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I’alingua

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I

lannis Xenakis

MUSICA
ARCHITETTURA


SPIRALI EDIZIONI

i.
Titolo dell'opera originale
Musique. Architecture
(Copyright 1976, Casterman, Paris)

Editore
Roberto Sudasassi
Traduzione dal francese di
Letizia Lionello, Giancarlo Secco, Angelo Varese

Prima edizione italiana: gennaio 1982 !


Copyright by
©
‘Spirali Edizioni
Milano
Nota all’edizione italiana

L'edizione italiana di questo libro è un avvenimento cui sono molto


sensibile perché per la prima volta le teorie da me elaborate in ventisei
anni di lotte nel campo della composizione musicale potranno giungere
al pubblico italiano cui mi sento molto vicino. Non è però un libro peda­
gogico in senso stretto, nel senso cioè che prenda per mano il lettore per '
guidarlo bonariamente attraverso i rovi di un pensiero differente dal
suo. È composto di articoli e saggi scritti in varie occasioni e pubblicati
in vari paesi, in lingua francese o inglese, tedesca, svedese, polacca, gre­
ca, giapponese: ciascun testo è una scansione lungo quell’arco di tempo.
E volevo che fossero testi accessibili e esplicativi di un pensiero la cui no­
vità cercavo man mano di definire, spesso a tentoni, in modo piu preciso
e più profondo. Dico accessibili e esplicativi perché non lo era altrettan­
to Musiques formelles, un mio libro uscito in Francia nel ’63 (e negli
Stati Uniti nel ’71) in cui trattavo le nuove teorie relative alla configura­
zione musicale e cui affidavo con entusiasmo ma senza tener conto del
lettore le nuove idee, le scoperte e le analisi delle applicazioni concrete
nelle mie opere. In Musiques formelles desideravo che il lato teorico fos­
se importante quanto l’aspetto sonoro. Musica. Architettura invece non
è un libro tecnico ma un discorso in cui svolgo sia le stesse idee su un
piano filosofico sia teorie differenti come quella delle scale reticolari che
si basa in parte sui risultati che Peano aveva ottenuto con la teoria dei
numeri, o come quella delle simmetrie sorte dai gruppifiniti applicati al­
la composizione musicale.
Una parte centrale è dedicata all’architettura e al Padiglione Philips
che ho progettato per Le Corbusier e all’utopia realizzabile delle "Città
Cosmiche” poste su gusci di 50 o 100 metri di spessore e che s’innalzano
fino a 5000 metri di altezza.
Riproduzioni di grafici, partiture, disegni musicali e architettonici
danno un supporto visivo alle teorie e ai modi di messa in opera. Seguo­
no alcuni testi incentrati sulla musica, sul posto che occupa nel nostro
universo e sulla sua connessione con la pedagogia.
Sono grato a Armando Verdiglione per aver deciso di pubblicare
Musica. Architettura.
lannis Xenakis

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V


Prima parte

MUSICA
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I

Teoria delle probabilità e composizione musicale

Il processo del pensiero musicale strumentale è di fondamentale im­


portanza poiché fornirà il sostrato teorico e dottrinario per la musica
elettronica e concreta o in generale per una musica di suoni prodotti
meccanicamente.
La musica seriale proponeva un sistema la cui sostanza in ultima
analisi era costituita dalle sue proprietà geometriche e quantitative. Per
esempio le quattro forme della serie per le proprietà geometriche, il nu­
mero dei semitoni degli intervalli per le proprietà quantitative. 11 pensie­
ro puro della matematica veniva così consapevolmente reintrodotto nel­
la composizione musicale. Tuttavia le nuove concezioni “purificatrici”
restavano rinchiuse nelle loro bande lineari e le entità musicali si forma­
vano soltanto a partire dalle serie dei dodici suoni, come nelle combina­
zioni cromosomiche in cui i geni sono i costituenti. È come se la musica
dodecafonica avesse liberato tutti i suoni temperati e, impauritasi di
fronte a questo atto inaudito, si fosse affrettata a rifugiarsi entro forme
di pensiero che appartengono a altri secoli.
Che fare con gli ottanta suoni del piano temperato, tutti uguali ma
distinti?
Fino a quel momento l’arte polifonica guidava la musica con mano
sicura mediante linee melodiche. Veniva così creata una frontiera “di
mentalità” che impediva lo sfruttamento totale dell’ampliamento dode­
cafonico.
Vedremo subito come la teoria e il calcolo delle probabilità eliminino
questo ostacolo e ci consentano di comporre con ottanta o, se vogliamo,
con mille suoni, utilizzandoli in modo globale, in massa e non più li­
nearmente. La polifonia diverrebbe in tal modo un caso particolare di
questa musica e verrebbe creata una nuova plastica sonora.
Possiamo esaminare a uno a uno i componenti del suono che peral­
tro non hanno fra loro nessuna relazione di causa e effetto. Sono varia- .
bili indipendenti e la sintesi musicale procede per approssimazioni e at­
tribuzioni più o meno collegate a queste componenti.

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Le durate
Il tempo è considerato una linea retta sulla quale si tratta di marcare
i punti corrispondenti alle variazioni delle altre componenti. L’interval­
lo tra due punti s’identifica con la durata. Tra tutte le successioni possi­
bili di punti, quale scegliere? Posta in questi termini la questione non ha ■i'
senso.
Stabilisco una media di punti su una lunghezza data. La questione
allora diventa: “Data tale media di punti, entro quali limiti i segmenti
così ottenuti possono variare?’’.
Quando si conosce la media dei punti posti a caso su una retta, la
formula che deriva dai ragionamenti delle probabilità continue e che in­
dica le probabilità per tutte queste lunghezze possibili è:
— 8x
Px = 0-4 dx
in cui 5 è la densità lineare dei punti e x la lunghezza di un segmento
qualsiasi. Lo scarto tipo è a = _L. Si sa che variazioni di db 5 cr so­
no altamente improbabili. Ò
Se ora scegliamo alcuni punti e li confrontiamo con una distribuzio­
ne teorica che obbedisca alla legge precedente o a qualsiasi altra distri­
buzione, possiamo dedurre la percentuale di probabilità contenuta nella
nostra scelta o l’adeguamento più o meno rigoroso della nostra scelta a
una legge di distribuzione che può anche essere assolutamente funziona­
le. Il confronto si stabilisce sulla base di test fra cui il più usato è il crite­
rio “X2’’ di Pearson. Nel nostro caso, in cui tutte le componenti del
suono sono misurabili, utilizzeremo inoltre il coefficiente di correlazio­
ne. Sappiamo che se il coefficiente di correlazione tra due popolazioni è ò
± 1 queste popolazioni sono in relazione funzionale lineare. Se il coef­
ficiente è zero, le due popolazioni sono indipendenti. Sono possibili tutti
i gradi intermedi a seconda delle più o meno strette relazioni di dipen­
denza.

Le altezze

Supponiamo una durala qualsiasi e un insieme di altezze puntuali


soggette a tale durata. Data la densità media, quali sono le probabilità
per ottenere questa o quella densità? La formula di Poisson risponde a
questa domanda:

PM =

fio è la densità media, fi una densità qualsiasi e a = Vgo lo scarto tipo.


Fluttuazioni di zfc 5 a sono altamente improbabili. Come per le durate,

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è possibile ottenere la legge a cui vogliamo che obbedisca la nostra scelta
di altezze mediante confronti con altre distribuzioni di altezze.
Anche la dinamica e i timbri possono obbedire alla legge di Poisson.

Le velocità
Abbiamo parlato dei suoni puntuali e granulari. Esiste un’altra
categoria di suoni, quelli a variazione continua o glissandi. Tra tutte le
possibili forme che può assumere un glissando scegliamo la più sempli­
ce, il glissando uniformemente continuo. Questo suono può essere sen­
sorialmente e fisicamente assimilato alla nozione fisica di velocità. Ne
deriva una rappresentazione vettoriale a una dimensione. La grandezza
scalare del vettore è data dall’ipotenusa del triangolo rettangolo mentre
gli altri due lati rappresentano la durata e l’intervallo di altezze percorsi.
Ai suoni continui (glissandi) si possono dunque applicare tutte le opera­
zioni matematiche. I suoni tradizionali degli strumenti, per esempio a
fiato, sono casi particolari in cui la velocità equivale a zero. Un glissan­
do verso le altezze acute può essere definito positivo, un glissando verso
le gravi negativo. La legge di Boltzmann e Maxwell, indicando la riparti­
zione delle velocità delle molecole di un gas a una temperatura conosciu­
ta trasposta a una dimensione, ci conduce alla formula seguente:

.2 v2
= -—7= e
a \/TT

che è una distribuzione gaussiana: f(v) è la probabilità di esistenza della


velocità v e a una costante che definisce la “temperatura” di questa at­
mosfera sonora. La media aritmetica V è uguale a —e lo scarto tipo è
•V 7T

- 2
a ~ 0,425 a

Prendiamo un esempio tratto dall’opera Pithoprakta, scritta per or­


chestra d’archi. Il grafico rappresenta un insieme di velocità, di tempe­
ratura a = 35. Sull’asse delle ascisse è disposto il tempo. Unità di tem­
po: 5 cm 1 ó = 26 MM.
L’unità è suddivisa in tre, quattro e cinque parti uguali che consento­
no durate differenziali minime. Sull’asse delle ordinate compaiono i lo­
garitmi binari delle frequenze. L’unità è il semitono^ 0,25 cm. A una
terza maggiore corrisponde 1 cm sull’asse delle ordinate. Ogni linea
spezzata si riferisce a uno strumento a corde il cui numero totale è qua­
rantasei. Ogni retta rappresenta una velocità desunta dalla tabella delle

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v2
probabilità calcolate con la formula y(y) = _.2— e a2
a- TT

Per il passaggio dalla misura 52 alla misura 60 di una durata di 18,5


secondi, sono state calcolate e disegnate 1142 velocità distribuite secon­
do la legge di Gauss in 58 valori distinti. La distribuzione è gaussiana,
na la forma geometrica è una modulazione plastica della materia sono­
ra. Lo stesso passaggio è trasposto in scrittura tradizionale. Abbiamo
dunque sotto gli occhi una massa sonora in cui:
1° le durate non variano;
2° le altezze sono modulate plasticamente;
3° la densità è costante in ogni momento;
4° la dinamica è ff senza variazione;
5° i timbri sono costanti;
6° le velocità determinano una “temperatura” sottoposta alle flui­
tazioni locali ma complessivamente definita. La distribuzione delle ve-
ocità è gaussiana.
Tra tutte le componenti del suono possiamo stabilire alcune correla­
zioni con legami più o meno stretti'.
La correlazione più frequente è quella il cui coefficiente di correla­
tone è dato dalla formula:

S{x-x)(y-y)
P =
Vs (x - x)1 V£(y-y?
n cui ir e y sono le medie aritmetiche delle due variabili.
Ecco dunque in sintesi l’aspetto tecnico di un primo tentativo di ap­
plicazione della teoria e del calcolo delle probabilità alla composizione
nusicale.
In base a quanto detto siamo già in grado di verificare:
a) Le trasformazioni continue di grandi insiemi di suoni granulari o
:ontinui. Infatti le densità, le durate, i registri, le velocità, ecc.»possono
essere regolati dalle leggi dei grandi numeri con le necessarie approssi-
nazioni. Con l’aiuto delle medie e degli scarti possiamo quindi dare un
<olto a questi insiemi e farli evolvere in differenti direzioni. La più co-
losciuta è quella che va dall’ordine al disordine o viceversa. È introdot-
a qui la nozione di entropia ma occorre fare ben attenzione a non con-
ondere fisica e arte. Il senso filosofico e teleologico dell’entropia è fer­
ie valido in alcuni campi della macro o microfisica ma sarebbe assurdo
arne sempre un principio motore della musica probabilistica. Possiamo

' Alcuni esempi di possibili correlazioni sono indicati in “Gravesaner Blàtter”, 6,


icherchen, Gravesano 1956, p. 32, fig. 3.

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concepire altre trasformazioni continue. Per esempio un insieme di suo­
ni pizzicati può trasformarsi in modo continuo in un insieme di suoni a
arco. O, nella musica prodotta meccanicamente, passare da una materia
sonora a un’altra stabilendo cosi un legame organico tra le due materie.
Per chiarire questa idea ricordo il sofisma greco della calvizie: “Quanti
capelli occorre togliere da una testa capelluta perché divenga calva?*’.
Questo problema, risolto mediante la teoria delle probabilità, è cono­
sciuto con il termine di “definizione statistica’’.
b) Una trasformazione può essere esplosiva quando gli scarti dalla
media diventano improvvisamente eccezionali.
c) Possiamo anche confrontare eventi altamente improbabili con
quelli medi (ma occorre materialmente convincere la mente che gli even­
ti medi sono medi e che quelli eccezionali sono eccezionali. Da qui pren­
de avvio nella musica un nuovo processo intellettuale).
d) Atmosfere sonore molto rarefatte possono essere elaborate e con­
trollate con l’aiuto di formule come quelle di Poisson. Cosi anche una
musica per strumento solista può essere composta con il calcolo delle
probabilità.
e) Infine, ritornando al sofisma della calvizie, vedremo come il pro­
blema dell’identità logica, che è la chiave della variazione, sia posto in
modo nuovo.

Problema

Ho un ritmo uniforme [A]. Se lo cambio quanto basta non sarà più


lo stesso ritmo A. Diventerà B. Entro quali limiti il ritmo iniziale A può
variare senza essere considerato B? Del 10°7o? Del 2O°/o? Dell’XVo?
A questo punto interviene la teoria degli errori di Gauss e da questa
si arriva al calcolo delle probabilità. In sostanza [A] è definito statistica-
mente sulla base degli scarti. Questo non ha niente a che vedere con la
nozione di percezione sensoriale e di quantum di percezione. Si tratta di
un problema puro di logica e di variazione plastiche. Il tema dell’identi­
tà può essere generalizzato a tutte le componenti del suono e anche a se­
zioni intere, a insiemi di suoni, e questo ci riporta ai punti precedenti.
Pubblicato in “Gravesaner Blàtter”, 6,
Scherchen, Gravesano 1956.

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II

Le tre parabole

Che cos’è il fare musica, il comporre?


La musica è una matrice di idee, di azioni energetiche, di processi
mentali, riflessi a loro volta della realtà fisica che ci ha creati e che ci so­
stiene e del nostro psichismo chiaro o oscuro. Espressione delle visioni
dell’universo, delle sue onde, dei suoi alberi, dei suoi uomini, alla stessa
stregua delle teorie fondamentali della fisica teorica, della logica astrat­
ta, dell’algebra moderna, ecc. Filosofia, modo di essere individuale e
universale. Lotte e contrasti, compromessi tra entità e processo messi a
confronto: si è lontani dalla concezione antropocentrica del diciannove­
simo secolo. Ideologicamente siamo nel pieno regno delle fisiche, delle
cibernetiche e degli altri demoni moderni.
Si è detto, probabilmente a torto, che la cibernetica è la punta massi­
ma dell’introspezione degli scambi energetici degli universi fisici e biolo­
gici. Per noi la musica è l’arte che prima di ogni altra arte opera un com­
promesso fondamentale tra il cervello astratto e la sua materializzazione
sensibile, cioè ristretta entro limiti umani. Ritroviamo qui una convin­
zione antica: la musica è l’armonia del mondo ma omomorfizzata dal
dominio del pensiero attuale.
Questo significa che la musica sale fino ai livelli motori della mate­
matica pura che ha sondato i rudimenti astratti delle nozioni e della fisi­
ca che scendono nell’abisso degli scambi proteiformi della materia.
Assaliti dalle tempeste delle idee e dei processi della prima metà di
questo secolo, dovevamo assolutamente ampliare i campi di indagine e
di materializzazione della musica, farla uscire dalle serre atrofizzanti
della tradizione e ricollocarla nella natura.
Useremo le parabole, antico sistema di logica umana.

Parabola dello spazio


Viviamo circondati da superfici piane, cilindriche, coniche e di altro

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tipo, costruite dalla mano dell’uomo o dai conflitti della natura (monta­
gne, mari, nubi). Com’è noto, questa categoria dell’intelletto umano è
fondamentale almeno a partire da Kant. Ora, la prima espressione
dell’intelligenza umana è stata quella di definire le superfici elementari a
partire dall’elemento spaziale base della linea retta. In musica, la retta
più sensibile è quella della variazione costante e continua delle altezze, il
glissando. Costruire superfici (o volumi) sonore sulla base di glissandi è
una ricerca appassionante e ricca di promesse. Inflessioni delle superfici
curve, amplificazioni, riduzioni, torsioni, ecc., tutto questo nuovo mon­
do è aJla portata della mano che tiene la penna e che porta all’orecchio e
sullo psichismo. Le Metastasis sono una prima visione di superfici rego­
late nello spazio sonoro (niente a che vedere con le stereofonie).

Parabola dei numeri


Le durate, gli intervalli e la dinamica (e in fondo anche i timbri) sono
misurabili dall’orecchio. L’aritmetica ne è lo strumento. La concezione
seriale ha abbondantemente sfruttato tale campo creando una propria
fisionomia puntinista.
In questa musica si tratta di fenomeni reversibili. Teoricamente, do­
vremmo poter riprodurre sotto dettatura i rapporti di tutte le compo­
nenti sonore di un passaggio qualsiasi. Tale esigenza ha però imposto la
rarefazione sonora delle musiche seriali e la loro predilezione per i com­
plessi da camera.
In pratica, è spesso impossibile riprodurre su carta l’audizione di
un’opera seriale. L’irreversibilità è imposta da limiti psicofisiologici. E
la teoria della forma con il suo postulato getterà nel cestino della carta
tutte le increspature aritmetizzanti delle acrobazie a base di numeri.
D’altra parte le stimolazioni dei numeri applicate al campo artistico,
plastico o sonoro di tutti i secoli precedenti hanno mostrato l’inefficacia
delle ricerche che tentano di dimostrare il valore di un’opera in base alla
ricchezza delle sue combinazioni geometriche o numeriche. Si vedano i
tracciati regolatori, i triangoli sacri, il numero d’oro, le mostruose poli­
fonie, ecc. Da qui l’impasse formale e uditiva. Sarebbe ugualmente dan­
noso rinunciare ai suoni brevi o lunghi, rapidi e così via. Che fare dun­
que?

Parabola dei gas


In un gas riconosciamo la pressione e la temperatura. La pressione è
funzione della densità, numero di molecole per unità di volume. La tem­
peratura è funzione dell’energia cinetica dei gas. A livello della molecola
la pressione e la temperatura non esistono. A livello macroscopico que-

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ste due nozioni hanno un senso e sull’uomo un effetto qualitativo. Il
passaggio da una scala a un’altra, accompagnato dal simultaneo incre­
mento del numero delle molecole, produce un risultato qualitativo che a
sua volta può essere misurato. Passaggio dal quantitativo al qualitativo
misurabile. Guardiamo le volute del fumo di una sigaretta in un ambien­
te calmo. Sappiamo che il fumo è composto da molecole i cui movimenti
disordinati seguono statisticamente regole che dai nostri sensi vengono
percepite come volumi o superfici mutevoli estremamente mobili e ric­
che. Introducendo la nozione statistica otteniamo di nuovo una spazia-
lizzazione a partire da elementi puntuali. Ritroviamo dunque gli stessi
risultati discussi nella prima parabola in cui la spazializzazione è genera­
ta da rette.
Identifichiamo i suoni puntuali, per esempio il pizzicato, con le mo­
lecole; otteniamo una trasformazione omomorfa dal campo fisico al
campo sonoro. Il movimento individuale dei suoni non conta più. L’ef­
fetto massa e la sua evoluzione assumono un senso del tutto nuovo, vali­
do, quando il numero di tali suoni è abbastanza elevato. Cogliamo tutta
la portata di questo arricchimento del pensiero musicale che sconvolge
qualsiasi modo di pensare la composizione (melodica o seriale).
Ecco allora collegate le tre parabole fondamentali.
Pithoprakta, per orchestra d’archi, è una sintesi delle tre parabole.
Qui il pensiero è libero dagli schemi polifonici classici e dalle discus­
sioni di dettagli. Domina forme e tessiture. Per quanto concerne le enti­
tà da manipolare è costretto a allinearsi con le posizioni del pensiero
scientifico e a vedere oltre in tutta la sua generazione i principi della
creazione: collegamenti, trasformazioni, opposizioni, coesistenze. 1
mezzi di controllo e di misurazione di queste entità e delle loro evoluzio­
ni si ottengono da una parte sulla base delle formule delle probabilità e
della statistica e dall’altra sulla base delle ultime ricerche della fisiologia
dell’udito. Ma, in definitiva, l’istinto e la scelta soggettiva sono i soli ga­
ranti del valore di un’opera. Non esiste riproduzione grafica secondo
criteri scientifici. L’eterno problema rimane e rimarrà non risolto.

“Nutida Musik,” 4,
Sveriges Radio Stockholm, 1958.

19
Ili

Formalizzazione e assiomatizzazione
della composizione musicale

Esiste un parallelismo storico tra la musica europea e i successivi ten­


tativi di spiegare il mondo attraverso la ragione. Già l’antichità, con Pi­
tagora, Platone e altri ha tentato d’introdurre leggi universali nel discor­
so musicale attirando nel campo dell’astrazione, cioè della formalizza­
zione, i dati immediati della percezione sonora e della costruzione musi­
cale. Questo primo tentativo consapevole è rimasto praticamente in
ibernazione per circa due millenni e un nuovo sforzo innovativo è dovu­
to sopra tutto a Rameau che ha tentato una sintesi con la matematica
ispirandosi all’atteggiamento filosofico di Cartesio. Dopo Rameau ci
sono stati rapidi cambiamenti, sia nelle scienze fisiche e umane, sia nelle
produzioni dei grandi maestri della musica del diciannovesimo secolo.
Si rese necessario un nuovo adattamento che dal punto di vista tecnico
fu brillantemente espresso sopra tutto dall’astrazione del principio se­
riale. Il principio seriale fu un punto di sbocco dell’inconscia lotta
dell’arte musicale verso una formalizzazione ancora più radicale di quel­
la della tonalità. Il successo retrospettivo della scuola seriale ci mostra la
giustezza della sua tendenza.
La formalizzazione deterministica che il principio seriale introduce­
va nella struttura musicale corrispondeva direttamente alla formalizza­
zione deterministica della meccanica classica del diciannovesimo secolo
che spiegava l’universo attraverso le leggi del movimento dei corpi soli­
di. Evidentemente la differenza era ancora grande: il 1850 contro il
1923.
Oltre alla formalizzazione la serie tentava la ricerca di un minimo di
principi di base. Si può dire dunque che la serie operava un superbo
quanto inconsapevole tentativo di assiomatizzazione della composizione
musicale, equivalente nella musica tonale a quella di Beethoven, un se­
colo prima. Qui la differenza cronologica tra Hilbert-Ackermann e
Schònberg è già di minor rilievo.
Naturalmente le due etichette che ho attribuito allo sforzo di astra­
zione del principio seriale erano sconosciute al suo inventore. Soltanto

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oggi questa astrazione assume il suo pieno significato, e soltanto oggi
comprendiamo anche i suoi limiti e le sue posizioni negative.
Da quarant’anni la stessa formalizzazione e assiomatizzazione è sta­
ta estesa a tutte le specie di caratteri dei suoni quali le durate, le dinami­
che, i timbri, ecc. A Olivier Messiaen e al suo genio particolare va attri­
buito il merito di avere generalizzato negli anni cinquanta questa astra­
zione.
Il mio primo tentativo fu quello d’introdurre in musica fenomeni
globali scaturiti da un gran numero di eventi sonori isolati. Ne esistono
due specie limitate e fondamentali; in primo luogo gli eventi sonori pun­
tuali come i pizzicati degli strumenti a corda o le percussioni, in secondo
luogo gli eventi a variazione continua in senso fisico come i crescendo e
sopra tutto i glissandi.
Possiamo costruire entità sonore dotate di discontinuità o di massi­
ma continuità? La risposta è affermativa. Come costruirle? Qui le rispo­
ste si diversificano.
Prendiamo i glissandi sugli strumenti a corda. Una grande orchestra
può emettere simultaneamente da quarantacinque a cinquanta glissandi.
Un glissando è definito dalla rapidità di scivolamento del dito sulla cor­
da, e come immagine geometrica equivale a una linea tracciata su un fo­
glio di carta tra due assi, l’asse dei tempi graduato in secondi e l’asse del­
le altezze graduato in semitoni temperati. Un glissando è dunque defini­
to da una curva di velocità v = dh. Se il glissando è uniformemen-
dt
te continuo è una linea retta ascendente, discendente o orizzontale e di
velocità costante.
Questa immagine geometrica invita a costruire reticoli di rette con­ I
vergenti, parallele, divergenti o di tutt’altra configurazione. Otteniamo
in questo modo molte forme, cioè molti tipi di spazi sonori a variazione
continua.
Una configurazione caratteristica è il tracciato di una curva per mez­
zo delle sue tangenti. Per esempio una parabola.
Ma il vantaggio di queste supposizioni è che possiamo costruire
un’infinità di evoluzioni sonore continue la cui formazione è rigorosa­
mente controllata con i glissandi, cioè con rette che tutti gli strumentisti
dell’orchestra classica sanno eseguire in notazione musicale tradiziona­
le.
La mia opera Metastasis, per grande orchestra, composta nel 1953-
1954 e realizzala nel 1955 dall’impareggiabile Hans Rosband al Festival di
Donaueschingen mi ha suggerito tre anni dopo l’idea architettonica del
Padiglione Philips che Le Corbusier mi ha chiesto di disegnargli. Questo
padiglione era interamente concepito secondo superfici continue genera­
te da rette che gli imprenditori e gli operai sanno costruire.
In quest’opera i glissandi sono perfettamente ordinati. Che cosa suc­
cederebbe invece se i glissandi fossero molto disordinati? Immaginiamo

22
ogni glissando differente nella velocità, nel senso, nella durata e nelle
tessiture. Otterremo una specie di accozzaglia caotica dovuta al caso.
Come organizzare un tale disordine statistico?
Ricorreremo a nozioni ancora più lontane dalla musica tradizionale
e seriale, contenute nella famosa teoria cinetica dei gas messa a punto
nel diciannovesimo secolo da Maxwell e Boltzmann. Questa teoria risol­
ve il problema della distribuzione delle velocità molecolari in un dato
gas richiamandosi in modo generale al calcolo delle probabilità. Ma, an­
che se non conoscessimo la teoria cinetica dei gas, semplici ipotesi di
simmetria della distribuzione dei glissandi nello spazio sonoro di un’or­
chestra virtuale ci condurrebbero agli stessi ragionamenti e alle stesse
formule della teoria cinetica dei gas, come ho dimostrato in “Gravesa-
ner Blàtter”, 23 e 24, e in Musiques formelles.
D’altronde abbiamo preso atto in Metastasis di un confronto tra
l’aspetto continuo espresso dai glissandi e dai fiati e l’aspetto disconti­
nuo espresso dai pizzicati.
Ora, come le musiche tradizionali e seriali non davano i mezzi teorici
per la soluzione dei problemi di continuità, cosi i problemi delle masse
di suoni, delle nubi di suoni puntuali li superavano.
Infatti la formalizzazione seriale da una parte si limitava a una sorta
di combinazione deterministica, cosa che costituiva il suo limite, e
dall’altra optava per un linguaggio polifonico antiquato che costituiva
non solo una regressione formale ma anche una contraddizione con il
principio della dispersione delle note sugli strumenti dell’orchestra
(Klangfarben Melodie).
Infine la complessità auditiva dei due principi formali della serie riu­
niti creava una nuova contraddizione, sopra tutto nei postweberniani.
Per uscire dal flusso delle contraddizioni, occorre richiamarsi prima
a una combinatoria deterministica allargata e poi alla nozione di nube di
suono, cioè all’entità sonora come massa.
Anche queste due considerazioni conducono alle teorie del calcolo
delle probabilità che classificano il determinismo in senso stretto come
aspetto particolare di una logica più generale il cui limite è il puro caso.
Ipotesi di simmetrie analoghe alle precedenti portano a regole di
coordinazione espresse da formule del calcolo delle probabilità.
Queste formule elementari sono quelle di Gauss, di Poisson, dell’ir­
raggiamento dei corpi radioattivi e le formule di correlazione e delle so­
glie di significazioni sviluppate dai biologi anglosassoni.
Ecco già una sorta di corpo logico probabilistico di nuova organizza­
zione della composizione musicale che include tutte le musiche prece­
denti e che consente la risoluzione dei problemi di continuità e di discon­
tinuità delle entità sonore composte. D’ora in poi chiameremo questo
corpo “sistema stocastico’’, dal termine stocastico introdotto per la pri­
ma volta da Jacques Bernoulli, uno dei fondatori del calcolo delle pro­
babilità.

23
La mia opera Pithoprakta, per orchestra, prima opera stocastica
coerente composta nel 1955-1956, fu diretta dal professor Scherchen ai
concerti “Musica Viva’’ di Monaco nel marzo del 1957.
Voglio qui rendere omaggio alla grandezza di H. Scherchen che mi
ha appoggiato moralmente e materialmente in queste nuove ricerche, in­
coraggiandomi, pubblicando le mie riflessioni sulla sua.rivista “Grave-
saner Blatter” e dirigendo le mie opere in un mondo musicale, sia tradi­
zionale sia postweberniano, ostile.
Per questo posso affermare con riconoscenza che la musica stocasti­
ca è nata in un punto qualunque lungo una linea mentale che collega
Gravesano a Parigi.
Dopo queste prime esplorazioni verso una formalizzazione stocasti­
ca di problemi parziali, si poneva una nuova doppia questione ma que­
sta volta di ordine assiomatico. Eccola: possiamo prendere in considera­
zione resistenza di una regione limite della strutturazione in cui il nume­
ro dei principi di base sia minimo? In caso affermativo, quali sarebbero
questi principi? I
Ora senza entrare nei dettagli di questi ragionamenti, possiamo af­
fermare che conducono alle leggi di apparizione e di successione di even­
ti, riassunti da formule stocastiche al cui centro sarà collocata quella di
Poisson. I
Un’opera calcolata sulla base di queste leggi costituisce un campione
e l’insieme infinito dei campioni possibili costituisce il contenuto di
quello che si potrebbe chiamare una “forma”.

Conferenza tenuta a Berlino nel 1964.

24
IV

Tre poli di condensazione

A. MUSICA STOCASTICA (LIBERA)


Definire in poche parole la musica stocastica è altrettanto difficile
quanto definire le teorie scientifiche dei giochi d’azzardo, la teoria cine­
tica dei gas, le teorie statistiche, i processi aleatori della ricerca operazio­
nale, la filosofia del determinismo e deH’indeterminismo. Insomma oc­
correrebbe prima definire la maggior parte dei concetti e delle nuove im­
postazioni delle scienze contemporanee umane, fisiche e teoriche, e que­
sto è veramente impossibile. Infatti la musica stocastica è abbastanza
generale da poter inglobare tutte le possibilità di arricchimento che offre
la base comune a queste varie discipline, cioè la teoria e il calcolo delle
probabilità di cui il termine stocastico è un’abbreviazione.
Quali sono i motivi che portano a una tale concezione della composi­
zione musicale?
Il primo motivo trae spunto dall’osservazione e dalla scoperta di fe­
nomeni sonori rari o quotidiani così come li offrono la natura o la socie­
tà. Per esempio d’estate in campagna il canto delle cicale, che ha cullato
l’umanità e i suoi poeti, ci coinvolge al punto che vorremmo penetrare
nella struttura stessa dell’evento, non foss’altro che per l’infantile curio­
sità del “come è fatto” che ogni adulto conserva per buona fortuna
dell’umanità. Interviene poi il desiderio di ricostruire un simile evento
non più con le cicale ma con altri mezzi sonori, con macchine o strumen­
ti d’orchestra. E questo desiderio si spinge fino al punto di voler modu­
lare in termini d’invenzione l’evento sonoro ispirato dal canto di una
miriade di cicale. Come riuscirvi? Facendo appello alla logica interna a
questo fenomeno naturale. Ma tale logica è la stessa che regola i movi­
menti delle molecole di un gas e la scienza fisica ha già dato una sua ri­
sposta con la “teoria cinetica dei gas”, che è una teoria probabilistica
stocastica. Se l’osservazione del canto delle cicale fosse stata fatta da un
compositore matematico prima della creazione della “teoria cinetica dei
gas”, lo studio del canto delle cicale l’avrebbe certamente condotto alla

25
scoperta di leggi similari. Una volta definita, la struttura astratta
dell’evento massivo costituito da migliaia di elementi può servire a con­
dizionare una massa di pizzicati o di qualsiasi altro colpo d’archetto
“puntuale” in un’orchestra d'archi classica. Ecco dunque un’osserva­
zione che conduce verso una nuova tecnica dell’orchestrazione e una
nuova estetica. Infatti, in tale concezione non ha importanza il suono
individuale (purché, beninteso, esista) che non viene più distinto, invece
è l’insieme delle particelle sonore a colpire la corteccia e la modulazione
di tale insieme. Va verso l’acuto, verso il grave, si rarefà oppure il suo
disordine aumenta? J
Ecco il tipo di domande che l’osservatore ascoltatore è obbligato a
porsi, come quando si osservano le nuvole e le loro formazioni in un
film accelerato.
Questi nuovi problemi di audizione e di strutturazione sono stati
trattati in Metastasi per grande orchestra e in Pithoprakta per orche­
stra d’archi. Ma l’esempio delle cicale non è l’unico. 11 rumore prodotto
dalle gocce di pioggia su un tendone da circo, i clamori ordinati o disor­
dinati di una manifestazione politica, i sibili delle pallottole durante i
combattimenti nelle strade sono altrettanti fenomeni ricchi di insegna­
mento sulle strutture e sulla loro percezione, prescindendo naturalmente
dal loro dinamismo emozionale. Tutti questi eventi sono retti pratica-
mente dalle stesse regole logiche, dalle stesse formule che l’uomo ha in­
ventato per la “teoria cinetica dei gas” e che sono riassunte dalle equa­
zioni del calcolo delle probabilità.
Quello che abbiamo detto finora riguarda le masse di suoni “pun­
tuali”. Considerazioni analoghe possono essere fatte per masse di suoni
a evoluzione continua quali i glissandi delle corde di un’orchestra gra­ ì
duate aH’estremo. 11 confronto fra continuità e discontinuità ci offre un
modo nuovo di modellare la plastica sonora dell’orchestra o delle mac­ 1
chine elettroniche. Di questo aspetto trattano anche Metastasis e Pitho­
prakta a partire dal 1954.
Ho parlato di un primo motivo che ci obbliga a fare riferimento alla
stocastica. Un secondo motivo consiste nello sviluppo del linguaggio
musicale contemporaneo che ha creato dapprima la dodecafonia, cioè
l’abolizione delle gerarchie tonali, e in seguito il sistema seriale, ossia
una nuova gerarchia delle componenti del suono. Ora, Schònberg non
aveva nessun motivo, all’infuori di un’ignoranza relativa al suo tempo e
alla sua educazione di musicista, per introdurre di nuovo un ordine tem­
porale nei dodici suoni e quindi forgiare una nuova struttura polifonica
certamente pura ma sorpassata. Se Schònberg avesse conosciuto la fisi­
ca del suo tempo, avrebbe potuto sin dagli anni venti fare il passo decisi­
vo dall’abolizione delle funzioni tonali alla concezione stocastica:
avrebbe cioè osservato che il determinismo non era lo strumento più ge­
nerale per la programmazione e poiché la musica della sua epoca aveva
liberato i suoni dalla schiavitù tonale o modale non occorreva irreggi-

26
meritarli di nuovo con una regola deterministica (il principio seriale) ma
anzi lasciarli in totale libertà introducendo quindi un principio d’incer­
tezza che inglobasse il determinismo come caso particolare e fare appel­
lo alla logica e ai ragionamenti probabilistici.
Ecco allora in poche parole un secondo motivo teorico che conduce
alla stocastica. Alla luce di quanto si è detto, le musiche di tutti i tempi,
compresa la musica seriale, costituiscono i casi particolari di una musica
indeterministica, cioè stocastica.
Ci sono anche altri motivi, più musicali o più filosofici, che ci obbli­
gano a ricorrere alla stocastica ma che non spiegheremo in questa sede.
Dopo parecchi anni di ricerche in questo nuovo campo della compo­
sizione musicale ero giunto a pormi un interrogativo: se sia possibile po­
stulare una regione di frontiera della strutturazione tale che il numero di
regole di composizione sia minimo. In caso affermativo, quali sarebbe­
ro queste regole? Per essere più concreti immaginiamo il seguente espe­
rimento: supponiamo che alcuni individui, di preferenza non musicisti,
siano posti in una stanza ermeticamente chiusa che contenga ogni sorta
di apparecchiature o strumenti adatti a produrre eventi sonori di ogni ti­
po (suoni sinusoidali, suoni d’orchestra classica e anche rumori). Sup­
poniamo inoltre che questi individui non abbiano nessun particolare de­
siderio di prendere contatto con queste apparecchiature o strumenti e
ancor meno di fare musica. Ammettiamo tuttavia che non è impossibile
che questi individui tocchino le apparecchiature in maniera tale da pro­
vocare remissione di suoni. Se questi individui hanno la pazienza di re­
stare abbastanza a lungo nella.stanza chiusa, è fatale che dopo un certo
periodo di tempo, che sarà in relazione alla loro placidità o al loro ner­
vosismo, produrranno loro malgrado eventi sonori. Questo tempo ab­
bastanza lungo “può essere di un secondo o di molti secoli’*
In quanto abbiamo esposto non c’è nessuna velleità di strutturazio­
ne, nessuna regola, nessun determinismo, c’è una totale libertà. Possia­
mo quindi accettare questa situazione come un caso limite di composi­
zione astratta minima. Non ci resta che sperimentarla.
Si presentano due possibilità:
a) Si ricorre a individui cosi definiti e si registrano i risultati. È il me­
todo sperimentale immediato.
b) Si ragiona a priori su tali fenomeni e si cerca di trarne alcune rego­
le quanto più possibile generali. In base a tali regole si ricostruisce
l’esperienza, ma questa volta con una volontà precisa e sapendo dove si
va.
Il secondo metodo è di gran lunga il migliore giacché consente di
esplorare in sede teorica tutte le possibilità e di riprodurre solamente
quelle che preferiamo e non le altre. Il primo metodo è troppo lungo e
incerto.
Senza entrare ora nei dettagli di questi ragionamenti possiamo affer­
mare che essi portano alle leggi di comparsa di eventi rari riassunti dalle

27
formule probabilistiche, tra cui una delle più importanti è la cosiddetta
formula di Poisson, dal nome del matematico e fisico francese che l’ha
scoperta verso la metà del secolo scorso.
La legge, apparentemente astratta, ha dovuto attendere circa mezzo
secolo prima di trovare una clamorosa verifica sperimentale da parte di
Bortkewitch. Questa verifica fu all’origine di tutto un fascio di applica­
zioni della legge di Poisson a problemi di biologia, di agronomia, di eco­
nomia, di sociologia e infine di strategia militare, e attualmente fa parte
della ricerca operazionale che è a sua volta un capitolo di quella che è
stata battezzata “cibernetica”. )
Ecco allora come un fondamentale problema di strutturazione, di
composizione musicale ci obbliga a utilizzare una legge stocastica. Que­
sta legge ci consentirà di creare di sana pianta una forma musicale libe­
ra, basata su un numero minimo di dipendenze logiche, su un numero
minimo di relazioni tra eventi sonori.
Achorripsis, un’opera per ventuno strumenti, basata su una forma
che si trova all’estrema frontiera teorica di quella che per abuso d’igno­ k
ranza e di linguaggio è definita dai compositori contemporanei ora for­
ma aperta ora forza libera ora improvvisazione, è stata da me elaborata
nel 1956-1957 e eseguita nel 1958 a Buenos Aires dal professor Hermann
Scherchen. )
Qui apriamo una breve parentesi. Il compositore contemporaneo de­
ve essere un pioniere. È obbligato a rimettere tutto in discussione sia sul
piano della forma sia sul piano della realizzazione sonora. È trascinato :
nella regione delle leggi che guidano le strutture. La sua evoluzione si
svolge nel campo della metacomposizione. Chiudiamo la parentesi.
Se la tesi del minimo di regole e di dipendenze equivale a una forma
musicale, sarebbe interessante poter creare più opere che si ricolleghino
a queste forme basate sulle stesse leggi stocastiche. Ora, il fatto di aver
utilizzato alcune leggi matematiche apriva il campo a un trattamento
meccanico di tale tesi con l’ausilio di cervelli elettronici. Ecco i principa­
l
li vantaggi ottenuti dall’utilizzazione delle macchine:
a) 11 lungo e laborioso calcolo fatto a mano è ridotto a niente. La ve­
locità di calcolo delle macchine, per esempio della IBM 7090 che con­
trolla in questo momento il razzo per Venere degli USA, è molto alta,
dell’ordine di cinquecentomila operazioni elementari al secondo. Dun­
que un’economia di tempo.
b) Libero da fastidiosi calcoli, il compositore può ora dedicarsi mag­
giormente ai problemi generali posti dalla nuova forma musicale e
esplorare le pieghe e gli angoli di questa forma modificando i valori dei
dati iniziali. Per esempio può provare tutte le combinazioni strumentali
che vanno dagli strumenti solisti alle orchestre da camera e alle grandi
orchestre. Con l’aiuto dei cervelli elettronici il compositore diventa una
specie di pilota che preme su alcuni pulsanti, introducendo coordinate e
sorvegliando i quadranti di un vascello cosmico in navigazione nello

28
spazio dei suoni attraverso costellazioni e galassie sonore che prima po­
teva intravedere solo da lontano nel sogno.
Ora può esplorarle a proprio agio standosene seduto in poltrona.
c) Il programma, cioè l’elenco delle operazioni sequenziali che costi­
tuiscono la nuova forma musicale, è un’obiettivazione di questa forma.
Il programma quindi può essere spedito in qualsiasi parte della terra do­
tata di cervelli simili e utilizzato da qualsiasi compositore-pilota.
d) Poiché nel programma sono introdotte alcune incertezze, un
compositore-pilota può imprimere la propria personalità nel risultato
sonoro che otterrà.
Ho potuto costruire questo programma solo quattro anni dopo la
formulazione della tesi formale del minimo di regole, e questo grazie al­
la benevolenza del Centro di Ricerche Scientifiche della IBM-Francia
che mi ha accordato un’ora di calcolo sul calcolatore 7090, uno dei più
potenti cervelli del mondo. Per l’elaborazione di questo programma so­
no stati necessari parecchi mesi di lavoro e infine è stata calcolata una
prima realizzazione per un insieme di dieci strumentisti, identico a quel­
lo della Sinfonia op. 21 di Webern cui ho aggiunto una percussione.
Quest’opera è stata presentata a Parigi dalla Compagnia IBM-
Francia dinanzi alla stampa scientifica e musicale internazionale a due
riprese, nell’aprile e nel maggio del 1962. Ha come titolo ST/10-1,
080262, che significa che è un’opera stocastica per dieci strumentisti (la
prima), elaborata dal calcolatore 1’8 febbraio del 1962. È stata eseguita
dall’“Ensemble instrumentai de musique contemporaine” di Parigi con
la direzione di Constantin Simonovic.

fi. MUSICA STOCASTICA E MARKOVIANA


Analogiche A e B
Abbiamo considerato una forma musicale la cui tesi è costituita dal­
la ricerca del numero minimo di regole, di vincoli, di dipendenze, e que­
sto nella teoria dell’informazione equivale a dire che i processi stocastici
sono senza memoria.
Il passo successivo consisterebbe nell’introdurre un primo grado di
vincoli, di dipendenze, di memoria. Anche a proposito di questo nuovo
problema il pensiero umano ha fatto anzitutto alcune scoperte astratte
che ha avuto occasione di applicare solo mezzo secolo dopo ma in modo
straordinariamente ampio. Si tratta della teoria dei processi a catena del
matematico Markov, da lui esposta fin dal 1905 ma che in pratica è stata
utilizzata solo durante l’ultima guerra, in seguito ai lavori complemen­
tari di Hostinsky, PotocSk, Kolmogorov e Frechet. Per sómmi capi que­
sta teoria ammette che in una serie di eventi di numero finito, che desi-

29
gneremo con le lettere A, B, C, D, ecc., può darsi che l’occorrenza di
una lettera, per esempio C, sia probabilisticamente legata all’occorrenza
di un’altra lettera B. Cioè, per esempio, nel 60% dei casi la lettera B sarà
seguita dalla lettera C, e nel 40% la lettera B sarà seguita da altre lettere
con probabilità corrispondenti.
Le probabilità di passaggio da una lettera all’altra possono essere
scritte su un pannello quadrato, una matrice cui si possono far subire di­
verse operazioni del calcolo di matrice così come giocare con la sua en­
tropia in relazione con l’entropia di altre matrici analoghe.
Questo legame stocastico di tipo markoviano ci appare come una
sorta di memoria interna alla catena degli eventi, contrariamente ;
all’ipotesi del minimo di regole che non ammette dipendenze né memo­
ria.
Introducendo i legami markoviani nei diversi parametri del suono,
possiamo costruire una nuova forma musicale di tipo markoviano sem­
i
pre più complessa, integrandovi tutti i mezzi sonori messi a disposizione
dal compositore contemporaneo.
Un primo tentativo di organizzare una struttura markoviana è rap­
presentato da Analogica A per tre violini, tre violoncelli e tre contrab­
bassi, composta nel 1958.
Questa nuova forma di musica stocastica di tipo markoviano era si­
multaneamente completata da un’ipotesi più fondamentale che sviscera­
va l’essenza stessa del suono. Eccola: dai lavori di fisiologia acustica di
Fletcher e poi da quelli di Davies e altri è noto come l’orecchio percepi­
sca i suoni in maniera discontinua, dovuta alle soglie delle diverse com­
ponenti del suono; inoltre, in base alle teorie sul segnale elementare acu­
stico introdotte da Gabor nella teoria dell’informazione, è noto come si
possano ammettere segnali la cui forma d’onda possiede un rivestimen­
to gaussiano. Questi due punti di partenza, l’uno fisiologico, l’altro fisi­
co, mi hanno indotto a formulare l’ipotesi cui accennavo, cioè che ogni
suono come ogni musica può essere considerato una nuvola gigantesca
di corpuscoli sonori, di granelli sonori, che attraverso modulazioni stati­
stiche nel tempo ci dà l’impressione di un determinato suono o di una !
determinata musica. Quest’ipotesi si discosta dalle analisi continue di
Fourrier che si sono rivelate efficaci nella musica elettronica. Ma tale
ipotesi necessita di mezzi tecnici molto potenti sia per la costruzione di
tali nuvole sia per la materializzazione dei quanta sonori. Sono necessari
cervelli elettronici accoppiati con macchine analogiche che convertano i
risultati numerici dei calcolatori in suoni, direttamente e senza
nessun’altra manipolazione elettronica come quelle eseguite negli studi
più perfezionati di musica elettromagnetica.
In attesa di questi potenti mezzi ho fabbricato alcuni quanta sonori
partendo da suoni sinusoidali che sono un’approssimazione dei segnali
di Gabor, e con missaggi stocastici multipli ho realizzato Analogica B
che in qualche modo si pone in parallelo con Analogica A. Analogica B

30
è stata in parte realizzata negli Studi Hermann Scherchen di Gravesano
e presso la RTF di Parigi e data in prima audizione pubblica nel luglio
del 1959 al Congresso di Gravesano.
Alternando le due composizioni si ottiene un confronto sensoriale e
strutturale dei due punti di vista espressi in Analogica A e in Analogi­
ca B.

