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UNIVERSITÉ PARIS-SORBONNE

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRENTO


École doctorale III: « Littératures Française et Comparée »
22o ciclo della Scuola di Dottorato di Ricerca in
Letterature Comparate e Studi Linguistici
Laboratoire de recherche CRLC (Centre de Recherche en Littérature
Comparée)
Indirizzo specialistico in Teorie della Letteratura e Letterature Comparate

THÈSE / TESI
pour obtenir le grade de / per conseguire il titolo di
DOCTEUR DE L’UNIVERSITÉ PARIS-SORBONNE
DOTTORE DI RICERCA
Spécialité : Littérature comparée / Specialità : Letterature Comparate e Studi Linguistici

Présentée et soutenue par : / Presentata e difesa da :


Simona CARRETTA
le 24 février 2012 / il 24 febbraio 2012

Titre : / Titolo:
Il principio compositivo della variazione su tema nel romanzo
del Novecento

Sous la direction de : / Direttori di tesi :


M. le professeur Bernard Franco, Université Paris – Sorbonne (Paris IV)
Chiar.mo Prof. Massimo Rizzante, Università degli Studi di Trento

JURY : / COMMISSIONE :
Chiar.mo Massimo Rizzante, Professore, Università degli Studi di
Trento
M. Bernard Franco, Professeur, Université Paris - Sorbonne (Paris IV)
Chiar.ma Prof.ssa Anna Clara Bova, Professoressa, Università degli
Studi di Bari
M. Bertrand Westphal, Professeur, Université de Limoges

Année Académique : / Anno Accademico : 2011/2012


TESI DI DOTTORATO

IL PRINCIPIO COMPOSITIVO
DELLA VARIAZIONE SU TEMA
NEL ROMANZO DEL
NOVECENTO

1
Una volta il Cont e disse a Bach che gli sarebbe
molto piaciuto avere da lui alcuni pe zzi
da far suonare al suo Goldberg,
che fosser o insieme delicati e spir itosi,
così da poter distrar re le sue notti insonni (…).
Bach concluse che il miglior modo
per assecondare questo desider io fosse
scriver e delle Var ia zioni (…).
Sotto le sue mani, anche queste Varia zioni
divenner o modelli assoluti dell ’arte».

J. N. Forkel

2
INTRODUZIONE

Sfogliamo La Grammatica della musica (1965), piccola


enciclopedia delle tecniche musicali curata da Ottò
Kàrolyi. Alla voce Tema con varia zioni leggiamo:
«presentazione ripetuta più volte di un tema, ma ogni volta
modificato in qualche elemento»; è anche specificato che,
in genere, come soggetto di partenza per la delineazione
di questa figura formale, si preferisce un tema breve e
facilmente memorizzabile che ad ogni variazione risulti
ulteriormente sviluppato, così da rivelare tutte le sue
potenzialità melodiche ed armoniche 1.
In un altro manuale di introduzione al linguaggio della
musica apparso più o meno nello stesso periodo, Elementi
di composi zione musicale di Arnold Schönberg, il grande

1
La def i ni zi o n e è tr at ta d a ll a v oc e T e m a c o n v ar ia zi o n i , p . 13 7,
c om pr es a n el l a « P a r te t er za » F or m e mus ic a l i d i O . K àr o l yi , L a
G r a mm a tic a d e ll a m u s ic a. L a t e or ia , l e f o r m e e g l i s tr um e nt i mus ic a l i
( 19 6 5) , G . P es t e ll i ( a c ur a di ) , E i n au d i, T or i no 20 0 0.

3
maestro viennese, celebre per aver rivoluzionato i
tradizionali schemi compositivi basandosi proprio su un
uso sperimentale dell’arte della variazione, invita inoltre a
distinguere la variazione in quanto semplice modalità di
sviluppo del tema – comparabile, in tal senso, ai
procedimenti di modulazione (passaggio del tema da una
tonalità all’altra) o ripetizione, il cui impiego è necessario
allo svolgimento di qualsiasi discorso musicale – dalla
forma della variazione propriamente detta, intesa come
modello compositivo particolare, in cui essa è considerata
«il principio strutturale dell’intero pezzo» 2.
In realtà, nonostante l’arte della musica sia stata forse la
prima a valorizzare la tecnica della variazione come
concreta possibilità di organizzazione formale unitaria,
l’espediente di subordinare la struttura di un’opera alla
continua ripresa di uno stesso tema è adoperato anche in
altri ambiti artistici o intellettuali; questa molteplice
attrazione per lo stesso principio compositivo dipende
probabilmente dalla logica intrinseca al processo delle
variazioni che, implicando numerose approssimazioni ad
un unico oggetto da indagare, sembra rispondere alla
necessità di approntare un problema dato muovendo da
diverse prospettive.

2
A. Sc h ön b er g , E le m en t i d i c o mp os i zi o n e mus ic a l e ( 1 9 67) , t r a d . i t. e
Pr ef a z. D i G . M an zo n i , Ed i zi o n i S u v i n i Z er b on i , M il a no 1 9 69 , p. 1 72 . Cf r .
i n par t ic ol ar e l ’ i nt er o c ap i to l o « Il t em a c on v ar ia zi o n i » , pp . 17 2- 18 0 .

4
Allo stesso modo, secondo Françoise Escal, la forma del
rondò, basata sulla ripetizione ossessiva dello stesso
tema e riscontrabile sia in musica che in poesia, sarebbe
stata acquisita parallelamente dalle due arti come eco del
mito arcaico dell’eterno ritorno, che risponde al bisogno
psicologico di credere in un ritorno periodico degli
avvenimenti.
Così, conclude la studiosa, anche

«la f orma ‘a variazioni’, in quanto rif let te la logica


commutativa, è universale. È stata considerat a
appannaggio della m usica solo perché q uesta se n’è
avvalsa abbondantemente e con esit i brillanti nel
corso di tutta (o quasi) la sua stor ia. Inf atti, a volte
risulta dif f icile attr ibuir e una f orma ad un’arte in
particolare ed assegnarle un’or igine (…). Qual è
l’arte benef attrice, quale quella benef iciaria?» 3.

Considerazioni affini circa la polivalenza della struttura a


variazioni sono sostenute da Genette in Palinsesti. Il
critico sembra avvalorare l’ipotesi secondo cui, nonostante
la musica, tra tutte le arti, sia quella in grado di accogliere
la maggior varietà di forme compositive – visto che non è

3
«l a f or m e ‘à var i at i ons ’ , e n c e qu ’ e l le m a nif es t e l ’es pr i t d e
c om m uta ti o n, es t u n i v er s e l l e. E ll e a é t éc o ns i dér é e c om m e a p par t e na n t à
l a m us iq u e s e u l em ent par c e qu e c e l l e- c i l’ a ab o nd am m ent et br i l la m m ent
m is e à c on tr ib u ti o n t o ut a u l o ng ( o u pr es q u e) d e s o n h is to ir e. I l es t e n
ef f et qu e l qu ef o is dif f ic i l e d ’ im pu ter u n e f or m e à un ar t par t ic u l i er et d e lu i
as s ig n er u ne or ig i n e ( …) Q u e l es t l ’ ar t em pr un te ur , q ue l e s t ar t
po ur v o ye ur ? » ( tr a d. nos tr a) . F . Es c a l, Co nt r e p oi n ts . Mu s i qu e et
l it tér a tur e , Mé r i d i ens , K l inc k s i ec k , Pa r is 19 9 0, p . 1 62 .

5
subordinata, al pari della letteratura, al rispetto di una
logica lineare – alcuni dei principi da essa maggiormente
impiegati, come le tecniche di derivazione o variazione del
tema, non siano suo appannaggio esclusivo: la forma della
variazione, ad esempio, sosterrebbe anche l’invenzione di
alcuni progetti di arte figurativa, come la serie delle trenta
riproduzioni di Andy W arhol sul modello della Gioconda di
Leonardo da Vinci.
E se in questo caso il principio delle variazioni è impiegato
come strumento di elaborazione di un’architettura formale,
la cui logica seriale stimola la riflessione sul destino
dell’opera d’arte all’epoca della sua «riproducibilità
tecnica» 4, nelle Cento vedute del monte Fuji, che il pittore
giapponese Hokusai realizzò tra il 1826 e il 1834, l’idea di
raffigurare la montagna più alta del Giappone
inquadrandola da punti di vista diversi a seconda delle
stagioni o delle ore del giorno, sembra rispondere ad un
altro obiettivo artistico, specificato dallo stesso Hokusai
nella postfazione al volume che raccoglie le immagini:
quello di approfondire, di un determinato oggetto di studio,
i particolari nascosti che possono essere messi a fuoco

4
L’ as s oc ia zi o n e tr a l e c ons i d er a zi o n i c h e W alter Be nj am in es p o ne n e l l’
O p er a d ’a r te ne l l ’e p oc a d el l a s u a r i pr od uc i b i l it à tec n ic a ( 1 93 5) e l ’ op er a
d i W ar ho l è pr es e nt a ta d a S i l v i a Ba tt a gl i a i n G li S p ec c h i d ef or ma n ti :
c r ea r e per r ov i nar e , r ov i n ar e p er c r e ar e, d is p o ni b i le s u l la r i v is t a
G r is e ld a on l i ne . it .

6
solo mediante l’adozione di prospettive di volta in volta
diverse 5.
In quest’ultimo esempio, dunque, l’arte della variazione
svolgerebbe una delle sue funzioni più importanti, relativa
all’approfondimento degli aspetti essenziali dell’oggetto
che costituisce il tema.
Tale possibilità fa sì che questo principio compositivo sia
spesso privilegiato nella strutturazione di testi letterari.
L’arte del saggio letterario in particolare, che si distingue
dalla pratica dell’articolo accademico per il diverso
interesse nei confronti dell’oggetto di studio, che il
saggista cerca di saggiare, cioè di porre come tema di una
meditazione personale che non prevede alcuna

