poiché
Tessente nasce da questa logica, il puro caso è impossibile quanto il non
essente. Questo è evidente in particolare nella frase: “E qual necessità
poi dovrebbe averlo spinto a nascere dopo o prima, se comincia dal nul
la?”. Questa implicazione ha dominato il pensiero per millenni. Affron
tiamo ora un altro aspetto, forse il più importante della dialettica sul
piano pratico dell’azione, cioè il determinismo. Infatti se la logica impli
ca l’assenza del caso, allora per mezzo della logica si può conoscere tut
to e addirittura fare tutto. Il problema della- scelta, della decisione,
dell’avvenire è risolto.
Sappiamo tuttavia che se un granello di caso penetra in una costru
zione deterministica tutto va a rotoli. Per questo le religioni e le filosofie
hanno rimosso sempre e ovunque il caso alle frontiere dell’universo. E
quel tanto di caso che impiegano nelle pratiche di divinazione non era
assolutamente considerato tale ma come una misteriosa rete di segni in
viati da divinità spesso contraddittorie ma che sapevano bene quel che
volevano. Questi segni potevano esser letti da alcuni eletti dagli dei. Cosi
il sistema cinese de\VI-Ching, gli oroscopi di ogni tipo fino ai buoni au
spici dei nostri fondi di caffè. L’incapacità di ammettere il puro caso ha
seguito anche la moderna teoria matematica delle probabilità che è riu
scita a costringerlo entro leggi logiche deterministiche, così che puro ca
so e puro determinismo sono soltanto due facce di una sola entità, come
presto mostrerò con un esempio. Per quel che ne so, in tutta la storia del
pensiero c’è un unico “svelamento” del puro caso, e a osarlo fu Epicu-
58
ro. Epicuro lottava contro le reti deterministiche degli atomisti, dei pla
tonici, degli aristotelici e degli stoici che alla fin fine giungevano alla ne
gazione del libero arbitrio poiché ritenevano che l’uomo fosse sottomes
so alla fatalità della natura. Infatti se tutto è logicamente ordinato sia
nell’universo sia nel nostro corpo, che è un prodotto dell’universo, allo
ra la nostra volontà è sottomessa a questa logica e la nostra libertà è nul
la. Gli stoici per esempio ammettevano che la rete delle connessioni, co
me diremmo oggi, è talmente densa, sensibile e senza perdita d’informa
zione che ogni pur minima azione in una regione della terra aveva una
ripercussione sulla stella più lontana dell’universo.
Si disprezza a torto questo periodo poiché esso soltanto ha discusso
ogni specie di sofismi inaugurando con i megarici il calcolo logico e
creando con gli stoici la cosiddetta logica modale che differisce da quella
artistotelica delle classi. Del resto lo stoicismo con le sue tesi morali, la
sua ampiezza e la sua estensione è senz’altro alla base della formazione
del cristianesimo cui ha ceduto il posto grazie alla sostituzione del casti
go nella persona di Cristo e grazie al mito della ricompensa eterna del
Giudizio Universale, consolazioni degne di un re per i mortali.
Per dare una base assiomatica e cosmogonica alla tesi del libero arbi
trio dell’uomo Epicuro partì dall’ipotesi dell’atomo e ammise che “nella
caduta in linea retta che porta gli atomi attraverso il vuoto, in virtù del
loro peso, a un momento indeterminato, si scostano di poco dalla verti
cale, quanto basta perché si possa dire che il loro movimento se ne trovi
modificato”6. È la teoria deWenklisis (clinamen) esposta da Lucrezio.
Ecco l’introduzione di un principio “insensato” nel bell’edificio deter
ministico atomico. Epicuro quindi basava la struttura dell’universo ora
sul determinismo (la caduta inesorabile e parallela degli atomi) ora
sull’indeterminismo (Venklisis). È sorprendente mettere a confronto
questo principio con la teoria cinetica dei gas proposta per la prima vol
ta da Daniel Bernoulli e che si fonda sulla natura corpuscolare della ma
teria e sul determinismo e l’indeterminismo al tempo stesso. A eccezione
di Epicuro nessuno mai aveva pensato di impiegare il caso come un prin
cipio o un modo di essere.
Si dovette attendere il 1654 perché si formasse una dottrina sull’im
piego e la comprensione del caso; Pascal e sopra tutto Fermat la formu
larono studiando i “giochi d’azzardo”, i dadi, le carte, e così via. Fer
mat ha enunciato le due prime regole di composizione delle probabilità
con la moltiplicazione e l’addizione; nel 1713 fu pubblicata l’opera fon
damentale di Jacques Bernoulli, Ars Conjectandi1, in cui l’autore espo
ne una legge universale, la legge dei grandi numeri. Eccola, enunciata da
Borei: “Dati p come probabilità dell’alternanza favorevole e q come
* Lucrezio, La natura, 11, vv. 216-220, Garzanti, Milano 1975, pp. 86 sg.
’ In quest’opera utilizza per la prima volta il termine stocastico che oggi è sinonimo di
probabilità, di aleatorio, di fortuito, di caso.
59
probabilità dell’alternanza contraria e un numero positivo 8 piccolo
quanto si voglia, la probabilità che la differenza fra il rapporto osserva
to del numero degli eventi favorevoli e il numero degli eventi contrari da
una parte, e il rapporto teorico p/q dall’altra sia superiore in valore as
soluto a s tende a zero quando il numero n delle prove aumenta indefini
tamente”1. Prendiamo l’esempio del gioco di testa o croce. Se la moneta
è perfettamente simmetrica, cioè assolutamente non falsa, allora si sa
che la probabilità p di testa (alternativa favorevole) e la probabilità q di
croce (alternativa contraria) sono uguali a 1/2 e il rapporto p/q a 1. Se si
lancia la moneta n volte, si può ottenere P volte testa e Q volte croce, il
cui rapporto P/Q è in generale diverso da 1. La legge dei grandi numeri
dice che più si giocherà, ossia più sarà grande il numero n delle partite,
più il rapporto P/Q sarà vicino a 1.
Così Epicuro, che ammise la necessità di una nascita in un momento
indeterminato, in piena contraddizione con tutto il pensiero, anche mo
derno, resta un caso isolato poiché l’aleatorio, l’attuale stocastica, è il
risultato di un’ignoranza accettata, come ha precisato Henri Poincaré.
E il calcolo delle probabilità, se ammette l’incertezza della testa o della
croce per ciascun lancio, inquadra questa incertezza in due modi, l’uno
ipotetico (l’ignoranza della traiettoria produce l’incertezza), l’altro de
terministico (la legge dei grandi numeri toglie l’incertezza con l’aiuto del
tempo o dello spazio). Tuttavia esaminando più da vicino l’esempio del
testa o croce vedremo come la simmetria è strettamente legata all’impre-
vedibilità. Se la moneta è perfettamente simmetrica, cioè costituita in
modo perfettamente omogeneo e uniformemente distribuita nella sua
massa, allora l’incertezza9 per ciascun lancio sarà massima e la probabi
lità per ogni faccia sarà di 1/2. Se ora falsifichiamo la moneta distri
buendo la materia dissimmetricamente o, più semplicemente, sostituia
mo per esempio parte deH’alluminio con il platino che ha un peso speci
fico otto volte maggiore, allora la moneta tenderà a disporsi con la fac
cia più pesante rivolta a terra e questo diminuirà l’incertezza e le proba
bilità delle due facce saranno ineguali. Se la sostituzione delle materie è
spinta fino al limite, se per esempio l’alluminio viene sostituito con un
foglio di carta e l’altra faccia è interamente di platino l’incertezza tende
rà allora a zero, cioè tenderà verso la certezza di avere sempre la stessa
faccia leggera rivolta verso l’alto. Ecco dunque dimostrato il legame in
verso fra l’incertezza e la simmetria. Questa notazione ha l’aria di una
tautologia, ma non è tale più di quanto non lo sia la definizione mate
matica della probabilità. La probabilità è il rapporto fra il numero dei
casi favorevoli e il numero dei casi possibili quando tutti i casi sono con-
E. Borll, Éléments de la théorie dea probabitilés, Albin Michel. Paris 1950, p. 82.
L’incertezza, anche se misurata con l'aiuto dell’entropia della teoria deH’informazio*
ne, dà un massimo quando le probabilità pel — p sono uguali.
60
siderali ugualmente probabili. Oggi la definizione assiomatica della pro
babilità non toglie questa difficoltà, la delimita.
Eccoci dunque a questo punto dell’esposizione sempre immersi nelle
linee di forza inaugurate venticinque secoli or sono e che continuano a
sorreggere il fondamento dell’attività umana, a quanto pare con la mas
sima efficacia. Ecco dunque da dove vengono i problemi che agitiamo
nell’oscurità della nostra ignoranza. Determinismo o alea10, unità di sti
le o eclettismo, calcolo o no, intuizione o costruttivismo, apriorismo o
no, una metafisica attraverso la musica o semplicemente la musica come
mezzo di divertimento e così via. Ma ecco gli interrogativi che dovrem
mo porre:
1° Che conseguenza avrà per la composizione musicale la cosciente
assunzione del campo pitagorico-parmenideo?
2° Per quali vie?
Risposte:
1° La riflessione intorno a ciò che è ci conduce direttamente alla ri
costruzione, per quanto è possibile ex nihilo, dei dati di base della com
posizione musicale e sopra tutto al rigetto di ogni dato che non abbia su
bito la ricerca (elenchos, dizesis).
2° Questa ricostruzione sarà ispirata da metodi assiomatici moderni.
Sulla base di alcune premesse siamo in grado di costruire un edificio
musicale di tipo generale, cioè tale che le espressioni di Bach, di Beetho
ven, di Schònberg e di altri siano casi realizzati, particolari, di una gi
gantesca virtualità resa possibile dallo spianamento e dalla ricostruzione
assiomatici che abbiamo annunciato.
Come ho già proposto in altri scritti", è necessario scindere in due
parti le costruzioni musicali:
a) la prima appartiene al tempo e è un’applicazione di entità o di
strutture alla struttura d’ordine del tempo;
b) la seconda è indipendente dal divenire temporale. Dunque, due
categorie: in tempo e fuori tempo. Nella categoria fuori tempo sono in
cluse le durate e le costruzioni (relazioni e operazioni) che riguardano gli
elementi (punti, distanze, funzioni, e altro) che appartengono all’asse
del tempo e su cui possono esprimersi. Il temporale è dunque riservato
alla creazione istantanea.
Nel numero 29 della rivista “La Nef” ho accennato brevemente alla
struttura della musica monofonica e alla sua ricca combinatoria fuori
tempo, alla luce dei testi di Aristosseno di Taranto e dei manuali dell’at-
61
tuale musica bizantina. Questa struttura illustra in modo sorprendente
quel che intendo con categoria fuori tempo.
La polifonia ha rimosso nell’inconscio dei musicisti dell’occidente
europeo questa categoria ma non l’ha annullata del tutto; del resto sa
rebbe stato impossibile. Dopo Monteverdi e per circa tre secoli domina
no ovunque nell’Europa centrale e occidentale sopra tutto le architettu
re in tempo espresse dalle funzioni tonali (modali). Tuttavia la rinascita
delle preoccupazioni fuori tempo si produce in Francia con Debussy e la
sua invenzione della gamma per toni. Vi è in gioco un triplice contatto
con le tradizioni più conservatrici degli orientali: il canto piano, scom
parso ma riscoperto dagli abati di Solesmes, una delle tradizioni bizanti
ne attraverso Mussorgskij, e l’Estremo Oriente.
Questa rinascita si perpetua magnificamente attraverso Messiaen e i
suoi “modi a trasposizioni limitate” o i suoi “ritmi non retrogradabili”
ma non giunge a imporsi come una necessità generale e a oltrepassare il
quadro delle scale. D’altronde egli stesso abbandona questo filone, ce
dendo alla pressione della musica seriale.
Per rimettere le cose nella loro giusta prospettiva storica, è necessa
rio disporre di altri strumenti più potenti quali la matematica e la logica
e andare al fondo delle cose, delle strutture del pensiero musicale e della
composizione. È quel che ho cercato di fare nei due testi prima citati e
quel che svilupperò attraverso l’analisi di Nomos alpha.
Voglio comunque metter qui l’accento sul fatto che in Francia di
nanzi all’evoluzione generale che sfocia nell’atrofia della categoria fuori
tempo a vantaggio delle strutture in tempo'2 la categoria fuori tempo è
reintrodotta in musica con Debussy e Messiaen'1. Infatti l’atonalità sop
prime le gamme e accetta la neutralità fuori tempo della gamma per
semitoni'4. Del resto questa situazione non è praticamente cambiata da
cinquant’anni. Per supplire a questo impoverimento, essa introdusse
con Schònberg l’ordinamento in tempo. In seguito, con l’introduzione
che mi sono permesso dei processi stocastici, l’ipertrofia della categoria
in tempo diviene opprimente e giunge a una strada senza uscita dove an
cor oggi si agitano le musiche chiamate abusivamente “aleatorie” oppu
re quelle improvvisate, quelle grafiche e cosi via.
Le questioni della scelta nella categoria fuori tempo sono trascurate
come se i musicisti non intendessero e sopra tutto non pensassero. Si li
brano inconsapevoli, trascinati dalle agitazioni dei modi musicali di su
perficie che subiscono sventatamente. Tuttavia, in profondità ci sono le
Intorno al 1870 A. de Benha creava le sue gamme ornatone prima e seconda per toni
e semitoni alternali che si possono notare con la nostra scrittura (3,, v 3n ,3n v 3n. ().
" Ho fatto una nuota interpretazione dei modi a trasposizione limitata ci Messiaen di
cui l’essenziale può essere riassunto in ciò che segue.
14 Già nel 1895 Loquin, professore al Conservatorio di Bordeaux, propugnava l'ugua
glianza dei dodici suoni dell’ottava.
62
architetture fuori tempo e è privilegio dell’uomo sostenerle ma anche
costruirle e superarle.
Sostenerle? Sì, e sono le evidenze primarie di quest’ordine che ci
consentiranno d’inscrivcrci nel campo pitagorico-parmenideo e di fonda
re la piattaforma da cui potremo gettare i ponti della comprensione e
dell’intelligenza nel passato (di cui siamo il prodotto da milioni di anni),
nell’avvenire (di cui siamo ugualmente il prodotto), nelle altre civiltà so
nore su cui c’intrattengono cosi male le attuali musicologie, in mancan
za dell’attrezzatura originale che proponiamo loro, anche a loro, così
gentilmente!
Proporrò due assiomatiche che ci apriranno nuove porte, come ve
dremo nell’analisi di Nomos alpha.
A questo scopo partirò da una posizione primitiva della percezione
dei suoni, primitiva tanto in Europa quanto in Africa o in America. Gli
abitanti di tutti questi paesi hanno imparato da decine, centinaia o mi
gliaia di anni a distinguere nei suoni (né troppo lunghi né troppo brevi)
caratteristiche conosciute con i nomi di altezza, istanti, intensità, rugosi
tà, velocità di cambiamento, colore, timbro... Sono anche capaci di par
lare in termini di intervalli rapportati alle prime tre caratteristiche.
63
(8„ A 3n+l) V (8n+2 A 3.'n + l) v (8n+4 A 3,’n+l) v (Sn+6 A 3n)
64
possono invertire gli ordini degli intervalli senza che il risultato cambi.
Abbiamo mostrato che fin dall’antichità (cfr. Aristosseno) e ovunque
sulla terra l’esperienza primitiva dei musicisti attribuisce agli intervalli
una struttura di gruppo commutativo.
Attualmente possiamo comporre questo gruppo con una struttura di
corpo. Sono possibili almeno due corpi, l’insieme dei numeri reali R e
l’insieme isomorfo dei punti di una retta. Inoltre è possibile combinare il
gruppo abeliano degli intervalli con il corpo C dei numeri complessi o
con un corpo caratteristico P. La combinazione del gruppo degli inter
valli con un corpo forma uno spazio vettoriale per definizione nel modo
seguente: come ho appena detto il gruppo G degli intervalli ha una legge
di composizione interna, l’addizione. Siano a, b due elementi del grup
po. Allora abbiamo:
1) a + b = c, c e G;
2) a + b + c = (a + b) + c = a + (b + c) associatività;
3) a + o = o + a con o G G l’elemento neutro (l’unisono);
4) a + a’ = o con a’ = — a = il simmetrico di a;
5) a + b = b + a commutatività.
Si noterà la composizione esterna degli elementi di G con quelli del
corpo C attraverso un punto. Se x, fi, e C (= per esempio il corpo dei
numeri reali) allora si avranno le seguenti proprietà:
6) x . a, fi . a 6 G;
7) 1 . a = a . 1 = a ( 1 è l’elemento neutro di C per la moltiplicazio
ne);
8) x . (ga) = (x . fi) . a associativi delle x, fi-
9) (x + fi) . a = x.a + fi.a'
distributività.
x . (a + b) = x.a + x.b
La struttura di spazi vettoriali degli intervalli di alcune caratteristi
che dei suoni ci consente di trattare matematicamente i loro elementi e di
esprimerci sia con l’insieme dei numeri, indispensabile per il dialogo con
i calcolatori, sia con l’insieme dei punti di una retta, poiché l’espressione
grafica risulta spesso molto comoda.
Le due assiomatiche precedenti possono essere applicate alle caratte
ristiche dei suoni che hanno la stessa struttura.
Per esempio, per ora non avrebbe senso parlare di una scala di tim
bri che sia universalmente accettata come lo sono le scale delle altezze,
delle durate e delle intensità. Invece, i tempi, le intensità, la densità (nu
mero di eventi per unità di tempo), la quantità di ordine o di disordine
(misurata dall’entropia), e così via, possono essere messi in corrispon
denza biunivoca con l’insieme dei numeri reali R e l’insieme dei punti di
una retta.
65
ó
ALTEZZE DURATE INTENSITÀ DENSITÀ ORDINE
t
T -O (H,T)
ò- -+-
H h
66
risultati binari in notazione musicale). Ma teoricamente ogni musica
può essere trascritta contemporaneamente in questi tre codici. Ecco un
esempio di corrispondenza:
A->440 c/$
x~- 1 ton
1M 1
= 1sec = * /
N T H V D I
1 1,00 1 0 0,66 3
2 1,66 6 0 0,33 5
3 2,00 6 + 17,5 0,80 6
4 2,80 13 0 ? 5
67
h
Per quanto riguarda il punto 7°, il disordine totale potrà aver senso
solo se calcolato secondo la teoria cinetica dei gas. Nessun’ahra rappre
sentazione è più comoda per lo studio della rappresentazione grafica.
Supponiamo invece ora alcune strutture costruite per mezzo della di
scontinuità, per esempio per mezzo di suoni puntuali o per mezzo di piz
zicati di corde. Possiamo ripetere quanto abbiamo detto a proposito
della continuità.
L’astrazione è talmente generosa che i sette punti precedenti saranno
identici. Inoltre una mescolanza tra discontinuo e continuo può darci
una nuova dimensione.
68
h
'W-
Ex
Caso generale
69
xp (U, 0 per i = 1, 2, 3, 4 con ^'(U, (U, f)
e (U, (U, f)-^‘ (U, (U, f) ordinati dalla stessa relazio
ne-^.
— Lo stesso per xp (U, m) e xp (U, p).
— Per semplificare scrivo uf = { u: u E xp* (U, f) }, lo stesso per uj
e ukp.
— Allo stesso modo creo delle sottoclassi di equivalenza in due altri
insiemi G e D.