C. MUSICA SIMBOLICA E INSIEMISTICA

Consideriamo ora la composizione musicale da un altro punto di vi­


sta, più fondamentale, che permetterà una sintesi logica e algebrica di
ogni opera del passato, del presente e del futuro.
Senza entrare nei particolari di una dimostrazione possiamo affer­
mare che le entità sonore possiedono caratteri che non sono temporali e
che questi caratteri sono ordinabili, provvisti di una struttura di gruppo
e quindi possono formare uno spazio vettoriale.
Prendiamo un esempio molto semplice: l’intervallo melodico. Una
quinta è un rapporto di frequenze che prese sia simultaneamente sotto
forma d’accordo sia melodicamente sotto forma di melodia danno sem­
pre una quinta. L’intervallo melodico è infatti un carattere indipendente
dal tempo. Secondo l’ipotesi tradizionale, che ammetteremo provviso­
riamente, ogni entità sonora può, al limite, essere ricondotta a tre carat­
teri, a loro volta irriducibili: l’altezza (sotto forma di intervallo), l’inten­
sità (sotto forma di decibel), la durata (sotto forma di multiplo di una
unità temporale); quindi ogni entità sonora può essere considerata come
una funzione logica — nel senso della teoria degli insiemi o della logica
simbolica — d’insiemi di vettori dello spazio vettoriale caratterizzato
dalle tre suddette dimensioni.
Queste funzioni logiche sono basate sulle operazioni e sulle relazioni
fondamentali che la matematica moderna ha riportato alla luce, opera­
zioni e relazioni logiche primarie che l’uomo può fare.
Così una composizione musicale può essere vista dapprima sotto
l’angolazione di operazioni e di relazioni fondamentali, indipendenti dal
tempo, che chiameremo struttura logica o algebrica fuori tempo.
In seguito una composizione musicale esaminata dal punto di vista
temporale dimostra che gli eventi sonori creano, sull’asse del tempo, du­
rate che formano un insieme provvisto di strutture di gruppo abeliano.
Questo insieme è strutturato con l’aiuto di un'algebra temporale indi­
pendente dall’algebra fuori tempo.
Infine una composizione musicale può essere esaminata dal punto di
vista della corrispondenza tra l’algebra fuori tempo e l'algebra tempora-

31
le. Otteniamo la terza struttura fondamentale, la struttura algebrica ne!
tempo.
Mi è impossibile spiegare ulteriormente queste concezioni estreme,
benché molto semplici, e ancor meno fare l’analisi anche succinta
dell’opera Henna per piano solo che scaturisce da queste teorie.
Posso comunque dire che in quest’opera esistono quattro insiemi
fondamentali che creano tra loro funzioni booleane con l’aiuto di tre
operazioni logiche di base (la riunione, l’intersezione, la negazione) e di
due relazioni fondamentali (l’inclusione e l’uguaglianza).
Quest’opera è stata scritta fra il 1960 e il 1961 e eseguita nel febbraio
del 1962 a Tokio dallo straordinario pianista Yuji Takahashi che la suo­
na a memoria.
Radio Varsavia, 1962

I
|

32
V

Verso una metamusica

Gli attuali tecnocrati e i loro seguaci assimilano la musica a un mes­


saggio che il compositore (fonte) trasmette a un uditore (ricevente). Cre­
dono così di risolvere con formule della teoria dell’informazione la na­
tura della musica e delle arti in genere. Una contabilità dei bit o quanta
d’informazione, emessi e ricevuti, fornirebbe loro criteri “obiettivi”,
scientifici e di valore estetico. Tuttavia, al di là di un elementare uso sta­
tistico, questa teoria, valida per le trasmissioni tecnologiche, si è rivelata
incapace di fornire le caratteristiche di valore estetico anche di una sem­
plice melodia di Bach. Le identificazioni musica-messaggio, musica-co­
municazione, musica-linguaggio sono schematizzazioni che conducono
all’assurdità e all’inaridimento. Certi tam-tam africani sfuggirebbero a
questa critica, ma sono eccezioni. Troppa evanescenza nella musica non
può piegarsi a troppa precisione teorica. Forse solo in seguito, con l’af­
finamento e l’invenzione di nuove teorie.
1 seguaci della teoria dell’informazione o della cibernetica costitui­
scono un estremo. All’altro capo si situano gli intuizionisti che si suddi­
vidono in due grossi gruppi:
a) Il primo, denominato “grafista”, eleva il simbolo grafico al di so­
pra della musica (del suono) e in qualche modo lo feticizza. In questo
gruppo è in voga non scrivere note ma tracciare qualsiasi disegno. Si
giudica la “musica” dalla bellezza del disegno. Vi si è aggiunta la cosid­
detta musica “aleatoria” che di fatto è solo un abuso di linguaggio per­
ché il vero termine è il vecchio musica “improvvisata”. Questo gruppo
ignora che la scrittura grafica, sia simbolica come nel solfeggio tradizio­
nale, sia geometrica o numerica dovrebbe essere solo un’immagine fede­
le per quanto possibile all’insieme delle istruzioni che il compositore tra­
smette all’orchestra o alla macchina1. Questo gruppo conduce la musica
fuori da se stessa.

Cfr. “Gravesaner Biattcr", 29, Schcrchcn, Gravesano 1966.

33
b) Il secondo gruppo vi aggiunge lo spettacolo sotto forma di azioni
sceniche extramusicali che accompagnano l’esecuzione musicale. In­
fluenzati dagli happening che esprimono lo smarrimento di certi artisti,
gli appartenenti a questo gruppo si rifugiano nella gestualità e in eventi
disparati facendo così trapelare una fiducia assai limitata nella musica
pura. Di fatto, accettano una sicura sconfitta, in particolare della loro
musica.
Questi due gruppi hanno in comune un atteggiamento romantico.
Credono entrambi nell’azione immediata e si preoccupano pochissimo
di un controllo da parte del pensiero. Ma poiché l’azione musicale per
non cadere nella triviale improvvisazione, nell’imprecisione e nell’irre­
sponsabilità, ha un imperioso bisogno di riflessione, questi gruppi di
fatto negano la musica e la conducono fuori da se stessa.

Il pensiero lineare
Non dirò come Aristotele che il bene sta nel giusto mezzo, giacché in
musica come in politica stare nel mezzo comporta un compromesso.
Parlerò invece di chiaroveggenza e di asprezza del pensiero critico, cioè
di azione, di riflessione e di autotrasformazione attraverso i soli suoni.
Così il pensiero scientifico e matematico al servizio della musica e di
ogni attività umana creativa deve amalgamarsi dialetticamente all’intui­
zione. L’uomo è uno, indivisibile, totale. Pensa con la pancia e sente
con il pensiero. Vorrei proporre quel che secondo me si cela dietro il ter­
mine musica:
1 ° Anzitutto una sorta di comportamento, necessario a chi pensa la
musica e fa la musica.
2° Un pleroma individuale, un completamento.
3° Una fissazione sonora di virtualità immaginate (tesi cosmologi­
che, filosofiche...).
4° È normativa, costituisce cioè un modello di essere o di fare che
coinvolge per simpatia, inconsciamente.
5° È catalitica: la sola presenza consente trasformazioni interne
psichiche o del pensiero; come la sfera di cristallo dell’ipnotizzatore.
6° È un gioco gratuito da ragazzi.
7° È un’ascesi mistica (ma atea). Di conseguenza le espressioni di
tristezza, di gioia, di amore sono solo casi particolari molto limitati.
La sintassi musicale ha subito profondi sconvolgimenti e oggi sem­
bra che innumerevoli possibilità coesistano caoticamente. C’è un pullu­
lare di teorie, di stili individuali (talvolta), di stili di scuole più o meno
vecchie. Ma come fare musica? Che cosa è trasmissibile lungo un inse­
gnamento orale? (Domanda scottante se si vuole riformare l’insegna­
mento della musica, riforma necessaria in tutto il mondo e non solo in
Francia.)

34
Non si può certo dire che gli informatici, i cibernetici e ancor meno
gli istituzionalisti abbiano posto la questione di una pulizia ideologica
dalle scorie che i secoli e l’evoluzione attuale hanno accumulato. Tutti in
genere ignorano il substrato su cui poggiano una determinata teoria o
una determinata azione. Tuttavia questo substrato esiste e ci permetterà
di fondare per la prima volta un’assiomatica e di sviluppare una forma­
lizzazione che unifichino cosi passato, presente e futuro, e questo su sca­
la planetaria, ossia comprendendo gli universi sonori ancora chiusi
dell’Asia, dell’Africa e così via.
Nel 19542 ho denunciato il pensiero lineare (polifonico) mettendo in
rilievo le contraddizioni della musica seriale. Ho proposto invece un
universo di masse sonore, vasti insiemi di eventi sonori, nubi, galassie
governate da caratteristiche nuove come la densità, il grado di ordine, la
velocità di cambiamento, ecc., che avevano bisogno di essere definite e
attuate con l’aiuto del calcolo delle probabilità. Nasceva così la musica
stocastica. In realtà questa nuova concezione dei grandi numeri, massi­
ca, era più generale di quella lineare polifonica perché poteva compren­
derla come un caso particolare (riducendo le condensazioni delle nubi).
Armonia generale? No, non ancora.
Oggi, dopo più di quindici anni, queste idee e le realizzazioni che le
accompagnano hanno fatto il giro del mondo e l’esplorazione sembra
praticamente conclusa. Tuttavia, la nostra “piattaforma” musicale,
quel sistema diatonico temperato su cui poggiano tutte le nostre musi­
che, sembra non essere intaccata né dalla riflessione né dalle musiche
stesse1. Proprio per questa via verrà effettuata la prossima tappa, la cui
esplorazione e le cui metamorfosi dischiudono una nuova era ricca di
promesse. Per comprenderne l’importanza determinante è necessario ri­
salire alla sua origine precristiana e al suo ulteriore sviluppo. Farò riferi­
mento quindi alla struttura della musica greca antica, poi a quella della
musica bizantina che ne è la migliore conservatrice poiché l’ha sviluppa­
ta mollo più fedelmente della musica sorella, cioè del canto piano occi­
dentale. Dopo aver messo in rilievo in termini moderni le loro costruzio­
ni logiche astratte, cercherò di esprimere con un linguaggio matematico
e logico, semplice ma universale, quel che è stato e quel che potrebbe es­
sere valido nel tempo (musicologia trasversale) e nello spazio (musicolo­
gia comparala).
Per fare questo, propongo di distinguere in architettura musicale le
architetture qualificate come architetture o categorie fuori tempo*, le

•' Cfr. “Gravesaner Blàtter”, I, 6, Scherchen, Gravesano 1955-1956 e le partiture di


Metastasis (1954) e di Pithoprakta (1956) edite in libro da Boosey & Hawkes e in disco da
Le chant du monde (LDXA-8368).
1 Non si tratta qui delle attuali e usuali musiche a quarti di tono o a seste di tono, poi­
ché sono usati nello stesso campo del diatonico tonale.
* Cfr. il mio libro Musiques formelle^, V, Richard-Masse, Paris 1963.

35
architetture o categorie in tempo e infine le architetture o categorie tem­
porali. Una determinata gamma di altezze, per esempio, è un’architettu­
ra fuori tempo perché ciascuna combinazione “orizzontale” o “vertica­
le” dei suoi elementi non la altera. L’evento in sé, cioè la sua occorrenza
reale, appartiene alla categoria temporale. Infine una melodia o un ac­
cordo su una determinata gamma sono costituiti da relazioni tra la cate­
goria fuori tempo e la categoria temporale. Si tratta di immissioni nel
tempo di costruzioni fuori tempo. Ho già accennato altrove a questa di­
stinzione, qui mi limiterò a mostrare come si possono analizzare la mu­
sica antica e la musica bizantina con l’aiuto di queste categorie e come
tale prospettiva sia generale giacché permette un’assiomatica universale
della musica e la formalizzazione di moltissimi aspetti di tutte le musiche
del nostro pianeta.

Struttura antica
In origine il canto gregoriano si basava sulla struttura antica, chec­
ché ne dicano Combarieu e altri che accusano Hucbald di essere un ri­
tardatario. La rapida evoluzione della musica dell’Europa occidentale a
partire dal nono secolo semplificò e uniformò il canto piano per cui la
pratica non procedette più di pari passo con la teoria. Ma nella musica
profana del quindicesimo e del sedicesimo secolo si ritrovano ancora al­
cuni brani dell’antica teoria. Ne dà testimonianza il Terminorum Musi­
cal Diffinitorium di Jean Tinctoris5. L’antichità è vista in genere attra­
verso le lenti gregoriane e i suoi “modi”, da tempo ormai incomprensi­
bili. E per spiegare i modi del canto piano solo ora s’incominciano a in­
travedere altre direzioni. I gregorianisti dicono che il modo non è costi­
tuito solo da una scala tipo ma che è caratterizzato da formule melodi­
che. Il solo, per quanto ne sappia, ad aver introdotto altre nozioni com­
plementari alla nozione di scala è Jacques Chailley", che sembra essere
nel vero. Credo che si possa andare più lontano e affermare che la musi­
ca antica, almeno fino ai primi secoli del cristianesimo, non si basava as­
solutamente sulle gamme o sui “modi” per ottave ma sui tetracordi e sui
“sistemi”.
Gli specialisti di musica antica (con l’eccezione sopraccitata) sono
passati accanto a questa fondamentale realtà, obnubilati com’erano dal­
la costruzione tonale della musica postmedioevale. Ma ecco che presso i
Greci esisteva una struttura gerarchizzata la cui complessità procedeva
per incastri successivi, per inclusioni e per intersezioni dal particolare al

’ J. Tinctoris, Terminorum Musicete Diffinitorium, Richard-Massc, Paris.


• J. Chailley, Le Mythe des modes grecs, in “Acta Musicologica", XXVIII, fasci­
colo IV, Barenreiter-Vcrlag, Basel 1956.

36
generale, di cui si può rintracciare lo schema essenziale seguendo i testi
di Aristosseno7.
a) Grado primario: il tono e le sue suddivisioni. Definito come la
quantità con cui la consonanza di quinta oltrepassa quella di quarta. Si
suddivide nella metà chiamata semitono, nel terzo di tono chiamato die­
sis cromatico minimo, nel quarto di tono chiamato diesis enarmonico
minimo, senza alcun intervallo inferiore.
Z?) Grado secondario: il tetracordo, definito dalla prima consonanza,
la dia tessaron (il secondo elemento è il pentacordo che definisce la se­
conda consonanza, la dia pente, ecc.). L’intervallo dia tessaron è uguale
a due toni e mezzo, quindi a trenta dodicesimi di tono che chiameremo
segmenti aristossenici. I due suoni estremi hanno sempre lo stesso scarto
consonante di quarta, gli altri due interni sono mobili e le loro posizioni
determinano i tre generi del tetracordo (le altre consonanze di quinta, di
ottava, ecc., non creano niente):
1° l’enarmonico che contiene dal grave all’acuto due diesis enar­
monici 3 + 3 + 24 = 30 segm. oppure X,/4. X,/4. X2 = X5'2 (X è il valo­
re di un tono);
2° il cromatico: (a) molle, che contiene due diesis cromatici minimi,
4 + 4 + 22 = 30 segm. oppure X,/J. X,/J. X,/, + J/2 = XJ/2; (b) emide
(sesquialtèra) contenente due diesis sesquialtèri, 4,5 + 4,5 4- 21 = 30
segm. oppure x°/2,(|/4). x(3/2)(,/4). X7/4 = XJ/2; (c) “tonin”, contenente
due semitoni e un triemitono 6 + 6 + 18 = 30 segm. oppure X'/2. X'/2. -
X,/J = Xs/2;
3° il diatonico: (a) molle, contenente sempre dal grave all’acuto un
semitono, poi tre diesis enarmonici, poi cinque diesis enarmonici, 6 + .9
+ 15 = 30 segm. oppure X|/2. X,/4. Xs/4 = X5/2; (b) sintono, contenen­
te un semitono, poi un tono e ancora un tono, 6 + 12 + 12 = 30 segm.
oppure X,/2. X. X. = X5'2.

c) Grado terziario: il sistema. È essenzialmente una combinazione di


elementi del grado primario ma sopra tutto di più tetracordi congiunti o
disgiunti di un tono. Da qui il pentacordo (intervallo estremo la quinta
giusta) e l’ottocordo (intervallo estremo l’ottava talvolta giusta). Le
suddivisioni dei sistemi seguono quelle del tetracordo e sono anche fun­
zione della connessione e della consonanza.

d) Grado quaternario: i tropi, i toni o i modi che senza dubbio erano


particolarizzazioni dei sistemi grazie a formule cadenziali, melodiche, a
dominanti, a registri, ecc., come nella musica bizantina, nei raga e così
via.

’ R. Westphal, Aristoxenos von Tarent, Meliti und Rhythmik, Vcrlag von Ambr.
Abel (Arthur Mciner), Leipzig 1893, introduzione in tedesco e testo in greco.

37
I
i

Termina qui l’esposizione della struttura fuori tempo della musica


ellenica. Tutti i testi antichi che si possono consultare a partire da Ari­
stosseno espongono questo processo gerarchico. Sembra che Aristosse­
no sia servito loro da modello. Ma fin dall’antichità tradizioni parallele
a Aristosseno, interpretazioni manchevoli e sedimentazioni hanno de­
formato questa gerarchia. Inoltre sembra che teorici come Aristide
Quintilliano o Claudio Tolomeo s’intendessero molto poco di musica.
Quest’“albero” gerarchico era completato da algoritmi di passag­
gio, le metabole, da un genere a un altro, da un sistema a un altro o da
un modo a un altro. Siamo lontani dalle modulazioni o dalle trasposi­
zioni semplici della musica tonale postmedievale.

Due linguaggi
I pentacordi sono suddivisi secondo gli stessi generi del tetracordo
che essi contengono. Derivano dai tetracordi ma al pari di essi servono
ugualmente da nozione prima per definire l’intervallo di tono. Circolo
vizioso, ma che si spiega con la volontà di Aristosseno di restare fedele
all’esperienza musicale (e insiste su questo punto) che da sola definisce
la struttura dei tetracordi e di tutto l’edificio armonico che ne è la conse­
guenza combinatoria. Tutta la sua assiomatica parte da qui e il suo testo
si pone come esempio di metodo da seguire. Tuttavia non definisce il va­
lore assoluto (fisico) deirintervallo dia tessaron, contrariamente ai pita­
gorici che lo definiscono con il rapporto 3/4 delle lunghezze delle corde.
Mi sembra un segno di saggezza e infatti il rapporto 3/4 è una media.
Occorre attirare l’attenzione sul fatto che Aristosseno utilizza l’ope­
razione additiva per gli intervalli, presentendo cosi in anticipo i logarit­
mi e contrariamente all’uso dei pitagorici che utilizzavano il linguaggio
geometrico (esponenziale) che è moltiplicativo. Su questo punto l’inven­
zione di Aristosseno è fondamentale perché:
a) costituisce una delle due modalità che attraverso i millenni hanno
permesso alla teoria musicale d’esprimersi;
b) con l’addizione inaugura un calcolo più economico, più facile e
più adatto alla musica;
c) pone la base del temperamento equabile circa venti secoli prima
della sua applicazione in Europa occidentale.
I due linguaggi, quello aritmetico (operazione di addizione) e quello
geometrico (che proviene dai rapporti delle lunghezze delle corde, con
l’operazione di moltiplicazione) si sono sempre mescolati e interpenetra­
ti attraverso i secoli creando inutilmente molteplici confusioni nei calco­
li degli intervalli e delle consonanze, e di conseguenza nelle teorie. Sono
in realtà due espressioni della struttura di gruppo con due operazioni
non identiche; c’è dunque equivalenza formale*.
G. Th. Guilbaud, Mathématiques, I, Presses Universitaires de France, Paris 1963.

38
C’è una cosa piuttosto strana, beatamente trasmessa dagli specialisti
musicologi di questi ultimi anni: secondo costoro i Greci scendevano an­
ziché salire le scale, come si usa oggi. Di questo non si trova traccia né in
Aristosseno né nei successori, compresi Aristide Quintilliano’ o Alypio,
che approntano una nuova e più completa scrittura dei gradi di molti
tropi. Al contrario tutti gli autori antichi cominciano sempre con il gra­
ve per le spiegazioni teoriche e per la nomenclatura dei gradi.
Una seconda stravaganza è la presunta ‘‘gamma di Aristosseno” di
cui non si trova traccia nel suo testo10.
Esporremo ora la struttura della musica bizantina. Può servire per
comprendere infinitamente meglio la musica antica, il canto-piano occi­
dentale, le musiche tradizionali non europee, la dialettica della musica
europea più recente, i suoi errori e le sue impasse; può servire per preve­
dere e costruire l’avvenire con una visione che domini i lontani paesaggi
del passato e quelli futuri dell’elettronica. Cosi le nuove direzioni della
ricerca assumeranno tutto il loro valore. Le inattitudini della musica se­
riale in determinati ambiti e il torto arrecato all’evoluzione musicale a
causa del suo ignorante dogmatismo saranno invece messi in evidenza
solo indirettamente.

Struttura bizantina
La struttura bizantina" amalgama i due calcoli, quello pitagorico
moltiplicativo e quello aristossenico additivo. La quarta viene espressa
dal rapporto 3/4 del monocordo o dai 30 segmenti temperati (72 per
l’ottava)'2. Tale struttura definisce tre specie di toni, il maggiore (9/8 o
12 segmenti), il minore (10/9 o 10 segmenti) e il minimo (16/15 o 8 seg­
menti). Ma sono costruiti sia intervalli più piccoli sia intervalli più gran­
di e le unità elementari del grado primario sono più complesse che in
Aristosseno. La struttura bizantina attribuisce una preponderanza alla
gamma diatonica naturale (la supposta gamma di Aristosseno) i cui gra­
di con il primo tono sono nel rapporto 1, 9/8, 5/4, 4/3, 3/2, 27/16,
15/8, 2 e hanno nomi alfabetici A, B, T, A, E, Z, H, con A grado grave
iniziale che corrisponde press’a poco al sol2 (in segmenti: 0, 12, 22, 30,

’ A. Kointilianou, Péri Mousikes Proton, Teubner, Leipzig 1963.


10 La “gamma di Aristosseno” sembra essere una delle versioni sperimentali del dia­
tonico antico non conforme alle versioni teoriche sia dei pitagorici sia degli aristossenici,
X. 9/8. 9/8 = 4/3, 6 + 12 + 12 = 30 segm. rispettivamente. La versione X. 7/8. 9/8 =
4/3 di Archita o quella di Euclide sono significative. D’altra parte la cosiddetta “gamma
di Zarlino” non è altro che la cosiddetta “gamma di Aristosseno” che in effetti risale a
Tolomeo e a Didimo.
'* A. Evthimiadis, Stichiodi Mathimata Byzaniinis Ekklisiastikis Mousikis, O.X.A.
Apostoliki Diafonia, Thcssaloniki 1948.
11 In Quintiliano e Tolomeo la quarta è divisa in sessanta segmenti temperati uguali.

39
!

42, 54, 64, 72, oppure 0, 12, 23, 30, 42, 54, 65, 72). È stata enunciata fin
dal primo secolo da Didimo, poi nel secondo secolo da Tolomeo che ha
permutato un termine e ha registrato lo spostamento del tetracordo (to­
no-tono-semitono) che da allora è rimasto immutato13. Ma tranne que­
sta attrazione del diapason (ottava), l’architettura è gerarchizzata e in­
cassata come in Aristosseno. Eccola:

a) Grado primario: i tre toni, 9/8, 10/9, 16/15, un tono supermag­


giore 7/6, il triemitono 6/5, un altro tono maggiore 15/14, il semitono o
leima 256/243, l’apotome del tono minore 135/128 e infine il comma
81/80. Questa complessità deriva dal fatto che i procedimenti di calcolo
sono mescolati.
b) Grado secondario: i tetracordi sono definiti come in Aristosseno.
Parimenti i pentacordi e gli ottocordi. I tetracordi sono divisi in tre ge­
neri-.
1° Diatonico suddiviso in primo schema, 12 + 11 + 7 = 30 seg­
menti, oppure 9/8 . 10/9 . 16/15 = 4/3 cominciando sulle A, H, ecc.;
secondo schema, 11 + 7 + 12 = 30 segmenti, oppure 10/9 . 16/15.9/8
= 4/3 cominciando sulle E, A, ecc.; terzo schema, 7 + 12 + 11 =30
segmenti, oppure 16/15 . 9/8 . 10/9 = 4/3 cominciando su Z, ecc.
Notiamo una combinatoria avanzata che non è evidente in Aristosse­
no. Vengono qui utilizzate tre delle sei permutazioni possibili dei tre to­
ni.
2° Cromatico, suddiviso in14: (a) cromatico molle derivato dai te­
tracordi diatonici del primo schema, 7 + 16 + 7 = 30 segmenti o
(16/15) (7/6) (15/14) = (4/3) cominciando su A, H, ecc.; (b) cromatico
sintono o duro derivato dai tetracordi diatonici del secondo schema, 5
+ 19 + 6 = 30 segmenti o (256/243) (6/5) (135/128) = 4/3, comin­
ciando su E, A, ecc.
3° Enarmonico derivato dal diatonico per alterazione delle note
mobili e suddiviso in: primo schema, 12 + 12 + 6 = 30 segmenti o
(9/8) (9/8) (256/243) = 4/3, cominciando su Z, H, T, ecc.; secondo
schema, 12 + 6 + 12 = 30 segmenti o (9/8) (256/243) (9/8) = 4/3 co­
minciando su A, H, A, ecc.; terzo schema, 6 + 12 + 12 = 30 segmenti
o (256/243) (9/8) (9/8) = 4/3, cominciando su E, A, B, ecc.

” In Westphal, op. cit., pp. XLVII sg., troviamo lo spostamento del tetracordo
menzionato da Tolomeo: Uchanos- (16/15) - mése- (9/8) -paramèse - (10/9) - /n7e(harm.
2.1, p. 49).
'* In Tolomeo i nomi delle cromatiche erano scambiati: il cromatico molle conteneva
l’intervallo 6/9 e quello duro o sintono l'intervallo 7/6. Cfr. Westphal, op. cit., p.
XXXll.

40
Parentesi
C’è evidentemente un fenomeno di assorbimento dell’antico enar­
monico da parte del diatonico. Probabilmente si produsse nei primi se­
coli del cristianesimo, durante la lotta dei Padri della Chiesa contro il
paganesimo e alcune sue manifestazioni artistiche. Il diatonico, contra­
riamente agli altri generi, era sempre stato consideralo sobrio, severo,
nobile. In realtà il genere cromatico e sopra lutto l’enarmonico richiede­
vano una cultura musicale più avanzata, come già constatavano Aristos-
seno e gli altri teorici, una cultura che le masse del periodo romano pos­
sedevano ancor meno. Quindi le speculazioni combinatorie da un lato e
la pratica dall’altro determinarono la scomparsa dei caratteri specifici
dell’enarmonico in favore del cromatico, di cui nella musica bizantina è
scomparsa ogni suddivisione, e del diatonico (sintono). Un fenomeno di
assorbimento paragonabile a quello delle gamme (o modi) del Rinasci­
mento da parte della gamma diatonica maggiore che perpetua il diatoni­
co sintono antico.
Tuttavia si tratta di una strana semplificazione e sarebbe interessante
studiarne le vicissitudini e i motivi. Eccetto alcune differenze o meglio
alcune varianti in relazione agli intervalli antichi, la tipologia bizantina
si adatta rigorosamente all’antico.
Con i tetracordi costrui il piano superiore per mezzo di definizioni
che chiarirono in modo singolare la teoria dei sistemi aristossenici e di
cui si trova già un’enumerazione abbastanza dettagliata in Claudio
Tolomeo1'.

Le scale

a) Grado terziario: le scale costruite per mezzo dei sistemi con le stes­
se regole antiche di consonanza, di dissonanza e di assonanza (parafo-
nia). Nei bizantini il principio iterativo e giustappositivo dei sistemi por­
ta molto chiaramente alle scale, cosa ancora abbastanza oscura in Ari-
stosseno e nei suoi successori a eccezione di Tolomeo. In Aristosseno,
per il quale il sistema sembra essere una categoria a sé stante e una meta,
la nozione di scala non è staccata dal metodo che la costruiva. Nei bi­
zantini invece il sistema è definito metodo di costruzione di scale. Si
tratta di una sorta di operatore di iterazione che, in base alla categoria
inferiore dei tetracordi e dei suoi derivati, il pentacordo e l’ottocordo,
costituisce organismi più complessi, concatenati come i geni dei cromo­
somi. Da questo punto di vista la coppia sistema-scala raggiunge uno
sviluppo inesistente presso gli antichi.

'* Esempi in Westphal, op. cif., p. XLVIII, selidio 1 mescolanza del cromatico sin­
tono (22:21, 12:11, 7:6) e del diatonico tonin (28: 27, 7:8, 9:8), selidio 2, mescolanza del
diatonico molle (21:20, 10:9, 8:7) e del diatonico tonin (28:27, 8:7, 9:8).

41
Ecco la definizione bizantina del sistema: “Il sistema è la semplice o
multipla ripetizione di due, di molti o di tutti i toni di una scala’’. Per
scala s’intende qui una successione di toni già organizzata come il tetra­
cordo o i suoi derivati. La musica bizantina utilizza tre sistemi: (a) il si­
stema dell’ottocordo o diapason; (b) il sistema del pentacordo o ruota i
(trochos)\ (c) il sistema del tetracordo o trifonia.
Il sistema può riunire gli elementi per giustapposizione congiunta
(synimena) o disgiunta (diazeegrnena). La giustapposizione disgiunta di
un tono, di due tetracordi, costruisce la scala diapason che contiene
un’ottava esatta. La giustapposizione congiunta di molti di questi dia­
pason di ottave esatte conduce alle scale, gamme e modi che ci sono fa­
miliari. La giustapposizione congiunta di molti tetracordi (trifonia) pro­
duce una scala la cui ottava non è più un suono fisso di tetracordo ma
uno dei suoi suoni mobili. Lo stesso avviene per la giustapposizione con­
giunta di molti pentacordi (trochos).
Ma il sistema può essere applicato ai tre generi del tetracordo e sepa­
ratamente alla loro suddivisione creando così un ricchissimo fascio di
scale. Infine in una scala si possono mescolare i generi dei tetracordi (co­
me nelle selidia di Tolomeo) ottenendo un’enorme varietà. Il grado-
scala è dunque il risultato di una combinatoria o meglio di un gigantesco
montaggio (armonia) attraverso iterate giustapposizioni di organismi
già molto diversificati: i tetracordi e i loro derivati. La scala così definita
è un concetto più ricco e universale di tutti i concetti impoveriti del bas­
so Medioevo e dei tempi moderni. Da questo punto di vista non è il tem­
peramento ma l’assorbimento attraverso il tetracordo diatonico (e la sua
scala corrispondente derivata dal sistema disgiunto-di-un-tono-maggio-
re = tasti bianchi del pianoforte) di tutte le altre combinazioni o mon­
taggi (armonie) degli altri tetracordi a rappresentare un’enorme perdita
di potenziale astratta e sensoriale che si tratta di ricostruire ma, come
vedremo, in modo moderno. Ecco alcuni esempi di scale in segmenti del
temperamento bizantino (aristossenico, una quarta giusta = 30 segmen­
ti):

Scale diatoniche
Tetracordi diatonici: sistemi ottenuti con tetracordi disgiunti, 12, 11,
7/12/11,7, 12 cominciando su A grave, 12, 11, 7/12/12, 11,7 comin­
ciando su H o su A gravi; sistema per tetracordi e pentacordi, 7, 12,
11/7, 12, 11, cominciando su Z grave; sistema della ruota (trochos), 11,
7, 12, 12/11, 7, 12, 12/11, 7, 12, 12/, ecc.

Scale cromatiche
Tetracordi cromatici molli; sistema della ruota cominciando su H, 7,
16, 7, 12/7, 16, 7, 12/7, 16, 7, 12/, ecc.

42
Scale enarmoniche
Tetracordo enarmonico secondo schema; sistema ottenuto con tetra­
cordi disgiunti, cominciando su A, 12, 6, 12/12/12, 6, 12, corrisponden­
te al modo di Re.
Le scale enarmoniche con il sistema disgiunto costruiscono tutte le
gamme o modi ecclesiastici dell’occidente. Anche altri, per esempio il te­
tracordo enarmonico del primo schema con il sistema trifonico, comin­
ciando su H grave: 12, 12, 6/12, 12, 6/12, 12, 6/12, 12, 6/.

Scale miste
Tetracordo diatonico primo schema + cromatico molle; sistema di­
sgiunto, cominciando su H grave, 12, 11, 7/12/7, 16, 7/.
Tetracordo cromatico duro + cromatico molle, sistema disgiunto,
cominciando su H grave, 5, 19, 6/12/7, 16, 7/, ecc.
Non tutti i “montaggi” sono utilizzati. E si può osservare il fenome­
no di assorbimento delle “ottave” non giuste da parte dell’ottava giusta
in virtù delle regole consonantiche di base. Questo limita molto i casi.
Z?) Grado quaternario: i tropi o echoi. ISechos si definisce attraver­
so: (a) i generi dei tetracordi (o derivati) costitutivi; (b) il sistema di giu­
stapposizione; (c) le attrazioni; (d) le basi o suoni fondamentali; (e) i
suoni dominanti; (f) le terminazioni o cadenze (katalexis)', (g) melodie
d’introduzione del modo; (h) Vethos che segue le definizioni antiche.
Non entreremo nei dettagli di questo grado.
Termina qui la breve esposizione dell’analisi della struttura fuori
tempo della musica bizantina.
Ma questa struttura non poteva esaurirsi in una rigida gerarchia. Era
necessario poter circolare liberamente tra i toni e le loro suddivisioni, tra
le specie dei tetracordi, i generi, i sistemi e gli echoi. Da qui un abbozzo
di struttura in tempo che esamineremo brevemente. Esistono segni ope­
ratori che permettono alterazioni, trasposizioni, modulazioni e altre tra­
sformazioni (metabole). Questi segni sono le phthorai e le chroai delle
note, dei tetracordi, dei sistemi (o scale) e degli echoi.
Metabole di nota
1° La metatesi: passaggio da un tetracordo di trenta segmenti
(quarta giusta) a un altro tetracordo di trenta segmenti;
2° la parachordi'. deformazione dell’intervallo che corrisponde ai
trenta segmenti del tetracordo in un altro più grande e inversamente; o
anche passaggio da un tetracordo deformato a un altro deformato.

43
Metabole di genere
1° Phthora caratteristica del genere che non cambia il nome delle
note;
2° con cambio del nome delle note;
3° grazie alla parachordi:,
4° grazie alle chroai.

Metabole di sistema
Passaggio da un sistema a un altro grazie alle metabole precedenti.
Metabole degli echoi attraverso segni speciali, i martyricai phthorai
o alterazione degli inizi dei modi.
1 pedali (isokratima) non possono essere “lasciati agli ignoranti”
proprio a causa della complessità delle metabole. L’isokratima costitui­
sce un’arte a sé stante poiché è impiegata per sottolineare e favorire tutte
le fluttuazioni nel tempo della struttura fuori tempo del canto.