5
Ne l la p os tf a zi o n e a l v o lum e c h e r ac c o g l ie le C en to v e du t e d e l mo n te
F u j i, p u b bl ic at o la pr im a v o lt a n e l 1 83 4 , l o s tes s o H ok us a i di c h iar ò:
«D a l l’ e tà d i s e i a n n i ho l a m an i a d i c o p iar e la f or m a d el l e c os e , e d a i
c i nq u an t ’a n n i p ub b l ic o s p es s o d is e g ni , d i qu e l c h e h o r af f ig u r at o i n
qu es ti s ett a nt ’ a nn i n o n c ’ è nu l l a d eg n o d i c ons i d er a zi o n e . A s e tt an t atr é
an n i h o un po ’ i nt u it o l ’ es s en za d e l la s tr ut tur a di a nim a l i e d uc c e l l i,
i ns e tt i e p es c i, d e ll a v it a d i er be e p i a nt e e pes c i e p er c iò a o tt an t as e i
pr o gr e di r ò ol tr e; a n o va n ta ne a vr ò ap pr of o nd i to anc or p i ù i l s ens o
r ec o n d it o e a c en t o an n i a vr ò v er am ent e r ag g i un t o l a dim e ns i o ne d e l
d i vi n o e de l m er a v ig l i os o . Q u an d o ne a vr ò c en t od i ec i, a nc h e s o lo u n
pu n to o u na l in e a s ar an n o d ot at i di v it a pr o pr ia . S e p os s o es pr im er e un
des i d er io , pr e g o q u e l li tr a l or i s i gn or i q ue l l i c he g o dr a n no d i l un g a v it a d i
c on tr ol l ar e s e q ua n to s os t e ng o s i r i ve l er à i n f on da to . D ic h iar a to d a Ma nj i,
i l v ec c h io pa z zo p er l a p it t ur a ». T r a d. it a l ia na t r a tt a d a l la r i v is t a on- l i n e
ht tp :/ / www. a ik ik a i. i t/r i v is t e /3 1 01 /H ok us a i .h t m . Un al tr o es em p io d i o p er a
f ig ur a t i v a c o nc e p it a s ec o n do i l m ode l l o de l l e v ar i a zi o n i s u t em a è
r ap pr es en ta t o, s ec on do M i l an Ku n de r a , da i r i tr at t i- tr i tt ic i de l p it to r e
ir la n d es e F r a nc is B a c on , in ge n er e s tr ut tur at i n el l a f or m a d i «tr e
v ar ia zi o n i g i us ta p pos t e de l r itr at t o de l l a s t es s a p er s o na ; l e v ar i a zi o n i
d if f er is c o no l ’u n a d a l l ’a l tr a , e a l t em po s tes s o h a nn o q u a l c os a i n
c om une : ‘ i l tes or o, la p ep i ta d’ or o, il d i am an t e nas c os t o ’, l ’ ‘ io ’ d i u n
v o lt o» . C it . d a M. Ku n der a , U n i nc on tr o ( 2 0 08) , tr a d. it . d i M . R i z za n t e,
A de l p hi , M i la n o 2 00 9 , p. 2 1 .

7
archiviazione finale, mentre lo studioso mira a risolvere 6,
cioè ad offrirne un’interpretazione esaustiva, reperisce
nella forma della variazione il modo di inoltrare l’indagine
del tema considerato, pur salvaguardando la
consapevolezza dell’inevitabile relatività di ogni eventuale
risposta rintracciata.
Così, in Variazioni sui temi dell’Europa centrale (1986),
Danilo Kiš scansiona la sua riflessione sull’ambigua
nozione di Europa centrale in trentotto frammenti,
apparentemente disposti a caso, in realtà organizzati
secondo una precisa logica: un crescendo mirante a
sviscerare il tema del discorso secondo ottiche sempre più
personali, fino all’affioramento delle risonanze esistenziali
che questa analisi fa sorgere nell’autore 7.

6
Q ues ta l i ber a d ef i n i zi on e de l l o s t at ut o d e l s ag g i o è s ug g er it a d a i S ag g i
d i M on t ai g ne , pr im o e pr i nc i pa l e es p on e nt e di qu es t’ ar te ( e d. it a l i an a a
c ur a d i F a us ta G ar a v i ni , A de l p hi , M i la n o 1 96 6) . I n p ar t ic o lar e , s i c f r .
l ’ inc i p it de l C a p. I I, De l Pe n tir s i , p . 1 06 7 , c om pr es o n e l l i br o III de l
v o lum e I I: «I l m on do no n è c h e un a c on t in ua a lt a l en a. T u tt e le c os e v i
os c il l a no s e n za po s a : l a t er r a, le r oc c e d el C auc as o, l e p ir am id i d ’ E gi tt o ,
e p er i l m ov im en to ge ner a l e e p er il l or o pr opr i o. La s tes s ac os t a n za no n
è a l tr o c h e un m ov im ent o pi ù d eb o l e. Io n on pos s o f is s ar e i l m io o gg e tt o.
Es s opr oc ed e inc er to e v ac i l l an t e, p er u na na tu r a l e e bb r e z z a. I o l o
pr e n d o i n q ues to pu n t o, c om ’ è, n el ’ is ta nt e in c ui m i in t er es s o a lu i. N o n
des c r i v o l ’es s er e. D e s c r i v o il p as s ag g io : n on u n pas s a gg i o da un a et à
a ll ’ a ltr a ( .. .) m a d i g i or n o i n g i or n o , d i m in ut o i n m in u to( .. .) . Se l a m ia
an im a po tes s e s t ab i l i z za r s i , n on m i s a gg er e i , m i r is o l v er e i; e s s a è
s em pr e i n t ir oc i n i o e i n pr o v a» . Pe r un ul t er ior e a p pr of on d im ent o d el l a
na t ur a d i q u es t ’ ar t e , s i l e gg a i n ol tr e L ’ar t e d el s ag g io , pr ef a zi on e d i
M il a n K u nd er a a l li br o d i M as s im o Ri z za n t e, L ’A l b er o . S a g g i s u l
r o ma n zo , M ar s i l io , 2 0 07 Ve n e zi a , p p. 7- 8.
7
A d es em pi o, m ent r e i pr im i p ar a gr af i a p pr o nt a n o i l pr o b lem a
de l l ’ id e nt i tà d el l ’ E ur o pa c e ntr a le d a u n pu nt o d i v is ta p iù p o li tic o e
c u lt ur a l e , m an m ano c he s i a p pr os s im a a l l a f in e d e l s a g g io K iš dec l i na
l aq u es t i on e a l la l uc e de g l i ef f ett i c h e h a s p es s o pr o do tt o ,n e g li s c r it t or i
de l l ’ E ur o p a c e ntr a le , il s e ns o d i ap p ar t e n en za a q u es t a , c he è s ta t a

8
Il medesimo espediente di procedere per gradi
all’esplorazione di un tema, mediante la sua modulazione
progressiva, è adottato da Milan Kundera in molti suoi
saggi letterari: in Il Giorno in cui Panurge non farà più
ridere 8, ad esempio, la riflessione sugli obiettivi cognitivi
conseguiti dall’arte del romanzo è abbordata dapprima
attraverso il racconto dei malintesi che gravano sulle
opere di alcuni romanzieri, come I versetti satanici (1988)
di Salman Rushdie (e il conseguente rischio, nel suo caso
specifico, di essere giustiziato con l’accusa di blasfemia),
nel momento in cui si commette l’errore di disconoscerne
lo statuto puramente fittizio e le si interpreta come
semplice veicolo di trasmissione delle idee dei loro autori,
poi tramite l’evocazione della logica totalmente amorale
che sorregge il capolavoro di Rabelais, Gargantua e
Pantagruele (1532-1564), universo entro il quale tutti sono
colpevoli e allo stesso tempo nessuno ha torto e, ancora,
alla luce della personale esperienza dello stesso autore
Milan Kundera, più volte costretto a ribadire la non serietà
delle affermazioni presentate dai suoi personaggi – che,

tr o p po s p es s o c o ns id e r at a u na t er r a d i n es s un o : l ’as s e n za di un a s o li d a
tr a d i zi o n e l et ter ar i a na zi o n a l e s u c u i p ot er c o nt ar e, l a d if f ic o lt à a d
im por r e l a pr o pr ia l in g ua na t al e e la c ons e g ue n te s c el t a de l l ’ es il i o , c om e
un ic a s p er an za d i ver a l i ber t à i nd i v i du a l e( t ut te c on d i zi o n i s p er im en t at e
da l l o s t es s o K iš , c h e tr as c or s e in F r a nc ia g l i u l t im i v en t is e tt e an n id e l la
s ua v it a) .Cf r . D. K iš , Var i a zi o n i s ui te m i de l l ’E u r o p a c e ntr a l e, i n: I D,
Ho m o P oe t ic us . S ag g i e in t er v is t e, tr ad . i t. d i D. B a dnj e v ič , A de l p hi ,
M il a n o 20 0 9.
8
I l s a g gi o c os t it u is c e l a pr im a p ar t e d e i T e s ta m en t i tr ad i t i ( 1 99 3) , tr ad .
it . d i M . Da v er o, A de l p h i, M i l an o 1 9 94 , s ec on da op er a s a gg is t ic a d i Mi l an
K un d er a , d op o L ’A r te de l r o m a n zo ( 19 8 6) .

9
spiega, non vanno intesi come portavoce delle opinioni
dell’autore, ma come esseri autonomi, ciascuno fondato
sulla propria morale –, fino a far scaturire il tema
fondamentale del suo discorso: l’indagine sul particolare
tipo di saggezza dispensata dal romanzo, coincidente con
la sua natura ironica, connessa alla considerazione
dell’impossibilità di interpretare il mondo secondo una
qualsiasi verità univoca 9.
Il modello del saggio a variazioni, spesso assunto proprio
in funzione della complessità del tema che si intende
indagare, è impiegato da Michel Butor nel Dialogo con 33
varia zioni di Ludwig van Beethoven su un val zer di Diabelli
(1971), sorta di ispezione dei meccanismi e significati
reconditi sottesi al capolavoro beethoveniano, oltre che
celebrazione, per così dire, al secondo grado di questa
forma compositiva che, ricorda Butor, nasce come formula
d’omaggio: «È proprio perché si ama un’aria che si ha
voglia di riprenderla in tutti i modi possibili» 10. Attraverso
la disposizione alternata di «Interventi» (in tondo), che

9
S em pr e n e l lo s t es s o s a g gi o , K un d er a def i nis c e i l r om a n zo c o m e i l
«t er r it or i o in c u i è s os pes o og n i g iu d i zi o m or a le »: c o n t a l e af f er m azi o n e,
i l r om an zi e r e n o n i nt e nd e n eg ar e i n as s o l u t o l a le g it t im it à de l g i ud i zi o
m or al e, m a s em p l ic em en t e d ir e c he es s o va s pos t at o « o lt r e i c onf i n i d e l
r om an zo » . L a s os p ens i o ne d el g i ud i zi o m or a le è pr es u pp os to
i nd is pe ns ab i l e p er c hé i l l et t or e p os s a c og l i er e « l a r e l at i v it à de l l e u m ane
c os e » c he em ana d al r om an zo e il s u o i ns e gn am en to «a es s er e c ur ios o
de l l ’ al tr o d a s é» . Cf r . pp . 17 e 39 .
10
«C ’ es t par c e- qu e l ’o n a im e u n a ir qu ’ on l e r e d it de to u tes s or t es d e
f aç o ns » ( tr ad . n os tr a) . Cf r . M. B ut or , D i a l og u e av ec 33 v ar i at i ons d e
Lu d wi g v a n B ee t hov e n s ur un e v a ls e de D i ab e l l i, G a l l im ar d, Pa r i s 1 97 1 ,
p. 1 2 .

