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MUSICOTERAPIA: MODELLO BENENZONIANO

Approccio teorico al modello


Benenzon
Elementi concettuali e basi teoriche del Modello Benezon
Elaborato negli anni settanta da Rolando Benenzon, medico, psichiatra e musicoterapeuta
argentino, il metodo è di stampo psicoanalitico e psicodinamico.
Si rivolge per lo più a pazienti che presentano difficoltà nella comunicazione e nella
relazione, siano esse di natura organica o di natura psicogena.

La musicoterapia benenzoniana è basata sul concetto di relazione: essa avviene tra


paziente/i e musicoterapista (e un eventuale coterapista) e si instaura in un contesto non
verbale nel quale l’atteggiamento dovrebbe essere aperto all’osservazione ed all’ascolto
del paziente, permettendogli di trovare uno spazio nel quale esprimersi ed essere
contenuto.
Nel contesto non-verbale il sistema percettivo del paziente viene stimolato da codici di
comunicazione alternativa alla parola quali linguaggio corporeo, sonoro, musicale e da
stimoli tattili, visivi e percettivi: l’obiettivo è il miglioramento dei processi comunicativi
e relazionali del paziente.

Il suono, la musica, il movimento e l’improvvisazione vengono utilizzati per creare


effettiregressivi e catartici al fine di avviare processi diagnostici e di cambiamento che
prendano in considerazione la relazione tra l’uomo ed il suono.

Le parole chiave della musicoterapia benenzoniana sono: ISO, setting e G.O.S.

L’ ISO, Identità Sonoro musicale, rappresenta il vissuto sonoro di ogni individuo. E’ un


concetto dinamico e storico al tempo stesso. Esso ha come caratteristica quella di
essere infinito, come lo è l’inconscio, verso l’interno, mentre è definito verso
l’esterno, poiché l’altro soggetto della relazione reagirà con un feedback alla
comunicazione attivata dall’incontro con l’ISO dell’altro.

E’ possibile distinguere diversi tipi di ISO:


-universale, inconscio, comprensivo dei suoni regressivo-genetici come battito cardiaco,
respirazione, voce materna;
-gestaltico, inconscio, cioè il vissuto sonoro dalla nascita all’età attuale;
-culturale, pre-conscio, corrispondente all’identità etnica di ogni individuo;
-gruppale, cioè l’identità sonoro-musicale che si sviluppa all’interno di un gruppo;
-complementare, preconscio, comprendente l’insieme dei quotidiani accomodamenti
dell’ISO culturale e gestaltico.

Il SETTING è l’insieme delle regole di riferimento del percorso di musicoterapia incluso


uno spazio ben strutturato, con caratteristiche precise ed elementi definiti, all’interno del
quale avviene la seduta e nel quale il paziente dovrebbe sentirsi contenuto.
Il setting benenzoniano deve essere di dimensioni sufficientemente grandi da permettere il
movimento, senza però creare un senso di dispersione, deve avere una limitata quantità di
stimoli che possano distogliere l’attenzione dalla seduta e sufficientemente isolato da
suoni esterni. Eventuali oggetti pericolosi, come lampade e armadi, devono inoltre essere
messi in sicurezza.

Il G.O.S., Gruppo Operativo Strumentale, è costituito da tutti gli strumenti sonoro-musicali


dei quali il musicoterapista fa uso all’interno della seduta per comunicare con il paziente.
Vi troviamo gli strumenti Orff integrati da una serie di oggetti di varia natura, forma e
materiale che risultino utili per il lavoro terapico. Caratteristica primaria degli strumenti
è che siano di facile utilizzo. L’uso degli strumenti, infatti, non ha alcune fine estetico,
ma serve ad approfondire la relazione tra paziente/i e musicoterapista.

Benenzon classifica gli strumenti secondo le modalità con le quali sono usati:
• sperimentale, è l’oggetto verso cui il paziente sperimenta una percezione;
• catartico, permette di scaricare una tensione;
• difensivo, permette di occultare tensioni interne;
• incistato, è usato secondo stereotipie e non finalizzato alla comunicazione;
• intermediario, permette la comunicazione tra due individui;
• integratore, permette la comunicazione integrando più individui.

Gli strumenti possono essere usati in maniera convenzionale o non convenzionale.

Il musicoterapista “gestisce l’ascolto e l’espressione dei codici della comunicazione


non verbale” (Benenzon- Wagner-De Gainza, 2006, pag. 99) e ha il compito di osservare,
percepire e contenere il paziente. Si occupa della gestione della seduta,
predeterminandone i tempi e strutturando una modalità di intervento.

E’ deputato a osservare il transfert del paziente, rispondendo con un proprio contro-


transfert, elaborato attraverso gli strumenti. Può essere affiancato da un collega co-
terapista o da un altro terapeuta della salute, che avrà la funzione di sostenerlo e aiutarlo
nella seduta. Il lavoro in coppia terapeutica permette una maggiore riflessione sulle sedute
e sul processo terapeutico, oltre che sul transfert ed il controtransfert. Aiuta inoltre ad
evitare un possibile burn out.