— Ammetto che U rappresenta l’insieme dei valori di tempo, G l’in
sieme dei valori di intensità, D l’insieme dei valori di densità con:
f m p }
u= Ui, Uj, uk (
f m P |
G = gl. gì. gk (
f m pi
D = di, dk j per i, j, k = 1, 2, 3, 4.
70
X
K. X
co e S c K, = X <= «p c UxGxD
elemento vertice insieme via x
e (U x G x del dei ver (sottoin
D) poliedro tici del sieme di
X poliedro UxGxD)
Kj
Organizzazione in tempo
L’ultima applicazione si farà nel tempo in due modi possibili al fine
di manifestare le particolarità di questo gruppo poliedrico o del gruppo
simmetrico che gli è isomorfo:
a) 1 vertici del poliedro si enunciano successivamente (immagine del
gruppo simmetrico); operazione t<>.
b) 1 vertici si enunciano simultaneamente (n voci simultanee); opera
zione ti.
Prodotto t0 X 0o
X
I vertici Kj si enunciano successivamente con:
1° un solo complesso sonoro Cr sempre lo stesso, per esempio con
una nube di suoni soltanto puntuali;
2° diversi complessi sonori al più n ma connessi biunivocamente agli
indici dei vertici di Kjj
3° diversi complessi sonori le cui apparizioni successive formano le
operazioni del gruppo poliedrico, i vertici i (definiti da u x g x d) ap
paiono sempre nello stesso ordine;
71
4° diversi complessi sonori sempre nello stesso ordine mentre 1 0
ne dei vertici i riproduce le trasformazioni del gruppo;
I
5° diversi complessi sonori si trasformano indipendentemente dai
vertici del poliedro.
Prodotto t., e 6,
L’elenco di questo prodotto sarà ottenuto dal precedente sostituen
do H x X a Cj.
Prodotto t0 x
L’elenco è facile da disporre.
Il caso t, e 0j è sorto dai casi precedenti per analogia.
A questi prodotti operazionali in tempo dovrebbero aggiungersi ope
razioni in spazio quando, per esempio, le fonti sonore sono distribuite
nello spazio come in Terrètektorh*.
• Le quattro figure seguenti illustrano i differenti stati del “caso particolare” di No-
mos alpha.
72
A-À-À?Ài
» .Li o À-À-ÀrA'
A A; A-A-
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74
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Cr
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75
Caso particolare
76
di Nomos alpha
Organizzazione in tempo
77
1 Questi otto punti sono considerati solidali tra loro in modo da for
mare un cubo. (Applicazione di questi otto punti sugli otto vertici
di un cubo). Il gruppo formato dalle sostituzioni di questi otto
punti, isomorfo al gruppo simmetrico P4, è preso come principio
organizzatore. Cfr. il disegno w, a pagina 73.
:
78
!i
I - Le trasformazioni in se stesso del cubo costituito dagli elementi
K, formano il gruppo esaedrico isomorfo al gruppo simmetrico
P<;
regole di messa in tempo:
. la: i vertici del cubo di ogni trasformazione sono enunciati suc
cessivamente grazie a una corrispondenza biunivoca.
2a: Anche le trasformazioni sono successive (per un insieme più
grande di strumenti si potrà scegliere una delle simultaneità pos
sibili). Esse seguono i diversi grafi (diagrammi cinematici) ine
renti alla struttura interna di questo gruppo particolare. Cfr. w,,
w2, w, alle pagine 73, 75.
79
IV Si formano i prodotti: Kj x Cj e K, x Cm. Successivamente si
prende un insieme, prodotto dei due insiemi H x X. L’insieme
H è lo spazio vettoriale delle altezze e l’insieme X è l’insieme dei
modi di eseguire le Cj. Questo prodotto è dato da una tabella a
doppia entrata.
estr. acuto
acuto medio
grave medio
estr. grave
pizz. f.c.1. an. pizz. gl. an a trem. harm. hr trem. asp. asp trem an ainterf.
I| |__ I
Cr Cr Cj c4.c5.c6
Pizz.: pizzicati;
fcl: colpito con il legno dell’archetto;
an: archetto normale;
pizz. gl.: pizzicato-glissando;
a trem.: archetto tremolo;
harm.: suono armonico
hr trem.: armonico tremolo;
asp: arco sul ponticello;
asp trem.? arco sul ponticello tremolo;
a interf.: arco con interferenze.
80
IV — I prodotti k[ x Cj e Ki x Cm sono il risultato del prodotto di
due grafi delle trasformazioni chiuse del cubo in se stesso. L’ap
plicazione dei grafi è biunivoca e si enuncia successivamente:
Ci | Grafo (DQ?)
Es: |
Kj Grafo (DQ>) Cfr. w, p. 75
81
VII —L’insieme delle funzioni logiche (a), i cui moduli sono tratti dal
sottoinsieme formato dalle classi residuali di modulo 18 e prime
tra queste, da quelle specificate dall'operazione di moltiplicazio
ne e di riduzione di modulo 18, è utilizzato in quest’opera:
(a) L (m, n) = (nj v n, v nk v n,) a mp v (mq v mr)
ad, v (nt v nu v nw)
82
elementi del prodotto K, x C, x Hestr x X della via V2 che sono
enunciati per intermittenza.
VII —Tutte tre le sostituzioni dei due cubi, K, e Cj la funzione logica
L(m, n), cambio che segue il suo diagramma cinematico, deriva
to dal gruppo: moltiplicazione per coppie delle classi residuali e
riduzione modulo 18.
83
Analisi dettagliala dell'inizio della partitura [L(l 1, 13)] fatta da Fer-
nand Vandenbogaerde*.
Ss K5 = 2,83 f
S6 k6 = 3,72 ff
S, k7 = 7,98 ff
S8 K8 = 6,08 f
(Nel testo di Fernand Vandenbogaerde Cn è sostituito da Sn).
Cfr. la partitura edita da Boosey & Hawkcs c il disco edito da Pathc-Marconi. Il let
tore potrà riferirsi alla nota di li rsand VAMjrswx.At rdi , Analyse de Nomos Alpha de
1. Xenakis, Schola Cantorum. classe di trasmissione e acustica applicata, anno 1966-1967.
84
Ia sequenza:
1 2 3 4 5 6 7 8
I I I 4 I I I I
D (Sn) = S2 S3 S. s< S6 S7 Ss S8
D (Kn) = K2 K3 K, K8 K7 Ks K8
2,25 2,25 1 10 3,72 7,98 2,83 6,08
fff fff mf mf ff ff f f
Questa parte inizia dunque con un pizz. glissato la cui tendenza è
all’inizio nulla, poi debolissima (1/4 di tono in 2,5 secondi) sulla nota
DO origine del reticolo, e fff (con il glissando che inizia ppp).
La parte S. consiste in un “battere con legno" su DO / DO#RE,
fff (con p al centro).
85
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90
Nella parte S, le tendenze dei glissandi di senso contrario si annulla
no. L’allargamento nella parte S4 è prodotto dallo spostamento della li
nea inferiore e dal prodursi di battimenti; la nube viene introdotta da un
pizzicato sulla quarta corda, ottenuto con l’appoggio dell’indice sulla
nota che si trova tra parentesi quadre, effettuato con il pollice sulla par
te della corda compresa tra il capotasto e l’indice, ottenendo come risul
tato sonoro la nota tra parentesi”.
« *
’* Cfr. J. Piaget, Lo sviluppo della nozione di tempo ne! bambino, La Nuova Italia,
Firenze 1979 c La rappresentazione dello spazio ne! bambino. Giunti Barbera, Firenze
1976.
91
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92
LA CRISI DELLA MUSICA SERIALE
... D’ora innanzi al compositore seriale è consentito tutto o quasi tutto. Combina
zioni di timbri inauditi, durate infinitesimali o infinite, intensità di ogni ordine,
continuità assoluta o discontinuità di movimento. Ma proprio per questo fatto il
sistema seriale si trova fuori sesto. Sembra che la sintesi totale di Mcssiacn abbia
messo il punto finale alla sua evoluzione. Ormai da anni i perfezionamenti di det
taglio non fanno più breccia nell’impasse. La crisi della musica seriale è aperta.
Effettivamente il sistema seriale è ridiscusso nelle sue due basi che contengono in
germe la loro distruzione e il loro superamento:
a) la serie;
b) la struttura polifonica.
La serie (di ogni natura) procede da una “categoria” lineare del pensiero. É una
filza di oggetti in numero finito. Ci sono oggetti e c’è numero finito perché c’è sta
lo il piano temperato con 12 suoni (senza le ottave). In elettronica sarebbe assurdo
pensare unicamente in quanta di frequenza. Perchè 12 e non 13 o n suoni? Perché
non la continuità dello spettro delle frequenze? Dello spettro dei timbri? Dello
spettro delle intensità e delle durate? Ma lasciamo da parte la questione della conti
nuità (d’altronde fra poco tempo sarà per la ricerca musicale il corrispettivo dello
stato ondulatorio del corpuscolo-onda della materia). Ritorniamo invece all’aspei-
to discontinuo degli spettri del suono, aspetto fondamentale delle sensazioni uma
ne (leggi logaritmiche o aritmetiche di percettibilità comparativa delle frequenze,
delle intensità, delle durate).
Supponiamo dunque, per semplificare, una progressione geometrica delle frequen
ze (o di un’altra componente del suono) a n termini. L’ordine degli n termini può
essere permutato. Nella serie classica la scelta della disposizione dei 12 suoni era
più o meno arbitraria ma costante per una data opera (serie originale). Con gli n
termini si può utilizzare n fattoriale (n! = 1. 2. 3...n) permutazioni. Tutta una lo
gica basata sul calcolo combinatorio e sulle condizioni iniziali può consentire un
impiego musicale di questi n oggetti (di frequenze o di altre componenti).
Il calcolo combinatorio non è che una generalizzazione del principio seriale. Si tro
va in germe nella scelta della disposizione originale dei 12 suoni. Messiaen aveva
presentito questo segreto nelle interversioni dei 12 suoni e delle durate nell’//e de
feu 2.
La polifonia lineare si distrugge da sé attraverso la sua attuale complessità. Quello
che si sente è in realtà soltanto un ammasso di note a vari registri. L’enorme com
plessità impedisce all'ascolto di seguire l’intreccio delle linee e ha come effetto ma
croscopico una dispersione irragionevole e fortuita dei suoni su tutta l’estensione
dello spettro sonoro. Conseguentemente c’è contraddizione tra il sistema polifoni
co lineare e il risultato sentito che è superficie, massa.
Questa contraddizione inerente alla polifonia scomparirà quando l’indipendenza
dei suoni sarà totale. Infatti, non essendo più operanti le combinazioni lineari e le
loro sovrapposizioni polifoniche, conterà la media statistica degli stati isolati di
trasformazione delle componenti in un dato istante. L'effetto macroscopico potrà
dunque essere controllato attraverso la media dei movimenti degli n oggetti scelti
da noi. Ne risulta l’introduzione della nozione di probabilità che d’altronde impli
ca in questo caso preciso il calcolo combinatorio. ...
Brano tratto da un testo pubblicato nei
“Gravesaner Blàtter”, 1, Scherchcn, Gravesano 1955.
93
Seconda parte
ARCHITETTURA
I
// Padiglione Philips
all’alba di un’architettura
Introduzione
Per capire il Padiglione Philips e il suo posto nell’evoluzione verso
un’architettura nuova che esso afferma e sviluppa occorre situarlo nel
suo contesto storico.
È quanto intendo dimostrare.
Fin dalla più remota antichità l’architettura non è una manifestazio
ne veramente spaziale ma si basa essenzialmente su due dimensioni, è es
senzialmente piana.
Le figure quadrate, rettangolari, trapezoidali, circolari dei templi,
delle abitazioni, dei palazzi, delle chiese, dei teatri, ecc., sono piane. Si
penetra nella terza dimensione per traslazione parallela seguendo la di
rezione verticale.
La terza dimensione concepita e realizzata in questo modo è fittizia,
omeomorfa al piano, non apporta alcun elemento volumetrico nuovo.
L’insieme spaziale è formato dunque solo da un primo gruppo, prima
rio, di volumi che chiameremo “gruppo di traslazione’’.
Scatole quadrate, rettangolari, cilindriche, eccetera.
filo a piombo,
vettore della
traslazione
Gli edifici egizi, sumeri, babilonesi, persiani, cretesi, greci, indù, ci
nesi, aztechi, bizantini, rinascimentali, barocchi e moderni appartengo
no essenzialmente a un sottogruppo rettilineo. Sono dominati e regolati
dalla retta, dal piano (che è una superficie regolata elementare) e
97
dall’angolo retto (che è espressione dì simmetria, di equipartizione di
una superficie piana e misura dell’angolo formato dalla perpendicolare
al piano orizzontale, espressione della gravità terrestre).
L’altro sottogruppo di traslazione, il sottogruppo circolare basato
sul cerchio (cilindri, archi — volte), aveva molta meno presa sul pensie
ro e sulla sua materializzazione. Tuttavia seguiva una via parallela di
evoluzione latente. Le abitazioni neolitiche, le tombe arcaiche, le roton
de si sono fuse con le tecniche del Medio Oriente e hanno creato la cupo
la, primo timido elemento tridimensionale di cui Santa Sofia è una tap
pa decisiva.
Tempi moderni
98
rismo delle nervature in cemento armato e in acciaio, questo caro ritor
no al cuore antico del sottogruppo rettilineo, quest’ultima superba
fiammata prima del declino già iniziato.
L’architetto non ha inteso il messaggio delle arti plastiche. Gli inge
gneri e gli esperti di statistica si sono incaricati di farlo. Timidamente e
lentamente il problema astratto del minimo sforzo in materia di coper
ture orienta i calcolatori verso soluzioni originali che aprono all’archi
tettura una nuova era, probabilmente più rivoluzionaria e più originale
che mai. L’architettura di traslazione sembra concludere nel nostro tem
po la sua corsa magnifica ma restrittiva che pure ha dato tanti prodotti
eterni pieni d’intelligenza e di poesia. Si assiste ora all’alba di un’altra
architettura, realmente a tre dimensioni, più ricca, più sorprendente. Si
tratta dell’architettura del gruppo volumetrico.
IL PADIGLIONE PHILIPS
Un "architettura volumetrica
Le Corbusier accetta
“Non vi farò un padiglione ma un Poema elettronico e una bottiglia
contenente il poema: 1° luce, 2° colore, 3° immagine, 4° ritmo, 5° suo
no riuniti in una sintesi organica accessibile al pubblico e che mostra
cosi le risorse dei prodotti Philips”.
Dati generali
II Poema elettronico avrà una durata di dieci minuti.
Luce, colore, immagine, sono coordinati da Le Corbusier in perso
na. Egli stesso fa lo scenario ottico del Poema elettronico.
Per la musica Le Corbusier sceglie uno dei più grandi compositori
contemporanei, Edgar Varèse, esplosivo precursore della disintegrazio
ne dei timbri, del ritmo e del discorso sonoro (un brano della durata di
otto minuti).
99
Chiede poi a me di comporre la musica dell’interludio (durata: 2 mi
nuti); mi chiede anche di studiare l’architettura del padiglione.
L’involucro del padiglione potrà contenere quattrocento-
cinquecento persone, le apparecchiature per il video e quelle per gli udi
tori, i magnetofoni e i servomeccanismi a thyratron. Tutto sarà registra
to su nastri magnetici, nessuno spazio dunque per l’improvvisazione.
Il Poema elettronico è così definito a grandi linee.
Nell’ottobre del 1956 Le Corbusier m’incaricava di disegnare queste
idee e di provare “a tradurle attraverso la matematica”. Mi consegnò
uno schizzo che trascrivo qui:
Si
S2
$3
100
“Per il retro del Padiglione Philips si richiede una superficie sempli
ce e convessa per non influenzare troppo la vista sul giardino e sui prati
che circondano le costruzioni olandesi’’.
Qualsiasi altra idea di ricerca plastica doveva essere scartata perché
avrebbe nuociuto allo spettacolo e all’audizione.
“Poiché nella ‘bottiglia’ è notte, poco importa che sia bella’’. Le
Corbusier ha immediatamente rivolto ogni suo sforzo creativo allo spet
tacolo visivo. Non aveva mai avuto nella vita l’occasione di fare uno
spettacolo con i mezzi del cinema e delle proiezioni a colori compieta-
mente a sua disposizione. Era felicissimo di potersi esprimere in un mo
do diverso da quello architettonico e pittorico. Sarebbe stata una visione
del mondo sintetica e cinematica a modo suo, una sua visione totale:
realismo, colori, atmosfere, creazioni personali che in una successione
folgorante avrebbero dovuto comporre un affresco magnificamente vi
vo.
“Lo scopo del mio intervento non è fare un locale di più nella mia
carriera ma creare con voi un primo ‘gioco elettrico’, elettronico, sin
cronico in cui la luce, il disegno, il colore, il volume, il movimento e
l’idea formino un tutto sbalorditivo ma, naturalmente, accessibile alla
folla”.
Ecco come bisogna intendere il senso che Le Corbusier dava all’ar
chitettura del padiglione.
“Il Padiglione Philips sarà un edificio a basso costo, una specie di
struttura cava, un involucro di cemento senza nessuna esistenza ‘archi
tettonica’, secondo l’espressione corrente”.
Riassunto delle idee di Le Corbusier
1 ° Forma cava realizzata in ferro cemento con una capienza di sei-
settecento persone.
2° Questa forma sarà sospesa a un’impalcatura metallica che com
porterà un tetto-riparo.
3° La forma dovrà essere costituita da superfici piane per le proie
zioni filmate e da superfici curve, concave e convesse per le proiezioni di
colore.
4° Un pozzo aereo prolungherà la forma per consentire che imma
gini in lontananza appaiano e scompaiano, e questo per creare un’im
pressione di profondità dei volumi.
Primo studio di Xenakis
Feci parecchie prove rimaste infruttuose, basate essenzialmente sul
disegno di Le Corbusier che intendevo rispettare al massimo.
D’altra parte le idee di Le Corbusier, data la loro generalità, permet
tevano ogni sorta d’iniziativa.
Per ordinare i fattori determinanti la forma del padiglione procede
vo a una nuova analisi:
101
I ° Superficie di sviluppo del movimento del pubblico:
II pubblico resta otto, dieci minuti in piedi e si distribuisce in modo
omogeneo su tutta la superficie interna.
Risultalo astratto in piano: cerchio con due cunicoli, l’entrata e
l’uscita.
2° Auditorium elettroacustico (ricettacolo degli sviluppi attuali del
la musica elettromagnetica):
La riverberazione dev’essere abbastanza debole. !
Le superfici piane parallele devono essere eliminate perché produco
no riflessioni multiple.
Così pure gli angoli triedri perché c’è riverberazione accumulata sui
piani bisettori degli angoli diedri.
Le superfici curve, non di rivoluzione, a raggio di curvatura variabi
le sono invece eccellenti. Le porzioni di sfera per esempio sono da rifiu
tare perché condensano il suono al centro.
3° Luce colorata-proiezioni:
Gli orizzonti colorati, i volumi generati dalla luce riflessa devono es
sere fantasmagorici. Dunque superfici curve sfuggenti o ricettive di luci
perpendicolari, oblique, radenti che creano volumi che si muovono, si
chiudono, si aprono, volteggiano.
4° Costruzione - Tecnica:
Fra tutte le superfici geometriche, quali sono autoportanti, accessi
bili al calcolo statico e realizzabili in un normale cantiere?
Quest’ultimo capitolo doveva darmi la chiave, l’invariante che ri
sponde alle altre due domande.
