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Ora con questa presentazione tenteremo non solo di trovare un fondo teorico che spieghi il perché le

bottiglie riempite d’acqua emettano dei suoni, come questo fenomeno trovi basi fisiche (già grandi
scienziati come Newton, Huygens avevano spiegato in qualche modo il fenomeno) con delle avvalorate
ipotesi. Ma non solamente, andremo anche a ricercare delle basi naturali alla teoria dei suoni, e a scoprire
come l’uomo si sia approcciato al suono.

VIBRAZIONE

Per definire il suono dobbiamo parlare di vibrazione.

- La vibrazione è provocata dalla forza elastica di alcuni corpi, solidi o gassosi.

Tendenzialmente dividiamo la vibrazione in due tipologie:

- quella irregolare e non uniforme, chiamata rumore


- quella regolare e uniforme, il suono.

Per produrre il suono vengono utilizzati relativamente pochi corpi: le corde, membrane, lamine, aria.

L’aria è un corpo sonoro solamente nel momento in cui è contenuta in un tubo rigido e allungato che
possiede almeno una via di comunicazione con l’esterno, una apertura. La vibrazione, o suono, dell’aria
contenuta nei tubi avvengono a causa di compressioni e dilatazioni provocate dall’introduzione di nuova
ARIA attraverso l’imboccatura, o foro di entrata.

Abbiamo compreso che il suono viene prodotto da compressioni e dilatazioni. Ma viene denominato tale,
cioè diventa suono, solamente nel momento in cui viene recepito dalle nostre orecchie che trasmettono
l’informazione al cervello. Per arrivare alle orecchie il suono passa nel mezzo che è l’aria. Costituita da
molecole che trasmettono l’una l’altra le vibrazioni, per mezzo di onde sonore. Conoscendo la velocità del
suono nell’aria (333 m/s a 0°, 340 ad una temperatura di circa 15°) si può perciò costruire un determinato
suono essendo a conoscenza di alcune nozioni sui tubi d’aria.

I tubi d’aria, in questo caso, tubi sonori, hanno un funzionamento che può richiamare quello della corda.
Infatti se chiusi da entrambi i lati formano al loro interno onde stazionarie con più o meno nodi e ventri,
ancorate ai lati opposti e chiusi. Con l’introduzione di un foro quello che accade è che l’aria può muoversi
avanti e indietro proprio in corrispondenza della sezione aperta. La base aperta del tubo riflette le onde
sonore, senza capovolgerne il profilo. In tal modo l’onda produce un ventre.

Con queste conoscenze, sappiamo che la relazione tra le variabili in esame, lambda, velocità, frequenza,
lunghezza del tubo, è quella di lambda = 4L/2n-1 con (n=1,2,3..). Ora la variabile n serve a determinare il
numero di armonica che si considera, in base alla legge che suddivide le frequenze in note, che studieremo
successivamente. CI basti sapere ora che consideriamo solo la prima armonica, per n=1.
(sperimentalmente si è verificato che proprio il denominatore 2n-1 produce solamente le frequenze di
ordine dispari).

Cosa è successo martedì in classe? L’esperimento è stato relativamente semplice. Con l’utilizzo di frequenze
stabili e universali, proventi del sistema temperato, ho cambiato la variabile L per modificare la frequenza
sonora prodotta soffiando nelle bottiglie. In pratica, riempiendo d’acqua le bottiglie, si genera circa
l’equivalente del restringimento del tubo. Dico circa poiché l’acqua in realtà genera anche una rifrazione nel
passaggio dai due mezzi differenti, che può essere in questo caso ignorata, poiché sarebbe udibile solo con
vibrazioni molto potenti e forti. D’altra parte l’acqua funziona come una parete liscia, che riflette il suono in
maniera perfettamente simmetrica, in base alle leggi delle riflessioni. Concludendo, l’acqua genera una
sottilissima rifrazione che può essere ignorata, e riflette il suono come se fosse il fondo innalzato della
bottiglia.