Bibliografia:
ALVIN J., La musica come terapia, Roma, Armando, 1968;
BASSOLI F. – R. FRISON, L’arte del Corano. Un modello sistemico-relazionale per la
riabilitazione psichiatrica. Esperienze di terapia con la famiglia, terapia di gruppo e
musicoterapia, Milano, Franco Angeli, 1998.
BENENZON R. O. – G. WAGNER – V. H. DE GAINZA, La nuova musicoterapia, Roma, Il
Minotauro, 2006;
BENENZON R. O. – L. CASIGLIO – M. E. D’ULISSE, Musicoterapia e professione tra
teoria e pratica, Roma, Il Minotauro, 2005.
BRUSCIA K. E., Definire la musicoterapia, Roma, Ismez, 1993.
BRUSCIA K. E., Modelli d’improvvisazione in musicoterapia, Roma, Gli Archetti, 1987.
EZZU A. – R. MESSAGLIA, Introduzione alla Musicoterapia, Torino, Musica Pratica, 2006.
GALIMBERTI U., Enciclopedia di psicologia, Torino, Utet, 2006.
LORENZETTI L. M., Dalla educazione musicale alla musicoterapia, Padova, Zanibon,
1989.
MANAROLO G., Manuale di Musicoterapia, Torino, Cosmopolis, 2006.
ZUCCHINI G. L., Animazione e disadattamento. La musica come terapia, Rimini –
Firenze, Guaraldi editore, 1976;

I principali modelli di musicoterapia


Per intraprendere la professione di musicoterapista, è importante conoscere i modelli e le tecniche
elaborati nel corso dello sviluppo della musicoterapia. L’approfondimento di tali conoscenze
teorico-pratiche è particolarmente utile anche sul piano della scelta delle tecniche (e dei relativi
presupposti teorici) che meglio si adattano al processo di cambiamento delle specifiche
problematicità che presenta il paziente.
Bruscia (in Benenzon, 1992) definisce “modello” un sistema completo di pratica consistente in:
principi teorici, finalità, indicazioni e controindicazioni, procedure e tecniche metodologiche, linee
guida per la relazione all’interno della pratica, aspettative nel processo di sviluppo, requisiti
formativi e competenze”.

Si riportano di seguito le principali caratteristiche e peculiarità riferiti ai presupposti teorici e ai


relativi risvolti applicativi dei cinque “modelli” indicati nella World Federation of Music therapy
nel congresso di Washington del 1999.

Modelli di Musicoterapia: il modello Benenzon


Il Dottor Rolando Benenzon, Medico Psichiatra della facoltà di Medicina dell’Università di
Buenos Aires, musicista e compositore, è considerato uno dei massimi esperti a livello mondiale
dell’applicazione della musicoterapia nei casi di autismo, di pazienti in coma e nel morbo di
Alzheimer. Il suo modello si basa sul concetto di ISO (Identità Sonora): “un’insieme infinito di
energie sonore, acustiche e di movimento che appartengono a un individuo e che lo caratterizzano”
(Benenzon et al., 1997, p. 22).
Secondo l’Autore tutti gli esseri umani possiedono un’identità sonora che li caratterizza e li
differenzia dagli altri. Questo flusso interno di energie deriva dall’eredità sonora del soggetto: dalle
esperienze intrauterine del periodo gestazionale alle esperienze sonore fatte dalla nascita in poi.
Secondo l’autore nell’inconscio ritroviamo un’energia sonoro – musicale in costante movimento,
detta ISO gestaltico e l’ISO universale.

L’ ISO gestaltico va a caratterizzare il singolo individuo ed è costituito da tutti gli elementi prodotti
a partire dal concepimento. L’ISO universale racchiude tutti i fenomeni sonori comuni agli esseri
umani: il battito cardiaco, il suono del respiro, dell’acqua e certi fenomeni sonoro – musicali che
diventano universali nei secoli (ad es. la scala pentatonica presente in tutte le ninna – nanne).
L’ISO universale può essere influenzato dall’ISO gestaltico. Il feto possiede esclusivamente la
dimensione inconscia per cui le sue uniche identità sonore sono l’ISO gestaltico e universale. Una
volta che le energie si “scaricano” passano a livello preconscio.

Benenzon introduce, successivamente, il concetto di ISO culturale, identità che raccoglie, dal parto
in poi (fin dai primi suoni della sala parto), tutte le esperienze culturali e gli stimoli sonori
provenienti dall’ambiente esterno.
Il concetto di ISO in interazione si stabilisce nel momento in cui una relazione (e un vincolo) si
forma: esso comprende la somma delle energie di due o più persone, in quest’ultimo caso si parla
di ISO di gruppo.
In quest’ultimo, l’ISO gestaltico e culturale di ciascun componente si adattano reciprocamente,
intrecciandosi tra loro per costituire un’identità creativa propria del gruppo in questione.