10
raccontano la genesi delle Variazioni Diabelli, e «Glosse»
(in corsivo), in cui l’opera viene confrontata con i modelli
del passato (come le Varia zioni Goldberg di Bach) –
struttura che sembra riecheggiare lo schema osservato da
Butor anche per i suoi romanzi, spesso basati su un
confronto polifonico «tra tempo della storia e incursioni nel
passato dei personaggi» 11 –, Butor dispiega i molteplici
livelli di lettura dell’opera.
La funzionalità della forma variazione su tema in quanto
schema di ordinamento della materia fa sì che tale
modello venga spesso applicato anche nell’elaborazione di
studi o lavori filosofici.
Claude Lévi-Strauss, ad esempio, oltre a intitolare «Tema
e variazioni» la prima parte del Crudo e il cotto (1964) 12,
struttura l’intera indagine descritta da Mitologica secondo
forme di origine musicale, in conseguenza ad una delle
tesi di fondo dell’opera.

11
De i r om an zi d i M ic h e l B ut or c i oc c up er em o i n s eg u it o . I n ta nt o , s e ne
r ic or d i n o a lm en o du e i n c u i l a vic e n da pr inc i pa l e v ie n e s o tt o pos t a ad u na
s er ie d i “ v ar ia zi o n i t e m por a l i” : L ’I m p i eg o d e l t em p o ( 1 95 6) , i n c u i i l d iar i o
s egr e to t e nu t o d al g i o va n e J ac qu es R e v el è or g a n i z za to s ec o n do un a
l og ic a b e n pr ec is a , c he a lt er na s is tem at i c am ent e al l a c r o n ac a d e gl i
e ve n ti at tu a l i i l r ac c o nt o d i q u el l i p as s at i e La Mo di f ic a zi o ne ( 19 57) , i n
c u i i l pr ot a go n is t a L éo n D a lm ont , i n tr e no d a Par i g i a R om a,s i di m entic a
p ia n p i an o d e l v i ag g i o pr es e nt e, ne l l a s i l en zi os a e voc a zi o n e d i t ut ti qu el l i
c om pi ut i i n p as s at o a bor d o d e ll o s t es s o m ez zo e l u ng o l a s t es s a t r at ta .
12
I l Cr u d o e i l c o tt o ( 19 6 4) , ins i em e a Da l m i el e a l l e c e ner i ( 1 96 6) ,
L ’O r ig i n e d el l e b u on e ma n ier e a tav o l a ( 1 96 8) e L ’U o mo nu d o ( 19 7 1) ,
c os t i tu is c e Mi t o lo g ic a , tr a le p i ù c e l e br i op er e d e l l ’a nt r o p ol o go Cl a ud e
Lé v i- S tr a us s e d e d ic at a a l l ’ an a l is i s tr ut t ur a le d ei m it i e la b or at i da l l e
po p o la zi o n i ab or ig e n e de l l ’ Am er ic a S et t en tr i on a l e e Ce n tr a l e.

11
Nel Finale dell’ultimo volume (L’Uomo nudo), Lévi-Strauss
sostiene che nell’era moderna, in seguito al
depauperamento della funzione sociale del mito, in quanto
modello di valori sacri, sarebbe stata l’arte della musica
ad ereditarne le principali logiche strutturali, quali la
tecnica del contrappunto e della fuga; in questo modo,
essa si sarebbe configurata come nuova riserva di modelli
compositivi, a cui le altre arti, come la letteratura,
avrebbero attinto in seguito.
Inoltre, lo stesso Lévi-Strauss riconosce di aver assunto le
strutture codificate dalla musica come criteri di invenzione
compositiva al fine di «costruire con dei significati
un’opera simile a quelle che crea la musica con dei
suoni» 13. In Esperien za e giudizio 14 (1939), opera postuma
che raccoglie le ricerche di Husserl sulla genealogia della
logica, anche il filosofo austriaco dedica ampi studi a
quella che definisce «libera variazione» 15, assunta in

13
C. L é v i- St r a us s , F i n a le , n e l l’ U om o nu d o, tr a d. it . di E . L uc ar e ll i , I l
S ag g i at or e , M i l an o 1 9 74 , p . 61 2 .
14
E. Hus s er l, Es p er ie n za e g i ud i zi o ( 1 9 9 9) , tr a d. i t. D i F . C os t a e L .
S am onà , Pr ef a z. d i F . Cos ta , B om pi a ni , M i l a no 20 0 7.
15
Iv i , p . 83 1. S ec on d o Hus s er l, p er ‘ va r i a zi on e ’ de v e i nt en d er s i l ’ in t er o
«pr oc es s o d i f or m a zi o ne d e l le v ar i an t i» : q u es t o pu ò es s er e g e ne r at o da
un a q ua ls i as i d at i tà d ’ es p er i en za c h e ve n ga c ons i d er a t a c om e ba s e p er
l a r ic er c a f e n om eno l o g ic a ; t a le pr oc es s o é , pe r d ef i n i zi o n e, a d li b it um ,
c i oè «s i c om pi e ne l l a c os c ie n za d i u n a p r o d u zi o n e a d l i b it um di v a r i an t i» .
Pr opr i o l ’ as p et t o m olt e p lic e d el l e v ar ia n t i ge n er at e é pr es u pp os to
f on dam en t al e p er c h é pos s a a v v e n ir e l a d e du zi o n e i nt u it i v a d e ll ’ e id os ,
l ’es s e n za in v ar i ab i l e. P er u n u lt er ior e a p pr of o nd im en to de l c o nc et to di
v ar ia zi o n e e l ab or at o d a H us s er l, c h e t er r em o pr es e nt e c om e im po r ta nt e
par am etr o d i c o nf r on t o n e l l’ a n al is i de l l e f or m e di va r i a zi o n e ne l r om an zo ,
s i c f r . i l I I C ap . d el n os tr o l a v or o : D al l a f i l os o f ia al r om a n zo : c o nfr o nt o
tr a m et o do e f or m a d e l la v ar i a zi o n e s u te m a . N e l f r at tem p o, s i c o ns id er i

12
questo caso come modello cognitivo che permette di
conseguire la «W esenserschauung» 16, la visione
d’essenza, che corrisponde all’intuizione della forma
universale necessaria, quel quid invariabile che costituisce
il tema 17 dell’indagine fenomenologica.
L’esplorazione, la più approfondita possibile, di temi intesi
come aspetti essenziali dell’esistenza definisce anche
l’obiettivo fondamentale dell’arte del romanzo 18, per la
quale la forma delle variazioni, comportando la
modulazione progressiva del tema di base, può
rappresentare uno dei principi compositivi più funzionali.
Tra i vari romanzieri che vi hanno fatto ricorso, Milan
Kundera, soprattutto, ravvisa in questo modello una
possibilità particolarmente efficace per superare il difetto,
a suo avviso comune a molti romanzieri, di strutturare le
opere secondo una sorta di dicotomia, per cui i temi (i
momenti davvero essenziali della riflessione) risultano

l ’ in ter o c ap .I I d e l la Se zi o n e T er za d i Es per i e n za e g i u di zi o: «L e
Un iv er s al i tà pur e o tt e nu t e m ed i an t e i l m et o do de l l a v is i on e d ’e s s en za » ,
pp . 8 29- 8 9 7.
16
Iv i , p. 83 0 .
17
Sem pr e in s e ns o h us s er li a n o, p er t e ma q u i i nt e nd i am o l ’ og g et to v er s o
c u i v i en e r i vo l to u n in ter es s e d i t ip o c on os c it i v o. A t a le p r op os it o ,
i n vi t iam o a c onf r on ta r e i l par .2 0 : «C onc e tt o s tr e tt o e c o nc e tt o a mp i o d i
i nt er es s e », p. 1 9 3, d e l C ap . I, Se zi o n e I d i E s per i e n za e g iu d i zi o , c it .
18
Q u es t a c o nc e zi o n e de l r om a n zo é a p pr o f on di t a da Mi l a n K un der a
ne l l ’ Ar t e d el r o m an zo ( 1 98 6) , tr a d. it . d i E .M ar c h i/ A. R a va n o, A de l p hi ,
M il a n o 1 9 8 8; s i c o n f r ont i i n p ar t ic o lar e l a s ec o n da p ar t e , D i al o go
s u ll ’a r t e d e l r o m an zo ( pp. 3 9- 70) , i n c u i i l r om an zi er e é d ef i n it o « un
es p l or at or e d e l l’ es is t en za » , e la qu ar t a, Di a l og o s ul l ’a r t e de l l a
c om p os i zi o n e ( pp . 10 5- 1 3 9) , i n c u i K un d er a s pi e ga c h e g l i un ic i tem i i n
gr a d o d i s os t e ne r e un r om an zo s o n o qu e l l i c h e es pr im o no « un
i nt er r og at i v o es is t e n zi a le ».

13
quasi staccati e separati rispetto ai «remplissages» 19 (dal
linguaggio musicale, vocabolo tecnico che designa le fasi
di transizione, i momenti di puro collegamento tra un tema
e l’altro); adottando quella che definisce «la strategia
beethoveniana delle variazioni» 20, Kundera riesce invece a
far di un suo romanzo un unico momento essenziale,
interamente teso allo sviluppo del tema esistenziale.
In Opere e ragni (1993) 21, scritto saggistico dedicato
all’arte beethoveniana della variazione, Kundera spiega
che un ideale estetico affine a quello del musicista
presiede alla realizzazione del Libro del riso e dell’ oblio
(1978) 22, scritto in un momento di svolta nel suo percorso
artistico.
Quest’opera, apparentemente composta da sette racconti
autonomi e disposti a caso, risulta in realtà un’unica
«grande composizione» 23, un romanzo, in cui ciascuna
delle sette parti corrisponde ad una diversa modulazione
dei pochi interrogativi esistenziali al centro del libro 24.