Le mie ricerche musicali sui suoni a variazione continua in funzione
del tempo (vedi LE Corbusier, Modulor //, ultime pagine) mi facevano
propendere per strutture geometriche a base di rette: superfici regolate.
D’altra parte le ricerche originali di precursori dei paesi stranieri e in
particolare quelle di Bernard Laffaille, pioniere in Francia in questo
campo, mi avevano reso familiari le superfici regolate semplici generate
da rette e curve piane, i paraboloidi iperbolici e i conoidi. Queste super
fici, da molto tempo note ai geometri, non solo erano state studiate da
una generazione attraverso la statica e la teoria dell’elasticità delle vele
sottili, ma recentemente erano anche state realizzate in vari paesi in ce
mento armato gettato in opera ma sempre per sostituire le coperture o i
tetti-terrazza.
Fino a questo momento, cioè fino al Padiglione Philips, queste su
perfici non erano mai state utilizzate in una sintesi d’insieme che esclu
desse le pareli verticali e un’ossatura estranea alla loro natura.
Era per me un’occasione unica d’immaginare un edificio costituito
nella struttura e nella forma solamente da paraboloidi iperbolici (P.l.) e
da conoidi e che fosse autoportante.
102
Possiamo riassumere tutti questi percorsi convergenti del pensiero
con un vettore in forma di matrice:
103
1
Ricerca spaziale
Schizzo n. 11 primo
progetto
104
Nel n. 11 la terza cuspide (+11 metri) è costituita. Essa equilibra
plasticamente il brusco orientamento delle prime due ( + 17 e + 13 nv-
Inoltre crea una torsione generale di volume in direzione della prima cu
spide.
La soluzione è autoportante?
Probabilmente con qualche modifica.
Il 15 ottobre 1956 presentai lo schizzo n. 11 a Le Corbusier e gliene
proposi la formula.
Egli approvò senza riserve e mi chiese di farne un modello atto a ren
dere lo schizzo più esplicito perché Kalff potesse coglierlo più facilmente
egli ingegneri di un’impresa parigina di costruzioni metalliche potessero
stabilire un’offerta preliminare.
Per realizzare il modello dovetti tendere alcuni fili sulle linee d inter
sezione delle superfici e materializzare queste linee con corde da piano
forte a gomito incastrate nell’asse di legno. Le tre aste verticali risultanti
hanno avuto una conseguenza inattesa e molto importante. Hanno fatto
a deviare fino alla fine, fino al progetto definitivo, l’attenzione degli inge
gneri delle varie imprese che sono state consultate e quasi tutte sfiore
ranno la soluzione autoportante.
105
c) Ossatura metallica che segue le corde da pianoforte del modello
con linee d’intersezione in forma di putrelle curve. (Respinta.)
d) Riduzione globale del volume del 25%. (Respinta.)
Queste critiche fondamentali mi permisero di vedere più chiaro e di
studiare a fondo e matematicamente le superfici e la composizione.
Autocrìtica plastica:
à) Non c’era abbastanza differenza tra l’altezza della seconda cuspi
de ( + 13 m) e quella della terza (+11 m). Come contraccolpo, la cavità
era troppo alta (+ 9 m).
d) Il cono L di raccordo mancava di generosità, sembrava indeciso,
al limite dell’“esistenza”.
Per studiare il padiglione nella sua nuova forma e preparare i disegni
che gli ingegneri chiedevano bisognava scegliere fra tre metodi: algebri
co, geometrico (geometria descrittiva), sperimentale. Una combinazione
di metodi geometrici e sperimentali mi parve la più probante.
La geometria descrittiva dà un’approssimazione pari a quella dell’al
gebra.
Essa presenta due enormi vantaggi rispetto all’algebra:
1° I rischi di errore sono minori e visivamente controllabili.
2° È suggestiva.
È impensabile lavorare alle combinazioni di tali forme con funzioni
algebriche totalmente astratte. In una ricerca come questa l’impercetti
bilità della curvature e il loro dinamismo non possono mai essere imma
ginali attraverso equazioni. Questo padiglione doveva essere eminente
mente plastico. Non era determinato da funzioni. Bisognava scegliere la
combinazione migliore tra un’infinità di curvature possibili.
Lo strumento sperimentale che utilizzai era costituito dunque da due
aste metalliche e rettilinee collegate da fili elastici attaccati a distanza
uguale su ciascuna delle dieci aste.
106
b7/b
107
..V' \
\
108
Natura delle superfici:
1° Le conoidi A, D, E vengono trasformate in quattro P.I.: A, B,
N, D.
2° Il cono L viene allargato.
3° Vengono formati due nuovi P.I.: il P.I.C. e il P.I.F. che aggiun
ti al P.I.E. costituiscono il volume necessario al salone vetrato dell’au-
tomatizzazione situato in basso, ai locali di servizio e ai ventilatori.
Vengono conservati i pilastri per dare agli imprenditori la possibilità
di studiare soluzioni autoportanti pure o semiautoportanti.
Le Corbusier al suo rientro dall’india accettò il secondo progetto
senza nessuna modifica, e così Kalff.
Ora toccava agli ingegneri giocare. Puntarono troppo alto. Il padi
glione sembrava messo in serio pericolo. Erano già stati presi in conside
razione tagli notevoli e falsificazioni della purezza geometrica. Pren
demmo contatto con varie imprese straniere che fecero alcune proposte
tecniche e alcune offerte. Tra queste una sola adottava quasi totalmente
il nostro punto di vista, la società belga Strabed:
a) guscio in cemento precompresso di 5 cm di spessore;
b) costruzione semiautoportante. Utilizzava quattro pilastri di cui
uno all’interno del padiglione;
c) a causa di un’incomprensione dei miei disegni che riassumevano i
P.I. che non toccavano il suolo, ha interpretato il cono L e il P.l.N. co
me se formassero un solo P.I., il P.I.M.;
d) il preventivo dei costi era accettabile per la Philips.
Le altre imprese consigliavano per il guscio esterno una struttura
portante più o meno complicata con doppia parete dallo spessore totale
di 80 cm in legno, in metallo, in gesso o in altri materiali.
A questo punto devo parlare dello straordinario signor Duyster, am
ministratore della società Strabed e ingegnere specializzato in cemento
precompresso.
Duyster ha immaginato il procedimento originale che ha portato alla
costruzione del nostro padiglione. Ha suddiviso i grandi P.I. in altri più
piccoli di circa 1 m x 1 m gettati orizzontalmente su sabbia, poi accata
stati su un’impalcatura e compressi con cavi d’acciaio (seguendo le ge
neratrici) ancorati sui profili o sulla cinta delle fondamenta. Ha fatto
tutti i calcoli statici preliminari mettendo in rilievo le linee fondamentali
su un modello nato dai miei primi disegni.
Duyster e Kalff si rivolsero a Vreedenburgh e Bouma, professori
dell’università di Delft, per fare delle prove su un modellino in gesso,
prove che hanno verificato i suoi calcoli. Tutto ciò avvenne nell’arco di
quindici giorni, un tempo brevissimo. “Senza la garanzia di queste pro
ve non mi sarei mai lanciato in questa avventura’’, dice ora il signor
Duyster.
109
Inoltre, con la semplificazione apportata introducendo il la
purezza geometrica del padiglione guadagnò un altro punto.
Ma la costruzione si fondava ancora su pilastri, di cui uno dava mol
to fastidio.
Gli proposi una leggera trasformazione del nuovo P.I.M. e del
P.I.B. per arrivare a eliminare tutti i pilastri. Accettò precisando che ciò
doveva essere verificato da calcoli supplementari. Inoltre trasformai il
P.I.C. da concavo a convesso, e questo rese facilmente stabile la terza
cuspide che effettivamente è molto inclinata. Poi chiusi le due aperture
triangolari servendomi di nuovi P.I. adattati ai precedenti. Gli accordi
sui piani di geometria descrittiva erano cosi stabiliti, la struttura diven
tava interamente autoportante e semplice, senza puntelli di sostegno. I
P.I. affermavano le straordinarie proprietà di resistenza e di eloquente
plasticità. Il Padiglione Philips è un simbolo della collaborazione tra i
membri di un’équipe che va dal cliente, in questo caso Kalff, fino al ca
pocantiere che ha saputo capire una struttura poco nota e poi spiegare le
mansioni e guidare gli operai venuti da differenti paesi d’Europa.
Il Padiglione Philips s’inserisce con la sua architettura in un anda
mento plastico nuovo, ma sopra tutto ha dato modo di scoprire un mez
zo originale e generale di messa in opera senza casseratura di superfici
cosi difficili; un mezzo che realizzando una simile opera, congegnata in
ogni punto in modo originale, appartiene a una nuova architettura rivo
luzionaria, l’architettura volumetrica.
11 cemento ha dato avvio e questa rivoluzione. Ma non è detto che ne
resterà ancora per molto tempo il supporto. In un prossimo futuro verrà
sicuramente sostituito da materiali leggeri, più malleabili: i composti
chimici, le materie plastiche che forse possiederanno proprietà biologi
che di autodifesa contro l’erosione, la corrosione, il calore, la fessura
zione, ecc.
Per il momento solo il cemento è all’origine della nuova architettura
del gruppo volumetrico. Esso prepara il letto in cui le materie plastiche
di domani formeranno il fiume ricco di forme e di volumi racchiusi non
solo nelle entità biologiche ma sopra tutto nelle matematiche più astrat
te.
Il sistema di riferimento del corpo umano non sarà più l’angolo retto
e le superfici piane, orizzontali e verticali. La sua sensibilità si plasmerà
attraverso uno spazio curvo. Dal punto di vista psicofisiologico è un ar
ricchimento nuovo, gigantesco, dalle conseguenze ancora imprevedibili.
Quando ci si trova nel Padiglione Philips non si riflette sulla geome
tria ma si subisce l’influenza delle sue curvature. Si è talmente sensibiliz
zati che se per esempio venissero introdotti nelle superfici del suo guscio
settori rigorosamente piani ne risulterebbe una cacofonia insopportabile
per i nostri occhi e per la nostra pelle. Il rigore di una legge astratta di
comportamento dei volumi è immediatamente percepibile. Il “filtro”
della logica è soltanto un supplemento edonistico.
110
Stralcio di articoli pubblicati in “Gravesaner Blàtter”, 9, 1957
e in “Revue Technique Philips”, tomo 20, 1958/59.
Ili
1
II
3
-
!
113
implica riferimenti spaziali e automaticamente li crea. La destra e la si
nistra del piano del quadro sono i suoi confini logici. La topologia è il
suo terreno. Non appena vogliamo creare stati classificati è necessario
utilizzare nuovi confini logici, il prima e il dopo che appartengono alla
categoria temporale.
Possiamo dedurre che la pittura, in quanto si è innalzata al livello
dell’astrazione, è spinta dalla sua stessa natura a annettersi il concetto di
tempo. Una “pittura cinematica’’ deve logicamente immergere nell’av
ventura temporale l’espressione più avanzata della pittura contempora
nea.
I mezzi tecnici del cinema consentono, come abbiamo detto, questa
apertura. Una speranza, questa, corroborata da alcuni eccessi che si
moltiplicano e si perfezionano ogni giorno. Si pensi ai primi esperimenti
del surrealismo come II cane andaluso e della pittura decorativa come //
balletto meccanico. Assistiamo oggi in tutte le sale cinematografiche al
la proiezione di certi cortometraggi pubblicitari veramente ricchi di idee
astratte e pieni di trovate di tecnica cinematografica. Ci rendiamo conto
che il bisogno di una “pittura cinematica’’ non è un lusso ma un biso
gno vitale dell’arte del colore e delle forme.
Attualmente l’arte del colore e delle forme può non solo trovare rin
novamento nella pellicola di una proiezione filmata ma anche balzare
realmente nello spazio.
La catena cinematografica è così articolata:
luce bianca — pellicola = filtri colorati — schermo piatto.
Gli ostacoli che si oppongono a questo balzo spaziale sono generati
da alcuni anelli di questa catena.
1° Lo schermo piatto. È una piccola finestra — un tempo panora
mica — che definisce il volume spaziovisivo. Immaginiamo al posto del
lo schermo piatto schermi incurvati con curvature variabili entro limiti
molto grandi. La messa a fuoco o l’effetto “flou’’ possono diventare
ricchissimi mezzi di tensione artistica. Comunque la complessa curvatu
ra dello schermo piatto mette in rilievo una realtà spaziale della cinema
tica visiva. È necessaria.
Supponiamo inoltre che lo schermo non si limiti a un perimetro dato
ma che si sposti su tutte le pareti di una saia interamente costruita a que
sto scopo con superfici incurvate. I risultati saranno ancora più sorpren
denti.
2° Il buio di una sala può essere abolito anzitutto dal perfeziona
mento tecnico della proiezione che consentirebbe alcune ambientazioni
colorate provenienti da fasci di luce ritmati e colorati; i loro effetti ra
denti o perpendicolari trasformerebbero le configurazioni spaziali delle
superfici incurvate. Un gioco d’organo intensamente colorato potrebbe
essere aggiunto a uso del creatore delle forme e dei colori.
Constatiamo che i prolungamenti dei giochi astratti della pittura mo
derna raggiungono naturalmente i mezzi che le tecniche del cinema e
114
dell’illuminazione hanno di recente perfezionato e che rendono possibili
colossali avventure finora mai immaginate.
Constatiamo inoltre quanto sia importante una concezione architet
tonica nuova che esca dai sentieri battuti del piano e della linea retta (ar
chitettura di traslazione) per creare uno spazio a tre dimensioni reali uti
lizzando i gusci più recenti della teoria dell’elasticità.
Infine è sottinteso quanto il movimento delle macchine da presa e dei
proiettori a colori necessiti di un’infrastruttura elettronica perfetta, gui
data automaticamente.
Anche la musica ha seguito la via dell’astrazione così com’è stata de
finita all’inizio di questo capitolo e, cosa davvero sorprendente, circa
nella stessa epoca della pittura. Possiamo ammirare la simultaneità
dell’evoluzione astratta in altri campi dell’attività umana facendo un
parallelo con la nascita dell’algebra moderna (astratta), da situare verso
il 1910. La corrente astratta è cosi potente e importante che i suoi detrat
tori nel campo delle arti sembrano affetti da ritardo mentale.
Per noi l’inizio di una consapevole astrazione in musica si situa
nell’epoca della scoperta dell’atonalità basata sull’equivalenza dei dodi
ci suoni temperati. Loquin, professore al conservatorio di Bordeaux,
aveva già intuito questa possibilità verso il 1895, molto prima dei creato
ri ufficiali della Scuola di Vienna.
In seguito lo sviluppo del principio seriale ha consentito operazioni
riguardanti entità pure e ha introdotto punti di riferimento logici del tut
to nuovi. In cambio di questo formidabile avanzamento concettuale la
musica seriale ha dovuto cedere su un punto a nostro parere importante.
Ha imposto una restrizione, una costrizione “lineare” di strutturazione.
Questa costrizione può essere oggi eliminata da una logica e da un’este
tica più generali. Da una logica imparentata con le logiche “polivalenti”
e da un’estetica che invece integrerebbe le sottilissime strutture seriali.
D’altronde, la musica seriale non può ammettere i suoni con variazioni
continue che sono attinenti a tutte le componenti del suono e in partico
lare alla frequenza (glissando). Essa infatti è per definizione puntuale.
Tuttavia la variazione continua di un suono è un secondo aspetto, com
plementare della sua esistenza nel tempo. Ci fa pensare alla complemen
tarità del corpuscolo e dell’onda in fisica ondulatoria. Non c’è motivo di
privarsi di questo arricchimento della nozione di suono.
Il superamento della restrizione “lineare” e il controllo delle varia
zioni continue delle componenti del suono possono essere effettuati con
una musica più completa, una “musica stocastica” che utilizzerebbe
nella sua essenza la teoria e il calcolo delle probabilità con l’introduzio
ne di tutta una serie di funzioni matematiche1.
La musica seriale da una parte e le tecniche elettroacustiche dall’al
tra hanno favorito un nuovo allargamento delle tendenze astratte che si
115
manifesta in due forme principali: la musica di Parigi, proveniente a
brusio radiofonico di tipo “concreto” e la musica di Colonia, a base i
suoni sinusoidali di tipo “elettronico”. L’interesse consiste nelle so u-
zioni che esse apportano alla creazione del suono e della sua vita inter
na. Entrambe sono fondate sulle tecniche elettromagnetiche.
Esploreremo ora le possibilità spaziali consentite soltanto dalla cate
na elettroacustica seguendo cosi una direzione inversa a quella della pit
tura. Tuttavia è notevole che queste due arti cerchino attualmente lungo
strade diverse di integrare le loro fisionomie logiche, la pittura annetten
dosi la categoria temporale e la musica quella dello spazio.
La catena elettroacustica è cosi articolata:
nastro — magnetofono — altoparlanti.
Fisseremo la nostra attenzione sull’ultimo elemento della catena,
l’altoparlante. Ammetteremo per semplificare che il suono udibile sia
direzionale in tutta l’estensione del suo spettro. Se il locale è acustica-
mente inerte possiamo dunque considerare un altoparlante come una
sorgente puntuale nello spazio a tre dimensioni.
Questi punti sonori definiscono lo spazio allo stesso titolo dei punti
geometrici della stereometria. Tutto quel che può essere enunciato per
quanto riguarda lo spazio euclideo potrebbe essere trasposto nello spa
zio acustico. Supponiamo una retta acustica definita da punti che emet
tono suono. Il suono può sorgere simultaneamente da tutti i punti di
questa retta. È la definizione statica della retta. Possiamo supporre un
reticolo ortogonale di tali rette acustiche che definiscono un piano acu
stico. Allo stesso modo possiamo supporre delle curve nel piano o nello
spazio come pure delle superfici incurvate regolate, ecc.
Tutto quel che abbiamo detto è una definizione della “stereofonia
statica”.
Potremmo anche costruire una retta acustica attraverso il movimen
to, un suono che si sposti su una retta di altoparlanti. Vengono introdot
te qui le nozioni di velocità e di accelerazione acustica. Tutte le curvatu
re geometriche e tutte le superfici possono essere trasportate cinematica-
mente attraverso la definizione del punto sonoro.
Chiameremo questa stereofonia “stereofonia cinematica”.
Con questi due tipi di stereofonia la musica si schiude in un autenti
co “gesto sonoro poiché non solo collega le durate, i timbri, le dinami
che, le frequenze inerenti a ogni struttura sonora ma è anche capace di
sostenere lo spazio matematico e le sue relazioni astratte che possono in
tal modo diventare magnificamente percettibili dall’udito senza passare
per la visione o per gli apparecchi fisici di misura.
Constatiamo che grazie alle tecniche elettroacustiche è realizzabile la
conquista dello spazio geometrico, nuovo passo nel campo dell’astrazio
ne.
Constatiamo inoltre l’importanza della forma architettonica della
sala che a causa della sua diversità adattata agli effetti stereofonici totali
116
è obbligata a attingere le forme incurvate dalle nuove superfici più gene
rali. La configurazione del volume d’aria racchiuso nel guscio cosi co
struito ha un’influenza fondamentale sulla qualità acustica (risonanze
proprie) della sala, anche se la sala fosse totalmente sorda, benché ciò
per ragioni sanitarie non avvenga mai. D’altronde è noto che le superfici
piane e le superfici a raggio di curvatura costante creano luoghi privile
giati di riverberazione perturbatrice. Invece le superfici incurvate che
hanno raggi di curvatura variabili sono totalmente programmate.