Perciò misurando l’altezza di acqua che ho utilizzato per produrre ciascuna nota, ho prodotto cinque suoni
differenti, cinque misurazioni che ho successivamente controllato a casa. In particolare:

(0,22 – 0,016) metri per La Bemolle (f= 415) 420,34

(0,22 – 0,06) metri per il do (f= 523) 535,93

(0,22 – 0,086) metri per Mi Bemolle (f= 622) 639,93

(0,22 – 0,04) metri per il Si Bemolle (f= 466) 476,38

(0,22 – 0,068) metri per il Re Bemolle (f= 554) 564,14

Ho in questo modo costruito i primi cinque gradi della scala maggiore su La Bemolle.

Il fatto che i valori non vengano estremamente precisi l’ho associato, unendo il calcolo delle incertezze,
all’inclinazione leggera della bottiglia presa in esame, sia nel corpo centrale, sia nell’imboccatura, sia alla
leggera rifrazione che il mezzo dell’acqua produce, unita all’inclinazione delle bottiglie nel momento
dell’esecuzione, che pregiudica, anche se di pochi decimi di millimetro, la lunghezza della bottiglia.

Provando a casa con una bottiglia differente (decisamente più spigolosa e inclinata) la sfasatura dei suoni
arrivava addirittura a due toni.

In ogni caso si può dire che con piccoli accorgimenti, e aggiustamenti all’ultimo, si può dire che la regola
teorica corrisponda effettivamente a ciò che accade in realtà. Gli accorgimenti all’ultimo sono dovuti ad un
fattore: il riconoscere le differenze di un quarto di tono, e di riportarle, dall’ottavo di tono a scendere, in
modo tale da renderle pressoché non percepibili dall’orecchio comune. Dico comune perché culturalmente
la nostra società si è abituata ad un preciso temperamento delle note. Qui comincio la sezione principale di
questa presentazione, che vuole proprio illustrare i fondamenti della musica moderna, e le problematiche
che certi personaggi e che possiamo dire lumanità ha riscotrato nel momento in cui si è dovuti passare dalla
teoria alla pratica, o meglio nel momento in cui, seguendo il metodo galileiano, si è dovuto spiegare con
regole teoriche il funzionamento delle note come venivano percepite naturalmente.

Perché ciò di cui parlo possa essere compreso a fondo, occorre fare qualche passo indietro.
La scala è una successione di suoni compresi nell’ambito di un’ottava. Il termine ottava però non deve
ingannare. Se si osserva la tastiera di un pianoforte (lo strumento che forse meglio visivamente rappresenta
la scala cromatica) si può notare come i toni siano 6. Allora perché si chiama ottava?

Qui entra in gioco il carissimo Pitagora. Proveniente da Samo, stabilì l’altezza dei suoni che costituiscono la
scala. Egli fece questa scoperta applicando alle onde (quindi alle frequenze) dei rapporti numerici: scopri
che l’intervallo di un’ottava si otteneva moltiplicando o dividendo la frequenza di un’onda per due.
Successivamente stabilì il rapporto di 3/2 per l’intervallo di quinta, e ottenne tutti i suoni della scala
diatonica (ovvero una scala formata da sette note, per capirci, do re mi fa sol la si, disinteressandosi quindi
delle rimanenti 5 note che sono oggi presenti (i 5 tasti neri del pianoforte).

Questa scala, che riuscì a costruire e che venne utilizzata durante l’età greca e cristiana fino al basso
Medioevo, soddisfaceva lo stilo omofono (un suono alla volta). Però venne fuori un problema:
l’affermazione dello stile polifonico. Polifonico sta a significare, sostanzialmente, l’utilizzo simultaneo di più
note insieme. Infatti gli esecutori notarono che gli intervalli di terza (do – mi) e di sesta (do- la), se eseguiti
simultaneamente, producevano un effetto dissonante. Sostanzialmente, venivano percepiti come “stonati”.

Ora, siccome l’utilizzo di strumenti non era ancora così diffuso, e per lo più la musica era legata ad un
aspetto sacro (in pratica si utilizzava per “scrivere” musica per la Chiesa, canti, inni, salmi), veniva
prevalentemente cantata, e i cantori, gli esecutori, risolvettero questo problema correggendo
semplicemente al momento dell’esecuzione la nota dissonante e rendendola consonante.