19
K un d er a il l us t r a l a d ic ot om ia tem i/ r e m pl is s ag es n el l a s es t a p ar t e de i
T es t a m en t i tr ad i ti , O p er e e r a g ni ; c f r . i n p ar tic o l ar e i p ar r . 4 e 5, p p. 14 8-
15 1 .
20
K un d er a r ic or r e ad un ’ a na l og i a m us ic al e per i l lus tr a r e il s ens o de l la
s c e lt a di b as ar e i s uo i r om an zi s u l l a c on t in u a r i pr o p os i zi o ne , «d a
m olte p l ic i p un t i d i v is t a », di poc h i in ter r og a ti v i es is t en zi a l i , c he s i
c onf ig ur a no c os ì c om e un ic o c r it er i o d i or g a n ic i t à e u n it ar ie t à d e l l’ op er a.
Cf r . I T es t a m en t i tr a d i ti , c i t. , p. 1 6 2.
21
C it .
22
M. K un d er a , I l L ib r o de l r is o e d e l l ’o b l i o ( 19 7 8) , tr a d. it . d i A . Mur a,
A de l p hi , M i la n o 1 99 1 .
23
M. K un d er a , I T es ta m en t i tr a d it i , c i t. , p. 1 50 .
24
G l i in t er r o g at i v i es is te n zi a l i a l c en tr o d el Li br o d e l r is o e de l l ’o b l i o,
c i nq u e p er l ’ es at te z za , s o no i l lus tr at i d a l lo s tes s o a ut or e n e l s u o Di a l og o

14
Nella sesta di queste parti-variazioni, l’autore interviene
direttamente per illustrare l’impianto del romanzo,
precisando che: «Tutto questo libro è un romanzo in forma
di variazioni. Le diverse parti si susseguono come le
diverse tappe di un viaggio che ci conduce all’interno di un
tema, all’interno di un pensiero, all’interno di una sola e
unica situazione (…)» 25; come Beethoven ravvisa nella
«strategia delle variazioni» il modo di disfarsi delle
convenzioni tecniche imposte dallo schema classico della
sonata, così Kundera considera questo principio capace
della massima concentrazione formale, in grado di
consentire «al compositore di parlare solo dell’essenziale,
di giungere dritto al cuore delle cose» 26.
Nonostante tale ricerca dell’essenza accomuni il
romanziere ad alcuni musicisti, come Beethoven, o ai
filosofi come Husserl, il romanzo, secondo Kundera,
rintraccia la sua legittimità in un’investigazione sugli
aspetti essenziali dell’esistenza che, tuttavia,
diversamente che in filosofia, non ricerca alcun carattere
di sistematicità, e che non comporta la rinuncia

s u ll ’a r t e d el l a c om p os i zi o n e, c i t. , p . 1 2 4: s i tr a tt a di « l ’o b l i o, i l r i s o, g l i
an g e li , l a l Ít os t , l a f r on t ie r a »; ne l l a s t es s a s ed e , K un d er a s p ec if ic a
i no l tr e c h e: «Q ues t e c i nq u e p ar o le pr i nc ip a li , ne l c or s o d e l r o m an zo,
s on o a n a li z za t e , s tu d ia te , d ef i n it e, r i def i n it e, e t r as f o r m ate c os ì in
c at e gor i e de l l ’ es is t en za . I l r om an zo é c os tr u it o s u qu es te poc h e
c at e gor i e, c om e u na c as a s u de i p i l as tr i ».
25
M. K un d er a , I l L ibr o d e l r is o e d e ll ’o b l i o, c it . , p. 2 0 1.
26
I v i, p . 2 00 .

15
all’espressione di un significato, distinguendosi così anche
dalla musica, arte per definizione areferenziale 27.
Appurata la compresenza della forma variazione su tema
ai più diversi ambiti artistici o intellettuali, può risultare
interessante tentare un’analisi dei particolari effetti
cognitivi ed estetici che essa realizza nel romanzo,
confrontandoli con gli esiti conseguiti dalla sua
elaborazione negli altri due casi tra i più paradigmatici, la
musica e la filosofia, per procedere poi ad un esame dello
statuto e degli obiettivi conoscitivi che contraddistinguono
l’arte del romanzo in particolare.
Questa riflessione muoverà da un’osservazione sul senso
che la questione più generale della forma assume nei tre
casi considerati e sulle diverse modalità secondo cui, in
musica, in filosofia e nel romanzo, viene posto il rapporto
tra la forma e il tema.

27
Cir c a l ’ ar ef er en zi a l i t à de l l a m us ic a e l a s ua c o ns eg u e nt e d if f er e n za
c os t i tu t i va r is pe tt o a ll a l e tt er at ur a , s i es pr i m e, tr a g li a ltr i , H . H . V uo n g:
« Su l l a d is p ar it à es s e n zi a l e tr a l e du e ar ti , la c r i tic a è pi u tt os t o f or m ale: è
im pos s i bi l e tr as c r i ver e ta le e qu a l e l a m us ic a, ar t e ‘ no n r a p pr e s e n ta t i va ’ ,
ne l l a l et t er a t ur a , ar te ‘r a p pr es e nt at i v a ’ c h e c om por ta d ue ‘g r a d i’ : u n
‘ ar a b es c o f o ne t ic o ’ e u na f u n zi o ne r ef er e n zi a l e, os s i a l a dis t i n zi o n e
l in g u is t ic a tr a s i g nif ic at o e s i gn if ic a nt e ». Ci t. d a Mu s i q u es d e r o ma n.
Pr ous t, Ma n n, J oy c e , pr es s es Un i v er s it a i r es E ur o pé e nn es , Br ux e l l es
20 0 3, p. 1 2 ( tr ad . n os t r a) . Cf r . L ’ or ig i n al e in f r anc es e : « S ur l a dis par i té
es s e n ti e l le e ntr e l es de ux a r ts , l a p ens é é c r it i qu e es t f or m el l e : i l es t
im pos s i bl e d e tr a ns c r ir e t e l l e qu e l le l a m us iq u e, q u i es t u n ‘ ar t n o n
r ép r es e nt at if ’ , d a ns l a l i tt er at ur e, ar t ‘r ép r es e n ta t if ’ q u i c om por t e d e ux
‘ de gr és ’: un e ‘ ar a b es q ue p ho n ét i qu e ’ et u ne f unc t i o n r éf é r e nt i e l le , s o it l a
d is t i nc t i on li n g uis t iq u e e ntr e s i g n if i é et s ig n if i an t» .

16
Capitolo 1

La variazione su tema dalla musica al romanzo

1.1 Repetita iuvant

Un qualsiasi avvenimento può essere davvero compreso


solo nel momento in cui viene ripetuto; solo la ripetizione
ne permette l’intelligibilità, ne sancisce l’esistenza. Per
Jan, il protagonista dell’episodio finale del Libro del riso e
dell’oblio, ciò è del tutto evidente.
All’amica Edwige, che biasima l’inclinazione maschile a
perpetrare da secoli il medesimo schema erotico, basato
sulla subordinazione della donna – «La donna che scappa
e si difende. La donna che si concede, l’uomo che prende.
La donna che si copre di veli, l’uomo che le strappa i
vestiti» 28 – , Jan risponde:

28
M . Ku n der a, I l L i br o d e l r is o e d e ll ’o b l i o, c it . , p. 2 5 3.

17
«Si, sono immagini idiote e idiot amente si ripetono.
Hai pienamente ragione. Ma se il nost ro desiderio
del corpo f emminile dipendesse propr io da quelle
immagini idiote e da loro soltanto?» 29.

Jan ha intuito la suggestione che le immagini archetipiche


esercitano sugli uomini: il presentimento, anche soltanto
inconscio, di riprodurre schemi mitici di ascendenza
millenaria ne influenza i comportamenti, in quanto sembra
conferire ad azioni e abitudini quotidiane il carattere della
necessità 30.
La medesima intuizione del potere, insito nella ripetizione,
di attribuire pregnanza agli avvenimenti è alla base della
vicenda raccontata nella Scuola del virtuoso 31 (1985),
romanzo di Gert Jonke (1946-2009), articolato in due parti.

29
I v i, p . 2 54 .
30
Q ues ta c onc e zi o n e d e l v a l or e c h e as s um e per g l i u om in i la r i pe t i zi o n e,
ne l L i br o d el r is o e d e l l ’o b l io f or m ul at a c om e s em pl ic e i p ot es i
r om an ze s c a , tr o v a r is c on tr o anc h e pr es s o s t or ic i e f i l os of i. N e l Mi t o de l l e
et er no r it or n o . Ar c he t i pi e r ip et i zi o n e ( 1 96 9) ( tr a d . it . d i G . C an t on i ,
E di zi o n i B or i a , B o lo g na 1 9 6 8) , M ir c e a E l ia de s os t ie n e c h e s i a pr o pr i o
ag l i u om in i es s er e « ar c h e ti p ic i e pa r a d ig m atic i» . Ne l l e s oc ie t à pr e -
m oder ne , inf a tt i , a d et er m in at i o gg et t i o a z i on i v e ni v a r ic on os c i ut o un
s i gn if ic a to s o lo q ua l or a f os s e i nt es o c om e u n ’ i m it a zi o n e o r i p et i zi on e d i
un ar c he t ip o , c i o è d i qu a lc os a c he f os s e s ta to g ià pr ec e d en t em ent e
pos t o e v is s u t o d a u n d i o o u n er o e, « un a ltr o c h e no n er a un u om o ».
Cf r . i n par t ic o l ar e i l I c ap ., Ar c h et i p i e r i pe t i zi o n e, i par r . «I l p r o b l em a »
( pp . 1 5- 18) e «I m i t i e l a s tor i a » ( pp . 55- 7 0) .
31
De l r om an zo d i J o nk e, n o n d is p on i b i le n e ll a tr a d u zi o n e it a l ia n a, s i ter r à
pr es e nt e l a v er s io n e i n f r a nc es e : G . J o nk e, L ’éc o l e du v ir t uos e ( Sc hu l e
des G e l äu f igk e it , 19 8 5) , tr ad . f r . di U. M u ll er e D . D enj e an , Pr ef a z. d i J - Y.
Mas s o n, É d it i o ns Ver d ier , P ar i s 1 9 92 . G i à i l ti t ol o , om a gg i o ag l i es er -
c i zi di ve l oc it à per p ia n of or t e ( O p us 36 5 ) d i K ar l C ze r n y, a v v i a la
d im ens io n e m us ic a l e c he r eg n a i n tu tt o i l r o m an zo d i J o nk e.

18
Al centro della prima, intitolata Presenza del ricordo, vi è
l’esperimento compiuto da una coppia di fratelli, Anton e
Johanna Diabelli: organizzare una festa che risulti del
tutto identica a quella data esattamente un anno prima,
nello stesso giorno della settimana, alla stessa ora;
verificare se, al ripresentarsi delle stesse circostanze, gli
invitati tendano spontaneamente a ripetere gli stessi
discorsi, gli stessi atteggiamenti, a rivivere i medesimi
sentimenti dell’anno prima.
Come spiega Johanna al narratore, il solo degli invitati a
conoscere la ragione segreta della festa, l’obiettivo
dell’esperimento è dimostrare la possibilità di sconfiggere
l’ordine cronologico, il cui fluire implacabile rende effimeri
tutti gli accadimenti umani: la ripetizione di un
avvenimento, infatti, produce una coincidenza tra due
momenti altrimenti distanti nel tempo; in tal modo, affranca
l’avvenimento rispetto al suo contesto contingente,
consacrandolo come evento realmente necessario.
Al contrario, come si desume dal romanzo, ciò che avviene
una sola volta e che non viene più ripetuto, è come se non
fosse mai accaduto 32.