Possiamo capire quale complessità di programmazione di teleco
mando e di automatizzazione sia richiesta all’infrastnittura elettronica.
Dopo questo rapido giro d’orizzonte possiamo constatare che questi
magnifici prolungamenti delle arti visive e uditive sono resi possibili e in
parte creati solo attraverso tecniche elettroniche. Esse consentono una
vasta sintesi audiovisiva in un “gesto elettronico totale’’ finora mai rag
giunto, gesto che si situa inoltre nel campo dell’astrazione, ambiente na
turale e indispensabile alla sua esistenza.
Il Padiglione Philips dell’Esposizione di Bruxelles rappresenta sotto
questo aspetto una prima esperienza della sintesi artistica del suono, del
la luce, dell’architettura, una prima tappa verso un “gesto elettronico’’.
Possiamo infine concludere che una coscienza concettuale nuova,
l’astrazione, e un’infrastruttura tecnica, l’elettronica, mutano attual
mente la civiltà umana.
Nutida Musik”, Stockholm, marzo 1958.
“Revue musicale’’, 244, Paris 1959.
117
(In fin dei conti e per sfuggire ai morsi di serpi e vipere abbiamo
adottato per questa invenzione il qualificativo di Pannelli di vetro ondu
lati).
Padiglione Philips
“Due minuti di intervallo e otto minuti di spettacolo. Prima decisio
ne: il contenente sarà una specie di stomaco con un 'entrata e un’uscita
diverse per cinquecento persone. Seconda decisione: siccome il pubblico
sta in piedi e guarda in avanti occorrono due pareti concave quasi verti
cali che permettano agli spettatori di vedere al di sopra della testa dei vi
cini.
In un primo tempo avevamo pensato di costruire una bottiglia in
staff— che è ilfragile materiale di base per le esposizioni temporanee —
sospesa a una armatura tubolare. Ma Xenakis, incaricato del progetto,
abbandona presto il gesso. Xenakis che conosceva bene Bernard Lafail-
le, dopo aver preso in considerazione il legno e il cemento, si orienterà
verso le superfici incurvate autoportanti. Fatti i disegni tridimensionali
Xenakis costruisce un primo modello in fil di ferro e filo per cucire. Poi
un secondo modello che riveste con carta da sigarette”*.
118
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La città cosmica
119
irreversibile che crea concentrazioni urbane a dispetto di tutti i freni stu
diati dai governi; forza che aumenta la densità e l’estensione delle città.
Sembra persino che da questa osservazione si possa dedurre una legge
semplice ma terribile: i grandi centri si estendono più di quelli piccoli,
secondo una curva logaritmica.
Se poi ci poniamo sul piano socioculturale e su quello della tecnica e
dell’economia, notiamo che i grandi centri favoriscono espansioni e
“progressi” di ogni genere. È una constatazione storica fatta da millen
ni ma costantemente dimenticata e di cui si può trovare l’equivalente in
altri campi, per esempio in quello delle colture biologiche complesse o
semplicemente in quei fenomeni di massa che in conformità alla legge
dei grandi numeri rendono possibile il verificarsi di eventi eccezionali,
altamente improbabili (= impossibili) in popolazioni meno numerose.
In compenso il decentramento porta a una disseminazione dei centri,
a un aumento della lunghezza delle vie e della durata degli scambi, a una
rigida specializzazione delle collettività e a un marasma socioculturale.
Lo dimostrano le città universitarie, come pure le città operaie e tutti i
tipi di “città” all’interno di un paese: ecco dunque mandate all’aria le
teorie delle città lineari e altre ingenuità.
Questi ragionamenti e constatazioni sono nell’aria, evidenti anche
per coloro che non hanno il tempo di consultare o non sanno leggere le
statistiche dei servizi specializzati.
Ma perché decentrare?
Questa politica a rovescio dipende in realtà da due direzioni princi
pali:
a) l’asfissia delle attuali città sotto la massa delle comunicazioni
anarchiche e la cattiva ripartizione delle attività sul territorio nazionale;
b) una tradizione mentale di geometrizzazione e di pianificazione dei
complessi urbani che risorta con nuovo vigore nell’ottocento si è fissata
e irrigidita negli anni ’20 sotto l’influenza del cubismo e del costruttivi
smo. Una tradizione che costituisce una vera e propria forza di inibizio
ne.
Mito deU’ortogonismo
Questa seconda direzione ha già dimostrato di essere impotente a ri
solvere i problemi più semplici, come la costruzione di nuove città, an
che quando gli urbanisti hanno tutto l’appoggio dei governi come nel
caso di Le Havre, Brasilia, Chandigarh, che per ora sono città nate mor
te. Effettivamente, allo stato attuale di formazione degli urbanisti e de
gli architetti (formazione conservatrice e semplicistica) è impossibile che
alcuni individui possano risolvere a priori, sulla carta, i problemi della
nascita, della costituzione e dello sviluppo di una città, problemi che so
no mille volte più complessi di quelli di un alloggio o di un’unità di abi-
120
tazione, che pure in qualche modo sono risolti. Questa carenza compor
ta che le soluzioni urbanistiche sulla carta siano soltanto infelici combi
nazioni di linee rette e di rettangoli cui s’adattano spazi incongruamente
curvi (= zone verdi).
Inoltre, fa si che coloro che hanno la responsabilità della pianifica
zione del territorio siano obnubilati dalla complessità biologica di una
città come Parigi che si è costruita nel corso dei secoli e che, intossicati
dai vapori di benzina o dalle lunghe attese in file di ogni genere, auspi
chino l’esplosione di questa complessità vivente anziché affrontare per
esempio il vero problema dell’industria automobilistica; senza parlare
poi delle soluzioni proposte da architetti urbanisti cosiddetti d’avan
guardia, soluzioni che di fatto sono soltanto ingenuità miopi e servili:
perché per costoro non è stato un caso di coscienza propugnare l’impos
sibile decentralizzazione-panacea-da-tutti-i-mali-urbani.
Dunque, sotto la tirannia di queste due linee di forza, una reale e
l’altra mentale, si decentralizza a colpi di matita creando città satelliti
(= città tuguri moderni), città dormitori o città specializzate munite di
un’assurda architettura cubica (scatole da scarpe = conigliere), standar
dizzate, talvolta con una civetteria decorativa, grottesca, come Stoccol
ma, o senza civetteria come Parigi o Berlino.
È anche vero che l’algoritmo del piano, dell’angolo retto e della linea
retta, giunto dai tempi più remoti e che sta alla base dell’architettura e
dell’urbanistica contemporanea, è stato molto consolidato dai materiali
“nuovi”, il cemento (a causa della cassaforma di tavole), l’acciaio e il
vetro quanto dalla teoria relativamente semplice degli elementi piani e
sopra tutto lineari.
C’è da dire però che se la concentrazione è una necessità vitale per
l’umanità, le attuali idee sull’urbanistica e sull’architettura vanno com
pletamente cambiate e sostituite con altre.
121
za porta contemporaneamente a un’enorme standardizzazione: la for
malizzazione delle concezioni teoriche e delle realizzazioni sarà necessa
riamente la sola efficace.
3° La forma che la città prenderà dovrà eliminare nella sua struttu
ra gli antieconomici sforzi di flessione e di torsione.
4° La luce dovrà penetrare dappertutto e la vista dovrà essere diret
ta sugli spazi. Da qui lo spessore relativamente sottile della città vertica
le.
5° Dato che la città sarà verticale occuperà una minima parte del
suolo1. La liberazione del suolo e lo sviluppo tecnico di tale città com
porteranno il riutilizzo di vaste estensioni, una coltivazione del suolo au
tomatica e scientifica che utilizzi complessi elettronici di gestione e di de
cisione: sparirà dunque il contadino classico con il suo lavoro manuale.
6° La suddivisione delle collettività dovrà costituire all’inizio una
mescolanza statisticamente perfetta, contrariamente a tutta la concezio
ne attuale dell’urbanistica. Non ci sarà nessun tipo di sottocittà specia
lizzata. La mescolanza dovrà essere totale e calcolata stocasticamente
dagli uffici anagrafici specializzati. Per il vantaggio di tutte le categorie
l’operaio e i giovani vivranno nello stesso settore del ministro o del vec
chio. L’eterogeneizzazione della città avverrà di conseguenza in modo
vivo e spontaneo.
7° L’architettura interna della città cosmica dovrà quindi orientarsi
verso la concezione di locali intercambiabili (si veda rarchitettura tradi
zionale giapponese) che si adattino agli usi più diversi: il nomadismo in
terno (movimenti delle popolazioni) tende a aumentare a partire da un
certo grado di progresso. L’architettura mobile sarà dunque la caratteri
stica fondamentale della nostra città.
8° Dato che questa città sarà modellata con una tecnica universale,
sarà anche adatta a ospitare le popolazioni deH’estremo Nord (o Sud) e
quelle dei tropici o dei deserti. Dovrà quindi essere fornita in alcune sue
parti di condizionamenti climatici in modo da rendere indipendenti da
contingenze climatiche e meteorologiche centinaia di milioni di esseri
umani i quali potranno accedere a condizioni di vita e di lavoro tempe
rate sotto tutte le latitudini. Cosi la tecnica completamente industrializ
zata e formalizzata trasformerà la città in un vero c proprio abito col
lettivo, ricettacolo e utensile biologico della popolazione.
9° La comunicazione seguirà coordinate cilindriche, con il vantag
gio delle grandi velocità lungo la verticale (da 100 a 200 km all’ora).
10° Le comunicazioni con trasporto di materie (uomini o cose) do
vranno essere assicurate da tecniche nuove (per esempio marciapiedi o
strade mobili a piccole, grandi o medie velocità, spostamenti pneumatici
' Per una densità di 500 abitanti per ettaro una città come Parici, di 5 000 000 di ahi.
tanti, copre grosso modo 10.000 ettari. ILa- città
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suolo, cioè meno di un millesimo.
122
espressi per passeggeri in senso orizzontale e verticale, ecc.). Abolizione
dunque di ogni mezzo di locomozione individuale su ruote2.
11° I trasporti a tre dimensioni (aerei) saranno favoriti da piste po
ste sulla sommità delle città cosmiche (con una considerevole economia
di carburante). I tempi morti tra città e aeroporti saranno annullati.
12° La grande altezza della città, oltre aH’elevatissima densità che
consentirà di realizzare (2.5OO-3.OOO abitanti per ettaro), avrà il vantag
gio di superare le nuvole più frequenti che viaggiano da 0 a 2.000-3.000
metri di altezza e di mettere le popolazioni in contatto con i vasti spazi
del cielo e delle stelle: l’era planetaria e cosmica è iniziata e la città dovrà
essere volta verso il cosmo e verso le sue colonie umane anziché restare
abbarbicata al suolo.
13° La trasformazione dei rifiuti industriali e domestici a circuito
chiuso verrà molto estesa a vantaggio della salute e dell’economia.
14° La città cosmica per definizione non temerà le devastazioni del
la guerra perché sulla terra si sarà giunti al disarmo e sbocchi commer
ciali e altre espansioni saranno cercati nello spazio cosmico in quanto gli
attuali stati si saranno trasformati in province di un gigantesco stato
mondiale.
Soluzioni tecniche
Alcuni dati tecnici sulla città cosmica:
I quattordici punti precedenti implicano alcune soluzioni tecniche:
utilizzazione delle strutture a guscio e particolarmente delle superfici
curve come i paraboloidi iperbolici (P.I.) o gli iperboloidi di rivoluzione
che evitano gli sforzi di flessione e di torsione e ammettono (tranne ai
bordi) soltanto sforzi di trazione, di compressione e di taglio.
La forma e la struttura della città saranno dunque un guscio cavo a
reticolo con doppia parete, a motivo delle superfici regolate utilizzate,
questo consentirà inoltre l’impiego di elementi lineari, sempre economi
camente più vantaggiosi.
Per fissare le idee supponiamo che la forma adottata sia un iperbo
loide di rivoluzione (I.R.), di 5.000 metri di altezza e che deve contenere
nel suo guscio cavo, il cui spessore medio è di 50 metri, una città di
5.000.000 di abitanti.
I 5.000 metri d’altezza sono al limite della pressione e dell’ossigena
zione normali che un uomo della strada può sopportare senza speciali
apparecchi e senza adattamento preliminare. Ne deriva che la città co
smica può “superare” questa barriera e elevarsi a più di 5.000 metri a
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condizione di prevedere la pressurizzazione, l’umidificazione e l’ossige
nazione artificiali.
Se ipotizziamo un diametro di base di 5 km, la superficie del guscio
sarà di circa 60 km2. Questo calcolo approssimativo è fatto su un tronco
di cono che ha un’altezza di 5 km e basi di 5 e 2,5 km. Poiché lo spessore
del guscio portante è di 50 metri, il volume del guscio sarà di circa 3
km3. Ora, una città completa come Parigi (che ci serve da modello), che
ha una densità di 500 abitanti per ettaro, forma uno strato di 22 metri di
spessore in cui i 5.000.000 di abitanti occupano in media, con le case, gli
edifici pubblici, le industrie e le zone verdi o di circolazione un volume
di 2,2 km3 su uno sviluppo di 10.000 ettari.
Supponiamo adesso un carico medio di 400 k per metro quadrato di
base (= materiali ultraleggeri, plastiche o metalli di volume molto limi
tato grazie alle industrie spaziali che cosi troveranno sbocchi terrestri); 7
piani. 400kg/m2 per 3/4 di ettaro della città, dato che l’ultimo quarto è
costituito da strade e spazi liberi. Di conseguenza il peso totale della cit
tà sarà di: (3/4). E cioè: 10.000 h 2.800 kg/m: = 210.000.000 di tonnel
late da ripartire su un anello circolare al suolo del perimetro di 16 km, su
250 metri di larghezza per una pressione al suolo di 5 kg/cm2.
Berlino, gennaio 1964.
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Terza parte
MUSICA. ARCHITETTURA
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Convento di Santa Maria della Tourette a Eveux sull’Arbresle (1955). Pannelli di
vetro ondulati, facciata ovest. Si veda a p. 117.
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Stratégie, gioco musicale per due direttori e due orchestre (1965). Organigramma
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In questa pagina: Poliiopo di Cluny (1971). Ragnatela luminosa di un raggio la
ser. Alzato (in alto) e pianta (in basso).
Nella pagina accanto: Politopo di Cluny (1971). Tracce di spirali luminose sulla
volta delle terme prodotte dai 600 flash elettronici lampeggianti in successione
ogni 1/25 di secondo e comandati individualmente da una serie numerica pre
ventivamente calcolata sul calcolatore elettronico.
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Politopo del Beaubourg (1974-1975). Vedu
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Plastico commissionato per l’inaugurazio
ne del Centro Nazionale d’Arte e di Cultura
Georges Pompidou, primavera del 1977.
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Politopo del Beaubourg (1974-1975). Schizzo prospettico del guscio in fibre tes
sili che accoglie lo spettacolo itinerante di flash elettronici, di laser e di musica
elettroacustica. Plastico commissionato per l’inaugurazione del Centro Naziona
le d’Arte e di Cultura Georges Pompidou, primavera de! 1977.
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la polvere interstellare fredda o a essa si riducono. Tuttavia questa im
magine è rovesciata (almeno su un piano) perché la polvere fredda con
densandosi diventa calda, al contrario dell’intelligenza che è il risultato
freddo degli scambi tra le cellule calde del cervello e quelle del corpo, un
“fuoco freddo”.
Così i colori, i suoni, il rilievo sono condensazioni nel nostro sistema
sensi-cervello. Di questo sistema viene percepito e colto a livello conscio
solo un aspetto grezzo e del tutto superficiale, esteriore. Le vibrazioni
periodiche del campo elettromagnetico della luce o dell’aria sono inac
cessibili alla coscienza ma (entro certi limiti) esse vengono seguite e con
vertite egregiamente dai nostri sensi e dal nostro cervello di cui i sensi so
no il prolungamento. D’altra parte le conversioni avvengono su più li
velli, dal livello della percezione immediata a quello della comparazio
ne, della valutazione e del giudizio. Come e perché si produca tutto que
sto è un mistero elaborato, come negli animali, da milioni e miliardi di
anni.
Facciamo ora un esempio che può sembrare evidente: quello delle
scale musicali. Si sono avute, almeno in Occidente, condensazioni sem
pre maggiori: dapprima la quarta giusta e i suoi tetracordi e forse la
quinta giusta le cui origini sono completamente ignote, poi l’ottava, poi
ancora la costruzione di “sistemi” per giustapposizione di tetracordi
che hanno generato le scale dell’antichità (e di cui la scala diatonica dei
tasti bianchi del pianoforte è una sopravvivenza), quindi la scala croma
tica a temperamento equabile e infine la continuità nell’insieme “altezze
del suono”.
Da questo esempio risalta come la musica abbia una forte capacità di
condensazione, forse maggiore delle altre arti. Per questo fornisco un
quadro comparativo tra alcune conquiste realizzate dalla musica e alcu
ne realizzazioni della matematica cosi come ci vengono insegnate dalla
storia (cfr. Appendice 1 ). Questo quadro mostra una delle vie che la musi
ca ha intrapreso fin dalle origini (fin dall’antichità) e che ha proseguito
attraverso i millenni con una notevole fedeltà, accentuatasi particolar
mente in questo secolo a dimostrazione che questa capacità di condensa
zione rispetto all’astratto lungi dall’essere una moda è una natura pro
fonda che sicuramente appartiene più alla musica che alle altre arti. Di
conseguenza sembra necessario un nuovo tipo di musicista, Vartista-
creatore di nuove forme astratte e libere che tenda a complicazioni e poi
a generalizzazioni su più livelli dell’organizzazione sonora. Per esempio
una forma, una costruzione, un’organizzazione fatta su catene di Mar-
kov o su un complesso di funzioni di probabilità interconnesse possono
essere trasportate simultaneamente su più livelli di micro, meso e macro
composizioni musicali. Si può d’altronde estendere questa notazione al
campo visivo, per esempio in uno spettacolo fatto con raggi laser e flash
elettronici come quello del Politopo di Cluny.
Nulla ormai ci potrebbe impedire di prevedere una nuova relazione
146
fra arti e scienze, segnatamente fra arti e matematica, in cui le arti “por
rebbero” consciamente alcuni problemi per i quali la matematica do
vrebbe £ dovrà forgiare nuove teorie.
L’artista-creatore dovrà possedere conoscenze e inventiva nei campi
cosi vari della matematica, della logica, della fisica, della chimica, della
biologia, della genetica, della paleontologia (per l’evoluzione delle for
me), delle scienze umane, della storia... insomma una specie di universa
lità fondata, guidata e orientata da e verso le forme e le architetture. È
tempo d’altronde di fondare una nuova scienza della “morfologia gene
rale” che tratterà le forme e le architetture di queste diverse discipline, i
loro aspetti invarianti e le leggi delle loro trasformazioni che a volte so
no durate milioni di anni. Questa nuova scienza dovrà comprendere alla
base le condensazioni reali dell’intelligenza, cioè l’approccio astratto,
svincolato dall’aneddotica dei nostri sensi e delle nostre abitudini. Per
esempio, l’evoluzione formale delle vertebre dei dinosauri è un docu
mento paleontologico da inserire nei dossier della scienza delle forme.
Vediamo ora da vicino il sistema fondamentale su cui poggia l’arte.