Ora, gli intervalli consonanti sono detti gli intervalli di ottava, o prima, quinta, terza maggiore, terza minore,
quarta e sesta. Gli intervalli dissonanti sono quelli che, in un certo senso, danno fastidio: stridono, e sono
tutti gli altri intervalli.

>Ora, con il sistema pitagorico, l’intervallo di sesta e l’intervallo di terza della scala diatonica, producevano
un effetto dissonante. Significa che, in pratica le note non erano precisamente al “loro posto”. Ma se
trattate simultaneamente, producevano una dissonanza, o “stonatura” per semplificare.

A questo punto cosa successe? Entrò in gioco Gioseffo Zarlino, creando la scala diatonica su altre basi, su
altri rapporti. Partendo infatti da tre tipi di intervalli: di tono maggiore (9/8), di tono minore (10/9), di
semitono (16/15).

Newton notò che la geometria dello spettro visibile coincideva con la geometria metrica dei suoni,
d’accordo con la scala naturale zarliniana. Infatti scrisse in Opticks, pubblicato a Londra nel 1704:

“(..) i colori rosso, arancione, giallo, verde, blu, indaco, viola [sono] proporzionali alle differenze di
lunghezza di un monocordo che suona i toni di un’ottava: sol, la , fa, sol, la, mi, fa, sol. [Cioè sono]
proporzionali ai numeri 1, 8/9, 5/6, ¾, 2/3, 3/5, 9/16, ½ (..)”

“Opticks”, 1704
Questa risoluzione andava a risolvere il problema delle terze e delle seste, ma rimanevano numerosi altri
problemi, il più grave dei quali era la duplicità dell’intervallo di tono. In pratica, fra do e re e fra re e mi
dovrebbe esserci lo stesso identico intervalli di 1 tono. Secondo la scala naturale o zarliniana fra do e re
c’era un intervallo di un tono maggiore (9/8) e fra re e mi un intervallo minore (10/9).

Perciò con gli strumenti a suono fisso (organo, clavicembalo) si sarebbe dovuta cambiare accordatura ogni
volta che l’esecutore cambiava tonalità. (re maggiore: da re a mi intervallo di 9/8 non di 10/9….)

Per ovviare a questi problemi, due teorici tedeschi, Werckmeister e Neidhart, inventarono un metodo
all’inizio del ‘700, che suddivideva l’ottava in dodici parti esattamente identiche. Il metodo in realtà era
stato “ideato” da Aristosseno di Taranto, nel 320 a.C., e caldeggiato da teorici nei secoli, tra cui il padre di
Galileo Galilei (Vincenzo).

Per suddividere l’ottava in parti uguali si utilizzò il rapporto dato dalla radice dodicesima di due, essendo
due il rapporto che intercorre in un intervallo di ottava. (1,05946)

Questa scala fu dunque una creazione dei fisici, che si discostava da quella naturale, andando a dividere
precisamente, temperando per l’appunto, da qui il nome della scala temperata, l’ottava e annullando le
differenze di suono che intercorrono fra una nota diesis e quella successiva, bemolle (do# e reb).

Ora, ancora oggi si discute abbondantemente a proposito del sistema temperato, ed è un conflitto fra le
persone che desiderano mantenere i sistemi più naturali, e quelli che invece sono sul fronte di Bach,
sostenendo il corso storico della suddivisione delle note.

Ultimamente c’è da dire che si può trovare ragione in tutte e due le tesi, e qualche musicista si diverte
anche nel farlo. Volevo concludere con un piccolo video, di due minuti, di questo pianista, cantante,
tuttofare… che è considerato un po’ una specie di divinità da chiunque si intenda di armonia (lo studio cioè
dei rapporti fra le note)

A sostegno del temperamento equabile, come venne denominato in seguito, uno dei più grandi
compositori della storia della musica, Johann Sebastian Bach, scrisse 24 preludi e fughe per tutte le tonalità
maggiori e minori delle 12 note della scala cromatica dedotta dal sistema ben temperato. Non contento, ne
scrisse altre 24 costituendo in due volumi una delle raccolte più importanti che bene o male ogni pianista
conosce. (io male…)

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