32
Si r ic or da c h e q u e s ta i nt u i zi o n e p er c or r e a nc he d i v er s i r o m an zi
k und er ia n i ( o ltr e a l Li br o d e l r is o e d e l l ’o b l i o) ; a d es em pi o , «E i n m al is t
k einm a l» ( «Q ue l l o c h e a v v i en e s ol t an t o u n a vo l ta è c om e s e no nf os s e
m ai a v v en u to ») è il pr o v er b io t ed es c o c he c o nt i nu am en te s i r ip e te
T om áš , per s o n ag g io d el l ’ Ins os t e n ib i l e l eg g er e z za d e ll ’e s s er e ( M.
K un d er a , tr a d. it . d i G . Di er na / A . B ar ba t o, A de l p hi , Mi l a no 19 8 5) e c h e
r ap pr es en ta i l c uor e d e ll a s ua pr ob l em at ic a es is t en zi a l e . I l dr am m a d e l la
« le g ger e z za » , o v v er o i l ter r or e d e ll e r es p on s ab i l it à , c he lo as s e d i a, n o n

19
Proprio in quanto elemento di consolidamento del senso,
la ripetizione è spesso impiegata anche in campo artistico.
Šklovskij, ad esempio, enumera i diversi espedienti, tutti
basati sulla ripetizione, di cui la letteratura in prosa può
avvalersi per ritardare l’esposizione della trama e così
ottenere un effetto di suspense, oppure per agevolare i
lettori a rammentare i nomi o gli avvenimenti significativi.
Quest’ultimo obiettivo, di evidente importanza ai tempi in
cui la trasmissione delle opere avveniva solo oralmente, si
rivela efficace anche negli schemi romanzeschi dell’età
moderna: la riproposizione, in diversi momenti di un unico
romanzo, di episodi dello stesso tipo o di talune parole
chiave, assicura coerenza al testo e favorisce una
comprensione più approfondita del loro significato 33.
Commentando il valore che la tecnica della ripetizione
assume in letteratura, Edoardo Sanguineti osserva che, in
un testo, la presenza di luoghi ricorrenti determina
l’insorgere di un certo grado di musicalità: questo
favorisce il processo di apprendimento del brano, in
quanto ne costituisce un ulteriore elemento di scansione.
Non a caso, ricorda Sanguineti, alle origini, quando non
esisteva ancora alcuna netta distinzione tra le arti, «non
c’è canto, non c’è musica che non [fosse] accompagnata

è a l tr o c he l ’ al tr a f ac c i a d e ll ’ et er n a r i p et i zi on e de l t u tt o pr os pe tt at a d a
Ni e t zc h e, e c he c os ti t uis c e in v ec e il m a le de l l a «p es an te z za » ( c h e
c o lp is c e a ltr i p er s o na g g i de l r om a n zo) .
33
P er m agg i or i c h i ar im en t i, c f r . V . Šk l o vs k ij , T eor i a d e l la pr os a ( 1 92 5) ,
tr a d. it . d i C. G . de M i c he l is e R . O l i v a, E in a ud i , T or i no 19 6 7, p . 1 04 .

20
da parola, non esiste una musica strumentale originaria,
così come non esiste parola memorabile che non sia
musicalmente sostenuta» 34.
La presenza della musica facilita il processo di
memorizzazione di un testo proprio perché questa è l’arte
che più delle altre si avvale del procedimento della
ripetizione; lo si desume facilmente se si pensa, ad
esempio, all’impiego di un espediente tipico come il
ritornello nella canzone.
Nel Manuale di composi zione musicale che raccoglie gli
appunti di Schônberg per le lezioni universitarie di Los
Angeles 35, il maestro viennese indica nella ripetizione uno
dei più importanti principi di sviluppo di un brano:
un’opportuna varietà del ritmo o della melodia é
necessaria, ma perché questa non risulti talmente invasiva
da ostacolare il riconoscimento del soggetto musicale,
secondo Schönberg é necessario che sia disciplinata dal
ricorso ad una chiara articolazione oppure alla pura e
semplice ripetizione dei passaggi predominanti.
Anche in questo caso, la ripetizione permette di isolare un
motivo nello scorrere apparentemente casuale degli
elementi e di poterlo considerare parte di un disegno

34
E. Sa n gu i n et i, I l v i nc o lo p o et ic o, i n R. A r a g on a ( a c ur a d i) , L a r e go l a è
qu es ta : l a l e tt er a t ur a Po te n zi a l e , E d i zi o n i s c ie nt if ic h e i t al i a ne , Na po l i
20 0 2, p . 7 4.
35
S i tr a tt a d i E l em e nt i d i c o mp os i zi o n e m us ic al e d i Ar n ol d Sc h ön ber g ,
us c it o pos t um o n e l 19 67 a c ur a d i G e r ar d S t r an g . T r a d. i t. di G . M an zo n i ,
per le E di zi o n i S u vi n i Z er bo n i, Mi l a no 19 6 9.

21
organico, al punto che, secondo il maestro della
dodecafonia, «sembra che in musica l’intelligibilità sia
impossibile senza ripetizione» 36. Tuttavia ciò può avvenire
solo se il numero delle ripetizioni non supera un certo
limite: al contrario, troppe ripetizioni, o in ogni caso troppe
ripetizioni che non accolgano la minima varietà, non
corroborano il senso dell’elemento ripetuto, ma ne
producono il depauperamento.
Infatti, mentre un numero discreto di ripetizioni sembra
definire una sorta di circuito entro il quale l’elemento
ripetuto assume un senso, al contrario, un numero
eccessivo produce il superamento di questo schema
logico: l’oggetto delle ripetizioni si ritrova così
nuovamente proiettato in uno spazio informe, e visto che
non è più possibile ricondurlo ad alcun contesto, si
manifesta nella sua vacuità.
Conseguenze simili sono sperimentate dai protagonisti dei
romanzi La Scuola del virtuoso e il Libro del riso e
dell’oblio.
Nel primo caso, ad esempio, il bizzarro esperimento di
organizzare una festa ad imitazione di quella dell’anno
precedente consegue imprevisti effetti collaterali: la
coincidenza tra i due ricevimenti sarà tale che,
all’indomani dell’ultimo, gli invitati non riusciranno
neanche più a distinguerli l’uno dall’altro e ne

36
I v i, p . 2 0.

22
ricorderanno solo uno; il fenomeno della ripetizione,
infatti, se condotto al paradosso, piuttosto che affinarla,
instaura una sorta di automatismo della percezione che
impedisce l’identificazione e la comprensione dell’oggetto
ripetuto. Il narratore – la cui identità sarà svelata solo
nella seconda parte del romanzo – sarà il solo a scorgere,
tra tutti i particolari della festa nati come riflesso dell’anno
prima, gli unici che non sarà stato possibile riprodurre.
Grazie a questa capacità di cogliere nell’identico le
differenze, sarà il solo a conservare, nel corso della festa,
la distanza critica necessaria per sfuggire alla trappola
della compressione del tempo e della memoria in cui
cadranno gli altri e a poter quindi salvaguardare i propri
ricordi e la propria identità.
La riflessione sulla sottile linea di demarcazione tra senso
e non-senso della ripetizione costituisce anche il tema del
capitolo del Libro del riso e dell’oblio organizzato attorno
al personaggio di Jan, e non a caso intitolato Il Confine.
Jan conosce il potere della ripetizione di conferire senso
agli avvenimenti; tuttavia, si rende anche conto che, al di
là di un certo limite, troppe ripetizioni possono rendere
l’avvenimento più significativo insulso, quando non
addirittura grottesco 37.

37
Q u es t a p ar t ic o lar e dec l i na zi o n e de l c o n c et to di c onf in e é i l l us tr at a
anc h e es p l ic it am en te , at tr a ver s o l e r if l es s io n i d e l pr o t ag o nis t a: « P er c h é
ha s em pr e d a va nt i a g l i oc c h i qu es t a im m agi ne d el c o nf i n e? S i r i s po n de
c he pr o b a bi lm en t e s t a i n v ec c h i an d o: le c os e s i r i p et o no e a d o gn i
r i pe t i zi o n e per d o no u n p o’ de l l or o s e ns o . O , p iù es a tt am ent e , p er d o n o

23
È quanto, ad esempio, succede nel caso dell’amore: la
percezione di riprodurre codici di comportamento
perpetrati da secoli inizialmente ne accresce la magia,
poiché questi codici sostengono un immaginario comune
senza il quale probabilmente l’attrazione tra uomini e
donne non esisterebbe. Tuttavia, come Jan sperimenta
sulla propria pelle, per tutti arriva, presto o tardi, il
momento in cui la consapevolezza fin troppo lucida di
seguire da sempre i medesimi schemi mette a nudo la
natura meccanica dell’amore stesso, determinando così
l’impossibilità di cedere ancora al suo richiamo.
A meno che, anche in questo caso, non si riesca a
scorgere nella sequenza degli amori seriali il particolare
che si discosta dal resto e che quindi salva da
un’assuefazione passiva ai modelli.
Questa necessità di salvaguardare l’equilibrio tra
ripetizione e differenza vale anche in musica: da un lato,
la riproposizione dei motivi 38 permette l’identificazione
dell’idea musicale di base e assicura coerenza al testo;
dall’altro, ricorda Schönberg negli Elementi di
composizione, «la sola ripetizione spesso dà luogo alla

goc c i a a goc c i a l a lor o f or za v it a l e, c h e pr e s up p on e a u tom at ic am en t e u n


s ens o . I l c onf in e, d un qu e , s i g n if ic a p er J an l a m as s im a d os e am m is s ib i l e
d i r i pe t i zi o n i» . M . K un der a , Il l ibr o d e l r is o e d e l l ’o b l i o , c it . , p . 25 9 .
38
Si r ic or di c h e i n m us ic a, per m ot iv o, s i in t en d e l a p iù p ic c o l a u n it à d i
c om pos i zi o n e: es s o c ons is te d i alm e no d ue , tr e n o te e d i u n m od e l lo
r itm ic o c he s i a f ac i lm en t e r ic o n os c ib i l e. P i ù m oti v i c om pon g on o un te m a:
es s o é i nt es o c om e l ’ i de a c h e c o nf er is c e a l br a n o s e ns o un i tar i o.

24
monotonia, e questa può essere eliminata solo per mezzo
della variazione» 39.
Questa prevede la continua esposizione, presentata ogni
volta in maniera diversa, del medesimo tema 40.
Il principio compositivo delle variazioni su tema conserva
quindi il pregio di consentire allo stesso tempo la
ripetizione di alcuni elementi e di evitare che un’eccessiva
concentrazione sugli stessi impedisca di cogliere lo
sviluppo della composizione.