Commento primo
È evidente come il coronamento di questo edificio fuori tempo sia la
cosa più complessa e raffinata che potesse essere inventata dal canto
monodico per eccellenza. Quel che non si è sviluppato in polifonia è
sbocciato in una ricchezza cosi lussureggiante che, per raccapezzarsi, è
necessario seguire anni di studi pratici alla maniera dei cantori e degli
strumentisti delle alte culture asiatiche. Ma nessuno degli specialisti del­
la musica bizantina sembra riconoscere l’importanza di questo edificio.
Sembra che la decifrazione delle antiche notazioni li abbia assorbiti al
punto da trascurare la tradizione attuale della chiesa bizantina e da
esprimere alcune inesattezze. Così, solo da qualche anno, uno di loro*6,
seguendo i gregorianisti, cominciò a attribuire agli echoi altri caratteri
rispetto a quelli delle gamme occidentali che gli erano state insegnate
nelle scuole conformiste. Hanno infine scoperto che gli echoi conteneva­
no alcune formule melodiche caratteristiche, anche se sedimentarie. Ma
non hanno potuto o voluto andare altre e abbandonare il loro ovattato
rifugio manoscritto.
L’incomprensione della musica antica”, bizantina e gregoriana delle
origini, è certamente dovuta all’oblio imposto dal diffondersi della poli­
fonia, creazione estremamente originale dell’occidente barbaro e incol-

'• E. Wellesz, A History of Byzantine Music and Hymnography, Oxford at thè Cla-
rendon Press, 1961, p. 71. Alla pagina 70 anch’egli riprende il mito delle scale discendenti
antiche.
” La stessa negligenza può essere constatata negli ellenisti anticheggiami. A titolo di
esempio si veda il classico L. Laloy in Aristoxène de Tarente, 1904, p. 249.

44
to, e dallo scisma delle chiese. I secoli e la scomparsa dello stato bizanti­
no hanno consacrato questo oblio e questa separazione. Lo sforzo dun­
que di sentire un linguaggio “armonico” molto più fine e complesso di
quello diatonico sintono e delle sue scale per ottave è senza dubbio supe­
riore alle normali capacità di uno “specialista” occidentale, anche se la
musica attuale ha potuto liberarlo (in parte) da questo influsso oppri­
mente. Farei eccezione per gli specialisti deH’esiremo Oriente1' che non
si sono mai staccati dalla pratica musicale e che, avendo a che fare con
la materia viva, hanno saputo trovare un’armonia diversa da quella to­
nale dei dodici semitoni. Il colmo dell’aberrazione è nelle trascrizioni di
melodie bizantine1’ in notazioni occidentali attraverso il sistema tempe­
rato. Ma la critica che si può muovere ai bizantinologi consiste nel fatto
che staccandosi dalla grande tradizione musicale della chiesa orientale
hanno fatto scomparire quest’architettura astratta e sensuale, comples­
sa e notevolmente inquadrata (armoniosa), questa sopravvivenza e que­
sto reale compimento della tradizione ellenica. Hanno in tal modo ritar­
dato il progresso delle ricerche musicologiche: (a) dell’antichità; (b) del
canto-piano; (c) del folclore dei paesi europei, segnatamente di quelli
dell’est20; (d) delle culture musicali delle civiltà di altri continenti; (e) di
una migliore comprensione dell’evoluzione musicale dell’Europa occi­
dentale dal basso Medioevo fino all’epoca moderna; (f) della prospezio­
ne sintattica delle musiche di domani, del loro arricchimento e della loro
sopravvivenza.

Commento secondo
Ci tenevo a presentare questa architettura legata all’antichità e pro­
babilmente a altre culture giacché rappresenta un’elegante e attuale te­
stimonianza di quel che mi sforzo di definire categoria (algebra, struttu­
ra) fuori tempo della musica rispetto alle altre due categorie, in tempo e
temporali. Spesso è stato detto (Stravinski, Messiaen, ecc.) che nella
musica il tempo è tutto dimenticando la struttura di base su cui poggia­
no i linguaggi personali, per quanto semplificati, come le musiche seriali
“pre o postweberniane”. Per meglio comprendere il passato e il presen­

'• Alain Daniclou ha vissuto per molti anni in India dove ha imparato a suonare stru­
menti indiani. La stessa cosa ha fatto Manlle Hood con la musica indonesiana; va ricorda­
to anche Tran Van Khé, teorico e artista compositore che pratica la musica tradizionale
del Vietnam.
” Cfr. Wellesz, op. cìt., e le trascrizioni di C. Hoeg, altro grande bizantinologo che
ha negletto i problemi di struttura.
20 Stupore degli “specialisti” alla scoperta della scrittura bizantina nella notazione
del folclore rumeno, in Rapports cotnplémentaires dii XIIe Congrès iniernational des étu-
des byzantines, Ochride 1961, p. 76. Questi specialisti ignorano senza dubbio che un feno­
meno identico esiste in Grecia.

45
te universali come per preparare l’avvenire è necessario distinguere la
struttura, l’architettura, gli organismi sonori dalle loro manifestazioni
temporali. È necessario quindi costruire istantanee, fare vere e proprie
tomografie successive nel tempo, porle a confronto e trarne i rapporti,
le architetture e viceversa. D’altra parte, grazie al carattere metrico del
tempo, possiamo “munirlo” a sua volta di una struttura fuori tempo,
lasciando infine alla sola categoria temporale la sua vera natura comple­
tamente a nudo, ossia la natura della realtà immediata, del divenire
istantaneo.
Così il tempo potrebbe essere considerato come una lavagna (vuota)
su cui scrivere simboli e relazioni, architetture e organismi astratti. Dal­
lo scontro tra organismi-architetture e realtà istantanea, immediata, na­
sce la qualità primordiale della coscienza vissuta.
Le architetture antiche e bizantine concernono le altezze (carattere
del suono semplice, dominante) delle entità sonore. Anche i ritmi sono
qui sottomessi a un’organizzazione ma molto più semplice. Dunque non
ne parleremo. Certamente non ci serviremo dei modelli antichi e bizanti­
ni per imitarli o per copiarli ma per esibire un’architettura fondamenta­
le, fuori tempo, che è stata ostacolata dalle architetture temporali dei si­
stemi polifonici moderni (postmedievali). Questi sistemi, compresi quel­
li seriali, costituiscono ancora un magma abbastanza confuso di struttu­
re fuori tempo e temporali poiché nessuno ancora ha tentato di distri­
carle. Non possiamo tuttavia farlo qui.

Progressiva degradazione delle strutture fuori tempo


L’organizzazione tonale sorta dall’avventura polifonica e dalla di­
menticanza degli antichi ha trovato per la sua natura sostegno nella ca­
tegoria temporale definendo con l’in tempo le gerarchie delle sue “fun­
zioni” armoniche. Fuori tempo, essa è nettamente più povera, poiché la
sua “armonica” è ridotta a una sola scala per ottave (il do maggiore a
due basi, il do e il la), corrispondente alla diatonica sintono della tradi­
zione pitagorica o alla scala enarmonica e bizantina a due tetracordi di­
sgiunti del primo schema per il do e a due tetracordi disgiunti del secon­
do e terzo schema per il la. Sono state conservate due metabole: quella
della trasposizione (traslazione della scala) e quella della
“modulazione” che consiste nel traslare la base sui gradi di questa stes­
sa scala. Un altro impoverimento consiste nell’adozione del tempera­
mento grossolano del semitono, radice dodicesima di due. Le consonan­
ze si sono arricchite della terza che fino a Debussy ha rischiato di con­
dannare all’ostracismo le tradizionali quarte e quinte (a vuoto). L’ato-
nalismo finale, preparato dalla teoria e dalla musica dei romantici tra
la fine del diciannovesimo secolo e l’inizio del ventesimo, abbandonò
praticamente ogni struttura fuori tempo. Ciò venne confermato dalla

46
soppressione dogmatica dei Viennesi che accettarono solo l’estremo
“ordine totale” della gamma cromatica temperata. Delle quattro forme
della serie, solo l’inversione degli intervalli si riferisce a una struttura
fuori tempo. Naturalmente, consciamente o no, si fanno sentire alcuni
rimpianti e alcune relazioni intervallari di simmetria vengono innestate
sulla totalità cromatica nella scelta delle note della serie, ma sempre nel­
la categoria in tempo. In seguito, con i postweberniani, la situazione non
cambia. La degradazione della struttura fuori tempo della musica dal
basso Medioevo in poi costituisce una caratteristica specifica dell’evolu­
zione musicale dell’occidente europeo. Degradazione che conduce
all’escrescenza delle strutture temporali e in tempo ineguagliate. Proprio
in questo risiedono la sua originalità e il suo apporto alla cultura univer­
sale, ma anche il suo impoverimento e la sua perdita di carica fino a ri­
schiare un arresto. Infatti, la musica europea così come si è evoluta fino­
ra non raggiunge un’espressione su scala mondiale, un’universalità. Es­
sa rischia in tal modo di isolarsi dalle necessità storiche. Occorre aprire
gli occhi e tentare di gettare un ponte verso altre culture, verso l’avveni­
re immediato del pensiero musicale, prima che venga soffocato dalla
tecnica elettronica applicata sia a livello strumentale sia a livello della
composizione con i calcolatori.

Reintroduzione della struttura fuori tempo con la stocastica


Con l’introduzione del calcolo delle probabilità (musica stocastica),
l’attuale limitato orizzonte delle strutture fuori tempo e delle dissimme­
trie è stato completamente esplorato e chiuso. Tuttavia, proprio per il
fatto di essere stata introdotta, la stocastica ha provocato nel pensiero
un salto oltre questa chiusura, verso nubi, masse di eventi sonori e verso
una plastica dei grandi numeri statisticamente articolati. Non più distin­
zione tra “verticale” e “orizzontale”. L’indeterminismo dell’in tempo
entra con dignità nell’edificio musicale. E, al colmo della dialettica era­
clitea e attraverso funzioni stocastiche particolari, l’indeterminismo si
colora e si struttura, organizzandosi con grande generosità. Nel suo am­
bito può comprendere il determinato e in modo ancor fluido le strutture
fuori tempo del passato. Fuori tempo, in tempo, temporale, queste cate­
gorie amalgamale in modo ineguale nella storia della musica acquistano
improvvisamente il loro fondamentale significato e possono servire a
costruire per la prima volta una sintesi coerente e universale nel passato,
nel presente e nell’avvenire. Tengo a sottolineare che siamo nell’ordine
del possibile e in una direzione privilegiata, ma che non siamo giunti a
oltrepassare questa tappa. Per fare questo dobbiamo ancora completare
il nostro arsenale con utensili più acuminati e con un’assiomatica e una
formalizzazione più taglienti.

47
Teoria dei reticoli
Per fare questo occorre formulare un’assiomatica della struttura
d’ordine totale (struttura di gruppo additivo = struttura additiva ari-
stossenica) della scala cromatica temperata, riprendendo quanto è stato
pubblicato in altre circostanze21. Assiomatica della scala cromatica tem­
perata, che si ispira all’assiomatica dei numeri di Peano:
Termini primi: O pausa-origine, n una pausa, n’ pausa sorta dallo
spostamento elementare di n, D l’insieme dei valori della caratteristica
sonora considerata (altezza, densità, intensità, durata, velocità,
ordine...). I valori verranno identificati con le pause lungo gli sposta­
menti.
Proposizioni prime (assiomi): (a) la pausa O è elemento di D; (b) se
la pausa n è elemento di D, allora la nuova pausa n’ è elemento di D; (c)
se le pause n e m sono elementi di D, anche le nuove pause n’ e m’ saran­
no identiche se e solo se le pause n e m sono identiche; (d) se la pausa n è
elemento di D sarà diversa dalla pausa-origine O; (e) se elementi appar­
tenenti a D hanno una proprietà speciale P tale che anche la pausa O
l’abbia, e se per ogni elemento n di D avente questa proprietà anche
l’elemento n’ ce l’ha, gli elementi di D hanno tutti la proprietà P.
Abbiamo definito assiomaticamente non solo una scala cromatica
temperata delle sensazioni di altezza ma anche di tutte le proprietà o ca­
ratteristiche sonore dell’ambito D precedentemente enunciato (densità,
intensità...). Inoltre, come Bertrand Russell ha giustamente sottolineato
a proposito dell’assiomatica di Peano, questa scala astratta non ha uno
spostamento unitario definito o rapportato a una grandezza assoluta.
Così può essere costruita sia con semitoni moderati, sia con segmenti
aristossenici (dodicesimi di tono), sia con commi di Didimo (81/80), sia
con quarte di tono, toni, terze, quarte, quinte, ottave, ecc., o ancora
con un’unità completamente diversa di cui nessun multiplo corrisponda
all’ottava giusta.
Ora in base a questa scala definiamo un’altra scala equivalente ma il
cui spostamento unitario sia multiplo della prima. Essa potrà essere
espressa dalla nozione di congruenza modulo m.
Definizione: due interi x e n sono detti congrui modulo m se m è un
fattore di x - n. Si scrive simbolicamente x = n (mod m). Così due interi
sono congrui modulo m se e solo se differiscono da m di un multiplo in­
tero (positivo o negativo), per esempio:
4=19 (mod 5), - 3 = 13 (mod 8), 14 = 0 (mod 7)
Pertanto ogni intero è congruo modulo m a uno e uno solo dei nu­
meri n:

” Cfr. il mio testo nel disco pubblicato da Le Chant du monde (LDXA-8368). Vedere
inoltre "Gravesaner Blatter”, 29, ci!., e il mio libro citato.

48
n = (0, 1, 2, ..., m-2, m-1)
Si dice che questi numeri formano ciascuno una classe residuale mo­
dulo m\ sono infatti i più piccoli residui moduli m non negativi.

x = n (mod m)
è dunque equivalente a
x = n + km
dove k è un intero
k€Z = (0, 1, - 1, 2, - 2, ...)
Per un n dato e per kGZ qualsiasi, i numeri x apparterranno per de­
finizione alla classe residuale n modulo m. Scriveremo questa classe: mn.
Per chiarire le idee, prendiamo come unità di spostamento il semito­
no temperato della gamma attuale. Su questa applichiamo una seconda
volta l’assiomatica precedente ponendo una grandezza di 4 semitoni
(terza maggiore) come spostamento elementare-’2. Definiamo una nuova
scala cromatica. Se la pausa-origine della prima è un re diesis, la secon­
da ci fornirà tutti i multipli di quattro semitoni, cioè la scala di terze
maggiori,
re diesis 0, sol 0, si 0, re diesis sol si ,
ossia le note della prima scala i cui numeri d’ordine sono congrui a 0
modulo 4. Esse appartengono tutte alla classe residuale 0 modulo 4. Le
classi residuali 1, 2, 3 modulo 4 esauriranno le note di questa totalità
cromatica. Simbolizzeremo queste classi nel modo seguente:
la classe residuale 0 modulo 4 per 40
la classe residuale 1 modulo 4 per 4(
la classe residuale 2 modulo 4 per 4;
la classe residuale 3 modulo 4 per 4,
la classe residuale 4 modulo 4 per 40
ecc.
Poiché si tratta di fatto di un setacciamento della scala di base (spo­
stamento elementare di un semitono), ogni classe residuale forma un re­
ticolo che lascia passare soltanto determinati elementi della totalità cro­
matica. Per estensione la totalità cromatica sarà notata come reticolo
l0. La gamma per quarti sarà data con il reticolo 5n, in cui n avrà uno dei
valori n = 0, 1, 2, 3, 4. A ciascun cambiamento dell’indice n corrispon­
derà una trasposizione di questa gamma. Così la gamma debussyana per
toni, 2n con n = 0, 1, ha due trasposizioni:

” Gli spostamenti elementari stanno tra loro come i numeri interi, ossia sono definiti
come elementi di una stessa assiomatica.

49
2(1=> do, re, mi, fa diesis, sol diesis, la diesis, do...
2,=» do diesis, re diesis, fa, sol, la, si, do diesis...
In base a questi reticoli elementari, equivalenti tra loro, possiamo
costruire scale più complesse. Possiamo costruire tutte le scale immagi­
nabili con le tre operazioni della Logica delle classi: la riunione (disgiun­
zione) notata con V , l’intersezione (congiunzione) notata con /\ , e il
complementare (negazione) notata con una barra sovrapposta al modu­
lo del reticolo. Così:

2q v 2| = totalità cromatica (che possiamo anche notare 1.,)


% a 2j = nessuna nota, o reticolo vuoto notato 0 I

2q — 2, et 2j = 2q

La gamma maggiore potrà scriversi:


(32 A 40) V (3] A 4,) V (32 a 42) V (30 A 43)

Questa scrittura confonde per definizione tutti i “modi” dei tasti


bianchi del pianoforte; infatti quel che definiamo è la scala mentre i
“modi” sono architetture che si basano sulle scale. Cosi il modo di re si­
tuato sul re avrà la stessa scrittura. Ma per riconoscere i “modi” si po­
trebbe introdurre la non commutatività delle espressioni logiche, mentre
ciascuna delie dodici trasposizioni della scala sarà una combinazione
delle permutazioni cicliche degli indici dei reticoli 3 e 4. Cosi la gamma
maggiore trasposta verso l’alto di un semitono (spostamento a destra) si
scriverà:
(30 A 4j) V (32 A 42) V (3|'o a 43) v (3, a 40)
e in generale

(3,+j a 4„) v (3„+1 a 4„+1) v


(3n+2 a 4n + 2) v (3n a 4nh3)

dove n potrà assumere tutti i valori da 0 a 11 ma ridotti, dopo l’addizio­


ne dell’indice costante di ciascuno dei reticoli (moduli), modulo il retico­
lo corrispondente. La gamma di re situata sul do si scriverà

(3„ a 4„) v (3„+j A 4n+l) v


(3n a 4n+2) v (3n+2 a 4„.h3)

50
Musicologia

Cambiamo ora l’unità di base dei reticoli prendendo il quarto di to­


no. La gamma maggiore si scriverà:
(8n A 3n+I ) v (8n+2 A 3nl_2J v
3,n+j) v (8n+6 a 3n).
(8r+4 a 3
con n - 0, 1, 2... 23 (modulo 3 o 8).
La stessa gamma con un reticolo ancora più sottile (un’ottava = 72
segmenti aristossenici) si scriverà:
(8n a (9n v 9n+6)) v (8n42 A (9n + 3 V 9n+6)) V
(8n r4 A 9n + 3) V (8n + 6 A (9n V 9n + 3)J
con n = 0, 1, 2,... 71 (modulo 8 o 9).
La scala di una gamma bizantina mista, sistema disgiunto composto
da un tetracordo cromatico duro e da un tetracordo diatonico del secon­
do schema separati da un tono maggiore, si scrive in segmenti aristosse­
nici: 5, 19,6/12/11,7, 12 e la sua espressione logica sarà:
(8n a (9n v 9n+6)) v (9n{.6 a (8n+2 v 8n+4)) v
(8n + S A (9n + 3 V 9n + 8)) v (8n + 6 A 9n + 3)
con n = 0, 1, 2... 71 (modulo 8 o 9).
Il Raga Bhairavi della classe Andara Sampurna (pentatonico ascen­
dente, ettatonico discendente)’’ espresso con un reticolo di base aristos-
senica (per ottave, di periodo 72) si scriverà:

scala pentatonica:
(8n A (9n V 9„+J)) v (8n+2 a (9n v 9n+6)) v
(8n f-6 A 9nb3)

scala ettatonica:
(8„ A (9„ V 9n+J)) v (8n+2 a (9n V 9„+s)) V
(8n+4 a (9n+4 v 9n+6)) v (8n+6 a (9n+3 v 9n+6i))
,
con n = 0, 1, 2... 71 (modulo 8 o 9).

” A. Daniélou, Northern Indian Music, II, Halcyon Press, Barnet Hertfordshire


1954, p. 72.

51
Queste due scale espresse con un reticolo avente per base il comma di
Didimo c = 81/80 (81/80 alla potenza 55,8 = 2), dunque ascendente
all’ottava superiore di periodo 56, si scriveranno:

scala pentatonica:
(7n A (8n V 8n + ó)) V (?n + 2 A (8q+4 v 8n+7)) V
(?n+5 A 8n+l)
scala ettatonica:
n+6)) v (7n+J a (8n+5 v 8n+7)) v
(7n A (8n v 8’n+ó))
7n+J A 8n+j v (7n+4
n+4 aA (8n+4 v 8 +6)) v (7n+5 a 8,’n + l)
8„n+6
per n = 0, 1, 2... 55 (modulo 7 o 8).
Abbiamo dimostrato come la teoria dei reticoli permetta di esprime­
re con funzioni logiche (dunque meccanizzabili) qualsiasi scala e di uni­
ficare così lo studio delle strutture di gradi superiori a quello dell’ordine
totale. Essa può servire in costruzioni completamente nuove. Immagi­
niamo a tale scopo reticoli complessi non ascendenti di un’ottava
superiore24. Prendiamo come unità dei reticoli il quarto di tono tempe­
rato. Un’ottava contiene ventiquattro quarti. Si tratta quindi di costrui­
re un reticolo composto il cui periodo sarebbe diverso da 24 o da uno dei
suoi multipli, dunque un periodo non congruo a k.24 modulo 24 (con k
= 0, 1, 2...). Esempio: sia una funzione logica qualsiasi del reticolo di
moduli 11 e 7 (di periodo 11 x 7 = 77 k.24),
(lln v Hn+1) A 7n+6
essa stabilisce una ripartizione dissimmetrica dei gradi di scala cromati­
ca per quarti di tono. Si può anche utilizzare un reticolo composto che
rigetterebbe il periodo fuori dei limiti dell’area udibile. Esempio: ogni
funzione logica di moduli 17 e 18, (f [17, 18]), poiché 17 x 18 = 306 >
11 x 24.

Sovrastrutture

Si può appoggiare su un reticolo composto una struttura più stretta


o semplicemente lasciare la scelta degli elementi a una funzione stocasti-

11 Questo risponde forse al desiderio di Edgard Varese riassunto dalla sua gamma a
spirale = ciclo di quinte non per ottave. Questa indicazione, purtroppo sommaria, mi è
stata data da Odile Vivier.

52
ca. Otterremo una colorazione statistica della totalità cromatica di un li­
vello di complessità superiore.
Con le “metabole”. Sappiamo che a ogni combinazione ciclica degli
indici dei reticoli (trasposizioni), e che a ogni cambiamento del o dei mo­
duli del reticolo otteniamo una metabola (modulazione). Ecco, per
esempio, una scelta di trasformazioni metaboliche: prendiamo i più pic­
coli residui che siano primi rispetto a un numero positivo r, essi forma­
no un gruppo abeliano (commutativo) se la legge di composizione di
questi residui è definita dalla moltiplicazione con riduzione modulo r.
Esempio numerico: se r = 18, i residui 1,5,7, 11, 13, 17 gli sono primi e
i loro prodotti, dopo la riduzione modulo 18, non escono da questo in­
sieme (chiusura). Formano un gruppo finito commutativo di cui ecco un
frammento:
5 x 7 = 35; 35 - 18 = 17
11 X 11 = 121; 121 - (6 x 18) =- 13, ecc.
1 moduli 1,7, 13, formano un sottogruppo ciclico d’ordine 3. Sia ora
un’espressione logica,
v 13„
L (5, 13) = (13n+4 V 13n+J v 13n47
+s V 13„i7 v 13„.,) a
,4)
5„,i v (5n + 2 v 5nnt4 a 13n , v I3„1(s
dei due reticoli a moduli 5 e 13. Possiamo immaginare una trasforma­
zione dei moduli per coppia, a partire dal gruppo abeliano precedente-
mente definito. Così, il diagramma cinematico sarà (in tempo)
L (5,13) => L (11,17) => L (7,11) => L (5,1) =>
L (5,5) =>...=> L (5,13)
per ritornare all’espressione di partenza (chiusura)25.

Questa teoria dei reticoli può essere architettata in molte maniere, in


modo da creare classi incluse o successivamente intersecate, quindi sup­
porti di complessità crescente, cioè orientamenti verso determinismi ac­
cresciuti nelle scelte e tessuti topologici di vicinanza.
In seguito, questa vera e propria istologia musicale fuori tempo po­
trà essere “messa in opera’’ in tempo attraverso funzioni temporali,
dando per esempio funzioni di cambiamento degli indici e dei moduli,
cioè incastri di funzioni logiche parametrate con il tempo.
La teoria dei reticoli è assolutamente generale e di conseguenza ap­
plicabile a altri caratteri dei suoni che sarebbero muniti della struttura

” Queste ultime strutture sono state utilizzate in Akrata 1964 per sedici fiati e in No-
rnos per violoncello solo (1965).

53
d’ordine totale, come l’intensità, la durata, la densità, i gradi d’ordine,
la velocità, ecc. L’ho già detto altrove, anche nell’assiomatica dei retico­
li. Ma questo metodo può ugualmente essere applicato alle scale visuali
e ai campi delle arti ottiche del futuro.
D’altra parte assisteremo in un immediato futuro all’esplorazione di
questa teoria, alla sua utilizzazione per mezzo di calcolatori poiché è in­
teramente meccanizzabile. Poi, in una seconda tappa, per mezzo della
tecnica delle reti o dei grafi verrà lo studio delle strutture d’ordine par­
ziale così come le troviamo nelle classificazioni dei timbri.

Conclusione
L’attuale superamento della musica risiede, a mio avviso, nelle ricer­
che delle categorie fuori tempo atrofizzate e dominate dalla categoria
temporale.
Inoltre, questo metodo è in grado di unificare l’espressione delle
strutture fondamentali di tutte le musiche (asiatiche, africane, europee,
e cosi via). Ha un notevole vantaggio: la sua meccanizzazione e di conse­
guenza i test e i modelli di ogni tipo che potrà introdurre nei calcolatori
che faranno progredire di molto le scienze musicali.
Assistiamo infatti a un’industrializzazione della musica che, lo si vo­
glia o no, è già iniziata. In tutto il mondo invade ormai le nostre orec­
chie in molti luoghi pubblici, nei grandi magazzini, dalle radio, dalle
TV, negli aerei e altrove.
Essa consente un consumo di musica su scala fantastica, finora mai
raggiunta. Ma di una musica di infimo livello, fatta di un’accozzaglia di
annosi cliché dei bassifondi dell’intelligenza musicale. Ora, non si tratta
di arrestare questa invasione che, nonostante tutto, aumenta la parteci­
pazione alla musica, anche se consumata passivamente. Si tratta di pre­
parare una conversione qualitativa di questa musica attraverso una ri­ Ii
messa in questione e una critica radicale ma costruttiva dei nostri modi
di pensare e di fare musica. Solo cosi, questo scritto vuol essere un mo­
dello in tal senso, il musicista può giungere a dominare e a trasformare il
veleno distillato nelle nostre orecchie, a condizione che vi si impegni sen­
za più aspettare. Ma occorre anche prendere in considerazione la radica­
le trasformazione dell’insegnamento musicale fin dalle prime classi, e
questo in tutto il mondo (avviso per i Consigli nazionali della musica).
In alcuni paesi si insegnano i sistemi non decimali e la logica delle classi.
Perché dunque non insegnare la loro applicazione a una nuova teoria
della musica di cui qui si troverà lo sbocco?

“La Nef”, 29, Paris 1967.

54
VI

Verso una filosofia della musica

Tenteremo molto rapidamente:


1° uno “svelamento della tradizione storica’’ della musica';
2° di costruire una musica.
Il “ragionamento’’ sui fenomeni e la loro spiegazione è stato il passo
più grande compiuto dall’uomo lungo la via della liberazione e della cre­
scita. Per questo bisogna considerare i pionieri ionici Talete, Anassi­
mandro e Anassimene come il punto da cui ha preso avvio la nostra cul­
tura più autentica, quella della “ragione”. Dico “ragione” non nel sen­
so della concatenazione sequenziale di ragionamenti, sillogismi e mecca­
nismi logicotecnici ma nel senso della straordinaria capacità di avvertire
un disagio, di provare una curiosità, e poi di applicare la ricerca Velen-
chos. È praticamente inconcepibile cogliere il salto che partendo da
niente ha creato nella Ionia la cosmologia a dispetto delle religioni e del­
le potenti mistiche, prime forme di “ragionamento”. Per esempio l’or-
fismo, che tanto ha influenzato il pitagorismo, concepiva che l’anima
umana è un dio decaduto, che soltanto Vek-stasis, l’uscita da sé, poteva
rivelare la sua vera natura e che tramite purificazioni (catharmoi) e sa­
cramenti (orgia) poteva ritrovare la perduta superiorità e sfuggire alla
Ruota delia nascita (trochos geneseos, bhavachakra), cioè alla fatalità
delle reincarnazioni animali e vegetali. Cito questa mistica perché sem­
bra una forma di pensiero molto antica e molto generale; infatti la si
trova all’incirca nella stessa epoca e indipendentemente nell’induismo
dell’india2.
Bisogna attirare l’attenzione sul fatto che la via aperta dagli Ionici
ha in definitiva surclassato tutte le mistiche e tutte le religioni, compreso
il cristianesimo. Mai come oggi lo spirito di questa filosofia è stato così

1 II senso dato qui a “svelamento della tradizione storica” è paragonabile a quello da­
to da E. Husserl in L’origine della geometria.
’ Cfr. Upanishads e Bhagavad GftQ nei riferimenti fatti da A.K. Coomaraswamy in
Hindouisme et Bouddhisme, Gallimard, Paris, p. 36.

55
universale: gli Stati Uniti, la Cina, l’Unione Sovietica, l’Europa, i prin­
cipali protagonisti attuali lo ripropongono con un’omogeneità e un’uni­
formità che oserei perfino definire inquietanti.
E la ricerca (elenchos) una volta inaugurata incarnò una Ruota della
nascita sui generis e le differenti scuole presocratiche fiorirono condizio­
nando tutto l’ulteriore sviluppo della filosofia fino ai nostri giorni. A
mio parere i momenti salienti di questo periodo sono due: il pitagorismo
dei numeri e la dialettica di Parmenide, entrambi espressioni originali
della stessa preoccupazione.
Il pitagorismo dei numeri afferma che le cose sono numeri o che tut­
te le cose sono provviste di numeri oppure che le cose sono come i nume­
ri, a seconda delle fasi di adattamento che lo stesso pitagorismo ha co­
nosciuto fino al quarto secolo avanti Cristo. Questa tesi è sorta — e que­
sto interessa particolarmente il musicista — dallo studio degli intervalli
musicali per ottenere la catarsi orfica; infatti secondo Aristosseno, i pi­
tagorici usavano la musica per purgare l’anima così come usavano la
medicina per purgare il corpo. Ritroviamo questo metodo anche in altri
orgia, come in quelli dei Coribanti attestati da Platone nelle Leggi. Co­
munque il pitagorismo ha impregnato tutto il pensiero occidentale, pri­
ma greco poi europeo, attraverso Bisanzio che l’ha trasmesso anche agli
Arabi.
Tutti i teorici della musica, da Aristosseno fino a Hucbald, Zarlino e
Rameau hanno ripreso le stesse tesi colorandole con le espressioni
dell’epoca. Ma la cosa più fantastica è che tutta l’attività intellettuale,
comprese le arti, è attualmente immersa nel mondo del numero (trascu­
ro le correnti antiquate e oscurantistiche). Non è lontano il giorno in cui
la genetica, forse, grazie alla struttura geometrica e combinatoria del
DNA, potrà metamorfizzare la Ruota della nascita a volontà, come lo
desideriamo e come preconizzava Pitagora. Dunque non è Vek-stasis or­
fica, indù o taoista a raggiungere uno dei massimi obiettivi di sempre —
comandare la qualità delle reincarnazioni (ri-nascite ereditarie, palinge-
nesia) — bensì la forza della “teoria”, della ricerca, che è il fiore
dell’azione umana e di cui il pitagorismo è una delle espressioni più sor­
prendenti. Siamo tutti pitagoricP.
Del resto Parmenide, al contrario di Eraclito, ha avuto la capacità di
andare a fondo della questione del cambiamento negandolo. Scoprì il
principio del terzo escluso e della tautologia logica e si produsse una tale
illuminazione che adoperò entrambi i principi come un coltello per rita­
gliare nel cambiamento evanescente dei sensi la nozione àeWessente, di
quel che è, uno, immobile, che pervade l’universo, senza nascita e impe­
rituro e che, non esistendo il non non essente, è limitato e sferico (quel
che Melisso non aveva compreso).
“Poiché non potrà mai aver forza di costrizione che sia ciò che non
’ B. Russell scrive in “The Nation" del 27-9-1924: “Perhaps thè oddest thing about
modero Science i$ its return to pythagoricism”.

56
è; ma tu allontana invece il pensiero da questa via di ricerca... E rimane
ormai da parlare solo della via che dice che è. Su questa vi sono moltissi­
mi segni: essendo ingenerato è anche imperituro, poiché è integro nelle
sue membra e saldo e senza un termine a cui tenda. E non è mai stato e
non sarà mai, perché è ora tutto insieme nella sua compiutezza, uno,
continuo. E infatti quale mai origine vorresti cercare per esso? Come sa­
rebbe nato, e di dove? Dal non-essere non ti permetto di dirlo, né di pen­
sarlo. Poiché non v’è possibilità di dire o pensare che non è. E qual ne­
cessità poi dovrebbe averlo spinto a nascere dopo o prima, se comincia
dal nulla? Cosi è necessario che sia in assoluto o che non sia affatto”4.
Al di là dello stile secco e conciso del pensiero, il metodo della ricer­
ca è assoluto. Esso porta a negare il mondo sensibile, fatto soltanto di
apparenze contraddittorie, che gli ‘‘uomini dalla doppia testa” ammet­
tono senza batter ciglio, e a porre come unica verità la nozione di realtà.
Ma questa nozione, consolidata con l’aiuto di regole logiche astratte, ha
bisogno soltanto della nozione del suo contrario, il non essere, il niente
che immediatamente risulta impossibile da formulare e da pensare.
Questa concisione e questa assiomatica che vanno oltre gli dei e le
cosmogonie a base di elementi primari5 hanno enormemente colpito i
contemporanei di Parmenide. Si può affermare che questo è il primo
materialismo assoluto e totale. Le ripercussioni immediate sono state, a
grandi linee, la continuità di Anassagora e la discontinuità atomica di
Leucippo. In seguito, tutta l’attività intellettuale è stata profondamente
imbevuta fino ai nostri giorni di questa severa assiomatica. Non è forse
sorprendente in fisica il principio di conservazione dell’energia? L’ener­
gia è ciò che pervade l’universo sotto forma elettromagnetica, cinetica o
materiale in virtù dell’equivalenza materia-energia. L’energia è diventa­
ta quel che è per eccellenza. La conservazione implica che essa non varia
nemmeno di un fotone in tutto l’universo e che cosi è da sempre e per
l’eternità. D’altronde anche nella logica la verità logica è tautologica:
tutto ciò che è affermato è una verità di cui non esiste alternativa conce­
pibile (Wittgenstein). La conoscenza moderna accetta il vuoto, ma è ve­
ramente un non essere? O è soltanto la denominazione di una comple­
mentarità non chiarita?
Dopo gli scacchi del secolo scorso il pensiero scientifico è diventato
alquanto scettico e pragmatico. E proprio questo ha consentito che si
adattasse e si ampliasse oltre misura. “Tutto avviene come se...” impli­
ca un dubbio positivo e ottimistico. Si confida provvisoriamente nelle
nuove teorie e le si abbandona senza difficoltà per altre più efficaci pur­
ché tifarlo abbia una spiegazione conveniente che quadri con il tutto. Di

4 Parmenide, Della natura, fr. 7 e 8, in I presocratici, 1, Einaudi, Torino 1976, pp.


232 s8-
’ Gli elementi sono sempre attuali: (la terra, l’acqua, l’aria) = la materia, (il fuoco) =
l’energia, c l’equivalenza era stata già presentita da Eraclito.

57
fatto questo atteggiamento rappresenta una posizione di ripiego, un ge­
nere di fatalismo. Per questo il pitagorismo attuale è relativo (proprio
come l’assiomatica parmenidea) in tutti i campi, comprese le arti.
Nel corso dei secoli le arti hanno avuto conversioni parallele a quelle
delle due creazioni essenziali del pensiero umano: il principio gerarchico
e il principio dei numeri. Di fatto questi hanno dominato la musica, in
particolare dal Rinascimento fino agli attuali procedimenti di composi­
zione. Quando a scuola si sottolinea l’unità e la si raccomanda per i temi
e i loro svolgimenti, quando il sistema seriale impone una gerarchia dif­
ferente con la sua differente unità tautologica incarnata dalla serie e dal
principio di variazione perpetua ma interno a questa tautologia, eccete­
ra eccetera... Insomma tutti questi principi assiomatici che contraddi­
stinguono la nostra vita quadrano perfettamente con la questione
dell’essente inaugurata venticinque secoli fa da Parmenide.
Non è mia intenzione mostrare che tutto è ormai stato scoperto e che
siamo soltanto dei plagiari. Sarebbe un evidente nonsenso. Non c’è mai
ripetizione ma una sorta d’identità tautologica attraverso le vicende
dell’essente che si sarebbe immesso nella Ruota della nascita. È come se
avessimo zone meno mutevoli di altre e come se anche il mondo conte­
nesse regioni che cambiano solo molto lentamente.
Implicitamente, il poema di Parmenide ammette che la necessità, il
bisogno, la causalità, la giustizia si confondono con la logica e, poiché
Tessente nasce da questa logica, il puro caso è impossibile quanto il non
essente. Questo è evidente in particolare nella frase: “E qual necessità
poi dovrebbe averlo spinto a nascere dopo o prima, se comincia dal nul­
la?”. Questa implicazione ha dominato il pensiero per millenni. Affron­
tiamo ora un altro aspetto, forse il più importante della dialettica sul
piano pratico dell’azione, cioè il determinismo. Infatti se la logica impli­
ca l’assenza del caso, allora per mezzo della logica si può conoscere tut­
to e addirittura fare tutto. Il problema della- scelta, della decisione,
dell’avvenire è risolto.
Sappiamo tuttavia che se un granello di caso penetra in una costru­
zione deterministica tutto va a rotoli. Per questo le religioni e le filosofie
hanno rimosso sempre e ovunque il caso alle frontiere dell’universo. E
quel tanto di caso che impiegano nelle pratiche di divinazione non era
assolutamente considerato tale ma come una misteriosa rete di segni in­
viati da divinità spesso contraddittorie ma che sapevano bene quel che
volevano. Questi segni potevano esser letti da alcuni eletti dagli dei. Cosi
il sistema cinese de\VI-Ching, gli oroscopi di ogni tipo fino ai buoni au­
spici dei nostri fondi di caffè. L’incapacità di ammettere il puro caso ha
seguito anche la moderna teoria matematica delle probabilità che è riu­
scita a costringerlo entro leggi logiche deterministiche, così che puro ca­
so e puro determinismo sono soltanto due facce di una sola entità, come
presto mostrerò con un esempio. Per quel che ne so, in tutta la storia del
pensiero c’è un unico “svelamento” del puro caso, e a osarlo fu Epicu-

58
ro. Epicuro lottava contro le reti deterministiche degli atomisti, dei pla­
tonici, degli aristotelici e degli stoici che alla fin fine giungevano alla ne­
gazione del libero arbitrio poiché ritenevano che l’uomo fosse sottomes­
so alla fatalità della natura. Infatti se tutto è logicamente ordinato sia
nell’universo sia nel nostro corpo, che è un prodotto dell’universo, allo­
ra la nostra volontà è sottomessa a questa logica e la nostra libertà è nul­
la. Gli stoici per esempio ammettevano che la rete delle connessioni, co­
me diremmo oggi, è talmente densa, sensibile e senza perdita d’informa­
zione che ogni pur minima azione in una regione della terra aveva una
ripercussione sulla stella più lontana dell’universo.
Si disprezza a torto questo periodo poiché esso soltanto ha discusso
ogni specie di sofismi inaugurando con i megarici il calcolo logico e
creando con gli stoici la cosiddetta logica modale che differisce da quella
artistotelica delle classi. Del resto lo stoicismo con le sue tesi morali, la
sua ampiezza e la sua estensione è senz’altro alla base della formazione
del cristianesimo cui ha ceduto il posto grazie alla sostituzione del casti­
go nella persona di Cristo e grazie al mito della ricompensa eterna del
Giudizio Universale, consolazioni degne di un re per i mortali.
Per dare una base assiomatica e cosmogonica alla tesi del libero arbi­
trio dell’uomo Epicuro partì dall’ipotesi dell’atomo e ammise che “nella
caduta in linea retta che porta gli atomi attraverso il vuoto, in virtù del
loro peso, a un momento indeterminato, si scostano di poco dalla verti­
cale, quanto basta perché si possa dire che il loro movimento se ne trovi
modificato”6. È la teoria deWenklisis (clinamen) esposta da Lucrezio.
Ecco l’introduzione di un principio “insensato” nel bell’edificio deter­
ministico atomico. Epicuro quindi basava la struttura dell’universo ora
sul determinismo (la caduta inesorabile e parallela degli atomi) ora
sull’indeterminismo (Venklisis). È sorprendente mettere a confronto
questo principio con la teoria cinetica dei gas proposta per la prima vol­
ta da Daniel Bernoulli e che si fonda sulla natura corpuscolare della ma­
teria e sul determinismo e l’indeterminismo al tempo stesso. A eccezione
di Epicuro nessuno mai aveva pensato di impiegare il caso come un prin­
cipio o un modo di essere.
Si dovette attendere il 1654 perché si formasse una dottrina sull’im­
piego e la comprensione del caso; Pascal e sopra tutto Fermat la formu­
larono studiando i “giochi d’azzardo”, i dadi, le carte, e così via. Fer­
mat ha enunciato le due prime regole di composizione delle probabilità
con la moltiplicazione e l’addizione; nel 1713 fu pubblicata l’opera fon­
damentale di Jacques Bernoulli, Ars Conjectandi1, in cui l’autore espo­
ne una legge universale, la legge dei grandi numeri. Eccola, enunciata da
Borei: “Dati p come probabilità dell’alternanza favorevole e q come

* Lucrezio, La natura, 11, vv. 216-220, Garzanti, Milano 1975, pp. 86 sg.
’ In quest’opera utilizza per la prima volta il termine stocastico che oggi è sinonimo di
probabilità, di aleatorio, di fortuito, di caso.