Il corpo della madre è considerato il primo oggetto intermediario di comunicazione tra il lattante e
la madre. E’ da notare che nelle sedute lo strumento musicale, finalizzato a diventare
“intermediario”, può, in realtà, essere utilizzato anche in altri modi: come oggetto incistato, quando
il paziente lo avvolge fino a farlo diventare parte di sé, di sperimentazione, catartico, quando è
utilizzato per scaricare tensione accumulata, difensivo, se viene suonato al fine di “nascondersi”
attraverso le proprie produzioni sonore.

All’interno del setting è posto l’insieme degli strumenti musicali definito GOS (Gruppo Operativo
Strumentale). Il GOS può essere costituito da strumenti tradizionali, strumenti di facile approccio,
strumenti costruiti con materiali naturali, strumenti creati dal paziente o dal musicoterapeuta.
Secondo il modello di Benenzon una seduta di musicoterapia dovrebbe articolarsi su tre punti
principali: l’osservazione, le associazioni corporeo-sonoro-musicali, l’isolamento riflessivo-attivo.

• L’osservazione è fondamentale nei primi momenti della seduta, durante i quali il musicoterapeuta deve
astenersi dall’agire e dall’esprimersi. Egli deve assumere una posizione ricettiva ma non può fare a
meno di comunicare con la sua sola presenza.
• Solamente dopo che il paziente ha individuato nel setting le proprie modalità espressive il
musicoterapeuta avrà un atteggiamento maggiormente attivo, utilizzando specifiche tecniche
d’interazione avviando, così, forme di dialogo sonoro.
• Nella terza fase, quella di isolamento riflessivo-attivo, il musicoterapeuta smette di agire e scinde la sua
attenzione fra ciò che proviene dal paziente e ciò che invece proviene dalle proprie sensazioni.
Solitamente le sedute che utilizzano questo modello si svolgono individualmente o in gruppo;
comunemente le sedute sono effettuate da una coppia terapeutica costituita da musicoterapeuta e da
co-terapeuta, quest’ultimo con funzione “stimolatrice”, di ausilio e di supporto.

Al fine di poter preparare al meglio ogni seduta successiva, il musicoterapeuta avrà cura di
compilare un protocollo, ovvero uno strumento di ricerca, di monitoraggio, insostituibile per il
musicoterapeuta.

Musicoterapia comportamentale-cognitiva
Il modello di musicoterapia Cliff Madsen ovvero il Brain Music Therapy (BMT) detta
anche Musicoterapia Comportamentale si riferisce ad un modello che deriva direttamente
all’epistemologia comportamentista nordamericana che tiene conto dell’uso del suono come stimolo
che possa intervenire sul sintomo specifico. La metodologia si rifà al concetto di stimolo-risposta.
È un metodo che predilige l’uso della musica come rinforzo contingente o stimolo di suggerimento
indirizzato ad aumentare o modificare i comportamenti di adattamento e ad eliminare i
comportamenti non adattivi” (Bruscia, 1993, definizione del IX Congresso Mondiale di
Musicoterapia, Washington 1999).

L’elemento sonoro musicale dunque è usato per cambiare il comportamento e ridurre i sintomi della
patologia piuttosto che per esplorare le cause del comportamento.
Modelli di Musicoterapia Creativa di Nordoff-Robbins
Il modello musicoterapico di P. Nordoff e C. Robbins è caratterizzato da un approccio di tipo
attivo. Tale approccio prevede in seduta la presenza di due terapeuti, l’uno si relaziona con il
paziente per facilitare l’apertura e la scoperta dell’elemento sonoro-musicale, mentre l’altro è
principalmente impegnato al pianoforte ed improvvisa sequenze sonoro-musicali relative al contesto
e al paziente.
Questo modello è stato messo a punto dai due autori attraverso un ampio lavoro con bambini affetti
da disturbi lievi e gravi di apprendimento (inclusa la sindrome di Down), da autismo, da disabilità
psico-fisiche e da disturbi dell’udito, inoltre è rivolto anche ad adulti affetti da disabilità
psicointelletive di diversa natura.

L’intervento musicoterapico è suddiviso in tre fasi:

• incontro e rispecchiamento,
• induzione alla risposta e alla produzione musicale,
• sviluppo delle abilità musicali ed espressive.
Il processo di crescita secondo Nordoff e Robbins si basa sulla tecnica dell’improvvisazione.

Tale tecnica segue uno sviluppo graduale cosi che i pazienti un po’ alla volta possano gestire questo
nuovo strumento di comunicazione e di contatto con la realtà.

La musica permette di raggiungere obiettivi di tipo intellettivo, emotivo, fisico-motorio, al fine di


tale raggiungimento sia il paziente che il musicoterapeuta sono i protagonisti stessi del processo.
Nell’improvvisazione musicale il paziente si sente stimato e compreso, grazie a questa tecnica egli è
in grado di ritrovare la sua identità personale.
Nel prossimo articolo continueremo l’approfondimento di alcuni modelli di
musicoterapia vedendo nello specifico i modelli della violinista Mary Priestley, della
dott.ssa Helen Bonny e della violoncellista Juliette Alvin.

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