1.2 La variazione su tema da Bach a Schönberg

La musica, che consiste essenzialmente di composizione


formale 41, é forse l’arte maggiormente caratterizzata dalla
tensione dialettica verso i due principi di immanenza e
trasformazione. Probabilmente anche per questo, quasi fin
dalle origini della storia della musica, dunque prima
ancora di evolversi fino ad attestarsi in modello strutturale

39
A . Sc hö n ber g , E l em e nt i d i c o m pos i zi o n e m us ic a l e, c it ., p . 8.
40
R ic or d i am o i n o ltr e c h e l e v ar ia zi o n i pos s o n o es e r c i t ar s i s u ll a m e l od i a
de l tem a, o pp ur e r i g u ar d ar e al tr i as p et t i, c om e l ’a r m oni a o il r i t m o; in
bas e a l l’ a zi o n e , m agg i or e o m in or e, c he es er c it a no s u l t em a, s i
d is t i ng u on o p oi r is pe tt i v am ent e i n r a d ic a l i, m od if ic atr ic i o pp ur e
s em pl ic em ent e or nam en t al i . A ltr i c e n ni r el a t i v i a ll ’ im pi e go m us ic a l e de l l e
v ar ia zi o n i s u t em a s ono d is p o ni b i l i n e l p ar . V ar . 1: V ar ia zi o n i s u te ma :
un a f or m a m ent is , p p. 12- 2 1.
41
L a m us ic a, r ic or d a C l au d e Lé v i- S tr aus s n e l F i n al e d i Mi to l og ic a,
c or r is p o nd e i nf at t i a l pr o d ot to d i un i nc on tr o tr a s tr u tt ur e e s u o n o c h e
no n c o in v o l ge l a pr es en za d i s ens o. Cf r . C. L é vi- S tr aus s , i n p ar ti c o lar e,
i l F i n al e d e l l ’U o mo n u do , c i t.

25
autonomo e compiuto, il principio delle variazioni risulta
uno dei più importanti metodi di sviluppo di un brano.
Nel Medio Evo, ad esempio, è frequente il ricorso alla
tecnica detta frangere voces, che consiste nel
contrapporre alla melodia principale, generalmente
caratterizzata da un ritmo ad intervalli lunghi, linee
melodiche simili ma scandite ad un ritmo più incalzante;
una specificazione di questo procedimento, affermatasi nel
corso del Rinascimento, prevede invece di alternare al
ritmo di base sequenze ritmiche ad intervalli sempre più
brevi. Il principio delle variazioni su tema comincia in
questo modo ad assumere una delle sue funzioni più
tipiche, almeno in questa prima fase della sua evoluzione:
quella di complicare una linea melodica altrimenti troppo
semplice per supportare un’intera composizione.
Questo tipo di variazioni conserva un valore puramente
ornamentale: esse contribuiscono all’estensione della
trama musicale agendo solo sugli aspetti più superficiali
del tema, senza configurarsi come strumenti di un suo più
sostanziale approfondimento.
Tale meccanismo, ad esempio, alimenta due forme
musicali concepite per la danza, la ciaccona e la
passacaglia: entrambe sfruttano il principio dell’ ostinato,
che consiste nel ripetere insistentemente una stessa frase
musicale attraverso un intero movimento o un episodio di

26
esso 42. Per assistere, invece, alla promozione delle
variazioni da semplice florilegio, subordinato al tema, a
cardine dell’architettura di un’opera, é necessario
attendere il XVIII secolo.
Le Variazioni Goldberg 43 di Bach, composte tra il 1741 e il
1745, rappresentano uno dei primi esempi di variazioni
realmente “trasformatrici”: ovvero, di variazioni che
apportano una modifica sostanziale al tema di riferimento.
Nel caso delle Goldberg, il tema sembra essere
rappresentato dall’Aria iniziale 44; questa é poi riproposta in
una versione leggermente modificata nell’Aria a Capo
conclusiva, così determinando l’assetto circolare
dell’opera. Tra la prima e l’ultima Aria, si sviluppano trenta
variazioni, il cui pregio fondamentale risiede soprattutto
nei rapporti di perfetta simmetria che presiedono alla loro
concatenazione.

42
S ec on d o O t to K ár ol yi , p iù pr ec is am en te «s i pu ò af f er m ar e c he l a
pas s ac ag l i a è b as a ta s u u n t em a os t i n at o di c ar at ter is t ic h e m el od ic he
be n d ef i n it e ( t em a c he di n or m a s i tr o v a a l b as s o) , m entr e l a c iac c on a è
un a v ar i a zi o n e c on t i nu a i n c u i i l «t em a » é p iu tt os t o u n s e m plic e
c o ll e gam e nt o d i ac c or d i, c h e s er v e di b as e a c i as c un a v ar i a zi o n e» . In :
La G r a mm at ic a d e l la mus ic a, c it . , p. 1 36 .
43
L ’A r ia c o n d iv e r s e v ar ia zi o n i pe r c l av ic e mb a l o a d u e m a nu a l i ( BW V
98 8) , c o nos c i ut a c o n i l n om e d i V ar i a zi o n i G ol d be r g , d a l nom e
de l l ’ in t er pr e te p er i l q ua l e f ur o no i d ea t e, f u c om p os t a da J oh a nn
S eb as t i a n Bac h p er i l c l a vic em ba l o s ol o tr a i l 17 4 1 e il 1 7 45 e p ub b lic a te
a N or im ber g a da l l ’ ed i tor e Ba l th as ar Sc hm i d. R i p ar t i te i n d i ec i c ic l i e
m ode l la te a lt er n at i v a m ente s ec on d o tr e f or m e d i ve r s e ( l a da n za , la
toc c at a e i l c a no n e) , l e V ar ia zi o n i G o l db er g c os t it u is c o n o u n es e m pio d i
per f e zi o n e f or m al e, r eg o l at a da u na s er i e d i s c h em i m atem at ic i e
s im m etr i e , c h e l e c o nf er is c e un a c oes i on ef o r s e p ar i a nes s u n ’a l tr a op er a
m us ic a l e.
44
P er a lc u n i s t ud i os i, in v ec e, a nc he l’ Ar i a in i zi a l e c os t it u i r eb b e
un ’ u lt er i or e v ar i a zi o n e; s ec on d o t a le i nt er pr e t a zi o n e, qu e l la i d ea t a d a
B ac h s a r e b be u n a s u it e d i v ar i a zi o n i s en za t em a.

27
Secondo la leggenda, il ciclo delle Goldberg sarebbe stato
composto come antidoto all’insonnia di cui soffriva il conte
von Keyserling, amico di Bach; l’ascolto del basso ritmico
che sottende le trenta variazioni avrebbe dovuto aiutarlo a
scivolare nel sonno.
Alcuni studiosi sostengono l’infondatezza di questo
aneddoto, visto che la tecnica alla base di queste
variazioni appare troppo elaborata perché si possa
immaginare che potesse non impegnare fino in fondo
l’attenzione di un melomane come von Keyserling e
concedergli la distensione necessaria al riposo. Tuttavia:

«Come tutt i i malat i di insonnia ben sanno,


l’importante non é tanto f arsi cullare dalla
reiterazione di una t ematica, quant o di far scoccar e
la scintilla che permetterà il cortocircuit o del f lusso
di pensieri per sint onizzarli sulle onde dell’inconscio.
Ora, le Var ia zioni Goldberg sono mirabilmente
concepite per produrre questo eff etto: ciascuna di
loro cost ituisce un piccolo universo immaginario,
dotato delle proprie leggi e della sua coer enza» 45.

45
« L’ im po r t an t, c om m e l e s a it c h a qu e ins om ni aq u e, n ’ es t pas de s e f air e
ber c er p ar l a r é i té r at i on d ’ un e t hém at i q ue , m a is au c o n tr a ir e de
déc l e nc h er l ’ ét i nc e l l e q ui p er m et tr a d e c o ur t- c ir c u it er l ec our a nt d e la
pe ns ée p ou r l e br a nc h er s ur les o nd e s de l ’ i nc o ns c ie n t. O r , les
V ar ia t io ns G o ld b er gs o nt a dm ir a bl em en t c o n ç ues p ou r pr o du ir e c e t ef f et :
c hac u ne d’ e ntr e e l l e s c o ns t i tu e u n p et i t un i v er s im ag i na ir e, a v ec s es
pr o pr es l o is e t s a pr opr e c oh ér enc e ». ( t r ad . n os tr a) . N. Hus to n, Les
V ar ia t io ns G o l db er g, B ab e l, Pa r is 19 8 1, p . 1 12 .

28
L’osservazione del critico musicale Franz Blau,
personaggio del romanzo di Nancy Huston intitolato Le
Variazioni Goldberg, sottolinea il nuovo statuto di queste
variazioni, che non si configurano più come semplici
esercizi di stile ma appaiono ormai quasi indipendenti dal
tema. La possibilità indicata dalle Goldberg di costruire
un’opera modulando in chiave sempre diversa la
medesima istanza di partenza, dai tempi di Bach non
cessa di suggestionare la creatività, oltre che dei
compositori, anche di diversi scrittori, che hanno
sperimentato le varie soluzioni a cui può dar luogo la
traduzione di questa struttura nel romanzo.
Le Variazioni Goldberg (1981), opera d’esordio dell’autrice
canadese Nancy Huston, può essere inteso come una
variazione romanzesca sul capolavoro di Bach.
Il romanzo appare suddiviso in trentadue capitoli, tanti
quante le unità di cui si compone il ciclo delle Goldberg;
trentadue è anche il numero dei personaggi del romanzo,
un gruppo di amanti della musica classica, invitati ad
assistere ad un’esecuzione delle variazioni di Bach.
Più esattamente, ogni capitolo introduce un personaggio
diverso, il quale espone in prima persona ricordi ed
impressioni suscitati dal concerto, fino a perdersi in
divagazioni più generali.
Al centro dell’attenzione generale, oltre alle stesse
Variazioni Goldberg, il personaggio di Liliane Kulainn,
interprete del concerto e, in quanto organizzatrice della

29
serata, l’unica del gruppo a conoscere tutti gli altri:
ascoltandola suonare, ogni personaggio si troverà a
riflettere sul particolare rapporto che lo lega a lei.
Anche nel romanzo di Yves-Michel Ergal, L’Offrande
musicale 46 (1993), il protagonista è una pianista, Ingrid
Weber, la cui fama è legata soprattutto alla sua
interpretazione delle Varia zioni Goldberg.
Così, nonostante il titolo del romanzo alluda ad un’altra
opera di Bach 47, anche questo risulta strutturato secondo il
meccanismo che presiede il ciclo delle Goldberg: i vari
capitoli, in tutto trentadue, corrispondono ciascuno ad una
variazione Goldberg diversa e ad altrettanti periodi della
vita della pianista.
I romanzi di Ergal e Huston, entrambi ispirati al modello
delle Varia zioni Goldberg, ne evidenziano tuttavia aspetti
diversi. Dell’opera di Bach, Ergal sembra valorizzare
soprattutto la coerenza organica, per cui le variazioni, pur
rappresentando ciascuna una composizione compiuta,
collaborano ad una definizione più approfondita del tema
di riferimento.
Così, la scansione del romanzo in capitoli-variazioni
risulta governata da un criterio di unitarietà tematica: la
rievocazione dei diversi “capitoli” dell’esistenza di Ingrid

46
Y- M. Er ga l e, L ’O ff r a n de mus ic a le , C alm a nn - Lé v i , P ar is 1 99 3 .
47
In qu es to c as o, s i tr a t ta d el l ’O ff er ta m us ic a l e ( BW V 1079 ) , un a r a c c o lt a
m us ic a l e c om pos t a da d uef ug h e, d iec i c an o n i e u na tr io s on a ta ,
c om pos t a d a B ac h ne l 17 4 7 i n o nor e d e l r e d i Pr us s i a.