59
probabilità dell’alternanza contraria e un numero positivo 8 piccolo
quanto si voglia, la probabilità che la differenza fra il rapporto osserva­
to del numero degli eventi favorevoli e il numero degli eventi contrari da
una parte, e il rapporto teorico p/q dall’altra sia superiore in valore as­
soluto a s tende a zero quando il numero n delle prove aumenta indefini­
tamente”1. Prendiamo l’esempio del gioco di testa o croce. Se la moneta
è perfettamente simmetrica, cioè assolutamente non falsa, allora si sa
che la probabilità p di testa (alternativa favorevole) e la probabilità q di
croce (alternativa contraria) sono uguali a 1/2 e il rapporto p/q a 1. Se si
lancia la moneta n volte, si può ottenere P volte testa e Q volte croce, il
cui rapporto P/Q è in generale diverso da 1. La legge dei grandi numeri
dice che più si giocherà, ossia più sarà grande il numero n delle partite,
più il rapporto P/Q sarà vicino a 1.
Così Epicuro, che ammise la necessità di una nascita in un momento
indeterminato, in piena contraddizione con tutto il pensiero, anche mo­
derno, resta un caso isolato poiché l’aleatorio, l’attuale stocastica, è il
risultato di un’ignoranza accettata, come ha precisato Henri Poincaré.
E il calcolo delle probabilità, se ammette l’incertezza della testa o della
croce per ciascun lancio, inquadra questa incertezza in due modi, l’uno
ipotetico (l’ignoranza della traiettoria produce l’incertezza), l’altro de­
terministico (la legge dei grandi numeri toglie l’incertezza con l’aiuto del
tempo o dello spazio). Tuttavia esaminando più da vicino l’esempio del
testa o croce vedremo come la simmetria è strettamente legata all’impre-
vedibilità. Se la moneta è perfettamente simmetrica, cioè costituita in
modo perfettamente omogeneo e uniformemente distribuita nella sua
massa, allora l’incertezza9 per ciascun lancio sarà massima e la probabi­
lità per ogni faccia sarà di 1/2. Se ora falsifichiamo la moneta distri­
buendo la materia dissimmetricamente o, più semplicemente, sostituia­
mo per esempio parte deH’alluminio con il platino che ha un peso speci­
fico otto volte maggiore, allora la moneta tenderà a disporsi con la fac­
cia più pesante rivolta a terra e questo diminuirà l’incertezza e le proba­
bilità delle due facce saranno ineguali. Se la sostituzione delle materie è
spinta fino al limite, se per esempio l’alluminio viene sostituito con un
foglio di carta e l’altra faccia è interamente di platino l’incertezza tende­
rà allora a zero, cioè tenderà verso la certezza di avere sempre la stessa
faccia leggera rivolta verso l’alto. Ecco dunque dimostrato il legame in­
verso fra l’incertezza e la simmetria. Questa notazione ha l’aria di una
tautologia, ma non è tale più di quanto non lo sia la definizione mate­
matica della probabilità. La probabilità è il rapporto fra il numero dei
casi favorevoli e il numero dei casi possibili quando tutti i casi sono con-

E. Borll, Éléments de la théorie dea probabitilés, Albin Michel. Paris 1950, p. 82.
L’incertezza, anche se misurata con l'aiuto dell’entropia della teoria deH’informazio*
ne, dà un massimo quando le probabilità pel — p sono uguali.

60
siderali ugualmente probabili. Oggi la definizione assiomatica della pro­
babilità non toglie questa difficoltà, la delimita.
Eccoci dunque a questo punto dell’esposizione sempre immersi nelle
linee di forza inaugurate venticinque secoli or sono e che continuano a
sorreggere il fondamento dell’attività umana, a quanto pare con la mas­
sima efficacia. Ecco dunque da dove vengono i problemi che agitiamo
nell’oscurità della nostra ignoranza. Determinismo o alea10, unità di sti­
le o eclettismo, calcolo o no, intuizione o costruttivismo, apriorismo o
no, una metafisica attraverso la musica o semplicemente la musica come
mezzo di divertimento e così via. Ma ecco gli interrogativi che dovrem­
mo porre:
1° Che conseguenza avrà per la composizione musicale la cosciente
assunzione del campo pitagorico-parmenideo?
2° Per quali vie?

Risposte:
1° La riflessione intorno a ciò che è ci conduce direttamente alla ri­
costruzione, per quanto è possibile ex nihilo, dei dati di base della com­
posizione musicale e sopra tutto al rigetto di ogni dato che non abbia su­
bito la ricerca (elenchos, dizesis).
2° Questa ricostruzione sarà ispirata da metodi assiomatici moderni.
Sulla base di alcune premesse siamo in grado di costruire un edificio
musicale di tipo generale, cioè tale che le espressioni di Bach, di Beetho­
ven, di Schònberg e di altri siano casi realizzati, particolari, di una gi­
gantesca virtualità resa possibile dallo spianamento e dalla ricostruzione
assiomatici che abbiamo annunciato.
Come ho già proposto in altri scritti", è necessario scindere in due
parti le costruzioni musicali:
a) la prima appartiene al tempo e è un’applicazione di entità o di
strutture alla struttura d’ordine del tempo;
b) la seconda è indipendente dal divenire temporale. Dunque, due
categorie: in tempo e fuori tempo. Nella categoria fuori tempo sono in­
cluse le durate e le costruzioni (relazioni e operazioni) che riguardano gli
elementi (punti, distanze, funzioni, e altro) che appartengono all’asse
del tempo e su cui possono esprimersi. Il temporale è dunque riservato
alla creazione istantanea.
Nel numero 29 della rivista “La Nef” ho accennato brevemente alla
struttura della musica monofonica e alla sua ricca combinatoria fuori
tempo, alla luce dei testi di Aristosseno di Taranto e dei manuali dell’at-

10 Cfr. gli articoli di Y. Xenakis in "Gravesancr Blàttcr”, 1, 6 c 11/12, Scherchen,


Gravesano 1955, 1956 c 1958. Cfr. qui, pp. Il sgg.
" Cfr. Musiques forniettes, cit., V, e Vers urie métamusique, in "La Nef’, 29, Paris
1967. Cfr. qui, pp. 33 sgg.

61
tuale musica bizantina. Questa struttura illustra in modo sorprendente
quel che intendo con categoria fuori tempo.
La polifonia ha rimosso nell’inconscio dei musicisti dell’occidente
europeo questa categoria ma non l’ha annullata del tutto; del resto sa­
rebbe stato impossibile. Dopo Monteverdi e per circa tre secoli domina­
no ovunque nell’Europa centrale e occidentale sopra tutto le architettu­
re in tempo espresse dalle funzioni tonali (modali). Tuttavia la rinascita
delle preoccupazioni fuori tempo si produce in Francia con Debussy e la
sua invenzione della gamma per toni. Vi è in gioco un triplice contatto
con le tradizioni più conservatrici degli orientali: il canto piano, scom­
parso ma riscoperto dagli abati di Solesmes, una delle tradizioni bizanti­
ne attraverso Mussorgskij, e l’Estremo Oriente.
Questa rinascita si perpetua magnificamente attraverso Messiaen e i
suoi “modi a trasposizioni limitate” o i suoi “ritmi non retrogradabili”
ma non giunge a imporsi come una necessità generale e a oltrepassare il
quadro delle scale. D’altronde egli stesso abbandona questo filone, ce­
dendo alla pressione della musica seriale.
Per rimettere le cose nella loro giusta prospettiva storica, è necessa­
rio disporre di altri strumenti più potenti quali la matematica e la logica
e andare al fondo delle cose, delle strutture del pensiero musicale e della
composizione. È quel che ho cercato di fare nei due testi prima citati e
quel che svilupperò attraverso l’analisi di Nomos alpha.
Voglio comunque metter qui l’accento sul fatto che in Francia di­
nanzi all’evoluzione generale che sfocia nell’atrofia della categoria fuori
tempo a vantaggio delle strutture in tempo'2 la categoria fuori tempo è
reintrodotta in musica con Debussy e Messiaen'1. Infatti l’atonalità sop­
prime le gamme e accetta la neutralità fuori tempo della gamma per
semitoni'4. Del resto questa situazione non è praticamente cambiata da
cinquant’anni. Per supplire a questo impoverimento, essa introdusse
con Schònberg l’ordinamento in tempo. In seguito, con l’introduzione
che mi sono permesso dei processi stocastici, l’ipertrofia della categoria
in tempo diviene opprimente e giunge a una strada senza uscita dove an­
cor oggi si agitano le musiche chiamate abusivamente “aleatorie” oppu­
re quelle improvvisate, quelle grafiche e cosi via.
Le questioni della scelta nella categoria fuori tempo sono trascurate
come se i musicisti non intendessero e sopra tutto non pensassero. Si li­
brano inconsapevoli, trascinati dalle agitazioni dei modi musicali di su­
perficie che subiscono sventatamente. Tuttavia, in profondità ci sono le

Intorno al 1870 A. de Benha creava le sue gamme ornatone prima e seconda per toni
e semitoni alternali che si possono notare con la nostra scrittura (3,, v 3n ,3n v 3n. ().
" Ho fatto una nuota interpretazione dei modi a trasposizione limitata ci Messiaen di
cui l’essenziale può essere riassunto in ciò che segue.
14 Già nel 1895 Loquin, professore al Conservatorio di Bordeaux, propugnava l'ugua­
glianza dei dodici suoni dell’ottava.

62
architetture fuori tempo e è privilegio dell’uomo sostenerle ma anche
costruirle e superarle.
Sostenerle? Sì, e sono le evidenze primarie di quest’ordine che ci
consentiranno d’inscrivcrci nel campo pitagorico-parmenideo e di fonda­
re la piattaforma da cui potremo gettare i ponti della comprensione e
dell’intelligenza nel passato (di cui siamo il prodotto da milioni di anni),
nell’avvenire (di cui siamo ugualmente il prodotto), nelle altre civiltà so­
nore su cui c’intrattengono cosi male le attuali musicologie, in mancan­
za dell’attrezzatura originale che proponiamo loro, anche a loro, così
gentilmente!
Proporrò due assiomatiche che ci apriranno nuove porte, come ve­
dremo nell’analisi di Nomos alpha.
A questo scopo partirò da una posizione primitiva della percezione
dei suoni, primitiva tanto in Europa quanto in Africa o in America. Gli
abitanti di tutti questi paesi hanno imparato da decine, centinaia o mi­
gliaia di anni a distinguere nei suoni (né troppo lunghi né troppo brevi)
caratteristiche conosciute con i nomi di altezza, istanti, intensità, rugosi­
tà, velocità di cambiamento, colore, timbro... Sono anche capaci di par­
lare in termini di intervalli rapportati alle prime tre caratteristiche.

Prima assiomatica. Ci porta alla costruzione di tutte le scale possibi-

Parleremo dell’altezza perché è più familiare, ma le considerazioni


seguenti si riferiranno a tutte le caratteristiche che sono della stessa na­
tura (istanti, intensità, rugosità, densità, grado di disordine, velocità di
cambiamento...).
Parto dall’evidente possibilità che gli uomini hanno di riconoscere
(entro certi limiti) se due modificazioni (spostamenti) di altezze sono
identiche (per esempio andare da do a re è la stessa cosa che andare da/fl
a sol). Chiamerò questa modificazione spostamento elementare DEL
(può essere di un comma, di un semitono, di un’ottava, ecc.). Sulla base
di questa convenzione universale, seguo l’assiomatica di Peano a propo­
sito dei numeri, che ho esposto in Musiquesformelles e nella rivista “La
Nef” e che ci consente di definire ogni gamma cromatica a temperamen­
to equabile (= un reticolo GCHATE). Modificando il passo dello spo­
stamento DEL generiamo con la stessa assiomatica un nuovo reticolo
GCHATE. Con questo materiale e con Peano non possiamo procedere.
Introduco qui le tre operazioni logiche (logica di Aristotele rivista da
Boole), la congiunzione (e, intersezione, scritta A ), la disgiunzione (o,
riunione, scritta X/ ), la negazione (no, complemento, scritta —) e con il
loro aiuto compongo tra loro le classi di altezze (cioè i diversi reticoli
GCHATE).
Ecco l’espressione logica con le convenzioni indicate nel numero 29
della rivista “La Nef’’:
— la gamma maggiore (DEL = 1/4 di tono):

63
(8„ A 3n+l) V (8n+2 A 3.'n + l) v (8n+4 A 3,’n+l) v (Sn+6 A 3n)

con n = 0, 1, 2..., 23; modulo 3 o 8.


(È possibile modificare il passo DEL con una metabola razionale.
Cosi la funzione logica della gamma maggiore con un DEL = 1 /4 di to­
no potrà essere basata su un DEL = 1/3 di tono, e cosi via. Questi due
reticoli potranno a loro volta essere combinati con le tre operazioni logi­
che per fornire scale più complesse. Infine, possono essere introdotte
metabole irrazionali del DEL che potranno essere applicate soltanto nel­
le musiche non strumentali. Dunque i DEL possono essere presi nel cor­
po dei reali).
— le gamme a trasposizioni limitate N. 4 e N. 7 di Olivier Messiaen1'
(DEL = 1/2 tono)

3„ A (4, v 4„<j) v 3„tI a (4n v ^n+2)

4„. 1 v 4„,3 v 3„., | a (4„ v 4n+2)


con n = 0. 1, ...; modulo 3 o 4.

Seconda assiomatica. Ci porta agli spazi vettoriali e alle rappresenta­


zioni grafiche e numeriche'".
Due intervalli a e b possono comporsi mediante un’operazione musi­
cale e produrre un nuovo intervallo c. Questa operazione si chiama ad­
dizione. Un intervallo è ora ascendente ora discendente, e a ciascuno se
ne può aggiungere un secondo in modo che il risultato sia un unisono: è
l’intervallo simmetrico del primo. L’unisono è un intervallo che aggiun­
to a qualsiasi altro intervallo non lo modifica, è dunque un intervallo
neutro. D'altra parte si possono comporre gli intervalli per associazioni
senza che il risultato cambi. Infine, in una composizione di intervalli si

Cfr. O. MtssiAi N, Technique de mon langage musical, Durand, Paris.


*• "... di modo che i suoni piu acuti di quanto occorra, se allentati con una diminuzio­
ne del movimento, si trovano come occorre; e, inversamente, i suoni troppo gravi, se li si
tende con l'aggiunta del movimento, si trovano come occorre. Per questo occorre dire che
i suoni sono composti di quantità distinte poiché si trovano come occorre con un'aggiunta
o una diminuzione. Tutte le cose composte di quantità distinte si dicono in rapporto nu­
merico tra di esse, di modo che i suoni devono anche essere necessariamente delti in rap­
porto numerico tra di essi; tra i numeri, gli uni sono detti in rapporto multiplo e gli altri in
rapporto epimorios = uno più (uno su x) e gli altri in rapporto epimeris ( = un intero più
una frazione che ha un numeratore diverso dall’unità) di modo che anche i suoni devono
necessariamente essere definiti tra di loro secondo questi rapporti”. Euclide, Sectio cono-
nis, 12-24, in H. Mence, Phaenomena et Scripta Musica, Tcubncr, Leipzig 1916.
Questo notevole testo tenta già di stabilire assiomaticamente la corrispondenza tra i
suoni e i numeri, per questo lo situo nel contesto di questo capitolo.

64
possono invertire gli ordini degli intervalli senza che il risultato cambi.
Abbiamo mostrato che fin dall’antichità (cfr. Aristosseno) e ovunque
sulla terra l’esperienza primitiva dei musicisti attribuisce agli intervalli
una struttura di gruppo commutativo.
Attualmente possiamo comporre questo gruppo con una struttura di
corpo. Sono possibili almeno due corpi, l’insieme dei numeri reali R e
l’insieme isomorfo dei punti di una retta. Inoltre è possibile combinare il
gruppo abeliano degli intervalli con il corpo C dei numeri complessi o
con un corpo caratteristico P. La combinazione del gruppo degli inter­
valli con un corpo forma uno spazio vettoriale per definizione nel modo
seguente: come ho appena detto il gruppo G degli intervalli ha una legge
di composizione interna, l’addizione. Siano a, b due elementi del grup­
po. Allora abbiamo:

1) a + b = c, c e G;
2) a + b + c = (a + b) + c = a + (b + c) associatività;
3) a + o = o + a con o G G l’elemento neutro (l’unisono);
4) a + a’ = o con a’ = — a = il simmetrico di a;
5) a + b = b + a commutatività.
Si noterà la composizione esterna degli elementi di G con quelli del
corpo C attraverso un punto. Se x, fi, e C (= per esempio il corpo dei
numeri reali) allora si avranno le seguenti proprietà:
6) x . a, fi . a 6 G;
7) 1 . a = a . 1 = a ( 1 è l’elemento neutro di C per la moltiplicazio­
ne);
8) x . (ga) = (x . fi) . a associativi delle x, fi-
9) (x + fi) . a = x.a + fi.a'
distributività.
x . (a + b) = x.a + x.b
La struttura di spazi vettoriali degli intervalli di alcune caratteristi­
che dei suoni ci consente di trattare matematicamente i loro elementi e di
esprimerci sia con l’insieme dei numeri, indispensabile per il dialogo con
i calcolatori, sia con l’insieme dei punti di una retta, poiché l’espressione
grafica risulta spesso molto comoda.
Le due assiomatiche precedenti possono essere applicate alle caratte­
ristiche dei suoni che hanno la stessa struttura.
Per esempio, per ora non avrebbe senso parlare di una scala di tim­
bri che sia universalmente accettata come lo sono le scale delle altezze,
delle durate e delle intensità. Invece, i tempi, le intensità, la densità (nu­
mero di eventi per unità di tempo), la quantità di ordine o di disordine
(misurata dall’entropia), e così via, possono essere messi in corrispon­
denza biunivoca con l’insieme dei numeri reali R e l’insieme dei punti di
una retta.

65
ó
ALTEZZE DURATE INTENSITÀ DENSITÀ ORDINE

D’altronde il fenomeno sonoro è una messa in corrispondenza delle


caratteristiche dei suoni, e conseguentemente di questi assi. La più sem­
plice è quella di Cartesio. Esempio per due assi:

t
T -O (H,T)

ò- -+-
H h

Il punto unico ottenuto dall’intersezione delle parallele condotte at­


traverso H e T rispettivamente alle rette h e i corrisponde al suono che
per esempio avrà un’altezza H nell’istante T.
Qui devo insistere su alcuni fatti che turbano molti o che da alcuni
sono presi per lanterne. Conosciamo la notazione tradizionale messa a
punto con sforzi millenari che risalgono all’antichità greca. Abbiamo
rappresentato i suoni attraverso altri due nuovi mezzi:
a) algebricamente con una collezione di numeri;
b) geometricamente (o graficamente con disegni).
Ma questi sono soltanto tre codici e niente di più; non c’è dunque da
spaventarsi davanti a una bella pagina di cifre più che davanti a una par­
titura sovraccarica, oppure da meravigliarsi in modo totemico davanti a
un disegno ben leccato. Ogni codice ha i suoi vantaggi e i suoi inconve­
nienti; il codice della scrittura musicale classica è molto preciso e fine, e
è una sintesi degli altri due. È assurdo voler dare da decifrare un grafico
a uno strumentista che conosca soltanto le sue note (trascuro qui certe
forme di regressione pseudomistiche e mistificatrici) quanto voler fare
elaborare direttamente da una calcolatrice le partiture in notazione tra­
dizionale (a meno di integrarla con un codificatore speciale che traduca i

66
risultati binari in notazione musicale). Ma teoricamente ogni musica
può essere trascritta contemporaneamente in questi tre codici. Ecco un
esempio di corrispondenza:

A->440 c/$

x~- 1 ton

1M 1
= 1sec = * /

N T H V D I
1 1,00 1 0 0,66 3
2 1,66 6 0 0,33 5
3 2,00 6 + 17,5 0,80 6
4 2,80 13 0 ? 5

N: numero di ordine della nota;


H: altezza in semitoni con + 10 A La A A A 440 c/s;
V: scarto del glissando (se esiste) in semitoni per secondo, positivo se
ascendente, negativo se discendente;
D: durata della nota in secondi;
1 : numero corrispondente a un elenco di forme d’intensità.
Non bisogna mai perdere di vista che questi tre codici sono soltanto
simboli visuali di un fatto uditivo consideralo come simbolo.
Arrivati a questo punto dell’esposizione, dopo che lo svelamento
storico e la ricostruzione assiomatica sono stati parzialmente realizzati,
sarebbe inutile continuare. Tuttavia, prima di terminare, vorrei dare un
esempio del vantaggio del grafico nello studio dei casi molto complessi.
Supponiamo alcune strutture costruite per mezzo di rette, per esempio
per mezzo di glissandi di corde*'. Ci si può chiedere se si possono distin­
guere alcune strutture elementari. Ecco un elenco di questi campi ele­
mentari regolati:
” Cfr. la mia analisi di Metastasi nel Modular II di Le Corbusier.

67
h

Effettivamente essi possono costituire elementi che entrano in confi­


gurazioni più vaste. Anzi da un elemento all'altro, sarebbe interessante
definire e utilizzare sequenzialmente alcuni stadi intermedi continui o
discontinui, sopra tutto nel passaggio più o meno violento dal primo ele­
mento all’ultimo. Se si osservano bene questi campi sonori, si possono
ancor meglio distinguere alcuni caratteri generali che, variando, posso­
no combinarsi con quelle forme generali di base. Eccone un elenco:
1° registri (medio, acuto, eccetera);
2° densità d’insieme (grande orchestra, piccola orchestra, eccetera);
3° intensità d’insieme;
4° variazione del timbro (arco, sul ponticello, tremolo, eccetera);
5° fluttuazioni (variazioni locali delle forme qui citate in 1,2, 3, 4);
6° progressione generale della forma (trasformazione in altre forme
elementari);
7° grado d’ordine.

Per quanto riguarda il punto 7°, il disordine totale potrà aver senso
solo se calcolato secondo la teoria cinetica dei gas. Nessun’ahra rappre­
sentazione è più comoda per lo studio della rappresentazione grafica.
Supponiamo invece ora alcune strutture costruite per mezzo della di­
scontinuità, per esempio per mezzo di suoni puntuali o per mezzo di piz­
zicati di corde. Possiamo ripetere quanto abbiamo detto a proposito
della continuità.
L’astrazione è talmente generosa che i sette punti precedenti saranno
identici. Inoltre una mescolanza tra discontinuo e continuo può darci
una nuova dimensione.

68
h

'W-
Ex­

ANALISI DI NOMOS ALPHA

Caso generale

organizzazione fuori tempo


Sia un insieme U e una comparazione di U con U (un prodotto U x
U) chiamata xp (U,f), dunque xp (U, f) c U x U e per ogni coppia (Uf,
u) G U x U oppure (u, Uf) G 0 (U, f) oppure (u, Uf) £ 0 (U, f). Inoltre
u ~ Uf => Uf ~ u, u ~ Uf e Uf ~ u’ => u ~ u’ per u, u’, Uf G xp (U, f), si
ammette anche che la comparazione è riflessiva.
Dunque xp (U, f) è una classe di equivalenza. In particolare se U è
isomorfo all’insieme dei numeri relativi Z, allora u — Uf se | u — Uf |
< Auf per Auf arbitrario, (xp (U, f) è l’insieme dei valori di U per esem­
pio deboli.
Cosi per una seconda comparazione xp (U, m), (“valori medi’’), e
per una terza xp (U, p), (“valori potenti’’). Abbiamo: xp = xp (U, f) Uxp
(U, m) U xp (U, p) c: U x U dove xp è l’insieme quoziente di U per xp. I
sottoinsiemi di xp possono essere disgiunti o congiunti e creare o no una
partizione di U x U.
— Qui xp (U, F)—ixp (U, m)-<xp (U, p) sono ordinate dalla relazione-^
in modo che gli elementi di xp (U, f) siano più piccoli di quelli di xp (LI,
m) e quelli di xp (U, m) più piccoli di quelli di xp (U, p).
Dunque xp (U, f) A xp (LI, m) = (S), xp (LJ, m) fì xp (U, p) = Q.
— In ciascuno di questi sottoinsiemi definisco quattro nuove relazio­
ni di equivalenza, dunque quattro sottoclassi:
^'(U, f), uj - (uj)’ se | uj — (uj)’ | < Auf e uj, (u/)’ G

69
xp (U, 0 per i = 1, 2, 3, 4 con ^'(U, (U, f)
e (U, (U, f)-^‘ (U, (U, f) ordinati dalla stessa relazio­
ne-^.
— Lo stesso per xp (U, m) e xp (U, p).
— Per semplificare scrivo uf = { u: u E xp* (U, f) }, lo stesso per uj
e ukp.
— Allo stesso modo creo delle sottoclassi di equivalenza in due altri
insiemi G e D.
— Ammetto che U rappresenta l’insieme dei valori di tempo, G l’in­
sieme dei valori di intensità, D l’insieme dei valori di densità con:
f m p }
u= Ui, Uj, uk (
f m P |
G = gl. gì. gk (
f m pi
D = di, dk j per i, j, k = 1, 2, 3, 4.

— Prendo una parte del triplo prodotto U x G x D composto di


punti (u„, gì, dj). Siano le vie V1 :
j p m f f p m I , p f m p
I U|, &, d( , V2 : U|. &. di (•••■ VS : (u„ u2, u3, u4),
f m f p m f p
P m |/
(gl, g2, gj, g<), (di, d2, d3, d4) j per i = 1, 2, 3, 4.

— VS sarà un sottoinsieme del triplo prodotto U x G x D esploso


in 4J = 64 punti distinti.
— In ciascuno di questi sottoinsiemi scelgo un nuovo sottoinsieme
X X
Kj definito da n punti K, (j = 1, 2, oo, n e x VI, V2, .... VS).

— Questi n punti sono considerati come gli n vertici di un poliedro


regolare.
— Considero le trasformazioni in se stesso del poliedro, ossia il
gruppo corrispondente.
— Riassumendo ho ottenuto la catena delle seguenti inclusioni:

70
X
K. X
co e S c K, = X <= «p c UxGxD
elemento vertice insieme via x
e (U x G x del dei ver­ (sottoin­
D) poliedro tici del sieme di
X poliedro UxGxD)
Kj

— Siano anche due altri insiemi H (altezze) e X (materia sonora, mo­


di di suonare, ecc.).
— Formo il prodotto H x X x C, in cui C è l’insieme delle n forme o
complessi o tipi sonori (C, (i — 1, ...» n)\ esempio: nube di suoni puntua­
li; nube di glissandi, ecc.
A
— Applico il prodotto H x X x C sui vertici del poliedro Kj
— I complessi C, possono percorrere i vertici fissi e produrre così le
trasformazioni del gruppo; la chiameremo operazione 0n.
I complessi C, sono solidali con i vertici che restano fissi, ma gli H x
X percorrono i vertici, producendo così le trasformazioni del gruppo;
operazione .
II prodotto H x X x C percorre! vertici e produce così il gruppo delle
trasformazioni del poliedro; operazione poiché il prodotto può cam­
biare di definizione a ogni trasformazione del poliedro.

Organizzazione in tempo
L’ultima applicazione si farà nel tempo in due modi possibili al fine
di manifestare le particolarità di questo gruppo poliedrico o del gruppo
simmetrico che gli è isomorfo:
a) 1 vertici del poliedro si enunciano successivamente (immagine del
gruppo simmetrico); operazione t<>.
b) 1 vertici si enunciano simultaneamente (n voci simultanee); opera­
zione ti.
Prodotto t0 X 0o
X
I vertici Kj si enunciano successivamente con:
1° un solo complesso sonoro Cr sempre lo stesso, per esempio con
una nube di suoni soltanto puntuali;
2° diversi complessi sonori al più n ma connessi biunivocamente agli
indici dei vertici di Kjj
3° diversi complessi sonori le cui apparizioni successive formano le
operazioni del gruppo poliedrico, i vertici i (definiti da u x g x d) ap­
paiono sempre nello stesso ordine;

71
4° diversi complessi sonori sempre nello stesso ordine mentre 1 0
ne dei vertici i riproduce le trasformazioni del gruppo;
I
5° diversi complessi sonori si trasformano indipendentemente dai
vertici del poliedro.
Prodotto t., e 6,
L’elenco di questo prodotto sarà ottenuto dal precedente sostituen­
do H x X a Cj.
Prodotto t0 x
L’elenco è facile da disporre.
Il caso t, e 0j è sorto dai casi precedenti per analogia.
A questi prodotti operazionali in tempo dovrebbero aggiungersi ope­
razioni in spazio quando, per esempio, le fonti sonore sono distribuite
nello spazio come in Terrètektorh*.

• Le quattro figure seguenti illustrano i differenti stati del “caso particolare” di No-
mos alpha.

72
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75
Caso particolare

Organizzazione fuori tempo


— 1 tre insiemi D (densità), G (intensità), U (durate) applicati su tre
spazi vettoriali o su uno spazio vettoriale a tre dimensioni.
— Una selezione (sottoinsieme) chiamata via VI di classi di equiva­
lenza è formata nel modo seguente:
D (densità) elevate, G (intensità) elevate, U (durate) deboli. A queste
II-
I

classi sono stati attribuiti valori ordinati e precisi:


Ins. D b c Ins. G Ins. U
di 1.0 0.5 T gl mf ui 2
d? 1.5 1.08 2 f ug 3
gg
___ d3 2.0 2.32 T g3 ff __ “3 4
d4 2.5 5.00 4 g4 fff U4 T
espresse in elementi per secondo espresse in sec.

Una seconda selezione (sottoinsieme) chiamata via V2 è formata nel


modo seguente: D: alte, G: medie, U: alte con valori ordinati e precisi:
Ins. D Ins. G Ins. U
di 0.5 gì P ui 10
d2 1 g2 mp ug 17
d3 2 g-3 mf U3 21
di T g4 U4 30
elementi per secondo in secondi

— Si prendono otto “punti” dal triplo prodotto D x G x U. Per la


via VI:

Kj = d, g, u,;K2 = di g4U4; K3 = d^a^ K4 = d4gj Uj

= d2g2 u2; K6 = d2g3 u3; K7 = d3 g3 u3; K8 = d3 g2 u2


con r che designa una delle colonne (sottoclasse) del quadro dell’in­
sieme D. (r = a, b, c).
Per la via V2:
Kj — d4 g3 u2; K2 d3g2U!; K3 = d2g4 u4; K4 = d, g2 u3
gì u4; K6 = d3 g2 u3; K7 d!g4uj

76
di Nomos alpha

Organizzazione in tempo

77
1 Questi otto punti sono considerati solidali tra loro in modo da for­
mare un cubo. (Applicazione di questi otto punti sugli otto vertici
di un cubo). Il gruppo formato dalle sostituzioni di questi otto
punti, isomorfo al gruppo simmetrico P4, è preso come principio
organizzatore. Cfr. il disegno w, a pagina 73.

Il Si prendono otto elementi di complessi sonori macroscopici appli­


cali alle lettere Q nei tre modi a, /3, 7;
cati
a y
Ci Ci C1 = nube atassica di suoni puntuali;
C7 c2 c5 = nube relativamente ordinata ascendente o discendente di
suoni puntuali;
c3 c3 c« = nube relativamente ordinata né ascendente né discendente
di suoni puntuali;
C3 C5 Ca
Cg
= campo atassico di suoni glissati;
C3
= campo relativamente ordinato ascendente o discendente di
c3 c7 suoni glissati;
C4
= campo relativamente ordinato né ascendente né discen­
Cg C8 C8 dente di suoni glissati;
= atomo rappresentato al violoncello da interferenze di un
C4 C4 C7 quasi unisono;
= atomo ionizzato rappresentato al violoncello da interfe­
renze accompagnato da pizzicali.

Ili — Queste lettere sono applicate biunivocamente sugli otto vertici


w.òJ
del secondo cubo. Dunque un secondo gruppo esaedrico è preso
come principio organizzatore.

:
78

!i
I - Le trasformazioni in se stesso del cubo costituito dagli elementi
K, formano il gruppo esaedrico isomorfo al gruppo simmetrico
P<;
regole di messa in tempo:
. la: i vertici del cubo di ogni trasformazione sono enunciati suc­
cessivamente grazie a una corrispondenza biunivoca.
2a: Anche le trasformazioni sono successive (per un insieme più
grande di strumenti si potrà scegliere una delle simultaneità pos­
sibili). Esse seguono i diversi grafi (diagrammi cinematici) ine­
renti alla struttura interna di questo gruppo particolare. Cfr. w,,
w2, w, alle pagine 73, 75.

li — Tutte e tre le sostituzioni del cubo, l’applicazione delle otto for­


me alle lettere C, cambia ciclicamente nell’ordine: a, (3, y, a,...

Ili — Lo stesso per il cubo delle lettere Cj.

79
IV Si formano i prodotti: Kj x Cj e K, x Cm. Successivamente si
prende un insieme, prodotto dei due insiemi H x X. L’insieme
H è lo spazio vettoriale delle altezze e l’insieme X è l’insieme dei
modi di eseguire le Cj. Questo prodotto è dato da una tabella a
doppia entrata.

estr. acuto

acuto medio

grave medio

estr. grave
pizz. f.c.1. an. pizz. gl. an a trem. harm. hr trem. asp. asp trem an ainterf.
I| |__ I
Cr Cr Cj c4.c5.c6

Pizz.: pizzicati;
fcl: colpito con il legno dell’archetto;
an: archetto normale;
pizz. gl.: pizzicato-glissando;
a trem.: archetto tremolo;
harm.: suono armonico
hr trem.: armonico tremolo;
asp: arco sul ponticello;
asp trem.? arco sul ponticello tremolo;
a interf.: arco con interferenze.

1 diversi modi di suonare sono attribuiti alle forme Ci,...C»


come indicato nella tabella.
Un sottospazio di H’ è attribuito alla via VI costituita dalle
due righe intermedie della tabella precedente ma divisa in quat­
tro. Sono definite in funzione dell’estensione del gioco della co­
lonna corrispondente.
due l*nee’ eslremo aculo e estremo grave, sono riservate

V — L’applicazione delle Cj sull’insieme H x X è relativamente indi­


pendente e sarà determinata da un diagramma cinematico dei
percorsi al momento della messa in tempo.
VI — Si formanoiprodottiK[ xQx H’xXeKjXC, x Hestremi x X

80
IV — I prodotti k[ x Cj e Ki x Cm sono il risultato del prodotto di
due grafi delle trasformazioni chiuse del cubo in se stesso. L’ap­
plicazione dei grafi è biunivoca e si enuncia successivamente:

Ci | Grafo (DQ?)
Es: |
Kj Grafo (DQ>) Cfr. w, p. 75

V — Ogni Cj è applicato in uno dei casi di H x X secondo i principi:


a) della massima espansione (minimo di ripetizione) e
b) del massimo contrasto o della massima similitudine.
VI — Gli elementi del prodotto Kf x C, x H’ x X della via VI sono
enunciati successivamente a eccezione delle interpolazioni degli

81
VII —L’insieme delle funzioni logiche (a), i cui moduli sono tratti dal
sottoinsieme formato dalle classi residuali di modulo 18 e prime
tra queste, da quelle specificate dall'operazione di moltiplicazio­
ne e di riduzione di modulo 18, è utilizzato in quest’opera:
(a) L (m, n) = (nj v n, v nk v n,) a mp v (mq v mr)
ad, v (nt v nu v nw)

1 suoi elementi sono derivati:


1° Da una funzione iniziale
L (11, 13) = (133 v135 v 137 v139) a n2 v
(H< vll8) a 139 v (130 vl31 v136)
2° Da una metabola dei modelli assimilati qui al grafo dell’ac­
coppiamento degli elementi del sottoinsieme precedente.
Questa metabola dà le seguenti funzioni:
L(ll, 13), L( 17, 5), L( 13, 11), L( 17, 7), L(ll, 5), L(l, 5), L(5, 7),
L( 17, 11), L(7, 5), L( 17, 13), L(5, 11), L( 1, 11) (cfr. disegno w, a
P- 90).
3C Da tre regole di sostituzione degli indici (classi residuali):
regola ai n.. — n...,
regola b: se entro una parentesi tutti gli indici sono uguali, al­
lora alla prossima funzione L(m, n) metterle in progressione arit­
metica (il modulo è il reticolo corrispondente);
regola ci conversione degli indici in funzione delle metabole
dei moduli, (cfr. disegno w.),
mj -► nx x = j. % es: 74 -> 1 lx x = 4. ’7' - 6
4° Di una metabola del passo (spostamento elementare: un
quarto di tono per la via VI, tre quarti di tono per la via V2).
Questi due tipi di metabole che generano gli elementi dell’in­
sieme delle L(m, n) possono essere utilizzati fuori tempo o in
tempo. Nel primo caso ci danno la totalità degli elementi, nel se­
condo caso questi elementi appaiono in un ordine temporale.
Tuttavia una struttura di ordine temporale è soggiacente anche
nel primo caso.

82
elementi del prodotto K, x C, x Hestr x X della via V2 che sono
enunciati per intermittenza.
VII —Tutte tre le sostituzioni dei due cubi, K, e Cj la funzione logica
L(m, n), cambio che segue il suo diagramma cinematico, deriva­
to dal gruppo: moltiplicazione per coppie delle classi residuali e
riduzione modulo 18.

83
Analisi dettagliala dell'inizio della partitura [L(l 1, 13)] fatta da Fer-
nand Vandenbogaerde*.

“L’origine della parte (I33 v 135 v 137 v 139) A 112


v (114 v 118) a 139 corrisponde al LA3#, (LA3 = 440 Hz).
L’origine di 130 v 133 v 136 corrisponde al LA3^ . Le altezze del
retìcolo L(11, 13) sono dunque:
.... do21, do2^; REj, re2/ , fa2, fa2X sol2,
SOL,#, LA2, SI2/ , DOj, DO3#, RE3#, RE3j£f,
FA3+ , FA3#, SOL3#, LA3f , LA3#, SI3, DO4/ ,
RE4j^, MI4, MI4f , SOL4) LA4, LA4#, LA4j^; SI4...

L’ordine applicato ai complessi sonori (Sn) e alle combinazioni den-


silà, intensità, durate (Kn) sono per la trasformazione
Sx = Kx = 1 mf
s2 K2 = 2,25 fff
S3 K3 = 22,5 fff
S4 = K4 = 10 mf

Ss K5 = 2,83 f
S6 k6 = 3,72 ff
S, k7 = 7,98 ff
S8 K8 = 6,08 f
(Nel testo di Fernand Vandenbogaerde Cn è sostituito da Sn).

Cfr. la partitura edita da Boosey & Hawkcs c il disco edito da Pathc-Marconi. Il let­
tore potrà riferirsi alla nota di li rsand VAMjrswx.At rdi , Analyse de Nomos Alpha de
1. Xenakis, Schola Cantorum. classe di trasmissione e acustica applicata, anno 1966-1967.

84
Ia sequenza:
1 2 3 4 5 6 7 8
I I I 4 I I I I
D (Sn) = S2 S3 S. s< S6 S7 Ss S8
D (Kn) = K2 K3 K, K8 K7 Ks K8
2,25 2,25 1 10 3,72 7,98 2,83 6,08
fff fff mf mf ff ff f f
Questa parte inizia dunque con un pizz. glissato la cui tendenza è
all’inizio nulla, poi debolissima (1/4 di tono in 2,5 secondi) sulla nota
DO origine del reticolo, e fff (con il glissando che inizia ppp).
La parte S. consiste in un “battere con legno" su DO / DO#RE,
fff (con p al centro).

85
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90
Nella parte S, le tendenze dei glissandi di senso contrario si annulla­
no. L’allargamento nella parte S4 è prodotto dallo spostamento della li­
nea inferiore e dal prodursi di battimenti; la nube viene introdotta da un
pizzicato sulla quarta corda, ottenuto con l’appoggio dell’indice sulla
nota che si trova tra parentesi quadre, effettuato con il pollice sulla par­
te della corda compresa tra il capotasto e l’indice, ottenendo come risul­
tato sonoro la nota tra parentesi”.

« *

Dunque, la questione applicata alla musica ci conduce al cuore della


nostra mente. Le assiomatiche moderne liberano ancora una volta, in
maniera ora più precisa, i solchi significativi che il passato ha tracciato
sulla roccia dei nostri esseri. Queste primizie mentali ratificano e giusti­
ficano i miliardi di anni di accumulazione e di distruzione di segni. Ma
la coscienza della loro limitazione, della loro chiusura, ci forza a di­
struggerli.
Brutalmente, è impensabile che l’intera umanità si forgi nell’infanzia
per poi non muoversi più dalla sua concezione del tempo e dello
spazio”. Cosi, il fondo della caverna non rifletterebbe gli esseri che
stanno dietro di noi, ma sarebbe un vetro filtrante che lascerebbe indo­
vinare cosa c’è al centro dell’universo. È questo fondo che occorre in­
frangere.
Conseguenze:
a) occorre cambiare le strutture d’ordine del tempo e dello spazio,
quelle della logica,...
b) l’arte insieme con la scienza dovrà realizzare questa mutazione.
Risolviamo la dualità mortale-eterno: l’avvenire è nel passato e è ve­
ro l’inverso, l’evanescenza del presente si abolisce, è ovunque in un sol
tempo. Questo istante è anche a due miliardi di anni luce...
Può darsi che le astronavi prodotte dall’ambiziosa tecnologia non ci
portino lontano quanto la liberazione dalle nostre pastoie mentali. Ecco
la fantastica prospettiva che V arte-scienza ci apre nel campo pitagorico
parmenideo.
“Revue d’esthétique”, 2, 3 e 4, Paris 1968.