Essa partecipa del meccanismo inferenziale che costituisce la base su cui
si muovono tutte le teorie delle scienze matematiche, fisiche e degli esse
ri viventi. Infatti i giochi delle proporzioni riducibili a giochi di numeri e
di metriche nell’architettura, nella letteratura, nella musica, nella pittu
ra, nel teatro, nella danza...; i giochi di continuità, di prossimità, nel
tempo o fuori tempo, di essenza topologica si producono tutti sul terre
no dell’inferenza, nel senso stretto della logica. Accanto a questo terre
no e interagente con esso esiste il modo sperimentale che confuta o con
ferma le teorie create dalle scienze, compresa la matematica. Infatti, con
le geometrie non euclidee e i teoremi come quello di Godei, la matemati
ca ha dimostralo di essere solo sperimentale, ma a più lungo termine ri
spetto alle altre scienze. È l’esperienza che fa e disfa le teorie, senza pie
tà né considerazione per esse. Ora, anche le arti sono rette dal modo spe
rimentale, in modo ancora più ricco e complesso. Infatti non ci sono, e
sicuramente non ci saranno mai, criteri oggettivi di verità assolute e eter
ne che sanciscano la validità o la verità di un’opera d’arte, così come
nessuna “verità” scientifica è definitiva. Ma oltre a questi due modi,
quello inferenziale e quello sperimentale, l’arte vive in un terzo modo,
quello della rivelazione immediata che non è né inferenziale né speri
mentale. La rivelazione del bello si produce di colpo, direttamente, tan
to per l’ignorante in fatto di arte quanto per il conoscitore. È questo a
costituire la sua forza e, a quanto sembra, la sua superiorità sulle scienze
perché, pur vivendo nelle due dimensioni dell’inferenziale e dello speri
mentale, l’arte ne possiede una terza, la più misteriosa, quella per cui gli
oggetti d’arte sfuggono a ogni scienza dell’estetica pur concedendosi le
carezze dell’inferenziale e dello sperimentale.
D’altra parte l’arte può vivere solo secondo il modo della rivelazio
ne. Come ci mostra la storia dell’arte di tutti i tempi e di tutte le civiltà
147
I
energia). Infatti non c’è motivo che l’arte, sull’esempio della scienza,
non esca neH’immensità del cosmo e non possa modificare come un pae
saggista cosmico l’andamento delle galassie.
Può sembrare utopistico e in effetti utopia c’è, ma provvisoriamen
te, neH’immensità del tempo. Invece non è utopia il fatto che oggi sia
possibile lanciare al di sopra delle città e delle campagne ragnatele lumi
nose fatte di fasci laser di colore, come un gigantesco politopo; utilizza
re le nubi come schermi di riflessione e i satelliti artificiali come specchi
riflettenti perché queste ragnatele salgano nello spazio e circondino la
terra con le loro mobili fantasmagorie geometriche; unire la terra alla
luna con filamenti di luce; o ancora, creare a volontà in tutti i cieli not
turni della terra aurore boreali artificiali comandate nei movimenti, nel
le forme e nei colori dai campi elettromagnetici dell’alta atmosfera ecci
tati da laser.
Quanto alla musica, la tecnologia degli altoparlanti è ancora embrio
ni e soll°svi,uppala Per lanciare il suono nello spazio e riceverlo dal
cielo, dove dimora il tuono.
ìSSSBF-sssjsss
nanziariamente, l’arte potrà sorvolare^ niàn^0" 7press,ve’ a,,ora- f>-
Infatti tecnologicamente queste cose sono fan ih* r a9c,arsi nel cosmo.
......... « „,'=.
’ Ho già presentato in precedenti progetti due di queste idee:
a) La rete laser su Parigi che collega i punti alti della città giocando con le nubi, gli al
toparlanti delle sirene antiaeree che emettono musica speciale. Questo progetto doveva sa
lutare l’inaugurazione del Centro Nazionale di Arte c di Cultura Georges Pompidou.
b) La rete di raggi laser, riflessi dai satelliti artificiali e che collegano i continenti in
punti precisi situati nei pressi di importanti agglomerati in cui alcune centrali politopiche
locali, aperte al pubblico, potrebbero reagire tra loro, intercontinentalmente, seguendo re
gole del gioco prestabilite sul tipo di quelle del mio gioco musicale per due direttori e due
orchestre Stratégie o di Linaia-Agon.
Presentai questo progetto per salutare il bicentenario della rivoluzione americana. 1
due progetti furono scartati perché troppo costosi sebbene tecnicamente realizzabili.
148
dentemente indispensabile che l’artista (e di conseguenza l’arte) sia ra
zionale (inferenziale) e tecnico (sperimentale) a un tempo e che abbia ta
lento (rivelatore); tre requisiti indispensabili, coordinati, che eviterebbe
ro scacchi fatali date le dimensioni di questi progetti e i grandi rischi di
errore.
Questa maggiore complessità del sistema fondamentale dei tre modi
che governano l’arte porta alla conclusione che esso è più ricco e più am
pio e che deve forzatamente guidare la creazione di condensazioni e con
crezioni dell’intelligenza. Deve dunque servire da guida universale alle
altre scienze.
Affinché questa universalità sia reale occorre che l’esercizio dell’ar
te, in particolare della musica, favorisca la condensazione dell’intelli
genza in tutte le età dell’individuo dalla nascita alla morte. Questo impe
gna anche la pedagogia. Ecco qualche esempio valido per un bambino di
età compresa tra i sette e gli otto anni e di un paese più o meno industria-
lizzato. L’apprendimento della musica dovrà passare per la soglia
dell’astrazione e della formalizzazione insieme con la matematica, le
scienze e le altre arti. Così il bambino, esposto all’ascolto della musica
classica, di avanguardia, orientale, estremo orientale, africana imparerà
contemporaneamente il concetto di scala, precisamente quello di scala
“cromatica a temperamento equabile’’ ma che ha come modulo d’inter
vallo il tono, il semitono, il terzo di tono, il quarto di tono, il comma.
L’apprendimento sarà teorico e pratico a un tempo, avverrà tramite il
canto e gli strumenti ma anche tramite l’Unità Poliagogica Informatica
del CEMAMu (UP1C) (cfr. Appendici 2 e 3) che preciseremo in seguito.
Questo concetto di scala cromatica verrà immediatamente messo in rela
zione con il concetto dei numeri e sarà un’altra manifestazione della
concrezione “scala’’. Il bambino imparerà cosi a operare sugli intervalli
melodici come i musicisti, cioè per addizione di intervalli contigui, e im
parerà più facilmente il triplice senso del numero che rappresenta al con
tempo il rango (ordinale), la quantità (cardinale), l’intervallo (relativo).
Sarà così iniziato in modo naturale a un’altra concrezione, quella del
gruppo additivo degli intervalli melodici contigui o degli interi.
Oltre a giocare con la caratteristica altezza il bambino imparerà a
giocare con le stesse astrazioni e formalizzazioni del ritmo, del tempo e
anche dell’intensità e forse con quelle di qualche altra caratteristica del
suono, come per esempio la densità o il grado di disordine. Tutto questo
sarà reso infinitamente più facile grazie all’UPIC. Se a questo si aggiun
gono la linea retta, i punti e gli intervalli di punti, il bambino avrà impa
rato fin dall’inizio l’interpenetrazione e l’isomorfismo di questi domini,
in apparenza (ancora oggi!) così distanti l’uno dall’altro. Non si deve
credere che il bambino sia incapace di astrazione. Si tratta infatti della
proiezione sul bambino di un’incapacità dell’adulto. A questa età un
bambino riesce a contare con facilità e naturalezza per mezzo di sistemi
di numerazione diversi da quello decimale, come per esempio il sistema
149
che ha imparato. Sarà facile poi insegnargli la teoria dei i^“nn.rà nrol
Appendice 4) e la costruzione di reticoli (gamme) qualsiasi che potrà prò
vare o modificare cantando con l’aiuto di suoni tratti dalla banca del
suono dell’unità Informatica e ascoltati a mano a mano che costruisce.
Poiché grazie a questo UP1C potrà annotare con una matita speciale
tutto quello che fa, e che verrà registrato automaticamente in una me
moria centrale o periferica dell’UPIC, avrà quindi automaticamente
riannodato le strutture dello spazio a quelle della matematica e della
musica. Inoltre avrà imparato implicitamente la triplice codifica delle
caratteristiche del suono: la codifica grafica, numerica e sonora. Potrà,
per converso, rappresentare i numeri o i punti dell input visivo
nell’UPlC attraverso gli altri due codici restanti. Più tardi prenderà na
turalmente coscienza della distinzione tra ciò che è pensato o realizzato
nel tempo e ciò che è fuori tempo, facendo sua l’idea che con la memo
ria il tempo stesso può essere pensato o realizzato fuori tempo.
Quel che ho detto fin qui costituisce soltanto un piccolo insieme di
proposte che dovrebbero incidere la dura scorza delle retrograde e perni
ciose tradizioni dell’insegnamento della musica. Naturalmente dovreb
bero essere sviluppate alla luce dell’esperienza e della teoria pedagogica.
D’altra parte è assolutamente indispensabile che tutto questo percor
so faccia parte dell’insegnamento di base della scuola materna, di quella
dell’obbligo, del liceo, dell’università, delle scuole di recupero per adul
ti, ossia di tutte quelle scuole che sono gestite dal Ministero della Pubbli
ca Istruzione e non da quella sorta di ghetti che sono diventati i conser
vatori. Se invece vorranno tornare in auge, i conservatori dovranno pro
seguire l’idea di perfezionamento ma, naturalmente, rimessi a nuovo e
affiliati all università in ragione di questa indispensabile interdisciplina-
rità; dovranno diventare insomma un’altra facoltà.
Tra le condensazioni prime — le concrezioni dure, come ancora oggi
le concepiamo ci sono alcune famose categorie, ultimi quadri veritieri
del nostro mentale, catalogati da Aristotele. Hanno attraversato il Me-
dicevo e sono giunte fino a Kant. Durante tutto questo tempo è stato
molto difficile penetrare piu profondamente nella loro essenza. Forse
solo dopo circa un secolo si e prodotto un varco aperto non dai filosofi
ma dai matemat.c, che, senza volerlo, inconsciamente, hanno proiettato
150
siamo soltanto al debutto di uno “svelamento” delle dure essenze del
nostro mentale. Mi sembra che in questo modo prenda avvio una nuova
era, parallela a quella, ormai trascorsa, dell’osservazione che l’uomo ri
volge alla natura. È l’era in un primo tempo dello smembramento e del
la decorticazione e poi del nostro mentale duro e profondo e della sua
trasformazione. Non parlo qui di mutazioni di tipo genetico o di even
tuali trasformazioni della parapsicologia; mi riferisco infatti a una me
tamorfosi dei nostri quadri mentali delle profondità. Per tentare di in
travedere il senso di ciò che avanzo pensiamo a certe culture dell’Africa
o dell’Australia, in cui l’ubiquità spaziale che fa parte dei culti ammette
la presenza simultanea dello stesso individuo in due luoghi lontani tra
loro. In modo analogo, modificando profondamente la struttura d’or
dine del tempo, non sarebbe impensabile “vedere” che apparteniamo
all’ubiquità spaziale o temporale e che così Timmortalità dell’universo,
delle cose e degli esseri viventi potrebbe a un tratto acquisire un inatteso
contenuto di novità. Questo significa che in quanto individui siamo for
se “eterni”, ma in un senso impossibile ancora da “vedere”. E significa
ancora che potremmo entrare in un altro universo, più grande, più vero
di quello in cui in apparenza viviamo; e che tutte queste “visioni” sono
rese impossibili a causa delle nostre forme mentali, le categorie. Infatti
esistono forse universi fisici formati di antimateria, antienergia, anti
tempo, analoghi all’anti-c/ir/zort (l’antiterra) dei pitagorici. Ma tutti
questi universi appartengono sempre al nostro “universo mentale” e so
no spietatamente e rigidamente modellati da esso; un universo fatto di
antichissime concrezioni dell’intelligenza, troppo dure per non essere
state spezzate finora. Questi universi fisici sarebbero soltanto deforma
zioni di un universo più vero riflesse dalle nostre concrezioni. Quindi ciò
che attualmente “vediamo”, ciò che creiamo, non sono le ombre di for
me situate nella luce dietro di noi e fuori della “caverna”, in cui siamo
incatenati con l’occhio al suo fondo, ma giochi della nostra configura
zione delle categorie mentali che verosimilmente costituiscono la nostra
caverna. Essa è in noi, non noi in essa. In questa nuova era, l’uomo do
vrà rompere la conchiglia delle sue categorie mentali e saltare liberamen
te in un universo più coerente, più vero.
Questo è forse uno dei ruoli profondi che l’arte si assegna o che deve
assegnarsi perché, più di ogni altra attività creatrice dell’uomo, ha que
sta capacità. E in particolare la musica, forse la più avvantaggiata per
guidarci in questa via.
151
*
II
Appendici
Appendice 1
Tavola delle corrispondenze fra alcuni sviluppi della
musica e della matematica
MUSICA MATEMATICA
500 a.C. vengono messe in relazione le Scoperta dell’importanza
altezze e le lunghezze della corda. In fondamentale dei numeri na
questo periodo la musica dà un mera turali e invenzione dei razio
viglioso impulso alla teoria dei numeri nali positivi (le frazioni).
e alla geometria. La musica inventa le
scale incomplete.
Nessuna corrispondenza in musica. Numeri irrazionali positivi.
Es.: la radice quadrata di 2 (il
teorema di Pitagora).
153
ziali (lunghezze di corda) più di quindi
ci secoli prima della loro scoperta in
matematica; inoltre, una premonizione
della teoria dei gruppi da parte di Ari-
stosseno.
1000. Invenzione della rappresentazio Nessuna corrispondenza in
ne spaziale bidimensionale delle altezze matematica.
legate al tempo per mezzo delle super-
fici e dei punti (Guido d’Arezzo), che
anticipano di tre secoli le coordinate di
Oresme e di sette secoli (1635-37) la
magnifica geometria analitica di Fer
mai e di Cartesio.
1500. Nessuna ripresa né sviluppo dei Vengono adottati lo zero e i
concetti precedenti. numeri negativi. Costruzione
dell’insieme dei razionali.
154
La bella teoria della misura
(Lebesgue, Borei, Heine).
155
Appendice 2
CEMAMu
(Centro studi di matematica e automatica musicali)
Programma di ricerca musicale e pedagogica
per gli anni 1976 e 1977
Finalità e progetti
Questo programma comprende vari anni di attività e perciò non con
cerne solo il 1976 ma anche i seguenti.
A. Ricerca musicale:
1. sintesi dei suoni a partire da funzioni e da architetture matemati
che quali i quanta sonori, le catene di Markov, i movimenti browniani, i
reticoli;
2. combinatoria dei suoni per mezzo di processi stocastici o a perio
dicità finita;
3. tipi di strutture macroscopiche in composizione musicale (o vi
suale) generati da 1 e 2.
B. Ricadute acustiche e psicofisiologiche: le precedenti ricerche con
sentono di chiarire i fenomeni di frontiera delle soglie percettive in rela
zione con la campionatura. Sono previste collaborazioni con altri centri.
C. Costruzione di software (logistici) che consentano trattamenti
funzionali dei suoni e delle strutture musicali del paragrafo A. Per esem
pio: la funzione filtro, la funzione modulatore a anello, la funzione
somma delle serie di Fourier, trasformazioni in piani complessi di sche
mi a due o tre dimensioni. Inoltre, grazie alla banca dei suoni elettroni
ci, numerici o concreti contenuti nelle memorie periferiche della nostra
unità informatica, saranno realizzati montaggi e missaggi automatici,
senza forbici o collanti, sullo schermo catodico o simbolicamente. E
cioè per la prima volta ci si occuperà in modo automatico di molte ope
razioni che negli studi di musica elettroacustica vengono ora condotte
manualmente.
D. Progetto di pedagogia visiva e musicale.
Senso e scopi.
Dare al bambino dai cinque ai diciotto anni (poi all’adulto) la possi
bilità di pensare — e incitarlo a pensare — suoni, colori, forme ma an
che strutture (costruzioni o architetture in senso astratto), la possibilità
di realizzarle, di esaminarle, di trasformarle e di manifestarle per mezzo
di eventi visivi o sonori.
156
Dunque non solo l’uso di matite colorate, di materiali da costruzione
o cubi, oppure di tamburi, campane, tastiere, scatole di conserva ma an
che come assemblarli, come “comporli”, le scelte, le decisioni. Poi, in
una fase successiva, creare architetture e anche nuovi oggetti.
Esempi:
1. non accontentarsi di insegnare canzoni su una scala data ma co
struirne una, addirittura più d’una, e cantare o far eseguire i suoni su
queste scale in modo gradualmente più astratto tramite riferimenti deri
ì vati unicamente dalle premesse iniziali;
2. non utilizzare solo forme fisse: quadrati, cerchi, triangoli, ma
anche le trasformazioni di questi elementi con la successione temporale
continua o discontinua, esplosiva o impercettibilmente lenta;
3. in entrambi i casi giocare con un gran numero di configurazioni
di elementi visivi (punti) o sonori (suoni brevi) e formare nebulose can
gianti modificandone le caratteristiche statistiche: densità, media per re
gioni, intervallo tipo...
157
I
Appendice 3
L'unità poliagogica informatica del CEMAMu
(UPIC)
158
complesse (random walk, movimenti browniani), i gruppi finiti, le co
I struzioni di “reticoli”, ecc. completeranno le architetture su più piani,
micro, meso e macro.
Altre funzioni avranno come compito l’analisi spettrale, statistica,
ecc. di suoni o musiche introdotte o calcolate neH’UPIC;
J c) l’UPIC sarà praticamente conversazionale grazie ai modi di en
i trata delle istruzioni a tutti gli stadi dell’UPIC attraverso: 1) il lettore di
I schede perforate; 2) il teletipo e sopra tutto 3) il disegno elettrico sulla
! tavola speciale collegata allo schermo Tektronix che permetterà entrate
e correzioni grafiche immediatamente visualizzate. I risultati dei calcoli
verranno scritti sul nastro dell’unità periferica di uscita e capiti quasi
immediatamente.
Questa UPIC, strumento di ricerca e di pedagogia per la musica, sa
rà in un secondo tempo rapidamente completata da strumenti periferici
per consentire l’entrata e il trattamento dell’immagine, anche a colori,
in cinetica. È previsto un accesso utilizzabile da più utenti simultanea
mente.
159
Appendice 4
Ipotesi di base
160
Ili
Conversazioni
1. ESPRIMERE L'INTELLIGENZA
— Una volta Xenakis ha detto che la musica consiste nell*“esprime-
re l’intelligenza con mezzi sonori”. Potremmo partire da qui.
R. - È una definizione interessante. Dimostra che Xenakis si situa
volutamente in un campo pitagorico e parmenideo, cioè in una precisa
tradizione della razionalità greca e occidentale. I modelli matematici de
rivano come molti altri da questa razionalità e poiché essa ha trionfato
su tutta la superficie della terra è chiaro che l’intelligenza umana, in
Estremo Oriente come in Occidente, è una sola. E questo è un primo
punto.
Tuttavia esistono fuori dell’occidente musiche “altre”. Il progetto
di Xenakis è quello di riuscire a spiegarle in termini pitagorici come mu
siche occidentali. È questo sopra tutto il significato dei suoi tentativi di
formalizzazione: mirano a dimostrare che anche queste musiche che ci
sembrano completamente diverse sono portatrici di una certa razionali-
161
tà Così utilizzando la teoria dei “reticoli” possiamo analizzare la sca-
la o'ia nul“viè?adi iXXretóffase^É'sprimere la musica con mezzi
intelligibili”- L’immagine che Xenakis si fa delle musiche del passato o
delle musiche “altre” è legata alla visione della musica di domani. E per
fui Continuità è assicurata dalla stretta e costante corrispondenza tra
l’intelligenza e i mezzi sonori. .