30
Weber, a cui le variazioni di Bach risultano
simbolicamente associate, mira a cogliere il vero io della
pianista, la cui misteriosa natura costituisce la questione
tematica, nonché il motore del romanzo.
Nella sua elaborazione romanzesca delle Variazioni
Goldberg, Huston sembra invece porre maggiormente in
risalto la novità rappresentata dall’indipendenza di queste
variazioni rispetto al tema.
Il romanzo, infatti, non è strutturato attorno ad una
qualche unità tematica, ma presenta una configurazione
seriale: le riflessioni dei diversi personaggi non
confluiscono verso una questione centrale, quale ad
esempio avrebbe potuto essere, anche in questo caso, la
ricerca della vera identità della pianista Liliane Kulainn,
unico elemento di raccordo tra tutti i personaggi 48.
Liliane o il concerto non costituiscono il tema, il punto di
arrivo di una riflessione unitaria sviluppata dal romanzo e
corroborata dai diversi punti di vista dei vari personaggi;
al contrario, forniscono solo il pretesto, il punto di avvio
per l’esposizione delle storie di vita dei vari personaggi, in
cui consiste il vero scopo del romanzo.
Nell’interpretazione romanzesca che Nancy Huston offre
del capolavoro di Bach, le variazioni (corrispondenti ai vari

48
In qu a nt o a ne l l o d i c on g i un zi o n e d i t ut t i i p er s o n a gg i d e l r om an zo ,
qu e l lo d i L il i a ne è l ’ u n ic o a d as s um er e la f un zi o n e d i n ar r at or e no n i n
un o s o l ta nt o , m a in du e c a pi t ol i : n on a c as o , i c a p it o l i c or r is po n de nt i a l l e
du e A r i e i n i zi a l e e c o n c l us i v a .

31
personaggi che gravitano attorno alla figura della pianista)
detengono l’assoluta sovranità nella gerarchia strutturale
dell’opera, al punto da non richiedere quasi più la
presenza di un tema.
Il potenziamento dell’autonomia delle variazioni rispetto al
tema è ulteriormente sviluppato da Beethoven, le cui
Trentatré varia zioni sopra un val zer di Diabelli 49 (composte
tra il 1819 e il 1823) rappresentano un’altra tappa
importante nella storia dell’evoluzione di questo principio
compositivo.
Secondo André Boucourechliev, uno dei migliori
commentatori di Beethoven, al posto di mostrare un unico
oggetto sotto luci diverse – obiettivo in cui consiste, al di
là di tutte le categorie o gradi di trasformazione possibili,
la definizione più generale della forma variazione –, «le
Variazioni Diabelli presentano trentatré ‘oggetti diversi in
un’unica luce’» 50.
In questo caso il tema non risponde ad un’invenzione
dello stesso autore delle variazioni, ma è desunto

49
In u na pr im a f as e , i l c ic l o d i v ar i a zi o n i n e c om pr en d e va s o l o 23 ; l e
a ltr e d ie c i v en n er o ag g iu nt e n e l 1 82 3 ( d o nd e i l n um er o 1 20 de l l ’ o pus ) .
50
Cf r . A . Bo uc our ec h l ie v, B e et h ov e n , P ar is , S eu i l, 1 9 63 , p . 91 : « I n vec e
d i pr es e nt ar e ‘ l o s te s s o o gg et t o s ot to luc i d i v er s e ’ – in c u i p otr e bb e
c ons is ter e , a l d i là d i tu tt e l e c a te g or ie e i gr ad i d i tr as f or m a zi o ne , la
def in i zi o n e p iù g en er a l e de l l a var i a zi o ne , le V ar ia zi o n i Di a be l l i
pr es e nt a no tr en t atr è ‘ og g et t i d i v er s i s o tt o u n ’u n ic a l uc e ’» . ( tr a d. n os tr a) .
Cf r . l’ or i g in a le i n f r an c es e : « Au l i eu d e pr é s en t er ‘l e m êm e o bj e t s o us
des lum i èr es d if f ér en tes ’ – c e q u i p our r a it ê tr e, p ar - de l à t ou t es l es
c at é gor i es et d egr és de tr ans f or m ati o n, l a déf in i t io n l a p l us gé n é r a le d e
l a va r i a ti o n, l es V a r i at i ons D i ab e l l i p r é s en t en t t r e nt e- tr o is ‘ obj ets
d if f ér e nts d a ns l a m ê m e lum i èr e qu i les tr a v er s e ’ ».

32
dall’esterno: si tratta di un piccolo valzer proposto dal
compositore austriaco Anton Diabelli ad una cinquantina di
musicisti, perché ciascuno lo rielabori con una propria
variazione.
Beethoven, inizialmente restio ad accogliere l’invito, vi
ravvisa in seguito la possibilità di operare uno
sconvolgimento di molti principi formali fino a quel
momento alla base delle composizioni, e in particolare dei
rapporti tra tema e variazioni.
Quello offerto da Diabelli, semplicissimo e già articolato in
due parti, peraltro identiche, sembra infatti creato apposta
per essere vivisezionato; di conseguenza, rappresenta lo
spunto ideale per ideare, piuttosto che facili ornamenti,
vere e proprie parodie sul tema 51.
Ciò che resta del tema, nelle trentatré variazioni
presentate da Beethoven, è appunto soltanto la sua
ombra: al posto di sottolinearne gli elementi principali e
così posizionarlo come centro aggregante dell’opera,
queste variazioni traggono linfa dalle sue più insignificanti
particelle, che inglobano poi in forme varie e disparate,
come la fuga, il minuetto o la marcia; ad esempio, già la
prima variazione, che secondo i canoni avrebbe dovuto

51
A q u es t o pr o pos i to , M ic he l Bu t or ( q ua lc h e a nn o d o po l a p ub b l ic a z i on e
de l s u o D i a lo g o c o n 3 3 v ar i a zi o n i d i L ud w ig v an B ee th ov en s u u n t em a d i
Di a be l l i, c i t. ) s c r i ve c he i n q ues t ’o p er a s i r eg is tr a il p as s ag g io «d a l la
s tr u tt ur a t e m a e v ar i a zi o n i a ll a s tr utt ur a v ar ia zi o n i , c he in Sc hö n be r g
d i ve nt er à v ar i a zi o n e per p et ua » . C it . d a M. Bu t or , «I n F o r m a d i
i ntr od u zi o n e . R is po s t e a Ma r i o L av a g et to » , i n: M . Bu t or , S e i s ag g i e s e i
r is pos te s u Pr o us t e il r o ma n zo , P r a t ic h e E d i tr ic e , P ar m a- L uc c a 19 77 .

33
ricalcare la struttura del tema, sancendone in tal modo la
conferma, ne stravolge i tratti essenziali.
Le ultime variazioni elaborano inoltre alcuni motivi desunti
da altre celebri opere a variazioni, come ad esempio le
Variazioni Goldberg (a cui rimanda in particolare la
Variazione n.31) o la Sonata n.32 – opus 111, ulteriore
monumento all’arte della variazione realizzato dallo stesso
Beethoven nel 1822; ciò sembra confermare l’impressione
che le Varia zioni Diabelli rappresentino una sorta di
teorema sulla metafisica delle variazioni.
Come già nel caso delle Varia zioni Goldberg, la libertà
compositiva dimostrata dalle Varia zioni Diabelli attira
l’attenzione non solo di musicisti; in letteratura, le opere
che riecheggiano questo modello si dimostrano altrettanto
innovative sul piano strutturale.
Ad esempio, sia il Dialogo con 33 variazioni di Ludwig van
Beethoven su un val zer di Diabelli condotto da Butor, sia il
romanzo La Scuola del virtuoso, da Beethoven non si
limitano a trarre solo lo schema a variazioni ma, proprio
alla maniera delle Diabelli, sembrano sperimentare tutte le
potenzialità creative insite a questa forma compositiva.
Il Dialogo presentato dal saggio di Butor, ad esempio, non
consiste solo nello scambio intrattenuto dall’autore con
l’Opus.120, ma anche in quello che l’autore ricrea tra
quest’ultima e gli altri esempi di variazioni su tema che
l’hanno preceduta o che ad essa hanno fatto seguito.

34
Allo stesso modo, il romanzo di Jonke combina almeno
due modelli di variazioni: quello rappresentato dalle
Diabelli e un altro, introdotto dall’Opus 111, sonata
beethoveniana dall’architettura formale senza precedenti 52.
Il riferimento alle Variazioni Diabelli caratterizza
soprattutto la prima parte del romanzo, dedicata
all’episodio della festa: esso si concretizza, ad esempio,
nell’omonimia che associa il celebre compositore austriaco
all’organizzatore della serata, il fotografo Anton Diabelli,
per il quale «la realtà non è credibile finché non l’ha
catturata con una delle sue macchine (…). Da cui ne
consegue che, spesso, vive gli avvenimenti solo quando si
sono svolti e compiuti da tempo» 53. Questo indizio rivela
un duplice significato.
Da un lato, evidenzia una certa affinità esistente tra il
progetto musicale delle variazioni, animato dal vero
Diabelli, e l’esperimento architettato dal personaggio di
Jonke, ugualmente desideroso di verificare le

52
Com pos ta tr a il 1 8 21 e i l 1 8 22 , i ns i em e a l l e Var i a zi o n i D ia b el l i q ues t a
s on a ta ( l a n. 3 2) c os t i tu is c e un a de l l e ul t im e c om pos i zi o n i p er p i a nof or t e
d i Be e th o v en . D a a l lo r a a l c e n tr o d e l l’ a tt e n zi o n e de i m us ic ol o g i per v ia
de l l ’ or ig i na l i tà c h e n e c ar a tt er i z za l a s tr u tt ur a ( a d if f er e n za d e i c l as s ic i
tr e o qu at tr o, c o ns ta d i s o l i d ue m ov im en ti per a ltr o m olt o d i v e r s i tr a
l or o) , qu es ta s o na t a h a is p ir at o p iù vo l te a n c he l ’ im m agin ar i o le tt er a r i o ;
Ne l Dok to r F a us tus ( 19 4 7) , a d es em pi o , T hom as Ma n n d e d ic a s v ar ia te
pa g i ne a l l ’ an a l is i de l l ’ Ar i et ta f i na l e.
53
G . J o nk e, L a Sc u o la de l v ir t uos o, c it ., p. 19 . T r ad . m ia da l f r a nc es e :
« la r é a l it é n ’es t pas c r éd i b l e t a nt q u ’i l n e l ’ a pas pr is e a vec u n de s es
ap p ar ei ls ( …) C ’ es t p our q uo i , s o u ve nt , i l n e v it l es c h os es qu e
l or s q u ’ el l es s o nt p as s ées et r é v o l ues d e pu is l o ng t em ps ».