’* Cfr. J. Piaget, Lo sviluppo della nozione di tempo ne! bambino, La Nuova Italia,
Firenze 1979 c La rappresentazione dello spazio ne! bambino. Giunti Barbera, Firenze
1976.

91
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92
LA CRISI DELLA MUSICA SERIALE
... D’ora innanzi al compositore seriale è consentito tutto o quasi tutto. Combina­
zioni di timbri inauditi, durate infinitesimali o infinite, intensità di ogni ordine,
continuità assoluta o discontinuità di movimento. Ma proprio per questo fatto il
sistema seriale si trova fuori sesto. Sembra che la sintesi totale di Mcssiacn abbia
messo il punto finale alla sua evoluzione. Ormai da anni i perfezionamenti di det­
taglio non fanno più breccia nell’impasse. La crisi della musica seriale è aperta.
Effettivamente il sistema seriale è ridiscusso nelle sue due basi che contengono in
germe la loro distruzione e il loro superamento:
a) la serie;
b) la struttura polifonica.
La serie (di ogni natura) procede da una “categoria” lineare del pensiero. É una
filza di oggetti in numero finito. Ci sono oggetti e c’è numero finito perché c’è sta­
lo il piano temperato con 12 suoni (senza le ottave). In elettronica sarebbe assurdo
pensare unicamente in quanta di frequenza. Perchè 12 e non 13 o n suoni? Perché
non la continuità dello spettro delle frequenze? Dello spettro dei timbri? Dello
spettro delle intensità e delle durate? Ma lasciamo da parte la questione della conti­
nuità (d’altronde fra poco tempo sarà per la ricerca musicale il corrispettivo dello
stato ondulatorio del corpuscolo-onda della materia). Ritorniamo invece all’aspei-
to discontinuo degli spettri del suono, aspetto fondamentale delle sensazioni uma­
ne (leggi logaritmiche o aritmetiche di percettibilità comparativa delle frequenze,
delle intensità, delle durate).
Supponiamo dunque, per semplificare, una progressione geometrica delle frequen­
ze (o di un’altra componente del suono) a n termini. L’ordine degli n termini può
essere permutato. Nella serie classica la scelta della disposizione dei 12 suoni era
più o meno arbitraria ma costante per una data opera (serie originale). Con gli n
termini si può utilizzare n fattoriale (n! = 1. 2. 3...n) permutazioni. Tutta una lo­
gica basata sul calcolo combinatorio e sulle condizioni iniziali può consentire un
impiego musicale di questi n oggetti (di frequenze o di altre componenti).
Il calcolo combinatorio non è che una generalizzazione del principio seriale. Si tro­
va in germe nella scelta della disposizione originale dei 12 suoni. Messiaen aveva
presentito questo segreto nelle interversioni dei 12 suoni e delle durate nell’//e de
feu 2.
La polifonia lineare si distrugge da sé attraverso la sua attuale complessità. Quello
che si sente è in realtà soltanto un ammasso di note a vari registri. L’enorme com­
plessità impedisce all'ascolto di seguire l’intreccio delle linee e ha come effetto ma­
croscopico una dispersione irragionevole e fortuita dei suoni su tutta l’estensione
dello spettro sonoro. Conseguentemente c’è contraddizione tra il sistema polifoni­
co lineare e il risultato sentito che è superficie, massa.
Questa contraddizione inerente alla polifonia scomparirà quando l’indipendenza
dei suoni sarà totale. Infatti, non essendo più operanti le combinazioni lineari e le
loro sovrapposizioni polifoniche, conterà la media statistica degli stati isolati di
trasformazione delle componenti in un dato istante. L'effetto macroscopico potrà
dunque essere controllato attraverso la media dei movimenti degli n oggetti scelti
da noi. Ne risulta l’introduzione della nozione di probabilità che d’altronde impli­
ca in questo caso preciso il calcolo combinatorio. ...
Brano tratto da un testo pubblicato nei
“Gravesaner Blàtter”, 1, Scherchcn, Gravesano 1955.

93
Seconda parte
ARCHITETTURA
I

// Padiglione Philips
all’alba di un’architettura

Introduzione
Per capire il Padiglione Philips e il suo posto nell’evoluzione verso
un’architettura nuova che esso afferma e sviluppa occorre situarlo nel
suo contesto storico.
È quanto intendo dimostrare.
Fin dalla più remota antichità l’architettura non è una manifestazio­
ne veramente spaziale ma si basa essenzialmente su due dimensioni, è es­
senzialmente piana.
Le figure quadrate, rettangolari, trapezoidali, circolari dei templi,
delle abitazioni, dei palazzi, delle chiese, dei teatri, ecc., sono piane. Si
penetra nella terza dimensione per traslazione parallela seguendo la di­
rezione verticale.
La terza dimensione concepita e realizzata in questo modo è fittizia,
omeomorfa al piano, non apporta alcun elemento volumetrico nuovo.
L’insieme spaziale è formato dunque solo da un primo gruppo, prima­
rio, di volumi che chiameremo “gruppo di traslazione’’.
Scatole quadrate, rettangolari, cilindriche, eccetera.

filo a piombo,
vettore della
traslazione

Gli edifici egizi, sumeri, babilonesi, persiani, cretesi, greci, indù, ci­
nesi, aztechi, bizantini, rinascimentali, barocchi e moderni appartengo­
no essenzialmente a un sottogruppo rettilineo. Sono dominati e regolati
dalla retta, dal piano (che è una superficie regolata elementare) e

97
dall’angolo retto (che è espressione dì simmetria, di equipartizione di
una superficie piana e misura dell’angolo formato dalla perpendicolare
al piano orizzontale, espressione della gravità terrestre).
L’altro sottogruppo di traslazione, il sottogruppo circolare basato
sul cerchio (cilindri, archi — volte), aveva molta meno presa sul pensie­
ro e sulla sua materializzazione. Tuttavia seguiva una via parallela di
evoluzione latente. Le abitazioni neolitiche, le tombe arcaiche, le roton­
de si sono fuse con le tecniche del Medio Oriente e hanno creato la cupo­
la, primo timido elemento tridimensionale di cui Santa Sofia è una tap­
pa decisiva.

Tempi moderni

Il pensiero architettonico moderno che appartiene al gruppo di tra­


slazione ha formato il pensiero tecnico in modo così rigoroso che ancora
nella scorsa generazione tutta la teoria dell’elasticità e della resistenza
dei materiali si accaniva sopra tutto sulle travi e sui pilastri.
Per un effetto di feed-back gli architetti erano a loro volta condizio­
nati dalle loro ricerche del calcolo e seguivano il grande carosello delle
rette sotto forma di travi, pilastri o tralicci. L’ossatura diventava regola­
trice del criterio compositivo dell’architetto, della sua estetica. “Occor­
re a ogni costo mostrarla nuda nella sua forza e nella sua debolezza’’.
Ma il cemento armato, che fin dalla sua creazione ha imitato l’ossa­
tura in legno o in pietra dell’era precedente, per la sua stessa essenza
avrebbe innescato nella generazione successiva una rivoluzione nei con­
cetti teorici del calcolo e dunque dell’architetto. La sua essenza è la con­
tinuità. 11 cemento può essere trattato come si vuole. A forma di travi,
di pilastri ma anche a blocco massiccio e a guscio, vuoi esteso, vuoi sot­
tile, piano, curvo, come si vuole.
Nascono le teorie dei gusci e delle vele sottili. Le proprietà geometri­
che delle superfici curve, cilindriche, coniche, a doppia curvatura, ecc.,
formano direttamente l’orientamento di queste ricerche da una parte
astratte, dall’altra materiali. Coprire una data superficie è un problema
da porsi in questo modo: “Quale forma geometrica deve avere la coper­
tura affinché la quantità di materiale che la costituisce sia minimo?’’.
La natura aveva già fornito all’architetto esempi di questa econo­
mia, di questo principio della minima azione. Le conchiglie marine o
terrestri, i gusci delle uova, dei granchi, delle ossa, ecc. gli suggeriscono
a ogni passo queste idee. A questo punto per l’architetto degli anni
1920-1930 avrebbe potuto prodursi un buon incontro tra la corrente del­
le arti plastiche e le ricerche di superfici geometriche più economiche,
più razionali della copertura piana e dell’ossatura.
Probabilmente l’architettura aveva ancora troppo da fare per com­
battere il pompierismo delle scuole di architettura, per consolidare il pu-

98
rismo delle nervature in cemento armato e in acciaio, questo caro ritor­
no al cuore antico del sottogruppo rettilineo, quest’ultima superba
fiammata prima del declino già iniziato.
L’architetto non ha inteso il messaggio delle arti plastiche. Gli inge­
gneri e gli esperti di statistica si sono incaricati di farlo. Timidamente e
lentamente il problema astratto del minimo sforzo in materia di coper­
ture orienta i calcolatori verso soluzioni originali che aprono all’archi­
tettura una nuova era, probabilmente più rivoluzionaria e più originale
che mai. L’architettura di traslazione sembra concludere nel nostro tem­
po la sua corsa magnifica ma restrittiva che pure ha dato tanti prodotti
eterni pieni d’intelligenza e di poesia. Si assiste ora all’alba di un’altra
architettura, realmente a tre dimensioni, più ricca, più sorprendente. Si
tratta dell’architettura del gruppo volumetrico.

IL PADIGLIONE PHILIPS

Un "architettura volumetrica

Iniziativa Philips (L. Kalff)


“Vorrei che facesse il Padiglione Philips senza che sia necessario
esporre nessuno dei nostri prodotti. Una dimostrazione tra le più ardite
degli effetti del suono e della luce, dove il progresso tecnico potrebbe
condurci in avvenire”.
Su iniziativa di Louis Kalff, direttore artistico della Philips, la dire­
zione della sua ditta si rivolge così, all’inizio del 1956, a Le Corbusier
chiedendogli di assumersi l’incarico della progettazione.

Le Corbusier accetta
“Non vi farò un padiglione ma un Poema elettronico e una bottiglia
contenente il poema: 1° luce, 2° colore, 3° immagine, 4° ritmo, 5° suo­
no riuniti in una sintesi organica accessibile al pubblico e che mostra
cosi le risorse dei prodotti Philips”.
Dati generali
II Poema elettronico avrà una durata di dieci minuti.
Luce, colore, immagine, sono coordinati da Le Corbusier in perso­
na. Egli stesso fa lo scenario ottico del Poema elettronico.
Per la musica Le Corbusier sceglie uno dei più grandi compositori
contemporanei, Edgar Varèse, esplosivo precursore della disintegrazio­
ne dei timbri, del ritmo e del discorso sonoro (un brano della durata di
otto minuti).

99
Chiede poi a me di comporre la musica dell’interludio (durata: 2 mi­
nuti); mi chiede anche di studiare l’architettura del padiglione.
L’involucro del padiglione potrà contenere quattrocento-
cinquecento persone, le apparecchiature per il video e quelle per gli udi­
tori, i magnetofoni e i servomeccanismi a thyratron. Tutto sarà registra­
to su nastri magnetici, nessuno spazio dunque per l’improvvisazione.
Il Poema elettronico è così definito a grandi linee.
Nell’ottobre del 1956 Le Corbusier m’incaricava di disegnare queste
idee e di provare “a tradurle attraverso la matematica”. Mi consegnò
uno schizzo che trascrivo qui:

Si

S2
$3

Idee di Le Corbusier sull’architettura del Padiglione Philips


Secondo Le Corbusier l’edificio doveva essere una “bottiglia” con­
tenente il “nettare dello spettacolo e della musica”.
Per lo spettacolo filmato desiderava superfici piane e verticali.
Per gli effetti spaziali voleva un collo aereo alla sommità del padi­
glione dove sarebbero andate a perdersi le immagini proiettate.
Per le aurore di colore desiderava superfici concave e convesse. Te­
neva cosi conto delle intenzioni espresse dagli architetti del padiglione
olandese che si trova accanto al Padiglione Philips.

100
“Per il retro del Padiglione Philips si richiede una superficie sempli­
ce e convessa per non influenzare troppo la vista sul giardino e sui prati
che circondano le costruzioni olandesi’’.
Qualsiasi altra idea di ricerca plastica doveva essere scartata perché
avrebbe nuociuto allo spettacolo e all’audizione.
“Poiché nella ‘bottiglia’ è notte, poco importa che sia bella’’. Le
Corbusier ha immediatamente rivolto ogni suo sforzo creativo allo spet­
tacolo visivo. Non aveva mai avuto nella vita l’occasione di fare uno
spettacolo con i mezzi del cinema e delle proiezioni a colori compieta-
mente a sua disposizione. Era felicissimo di potersi esprimere in un mo­
do diverso da quello architettonico e pittorico. Sarebbe stata una visione
del mondo sintetica e cinematica a modo suo, una sua visione totale:
realismo, colori, atmosfere, creazioni personali che in una successione
folgorante avrebbero dovuto comporre un affresco magnificamente vi­
vo.
“Lo scopo del mio intervento non è fare un locale di più nella mia
carriera ma creare con voi un primo ‘gioco elettrico’, elettronico, sin­
cronico in cui la luce, il disegno, il colore, il volume, il movimento e
l’idea formino un tutto sbalorditivo ma, naturalmente, accessibile alla
folla”.
Ecco come bisogna intendere il senso che Le Corbusier dava all’ar­
chitettura del padiglione.
“Il Padiglione Philips sarà un edificio a basso costo, una specie di
struttura cava, un involucro di cemento senza nessuna esistenza ‘archi­
tettonica’, secondo l’espressione corrente”.
Riassunto delle idee di Le Corbusier
1 ° Forma cava realizzata in ferro cemento con una capienza di sei-
settecento persone.
2° Questa forma sarà sospesa a un’impalcatura metallica che com­
porterà un tetto-riparo.
3° La forma dovrà essere costituita da superfici piane per le proie­
zioni filmate e da superfici curve, concave e convesse per le proiezioni di
colore.
4° Un pozzo aereo prolungherà la forma per consentire che imma­
gini in lontananza appaiano e scompaiano, e questo per creare un’im­
pressione di profondità dei volumi.
Primo studio di Xenakis
Feci parecchie prove rimaste infruttuose, basate essenzialmente sul
disegno di Le Corbusier che intendevo rispettare al massimo.
D’altra parte le idee di Le Corbusier, data la loro generalità, permet­
tevano ogni sorta d’iniziativa.
Per ordinare i fattori determinanti la forma del padiglione procede­
vo a una nuova analisi:

101
I ° Superficie di sviluppo del movimento del pubblico:
II pubblico resta otto, dieci minuti in piedi e si distribuisce in modo
omogeneo su tutta la superficie interna.
Risultalo astratto in piano: cerchio con due cunicoli, l’entrata e
l’uscita.
2° Auditorium elettroacustico (ricettacolo degli sviluppi attuali del­
la musica elettromagnetica):
La riverberazione dev’essere abbastanza debole. !
Le superfici piane parallele devono essere eliminate perché produco­
no riflessioni multiple.
Così pure gli angoli triedri perché c’è riverberazione accumulata sui
piani bisettori degli angoli diedri.
Le superfici curve, non di rivoluzione, a raggio di curvatura variabi­
le sono invece eccellenti. Le porzioni di sfera per esempio sono da rifiu­
tare perché condensano il suono al centro.
3° Luce colorata-proiezioni:
Gli orizzonti colorati, i volumi generati dalla luce riflessa devono es­
sere fantasmagorici. Dunque superfici curve sfuggenti o ricettive di luci
perpendicolari, oblique, radenti che creano volumi che si muovono, si
chiudono, si aprono, volteggiano.
4° Costruzione - Tecnica:
Fra tutte le superfici geometriche, quali sono autoportanti, accessi­
bili al calcolo statico e realizzabili in un normale cantiere?
Quest’ultimo capitolo doveva darmi la chiave, l’invariante che ri­
sponde alle altre due domande.
Le mie ricerche musicali sui suoni a variazione continua in funzione
del tempo (vedi LE Corbusier, Modulor //, ultime pagine) mi facevano
propendere per strutture geometriche a base di rette: superfici regolate.
D’altra parte le ricerche originali di precursori dei paesi stranieri e in
particolare quelle di Bernard Laffaille, pioniere in Francia in questo
campo, mi avevano reso familiari le superfici regolate semplici generate
da rette e curve piane, i paraboloidi iperbolici e i conoidi. Queste super­
fici, da molto tempo note ai geometri, non solo erano state studiate da
una generazione attraverso la statica e la teoria dell’elasticità delle vele
sottili, ma recentemente erano anche state realizzate in vari paesi in ce­
mento armato gettato in opera ma sempre per sostituire le coperture o i
tetti-terrazza.
Fino a questo momento, cioè fino al Padiglione Philips, queste su­
perfici non erano mai state utilizzate in una sintesi d’insieme che esclu­
desse le pareli verticali e un’ossatura estranea alla loro natura.
Era per me un’occasione unica d’immaginare un edificio costituito
nella struttura e nella forma solamente da paraboloidi iperbolici (P.l.) e
da conoidi e che fosse autoportante.

102
Possiamo riassumere tutti questi percorsi convergenti del pensiero
con un vettore in forma di matrice:

Auditorium Luce, colori, Tecnica


elettro­ proiezioni Costruzione
acustico filmate
Superfici
no si e no si
piane
Superfici
curve si si no
qualsiasi
Superfici
realizzabili si si si
P.I. conoidi

Si vede ora chiaramente il rigore logico dei ragionamenti che mi han­


no imposto la soluzione infine adottata: composizione in P.I. e in conoi­
di il più possibile totale.
Da questo momento la logica, sia pure stocastica, cessa di funziona­
re. L’arbitrarietà dell’intuizione prende la parola. Nella serie di schizzi
qui riportati è di per sé eloquente il processo che mi ha fatto approdare
al primo progetto e al primo modello.
Per la stesura del secondo progetto invece l’unione tra la plastica e
gli strumenti matematici diventerà una solida dimostrazione della com­
plementarità delle facoltà umane, risposta probante a chi qualifica lo
strumento-calcolo come un’arida pedanteria e a chi vede nell’intuizione
controllata solo divagazioni arbitrarie.
Studio in pianta

Lo schizzo n. 11 è la forma definitiva del primo progetto. È compo­


sta da due conoidi adiacenti D e A di P.I., dalle K e G di un cono di rac­
cordo L e da due triangoli vuoti, gli accessi.

103
1

Ricerca spaziale

Schizzo n. 11 primo
progetto

104
Nel n. 11 la terza cuspide (+11 metri) è costituita. Essa equilibra
plasticamente il brusco orientamento delle prime due ( + 17 e + 13 nv-
Inoltre crea una torsione generale di volume in direzione della prima cu­
spide.
La soluzione è autoportante?
Probabilmente con qualche modifica.
Il 15 ottobre 1956 presentai lo schizzo n. 11 a Le Corbusier e gliene
proposi la formula.
Egli approvò senza riserve e mi chiese di farne un modello atto a ren­
dere lo schizzo più esplicito perché Kalff potesse coglierlo più facilmente
egli ingegneri di un’impresa parigina di costruzioni metalliche potessero
stabilire un’offerta preliminare.
Per realizzare il modello dovetti tendere alcuni fili sulle linee d inter­
sezione delle superfici e materializzare queste linee con corde da piano­
forte a gomito incastrate nell’asse di legno. Le tre aste verticali risultanti
hanno avuto una conseguenza inattesa e molto importante. Hanno fatto
a deviare fino alla fine, fino al progetto definitivo, l’attenzione degli inge­
gneri delle varie imprese che sono state consultate e quasi tutte sfiore­
ranno la soluzione autoportante.

i Secondo studio di Xenakis


Il secondo progetto è una variante del primo. È nato in parte dall’in­
contro che ebbi con gli ingegneri dell’impresa parigina, in assenza di Le
Corbusier che si trovava in India. Questi signori chiedevano in conclu­
sione le seguenti modifiche:
Critiche dei costruttori:
a) I conoidi dovevano essere trasformati in P.I. per semplificare il
calcolo e la realizzazione. (Accettato).
b) La costruzione non poteva essere autoportante (guscio sottile).
Sarebbe stata difficilmente calcolabile e lo studio sul modellino sa­
rebbe diventato troppo lungo e oneroso.
La soluzione in ferro su telaio metallico e cavi era pericolosa ma da
verificare. Soluzione logica: cavi a doppia curvatura con doppia parete
ruberoide o similare = tenda. (Scartata per mancanza di isolamento
acustico.)

105
c) Ossatura metallica che segue le corde da pianoforte del modello
con linee d’intersezione in forma di putrelle curve. (Respinta.)
d) Riduzione globale del volume del 25%. (Respinta.)
Queste critiche fondamentali mi permisero di vedere più chiaro e di
studiare a fondo e matematicamente le superfici e la composizione.
Autocrìtica plastica:
à) Non c’era abbastanza differenza tra l’altezza della seconda cuspi­
de ( + 13 m) e quella della terza (+11 m). Come contraccolpo, la cavità
era troppo alta (+ 9 m).
d) Il cono L di raccordo mancava di generosità, sembrava indeciso,
al limite dell’“esistenza”.
Per studiare il padiglione nella sua nuova forma e preparare i disegni
che gli ingegneri chiedevano bisognava scegliere fra tre metodi: algebri­
co, geometrico (geometria descrittiva), sperimentale. Una combinazione
di metodi geometrici e sperimentali mi parve la più probante.
La geometria descrittiva dà un’approssimazione pari a quella dell’al­
gebra.
Essa presenta due enormi vantaggi rispetto all’algebra:
1° I rischi di errore sono minori e visivamente controllabili.
2° È suggestiva.
È impensabile lavorare alle combinazioni di tali forme con funzioni
algebriche totalmente astratte. In una ricerca come questa l’impercetti­
bilità della curvature e il loro dinamismo non possono mai essere imma­
ginali attraverso equazioni. Questo padiglione doveva essere eminente­
mente plastico. Non era determinato da funzioni. Bisognava scegliere la
combinazione migliore tra un’infinità di curvature possibili.
Lo strumento sperimentale che utilizzai era costituito dunque da due
aste metalliche e rettilinee collegate da fili elastici attaccati a distanza
uguale su ciascuna delle dieci aste.

Il paraboloide iperbolico costruito in questo modo è funzione:


1° dello scarto tra le due aste A e B (distanza tra le due rette);
2° degli intervalli a e b dei punti;
3° di due angoli 0 e W definiti dallo schema seguente:

106
b7/b

B° è una parallela a B a partire


da un punto qualunque X di A.

La varietà delle combinazioni di queste cinque variabili è infinita­


mente grande!
Di conseguenza: Per scegliere una sola delle superfici del padiglione ■
occorreva far giocare per tentativi le cinque variabili contemporanea­
mente e poi, appena ipotizzata la curvatura, occorreva fissarla con il di­
segno geometrico.
Per disegnare un P.I. basta definire le proiezioni sul piano orizzon­
tale e sul piano verticale, la posizione nello spazio e la grandezza di due
rette direttrici asintotiche.

Poi si situano su A e B (direttrice) uno stesso numero di punti. Si col­


legano i punti omologhi con rette (generatrici). La superficie così otte­
nuta è un P.I. (date due rette nello spazio, una terza retta che taglia le
prime due genera un paraboloide iperbolico quando si sposta parallela-
mente a un piano dato).
Le tracce di queste generatrici sul piano orizzontale (quando il P.I. è
taglialo da questo piano) disegnano l’intersezione del P.I. e del piano
orizzontale che può essere una porzione di parabola, d’iperbole, di una
retta o un punto.

107
..V' \
\

Veduta assonometrica Lo stesso disegno in


geometria descrittiva

Risulta evidente dunque che per questa architettura a tre dimensioni


l’architetto deve servirsi di una rappresentazione geometrica a tre di­
mensioni utilizzando la geometria descrittiva. L’architetto che sa lavo­
rare solo sul piano è incapace di concepire un’architettura a tre dimen­
sioni perché la terza non è più semplicemente il risultato di una trasla­
zione parallela ma è reale.
A priori ho definito le nuove altezze delle tre cuspidi e la loro proie­
zione sul piano orizzontale:
— prima cuspide (+ 21 m);
— seconda cuspide (+ 13 m);
— terza cuspide (+ 18 m);
in modo da ampliare così il cono centrale L. Poi con tentativi sullo stru­
mento sperimentale e con tracciati di geometria descrittiva, utilizzando
alternativamente i due metodi ho definito i P.I. che convenivano plasti­
camente e le cui intersezioni con il piano orizzontale (quota 0,00) si
adattavano di più alla figura primitiva dello stomaco.
L’8 dicembre 1956 il secondo progetto era ormai interamente creato
sulla carta calcante e rigorosamente definito con l’aiuto della geometria
descrittiva in scala 1:200.
A partire da questi piani ho costruito un nuovo modello.
F

108
Natura delle superfici:
1° Le conoidi A, D, E vengono trasformate in quattro P.I.: A, B,
N, D.
2° Il cono L viene allargato.
3° Vengono formati due nuovi P.I.: il P.I.C. e il P.I.F. che aggiun­
ti al P.I.E. costituiscono il volume necessario al salone vetrato dell’au-
tomatizzazione situato in basso, ai locali di servizio e ai ventilatori.
Vengono conservati i pilastri per dare agli imprenditori la possibilità
di studiare soluzioni autoportanti pure o semiautoportanti.
Le Corbusier al suo rientro dall’india accettò il secondo progetto
senza nessuna modifica, e così Kalff.
Ora toccava agli ingegneri giocare. Puntarono troppo alto. Il padi­
glione sembrava messo in serio pericolo. Erano già stati presi in conside­
razione tagli notevoli e falsificazioni della purezza geometrica. Pren­
demmo contatto con varie imprese straniere che fecero alcune proposte
tecniche e alcune offerte. Tra queste una sola adottava quasi totalmente
il nostro punto di vista, la società belga Strabed:
a) guscio in cemento precompresso di 5 cm di spessore;
b) costruzione semiautoportante. Utilizzava quattro pilastri di cui
uno all’interno del padiglione;
c) a causa di un’incomprensione dei miei disegni che riassumevano i
P.I. che non toccavano il suolo, ha interpretato il cono L e il P.l.N. co­
me se formassero un solo P.I., il P.I.M.;
d) il preventivo dei costi era accettabile per la Philips.
Le altre imprese consigliavano per il guscio esterno una struttura
portante più o meno complicata con doppia parete dallo spessore totale
di 80 cm in legno, in metallo, in gesso o in altri materiali.
A questo punto devo parlare dello straordinario signor Duyster, am­
ministratore della società Strabed e ingegnere specializzato in cemento
precompresso.
Duyster ha immaginato il procedimento originale che ha portato alla
costruzione del nostro padiglione. Ha suddiviso i grandi P.I. in altri più
piccoli di circa 1 m x 1 m gettati orizzontalmente su sabbia, poi accata­
stati su un’impalcatura e compressi con cavi d’acciaio (seguendo le ge­
neratrici) ancorati sui profili o sulla cinta delle fondamenta. Ha fatto
tutti i calcoli statici preliminari mettendo in rilievo le linee fondamentali
su un modello nato dai miei primi disegni.
Duyster e Kalff si rivolsero a Vreedenburgh e Bouma, professori
dell’università di Delft, per fare delle prove su un modellino in gesso,
prove che hanno verificato i suoi calcoli. Tutto ciò avvenne nell’arco di
quindici giorni, un tempo brevissimo. “Senza la garanzia di queste pro­
ve non mi sarei mai lanciato in questa avventura’’, dice ora il signor
Duyster.

109
Inoltre, con la semplificazione apportata introducendo il la
purezza geometrica del padiglione guadagnò un altro punto.
Ma la costruzione si fondava ancora su pilastri, di cui uno dava mol­
to fastidio.
Gli proposi una leggera trasformazione del nuovo P.I.M. e del
P.I.B. per arrivare a eliminare tutti i pilastri. Accettò precisando che ciò
doveva essere verificato da calcoli supplementari. Inoltre trasformai il
P.I.C. da concavo a convesso, e questo rese facilmente stabile la terza
cuspide che effettivamente è molto inclinata. Poi chiusi le due aperture
triangolari servendomi di nuovi P.I. adattati ai precedenti. Gli accordi
sui piani di geometria descrittiva erano cosi stabiliti, la struttura diven­
tava interamente autoportante e semplice, senza puntelli di sostegno. I
P.I. affermavano le straordinarie proprietà di resistenza e di eloquente
plasticità. Il Padiglione Philips è un simbolo della collaborazione tra i
membri di un’équipe che va dal cliente, in questo caso Kalff, fino al ca­
pocantiere che ha saputo capire una struttura poco nota e poi spiegare le
mansioni e guidare gli operai venuti da differenti paesi d’Europa.
Il Padiglione Philips s’inserisce con la sua architettura in un anda­
mento plastico nuovo, ma sopra tutto ha dato modo di scoprire un mez­
zo originale e generale di messa in opera senza casseratura di superfici
cosi difficili; un mezzo che realizzando una simile opera, congegnata in
ogni punto in modo originale, appartiene a una nuova architettura rivo­
luzionaria, l’architettura volumetrica.
11 cemento ha dato avvio e questa rivoluzione. Ma non è detto che ne
resterà ancora per molto tempo il supporto. In un prossimo futuro verrà
sicuramente sostituito da materiali leggeri, più malleabili: i composti
chimici, le materie plastiche che forse possiederanno proprietà biologi­
che di autodifesa contro l’erosione, la corrosione, il calore, la fessura­
zione, ecc.
Per il momento solo il cemento è all’origine della nuova architettura
del gruppo volumetrico. Esso prepara il letto in cui le materie plastiche
di domani formeranno il fiume ricco di forme e di volumi racchiusi non
solo nelle entità biologiche ma sopra tutto nelle matematiche più astrat­
te.
Il sistema di riferimento del corpo umano non sarà più l’angolo retto
e le superfici piane, orizzontali e verticali. La sua sensibilità si plasmerà
attraverso uno spazio curvo. Dal punto di vista psicofisiologico è un ar­
ricchimento nuovo, gigantesco, dalle conseguenze ancora imprevedibili.
Quando ci si trova nel Padiglione Philips non si riflette sulla geome­
tria ma si subisce l’influenza delle sue curvature. Si è talmente sensibiliz­
zati che se per esempio venissero introdotti nelle superfici del suo guscio
settori rigorosamente piani ne risulterebbe una cacofonia insopportabile
per i nostri occhi e per la nostra pelle. Il rigore di una legge astratta di
comportamento dei volumi è immediatamente percepibile. Il “filtro”
della logica è soltanto un supplemento edonistico.

110
Stralcio di articoli pubblicati in “Gravesaner Blàtter”, 9, 1957
e in “Revue Technique Philips”, tomo 20, 1958/59.

Ili
1
II

Note su un “gesto elettronico99

3
-
!

Si tratta di mettere in rilievo alcune trame attuali della creazione arti­


stica che convergono verso un’integrazione delle arti visive e uditive.
La pittura e la scultura hanno già raggiunto nei loro intenti le più re­
centi tappe del pensiero fisico, matematico e filosofico. Sono le tappe
verso l’astrazione intesa nel senso di manipolazioni consapevoli di leggi
e di nozioni pure e non di oggetti concreti.
Infatti i giochi di forme e di colori avulsi dal loro contesto concreto
implicano reticoli concettuali di un livello superiore. Questi giochi rap­
presentano paragoni e valutazioni di nozioni pure che esistono negli
eventi e negli oggetti aneddotici ma che se ne staccano per formare i con­
cetti necessari a una percezione e a un controllo più vasto, più rapido e
più semplice di tutti i rapporti di volumi e di luce. Con l’astrazione que­
ste due arti si avvicinano a una filosofia delle essenze che pian piano sfo­
cia nella matematica e nella logica.
Ma nonostante questo felice percorso c’è forse una critica fonda­
mentale che possiamo fare alla pittura e alia scultura?
Sono entrambe forme d’arte che pur utilizzando gli effetti della luce a
contatto con la materia sono rimaste chiuse nella loro secolare immobi­
lità. Il quadro (affresco, arazzo, ecc.) e la scultura (oggetto, monumen­
to, utensile, ecc.) sono statici. La trama concettuale e sensoriale di un
quadro e di una scultura si dà in blocco nell’istante in cui lo sguardo vi si
sofferma. Il tempo è sospeso.
Ci saremmo accontentati di questa constatazione senza desiderare di
modificarla se l’arte cinematografica non ci fornisse un termine di para­
gone, anzi una soluzione piena di promesse e di sorprendenti avventure.
Detto senza ironia, soltanto il cinema ha dotato l’immagine di una terza
dimensione reale, il tempo.
Tralasciamo per ora la scultura che è forse più tattile che visiva e
concentriamo la nostra attenzione su una possibile evoluzione della pit­
tura, ma restando nel suo campo astratto.
Quando manipoliamo concetti l’immagine statica che si dà in blocco

113
implica riferimenti spaziali e automaticamente li crea. La destra e la si­
nistra del piano del quadro sono i suoi confini logici. La topologia è il
suo terreno. Non appena vogliamo creare stati classificati è necessario
utilizzare nuovi confini logici, il prima e il dopo che appartengono alla
categoria temporale.
Possiamo dedurre che la pittura, in quanto si è innalzata al livello
dell’astrazione, è spinta dalla sua stessa natura a annettersi il concetto di
tempo. Una “pittura cinematica’’ deve logicamente immergere nell’av­
ventura temporale l’espressione più avanzata della pittura contempora­
nea.
I mezzi tecnici del cinema consentono, come abbiamo detto, questa
apertura. Una speranza, questa, corroborata da alcuni eccessi che si
moltiplicano e si perfezionano ogni giorno. Si pensi ai primi esperimenti
del surrealismo come II cane andaluso e della pittura decorativa come //
balletto meccanico. Assistiamo oggi in tutte le sale cinematografiche al­
la proiezione di certi cortometraggi pubblicitari veramente ricchi di idee
astratte e pieni di trovate di tecnica cinematografica. Ci rendiamo conto
che il bisogno di una “pittura cinematica’’ non è un lusso ma un biso­
gno vitale dell’arte del colore e delle forme.
Attualmente l’arte del colore e delle forme può non solo trovare rin­
novamento nella pellicola di una proiezione filmata ma anche balzare
realmente nello spazio.
La catena cinematografica è così articolata:
luce bianca — pellicola = filtri colorati — schermo piatto.
Gli ostacoli che si oppongono a questo balzo spaziale sono generati
da alcuni anelli di questa catena.
1° Lo schermo piatto. È una piccola finestra — un tempo panora­
mica — che definisce il volume spaziovisivo. Immaginiamo al posto del­
lo schermo piatto schermi incurvati con curvature variabili entro limiti
molto grandi. La messa a fuoco o l’effetto “flou’’ possono diventare
ricchissimi mezzi di tensione artistica. Comunque la complessa curvatu­
ra dello schermo piatto mette in rilievo una realtà spaziale della cinema­
tica visiva. È necessaria.
Supponiamo inoltre che lo schermo non si limiti a un perimetro dato
ma che si sposti su tutte le pareti di una saia interamente costruita a que­
sto scopo con superfici incurvate. I risultati saranno ancora più sorpren­
denti.
2° Il buio di una sala può essere abolito anzitutto dal perfeziona­
mento tecnico della proiezione che consentirebbe alcune ambientazioni
colorate provenienti da fasci di luce ritmati e colorati; i loro effetti ra­
denti o perpendicolari trasformerebbero le configurazioni spaziali delle
superfici incurvate. Un gioco d’organo intensamente colorato potrebbe
essere aggiunto a uso del creatore delle forme e dei colori.
Constatiamo che i prolungamenti dei giochi astratti della pittura mo­
derna raggiungono naturalmente i mezzi che le tecniche del cinema e

114
dell’illuminazione hanno di recente perfezionato e che rendono possibili
colossali avventure finora mai immaginate.
Constatiamo inoltre quanto sia importante una concezione architet­
tonica nuova che esca dai sentieri battuti del piano e della linea retta (ar­
chitettura di traslazione) per creare uno spazio a tre dimensioni reali uti­
lizzando i gusci più recenti della teoria dell’elasticità.
Infine è sottinteso quanto il movimento delle macchine da presa e dei
proiettori a colori necessiti di un’infrastruttura elettronica perfetta, gui­
data automaticamente.
Anche la musica ha seguito la via dell’astrazione così com’è stata de­
finita all’inizio di questo capitolo e, cosa davvero sorprendente, circa
nella stessa epoca della pittura. Possiamo ammirare la simultaneità
dell’evoluzione astratta in altri campi dell’attività umana facendo un
parallelo con la nascita dell’algebra moderna (astratta), da situare verso
il 1910. La corrente astratta è cosi potente e importante che i suoi detrat­
tori nel campo delle arti sembrano affetti da ritardo mentale.
Per noi l’inizio di una consapevole astrazione in musica si situa
nell’epoca della scoperta dell’atonalità basata sull’equivalenza dei dodi­
ci suoni temperati. Loquin, professore al conservatorio di Bordeaux,
aveva già intuito questa possibilità verso il 1895, molto prima dei creato­
ri ufficiali della Scuola di Vienna.
In seguito lo sviluppo del principio seriale ha consentito operazioni
riguardanti entità pure e ha introdotto punti di riferimento logici del tut­
to nuovi. In cambio di questo formidabile avanzamento concettuale la
musica seriale ha dovuto cedere su un punto a nostro parere importante.
Ha imposto una restrizione, una costrizione “lineare” di strutturazione.
Questa costrizione può essere oggi eliminata da una logica e da un’este­
tica più generali. Da una logica imparentata con le logiche “polivalenti”
e da un’estetica che invece integrerebbe le sottilissime strutture seriali.
D’altronde, la musica seriale non può ammettere i suoni con variazioni
continue che sono attinenti a tutte le componenti del suono e in partico­
lare alla frequenza (glissando). Essa infatti è per definizione puntuale.
Tuttavia la variazione continua di un suono è un secondo aspetto, com­
plementare della sua esistenza nel tempo. Ci fa pensare alla complemen­
tarità del corpuscolo e dell’onda in fisica ondulatoria. Non c’è motivo di
privarsi di questo arricchimento della nozione di suono.
Il superamento della restrizione “lineare” e il controllo delle varia­
zioni continue delle componenti del suono possono essere effettuati con
una musica più completa, una “musica stocastica” che utilizzerebbe
nella sua essenza la teoria e il calcolo delle probabilità con l’introduzio­
ne di tutta una serie di funzioni matematiche1.
La musica seriale da una parte e le tecniche elettroacustiche dall’al­
tra hanno favorito un nuovo allargamento delle tendenze astratte che si

Per maggior precisione, cfr. cap. 1, prima parte.

115
manifesta in due forme principali: la musica di Parigi, proveniente a
brusio radiofonico di tipo “concreto” e la musica di Colonia, a base i
suoni sinusoidali di tipo “elettronico”. L’interesse consiste nelle so u-
zioni che esse apportano alla creazione del suono e della sua vita inter­
na. Entrambe sono fondate sulle tecniche elettromagnetiche.
Esploreremo ora le possibilità spaziali consentite soltanto dalla cate­
na elettroacustica seguendo cosi una direzione inversa a quella della pit­
tura. Tuttavia è notevole che queste due arti cerchino attualmente lungo
strade diverse di integrare le loro fisionomie logiche, la pittura annetten­
dosi la categoria temporale e la musica quella dello spazio.
La catena elettroacustica è cosi articolata:
nastro — magnetofono — altoparlanti.
Fisseremo la nostra attenzione sull’ultimo elemento della catena,
l’altoparlante. Ammetteremo per semplificare che il suono udibile sia
direzionale in tutta l’estensione del suo spettro. Se il locale è acustica-
mente inerte possiamo dunque considerare un altoparlante come una
sorgente puntuale nello spazio a tre dimensioni.
Questi punti sonori definiscono lo spazio allo stesso titolo dei punti
geometrici della stereometria. Tutto quel che può essere enunciato per
quanto riguarda lo spazio euclideo potrebbe essere trasposto nello spa­
zio acustico. Supponiamo una retta acustica definita da punti che emet­
tono suono. Il suono può sorgere simultaneamente da tutti i punti di
questa retta. È la definizione statica della retta. Possiamo supporre un
reticolo ortogonale di tali rette acustiche che definiscono un piano acu­
stico. Allo stesso modo possiamo supporre delle curve nel piano o nello
spazio come pure delle superfici incurvate regolate, ecc.
Tutto quel che abbiamo detto è una definizione della “stereofonia
statica”.
Potremmo anche costruire una retta acustica attraverso il movimen­
to, un suono che si sposti su una retta di altoparlanti. Vengono introdot­
te qui le nozioni di velocità e di accelerazione acustica. Tutte le curvatu­
re geometriche e tutte le superfici possono essere trasportate cinematica-
mente attraverso la definizione del punto sonoro.
Chiameremo questa stereofonia “stereofonia cinematica”.
Con questi due tipi di stereofonia la musica si schiude in un autenti­
co “gesto sonoro poiché non solo collega le durate, i timbri, le dinami­
che, le frequenze inerenti a ogni struttura sonora ma è anche capace di
sostenere lo spazio matematico e le sue relazioni astratte che possono in
tal modo diventare magnificamente percettibili dall’udito senza passare
per la visione o per gli apparecchi fisici di misura.
Constatiamo che grazie alle tecniche elettroacustiche è realizzabile la
conquista dello spazio geometrico, nuovo passo nel campo dell’astrazio­
ne.
Constatiamo inoltre l’importanza della forma architettonica della
sala che a causa della sua diversità adattata agli effetti stereofonici totali

116
è obbligata a attingere le forme incurvate dalle nuove superfici più gene­
rali. La configurazione del volume d’aria racchiuso nel guscio cosi co­
struito ha un’influenza fondamentale sulla qualità acustica (risonanze
proprie) della sala, anche se la sala fosse totalmente sorda, benché ciò
per ragioni sanitarie non avvenga mai. D’altronde è noto che le superfici
piane e le superfici a raggio di curvatura costante creano luoghi privile­
giati di riverberazione perturbatrice. Invece le superfici incurvate che
hanno raggi di curvatura variabili sono totalmente programmate.
Possiamo capire quale complessità di programmazione di teleco­
mando e di automatizzazione sia richiesta all’infrastnittura elettronica.
Dopo questo rapido giro d’orizzonte possiamo constatare che questi
magnifici prolungamenti delle arti visive e uditive sono resi possibili e in
parte creati solo attraverso tecniche elettroniche. Esse consentono una
vasta sintesi audiovisiva in un “gesto elettronico totale’’ finora mai rag­
giunto, gesto che si situa inoltre nel campo dell’astrazione, ambiente na­
turale e indispensabile alla sua esistenza.
Il Padiglione Philips dell’Esposizione di Bruxelles rappresenta sotto
questo aspetto una prima esperienza della sintesi artistica del suono, del­
la luce, dell’architettura, una prima tappa verso un “gesto elettronico’’.
Possiamo infine concludere che una coscienza concettuale nuova,
l’astrazione, e un’infrastruttura tecnica, l’elettronica, mutano attual­
mente la civiltà umana.
Nutida Musik”, Stockholm, marzo 1958.
“Revue musicale’’, 244, Paris 1959.