M - La definizione citata poco fa pone un problema non solo episte
mologico ma anche politico. Questa razionalità che aspira a un valore
universale è una forma di imperialismo? Ritorneremo su questo punto.
Inoltre mi colpisce la tonalità umanistica della formula. Sembra che Xe
nakis scarti qualsiasi concezione in cui ci sia il rifiuto di assimilare la
musica a un’invenzione o a una convenzione umana e in cui per la co
scienza non si tratti di “esprimere” qualcosa ma di rivelare una realtà
preesistente.
X. - Non credo che il mio punto di vista sia particolarmente “umani
stico”. Secondo me c’è intelligenza ovunque. Parto dal principio che
esiste un mondo oggettivo. Certamente non posso provarlo, è solo una
scelta. Ma dal momento in cui facciamo questa scelta scopriamo intorno
a noi un universo intelligibile.
M. - L’uomo misura di tutte le cose?
X. - Forse. Ma accanto a Protagora e al suo brutale solipsismo c’è
Parmenide: l’essere è uno, unico e non cambia.
M. - A ogni modo il termine “esprime” si riferisce alla psicologia
umana.
X. - È un’immagine. Perché pensare all’uomo come a un essere stac
cato dall’universo e in contraddizione con esso? Questo è l’umanesimo
romantico. Del resto quando ho cercato di spiegare in “La Nef” che co
sa la musica rappresenti per me non ho parlato di intelligenza. L’intelli
genza è una nozione intuitiva che evoca l’astuzia, l’abilità. Ritornando
alla definizione iniziale direi piuttosto: “Esprimere una concezione del
mondo”.
. 9- " Quando una struttura ti sembra produttiva in un campo qual
siasi tenti di trasporla nel campo musicale. Lo fai per pura curiosità?
Per vedere che cosa produrrà?
X. - Non mi chiedo mai se una cosa sia utilizzabile. All’inizio ho
sempre un idea ma e un’idea che non sa. Allora cerco di informarmi, di
capire Leggo questa o quell’altra opera teorica perché ho bisogno di
<ì8g,<|rJnl'nfl»iiCOmi'LC1ut? §UeStO modo 'nlorno al 1950 a interessarmi
a mn diffiéokà°|bab' lta' E ?tat0 Un grande SfOrZO Per me Perché capi
sco con difficolta la matematica. Ma ero convinto che i problemi della
musica dovessero essere affrontati da quel punto di vista In seguito mi
sono reso conto che >1 calcolo delle probabilità mi aveva consentito di ri
solvere alcuni problemi ma altri rimanevano nell’ombra- il tempo e
Strutture menta!.. In generale è vero che a causa della mia eSriin
|62
greca e specialmente a causa della preferenza che ho sempre avuto per la
Grecia arcaica ero naturalmente orientato verso la matematica. Ma que
ste riflessioni erano subordinate al mio bisogno di musica. Quando ho
studiato la strategia dei giochi, che mi divertiva, mi sono chiesto che co
sa avrebbe potuto produrre in musica. In me c’era già l’idea di un con
I flitto. Sapevo che certe musiche dell’india si ispiravano a questa idea.
I R. - A volte parli deH’“intelligenza dell’orecchio”. Designi in questo
I modo la sua capacità di discriminazione e d’identificazione. L’intelli
genza consiste nel non confondere. Essere intelligenti significa raffron
tare, differenziare, introdurre relazioni che si possono in seguito simbo
lizzare.
X. - Non è possibile simbolizzarle completamente, altrimenti la mu
sica non sarebbe più necessaria. La musica concerne anche l’irrazionale.
Cerco di analizzarne la parte più evidente, più comune. Ma in fin dei
conti cosa si può rispondere al ‘‘Mi piace”?
R. - Poco fa dicevi che la teoria dei giochi ti divertiva.
M. - Essere scientifici è anche una scelta. Si fa della scienza perché
“ci piace”. Il desiderio non è mai razionale.
i X. - La razionalità in ogni caso fa parte dei mezzi che l’uomo si è da
to per agire in un determinato modo. Non c’è niente da fare, ci si scon
tra con questa evidenza. Basta pensare all’esempio dei cinesi.
M. - La scelta dell’industrializzazione non è una scelta politica.
X. - No, è una questione di sopravvivenza.
M. - Tuttavia nelle società industriali questa tendenza è sempre più
contestata. Ritieni che non si possa evitare il passaggio attraverso la tec
nologia?
X. - Secondo me l’intelligenza non si riduce a questo. Non è soltanto
la razionalità nel senso del determinismo classico. La matematica opera
anche nell’irrazionale, costruisce edifici irrazionali.
M. - Qual è la tua posizione rispetto all’ondata di irrazionalismo che
osserviamo nelle nostre società tecnologicamente avanzate?
X. - Variabile, come il bello e il cattivo tempo. È troppo facile con-
trappore razionalità a irrazionalità. Infatti sono strettamente legate.
Inoltre, ciò che si dice, si pensa e si fa è sempre provvisorio, anche se
questa provvisorietà dovesse durare millenni. Per esempio ragioniamo
sempre in funzione del tempo. Ma il tempo è una struttura acquisita nel
la vita dell’uomo. Bisognerebbe chiedersi se sia possibile cambiarla.
2. CAMBIARE L'UOMO
— Lei parla raramente di bellezza. Preferisce dire che un’opera è
interessante”. Che cosa significa questo per Lei?
X. - Non saprei definire la bellezza. Ho avuto parecchie delusioni in
163
questo campo. Credevo che certe cose fossero belle, poi mi accorgevo
che non mi interessavano più, che si trattava di una sensazione passegge
ra. Che cosa permane dunque? L’accelerazione dell’acquisizione, la dif
ferenza tra il punto di partenza e il punto di arrivo. Fare qualcosa di
nuovo in relazione a qualcosa di dato, questo è l’interessante. Se utilizzo
la legge di Poisson, a rigor di termini non creo nulla. Ma cambio il con
testo. Il mio lavoro consiste nell’estensione della formula. Immaginate
che si possa redigere l’inventario di tutte le possibilità musicali: il fatto
di combinarle in un modo o in un altro sarà sempre qualcosa di più
deH’inventario stesso e delle leggi che a esso si possono applicare. La
formula di Poisson è un sasso di cui ci si è serviti in precedenti occasioni
per la costruzione di qualche tempio. Io me ne servo per fare altre cose.
R. - Vedo che il tuo punto di partenza è sempre un’idea. Non sei
edonista, non ti senti attratto dal piacere che procurano, per esempio,
alcuni timbri.
X. - Sì, talvolta un suono mi piace molto. Ma se analizzi a fondo
questa qualità musicale ti accorgi che non ha più niente di sensuale. Re
sta un piccolo margine, ancora oscuro, perché non disponiamo di una
percezione sufficientemente acuta per analizzarlo. Ancora una volta,
tutto quello che pensiamo è provvisorio. La geometria euclidea ha re
gnato a lungo prima di estinguersi a poco a poco, gradatamente. Ora si
sa che la geometria euclidea è soltanto una parte della geometria. La
stessa cosa vale per la logica.
R. - La tua posizione allora non è esclusivamente funzionalistica. Sei
consapevole di un progresso. Per te la novità prende il posto della bel
lezza.
X. - Non so se sia un progresso. Direi piuttosto un cambiamento. In
fatti quando il campo del sapere si estende perde parte della sua sostan
za. La geometria euclidea è stata il nido, l’uovo all’interno del quale si
sono posti problemi appassionanti.
— Lei contrappone forse la bellezza e la durata?
X. - Che un poliedro isolato sia bello è un epifenomeno. Vedremo
altri poliedri, diversi. Diremo allora che la bellezza ha molti aspetti?
Non si può più parlare di bellezza ma di una certa quantità di intelligen
za presente nell’oggetto. Secondo me fare qualcosa è bello in sé. Il bello
sta nell’accelerazione, non negli oggetti.
R. - Che cosa intendi per “quantità di intelligenza’’? È difficile da
misurare.
X. - Forse, ma è comunicabile. È un concetto sul quale tutti si inten
dono. Quando dico che una musica è “interessante’’ penso a quanto ha
in sé di intelligibile, alla sua efficacia. L’intelligenza è oggi l’arma più
feconda dell’uomo. Grazie all’intelligenza abbiamo la possibilità di pro
durre cose nuove partendo da un montaggio di cose esistenti. Ma siamo
soltanto all’inizio. Penso che la fisica arriverà a dimostrare che ci sono
buchi o fessure attravero i quali l’energia può sorgere dal nulla. Siamo
J 64
prigionieri di una mentalità molto ristretta perché non abbiamo gli stru
menti necessari per andare più lontano.
Credo, per esempio, perché li ho constatati, all’esistenza dei fenome
ni parapsichici anche se non ne conosco il segreto. Pensi a qualcuno e un
istante dopo questo qualcuno telefona. È evidente che non è un semplice
caso. Poi gli dici: “Sì, è così’’. Sul momento c’è una certa oscillazione.
Non si sa quello che accade. Occorrerebbe imparare a riconoscere que
ste percezioni. Potrei dire la stessa cosa di molte leggende o miti. Non
c’è motivo di pensare che questi fenomeni non esistano. Ma sotto quale
forma? Per il momento si tratta ancora di cose irrazionali. Forse in fu
turo capiremo.
R. - Si ha l’impressione che tu sia situato nella modernità ma che
nello stesso tempo non ti ci senta a tuo agio. Ti accorgi delle crepe dei
muri, senti che qualcosa accade là dietro. Alberti, Gassendi si trovavano
a loro agio nello spazio classico; Cartesio e Leibniz no. Per te è la stessa
I cosa. Per esempio non sei convinto che il tempo sia unidimensionale, ir
I
reversibile.
— A questo proposito, potrebbe precisare che cosa intende con
“fuori tempo”? È una nozione fondamentale nella Sua concezione della
I musica.
X. - Tutti i musicisti attribuiscono un’enorme importanza al tempo.
Mi sono chiesto perché. Che cosa resta della musica se si toglie il tempo?
Resta una folla di sensazioni che hanno bisogno del tempo per manife
starsi ma che esistono senza di esso. La musica non si svolge propria
mente nel tempo. La nostra percezione è frammentaria e si basa essen
zialmente sulla memoria. Un uomo senza memoria, anche se dotato di
1
un’intelligenza superiore, sarebbe un uomo finito. La memoria è la con
dizione della coscienza, dell’attività, della vita. Ora, la memoria è una
negazione del tempo: fissandolo ci strappa da esso. È una contraddizio
ne fondamentale in cui viviamo e che dimentichiamo con troppa facili
tà. Da ciò deriva l’interesse dello zen che si limita a ripetere instancabil
mente: “qui e ora”, che insegna a vivere nell’istantaneità. È vero che si
è costretti a passare per la fissità, per qualcosa che è morto: questo fa
parte dell’arte e della scienza.
R. - Altri musicisti come Varèse e Stockhausen hanno tentato di lot
tare contro il tempo distruggendo la frase. Fanno deil’istantaneismo. La
musica di Stockhausen potrebbe riassumersi in questa formula: in cia
scun istante questo solo istante. L’atteggiamento di Xenakis è esatta
mente opposto: le sue opere poggiano su strutture fuori tempo; ma esse
si realizzano nel tempo. Xenakis assume la temporalità, la continuità
con tutte le conseguenze che ne derivano; ma è un modo di far valere il
fuori tempo. Il tempo per lui è solo una tattica.
X. - Con la memoria disponiamo di una scorta di oggetti manipola
bili, una specie di sacco da cui possiamo attingere a volontà. È questa la
parte fuori tempo. Esempio: la definizione di una gamma o di una scala
165
melodica, i rapporti tra i differenti intervalli. Se però volete inscrivere
una melodia su questa scala avete bisogno del tempo, dell’ordinamento.
Il tempo come lo spazio è una struttura di base. Non sappiamo ancora
che cosa succederebbe se si giungesse a cambiare queste categorie di ba
se.
Ritorno sempre alla formidabile frase di Parmenide: “Pensare e es
sere sono la stessa cosa”. L’essere non è dunque l’oggettività, è un con
cetto più generale. Se possiamo immaginare qualche cosa, questa cosa
esiste o potrebbe esistere. Non si esce dalla logica binaria; ma poiché sia
mo capaci di negarla dovremmo anche essere in grado di uscirne. Biso
gnerebbe soltanto trovare nuove tecniche adatte allo scopo, qualcosa di
analogo al “brain-storming”. In fondo, la mistica, il mistero sono an
cora tattica.
R. - Prendiamo per esempio l’alchimia. Un tempo la trasformazione
del piombo in oro era una specie di fantasma. Ma la fisica contempora
nea gli ha dato un contenuto di verità. La stessa considerazione vale per
molte pratiche paramediche che rientrano nel campo dell’incantesimo e
della premonizione.
X. - Il razionalismo ha spazzato via tutto questo ma nello stesso
tempo ha mostrato i propri limiti.
R. - Quindi quando parli d’irrazionalità, cioè di quello che non è an
cora razionale, non pensi affatto in termini romantici. Rimani fonda
mentalmente nella linea dei presocratici.
X. - Le esperienze che si richiamano all’indicibile, alle cose nascoste
mi lasciano del tutto indifferente. Per esempio la droga. Non credo che
la droga porti a una conoscenza superiore. Acuisce soltanto la sensibili
tà. Edgar Poe in stato di lucidità avrebbe scritto poesie migliori che da
ubriaco. La droga produce stati di pensiero, sensazioni che serviranno a
qualcosa se e soltanto se verranno consolidate in seguito da un lavoro
molto lento. La base è l’uomo nella sua continuità.
— Che cosa pensa della psicanalisi?
X. - Penso che l’interessante non sia raccontarsi ma creare, agire.
Preferirei una forma di terapia attiva grazie alla quale gli ostacoli che il
malato incontra diventino per lui mezzi di creazione, di superamento.
R. - La reminiscenza può anche essere un modo per sviluppare le fa
coltà creative.
X. - È quello che dicono gli psicanalisti. Il paziente e l’analista vivo
no di questo mito. Ma io non ci credo.
R. - A ogni modo la teoria psicanalitica non ha ancora uno statuto
razionale. Perché il fatto di prendere coscienza di un affetto ce ne libere
rebbe?
X. - La tattica che la vita insegna è la lotta; il superamento con le sue
vittorie e le sue sconfitte è la produzione. Tutti sono più o meno malati,
tutti hanno le loro inibizioni e i loro terrori. Riusciamo a vincere tutto
166
ciò con uno sforzo di lavoro e di pensiero nella lotta di ogni giorno e non
rinchiudendoci entro i limiti della psicanalisi.
Un secolo fa Marx parlava di cambiare il mondo. Oggi occorre cam-
bire l’uomo perché sappiamo che il mondo è soltanto la visione che ne
abbiamo.
R. - Ritorni al solipsismo.
X. - No, voglio dire che del mondo, anche se esiste — e io credo che
esista, non sono solipsista —, abbiamo una conoscenza insufficiente.
Non si è mai sicuri di averlo colto in pieno. Il mondo esiste al limite, il
che non toglie nulla alla sua oggettività. A sua volta il mondo conosciu
to, quello che crediamo di conoscere, è una finzione provvisoria che
cambia al cambiare delle nostre tattiche mentali. Per questo mi sembra
giunto il momento di utilizzare l’enorme potere che l’uomo si è forgiato
non più per trasformare l’universo direttamente ma per trasformarlo at
traverso la trasformazione mentale dell’uomo. Credo che in questo mo
do avanzeremo molto più velocemente nella conquista dell’universo se
» conquista dev’esserci.
Si dice: cambiare la vita. Sono d’accordo, ma in che senso? Se si
tratta semplicemente di andare a vivere in campagna, secondo me è una
sconfitta. È normale restare terrorizzati di fronte all’immensità delle co
noscenze accumulate, di fronte alla forza cieca della tecnologia. Ma di
struggere non è una soluzione, non più di quanto lo sia suicidarsi ó an
dare dallo psicanalista. Occorre che ne usciamo utilizzando tutti i mezzi
disponibili. Se gli operai distruggessero le macchine, che cosa accadreb
be? Ritorneremmo semplicemente indietro, il potere dell’uomo sarebbe
meno grande.
— Se ho ben capito Lei non condivide le idee di moda sull’arresto
dello sviluppo...
X. - Certamente le forze che abbiamo sviluppato sfuggono sempre
di più al controllo umano e in questo senso andiamo verso la catastrofe.
Ma questo problema apparentemente insormontabile può essere risolto.
A questo punto interviene l’artista perché nel campo intellettuale è il più
libero. Le scienze sperimentali hanno due armi di base: l’esperienza,
cioè la reiterazione, e la teoria, cioè l’inferenza. Le arti possono essere
solo parzialmente inferenziali ma sono sperimentali: la molteplicità del
le esperienze costituisce la verità di un’opera d’arte. Ora ci sono cose,
per esempio nel campo psichico, che gli scienziati non conoscono, che
sfuggono completamente alle scienze sperimentali. Solo gli artisti posso
no lavorare su un campo molto più vasto, molto più ricco. Potrebbero
dunque esercitare un ruolo guida nella conquista del mentale se accettas
sero di diventare dei pensatori universali che si basano su conoscenze
scientifiche. Evidentemente nessuno può fare questo da solo. Bisogne
rebbe utilizzare le risorse di tutti.
R. - Che cosa accade quando gli artisti s’impossessano degli stru
menti della moderna tecnologia, per esempio il calcolatore elettronico,
167
è forse la vera via del-
per farne un uso diverso? Questa sovversione non
la TTdfre il vero non sono sicuro di fare un uso divedo del calcola-
“ntaa^a?°rmUle matematiche’
so
è questo il modo pTXX
x
G. - Non credo che l’impiego del calcolatore operi un taglio netto
168
i
nell’evoluzione della musica. Lo prova il fatto che Xenakis ha composto
a mano musiche molto complicate.
M. - Appunto: il calcolatore non sarà forse sempre in ritardo rispet
to alla pratica?
X. - Oggi Io è. Ma perché non lo sappiamo ancora utilizzare bene.
M. - Temo che sia il contrario. Per servirsi del calcolatore si sono
dovuti simbolizzare aspetti della musica tra loro eterogenei: l’intensità,
la durata e cosi via.
X. - Sono eterogenei solo in apparenza. Se scavi un po’ ti accorgi che
in profondità esistono strutture d’ordine che li connettono.
M. - Resta il fatto che, come tu stesso ammetti, non potrai mai tra
sporre in simboli tutta la musica. Farai una scelta attinente agli elementi
simbolizzabili. C’è dunque un rischio di impoverimento, di sclerosi.
Quelle che introduciamo nel calcolatore sono componenti sonore ma
non musicali.
G. - Avreste ragione se il compositore non definisse una struttura
preliminare.
M. - Non vedo come nel campo del timbro si potrebbero scoprire
strutture d’ordine. 1 timbri sono per natura eterocliti.
G. - A questo proposito la scelta era ancora più limitata per un com
positore come Bach giacché conosceva soltanto un ristretto numero di
parametri.
X. - È vero. Del resto il calcolatore non accresce l’intelligenza. Mol
tiplica, reitera. La tecnica seriale, per esempio, era troppo semplicistica.
Messiaen ha creduto di fare un passo considerevole utilizzando l’inver
sione nella sua musica. Tuttavia, malgrado la sua intuizione si trattava
ancora di bricolage. È evidente che il calcolo delle probabilità offre pos
sibilità molto più ricche.
R. - Il percorso di Xenakis parte da un semplicissimo fatto di osser
vazione: la musica accusa un ritardo storico considerevole rispetto alla
matematica. Il musicista di oggi si pone problemi di permutazione che
non è in grado di risolvere mentre un matematico qualsiasi potrebbe for
nirgli la soluzione. Come ha scritto Xenakis, a Schónberg è mancata
una migliore conoscenza delle scienze del suo tempo. Se fosse stato me
glio informato, anziché tentare di introdurre un determinismo rigoroso
nell’atonalità — che ha prodotto la musica seriale — avrebbe potuto in
travedere la musica stocastica.
M. - Si può dire invece che Xenakis è riuscito a passare dalla semi
formalizzazione di Messiaen a una formalizzazione radicale in quanto
aveva già intuito una musica più complessa e formicolante che voleva
controllare.
X. - Messiaen, come Schónberg, si è tenuto ai margini rispetto
all’evoluzione del pensiero scientifico. In essi si ritrovano ancora i peri
coli del romanticismo. Dal tempo di Rameau la musica e la scienza era
no in buoni rapporti. D’altra parte l’idea di utilizzare le macchine ci è
169
A rigor di termini non si è trattato di una ne-
venuta perché le avevamo. A rigor ai
cessità musicale. l’evoluzione ha preso la forma di un
“° “ p“d
chiedere, evidentemente, quale ne sia la causa.
M 1 Nonlmótaseal culmine di questa espansione? Mi stupisce
vedere come oggi ci sia un ritorno a musiche molto semplici.
X. - Il calcolatore è anche in grado di calcolare musiche lineari, rar -
fatte. È quello che ho tentato di fare in Nomos Alpha: produrre con uno
strumento molto ricco atmosfere molto rarefatte, temperature molto
basse.
M. - Malgrado tutto credo che tra la conoscenza pura e la conoscen
za musicale ci sia una differenza essenziale: la prima è cumulativa, la se
conda no.
G. - La sua prima affermazione mi sembra discutibile. Per imparare
la fisica moderna non è necessario passare attraverso tutti gli stadi pre
cedenti dello sviluppo scientifico.
X. - Facciamo un esempio: Beethoven. Tutti ascoltiamo la musica di
Beethoven come la si ascoltava nel diciannovesimo secolo. Ma sarebbe
possibile intenderla in un altro modo, reinterpretare l’armonia di
quell’epoca partendo da concezioni astratte. La storia è un cimitero do-
'e si incontrano fantasmi e neonati. Vi si trovano soltanto accumulazio-
ie e giustapposizione. Alcune idee rivoluzionarie e nuove invenzioni so
no incompatibili con altre.
à ' PenS° Chrda Sempre la maleria musicale stia in questo. 11 fatto
statì ronsìde?AtìJn ‘Tla S^° U,na parte' Per esemPio- > glissandi sono
un usocon^pUtamrete n^ovo0 ^are fÌ"° * XenakÌS ne ha falt°
r’Pe^izio?e^ ArforaUd^ascoHare,tl°<Ou?n/ò^'mr°n°,0n'a proprio della
niente. E poi lo svìIuddo del enne. Quinta sinfonia non intendo più
derevole. Non si può rimettere semn ™.USlcaIe pone un Problema consi-
X. - Non è solo la noia C ’ èu n imn°i Stesso disco di Chopin.
oltre. impulso vitale, il bisogno di andare
I,pittori tibetani riproducono^nd^finitam i,issata una vo,ta Per tutte.
1 arte ha una funzione sociale la rinèt.Jil ° stesso schema- Quando
P uzione non stanca nessuno.
170
4. RAZIONALITÀ E IMPERIALISMO
X. - Purtroppo non ho il tempo di analizzare musiche differenti. Ma
sono convinto che si potrebbe applicare loro lo stesso metodo che si ap
plica alle musiche occidentali. Le mie proposte di assiomatizzazione so
no talmente elementari da avere una portata universale. Tutti sanno mi
surare il tempo e utilizzare gli intervalli. Che queste operazioni siano
conscie o no, poco importa: l’essenziale è che si tratta di dati di base di
ogni pratica musicale e che si può analizzarli come oggetti.
M. - Non sono convinto che le strutture di base abbiano un carattere
così generale. Esistono lingue che non fanno distinzione tra il prima e il
dopo, tra il singolare e il plurale e tra le persone. Se supponiamo che
questi dati siano universali ci si può chiedere allora se abbiano un signi
ficato qualunque. Si situano a livello di astrazione tale che diventa inuti
le formularli.
X. - Accanto alle strutture d’ordine ci sono le strutture parzialmente
ordinate che i matematici hanno studiato da un secolo.
M. - Ricercare una struttura accessibile all’intelligenza in una deter
minata musica è già un atto di appropriazione sociale. Hai il diritto di
farlo? Ammetti la relatività dei sistemi di pensiero? Accetteresti, per
esempio, che si analizzasse la musica di Xenakis in funzione di altri si
stemi?
X. - Sì. Ammetto il relativismo. Pretendo soltanto che l’approccio
razionale si fondi su mezzi che gli diano una maggiore potenza, una
maggiore universalità.
M. - Occorre provarlo con degli esempi.
X. - Dire che tutti i musicisti comprendono il tempo, gli intervalli, le
intensità non ha niente di arbitrario. È un fatto sperimentale valido in
tutto il mondo. Del resto la notazione lo implica.
M. - Si conoscono civiltà che non scrivono la loro musica. Ci sono
anche sistemi musicali in cui le altezze non sono fisse.
X. - I musicisti sono per lo meno consapevoli delle differenze tra gli
intervalli. È un fatto elementare, non vi si può sfuggire.
M. - Allora perché finora i musicisti non l’hanno visto?
X. - Perché non se ne curano. Sono stati i teorici a cogliere queste
leggi matematiche. La stessa cosa succede in psicologia: Piaget ha sco
perto una coincidenza tra i fenomeni che osservava nei bambini e alcune
strutture matematiche e logiche.
M. - Gli indù hanno costruito alcune teorie sul simbolismo delle note
che chiamano in causa la credenza nella formalizzazione. Pensi che sia
no aberranti?
X. - La formalizzazione non dipende dalla credenza. Si basa sui fat
ti.
M. - A condizione di lasciar cadere tutta una parte di quelle teorie.
X. - Se dici che una nota rappresenta altro entri nel campo delle rela-
171
tività socioculturali. Per il momento questo non mi interessa. Io ho un -
oggetto davanti a me e voglio studiarlo sotto l’aspetto che lo mette in re
lazione con la scienza e con l’universalità.
M. - Passiamo alla seconda questione. È un fatto che il razionalismo
è stato utilizzato in una prospettiva pragmatistica per imporre la nostra
civiltà agli altri popoli. Questo non ti dà fastidio?
X. - Sì, certamente. Non approvo l’uso che gli occidentali hanno fat
to di un sistema di pensiero per distruggere civiltà altrettanto ricche o I
più ricche della loro. Ma questo non chiama in causa il sistema che ha
una portata universale. Che lo vogliamo o no siamo votati a una banali
tà planetaria. Lo si nota del resto nella musica attuale. Le differenze lo
cali, le eccentricità che occorrerebbe difendere a ogni costo si cancella
no. Oggi i musicisti di tutti i paesi fanno la stessa musica. Questo vale
anche per la musica popolare e io lo deploro.
M. - Lo deplori ma il tuo stesso lavoro contribuisce a questo livella
mento.
X. - Niente affatto. Quando ascolto musica giapponese o cinese e
per comprenderla meglio cerco di inventare strumenti nuovi basandomi
su una razionalità universale, non la distruggo.
M. - Le tue analisi potrebbero essere contrarie alla sua mentalità.
X. - Non capisco in che modo.
M. - Lo strumento razionale ha il suo posto tra altri. Ma è difficile
pretendere che abbia più importanza per esempio dello strumento sim
bolico o dello strumento mitico. Anche questi sono universali.
X. - No. Io cerco di prendere una distanza in rapporto all’oggetto.
Non cerco di parlarne dall’interno. Questa è una regressione.
M. - Tuttavia ti impadronisci dell’oggetto. Cerchi di fare la felicità
degli altri loro malgrado.
X. - Perché? Il mio scopo è comprendere e spiegare le cose in un mo
do valido per tutti. Restare all’interno del sistema per renderne conto è
una posizione più debole.
M. - Ma nemmeno tu esci dal tuo proprio sistema. Sei un prodotto
della Grecia.
X. - La forza della razionalità non deriva dal fatto di essere greca.
L’esperienza prova che lo stesso pensiero è all’opera in ogni istante,
dappertutto: nella matematica dei cinesi o degli indù come presso gli ar
chitetti messicani. Quello che si è prodotto in Grecia si produce nell’in
tero pianeta.
M. - Anche la tendenza a simbolizzare per mezzo di accostamenti ir
razionali è universale.
X. - Si, nella misura in cui vi si trovano rapporti, relazioni logiche,
dunque del razionale.
M. - Istituire una relazione tra il registro acuto, la luce e il divino è
proprio razionale? Si dice: il razionale è il progresso. Ma è una petizione
logica poiché prima si è definito il progresso come razionale.
172
X. - Le conseguenze della razionalizzazione, specialmente l’imperia
lismo, sono epifenomeni. Il pitagorismo è diventato planetario perché in
Occidente si è saputo sfruttare questa scoperta con la massima efficacia.
È vero che la scienza permette di fabbricare bombe. Ma le vittime non si
salveranno invocando Zarathustra. I giapponesi l’hanno capito e sono
diventati una grande potenza industriale.
M. - Resta il fatto che oggi questa espansione potrebbe anche essere
uno scacco. Gli uomini oggi non sono più razionali di cinquemila anni
fa. Al contrario: più si pone l’accento sulla razionalità e più la parte ir
razionale rimossa diventa pesante. Rispunta altrove e le cose lasciate
nell’ombra si vendicano.
X. - Il razionalismo moderno ha evidentemente i suoi difetti e puoi
i contestare l’impiego che ne viene fatto. Ma non vedo perché si dovrebbe
demolire tutto il sistema con il pretesto che qua e là si rivela distruttivo.
!i Quando lavoro procedo in qualche modo, alla cieca. Ci vedo chiaro a
cose fatte, quando cerco di misurare i risultati. Non faccio un’opera ra
I zionalistica.
M. - Naturalmente, altrimenti saresti soltanto un filosofo. Tu fai
musica e per mezzo di essa scopri l’altra faccia, quella che a noi resta
sconosciuta.
X. - Le due cose vanno di pari passo. Ma io parlo solo di quello di
cui posso parlare. Non parlo dell’inaccessibile. L’inaccessibile lo rag
giungo con la mia musica.
173
IV
1953-54
Melaslasis, per orchestra di 61 strumenti: ottavino, flauto, 2 oboi, clari
netto basso, 3 corni, 2 trombe, 2 tromboni tenore, timpani, percussioni
e archi (12, 12, 8, 8, 6). Edizioni Boosey & Hawkes. 7 minuti.
1955- 56
: Pithoprakta, per orchestra di 50 strumenti: 2 tromboni tenore, xilofo
no, woodblock e archi (12, 12, 8, 8, 6). Edizioni Boosey & Hawkes. 9
minuti.
1956- 57
Achorripsis, per 21 strumenti: ottavino, oboe, clarinetto in mi bemolle,
clarinetto basso, fagotto, controfagotto, 2 trombe, trombone tenore, xi
lofono, woodblock, grancassa, 3 violini, 3 violoncelli e 3 contrabbassi.
Edizioni Bote und Bock. 7 minuti.
1957
Diamorphoses, musica elettroacustica per nastro magnetico a 4 piste.
I R.T.F. 7 minuti.
1958
Concret PH, musica elettroacustica per nastro magnetico a 4 piste.
R.T.F. 2.45 minuti.
1959
Duci, sonata per due orchestre: 2 ottavini, 2 oboi, 2 clarinetti in si be
molle, 2 clarinetti in mi bemolle, 2 clarinetti bassi, 2 fagotti, 2 controfa
gotti, 4 trombe, 2 tromboni, percussioni (2 rullanti, 2 tamburi, 4 bon
ghi, 6 conghe) e archi (2, 2, 0, 8, 4). Edizioni Salabert. Durata variabile.
Syrmos, per 18 o 36 strumenti a corde (6, 6, 0, 4, 2 o il doppio). Edizioni
Salabert. 14 minuti.
Analogiques A & B, per 9 strumenti a corde (3, 3, 0, 2, 1) e nastro ma
gnetico a 4 piste. Edizioni Salabert. 7 minuti.
175
1960
Orient-Occidenty musica per nastro magnetico a 4 piste. R.T.F. 12 mi
nuti.
1960-61
Henna, per pianoforte. Edizioni Boosey & Hawkes. 9 minuti.
1956-62
ST/4y per quartetto d’archi. Edizioni Boosey & Hawkes. 11 minuti.
ST/10, per 10 strumenti: clarinetto, clarinetto basso, 2 corni, arpa, per
cussioni (5 tempie-block, 4 tom, 2 conghe, woodblock) e quartetto d’ar
chi. Edizioni Boosey & Hawkes. 11 minuti.
Morsima-Amorsimay per piano, violino, violoncello e contrabbasso.
Edizioni Boosey & Hawkes. 11 minuti.
1956-62
AtréeSy per 10 strumenti: flauto, clarinetto, clarinetto basso, corno,
tromba, trombone, percussioni (maracas, piatti sospesi, gong, 5 tempie-
block, 4 tom, vibrafono), violino e violoncello. Edizioni Salabert. 15
minuti.
1956-62
ST/48y per orchestra di 48 strumenti: ottavino, flauto, 2 oboi, clarinet
to, clarinetto basso, fagotto, controfagotto, 2 corni, 2 trombe, 2 trom
boni, 4 timpani, percussioni (4 tom, 5 temple-block, woodblock, tam
buro, vibrafono, marimba) e archi (8, 8, 6, 6, 4). Edizioni Boosey &
Hawkes. 11 minuti.
Siratégie, sonata per due orchestre: 2 ottavini, 2 flauti, 2 oboi, 2 clari
netti in si bemolle, 2 clarinetti in mi bemolle, 2 clarinetti bassi, 2 fagotti,
2 controfagotti, 4 corni, 4 trombe, 4 tromboni tenore, 2 tube, percussio
ni (2 vibrafoni, 2 marimbe, 2 maracas, 2 piatti sospesi, 2 grancasse, 2x4
tom, 2x5 temple-block, 2x4 woodblock, 2x5 campane da capra) e archi
(12, 12, 8, 8, 6). Edizioni Boosey & Hawkes. Durala variabile.
1962
Polla la dhinay per coro di bambini e orchestra: 20 voci di bambini otta
vino, flauto, 2 oboi, clarinetto, clarinetto basso, fagotto, controfagot
to, 2 corni, 2 trombe, 2 tromboni, percussioni e archi (8, 8, 6, 6, 4). Edi
zioni Modem Wewerka. 6 minuti.
Bohory musica elettroacustica per nastro magnetico a 8 piste (esiste co
munque in versione a 4 piste). Edizioni Salabert. 23 minuti.
1963-64
Eontay per pianoforte e 5 ottoni: 2 trombe, 3 tromboni tenore. Edizioni
Boosey & Hawkes. 18 minuti.
176
1964
Hiketides, musica di scena per coro di donne e insieme strumentale: 50
soprani o mezzo-soprani che suonano percussioni (crotali, triangoli,
maracas, campane, campanacci, tamburi), 2 trombe, 2 tromboni, 2 vio
lini, 2 violoncelli, 2 contrabbassi. Edizioni Salabert. 30 minuti.
Idem, suite strumentale per 2 trombe, 2 tromboni e archi (6 primi violi
ni, 6 secondi violini, 8 violoncelli, 4 contrabbassi o un multiplo). Edizio
ni Salabert. 10 minuti.
1964-65
Akrata, per 16 strumenti a fiato: ottavino, oboe, clarinetto in si bemol
le, clarinetto in mi bemolle, clarinetto basso, fagotto, 2 controfagotti, 2
corni, 3 trombe, 2 tromboni tenori e tuba. Edizioni Boosey & Hawkes.
11 minuti.
1965-66
Oresteia, musica di scena per coro misto e orchestra da camera: ottavi
! no, oboe, clarinetto, clarinetto basso, controfagotto, corno, tromba, in
re bemolle, tromba tenore, tuba, percussioni (strumenti tradizionali e
non usuali) e violoncello. Edizioni Boosey & Hawkes. 100 minuti.
Idem, suite di concerto per coro misto e orchestra da camera. Edizioni
Boosey & Hawkes. 46 minuti.
Terrèlektorh, per orchestra di 88 musicisti sparpagliati tra il pubblico:
ottavino, 2 flauti, 3 oboi, clarinetto in si bemolle, clarinetto in mi be
molle, clarinetto basso, 2 fagotti, controfagotto, 4 corni, 4 trombe, 4
tromboni tenore, tuba, percussioni e archi (16, 14, 12, 10, 8) ciascun
musicista deve inoltre possedere: 1 woodblock, 1 frusta, 1 maracas, e 1
sirena Acmé. Edizioni Salabert. 18 minuti.
1966
Nomos alpha, per solo violoncello. Edizioni Boosey & Hawkes. 17 mi
nuti.
1967
Polytope, spettacolo luminoso e sonoro con musica per quattro orche
stre identiche: ottavino, clarinetto, clarinetto basso, controfagotto,
tromba, trombone tenore, percussioni (grande gong, woddblock giap
ponesi, 4 toni), multipli di 4 violini e 4 violoncelli. Edizioni Boosey &
Hawkes. 6 minuti.
Nidts, per 12 voci soliste miste a cappella. Edizioni Salabert. 11 minuti.
Medea, musica di scena per coro d’uomini (che eseguono ritmi con cio-
toli di fiume o di mare) e insieme strumentale: clarinetto, controfagotto
trombone, violoncello e percussioni. Edizioni Salabert. 25 minuti.
1967-68
Nomosgamma, per orchestra di 98 musicisti sparpagliati tra il pubblico:
177
I
ottavino, 2 flauti, 3 oboi, clarinetto in si bemolle, clarinetto in mi be
molle, clarinetto contrabbasso, 2 fagotti, 3 controfagotti, 6 corni, 5
trombe, 4 tromboni tenori, tuba, percussioni e archi (16, 14, 12, 10, 8).
Edizioni Salabert. 15 minuti.
1968-69
Kraanerg, musica da balletto per nastro magnetico a 4 piste e orchestra:
ottavino, oboe, 2 trombe, 2 tromboni e archi (multipli di 3, 3, 2, 2, 2).
Edizioni Boosey & Hawkes. 75 minuti.
1969
Anaktoria, per ottetto: clarinetto, fagotto, corno, 2 violini, viola, vio
loncello e contrabbasso. Edizioni Boosey & Hawkes. 11 minuti.
Synaphai, per pianoforte e orchestra: 3 flauti, 3 oboi, 3 clarinetti, 3 fa
gotti, 4 corni, 4 trombe, 4 tromboni tenore, tuba, percussioni e archi
(16, 14, 10, 10, 8). Edizioni-Salabert. 14 minuti.
Persephassa, per sei percussionisti disposti intorno al pubblico. Edizioni
Salabert. 24 minuti.