Convento dì Santa Maria della Tourette


“Queste due soluzioni sono statiche. È stata ammessa una terza so­
luzione denominata provvisoriamente Pannelli di vetro musicali2.
Qui la dinamica del Modulor è messa in totale libertà. Gli elementi si
raffrontano, quanto alle loro masse, nelle due direzioni cartesiane oriz­
zontale e verticale. Orizzontalmente si ottengono variazioni di densità
delle nervature in modo continuo, alla maniera delle ondulazioni dei
mezzi elastici. Verticalmente si crea un contrappunto armonico di densi­
tà variabili. Le due gamme rossa e blu del Modulor sono utilizzate sia
separatamente sia intrecciate fra loro, creando così lievi ondulazioni e
totalizzando i due processi modulari.

1 Cfr. figura a p. 130. Facciata ovest del convento.

117
(In fin dei conti e per sfuggire ai morsi di serpi e vipere abbiamo
adottato per questa invenzione il qualificativo di Pannelli di vetro ondu­
lati).

La messa a punto dei pannelli di vetro del convento è stata fatta da


Xenakis, un ingegnere diventato musicista e che attualmente lavora co­
me architetto al 35 di rue de Sèvres. Si trovano qui riunite tre favorevoli
vocazioni. La tangenza tra musica e architettura tante volte evocata a
proposito del Modulor si trova questa volta scientemente espressa in
una partitura musicale di Xenakis, Metastasis, composta con il Modulor
che quindi apporta il suo valido contributo alla composizione
musicale”.
Stralcio da LE CORBUSIER, Modular II, Boulognc/Seine 1955,
e da “Àrchitecture d’aujourd’hui”, p. 340.

Padiglione Philips
“Due minuti di intervallo e otto minuti di spettacolo. Prima decisio­
ne: il contenente sarà una specie di stomaco con un 'entrata e un’uscita
diverse per cinquecento persone. Seconda decisione: siccome il pubblico
sta in piedi e guarda in avanti occorrono due pareti concave quasi verti­
cali che permettano agli spettatori di vedere al di sopra della testa dei vi­
cini.
In un primo tempo avevamo pensato di costruire una bottiglia in
staff— che è ilfragile materiale di base per le esposizioni temporanee —
sospesa a una armatura tubolare. Ma Xenakis, incaricato del progetto,
abbandona presto il gesso. Xenakis che conosceva bene Bernard Lafail-
le, dopo aver preso in considerazione il legno e il cemento, si orienterà
verso le superfici incurvate autoportanti. Fatti i disegni tridimensionali
Xenakis costruisce un primo modello in fil di ferro e filo per cucire. Poi
un secondo modello che riveste con carta da sigarette”*.

Stralcio da LE CORBUSIER, Le poème électronique, in


“Les Cahicrs Forces vives", Minuit, Paris 1958, p. 24.

* Cfr. cap. 1 c figura a p. 130.

118
Ili

La città cosmica

! Di fronte al dramma dell’urbanistica e dell’architettura contempora­


nea è necessario porre alcune basi assiomatiche e tentare una formaliz­
zazione di queste due “scienze”. La prima questione è quella del decen­
tramento urbano.

Il mito del decentramento


Da molti anni ci si compiace di parlare di decentramento dei grandi
centri urbani e di dispersione, per quanto è possibile, dei centri indu­
striali su tutto il territorio nazionale. Questa tendenza si è trasformata in
politica dei governi che favoriscono economicamente i trasferimenti di
industrie e la costruzione di nuovi insediamenti, il trasferimento non
soltanto delle grandi e piccole industrie ma anche delle amministrazioni
e dei centri universitari. Si può affermare che l’assillo del decentramento
sia universale; lo si osserva in Francia, in Giappone, negli Stati Uniti e
altrove, cioè in tutti i paesi in cui ci sono massicce concentrazioni urba­ ?
ne. Del resto tra qualche generazione la “spinta demografica” renderà
la situazione delle città future impossibile e mortale se gli urbanisti e gli
stati non cambieranno ottica e non sfuggiranno a una mentalità tradi­
zionalistica, ferma al passato e ormai inefficace. La soluzione che sarà
stata data alla questione del decentramento determinerà i quadri di ogni
urbanistica come quelli dell’architettura.
Occorre dunque optare per il decentramento oppure ammettere la
centralizzazione?

Tendenza naturale alla concentrazione


Innanzitutto, se ci mettiamo nella posizione di osservatori della sto­
ria contemporanea assistiamo allo sviluppo di una forza potente, cieca e

119
irreversibile che crea concentrazioni urbane a dispetto di tutti i freni stu­
diati dai governi; forza che aumenta la densità e l’estensione delle città.
Sembra persino che da questa osservazione si possa dedurre una legge
semplice ma terribile: i grandi centri si estendono più di quelli piccoli,
secondo una curva logaritmica.
Se poi ci poniamo sul piano socioculturale e su quello della tecnica e
dell’economia, notiamo che i grandi centri favoriscono espansioni e
“progressi” di ogni genere. È una constatazione storica fatta da millen­
ni ma costantemente dimenticata e di cui si può trovare l’equivalente in
altri campi, per esempio in quello delle colture biologiche complesse o
semplicemente in quei fenomeni di massa che in conformità alla legge
dei grandi numeri rendono possibile il verificarsi di eventi eccezionali,
altamente improbabili (= impossibili) in popolazioni meno numerose.
In compenso il decentramento porta a una disseminazione dei centri,
a un aumento della lunghezza delle vie e della durata degli scambi, a una
rigida specializzazione delle collettività e a un marasma socioculturale.
Lo dimostrano le città universitarie, come pure le città operaie e tutti i
tipi di “città” all’interno di un paese: ecco dunque mandate all’aria le
teorie delle città lineari e altre ingenuità.
Questi ragionamenti e constatazioni sono nell’aria, evidenti anche
per coloro che non hanno il tempo di consultare o non sanno leggere le
statistiche dei servizi specializzati.
Ma perché decentrare?
Questa politica a rovescio dipende in realtà da due direzioni princi­
pali:
a) l’asfissia delle attuali città sotto la massa delle comunicazioni
anarchiche e la cattiva ripartizione delle attività sul territorio nazionale;
b) una tradizione mentale di geometrizzazione e di pianificazione dei
complessi urbani che risorta con nuovo vigore nell’ottocento si è fissata
e irrigidita negli anni ’20 sotto l’influenza del cubismo e del costruttivi­
smo. Una tradizione che costituisce una vera e propria forza di inibizio­
ne.

Mito deU’ortogonismo
Questa seconda direzione ha già dimostrato di essere impotente a ri­
solvere i problemi più semplici, come la costruzione di nuove città, an­
che quando gli urbanisti hanno tutto l’appoggio dei governi come nel
caso di Le Havre, Brasilia, Chandigarh, che per ora sono città nate mor­
te. Effettivamente, allo stato attuale di formazione degli urbanisti e de­
gli architetti (formazione conservatrice e semplicistica) è impossibile che
alcuni individui possano risolvere a priori, sulla carta, i problemi della
nascita, della costituzione e dello sviluppo di una città, problemi che so­
no mille volte più complessi di quelli di un alloggio o di un’unità di abi-

120
tazione, che pure in qualche modo sono risolti. Questa carenza compor­
ta che le soluzioni urbanistiche sulla carta siano soltanto infelici combi­
nazioni di linee rette e di rettangoli cui s’adattano spazi incongruamente
curvi (= zone verdi).
Inoltre, fa si che coloro che hanno la responsabilità della pianifica­
zione del territorio siano obnubilati dalla complessità biologica di una
città come Parigi che si è costruita nel corso dei secoli e che, intossicati
dai vapori di benzina o dalle lunghe attese in file di ogni genere, auspi­
chino l’esplosione di questa complessità vivente anziché affrontare per
esempio il vero problema dell’industria automobilistica; senza parlare
poi delle soluzioni proposte da architetti urbanisti cosiddetti d’avan­
guardia, soluzioni che di fatto sono soltanto ingenuità miopi e servili:
perché per costoro non è stato un caso di coscienza propugnare l’impos­
sibile decentralizzazione-panacea-da-tutti-i-mali-urbani.
Dunque, sotto la tirannia di queste due linee di forza, una reale e
l’altra mentale, si decentralizza a colpi di matita creando città satelliti
(= città tuguri moderni), città dormitori o città specializzate munite di
un’assurda architettura cubica (scatole da scarpe = conigliere), standar­
dizzate, talvolta con una civetteria decorativa, grottesca, come Stoccol­
ma, o senza civetteria come Parigi o Berlino.
È anche vero che l’algoritmo del piano, dell’angolo retto e della linea
retta, giunto dai tempi più remoti e che sta alla base dell’architettura e
dell’urbanistica contemporanea, è stato molto consolidato dai materiali
“nuovi”, il cemento (a causa della cassaforma di tavole), l’acciaio e il
vetro quanto dalla teoria relativamente semplice degli elementi piani e
sopra tutto lineari.
C’è da dire però che se la concentrazione è una necessità vitale per
l’umanità, le attuali idee sull’urbanistica e sull’architettura vanno com­
pletamente cambiate e sostituite con altre.

La città cosmica verticale

Accenneremo a un insieme di idee che porteranno alla concezione


della “città cosmica verticale”.
Ecco un elenco di proposte assiomatiche che si implicano a vicenda e
che aiuteranno a tracciare l’aspetto e a formalizzare la struttura di que­
sta città:
1° Necessità assoluta di compiere una ricerca sulle grandi concen­
trazioni di popolazione per i motivi generali sopra elencati.
2° Un’alta concentrazione e l’enorme sforzo tecnico che essa com­
porta implicano una totale indipendenza rispetto alla superficie del suo­
lo e del paesaggio. Questo porta alla concezione della città verticale, alla
città che può giungere a altezze di molte migliaia di metri. L’indipenden-

121
za porta contemporaneamente a un’enorme standardizzazione: la for­
malizzazione delle concezioni teoriche e delle realizzazioni sarà necessa­
riamente la sola efficace.
3° La forma che la città prenderà dovrà eliminare nella sua struttu­
ra gli antieconomici sforzi di flessione e di torsione.
4° La luce dovrà penetrare dappertutto e la vista dovrà essere diret­
ta sugli spazi. Da qui lo spessore relativamente sottile della città vertica­
le.
5° Dato che la città sarà verticale occuperà una minima parte del
suolo1. La liberazione del suolo e lo sviluppo tecnico di tale città com­
porteranno il riutilizzo di vaste estensioni, una coltivazione del suolo au­
tomatica e scientifica che utilizzi complessi elettronici di gestione e di de­
cisione: sparirà dunque il contadino classico con il suo lavoro manuale.
6° La suddivisione delle collettività dovrà costituire all’inizio una
mescolanza statisticamente perfetta, contrariamente a tutta la concezio­
ne attuale dell’urbanistica. Non ci sarà nessun tipo di sottocittà specia­
lizzata. La mescolanza dovrà essere totale e calcolata stocasticamente
dagli uffici anagrafici specializzati. Per il vantaggio di tutte le categorie
l’operaio e i giovani vivranno nello stesso settore del ministro o del vec­
chio. L’eterogeneizzazione della città avverrà di conseguenza in modo
vivo e spontaneo.
7° L’architettura interna della città cosmica dovrà quindi orientarsi
verso la concezione di locali intercambiabili (si veda rarchitettura tradi­
zionale giapponese) che si adattino agli usi più diversi: il nomadismo in­
terno (movimenti delle popolazioni) tende a aumentare a partire da un
certo grado di progresso. L’architettura mobile sarà dunque la caratteri­
stica fondamentale della nostra città.
8° Dato che questa città sarà modellata con una tecnica universale,
sarà anche adatta a ospitare le popolazioni deH’estremo Nord (o Sud) e
quelle dei tropici o dei deserti. Dovrà quindi essere fornita in alcune sue
parti di condizionamenti climatici in modo da rendere indipendenti da
contingenze climatiche e meteorologiche centinaia di milioni di esseri
umani i quali potranno accedere a condizioni di vita e di lavoro tempe­
rate sotto tutte le latitudini. Cosi la tecnica completamente industrializ­
zata e formalizzata trasformerà la città in un vero c proprio abito col­
lettivo, ricettacolo e utensile biologico della popolazione.
9° La comunicazione seguirà coordinate cilindriche, con il vantag­
gio delle grandi velocità lungo la verticale (da 100 a 200 km all’ora).
10° Le comunicazioni con trasporto di materie (uomini o cose) do­
vranno essere assicurate da tecniche nuove (per esempio marciapiedi o
strade mobili a piccole, grandi o medie velocità, spostamenti pneumatici

' Per una densità di 500 abitanti per ettaro una città come Parici, di 5 000 000 di ahi.
tanti, copre grosso modo 10.000 ettari. ILa- città
~:"x —proponiamo
che - • coprirà circa otto ettari di
suolo, cioè meno di un millesimo.

122
espressi per passeggeri in senso orizzontale e verticale, ecc.). Abolizione
dunque di ogni mezzo di locomozione individuale su ruote2.
11° I trasporti a tre dimensioni (aerei) saranno favoriti da piste po­
ste sulla sommità delle città cosmiche (con una considerevole economia
di carburante). I tempi morti tra città e aeroporti saranno annullati.
12° La grande altezza della città, oltre aH’elevatissima densità che
consentirà di realizzare (2.5OO-3.OOO abitanti per ettaro), avrà il vantag­
gio di superare le nuvole più frequenti che viaggiano da 0 a 2.000-3.000
metri di altezza e di mettere le popolazioni in contatto con i vasti spazi
del cielo e delle stelle: l’era planetaria e cosmica è iniziata e la città dovrà
essere volta verso il cosmo e verso le sue colonie umane anziché restare
abbarbicata al suolo.
13° La trasformazione dei rifiuti industriali e domestici a circuito
chiuso verrà molto estesa a vantaggio della salute e dell’economia.
14° La città cosmica per definizione non temerà le devastazioni del­
la guerra perché sulla terra si sarà giunti al disarmo e sbocchi commer­
ciali e altre espansioni saranno cercati nello spazio cosmico in quanto gli
attuali stati si saranno trasformati in province di un gigantesco stato
mondiale.

Soluzioni tecniche
Alcuni dati tecnici sulla città cosmica:
I quattordici punti precedenti implicano alcune soluzioni tecniche:
utilizzazione delle strutture a guscio e particolarmente delle superfici
curve come i paraboloidi iperbolici (P.I.) o gli iperboloidi di rivoluzione
che evitano gli sforzi di flessione e di torsione e ammettono (tranne ai
bordi) soltanto sforzi di trazione, di compressione e di taglio.
La forma e la struttura della città saranno dunque un guscio cavo a
reticolo con doppia parete, a motivo delle superfici regolate utilizzate,
questo consentirà inoltre l’impiego di elementi lineari, sempre economi­
camente più vantaggiosi.
Per fissare le idee supponiamo che la forma adottata sia un iperbo­
loide di rivoluzione (I.R.), di 5.000 metri di altezza e che deve contenere
nel suo guscio cavo, il cui spessore medio è di 50 metri, una città di
5.000.000 di abitanti.
I 5.000 metri d’altezza sono al limite della pressione e dell’ossigena­
zione normali che un uomo della strada può sopportare senza speciali
apparecchi e senza adattamento preliminare. Ne deriva che la città co­
smica può “superare” questa barriera e elevarsi a più di 5.000 metri a

’ Piaga inflitta alle città moderne dalle molteplici industrie automobilistiche. È un


esempio di cancerizzazione sociale ed economica inutile e difficilmente arginabilc in paesi
a libera concorrenza.

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124
condizione di prevedere la pressurizzazione, l’umidificazione e l’ossige­
nazione artificiali.
Se ipotizziamo un diametro di base di 5 km, la superficie del guscio
sarà di circa 60 km2. Questo calcolo approssimativo è fatto su un tronco
di cono che ha un’altezza di 5 km e basi di 5 e 2,5 km. Poiché lo spessore
del guscio portante è di 50 metri, il volume del guscio sarà di circa 3
km3. Ora, una città completa come Parigi (che ci serve da modello), che
ha una densità di 500 abitanti per ettaro, forma uno strato di 22 metri di
spessore in cui i 5.000.000 di abitanti occupano in media, con le case, gli
edifici pubblici, le industrie e le zone verdi o di circolazione un volume
di 2,2 km3 su uno sviluppo di 10.000 ettari.
Supponiamo adesso un carico medio di 400 k per metro quadrato di
base (= materiali ultraleggeri, plastiche o metalli di volume molto limi­
tato grazie alle industrie spaziali che cosi troveranno sbocchi terrestri); 7
piani. 400kg/m2 per 3/4 di ettaro della città, dato che l’ultimo quarto è
costituito da strade e spazi liberi. Di conseguenza il peso totale della cit­
tà sarà di: (3/4). E cioè: 10.000 h 2.800 kg/m: = 210.000.000 di tonnel­
late da ripartire su un anello circolare al suolo del perimetro di 16 km, su
250 metri di larghezza per una pressione al suolo di 5 kg/cm2.
Berlino, gennaio 1964.

Pubblicato in Franqoise Choay,


L’Urbanisme, Utopies et Réalité, Le Seuil, Paris 1965.

125
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Terza parte
MUSICA. ARCHITETTURA
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Metastasis (1954). Pagina di partitura per orchestra.

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Convento di Santa Maria della Tourette a Eveux sull’Arbresle (1955). Pannelli di
vetro ondulati, facciata ovest. Si veda a p. 117.

Padiglione Philips aII’Esposizione Universale di Bruxelles (1958). Schema del


plastico (1956). Si veda a p. 118.

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Pithoprakta, per orchestra (1956). Estratto dal grafico prima della trascrizione
in notazione musicale tradizionale.

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Herma, per pianoforte (1961). Schema formale della composizione.

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Polla ta dhina, per orchestra e coro dì bambini (1962). Estratto dal grafico prima
della trascrizione in notazione musicale tradizionale.

133
CONOIDE^

Politopo di Montreal al Padiglio­


ne francese dell’Esposizione Uni­
versale del 1967. Definizione in
geometria descrittiva delle falde
di cavi (1966).

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Stratégie, gioco musicale per due direttori e due orchestre (1965). Organigramma
delle azioni e delle reazioni tra le orchestre, i direttori e il pubblico.

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Casa di villeggiatura per Francois-Bernard Mfiche a Amorgos (1966).

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Politopo di Montreal al Padiglione francese dell’Esposizione Universale del


1967. Veduta in piano della falda di cavi E (1966).

Politopo di Montreal al Padiglione francese delPEsposizione Universale del


1967. Film matrice dello spettacolo luminoso. Ogni punto bianco lascia passare
un raggio del proiettore che illumina la cellula fotoelettrica collegata a uno dei
1200 flash che si trovano nello spazio.

135
Sintesi delta musica per mezzo di
calcolatore elettronico accoppia­
to con un convertitore numeri­
co/analogico: combinazioni di
particelle sonore (1970).

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NA Sintesi della musica per mezzo di


calcolatore elettronico accoppia­
to con un convertitore numeri-
co/analogico: trattamento spe­
ciale della funzione di probabili­
tà, denominata “logistica”, nello
spazio pressione-tempo (moto
browniano, rondoni walk)
(1971).

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In questa pagina: Poliiopo di Cluny (1971). Ragnatela luminosa di un raggio la­
ser. Alzato (in alto) e pianta (in basso).

Nella pagina accanto: Politopo di Cluny (1971). Tracce di spirali luminose sulla
volta delle terme prodotte dai 600 flash elettronici lampeggianti in successione
ogni 1/25 di secondo e comandati individualmente da una serie numerica pre­
ventivamente calcolata sul calcolatore elettronico.

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143
Politopo del Beaubourg (1974-1975). Vedu­
ta aerea dei guscio in fibre tessili che acco­
glie lo spettacolo itinerante di flash elettro­
nici, di laser e di musica elettroacustica.
Plastico commissionato per l’inaugurazio­
ne del Centro Nazionale d’Arte e di Cultura
Georges Pompidou, primavera del 1977.

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Politopo del Beaubourg (1974-1975). Schizzo prospettico del guscio in fibre tes­
sili che accoglie lo spettacolo itinerante di flash elettronici, di laser e di musica
elettroacustica. Plastico commissionato per l’inaugurazione del Centro Naziona­
le d’Arte e di Cultura Georges Pompidou, primavera de! 1977.

144

Varietà'
a

Gli universi delle musiche classica, contemporanea, pop, folk, tradi­


zionale e di avanguardia sembrano formare unità a sé stanti, a volte
chiuse a volte interpenetrantisi. Presentano diversità incredibili, ricche
di nuove creazioni ma anche di fossilizzazioni, di rovine, di rifiuti, e
questo in formazioni e trasformazioni continue come le nubi, altrettan­
to differenziate e effimere.
Questo si spiega se diciamo che la musica è un fenomeno sociocultu­
rale, quindi subordinato al momento storico. Tuttavia si possono distin­
guere parti più invarianti di altre e che formano materiali di durezza e di
consistenza conseguenti alle diverse epoche della civiltà; materiali che si
muovono nello spazio, creati, lanciati, trascinati dalle correnti delle idee
e che si urtano gli uni con gli altri influenzandosi, annientandosi, fecon­
dandosi.
Di quale essenza sono fatti questi materiali? Quest’essenza è l’intelli­
genza dell’uomo in certo qual modo solidificata. L’intelligenza che cer­
ca, interroga, argomenta, rivela, costruisce a tutti i livelli. Di questa in­
telligenza la musica e in generale le arti risultano necessariamente una
solidificazione, una materializzazione. Naturalmente l’intelligenza, per
quanto umanamente universale, si diversifica a seconda dell’individuo e
del talento che pone una distanza tra l’individuo e gli altri.
Il talento è una specie di qualifica, di gradazione del vigore e della
ricchezza dell’intelligenza. Perché, in fondo, l’intelligenza è il risultato,
l’espressione di miliardi di scambi, di reazioni, di trasformazioni energe­
tiche delle cellule del cervello e del corpo. Potremmo dire, avvalendoci
di un’immagine dell’astrofisica, che l’intelligenza è la forma assunta da­
gli atti minimi delle cellule nelle loro condensazioni e nei loro movimenti
come i soli, i pianeti, le galassie, gli ammassi di galassie che sorgono dal-

1 Pubblicato con l’autorizzazione di William B. Christ e di Richard P. Deione, School


of Music, Indiana University, Bloomington, USA. Cfr. anche in The Art of Music: Tradì-
tion and Change.

145
la polvere interstellare fredda o a essa si riducono. Tuttavia questa im­
magine è rovesciata (almeno su un piano) perché la polvere fredda con­
densandosi diventa calda, al contrario dell’intelligenza che è il risultato
freddo degli scambi tra le cellule calde del cervello e quelle del corpo, un
“fuoco freddo”.
Così i colori, i suoni, il rilievo sono condensazioni nel nostro sistema
sensi-cervello. Di questo sistema viene percepito e colto a livello conscio
solo un aspetto grezzo e del tutto superficiale, esteriore. Le vibrazioni
periodiche del campo elettromagnetico della luce o dell’aria sono inac­
cessibili alla coscienza ma (entro certi limiti) esse vengono seguite e con­
vertite egregiamente dai nostri sensi e dal nostro cervello di cui i sensi so­
no il prolungamento. D’altra parte le conversioni avvengono su più li­
velli, dal livello della percezione immediata a quello della comparazio­
ne, della valutazione e del giudizio. Come e perché si produca tutto que­
sto è un mistero elaborato, come negli animali, da milioni e miliardi di
anni.
Facciamo ora un esempio che può sembrare evidente: quello delle
scale musicali. Si sono avute, almeno in Occidente, condensazioni sem­
pre maggiori: dapprima la quarta giusta e i suoi tetracordi e forse la
quinta giusta le cui origini sono completamente ignote, poi l’ottava, poi
ancora la costruzione di “sistemi” per giustapposizione di tetracordi
che hanno generato le scale dell’antichità (e di cui la scala diatonica dei
tasti bianchi del pianoforte è una sopravvivenza), quindi la scala croma­
tica a temperamento equabile e infine la continuità nell’insieme “altezze
del suono”.
Da questo esempio risalta come la musica abbia una forte capacità di
condensazione, forse maggiore delle altre arti. Per questo fornisco un
quadro comparativo tra alcune conquiste realizzate dalla musica e alcu­
ne realizzazioni della matematica cosi come ci vengono insegnate dalla
storia (cfr. Appendice 1 ). Questo quadro mostra una delle vie che la musi­
ca ha intrapreso fin dalle origini (fin dall’antichità) e che ha proseguito
attraverso i millenni con una notevole fedeltà, accentuatasi particolar­
mente in questo secolo a dimostrazione che questa capacità di condensa­
zione rispetto all’astratto lungi dall’essere una moda è una natura pro­
fonda che sicuramente appartiene più alla musica che alle altre arti. Di
conseguenza sembra necessario un nuovo tipo di musicista, Vartista-
creatore di nuove forme astratte e libere che tenda a complicazioni e poi
a generalizzazioni su più livelli dell’organizzazione sonora. Per esempio
una forma, una costruzione, un’organizzazione fatta su catene di Mar-
kov o su un complesso di funzioni di probabilità interconnesse possono
essere trasportate simultaneamente su più livelli di micro, meso e macro­
composizioni musicali. Si può d’altronde estendere questa notazione al
campo visivo, per esempio in uno spettacolo fatto con raggi laser e flash
elettronici come quello del Politopo di Cluny.
Nulla ormai ci potrebbe impedire di prevedere una nuova relazione

146
fra arti e scienze, segnatamente fra arti e matematica, in cui le arti “por­
rebbero” consciamente alcuni problemi per i quali la matematica do­
vrebbe £ dovrà forgiare nuove teorie.
L’artista-creatore dovrà possedere conoscenze e inventiva nei campi
cosi vari della matematica, della logica, della fisica, della chimica, della
biologia, della genetica, della paleontologia (per l’evoluzione delle for­
me), delle scienze umane, della storia... insomma una specie di universa­
lità fondata, guidata e orientata da e verso le forme e le architetture. È
tempo d’altronde di fondare una nuova scienza della “morfologia gene­
rale” che tratterà le forme e le architetture di queste diverse discipline, i
loro aspetti invarianti e le leggi delle loro trasformazioni che a volte so­
no durate milioni di anni. Questa nuova scienza dovrà comprendere alla
base le condensazioni reali dell’intelligenza, cioè l’approccio astratto,
svincolato dall’aneddotica dei nostri sensi e delle nostre abitudini. Per
esempio, l’evoluzione formale delle vertebre dei dinosauri è un docu­
mento paleontologico da inserire nei dossier della scienza delle forme.
Vediamo ora da vicino il sistema fondamentale su cui poggia l’arte.
Essa partecipa del meccanismo inferenziale che costituisce la base su cui
si muovono tutte le teorie delle scienze matematiche, fisiche e degli esse­
ri viventi. Infatti i giochi delle proporzioni riducibili a giochi di numeri e
di metriche nell’architettura, nella letteratura, nella musica, nella pittu­
ra, nel teatro, nella danza...; i giochi di continuità, di prossimità, nel
tempo o fuori tempo, di essenza topologica si producono tutti sul terre­
no dell’inferenza, nel senso stretto della logica. Accanto a questo terre­
no e interagente con esso esiste il modo sperimentale che confuta o con­
ferma le teorie create dalle scienze, compresa la matematica. Infatti, con
le geometrie non euclidee e i teoremi come quello di Godei, la matemati­
ca ha dimostralo di essere solo sperimentale, ma a più lungo termine ri­
spetto alle altre scienze. È l’esperienza che fa e disfa le teorie, senza pie­
tà né considerazione per esse. Ora, anche le arti sono rette dal modo spe­
rimentale, in modo ancora più ricco e complesso. Infatti non ci sono, e
sicuramente non ci saranno mai, criteri oggettivi di verità assolute e eter­
ne che sanciscano la validità o la verità di un’opera d’arte, così come
nessuna “verità” scientifica è definitiva. Ma oltre a questi due modi,
quello inferenziale e quello sperimentale, l’arte vive in un terzo modo,
quello della rivelazione immediata che non è né inferenziale né speri­
mentale. La rivelazione del bello si produce di colpo, direttamente, tan­
to per l’ignorante in fatto di arte quanto per il conoscitore. È questo a
costituire la sua forza e, a quanto sembra, la sua superiorità sulle scienze
perché, pur vivendo nelle due dimensioni dell’inferenziale e dello speri­
mentale, l’arte ne possiede una terza, la più misteriosa, quella per cui gli
oggetti d’arte sfuggono a ogni scienza dell’estetica pur concedendosi le
carezze dell’inferenziale e dello sperimentale.
D’altra parte l’arte può vivere solo secondo il modo della rivelazio­
ne. Come ci mostra la storia dell’arte di tutti i tempi e di tutte le civiltà

147
I

l’arte ha un bisogno imperioso

energia). Infatti non c’è motivo che l’arte, sull’esempio della scienza,
non esca neH’immensità del cosmo e non possa modificare come un pae­
saggista cosmico l’andamento delle galassie.
Può sembrare utopistico e in effetti utopia c’è, ma provvisoriamen­
te, neH’immensità del tempo. Invece non è utopia il fatto che oggi sia
possibile lanciare al di sopra delle città e delle campagne ragnatele lumi­
nose fatte di fasci laser di colore, come un gigantesco politopo; utilizza­
re le nubi come schermi di riflessione e i satelliti artificiali come specchi
riflettenti perché queste ragnatele salgano nello spazio e circondino la
terra con le loro mobili fantasmagorie geometriche; unire la terra alla
luna con filamenti di luce; o ancora, creare a volontà in tutti i cieli not­
turni della terra aurore boreali artificiali comandate nei movimenti, nel­
le forme e nei colori dai campi elettromagnetici dell’alta atmosfera ecci­
tati da laser.
Quanto alla musica, la tecnologia degli altoparlanti è ancora embrio­
ni e soll°svi,uppala Per lanciare il suono nello spazio e riceverlo dal
cielo, dove dimora il tuono.

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nanziariamente, l’arte potrà sorvolare^ niàn^0" 7press,ve’ a,,ora- f>-
Infatti tecnologicamente queste cose sono fan ih* r a9c,arsi nel cosmo.
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’ Ho già presentato in precedenti progetti due di queste idee:
a) La rete laser su Parigi che collega i punti alti della città giocando con le nubi, gli al­
toparlanti delle sirene antiaeree che emettono musica speciale. Questo progetto doveva sa­
lutare l’inaugurazione del Centro Nazionale di Arte c di Cultura Georges Pompidou.
b) La rete di raggi laser, riflessi dai satelliti artificiali e che collegano i continenti in
punti precisi situati nei pressi di importanti agglomerati in cui alcune centrali politopiche
locali, aperte al pubblico, potrebbero reagire tra loro, intercontinentalmente, seguendo re­
gole del gioco prestabilite sul tipo di quelle del mio gioco musicale per due direttori e due
orchestre Stratégie o di Linaia-Agon.
Presentai questo progetto per salutare il bicentenario della rivoluzione americana. 1
due progetti furono scartati perché troppo costosi sebbene tecnicamente realizzabili.

148
dentemente indispensabile che l’artista (e di conseguenza l’arte) sia ra­
zionale (inferenziale) e tecnico (sperimentale) a un tempo e che abbia ta­
lento (rivelatore); tre requisiti indispensabili, coordinati, che eviterebbe­
ro scacchi fatali date le dimensioni di questi progetti e i grandi rischi di
errore.
Questa maggiore complessità del sistema fondamentale dei tre modi
che governano l’arte porta alla conclusione che esso è più ricco e più am­
pio e che deve forzatamente guidare la creazione di condensazioni e con­
crezioni dell’intelligenza. Deve dunque servire da guida universale alle
altre scienze.
Affinché questa universalità sia reale occorre che l’esercizio dell’ar­
te, in particolare della musica, favorisca la condensazione dell’intelli­
genza in tutte le età dell’individuo dalla nascita alla morte. Questo impe­
gna anche la pedagogia. Ecco qualche esempio valido per un bambino di
età compresa tra i sette e gli otto anni e di un paese più o meno industria-
lizzato. L’apprendimento della musica dovrà passare per la soglia
dell’astrazione e della formalizzazione insieme con la matematica, le
scienze e le altre arti. Così il bambino, esposto all’ascolto della musica
classica, di avanguardia, orientale, estremo orientale, africana imparerà
contemporaneamente il concetto di scala, precisamente quello di scala
“cromatica a temperamento equabile’’ ma che ha come modulo d’inter­
vallo il tono, il semitono, il terzo di tono, il quarto di tono, il comma.
L’apprendimento sarà teorico e pratico a un tempo, avverrà tramite il
canto e gli strumenti ma anche tramite l’Unità Poliagogica Informatica
del CEMAMu (UP1C) (cfr. Appendici 2 e 3) che preciseremo in seguito.
Questo concetto di scala cromatica verrà immediatamente messo in rela­
zione con il concetto dei numeri e sarà un’altra manifestazione della
concrezione “scala’’. Il bambino imparerà cosi a operare sugli intervalli
melodici come i musicisti, cioè per addizione di intervalli contigui, e im­
parerà più facilmente il triplice senso del numero che rappresenta al con­
tempo il rango (ordinale), la quantità (cardinale), l’intervallo (relativo).
Sarà così iniziato in modo naturale a un’altra concrezione, quella del
gruppo additivo degli intervalli melodici contigui o degli interi.
Oltre a giocare con la caratteristica altezza il bambino imparerà a
giocare con le stesse astrazioni e formalizzazioni del ritmo, del tempo e
anche dell’intensità e forse con quelle di qualche altra caratteristica del
suono, come per esempio la densità o il grado di disordine. Tutto questo
sarà reso infinitamente più facile grazie all’UPIC. Se a questo si aggiun­
gono la linea retta, i punti e gli intervalli di punti, il bambino avrà impa­
rato fin dall’inizio l’interpenetrazione e l’isomorfismo di questi domini,
in apparenza (ancora oggi!) così distanti l’uno dall’altro. Non si deve
credere che il bambino sia incapace di astrazione. Si tratta infatti della
proiezione sul bambino di un’incapacità dell’adulto. A questa età un
bambino riesce a contare con facilità e naturalezza per mezzo di sistemi
di numerazione diversi da quello decimale, come per esempio il sistema

149
che ha imparato. Sarà facile poi insegnargli la teoria dei i^“nn.rà nrol
Appendice 4) e la costruzione di reticoli (gamme) qualsiasi che potrà prò
vare o modificare cantando con l’aiuto di suoni tratti dalla banca del
suono dell’unità Informatica e ascoltati a mano a mano che costruisce.
Poiché grazie a questo UP1C potrà annotare con una matita speciale
tutto quello che fa, e che verrà registrato automaticamente in una me­
moria centrale o periferica dell’UPIC, avrà quindi automaticamente
riannodato le strutture dello spazio a quelle della matematica e della
musica. Inoltre avrà imparato implicitamente la triplice codifica delle
caratteristiche del suono: la codifica grafica, numerica e sonora. Potrà,
per converso, rappresentare i numeri o i punti dell input visivo
nell’UPlC attraverso gli altri due codici restanti. Più tardi prenderà na­
turalmente coscienza della distinzione tra ciò che è pensato o realizzato
nel tempo e ciò che è fuori tempo, facendo sua l’idea che con la memo­
ria il tempo stesso può essere pensato o realizzato fuori tempo.
Quel che ho detto fin qui costituisce soltanto un piccolo insieme di
proposte che dovrebbero incidere la dura scorza delle retrograde e perni­
ciose tradizioni dell’insegnamento della musica. Naturalmente dovreb­
bero essere sviluppate alla luce dell’esperienza e della teoria pedagogica.
D’altra parte è assolutamente indispensabile che tutto questo percor­
so faccia parte dell’insegnamento di base della scuola materna, di quella
dell’obbligo, del liceo, dell’università, delle scuole di recupero per adul­
ti, ossia di tutte quelle scuole che sono gestite dal Ministero della Pubbli­
ca Istruzione e non da quella sorta di ghetti che sono diventati i conser­
vatori. Se invece vorranno tornare in auge, i conservatori dovranno pro­
seguire l’idea di perfezionamento ma, naturalmente, rimessi a nuovo e
affiliati all università in ragione di questa indispensabile interdisciplina-
rità; dovranno diventare insomma un’altra facoltà.
Tra le condensazioni prime — le concrezioni dure, come ancora oggi
le concepiamo ci sono alcune famose categorie, ultimi quadri veritieri
del nostro mentale, catalogati da Aristotele. Hanno attraversato il Me-
dicevo e sono giunte fino a Kant. Durante tutto questo tempo è stato
molto difficile penetrare piu profondamente nella loro essenza. Forse
solo dopo circa un secolo si e prodotto un varco aperto non dai filosofi
ma dai matemat.c, che, senza volerlo, inconsciamente, hanno proiettato

150
siamo soltanto al debutto di uno “svelamento” delle dure essenze del
nostro mentale. Mi sembra che in questo modo prenda avvio una nuova
era, parallela a quella, ormai trascorsa, dell’osservazione che l’uomo ri­
volge alla natura. È l’era in un primo tempo dello smembramento e del­
la decorticazione e poi del nostro mentale duro e profondo e della sua
trasformazione. Non parlo qui di mutazioni di tipo genetico o di even­
tuali trasformazioni della parapsicologia; mi riferisco infatti a una me­
tamorfosi dei nostri quadri mentali delle profondità. Per tentare di in­
travedere il senso di ciò che avanzo pensiamo a certe culture dell’Africa
o dell’Australia, in cui l’ubiquità spaziale che fa parte dei culti ammette
la presenza simultanea dello stesso individuo in due luoghi lontani tra
loro. In modo analogo, modificando profondamente la struttura d’or­
dine del tempo, non sarebbe impensabile “vedere” che apparteniamo
all’ubiquità spaziale o temporale e che così Timmortalità dell’universo,
delle cose e degli esseri viventi potrebbe a un tratto acquisire un inatteso
contenuto di novità. Questo significa che in quanto individui siamo for­
se “eterni”, ma in un senso impossibile ancora da “vedere”. E significa
ancora che potremmo entrare in un altro universo, più grande, più vero
di quello in cui in apparenza viviamo; e che tutte queste “visioni” sono
rese impossibili a causa delle nostre forme mentali, le categorie. Infatti
esistono forse universi fisici formati di antimateria, antienergia, anti­
tempo, analoghi all’anti-c/ir/zort (l’antiterra) dei pitagorici. Ma tutti
questi universi appartengono sempre al nostro “universo mentale” e so­
no spietatamente e rigidamente modellati da esso; un universo fatto di
antichissime concrezioni dell’intelligenza, troppo dure per non essere
state spezzate finora. Questi universi fisici sarebbero soltanto deforma­
zioni di un universo più vero riflesse dalle nostre concrezioni. Quindi ciò
che attualmente “vediamo”, ciò che creiamo, non sono le ombre di for­
me situate nella luce dietro di noi e fuori della “caverna”, in cui siamo
incatenati con l’occhio al suo fondo, ma giochi della nostra configura­
zione delle categorie mentali che verosimilmente costituiscono la nostra
caverna. Essa è in noi, non noi in essa. In questa nuova era, l’uomo do­
vrà rompere la conchiglia delle sue categorie mentali e saltare liberamen­
te in un universo più coerente, più vero.
Questo è forse uno dei ruoli profondi che l’arte si assegna o che deve
assegnarsi perché, più di ogni altra attività creatrice dell’uomo, ha que­
sta capacità. E in particolare la musica, forse la più avvantaggiata per
guidarci in questa via.

151
*
II

Appendici

Appendice 1
Tavola delle corrispondenze fra alcuni sviluppi della
musica e della matematica

MUSICA MATEMATICA
500 a.C. vengono messe in relazione le Scoperta dell’importanza
altezze e le lunghezze della corda. In fondamentale dei numeri na­
questo periodo la musica dà un mera­ turali e invenzione dei razio­
viglioso impulso alla teoria dei numeri nali positivi (le frazioni).
e alla geometria. La musica inventa le
scale incomplete.
Nessuna corrispondenza in musica. Numeri irrazionali positivi.
Es.: la radice quadrata di 2 (il
teorema di Pitagora).