1969-70
Hibiki-Hana-Ma, musica elettroacustica su 12 piste magnetiche (esiste
anche in versione a 4 piste) per uno spettacolo audiovisivo, con base or
chestrale. Edizioni Salabert. 18 minuti.
1971
Charisma, per clarinetto e violoncello. Edizioni Salabert. 4 minuti. !
Aroura, per 12 strumenti a corde (4, 3, 2, 2, 1) o un multiplo. Edizioni
Salabert. 12 minuti.
Persepolis, spettacolo luminoso e sonoro con musica elettroacustica per
nastro magnetico a 8 piste (esiste anche in versione a 4 piste). Edizioni
Salabert. 57 minuti.
Antikhton, musica da balletto per orchestra: 3 flauti, 3 oboi, 3 clari
netti, 2 fagotti, controfagotti, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni tenore, tu
ba, percussioni e archi (10, 8, 6, 6, 4). Edizioni Salabert. 23 minuti.
Mikka, per solo violino. Edizioni Salabert. 4 minuti.
1972
Linaio-Agon, per corno, trombone tenore e tuba. Edizioni Salabert.
Durata variabile.
Polytope de Cluny, per nastro magnetico a 4 piste. Edizioni Salabert. 24
minuti.
1973
Eridanos, per 2 corni, 2 trombe, 2 tube e archi (multipli di 2, 2, 2, 2, 2).
Edizioni Salabert. 11 minuti.
Evryali, per solo pianoforte. Edizioni Salabert. 11 minuti.
178
Cendrées, per coro misto di 72 voci e orchestra: 2 flauti (ottavino), 2
oboi, 2 clarinetti in si bemolle (clarinetto basso), 2 fagotti, 2 corni, 2
trombe, 2 tromboni, 1 tuba, archi (16, 14, 10, 10, 8). Edizioni Salabert.
25 minuti.
1974
Erikhthon, per pianoforte e orchestra: 3 legni più clarinetto basso, con
trofagotto, 4 ottoni più 1 tuba, archi (16, 14, 12, 10, 8). Edizioni Sala
bert. 15 minuti.
Gmeeoorh, per organo. Edizioni Salabert. 29 minuti.
Noomena, per grande orchestra: 3 flauti, 1 ottavino, 3 oboi, 1 corno in
glese, 1 clarinetto in mi bemolle, 3 clarinetti, 1 clarinetto basso, 3 fagot
ti, 1 controfagotto, 5 trombe, 4 tromboni, 1 tuba, archi (18, 16, 14, 12,
10). Edizioni Salabert. 17 minuti.
1975
■
Empreintes, per orchestra: 1 ottavino, 2 flauti, 3 oboi (corno inglese), 1
clarinetto, in mi bemolle, 2 clarinetti (clarinetto basso), 2 fagotti, 1 con
trofagotto, 4 corni, 4 trombe, 4 tromboni tenore, 1 tuba, archi (16, 14,
12, 10, 8). Edizioni Salabert. 12 minuti.
Phlegra, per 11 strumentisti: flauto (ottavino), oboi, clarinetto in si be
molle (clarinetto basso), fagotto, corno, tromba, trombone, violino,
viola, violoncello, contrabbasso. Edizioni Salabert. 14 minuti.
Psappha, per sola percussione. Edizioni Salabert. 18 minuti.
N’shima, per 2 corni, 2 tromboni, 2 mezzosoprani, 1 violoncello. Edi
zioni Salabert. 17 minuti.
1976
Khoaì, per clavicembalo. Edizioni Salabert. 15 minuti.
179
V
Discografia e bibliografia
Francia
Barclay 920217, Anaktoria, Morsima-Amorsima, eseguito dall’Octuor
de Paris.
Boìte à Musique 070, Dìamorphoses (+ Schaeffer, Ferrari, Philippot,
Saugnet).
CBS 34-61226, Akrata, diretta da R. Dufallo (+ Del Tredici, Nono, Ta-
kemitsu).
EMI C063-10011, Akrata, Achorripsis, ST/IO, Polla Ta Dhina, diretta
da K. Simonovitch.
EMI CVC 2086, Atrées, Nomos Alpha, ST/4, Morsima-Amorsima, con
P. Penassou, quartetto Bernède diretto da K. Simonovitch.
EMI MCV 2086 c, Idem (minicassette).
EMI CVB 2190, Herma, eseguita da G. Pludermacher (+ Boucourech-
liev, Jolas).
Erato STU 70457, Nuits, eseguita dai Solistes des Choeurs ORTF diretti
da M. Couraud ( + Messiaen, Penderecki), Grand Prix du Disque 1968.
Erato STU 70526, Syrmos, Medea, Polytope, direttore M. Constant,
Grand Prix du Disque 1969.
Erato STU 70527/28, Kraanerg, diretta da Constant, Grand Prix du Di
sque 1969.
Erato STU 70529, Nomos Gamma, Terretektorh, direttore Ch. Bruck,
Grand Prix du Disque 1969.
Erato STU 70530, Bohor I, Dìamorphoses II, Orient-Occident III, Con-
cret PH II, Grand Prix du Disque 1969.
Erato STU 70565, Oresteia, diretta da M. Constant.
Erato LDEV 523 (45 t.), Medea, Polytope, direttore M. Constant.
Le Chant du Monde LDX A 8368, Metastasis, Pithoprakta, dirette da
181
M. Le Roux, Eonta con Y. Takahashi, diretta da K. Simonovitch,
Grand Prix du Disque 1966.
Le Chant du Monde K60, Idem (minicassette).
Philips 835485/86 AY, Orient-Occident (+ Berio, Ferrari, Maderna,
Henry, ecc.)
Philips 835487, Concret PH, Analogiques A et B, direttore K. Simono
vitch.
Philips 836897 DSY, Orient-Occìdent (+ Berio, Ferrari, Maderna, Du-
frène, Barronnet).
Philips 90 119 CAA, Orient-Occìdent (+ Berio, Kagel) (minicassette).
Philips 652 1020, Persephassa, eseguita da Percussions de Strasbourg.
Réalisations sonores n° 5, Xenakis parìe.
Philips T 652 1045, Persépolis.
Germania
Hòr Zu (Elektrola), Medea, Concret PH II, Orient-Occìdent III.
Deutsche Grammophon 2530562 (Polydor International), Nomos Al
pha, eseguita da Siegfried Palm (+ Webern, Kagel, Zimmermann, Pen-
derecki, Brown, Yun).
Giappone
Distribuzione Nippon Columbia:
Erato STU 70526, Syrmos, Medea, Polytope.
Erato STU 70527/28, Kraanerg.
Erato STU 70529, Nomos Gamma, Terretektorh.
Erato STU 70530, Bohor I, Diamorphoses II, Orient-Occìdent III, Con
cret PH II.
La serie di questi quattro dischi ha ottenuto il Grand Prix du disque in
Giappone.
RCA Victor Giappone, Stratégie, diretta da S. Ozawa e da H. Wakasu-
gi-
SJV 1513
JRZ 2501, Hibiki-Hana-Ma, diretta da S. Ozawa (+ Takemitsu, Taka
hashi).
Sony CBS SONC 10163, Akrata (+ Del Tredici, Nono, Takemitsu).
Nippon Phonogram SFX 8683, Persépolis.
182
I
I
Gran Bretagna
Cybernetics Serendipity Music ICA 01,02, Stratégie (estratti) diretta da
S. Ozawa e da H. Wakasugi.
HMV, Nuits (+ Messiaen, Penderecki).
DECCA, Headline Series, HEAD 13, Antikhthon, Synaphai, Aroura,
diretta da E. Howarth.
Grecia
Lyra 251, Metastasis, Pìthoprakta, Eonta.
Olanda
Jeugden Muziek, Middelburg BVHAAST 007, Eonta, Herma, Evryali,
al pianoforte Geoffrey Madge, direttore P. Eòtvòs.
!
Stati Uniti
Angel S-36560, Atrées, Nomos Alpha, ST 4, Morsìma-Amorsima.
Angel S-36655, Herma (+ Boucourechiiev, Jolas).
Angel S-36656, Akrata, Achorripsis, ST/10, Polla Ta Dhina.
Boìte à Musique 070, Diamorphoses (+ Schaeffer, Ferrari, Philippot,
Sauguet).
Candide 31049, Syrmos, Medea, Polytope.
Columbia MS-7281, Akrata (+ Del Tredici, Nono, Takemitsu).
HMV S-ASD 2441, Atrées, Nomos Alpha, ST/4, Morsìma-Amorsima.
Limelight 86047, Orient-Occident (+ Berio, Ferrari, Maderna, Dufrè-
ne, Barronnet).
Mainstream 5000, Herma, eseguita da Y. Takahashi (+ E. Brown, Rey
nolds, Takahashi).
Nonesuch 7120, Akrata, Pìthoprakta, direttore L. Foss(+ Penderecki).
Nonesuch H-71246, Bohor I, Diamorphoses II, Orient-Occident III,
Concret PH II.
Vanguard Cardinal 10030, Metastasis, Pìthoprakta, Eonta.
MHS 1187, Nuits, Medea (estratti) (+ Messiaen).
183
BIBLIOGRAFIA DEGLI SCRITTI DI XENAKIS
184
I
Revault D’allonnes O., La Création artistique et lespromesses de la
liberté, Klincksieck, Paris 1973. Cfr. il capitolo VII L’artisteet l’avenir:
lannis Xenakis et la modernité, pp. 217 sg.
Fleuret M., Xenakis, Éditions Joél Cuénot, Paris.
Ravault D’allonnes O.» Xenakis/Les polytopes, Ballane!, Paris
:• 1975.
185
INDICE
Prima parte
MUSICA
Seconda parte
ARCHITETTURA
I. Il Padiglione Philips all’alba di una architettura 97
IL Note su un “gesto elettronico’’ 113
III. La città cosmica 119
Terza parte
MUSICA. ARCHITETTURA
Quaderno di illustrazioni 129
I. Varietà 145
II. Appendici 153
III. Conversazioni 161
IV. Catalogo delle opere musicali di Xenakis 175
V. Discografia e bibliografia 181
SPIRALI EDIZIONI
Collana “l’alingua” Collana “romanzi”
JEAN DANIEL, L'era delle rotture PHILIPPE SOLLERS. Paradis
CARLO FINALE, il linguaggio GIUSEPPE GRIECO, Liturgia di amore e
dell"'Unita' 1969-1979 di governi
JEAN-CLAUDE MILNER, L’amore della
lingua Collana “interventi”
JEAN DANIEL, Memoria al presente AA. W., La violenza è ancora rivoluzio
ROLAND JACCARD, I cammini della naria?
disillusione KK. W., No» tutto è politica
PHILIPPE SOLLERS, Visione a New Collana “sembianza”
York FRANCO CUOMO. Nerone
ANDRÉ FONTAINE, La Francia addor
mentata nel bosco “Clinica. Collana-rivista
JEAN-TOUSSAINT DESANT], Ilfiloso internazionale di psichiatria”
fo e i poteri 1, La paranoia, l'antropologismo
JEAN DANIEL. L’errore 2, In materia di amore. Studi sul discorso
ALESSANDRO DI CARO, Lévi-Strauss:
isterico
teoria della lingua o antropologismo? 3- La macchina telepatica. Studi sul di
BERNARD-HENRY LÉVY, L'ideologia
scorso schizofrenico
francese
JACQUES AITALI, 1 tre mondi. Per una «Nominazione. Collana-rivista
teoria del dopocrisi internazionale di logica”
IANNIS XENAK1S, Musica. Architettu
1, La sfida di Peano
ra 2, La scommessa della verità
Collana “nomi” “Causa di verità. Collana rivista in
MOUSTAPHA SAFOUAN. Essere e pia ternazionale di diritto”
cere
1, L'istituzione psicanalista
KN. WL’intellettuale e il sesso
JEAN OURY, La psicosi e il tempo Collana “lettera e simbolo”
OCTAVE MANNONI, Un debutto che JEAN-MARTIN CHARCOT e PAUL RI-
non finisce CHER, Lé indemoniate nell'arte
JULIA KRISTEVA, Poteri dell'orrore. ACHILLE BONITO OLIVA. Il sogno
Saggio sull'abiezione dell'arte
VIV1ANE FORRESTER. La violenza del
la calma Collana “poesia”
GILBERTO F1NZI, Tre formule di desi
Collana “cifre” derio
FERNAND DELIGNY, 1 bambini e il si CESARE MILANESE. // tempo e l'ora
lenzio JUAN LISCANO, Nella notte venne e
SEBASTIANO ADDAMO, La metafora baciò le mie labbra
dietro a noi ENNIO CAVALLI, Carta intestata
UMBERTO SILVA, Il Cavaliere della
Paura Collana “insegnamento”
PIERRE NAVILLE, Trockij vivo AA. W., Filosofare
VEL EDIZIONI
Collana “lo scritto dello 13, L'arte dell'amante
psicanalista” 14, Il metodo della psicanalisi
15, La canzone dell'apocalisse. Per una
PIERRE LEGENDRE, Testualità
lettura della Peste
AA.W., New York: sesso e linguaggio
ARMANDO VERDIGLIONE
“Vel. Collana periodica di psicanali Fondazioni della psicanalisi
si” 0. La peste
12, La formazione dello psicanalista 1. Dio
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LE DIABLE (marzo)
CAUSE DE JOUISSANCE (aprile)
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sirene — Jean Oury, La schizofrenia e il transfert — Massimo Meschini, La
macchina del tempo — Georges Lanteri-Laura, Il contributo di Philippe Cha-
slin e di Eugen Bleuler alla nozione di schizofrenia — Jean-Claude Malevai,
Smembrare la scrizofrenia — Giancarlo Ricci, Telepatia e realizzazione — Sil
vano Arieti, Il contenuto della schizofrenia — Thomas Szasz^chizofrenia-, un
errore di categoria — Franco Mori, Il sembiante nel discorso schizofrenico —
Fabrizio Scarso, L’amore del tempo assoluto — Hermann Lang, L'inconscio
dello psicotico — Giorgio Moretti, Considerazioni intorno alla schizofrenia in
fantile — Alessandro Bernath, Schizofrenia e metafora — Luigi Gianolla, La
schizofrenia e la lingua — Ruggero Chinaglia, L'assoluto — Euro Pozzi, Il
transfert e la sessualità — Max Beluffi, Leggendo Bleuler — Adriana Galim
berti, Cura d'amore — Filippo Ferro, Figure della, crisi — Italo Carta, L’isti
tuzione psichiatrica e il tempo — Alberto Merini, Il bisbiglio e l'ascolto —
Giuseppe Roccatagliata, Il cerchio magico madre-figlio — William G. Nieder-
land, Note intorno alla relazione tra il fatto e l'insorgere della malattia — lon
Vianu, Concezioni poetiche e antipoetiche della follia. I
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L’istituzione psicanalitica, 1, giugno 1981 (L. 12.500)
Armando Verdiglione, Addirittura — Elisabeth Roudinesco, La questione del
sembiante nelle istituzioni psicanalitiche — Emilia Cerutti, Seguace del tempo
— Vittorio Frosini, Metacritica dell'istituzione come diritto negativo — Sergio
Dalla Val, L'istituzione del sofista — Konstantin Stoyanovitch, La giurispru
denza — Sonia Ferto, Il parricidio — Jacques Chazaud, Divagazione per una
critica (ana)cronica della ragione repressiva — Fabrizio Scarso, Dall'imperfetto
all'imperativo — Massimo Nobili, Processo penale: il « nuovo » volto di una
istituzione — Paolo Dusi, La misericordia dell’inquisitore — Germano Bellus-
si, Tempo, diritto, istituzione — Brunella Galante, Honni soit qui mal y pense —
Jean Florence, Della legge. Fantasmi e finzioni — Alessandro Giuliani, Impu
tazione e giustificazione — Franco Baldini, La setta — Philippe Rappard, Lo
stato, la follia e la comunità in Francia e in Italia — Ake Lògdberg, Diritto
alla privacy — Sergio Jacomella, Tendenze e valori nel campo della difesa so
ciale — J. Duncan M. Derrett, Date a Cesare — Marie-Jeanne Segers, La reto
rica nel discorso giuridico — Hannu Tapani Riami, Aspetti della verità pro
cessuale — Giuliana Sangalli, L’incurabile.
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Armando Verdiglione, La verità come effetto della cifra — Cesare Milanese,
Fenomenologia dell'errore — Rudolf von B. Rucker, Verso una coscienza del
robot — F.C. Asenjo, Verità, antinomicità e processi mentali — Alessandro
Atti, Characteristica del sogno — Donald W. Mertz, Analisi delle Weltan-
schauungen di Kuhn. Il problema delle incommensurabilità Teoria-Natura —
Francesca Rivetti Barbò, Il mentitore e la verità — James Alexander e John
Friedman, La verità e la psicanalisi: l’edipo e la morte — Bruno Bertotti, Na-
mes — Dasharath Singh, La verità della matematica — Italo Bassi, Peano e la
logica dell’inconscio — Irving H. Anellis, La psicologia di Piaget, la matema
tica costruttiva e l’interpretazione semantica della verità — Albano Unia, La
logica di Peano e la teoria degli insiemi di Zermelo — Stewart Shapiro, L’argo
mento con la tesi di Church — Thomas Bjurlof, Elusività del discorso degli in
siemi — Guillcrmo E. Rosado Haddock, Necessità a posteriori e contingenze
a priori in Kripke: alcune note critiche — Peter Eggenberger, La nozione di
realtà in Brouwer e le nozioni fondamentali del suo primo atto dell’intuizioni
smo — Luciano Faioni, La funzione di rimozione — Letizia Lionello, Di una
variabile.
L’abbonamento annuo (due numeri) è di L. 20.000 da versare sul c.c. postale
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La canzone dell’apocalisse. Per una lettura della Peste, 15, giugno
1981 (L. 10.000)
Ferruccio Masini, Latitudine della « peste » — Aldo Tagliaferri, Sul grado zero
dell’ideologia — Alberto Cappi, La perturbabilità del testo — Francesco Saba
Sardi, Linguaggio poetico e rigore scientifico — Stefano Lanuzza, Lessico della
peste — Ottavio Rossani, Lo scandalo della libertà — Luciano Pellicani, Di
menticare Gramsci — Sandro Gennari, Dell’ineguale — Carlo Sini, Il destino
della psicanalisi — Ernesto H. Battistella, La peste della verità — Michel Ar
rivò, I panni di Verdiglione — Pierre Kaufmann, L'elefante di Annibaie ha
riattraversato le Alpi — Marcelin Pleynet, La peste — Jean-Toussaint Desanti,
Una sintassi insolita — Octave Marinoni, Senza esca — Cesare Milanese, Sullo
stile — Andrea Battistini, Una retorica — Guy Scarpetta, Lo straniero — Phi
lippe Sollers, La guerra e la peste — Fabrizio Scarso, Colore e punto vuoto —
Philippe Rappard, Di un discorso incompiuto — Aldo Miani, Teoria della vo
ce — Gérard-Georges Lemaire, Un nuovo elogio della peste — Emilia Cerutù
La cultura di Freud — Claude Minière, Il movimento della peste — Viviane
Forrester, Poesia dell’inquietudine — Bernard-Henri Lévy, Il segnale d’allar
me — Pierre-Marc de Biasi, La lingua oscura — Gilberto Finzi, La parola nel
suo atto — Emo Marconi, Il teatro della peste — Franco Cuomo, Le regole
della peste — Massimo Meschini, Il transfert dell’analista — Bettino Craxi,
Una nuova geometria.
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