300 a.C. Invenzione degli intervalli di Nessuna reazione in matema­


altezza ascendenti, discendenti e nulli tica. La teoria dei numeri vie­
nel linguaggio aggiunto introdotto da ne trascurata rispetto alla teo­
Aristosseno che inventa pure, in teo­ ria della musica e alla sua pra­
ria, la gamma cromatica completa a tica e resterà assopita per ol­
temperamento equabile avente come tre quindici secoli, a eccezione
modulo (il passo) la dodicesima di to­ dei concetti di infinito e di
no. Parallelamente continua il linguag­ calcolo differenziale e inte­
gio moltiplicativo (geometrico) degli grale avviato da Archimede.
intervalli di altezza, tradotti in lun­
ghezza di corde (Euclide).
Così, la teoria musicale mette in rilievo
la scoperta deH’isomorfismo tra i loga­
ritmi (intervalli musicali) e gli esponen-

153
ziali (lunghezze di corda) più di quindi­
ci secoli prima della loro scoperta in
matematica; inoltre, una premonizione
della teoria dei gruppi da parte di Ari-
stosseno.
1000. Invenzione della rappresentazio­ Nessuna corrispondenza in
ne spaziale bidimensionale delle altezze matematica.
legate al tempo per mezzo delle super-
fici e dei punti (Guido d’Arezzo), che
anticipano di tre secoli le coordinate di
Oresme e di sette secoli (1635-37) la
magnifica geometria analitica di Fer­
mai e di Cartesio.
1500. Nessuna ripresa né sviluppo dei Vengono adottati lo zero e i
concetti precedenti. numeri negativi. Costruzione
dell’insieme dei razionali.

1600. Nessuna equivalenza, nessuna Vengono inventati l’insieme


reazione. dei numeri reali e quello dei
logaritmi.
1700. A partire dalla pratica viene ri­ La teoria dei numeri sta avan­
scoperta la scala cromatica ben tempe­ zando ma non ha ancora un
rata (J.S. Bach). La musica passa ora equivalente nelle strutture
nel campo delle strutture di base. Per temporali. Queste ultime ver­
contro, le strutture tonali, la polifonia ranno più tardi con i processi
e l’invenzione di macroforme (fughe e stocastici, la teoria dei giochi,
sonate) sono in via di sviluppo e metto­ gli automi, ecc.
no in luce i semi che inoculeranno una Invenzione del corpo dei nu­
nuova vita nella musica di oggi e di do­ meri complessi (Eulero,
mani. La fuga, per esempio, è un auto­ Gauss) e dei quaternioni (Ha­
ma astratto, concepito due secoli pri­ milton), definizione della
ma della nascita della scienza degli au­ continuità (Cauchy) e inven­
tomi. zione delle strutture di gruppo
Inconsapevole manipolazione di grup­ (Galois, Abel).
pi finiti (gruppo di Klein) nelle quattro
variazioni di una linea melodica usata
dal contrappunto.

1900. Liberazione dal giogo tonale. I numeri infiniti e transfiniti


Prima accettazione della neutralità del (Cantor).
totale cromatico (Loquin 1895, Hauer, L’assiomatica dei numeri na­
Schònberg). turali di Peano.

154
La bella teoria della misura
(Lebesgue, Borei, Heine).

1920. Prima formalizzazione radicale Nessun nuovo sviluppo della


delle macrostrutture attraverso il siste­ teoria dei numeri. C’è un ar­
ma seriale di Schònberg. resto ma procede la discussio­
ne intorno a alcune tra le più
antiche contraddizioni della
teoria degli insiemi. (La musi­
ca riuscirà a recuperare il pro­
prio ritardo negli anni seguen­
ti.)

1930. Reintroduzione di gradazioni più sottili per l’utilizzazione del


quarto — sesto — ecc. di tono, sebbene ancora immersi nel sistema to­
nale (Wichnegradsky, Haba, Carillo).

1950. Seconda formalizzazione radicale delle macrostrutture con le per­


mutazioni, i modi a trasposizioni limitate e i ritmi non retrograduabili
(Messiaen).
1953. Introduzione della scala continua delle altezze e del tempo (impie­
go dei numeri reali) nel calcolo delle caratteristiche del suono, anche se,
per ragioni di percezione e di interpretazione, i numeri reali sono ap­
prossimati dai razionali (questo costituisce il mio contributo personale,
sia teorico sia musicale, che include anche l’utilizzazione dei vari settori
della matematica, come le probabilità e il calcolo logico, e molteplici
strutture, compresa la struttura di gruppo. Più tardi queste avranno un
ruolo importante nella macro e microcomposizione).
1957. Nuove formalizzazioni in musica sul piano delle macrostrutture:
processi stocastici, catene di Markov, seppure utilizzate in maniere mol­
to diverse (Killer, Xenakis), nonché impiego dei calcolatori (Killer).
1960. Assiomatica delle scale musicali per mezzo della teoria dei “reti­
coli” e introduzione dei numeri complessi nella composizione (anche
questo è il risultato del mio lavoro personale).
1970. Nuove proposte nella microstruttura dei suoni con l’introduzione
di una discontinuità continua tramite una qualunque legge di probabili­
tà (cammino erratico, moto browniano). Essa viene estesa alle macro­
strutture e introduce cosi un altro aspetto architettonico su un macro­
piano, per esempio nella musica strumentale (anche questo è il risultato
del mio lavoro personale).

155
Appendice 2
CEMAMu
(Centro studi di matematica e automatica musicali)
Programma di ricerca musicale e pedagogica
per gli anni 1976 e 1977

Finalità e progetti
Questo programma comprende vari anni di attività e perciò non con­
cerne solo il 1976 ma anche i seguenti.
A. Ricerca musicale:
1. sintesi dei suoni a partire da funzioni e da architetture matemati­
che quali i quanta sonori, le catene di Markov, i movimenti browniani, i
reticoli;
2. combinatoria dei suoni per mezzo di processi stocastici o a perio­
dicità finita;
3. tipi di strutture macroscopiche in composizione musicale (o vi­
suale) generati da 1 e 2.
B. Ricadute acustiche e psicofisiologiche: le precedenti ricerche con­
sentono di chiarire i fenomeni di frontiera delle soglie percettive in rela­
zione con la campionatura. Sono previste collaborazioni con altri centri.
C. Costruzione di software (logistici) che consentano trattamenti
funzionali dei suoni e delle strutture musicali del paragrafo A. Per esem­
pio: la funzione filtro, la funzione modulatore a anello, la funzione
somma delle serie di Fourier, trasformazioni in piani complessi di sche­
mi a due o tre dimensioni. Inoltre, grazie alla banca dei suoni elettroni­
ci, numerici o concreti contenuti nelle memorie periferiche della nostra
unità informatica, saranno realizzati montaggi e missaggi automatici,
senza forbici o collanti, sullo schermo catodico o simbolicamente. E
cioè per la prima volta ci si occuperà in modo automatico di molte ope­
razioni che negli studi di musica elettroacustica vengono ora condotte
manualmente.
D. Progetto di pedagogia visiva e musicale.
Senso e scopi.
Dare al bambino dai cinque ai diciotto anni (poi all’adulto) la possi­
bilità di pensare — e incitarlo a pensare — suoni, colori, forme ma an­
che strutture (costruzioni o architetture in senso astratto), la possibilità
di realizzarle, di esaminarle, di trasformarle e di manifestarle per mezzo
di eventi visivi o sonori.

156
Dunque non solo l’uso di matite colorate, di materiali da costruzione
o cubi, oppure di tamburi, campane, tastiere, scatole di conserva ma an­
che come assemblarli, come “comporli”, le scelte, le decisioni. Poi, in
una fase successiva, creare architetture e anche nuovi oggetti.
Esempi:
1. non accontentarsi di insegnare canzoni su una scala data ma co­
struirne una, addirittura più d’una, e cantare o far eseguire i suoni su
queste scale in modo gradualmente più astratto tramite riferimenti deri­
ì vati unicamente dalle premesse iniziali;
2. non utilizzare solo forme fisse: quadrati, cerchi, triangoli, ma
anche le trasformazioni di questi elementi con la successione temporale
continua o discontinua, esplosiva o impercettibilmente lenta;
3. in entrambi i casi giocare con un gran numero di configurazioni
di elementi visivi (punti) o sonori (suoni brevi) e formare nebulose can­
gianti modificandone le caratteristiche statistiche: densità, media per re­
gioni, intervallo tipo...

Ricollegare in modo naturale l’insegnamento scientifico (matemati­


ca, fisica, ecc.) all’espressione creatrice e artistica. Per esempio: le clas­
si, le sottoclassi, i prodotti cartesiani, le combinazioni logiche di sotto­
classi, o ancora le strutture d’ordine, di equivalenza, le probabilità, le
topologie...
Dare così al bambino (o all’adulto) gli utensili teorici e tecnologici
affinché possa esprimere la propria creatività e il proprio spirito di ricer­
ca nel campo del pensiero astratto connesso con quello della sensibilità e
della realtà artistica. Fare dunque dell’uomo un tutto.
Sono previste collaborazioni con Conservatori della zona di Parigi e
con l’Università Parigi I. Nel maggio 1976 è inoltre prevista la nostra
partecipazione a una manifestazione pubblica organizzata dalla Direzio­
ne della Cultura della città di Bonn. La realizzazione di questo progetto
pedagogico sarà possibile solo grazie all’Unità Informatica che il CE-
MAMu è in grado di acquistare e di sviluppare nei prossimi anni con
l’aiuto costante dello Stato.

157
I

Appendice 3
L'unità poliagogica informatica del CEMAMu
(UPIC)

Il CEMAMu dispone già di un convertitore analogico numerico che


può decodificare, in variazioni di tensione, informazioni numeriche (di
16 bits ogni 1/52.000 di secondo al massimo) scritte da un calcolatore su
un nastro magnetico, un Ampex (800 b.p.i., 150 i.p.s. a nove piste) e
una catena di alta fedeltà a bassa frequenza.
Questo convertitore è stato costruito specificamente per il CNET
grazie alle sovvenzioni della fondazione Gulbenkian e del CNET Nel
1976 il CEMAMu comprerà tramite una sovvenzione del Segretariato
agli Affari Culturali una Unità Poliagogica Informatica del CEMAMu
(UPIC) pilota, originale, costituita da:
1) una unità di calcolo ultrarapida;
2) memorie su dischi;
3) unità periferiche a nastro (800 b.p.i. o 1600 b.p.i., 45 i.p.s. a nove
piste);
4) convertitori di entrata analogiconumerici;
5) convertitori di uscita numericoanalogici;
6) un ampio schermo catodico di visualizzazione Tektronix;
7) una tavola di entrata con matita magnetica;
8) un lettore di schede;
9) un teletipo.
Questa UPIC sarà adibita alla conversazione e avrà tre compiti:
à) acquisizione e formazione di una banca di suoni di qualunque na­
tura comprendente suoni elettronici, strumentali, concreti o di sintesi
numericoanalogica;
b) uno schedario di funzioni che possa agire sugli elementi della ban­
ca dei suoni. Queste funzioni, raggruppate per categorie, ci consentiran­
no di operare numericamente sugli elementi della banca dei suoni se­
guendo tutte le modalità operative degli studi di musica elettroacustica
quali i filtraggi, le addizioni (missaggi), le moltiplicazioni (modulatori a
anelli), le contrazioni temporali o spettrali, i montaggi con l’ausilio di
istruzioni, ecc.; in poche parole queste funzioni rimpiazzeranno lutti i
sistemi analogici da una parte e tutte le operazioni manuali dall’altra.
Consentiranno all’UPIC di sostituirsi ai più perfezionati studi di musica
elettroacustica. Ma consentiranno anche nuovi tipi di trasformazioni,
come le trasformazioni conformi dei numeri complessi, delle rotazioni
in più dimensioni, delle convoluzioni, ecc.
Alcuni sottoprogrammi strutturali, come i programmi stocastici sen­
za memoria, le catene markoviane, le progressioni erratiche semplici o

158
complesse (random walk, movimenti browniani), i gruppi finiti, le co­
I struzioni di “reticoli”, ecc. completeranno le architetture su più piani,
micro, meso e macro.
Altre funzioni avranno come compito l’analisi spettrale, statistica,
ecc. di suoni o musiche introdotte o calcolate neH’UPIC;
J c) l’UPIC sarà praticamente conversazionale grazie ai modi di en­
i trata delle istruzioni a tutti gli stadi dell’UPIC attraverso: 1) il lettore di
I schede perforate; 2) il teletipo e sopra tutto 3) il disegno elettrico sulla
! tavola speciale collegata allo schermo Tektronix che permetterà entrate
e correzioni grafiche immediatamente visualizzate. I risultati dei calcoli
verranno scritti sul nastro dell’unità periferica di uscita e capiti quasi
immediatamente.
Questa UPIC, strumento di ricerca e di pedagogia per la musica, sa­
rà in un secondo tempo rapidamente completata da strumenti periferici
per consentire l’entrata e il trattamento dell’immagine, anche a colori,
in cinetica. È previsto un accesso utilizzabile da più utenti simultanea­
mente.

159
Appendice 4

Quanto segue è un’assiomatizzazione dei reticoli più naturale di


quella descritta nei capitoli V e VI.

Ipotesi di base

1. In ciascuna classe di sensazioni esistono caratteristiche che assu­


mono valori discreti (assimilati a arresti). Per esempio, nella classe delle
sensazioni sonore si distinguono le caratteristiche del suono come le al­
tezze, gli istanti, le intensità... Identifichiamo questi valori con punti.
2. Le sensazioni, tra loro comparate, creano differenze tra questi
punti. Una differenza può essere considerata il movimento, lo sposta­
mento o il passo da un valore discreto della caratteristica a un altro valo­
re, da un punto a un altro punto.
3. È possibile ripetere, iterare, concatenare i suddetti passi.
4. Ci sono due orientamenti possibili nelle iterazioni: una per accu­
mulazione dei passi, l’altra per disaccumulazione.

Formalizzazione. Insiemi: le tre ipotesi precedenti generano tre insie­


mi fondamentali: rispettivamente Q, A, E. Nella prima ipotesi, le carat­
teristiche appartengono a dominii specifici di fì. Nella seconda, gli spo­
stamenti (o i passi) di un dominio specifico di Q appartengono a un in­
sieme A indipendente da Q. Nella terza le concatenazioni e le iterazioni
degli elementi di A, formano un insieme E. I due orientamenti della
quarta ipotesi possono essere rappresentati rispettivamente dai segni +
e —. Insiemi prodotti: a) Q x A Q (per esempio: un punto-altezza
combinato con uno spostamento produce un altro punto-altezza); b) A
x E c A (uno spostamento combinato con una iterazione produce un
altro spostamento). È facile identificare E con l’insieme N dei numeri
naturali più lo zero. Inoltre la quarta ipotesi ci conduce direttamente al­
la definizione dell’insieme Z degli interi, a partire da E.
Abbiamo cosi mandato in cortocircuito l’utilizzazione diretta
dell’assiomatica di Peano, introdotta nei capitoli V e VI per generare la
Gamma Cromatica a Temperamento Equabile (= un reticolo GCHA-
TE). In effetti basta scegliere un qualunque spostamento elementare ( =
DEL) appartenente all’insieme A e formare il prodotto |DEL| x Z. Del
resto l’insieme A (per esempio l’insieme degli intervalli melodici) è mu­
nito di una struttura di gruppo.

160
Ili

Conversazioni

La conversazione riuniva attorno a lannis Xenakis (X.) tre suoi ami­


ci: il musicista Frangois-Bernard Màche (M.), lo studioso di estetica Oli­
vier Revault d’Allonnes (R.) e il matematico Francois Genuys (G.). Co­
me in ogni conversazione ci sono lungaggini, esitazioni, vuoti. Non sem­
pre gli interlocutori si capiscono e talvolta le risposte eludono le doman­
de. Di questa lunga conversazione ho preferito riportare solo i passi che
mi sembravano più significativi per delineare la personalità di Xenakis.
Per quanto possibile ho mantenuto l'aspetto improvvisato del discorso:
non si tratta qui di analizzare in modo esaustivo un pensiero ma di ren­
derlo presente con le sue inevitabili semplificazioni, le insistenti riprese e
talvolta le contraddizioni.
Bernard Pingaud

1. ESPRIMERE L'INTELLIGENZA
— Una volta Xenakis ha detto che la musica consiste nell*“esprime-
re l’intelligenza con mezzi sonori”. Potremmo partire da qui.
R. - È una definizione interessante. Dimostra che Xenakis si situa
volutamente in un campo pitagorico e parmenideo, cioè in una precisa
tradizione della razionalità greca e occidentale. I modelli matematici de­
rivano come molti altri da questa razionalità e poiché essa ha trionfato
su tutta la superficie della terra è chiaro che l’intelligenza umana, in
Estremo Oriente come in Occidente, è una sola. E questo è un primo
punto.
Tuttavia esistono fuori dell’occidente musiche “altre”. Il progetto
di Xenakis è quello di riuscire a spiegarle in termini pitagorici come mu­
siche occidentali. È questo sopra tutto il significato dei suoi tentativi di
formalizzazione: mirano a dimostrare che anche queste musiche che ci
sembrano completamente diverse sono portatrici di una certa razionali-

161
tà Così utilizzando la teoria dei “reticoli” possiamo analizzare la sca-
la o'ia nul“viè?adi iXXretóffase^É'sprimere la musica con mezzi
intelligibili”- L’immagine che Xenakis si fa delle musiche del passato o
delle musiche “altre” è legata alla visione della musica di domani. E per
fui Continuità è assicurata dalla stretta e costante corrispondenza tra
l’intelligenza e i mezzi sonori. .
M - La definizione citata poco fa pone un problema non solo episte­
mologico ma anche politico. Questa razionalità che aspira a un valore
universale è una forma di imperialismo? Ritorneremo su questo punto.
Inoltre mi colpisce la tonalità umanistica della formula. Sembra che Xe­
nakis scarti qualsiasi concezione in cui ci sia il rifiuto di assimilare la
musica a un’invenzione o a una convenzione umana e in cui per la co­
scienza non si tratti di “esprimere” qualcosa ma di rivelare una realtà
preesistente.
X. - Non credo che il mio punto di vista sia particolarmente “umani­
stico”. Secondo me c’è intelligenza ovunque. Parto dal principio che
esiste un mondo oggettivo. Certamente non posso provarlo, è solo una
scelta. Ma dal momento in cui facciamo questa scelta scopriamo intorno
a noi un universo intelligibile.
M. - L’uomo misura di tutte le cose?
X. - Forse. Ma accanto a Protagora e al suo brutale solipsismo c’è
Parmenide: l’essere è uno, unico e non cambia.
M. - A ogni modo il termine “esprime” si riferisce alla psicologia
umana.
X. - È un’immagine. Perché pensare all’uomo come a un essere stac­
cato dall’universo e in contraddizione con esso? Questo è l’umanesimo
romantico. Del resto quando ho cercato di spiegare in “La Nef” che co­
sa la musica rappresenti per me non ho parlato di intelligenza. L’intelli­
genza è una nozione intuitiva che evoca l’astuzia, l’abilità. Ritornando
alla definizione iniziale direi piuttosto: “Esprimere una concezione del
mondo”.
. 9- " Quando una struttura ti sembra produttiva in un campo qual­
siasi tenti di trasporla nel campo musicale. Lo fai per pura curiosità?
Per vedere che cosa produrrà?
X. - Non mi chiedo mai se una cosa sia utilizzabile. All’inizio ho
sempre un idea ma e un’idea che non sa. Allora cerco di informarmi, di
capire Leggo questa o quell’altra opera teorica perché ho bisogno di
<ì8g,<|rJnl'nfl»iiCOmi'LC1ut? §UeStO modo 'nlorno al 1950 a interessarmi
a mn diffiéokà°|bab' lta' E ?tat0 Un grande SfOrZO Per me Perché capi­
sco con difficolta la matematica. Ma ero convinto che i problemi della
musica dovessero essere affrontati da quel punto di vista In seguito mi
sono reso conto che >1 calcolo delle probabilità mi aveva consentito di ri­
solvere alcuni problemi ma altri rimanevano nell’ombra- il tempo e
Strutture menta!.. In generale è vero che a causa della mia eSriin

|62
greca e specialmente a causa della preferenza che ho sempre avuto per la
Grecia arcaica ero naturalmente orientato verso la matematica. Ma que­
ste riflessioni erano subordinate al mio bisogno di musica. Quando ho
studiato la strategia dei giochi, che mi divertiva, mi sono chiesto che co­
sa avrebbe potuto produrre in musica. In me c’era già l’idea di un con­
I flitto. Sapevo che certe musiche dell’india si ispiravano a questa idea.
I R. - A volte parli deH’“intelligenza dell’orecchio”. Designi in questo
I modo la sua capacità di discriminazione e d’identificazione. L’intelli­
genza consiste nel non confondere. Essere intelligenti significa raffron­
tare, differenziare, introdurre relazioni che si possono in seguito simbo­
lizzare.
X. - Non è possibile simbolizzarle completamente, altrimenti la mu­
sica non sarebbe più necessaria. La musica concerne anche l’irrazionale.
Cerco di analizzarne la parte più evidente, più comune. Ma in fin dei
conti cosa si può rispondere al ‘‘Mi piace”?
R. - Poco fa dicevi che la teoria dei giochi ti divertiva.
M. - Essere scientifici è anche una scelta. Si fa della scienza perché
“ci piace”. Il desiderio non è mai razionale.
i X. - La razionalità in ogni caso fa parte dei mezzi che l’uomo si è da­
to per agire in un determinato modo. Non c’è niente da fare, ci si scon­
tra con questa evidenza. Basta pensare all’esempio dei cinesi.
M. - La scelta dell’industrializzazione non è una scelta politica.
X. - No, è una questione di sopravvivenza.
M. - Tuttavia nelle società industriali questa tendenza è sempre più
contestata. Ritieni che non si possa evitare il passaggio attraverso la tec­
nologia?
X. - Secondo me l’intelligenza non si riduce a questo. Non è soltanto
la razionalità nel senso del determinismo classico. La matematica opera
anche nell’irrazionale, costruisce edifici irrazionali.
M. - Qual è la tua posizione rispetto all’ondata di irrazionalismo che
osserviamo nelle nostre società tecnologicamente avanzate?
X. - Variabile, come il bello e il cattivo tempo. È troppo facile con-
trappore razionalità a irrazionalità. Infatti sono strettamente legate.
Inoltre, ciò che si dice, si pensa e si fa è sempre provvisorio, anche se
questa provvisorietà dovesse durare millenni. Per esempio ragioniamo
sempre in funzione del tempo. Ma il tempo è una struttura acquisita nel­
la vita dell’uomo. Bisognerebbe chiedersi se sia possibile cambiarla.

2. CAMBIARE L'UOMO
— Lei parla raramente di bellezza. Preferisce dire che un’opera è
interessante”. Che cosa significa questo per Lei?
X. - Non saprei definire la bellezza. Ho avuto parecchie delusioni in

163
questo campo. Credevo che certe cose fossero belle, poi mi accorgevo
che non mi interessavano più, che si trattava di una sensazione passegge­
ra. Che cosa permane dunque? L’accelerazione dell’acquisizione, la dif­
ferenza tra il punto di partenza e il punto di arrivo. Fare qualcosa di
nuovo in relazione a qualcosa di dato, questo è l’interessante. Se utilizzo
la legge di Poisson, a rigor di termini non creo nulla. Ma cambio il con­
testo. Il mio lavoro consiste nell’estensione della formula. Immaginate
che si possa redigere l’inventario di tutte le possibilità musicali: il fatto
di combinarle in un modo o in un altro sarà sempre qualcosa di più
deH’inventario stesso e delle leggi che a esso si possono applicare. La
formula di Poisson è un sasso di cui ci si è serviti in precedenti occasioni
per la costruzione di qualche tempio. Io me ne servo per fare altre cose.
R. - Vedo che il tuo punto di partenza è sempre un’idea. Non sei
edonista, non ti senti attratto dal piacere che procurano, per esempio,
alcuni timbri.
X. - Sì, talvolta un suono mi piace molto. Ma se analizzi a fondo
questa qualità musicale ti accorgi che non ha più niente di sensuale. Re­
sta un piccolo margine, ancora oscuro, perché non disponiamo di una
percezione sufficientemente acuta per analizzarlo. Ancora una volta,
tutto quello che pensiamo è provvisorio. La geometria euclidea ha re­
gnato a lungo prima di estinguersi a poco a poco, gradatamente. Ora si
sa che la geometria euclidea è soltanto una parte della geometria. La
stessa cosa vale per la logica.
R. - La tua posizione allora non è esclusivamente funzionalistica. Sei
consapevole di un progresso. Per te la novità prende il posto della bel­
lezza.
X. - Non so se sia un progresso. Direi piuttosto un cambiamento. In­
fatti quando il campo del sapere si estende perde parte della sua sostan­
za. La geometria euclidea è stata il nido, l’uovo all’interno del quale si
sono posti problemi appassionanti.
— Lei contrappone forse la bellezza e la durata?
X. - Che un poliedro isolato sia bello è un epifenomeno. Vedremo
altri poliedri, diversi. Diremo allora che la bellezza ha molti aspetti?
Non si può più parlare di bellezza ma di una certa quantità di intelligen­
za presente nell’oggetto. Secondo me fare qualcosa è bello in sé. Il bello
sta nell’accelerazione, non negli oggetti.
R. - Che cosa intendi per “quantità di intelligenza’’? È difficile da
misurare.
X. - Forse, ma è comunicabile. È un concetto sul quale tutti si inten­
dono. Quando dico che una musica è “interessante’’ penso a quanto ha
in sé di intelligibile, alla sua efficacia. L’intelligenza è oggi l’arma più
feconda dell’uomo. Grazie all’intelligenza abbiamo la possibilità di pro­
durre cose nuove partendo da un montaggio di cose esistenti. Ma siamo
soltanto all’inizio. Penso che la fisica arriverà a dimostrare che ci sono
buchi o fessure attravero i quali l’energia può sorgere dal nulla. Siamo

J 64
prigionieri di una mentalità molto ristretta perché non abbiamo gli stru­
menti necessari per andare più lontano.
Credo, per esempio, perché li ho constatati, all’esistenza dei fenome­
ni parapsichici anche se non ne conosco il segreto. Pensi a qualcuno e un
istante dopo questo qualcuno telefona. È evidente che non è un semplice
caso. Poi gli dici: “Sì, è così’’. Sul momento c’è una certa oscillazione.
Non si sa quello che accade. Occorrerebbe imparare a riconoscere que­
ste percezioni. Potrei dire la stessa cosa di molte leggende o miti. Non
c’è motivo di pensare che questi fenomeni non esistano. Ma sotto quale
forma? Per il momento si tratta ancora di cose irrazionali. Forse in fu­
turo capiremo.
R. - Si ha l’impressione che tu sia situato nella modernità ma che
nello stesso tempo non ti ci senta a tuo agio. Ti accorgi delle crepe dei
muri, senti che qualcosa accade là dietro. Alberti, Gassendi si trovavano
a loro agio nello spazio classico; Cartesio e Leibniz no. Per te è la stessa
I cosa. Per esempio non sei convinto che il tempo sia unidimensionale, ir­
I
reversibile.
— A questo proposito, potrebbe precisare che cosa intende con
“fuori tempo”? È una nozione fondamentale nella Sua concezione della
I musica.
X. - Tutti i musicisti attribuiscono un’enorme importanza al tempo.
Mi sono chiesto perché. Che cosa resta della musica se si toglie il tempo?
Resta una folla di sensazioni che hanno bisogno del tempo per manife­
starsi ma che esistono senza di esso. La musica non si svolge propria­
mente nel tempo. La nostra percezione è frammentaria e si basa essen­
zialmente sulla memoria. Un uomo senza memoria, anche se dotato di
1
un’intelligenza superiore, sarebbe un uomo finito. La memoria è la con­
dizione della coscienza, dell’attività, della vita. Ora, la memoria è una
negazione del tempo: fissandolo ci strappa da esso. È una contraddizio­
ne fondamentale in cui viviamo e che dimentichiamo con troppa facili­
tà. Da ciò deriva l’interesse dello zen che si limita a ripetere instancabil­
mente: “qui e ora”, che insegna a vivere nell’istantaneità. È vero che si
è costretti a passare per la fissità, per qualcosa che è morto: questo fa
parte dell’arte e della scienza.
R. - Altri musicisti come Varèse e Stockhausen hanno tentato di lot­
tare contro il tempo distruggendo la frase. Fanno deil’istantaneismo. La
musica di Stockhausen potrebbe riassumersi in questa formula: in cia­
scun istante questo solo istante. L’atteggiamento di Xenakis è esatta­
mente opposto: le sue opere poggiano su strutture fuori tempo; ma esse
si realizzano nel tempo. Xenakis assume la temporalità, la continuità
con tutte le conseguenze che ne derivano; ma è un modo di far valere il
fuori tempo. Il tempo per lui è solo una tattica.
X. - Con la memoria disponiamo di una scorta di oggetti manipola­
bili, una specie di sacco da cui possiamo attingere a volontà. È questa la
parte fuori tempo. Esempio: la definizione di una gamma o di una scala

165
melodica, i rapporti tra i differenti intervalli. Se però volete inscrivere
una melodia su questa scala avete bisogno del tempo, dell’ordinamento.
Il tempo come lo spazio è una struttura di base. Non sappiamo ancora
che cosa succederebbe se si giungesse a cambiare queste categorie di ba­
se.
Ritorno sempre alla formidabile frase di Parmenide: “Pensare e es­
sere sono la stessa cosa”. L’essere non è dunque l’oggettività, è un con­
cetto più generale. Se possiamo immaginare qualche cosa, questa cosa
esiste o potrebbe esistere. Non si esce dalla logica binaria; ma poiché sia­
mo capaci di negarla dovremmo anche essere in grado di uscirne. Biso­
gnerebbe soltanto trovare nuove tecniche adatte allo scopo, qualcosa di
analogo al “brain-storming”. In fondo, la mistica, il mistero sono an­
cora tattica.
R. - Prendiamo per esempio l’alchimia. Un tempo la trasformazione
del piombo in oro era una specie di fantasma. Ma la fisica contempora­
nea gli ha dato un contenuto di verità. La stessa considerazione vale per
molte pratiche paramediche che rientrano nel campo dell’incantesimo e
della premonizione.
X. - Il razionalismo ha spazzato via tutto questo ma nello stesso
tempo ha mostrato i propri limiti.
R. - Quindi quando parli d’irrazionalità, cioè di quello che non è an­
cora razionale, non pensi affatto in termini romantici. Rimani fonda­
mentalmente nella linea dei presocratici.
X. - Le esperienze che si richiamano all’indicibile, alle cose nascoste
mi lasciano del tutto indifferente. Per esempio la droga. Non credo che
la droga porti a una conoscenza superiore. Acuisce soltanto la sensibili­
tà. Edgar Poe in stato di lucidità avrebbe scritto poesie migliori che da
ubriaco. La droga produce stati di pensiero, sensazioni che serviranno a
qualcosa se e soltanto se verranno consolidate in seguito da un lavoro
molto lento. La base è l’uomo nella sua continuità.
— Che cosa pensa della psicanalisi?
X. - Penso che l’interessante non sia raccontarsi ma creare, agire.
Preferirei una forma di terapia attiva grazie alla quale gli ostacoli che il
malato incontra diventino per lui mezzi di creazione, di superamento.
R. - La reminiscenza può anche essere un modo per sviluppare le fa­
coltà creative.
X. - È quello che dicono gli psicanalisti. Il paziente e l’analista vivo­
no di questo mito. Ma io non ci credo.
R. - A ogni modo la teoria psicanalitica non ha ancora uno statuto
razionale. Perché il fatto di prendere coscienza di un affetto ce ne libere­
rebbe?
X. - La tattica che la vita insegna è la lotta; il superamento con le sue
vittorie e le sue sconfitte è la produzione. Tutti sono più o meno malati,
tutti hanno le loro inibizioni e i loro terrori. Riusciamo a vincere tutto

166
ciò con uno sforzo di lavoro e di pensiero nella lotta di ogni giorno e non
rinchiudendoci entro i limiti della psicanalisi.
Un secolo fa Marx parlava di cambiare il mondo. Oggi occorre cam-
bire l’uomo perché sappiamo che il mondo è soltanto la visione che ne
abbiamo.
R. - Ritorni al solipsismo.
X. - No, voglio dire che del mondo, anche se esiste — e io credo che
esista, non sono solipsista —, abbiamo una conoscenza insufficiente.
Non si è mai sicuri di averlo colto in pieno. Il mondo esiste al limite, il
che non toglie nulla alla sua oggettività. A sua volta il mondo conosciu­
to, quello che crediamo di conoscere, è una finzione provvisoria che
cambia al cambiare delle nostre tattiche mentali. Per questo mi sembra
giunto il momento di utilizzare l’enorme potere che l’uomo si è forgiato
non più per trasformare l’universo direttamente ma per trasformarlo at­
traverso la trasformazione mentale dell’uomo. Credo che in questo mo­
do avanzeremo molto più velocemente nella conquista dell’universo se
» conquista dev’esserci.
Si dice: cambiare la vita. Sono d’accordo, ma in che senso? Se si
tratta semplicemente di andare a vivere in campagna, secondo me è una
sconfitta. È normale restare terrorizzati di fronte all’immensità delle co­
noscenze accumulate, di fronte alla forza cieca della tecnologia. Ma di­
struggere non è una soluzione, non più di quanto lo sia suicidarsi ó an­
dare dallo psicanalista. Occorre che ne usciamo utilizzando tutti i mezzi
disponibili. Se gli operai distruggessero le macchine, che cosa accadreb­
be? Ritorneremmo semplicemente indietro, il potere dell’uomo sarebbe
meno grande.
— Se ho ben capito Lei non condivide le idee di moda sull’arresto
dello sviluppo...
X. - Certamente le forze che abbiamo sviluppato sfuggono sempre
di più al controllo umano e in questo senso andiamo verso la catastrofe.
Ma questo problema apparentemente insormontabile può essere risolto.
A questo punto interviene l’artista perché nel campo intellettuale è il più
libero. Le scienze sperimentali hanno due armi di base: l’esperienza,
cioè la reiterazione, e la teoria, cioè l’inferenza. Le arti possono essere
solo parzialmente inferenziali ma sono sperimentali: la molteplicità del­
le esperienze costituisce la verità di un’opera d’arte. Ora ci sono cose,
per esempio nel campo psichico, che gli scienziati non conoscono, che
sfuggono completamente alle scienze sperimentali. Solo gli artisti posso­
no lavorare su un campo molto più vasto, molto più ricco. Potrebbero
dunque esercitare un ruolo guida nella conquista del mentale se accettas­
sero di diventare dei pensatori universali che si basano su conoscenze
scientifiche. Evidentemente nessuno può fare questo da solo. Bisogne­
rebbe utilizzare le risorse di tutti.
R. - Che cosa accade quando gli artisti s’impossessano degli stru­
menti della moderna tecnologia, per esempio il calcolatore elettronico,

167
è forse la vera via del-
per farne un uso diverso? Questa sovversione non
la TTdfre il vero non sono sicuro di fare un uso divedo del calcola-

scienziati possono essere artisti. L’arte non appartiene a un elite. Essere


artista è una destinazione dello spirito.

3. SUL CORRETTO USO DEL CALCOLATORE ELETTRONICO

R. - Xenakis pensa che oggi la creazione non possa ignorare la tec­


nologia. Si tratta di una necessità o di una scelta? Bisogna distinguere
l’uso che la società fa di strumenti come il calcolatore elettronico
dall’uso che ne fa Xenakis. In generale i calcolatori servono a infastidire
la gente. Un calcolatore lavora, opera su una situazione in vista di un
determinato scopo. Non lo si utilizza mai per la gioia. Xenakis è il solo
che faccia del calcolatore uno strumento di gioia. Credo che questa tra­
sformazione della macchina sia essenziale. Non si può dire che Xenakis
sia costretto a servirsi del calcolatore. Si tratta senz’altro di una conqui­
sta.
M. - Per Xenakis la musica è anche uno strumento di conoscenza.
Non vuole solo divertirsi con il calcolatore. L’impiego di una macchina
per comporre musica è una scommessa intellettuale.
G. - È proprio dell’artista utilizzare i “gadget” del suo tempo. Sotto
questo aspetto non vedo che cosa distingua, per esempio, un calcolatore
da un violino.
X. - È evidente che una parte considerevole dell’intelligenza e della
creatività umana deve passare attraverso il razionale. L’artista può ri­
manere libero pur sottomettendosi a questa costrizione? La questione
sta qin. Di fatto la maggior parte delle persone teme il calcolatore per­
ché non lo conosce. Lo deifica.
G. - Uno dei vantaggi offerti dal calcolatore è quello di arricchire in
modo considerevole le possibilità di notazione della musica.
. Senz* dubbl°- Ma non bisogna dimenticare che la maggior par­
te delle musiche conosciute nel mondo non ha un sistema di notazione

“ntaa^a?°rmUle matematiche’
so
è questo il modo pTXX
x
G. - Non credo che l’impiego del calcolatore operi un taglio netto

168
i
nell’evoluzione della musica. Lo prova il fatto che Xenakis ha composto
a mano musiche molto complicate.
M. - Appunto: il calcolatore non sarà forse sempre in ritardo rispet­
to alla pratica?
X. - Oggi Io è. Ma perché non lo sappiamo ancora utilizzare bene.
M. - Temo che sia il contrario. Per servirsi del calcolatore si sono
dovuti simbolizzare aspetti della musica tra loro eterogenei: l’intensità,
la durata e cosi via.
X. - Sono eterogenei solo in apparenza. Se scavi un po’ ti accorgi che
in profondità esistono strutture d’ordine che li connettono.
M. - Resta il fatto che, come tu stesso ammetti, non potrai mai tra­
sporre in simboli tutta la musica. Farai una scelta attinente agli elementi
simbolizzabili. C’è dunque un rischio di impoverimento, di sclerosi.
Quelle che introduciamo nel calcolatore sono componenti sonore ma
non musicali.
G. - Avreste ragione se il compositore non definisse una struttura
preliminare.
M. - Non vedo come nel campo del timbro si potrebbero scoprire
strutture d’ordine. 1 timbri sono per natura eterocliti.
G. - A questo proposito la scelta era ancora più limitata per un com­
positore come Bach giacché conosceva soltanto un ristretto numero di
parametri.
X. - È vero. Del resto il calcolatore non accresce l’intelligenza. Mol­
tiplica, reitera. La tecnica seriale, per esempio, era troppo semplicistica.
Messiaen ha creduto di fare un passo considerevole utilizzando l’inver­
sione nella sua musica. Tuttavia, malgrado la sua intuizione si trattava
ancora di bricolage. È evidente che il calcolo delle probabilità offre pos­
sibilità molto più ricche.
R. - Il percorso di Xenakis parte da un semplicissimo fatto di osser­
vazione: la musica accusa un ritardo storico considerevole rispetto alla
matematica. Il musicista di oggi si pone problemi di permutazione che
non è in grado di risolvere mentre un matematico qualsiasi potrebbe for­
nirgli la soluzione. Come ha scritto Xenakis, a Schónberg è mancata
una migliore conoscenza delle scienze del suo tempo. Se fosse stato me­
glio informato, anziché tentare di introdurre un determinismo rigoroso
nell’atonalità — che ha prodotto la musica seriale — avrebbe potuto in­
travedere la musica stocastica.
M. - Si può dire invece che Xenakis è riuscito a passare dalla semi­
formalizzazione di Messiaen a una formalizzazione radicale in quanto
aveva già intuito una musica più complessa e formicolante che voleva
controllare.
X. - Messiaen, come Schónberg, si è tenuto ai margini rispetto
all’evoluzione del pensiero scientifico. In essi si ritrovano ancora i peri­
coli del romanticismo. Dal tempo di Rameau la musica e la scienza era­
no in buoni rapporti. D’altra parte l’idea di utilizzare le macchine ci è

169
A rigor di termini non si è trattato di una ne-
venuta perché le avevamo. A rigor ai
cessità musicale. l’evoluzione ha preso la forma di un

“° “ p“d
chiedere, evidentemente, quale ne sia la causa.
M 1 Nonlmótaseal culmine di questa espansione? Mi stupisce
vedere come oggi ci sia un ritorno a musiche molto semplici.
X. - Il calcolatore è anche in grado di calcolare musiche lineari, rar -
fatte. È quello che ho tentato di fare in Nomos Alpha: produrre con uno
strumento molto ricco atmosfere molto rarefatte, temperature molto
basse.
M. - Malgrado tutto credo che tra la conoscenza pura e la conoscen­
za musicale ci sia una differenza essenziale: la prima è cumulativa, la se­
conda no.
G. - La sua prima affermazione mi sembra discutibile. Per imparare
la fisica moderna non è necessario passare attraverso tutti gli stadi pre­
cedenti dello sviluppo scientifico.
X. - Facciamo un esempio: Beethoven. Tutti ascoltiamo la musica di
Beethoven come la si ascoltava nel diciannovesimo secolo. Ma sarebbe
possibile intenderla in un altro modo, reinterpretare l’armonia di
quell’epoca partendo da concezioni astratte. La storia è un cimitero do-
'e si incontrano fantasmi e neonati. Vi si trovano soltanto accumulazio-
ie e giustapposizione. Alcune idee rivoluzionarie e nuove invenzioni so­
no incompatibili con altre.
à ' PenS° Chrda Sempre la maleria musicale stia in questo. 11 fatto
statì ronsìde?AtìJn ‘Tla S^° U,na parte' Per esemPio- > glissandi sono
un usocon^pUtamrete n^ovo0 ^are fÌ"° * XenakÌS ne ha falt°
r’Pe^izio?e^ ArforaUd^ascoHare,tl°<Ou?n/ò^'mr°n°,0n'a proprio della
niente. E poi lo svìIuddo del enne. Quinta sinfonia non intendo più
derevole. Non si può rimettere semn ™.USlcaIe pone un Problema consi-
X. - Non è solo la noia C ’ èu n imn°i Stesso disco di Chopin.
oltre. impulso vitale, il bisogno di andare
I,pittori tibetani riproducono^nd^finitam i,issata una vo,ta Per tutte.
1 arte ha una funzione sociale la rinèt.Jil ° stesso schema- Quando
P uzione non stanca nessuno.

170
4. RAZIONALITÀ E IMPERIALISMO
X. - Purtroppo non ho il tempo di analizzare musiche differenti. Ma
sono convinto che si potrebbe applicare loro lo stesso metodo che si ap­
plica alle musiche occidentali. Le mie proposte di assiomatizzazione so­
no talmente elementari da avere una portata universale. Tutti sanno mi­
surare il tempo e utilizzare gli intervalli. Che queste operazioni siano
conscie o no, poco importa: l’essenziale è che si tratta di dati di base di
ogni pratica musicale e che si può analizzarli come oggetti.
M. - Non sono convinto che le strutture di base abbiano un carattere
così generale. Esistono lingue che non fanno distinzione tra il prima e il
dopo, tra il singolare e il plurale e tra le persone. Se supponiamo che
questi dati siano universali ci si può chiedere allora se abbiano un signi­
ficato qualunque. Si situano a livello di astrazione tale che diventa inuti­
le formularli.
X. - Accanto alle strutture d’ordine ci sono le strutture parzialmente
ordinate che i matematici hanno studiato da un secolo.
M. - Ricercare una struttura accessibile all’intelligenza in una deter­
minata musica è già un atto di appropriazione sociale. Hai il diritto di
farlo? Ammetti la relatività dei sistemi di pensiero? Accetteresti, per
esempio, che si analizzasse la musica di Xenakis in funzione di altri si­
stemi?
X. - Sì. Ammetto il relativismo. Pretendo soltanto che l’approccio
razionale si fondi su mezzi che gli diano una maggiore potenza, una
maggiore universalità.
M. - Occorre provarlo con degli esempi.
X. - Dire che tutti i musicisti comprendono il tempo, gli intervalli, le
intensità non ha niente di arbitrario. È un fatto sperimentale valido in
tutto il mondo. Del resto la notazione lo implica.
M. - Si conoscono civiltà che non scrivono la loro musica. Ci sono
anche sistemi musicali in cui le altezze non sono fisse.
X. - I musicisti sono per lo meno consapevoli delle differenze tra gli
intervalli. È un fatto elementare, non vi si può sfuggire.
M. - Allora perché finora i musicisti non l’hanno visto?
X. - Perché non se ne curano. Sono stati i teorici a cogliere queste
leggi matematiche. La stessa cosa succede in psicologia: Piaget ha sco­
perto una coincidenza tra i fenomeni che osservava nei bambini e alcune
strutture matematiche e logiche.
M. - Gli indù hanno costruito alcune teorie sul simbolismo delle note
che chiamano in causa la credenza nella formalizzazione. Pensi che sia­
no aberranti?
X. - La formalizzazione non dipende dalla credenza. Si basa sui fat­
ti.
M. - A condizione di lasciar cadere tutta una parte di quelle teorie.
X. - Se dici che una nota rappresenta altro entri nel campo delle rela-

171
tività socioculturali. Per il momento questo non mi interessa. Io ho un -
oggetto davanti a me e voglio studiarlo sotto l’aspetto che lo mette in re­
lazione con la scienza e con l’universalità.
M. - Passiamo alla seconda questione. È un fatto che il razionalismo
è stato utilizzato in una prospettiva pragmatistica per imporre la nostra
civiltà agli altri popoli. Questo non ti dà fastidio?
X. - Sì, certamente. Non approvo l’uso che gli occidentali hanno fat­
to di un sistema di pensiero per distruggere civiltà altrettanto ricche o I
più ricche della loro. Ma questo non chiama in causa il sistema che ha
una portata universale. Che lo vogliamo o no siamo votati a una banali­
tà planetaria. Lo si nota del resto nella musica attuale. Le differenze lo­
cali, le eccentricità che occorrerebbe difendere a ogni costo si cancella­
no. Oggi i musicisti di tutti i paesi fanno la stessa musica. Questo vale
anche per la musica popolare e io lo deploro.
M. - Lo deplori ma il tuo stesso lavoro contribuisce a questo livella­
mento.
X. - Niente affatto. Quando ascolto musica giapponese o cinese e
per comprenderla meglio cerco di inventare strumenti nuovi basandomi
su una razionalità universale, non la distruggo.
M. - Le tue analisi potrebbero essere contrarie alla sua mentalità.
X. - Non capisco in che modo.
M. - Lo strumento razionale ha il suo posto tra altri. Ma è difficile
pretendere che abbia più importanza per esempio dello strumento sim­
bolico o dello strumento mitico. Anche questi sono universali.
X. - No. Io cerco di prendere una distanza in rapporto all’oggetto.
Non cerco di parlarne dall’interno. Questa è una regressione.
M. - Tuttavia ti impadronisci dell’oggetto. Cerchi di fare la felicità
degli altri loro malgrado.
X. - Perché? Il mio scopo è comprendere e spiegare le cose in un mo­
do valido per tutti. Restare all’interno del sistema per renderne conto è
una posizione più debole.
M. - Ma nemmeno tu esci dal tuo proprio sistema. Sei un prodotto
della Grecia.
X. - La forza della razionalità non deriva dal fatto di essere greca.
L’esperienza prova che lo stesso pensiero è all’opera in ogni istante,
dappertutto: nella matematica dei cinesi o degli indù come presso gli ar­
chitetti messicani. Quello che si è prodotto in Grecia si produce nell’in­
tero pianeta.
M. - Anche la tendenza a simbolizzare per mezzo di accostamenti ir­
razionali è universale.
X. - Si, nella misura in cui vi si trovano rapporti, relazioni logiche,
dunque del razionale.
M. - Istituire una relazione tra il registro acuto, la luce e il divino è
proprio razionale? Si dice: il razionale è il progresso. Ma è una petizione
logica poiché prima si è definito il progresso come razionale.

172
X. - Le conseguenze della razionalizzazione, specialmente l’imperia­
lismo, sono epifenomeni. Il pitagorismo è diventato planetario perché in
Occidente si è saputo sfruttare questa scoperta con la massima efficacia.
È vero che la scienza permette di fabbricare bombe. Ma le vittime non si
salveranno invocando Zarathustra. I giapponesi l’hanno capito e sono
diventati una grande potenza industriale.
M. - Resta il fatto che oggi questa espansione potrebbe anche essere
uno scacco. Gli uomini oggi non sono più razionali di cinquemila anni
fa. Al contrario: più si pone l’accento sulla razionalità e più la parte ir­
razionale rimossa diventa pesante. Rispunta altrove e le cose lasciate
nell’ombra si vendicano.
X. - Il razionalismo moderno ha evidentemente i suoi difetti e puoi
i contestare l’impiego che ne viene fatto. Ma non vedo perché si dovrebbe
demolire tutto il sistema con il pretesto che qua e là si rivela distruttivo.
!i Quando lavoro procedo in qualche modo, alla cieca. Ci vedo chiaro a
cose fatte, quando cerco di misurare i risultati. Non faccio un’opera ra­
I zionalistica.
M. - Naturalmente, altrimenti saresti soltanto un filosofo. Tu fai
musica e per mezzo di essa scopri l’altra faccia, quella che a noi resta
sconosciuta.
X. - Le due cose vanno di pari passo. Ma io parlo solo di quello di
cui posso parlare. Non parlo dell’inaccessibile. L’inaccessibile lo rag­
giungo con la mia musica.

Estratto dalla rivista “L’Arc”, 51, 1972,


numero speciale dedicato a Xenakis.
(L ’A utore ringrazia la rivista per / 'autorizzazione concessa a riprodurre questo lesto).

173
IV

Catalogo delle opere musicali di Xenakis


secondo l’edizione Maurice Fletirei

1953-54
Melaslasis, per orchestra di 61 strumenti: ottavino, flauto, 2 oboi, clari­
netto basso, 3 corni, 2 trombe, 2 tromboni tenore, timpani, percussioni
e archi (12, 12, 8, 8, 6). Edizioni Boosey & Hawkes. 7 minuti.
1955- 56
: Pithoprakta, per orchestra di 50 strumenti: 2 tromboni tenore, xilofo­
no, woodblock e archi (12, 12, 8, 8, 6). Edizioni Boosey & Hawkes. 9
minuti.
1956- 57
Achorripsis, per 21 strumenti: ottavino, oboe, clarinetto in mi bemolle,
clarinetto basso, fagotto, controfagotto, 2 trombe, trombone tenore, xi­
lofono, woodblock, grancassa, 3 violini, 3 violoncelli e 3 contrabbassi.
Edizioni Bote und Bock. 7 minuti.
1957
Diamorphoses, musica elettroacustica per nastro magnetico a 4 piste.
I R.T.F. 7 minuti.
1958
Concret PH, musica elettroacustica per nastro magnetico a 4 piste.
R.T.F. 2.45 minuti.
1959
Duci, sonata per due orchestre: 2 ottavini, 2 oboi, 2 clarinetti in si be­
molle, 2 clarinetti in mi bemolle, 2 clarinetti bassi, 2 fagotti, 2 controfa­
gotti, 4 trombe, 2 tromboni, percussioni (2 rullanti, 2 tamburi, 4 bon­
ghi, 6 conghe) e archi (2, 2, 0, 8, 4). Edizioni Salabert. Durata variabile.
Syrmos, per 18 o 36 strumenti a corde (6, 6, 0, 4, 2 o il doppio). Edizioni
Salabert. 14 minuti.
Analogiques A & B, per 9 strumenti a corde (3, 3, 0, 2, 1) e nastro ma­
gnetico a 4 piste. Edizioni Salabert. 7 minuti.

175
1960
Orient-Occidenty musica per nastro magnetico a 4 piste. R.T.F. 12 mi­
nuti.
1960-61
Henna, per pianoforte. Edizioni Boosey & Hawkes. 9 minuti.
1956-62
ST/4y per quartetto d’archi. Edizioni Boosey & Hawkes. 11 minuti.
ST/10, per 10 strumenti: clarinetto, clarinetto basso, 2 corni, arpa, per­
cussioni (5 tempie-block, 4 tom, 2 conghe, woodblock) e quartetto d’ar­
chi. Edizioni Boosey & Hawkes. 11 minuti.
Morsima-Amorsimay per piano, violino, violoncello e contrabbasso.
Edizioni Boosey & Hawkes. 11 minuti.
1956-62
AtréeSy per 10 strumenti: flauto, clarinetto, clarinetto basso, corno,
tromba, trombone, percussioni (maracas, piatti sospesi, gong, 5 tempie-
block, 4 tom, vibrafono), violino e violoncello. Edizioni Salabert. 15
minuti.
1956-62
ST/48y per orchestra di 48 strumenti: ottavino, flauto, 2 oboi, clarinet­
to, clarinetto basso, fagotto, controfagotto, 2 corni, 2 trombe, 2 trom­
boni, 4 timpani, percussioni (4 tom, 5 temple-block, woodblock, tam­
buro, vibrafono, marimba) e archi (8, 8, 6, 6, 4). Edizioni Boosey &
Hawkes. 11 minuti.
Siratégie, sonata per due orchestre: 2 ottavini, 2 flauti, 2 oboi, 2 clari­
netti in si bemolle, 2 clarinetti in mi bemolle, 2 clarinetti bassi, 2 fagotti,
2 controfagotti, 4 corni, 4 trombe, 4 tromboni tenore, 2 tube, percussio­
ni (2 vibrafoni, 2 marimbe, 2 maracas, 2 piatti sospesi, 2 grancasse, 2x4
tom, 2x5 temple-block, 2x4 woodblock, 2x5 campane da capra) e archi
(12, 12, 8, 8, 6). Edizioni Boosey & Hawkes. Durala variabile.
1962
Polla la dhinay per coro di bambini e orchestra: 20 voci di bambini otta­
vino, flauto, 2 oboi, clarinetto, clarinetto basso, fagotto, controfagot­
to, 2 corni, 2 trombe, 2 tromboni, percussioni e archi (8, 8, 6, 6, 4). Edi­
zioni Modem Wewerka. 6 minuti.
Bohory musica elettroacustica per nastro magnetico a 8 piste (esiste co­
munque in versione a 4 piste). Edizioni Salabert. 23 minuti.
1963-64
Eontay per pianoforte e 5 ottoni: 2 trombe, 3 tromboni tenore. Edizioni
Boosey & Hawkes. 18 minuti.

176
1964
Hiketides, musica di scena per coro di donne e insieme strumentale: 50
soprani o mezzo-soprani che suonano percussioni (crotali, triangoli,
maracas, campane, campanacci, tamburi), 2 trombe, 2 tromboni, 2 vio­
lini, 2 violoncelli, 2 contrabbassi. Edizioni Salabert. 30 minuti.
Idem, suite strumentale per 2 trombe, 2 tromboni e archi (6 primi violi­
ni, 6 secondi violini, 8 violoncelli, 4 contrabbassi o un multiplo). Edizio­
ni Salabert. 10 minuti.
1964-65
Akrata, per 16 strumenti a fiato: ottavino, oboe, clarinetto in si bemol­
le, clarinetto in mi bemolle, clarinetto basso, fagotto, 2 controfagotti, 2
corni, 3 trombe, 2 tromboni tenori e tuba. Edizioni Boosey & Hawkes.
11 minuti.
1965-66
Oresteia, musica di scena per coro misto e orchestra da camera: ottavi­
! no, oboe, clarinetto, clarinetto basso, controfagotto, corno, tromba, in
re bemolle, tromba tenore, tuba, percussioni (strumenti tradizionali e
non usuali) e violoncello. Edizioni Boosey & Hawkes. 100 minuti.
Idem, suite di concerto per coro misto e orchestra da camera. Edizioni
Boosey & Hawkes. 46 minuti.
Terrèlektorh, per orchestra di 88 musicisti sparpagliati tra il pubblico:
ottavino, 2 flauti, 3 oboi, clarinetto in si bemolle, clarinetto in mi be­
molle, clarinetto basso, 2 fagotti, controfagotto, 4 corni, 4 trombe, 4
tromboni tenore, tuba, percussioni e archi (16, 14, 12, 10, 8) ciascun
musicista deve inoltre possedere: 1 woodblock, 1 frusta, 1 maracas, e 1
sirena Acmé. Edizioni Salabert. 18 minuti.
1966
Nomos alpha, per solo violoncello. Edizioni Boosey & Hawkes. 17 mi­
nuti.
1967
Polytope, spettacolo luminoso e sonoro con musica per quattro orche­
stre identiche: ottavino, clarinetto, clarinetto basso, controfagotto,
tromba, trombone tenore, percussioni (grande gong, woddblock giap­
ponesi, 4 toni), multipli di 4 violini e 4 violoncelli. Edizioni Boosey &
Hawkes. 6 minuti.
Nidts, per 12 voci soliste miste a cappella. Edizioni Salabert. 11 minuti.
Medea, musica di scena per coro d’uomini (che eseguono ritmi con cio-
toli di fiume o di mare) e insieme strumentale: clarinetto, controfagotto
trombone, violoncello e percussioni. Edizioni Salabert. 25 minuti.
1967-68
Nomosgamma, per orchestra di 98 musicisti sparpagliati tra il pubblico:

177

I
ottavino, 2 flauti, 3 oboi, clarinetto in si bemolle, clarinetto in mi be­
molle, clarinetto contrabbasso, 2 fagotti, 3 controfagotti, 6 corni, 5
trombe, 4 tromboni tenori, tuba, percussioni e archi (16, 14, 12, 10, 8).
Edizioni Salabert. 15 minuti.
1968-69
Kraanerg, musica da balletto per nastro magnetico a 4 piste e orchestra:
ottavino, oboe, 2 trombe, 2 tromboni e archi (multipli di 3, 3, 2, 2, 2).
Edizioni Boosey & Hawkes. 75 minuti.
1969
Anaktoria, per ottetto: clarinetto, fagotto, corno, 2 violini, viola, vio­
loncello e contrabbasso. Edizioni Boosey & Hawkes. 11 minuti.
Synaphai, per pianoforte e orchestra: 3 flauti, 3 oboi, 3 clarinetti, 3 fa­
gotti, 4 corni, 4 trombe, 4 tromboni tenore, tuba, percussioni e archi
(16, 14, 10, 10, 8). Edizioni-Salabert. 14 minuti.
Persephassa, per sei percussionisti disposti intorno al pubblico. Edizioni
Salabert. 24 minuti.

1969-70
Hibiki-Hana-Ma, musica elettroacustica su 12 piste magnetiche (esiste
anche in versione a 4 piste) per uno spettacolo audiovisivo, con base or­
chestrale. Edizioni Salabert. 18 minuti.
1971
Charisma, per clarinetto e violoncello. Edizioni Salabert. 4 minuti. !
Aroura, per 12 strumenti a corde (4, 3, 2, 2, 1) o un multiplo. Edizioni
Salabert. 12 minuti.
Persepolis, spettacolo luminoso e sonoro con musica elettroacustica per
nastro magnetico a 8 piste (esiste anche in versione a 4 piste). Edizioni
Salabert. 57 minuti.
Antikhton, musica da balletto per orchestra: 3 flauti, 3 oboi, 3 clari­
netti, 2 fagotti, controfagotti, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni tenore, tu­
ba, percussioni e archi (10, 8, 6, 6, 4). Edizioni Salabert. 23 minuti.
Mikka, per solo violino. Edizioni Salabert. 4 minuti.
1972
Linaio-Agon, per corno, trombone tenore e tuba. Edizioni Salabert.
Durata variabile.
Polytope de Cluny, per nastro magnetico a 4 piste. Edizioni Salabert. 24
minuti.
1973
Eridanos, per 2 corni, 2 trombe, 2 tube e archi (multipli di 2, 2, 2, 2, 2).
Edizioni Salabert. 11 minuti.
Evryali, per solo pianoforte. Edizioni Salabert. 11 minuti.

178
Cendrées, per coro misto di 72 voci e orchestra: 2 flauti (ottavino), 2
oboi, 2 clarinetti in si bemolle (clarinetto basso), 2 fagotti, 2 corni, 2
trombe, 2 tromboni, 1 tuba, archi (16, 14, 10, 10, 8). Edizioni Salabert.
25 minuti.
1974
Erikhthon, per pianoforte e orchestra: 3 legni più clarinetto basso, con­
trofagotto, 4 ottoni più 1 tuba, archi (16, 14, 12, 10, 8). Edizioni Sala­
bert. 15 minuti.
Gmeeoorh, per organo. Edizioni Salabert. 29 minuti.
Noomena, per grande orchestra: 3 flauti, 1 ottavino, 3 oboi, 1 corno in­
glese, 1 clarinetto in mi bemolle, 3 clarinetti, 1 clarinetto basso, 3 fagot­
ti, 1 controfagotto, 5 trombe, 4 tromboni, 1 tuba, archi (18, 16, 14, 12,
10). Edizioni Salabert. 17 minuti.
1975

Empreintes, per orchestra: 1 ottavino, 2 flauti, 3 oboi (corno inglese), 1
clarinetto, in mi bemolle, 2 clarinetti (clarinetto basso), 2 fagotti, 1 con­
trofagotto, 4 corni, 4 trombe, 4 tromboni tenore, 1 tuba, archi (16, 14,
12, 10, 8). Edizioni Salabert. 12 minuti.
Phlegra, per 11 strumentisti: flauto (ottavino), oboi, clarinetto in si be­
molle (clarinetto basso), fagotto, corno, tromba, trombone, violino,
viola, violoncello, contrabbasso. Edizioni Salabert. 14 minuti.
Psappha, per sola percussione. Edizioni Salabert. 18 minuti.
N’shima, per 2 corni, 2 tromboni, 2 mezzosoprani, 1 violoncello. Edi­
zioni Salabert. 17 minuti.
1976
Khoaì, per clavicembalo. Edizioni Salabert. 15 minuti.

179
V

Discografia e bibliografia

Francia
Barclay 920217, Anaktoria, Morsima-Amorsima, eseguito dall’Octuor
de Paris.
Boìte à Musique 070, Dìamorphoses (+ Schaeffer, Ferrari, Philippot,
Saugnet).
CBS 34-61226, Akrata, diretta da R. Dufallo (+ Del Tredici, Nono, Ta-
kemitsu).
EMI C063-10011, Akrata, Achorripsis, ST/IO, Polla Ta Dhina, diretta
da K. Simonovitch.
EMI CVC 2086, Atrées, Nomos Alpha, ST/4, Morsima-Amorsima, con
P. Penassou, quartetto Bernède diretto da K. Simonovitch.
EMI MCV 2086 c, Idem (minicassette).
EMI CVB 2190, Herma, eseguita da G. Pludermacher (+ Boucourech-
liev, Jolas).
Erato STU 70457, Nuits, eseguita dai Solistes des Choeurs ORTF diretti
da M. Couraud ( + Messiaen, Penderecki), Grand Prix du Disque 1968.
Erato STU 70526, Syrmos, Medea, Polytope, direttore M. Constant,
Grand Prix du Disque 1969.
Erato STU 70527/28, Kraanerg, diretta da Constant, Grand Prix du Di­
sque 1969.
Erato STU 70529, Nomos Gamma, Terretektorh, direttore Ch. Bruck,
Grand Prix du Disque 1969.
Erato STU 70530, Bohor I, Dìamorphoses II, Orient-Occident III, Con-
cret PH II, Grand Prix du Disque 1969.
Erato STU 70565, Oresteia, diretta da M. Constant.
Erato LDEV 523 (45 t.), Medea, Polytope, direttore M. Constant.
Le Chant du Monde LDX A 8368, Metastasis, Pithoprakta, dirette da

181
M. Le Roux, Eonta con Y. Takahashi, diretta da K. Simonovitch,
Grand Prix du Disque 1966.
Le Chant du Monde K60, Idem (minicassette).
Philips 835485/86 AY, Orient-Occident (+ Berio, Ferrari, Maderna,
Henry, ecc.)
Philips 835487, Concret PH, Analogiques A et B, direttore K. Simono­
vitch.
Philips 836897 DSY, Orient-Occìdent (+ Berio, Ferrari, Maderna, Du-
frène, Barronnet).
Philips 90 119 CAA, Orient-Occìdent (+ Berio, Kagel) (minicassette).
Philips 652 1020, Persephassa, eseguita da Percussions de Strasbourg.
Réalisations sonores n° 5, Xenakis parìe.
Philips T 652 1045, Persépolis.

Germania
Hòr Zu (Elektrola), Medea, Concret PH II, Orient-Occìdent III.
Deutsche Grammophon 2530562 (Polydor International), Nomos Al­
pha, eseguita da Siegfried Palm (+ Webern, Kagel, Zimmermann, Pen-
derecki, Brown, Yun).

Giappone
Distribuzione Nippon Columbia:
Erato STU 70526, Syrmos, Medea, Polytope.
Erato STU 70527/28, Kraanerg.
Erato STU 70529, Nomos Gamma, Terretektorh.
Erato STU 70530, Bohor I, Diamorphoses II, Orient-Occìdent III, Con­
cret PH II.
La serie di questi quattro dischi ha ottenuto il Grand Prix du disque in
Giappone.
RCA Victor Giappone, Stratégie, diretta da S. Ozawa e da H. Wakasu-
gi-
SJV 1513
JRZ 2501, Hibiki-Hana-Ma, diretta da S. Ozawa (+ Takemitsu, Taka­
hashi).
Sony CBS SONC 10163, Akrata (+ Del Tredici, Nono, Takemitsu).
Nippon Phonogram SFX 8683, Persépolis.

182
I

I
Gran Bretagna
Cybernetics Serendipity Music ICA 01,02, Stratégie (estratti) diretta da
S. Ozawa e da H. Wakasugi.
HMV, Nuits (+ Messiaen, Penderecki).
DECCA, Headline Series, HEAD 13, Antikhthon, Synaphai, Aroura,
diretta da E. Howarth.

Grecia
Lyra 251, Metastasis, Pìthoprakta, Eonta.

Olanda
Jeugden Muziek, Middelburg BVHAAST 007, Eonta, Herma, Evryali,
al pianoforte Geoffrey Madge, direttore P. Eòtvòs.
!
Stati Uniti
Angel S-36560, Atrées, Nomos Alpha, ST 4, Morsìma-Amorsima.
Angel S-36655, Herma (+ Boucourechiiev, Jolas).
Angel S-36656, Akrata, Achorripsis, ST/10, Polla Ta Dhina.
Boìte à Musique 070, Diamorphoses (+ Schaeffer, Ferrari, Philippot,
Sauguet).
Candide 31049, Syrmos, Medea, Polytope.
Columbia MS-7281, Akrata (+ Del Tredici, Nono, Takemitsu).
HMV S-ASD 2441, Atrées, Nomos Alpha, ST/4, Morsìma-Amorsima.
Limelight 86047, Orient-Occident (+ Berio, Ferrari, Maderna, Dufrè-
ne, Barronnet).
Mainstream 5000, Herma, eseguita da Y. Takahashi (+ E. Brown, Rey­
nolds, Takahashi).
Nonesuch 7120, Akrata, Pìthoprakta, direttore L. Foss(+ Penderecki).
Nonesuch H-71246, Bohor I, Diamorphoses II, Orient-Occident III,
Concret PH II.
Vanguard Cardinal 10030, Metastasis, Pìthoprakta, Eonta.
MHS 1187, Nuits, Medea (estratti) (+ Messiaen).

183
BIBLIOGRAFIA DEGLI SCRITTI DI XENAKIS

L’opera scritta di Xenakis comprende numerosi articoli pubblicati


su riviste di vari paesi. I primi si trovano nei numeri 1 (1955) e 6 (1956)
di “Gravesaner Blàtter”, pubblicati da H. Scherchen a Gravesano
(Svizzera). I più importanti sono stati ripresi nei libri di Xenakis:
Musiques formelles (numero speciale 253-4 della “Revue musicale”,
Richard-Masse, Parigi, 1963, pp. 232). Questo libro dà un’eccellente vi­
sione d’insieme dei problemi della composizione e della creazione come
sono concepiti da Xenakis; l’attenta lettura del particolare presuppone
cognizioni di matematica.
Formalized Music, Thought and Mathematics in Composition (In­
diana University Press, Bloomington-Londra 1971, pp. 273) è l’edizione
inglese di Musiques formelles ma integrata da un capitolo intitolato
New Proposals in Microsound Structure, molto importante perché indi­
ca le direzioni verso cui si orienta la creazione musicale di Xenakis. Vi si
trovano inoltre un’analisi di Nomos gamma e alcune pagine di filosofia
della musica.

BIBLIOGRAFIA SOMMARIA DEGLI SCRITTI SU XENAKIS

Charles D., La pensée de Xenakis, Boosey & Hawkes, Paris 1968.


BoiS M., Xenakis, musicien d’avant-garde nel “Bulletin
d’information”, 23, Boosey & Hawkes, Paris 1966; al saggio è allegata
un’importante conversazione tra Xenakis e Mario Bois del 4 marzo
1966.
Vandenbogaerde F., Analysede Nomos alpha, in ‘‘Mathématiques et
Sciences humaines”, 24, École pratique des hautes études, Paris 1968.
Rostand C., Xenakis (catalogo delle opere e biografia), Salabert, Paris
1972.
Fleuret M., lannis Xenakis (studio biografico, catalogo delle opere e
discografia), Discothèque de France, Paris 1972.
Musique en jeu, conversazione tra Xenakis, Daniel Durney e Domini­
que Jameux, Seuil, Paris 1970.
Xenakis, numero speciale di “L’Arc” con articoli di Bernard Pingaud,
Daniel Durney, Olivier Revault d’Allonnes, Maurice Fleuret, Francois
Genuys, Francois-Bernard Màche, Hanspeter Krellmann, Amadeus Ja-
kob Droschke, Louis Marin (volume corredato da bibliografia, disco­
grafia e da conversazioni con Xenakis), Aix-en-Provence 1972.

184
I
Revault D’allonnes O., La Création artistique et lespromesses de la
liberté, Klincksieck, Paris 1973. Cfr. il capitolo VII L’artisteet l’avenir:
lannis Xenakis et la modernité, pp. 217 sg.
Fleuret M., Xenakis, Éditions Joél Cuénot, Paris.
Ravault D’allonnes O.» Xenakis/Les polytopes, Ballane!, Paris
:• 1975.

185
INDICE

Nota all’edizione italiana 7

Prima parte
MUSICA

I. Teoria delle probabilità e composizione musicale 11


IL Le tre parabole 17
III. Formalizzazione e assiomatizzazione della composizione
musicale 21
IV. Tre poli di condensazione 25
A. Musica stocastica (libera) 25
B. Musica stocastica markoviana 29
C. Musica simbolica e insiemistica 31
V. Verso una metamusica 33
VI. Verso una filosofia della musica 55

Seconda parte
ARCHITETTURA
I. Il Padiglione Philips all’alba di una architettura 97
IL Note su un “gesto elettronico’’ 113
III. La città cosmica 119

Terza parte
MUSICA. ARCHITETTURA
Quaderno di illustrazioni 129
I. Varietà 145
II. Appendici 153
III. Conversazioni 161
IV. Catalogo delle opere musicali di Xenakis 175
V. Discografia e bibliografia 181
SPIRALI EDIZIONI
Collana “l’alingua” Collana “romanzi”
JEAN DANIEL, L'era delle rotture PHILIPPE SOLLERS. Paradis
CARLO FINALE, il linguaggio GIUSEPPE GRIECO, Liturgia di amore e
dell"'Unita' 1969-1979 di governi
JEAN-CLAUDE MILNER, L’amore della
lingua Collana “interventi”
JEAN DANIEL, Memoria al presente AA. W., La violenza è ancora rivoluzio­
ROLAND JACCARD, I cammini della naria?
disillusione KK. W., No» tutto è politica
PHILIPPE SOLLERS, Visione a New Collana “sembianza”
York FRANCO CUOMO. Nerone
ANDRÉ FONTAINE, La Francia addor­
mentata nel bosco “Clinica. Collana-rivista
JEAN-TOUSSAINT DESANT], Ilfiloso­ internazionale di psichiatria”
fo e i poteri 1, La paranoia, l'antropologismo
JEAN DANIEL. L’errore 2, In materia di amore. Studi sul discorso
ALESSANDRO DI CARO, Lévi-Strauss:
isterico
teoria della lingua o antropologismo? 3- La macchina telepatica. Studi sul di­
BERNARD-HENRY LÉVY, L'ideologia
scorso schizofrenico
francese
JACQUES AITALI, 1 tre mondi. Per una «Nominazione. Collana-rivista
teoria del dopocrisi internazionale di logica”
IANNIS XENAK1S, Musica. Architettu­
1, La sfida di Peano
ra 2, La scommessa della verità
Collana “nomi” “Causa di verità. Collana rivista in­
MOUSTAPHA SAFOUAN. Essere e pia­ ternazionale di diritto”
cere
1, L'istituzione psicanalista
KN. WL’intellettuale e il sesso
JEAN OURY, La psicosi e il tempo Collana “lettera e simbolo”
OCTAVE MANNONI, Un debutto che JEAN-MARTIN CHARCOT e PAUL RI-
non finisce CHER, Lé indemoniate nell'arte
JULIA KRISTEVA, Poteri dell'orrore. ACHILLE BONITO OLIVA. Il sogno
Saggio sull'abiezione dell'arte
VIV1ANE FORRESTER. La violenza del­
la calma Collana “poesia”
GILBERTO F1NZI, Tre formule di desi­
Collana “cifre” derio
FERNAND DELIGNY, 1 bambini e il si­ CESARE MILANESE. // tempo e l'ora
lenzio JUAN LISCANO, Nella notte venne e
SEBASTIANO ADDAMO, La metafora baciò le mie labbra
dietro a noi ENNIO CAVALLI, Carta intestata
UMBERTO SILVA, Il Cavaliere della
Paura Collana “insegnamento”
PIERRE NAVILLE, Trockij vivo AA. W., Filosofare

VEL EDIZIONI
Collana “lo scritto dello 13, L'arte dell'amante
psicanalista” 14, Il metodo della psicanalisi
15, La canzone dell'apocalisse. Per una
PIERRE LEGENDRE, Testualità
lettura della Peste
AA.W., New York: sesso e linguaggio
ARMANDO VERDIGLIONE
“Vel. Collana periodica di psicanali­ Fondazioni della psicanalisi
si” 0. La peste
12, La formazione dello psicanalista 1. Dio
SPIRALI
GIORNALE INTERNAZIONALE DI CULTURA
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Il dossier di gennaio è dedicato a
DIO
I prossimi dossier saranno dedicati rispettivamen­
te ai seguenti temi:
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LA VERGINITÀ (febbraio)
IL CARCERE (marzo)
LA VIGILIA DEL TERZO MILLENNIO (aprile)
LA GIUSTIZIA, IL DIRITTO, IL POLITICO, (maggio)
IL COLORE DELLA VOCE (giugno)
L’abbonamento annuo (11 numeri) è di L. 24.750 da versare sul
c.c.p. n. 12452207 intestato aspirali Milanoo da inviare tramite
assegno intestato a Spirali in Via Manzoni 14 - 20121 Milano

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JOURNAL INTERNATIONAL DE CULTURE
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Il dossier di gennaio è dedicato a
VERGINITÉ
I prossimi dossier saranno dedicati rispettivamen­
te ai seguenti temi:
LA CULTURE GOMME INVENTION (febbraio)
LE DIABLE (marzo)
CAUSE DE JOUISSANCE (aprile)
)
LA COULEUR DE LA VOIX (maggio)
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130 FF (in espresso o per l’estero 220 FF) da versare sul c.c.p.
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segno bancario intestato a Spirali in Via Manzoni 14 - 20121
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COLLANA-RIVISTA INTERNAZIONALE
DI PSICHIATRIA
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La macchina telepatica. Studi sul discorso schizofrenico, 3, giugno
1981 (L. 9.000)
Armando Verdigli on e, La peste a Venezia — Eugenio Borgna, Il silenzio delle
sirene — Jean Oury, La schizofrenia e il transfert — Massimo Meschini, La
macchina del tempo — Georges Lanteri-Laura, Il contributo di Philippe Cha-
slin e di Eugen Bleuler alla nozione di schizofrenia — Jean-Claude Malevai,
Smembrare la scrizofrenia — Giancarlo Ricci, Telepatia e realizzazione — Sil­
vano Arieti, Il contenuto della schizofrenia — Thomas Szasz^chizofrenia-, un
errore di categoria — Franco Mori, Il sembiante nel discorso schizofrenico —
Fabrizio Scarso, L’amore del tempo assoluto — Hermann Lang, L'inconscio
dello psicotico — Giorgio Moretti, Considerazioni intorno alla schizofrenia in­
fantile — Alessandro Bernath, Schizofrenia e metafora — Luigi Gianolla, La
schizofrenia e la lingua — Ruggero Chinaglia, L'assoluto — Euro Pozzi, Il
transfert e la sessualità — Max Beluffi, Leggendo Bleuler — Adriana Galim­
berti, Cura d'amore — Filippo Ferro, Figure della, crisi — Italo Carta, L’isti­
tuzione psichiatrica e il tempo — Alberto Merini, Il bisbiglio e l'ascolto —
Giuseppe Roccatagliata, Il cerchio magico madre-figlio — William G. Nieder-
land, Note intorno alla relazione tra il fatto e l'insorgere della malattia — lon
Vianu, Concezioni poetiche e antipoetiche della follia. I
L’abbonamento annuo (due numeri) è di L. 16.000 da versare sul c.c. postale
12452207 intestato a Spirali Milano, o da inviare tramite assegno bancario in­
testato a Spirali in via Manzoni, 14 - 20121 Milano.

CAUSA DI VERITÀ
COLLANA-RIVISTA INTERNAZIONALE DI DIRITTO
20122 Milano - Via Crivelli, 15/1 - Tel. 58.88.04
L’istituzione psicanalitica, 1, giugno 1981 (L. 12.500)
Armando Verdiglione, Addirittura — Elisabeth Roudinesco, La questione del
sembiante nelle istituzioni psicanalitiche — Emilia Cerutti, Seguace del tempo
— Vittorio Frosini, Metacritica dell'istituzione come diritto negativo — Sergio
Dalla Val, L'istituzione del sofista — Konstantin Stoyanovitch, La giurispru­
denza — Sonia Ferto, Il parricidio — Jacques Chazaud, Divagazione per una
critica (ana)cronica della ragione repressiva — Fabrizio Scarso, Dall'imperfetto
all'imperativo — Massimo Nobili, Processo penale: il « nuovo » volto di una
istituzione — Paolo Dusi, La misericordia dell’inquisitore — Germano Bellus-
si, Tempo, diritto, istituzione — Brunella Galante, Honni soit qui mal y pense —
Jean Florence, Della legge. Fantasmi e finzioni — Alessandro Giuliani, Impu­
tazione e giustificazione — Franco Baldini, La setta — Philippe Rappard, Lo
stato, la follia e la comunità in Francia e in Italia — Ake Lògdberg, Diritto
alla privacy — Sergio Jacomella, Tendenze e valori nel campo della difesa so­
ciale — J. Duncan M. Derrett, Date a Cesare — Marie-Jeanne Segers, La reto­
rica nel discorso giuridico — Hannu Tapani Riami, Aspetti della verità pro­
cessuale — Giuliana Sangalli, L’incurabile.
L’abbonamento (due numeri) è di L. 22.500 da versare sul c.c. postale 12452207
intestato a Spirali Milano, o da inviare tramite assegno bancario intestato a
Spirali in via Manzoni, 14 - 20121 Milano.
NOMINAZIONE
COLLANA-RIVISTA INTERNAZIONALE DI LOGICA
20122 Milano - Via Crivelli, 15/1 - Tel. 58.88.04
La scommessa della verità, 2, giugno 1981 (L. 12.000)
Armando Verdiglione, La verità come effetto della cifra — Cesare Milanese,
Fenomenologia dell'errore — Rudolf von B. Rucker, Verso una coscienza del
robot — F.C. Asenjo, Verità, antinomicità e processi mentali — Alessandro
Atti, Characteristica del sogno — Donald W. Mertz, Analisi delle Weltan-
schauungen di Kuhn. Il problema delle incommensurabilità Teoria-Natura —
Francesca Rivetti Barbò, Il mentitore e la verità — James Alexander e John
Friedman, La verità e la psicanalisi: l’edipo e la morte — Bruno Bertotti, Na-
mes — Dasharath Singh, La verità della matematica — Italo Bassi, Peano e la
logica dell’inconscio — Irving H. Anellis, La psicologia di Piaget, la matema­
tica costruttiva e l’interpretazione semantica della verità — Albano Unia, La
logica di Peano e la teoria degli insiemi di Zermelo — Stewart Shapiro, L’argo­
mento con la tesi di Church — Thomas Bjurlof, Elusività del discorso degli in­
siemi — Guillcrmo E. Rosado Haddock, Necessità a posteriori e contingenze
a priori in Kripke: alcune note critiche — Peter Eggenberger, La nozione di
realtà in Brouwer e le nozioni fondamentali del suo primo atto dell’intuizioni­
smo — Luciano Faioni, La funzione di rimozione — Letizia Lionello, Di una
variabile.
L’abbonamento annuo (due numeri) è di L. 20.000 da versare sul c.c. postale
12452207 intestato a Spirali Milano, o da inviare tramite assegno bancario in­
testato a Spirali in via Manzoni, 14 - 20121 Milano.

VEL
COLLANA PERIODICA DI PSICANALISI
20122 Milano - Via Crivelli, 15/1 - Tel. 58.88.04
La canzone dell’apocalisse. Per una lettura della Peste, 15, giugno
1981 (L. 10.000)
Ferruccio Masini, Latitudine della « peste » — Aldo Tagliaferri, Sul grado zero
dell’ideologia — Alberto Cappi, La perturbabilità del testo — Francesco Saba
Sardi, Linguaggio poetico e rigore scientifico — Stefano Lanuzza, Lessico della
peste — Ottavio Rossani, Lo scandalo della libertà — Luciano Pellicani, Di­
menticare Gramsci — Sandro Gennari, Dell’ineguale — Carlo Sini, Il destino
della psicanalisi — Ernesto H. Battistella, La peste della verità — Michel Ar­
rivò, I panni di Verdiglione — Pierre Kaufmann, L'elefante di Annibaie ha
riattraversato le Alpi — Marcelin Pleynet, La peste — Jean-Toussaint Desanti,
Una sintassi insolita — Octave Marinoni, Senza esca — Cesare Milanese, Sullo
stile — Andrea Battistini, Una retorica — Guy Scarpetta, Lo straniero — Phi­
lippe Sollers, La guerra e la peste — Fabrizio Scarso, Colore e punto vuoto —
Philippe Rappard, Di un discorso incompiuto — Aldo Miani, Teoria della vo­
ce — Gérard-Georges Lemaire, Un nuovo elogio della peste — Emilia Cerutù
La cultura di Freud — Claude Minière, Il movimento della peste — Viviane
Forrester, Poesia dell’inquietudine — Bernard-Henri Lévy, Il segnale d’allar­
me — Pierre-Marc de Biasi, La lingua oscura — Gilberto Finzi, La parola nel
suo atto — Emo Marconi, Il teatro della peste — Franco Cuomo, Le regole
della peste — Massimo Meschini, Il transfert dell’analista — Bettino Craxi,
Una nuova geometria.
L’abbonamento annuo (due numeri) è di L. 18.000 da versare sul c.c. postale
12452207 intestato a Spirali Milano, o da inviare tramite assegno bancario in­
testato a Spirali in via Manzoni, 14 - 20121 Milano.

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