35
conseguenze provocate dalla riproposizione di una stessa
situazione.
Dall’altro, questo accostamento sembra avere lo scopo di
preannunciare il destino fallimentare a cui andrà incontro
l’esperimento della festa: contrariamente a quanto
auspicato dall’organizzatore, esso infatti non darà luogo a
delle perfette ripetizioni, ma appunto a delle variazioni 54;
queste ultime, tuttavia, risulteranno percepibili solo a chi
sarà in grado di scorgere, nella ripresentazione 55 degli
eventi passati, le sostanziali differenze.
La suggestione delle Varia zioni Diabelli sembra influire
anche nella concezione strutturale di questa prima parte,
organizzata intorno alla serie di aneddoti e personaggi
speculari che animano la festa.
Ad esempio, i quadri di Florian Waldstein, affissi sugli
alberi del giardino in cui si svolge il ricevimento e che
ritraggono i particolari nascosti alla vista dalla superficie
stessa del quadro; la conferenza del poeta Kalbrenner
sulle immagini-duplicato del mondo; la confessione,

54
C ons u lt a a nc he J - Y. Mas s on , Pr ef a zi o n e a ll ’ ed i zi o n e f r a nc es e de l la
Sc uo l a d e l v ir t u os o, c it ., p p . 7- 10 . In par t ic o lar e p a g. 9: « L e n om m êm e
du p h ot o gr a p h e, h om on ym e d u m us ic i e n v i en n o is s ur u ne va ls e du q ue l
B ee th o v e n c om pos a s es c é l èb r es V ar ia t io ns op us 1 2 0, s em bl e pr o m ettr e
qu e q u e lq u e v ar i at i on , j us tem en t, ne s au r a i t m anq u er d e s e g l is s e r da ns
c e pr oj e t d ’u n e im pos s i bl e r é p ét i ti o n» .
55
No n a c as o , r ic or di am o, q ues t a pr im a p ar t e d el r om an zo , po r t a i l t it o lo
d i Pr es e n za d e l r ic or d o. ( N el l ’ e di zi o n e f r anc es e d i r if er im en t o, Pr és e nc e
du s o uv en ir . V d. p p. 1 5- 12 5) . I l t it o l o d e ll a s ec on d a,G r a d us ad
P ar n as s u m, e voc a in v ec e a nc or a un o gg e tt o m us ic al e : s i tr a tt a d e l la
r ac c o l ta d i p ic c o li s t ud i per p ia n of or te d i Mu zi o C l em ent i , m us ic is t a
c on t em por a n eo a Be et h o ve n ( il c u i “ f a nt as m a” , c om e s i d im os tr er à,
a le g gi a i n t ut to i l r om an zo di J onk e) .

36
espressa dal narratore, del circolo vizioso in cui è
sprofondato ormai da anni, una sequela insensata di giorni
che si ripetono sempre uguali: tutti questi episodi
richiamano la questione principale della prima parte – il
conflitto tra abitudine alla ripetizione e necessità della
variazione –, quale emerge pian piano nel corso della
vicenda, fino alla presa di coscienza finale.
Il narratore, grazie alla sua capacità di notare le piccole
variazioni che separano l’ultima festa dalla precedente,
riesce finalmente a spezzare il cerchio della ripetizione,
ovvero a sottrarsi alla routine esistenziale in cui era
scivolato. Tuttavia, l’individuazione delle varie implicazioni
esistenziali insite alla dicotomia ripetizione/variazione
come vera unità tematica della Scuola del Virtuoso non è
possibile se non interpretando le vicende esposte nella
prima parte alla luce della seconda.
Pur immergendo i lettori in un universo spazio-temporale
quasi del tutto estraneo alla prima parte, Gradus ad
Parnassum – questo il titolo della seconda parte – ne
recupera, sviluppandoli ulteriormente, i motivi principali.
Questo tipo di costruzione, oltre a generare un singolare
effetto contrappuntistico per l’accostamento di due storie
dalle atmosfere così diverse, permette di ravvisare nella
Scuola del virtuoso le linee di un progetto organico; e ciò

37
nonostante l’assenza di una vera unità d’azione che
accomuni prima e seconda parte 56.
Tale suddivisione in due sezioni, indipendenti solo in
apparenza, rivela come l’architettura generale del
romanzo, prima che alle Diabelli, sia principalmente
ispirata all’Opus 111; la maggiore particolarità di
quest’opera consiste nel fatto che, in completa antitesi
rispetto ai canoni tradizionali – che prevedevano per la

56
Me n tr e a ll ’ a na l is i d e l l ’or i g i na l e s tr ut tur a a l la bas e d e l la Sc uo l a d e l
v ir t u os o s ar an n o d e dic at er if l es s io n i p i ù a p pr of o nd i te ne l l a Sec o nd a P ar te
de l pr es e nt e l a vor o, i n q u es t a s e d e e v i d en zi am os opr a tt ut to l e a na l o gi e
pr es e nt i tr a q ues t o r o m an zo e l ’O p us 1 11 d i B e et h o ve n.
Un ’ a ltr a c o nf er m a d e l l ’ im por t a n za c h e q ues t o m ode l l o m us ic a l e a s s um e
per i l r om an zo d i J o nk e è of f er t a d a P i er r e Br u ne l , a l q u al e l’ i ns o l it a
c on t ig u it à , a l l ’i n ter n o d i u no s tes s o r om an z o, di d ue par t i d a i c o nt e nu t i
c os ì et er og e n ei s em br a r ic alc ar e l o s c h em a d el l a “ d om and a e r is pos t a” ;
s ec o n do lo s t u di os o f r anc es e , pr im a a nc o r a c h e da l l ’ O p . 11 1 , J o nk e
po tr eb b e a v er r ic a v at o q ues to m od e l lo da l f am os o r it or n e l lo « M us s es
s e in ? – Es m us s ei n » c h e s c a nd is c e l ’ al t er n an za d e i du e m ot i v et t i s u c u i
s i bas a i l qu ar te tt o b ee t ho v e ni a no O p . 13 5 . C os ì , s os t i en e Br un e l, «s i
pu ò pe ns ar e c h e G er t J onk e , or g an i z za n d o i l s u o r ac c o n to i n du e p ar ti
s ot to il s eg n o de l l ’ o pus 1 1 1, e no n s o lt an t o qu e l lo d e l l aSc u o la d e l
v ir t u os o , r itr o v a i n m an i er a p i ù d ir et ta i l g i oc o de l l a d om an da e de l l a
r is pos ta . C hi è, i n ‘ Pr es en za d e l r ic or d o ’ ( « d ie ge g en w ar t d er
er in n er u n g» ) , i l N ar r a tor e c he as s is t e v a a l l a f es t a de i D ia b e ll i ? ‘ G r a dus
ad pa r n as s um ’ c i f o r n is c e e lem en t i d i r i s pos t a e i nf or m a zi o n i s u l l e
s uec o nd i zi o n i , s ul l a s ua pr of es s i on e et i l s uo p as s at o» . T r a d. nos tr a
( «o n p e ut pe ns er q ue G er t J onk e ,p l aç a n t s o n r éc it en de ux p ar ti e s s ous
l e s ig n e d e l ’ op us 1 11 , et p as s eu l em en t s o us c e lu i d e L ’É c o le d u
v ir t u os e , r e tr ou v e p l u s c om plè t em ent le j e u d e l a q u es t i on et de l a
r ép o ns e. Q u e l es t ,d a ns ‘ Pr és enc e d u s o u ve n ir ’ ( « di e g eg e nw ar t d er
er in n er u n g» ) , c e N ar r at e ur q u i as s is t a it à l a f êt ec h e z D i a be l l i ? ‘ gr a d us
ad p ar n as s u m ’ n ou s a pp or te des é l é m ents de r ép o ns e et d es
i nf or m at io ns s ur s o n ét at , s ur s a pr of es s i on e t s ur s o n pas s é ») .
Cf r . P . Br u n el , L es Ar pè g es c o m pos és , É d it i ons K l ink s i ec k , P ar is 19 9 7,
pp . 1 2 8- 1 2 9. Ric or d ia m o c he i l le i t- mo t iv « Mus s es s e i n ? » d i B ee t ho v e n
v i en e in g l ob a to a nc h e ne l l a c om p os i zi o n e d e l r om an zo d i M i l an K un d er a
L ’I ns os t en i b il e le g ger e z za d el l ’e s s e r e ( 1 9 8 4) .

38
sonata un’articolazione in tre o quattro movimenti 57 –, ne
presenta solo due, il Maestoso e l’Arietta a variazioni.
Il riferimento all’Opus 111 figura esplicitamente in Gradus
ad Parnassum: 111 sono infatti i pianoforti a coda custoditi
nel solaio del conservatorio in cui si aggirano il
compositore Fritz (personaggio in cui si riconosce il
narratore della prima parte) e suo fratello.
Giunti alla scuola di musica per rendere visita al loro
vecchio professore, i due finiscono per sbaglio nel solaio,
restandovi intrappolati per diverse ore; lì hanno modo di
discutere della sorte a cui andranno incontro i 111
pianoforti, ormai inutilizzati da diversi anni e quindi in via
di deterioramento.
Come si desume da alcuni indizi disseminati nella
narrazione, il solaio rappresenta in realtà la mente di Fritz
e il fratello la voce della sua coscienza; a loro volta, i 111
pianoforti scordati sono da interpretare come metafora del
blocco creativo che da anni lo assedia (si ricordi che a
questa crisi viene spesso fatto riferimento anche nella
prima parte). La questione, fatale per il narratore, e
serpeggiante già nella prima parte del romanzo –
nonostante assuma una formulazione più chiara solo in

57
Com e r i po r t a Is a b e ll e P i et te in L i tt ér at ur e e t mus i q ue . C on tr ib u ti o n à
un e or ie nt a ti o n t h éor i qu e ( 19 7 0- 19 8 5) ( Pr es s es U n i ver s i ta ir es de Nam ur ,
19 8 7) a p a g. 6 4: «[ l a s o n at a] s i c om po ne In i zi a lm e nt e d i u n a ll egr o d i
f or m a s on a ta , i n s eg u it o d i un s ec o nd o m ovim en t o le n to ( s p e s s o un
r o ma nc e o d e l le v ar i a zi o n i) , di u n o s c her zo e inf in e d i un r o n d ò» . Q u es t o
s c hem a, a g g iu n ge la s tu d ios a , s ar à ge n er a l m ente c o ns er v at o «f i n o a c h e
B ee th o v e n no n l a m ar c her à d e l s u o g en i o» .

39
Gradus ad parnassum –, è la seguente: sarà possibile
ridestare i 111 pianoforti dal loro lungo sonno, cioè
scuotere l’immaginazione per dare vita alla Variazione
perfetta, ovvero alla svolta tanto attesa, dopo anni e anni
di noiosa ripetizione del sempre uguale?
L’improvvisa decisione, annunciata dal direttore del
conservatorio, di bruciare i pianoforti – a causa della
difficoltà di trasferirli fuori dal solaio – sembra indicare il
fallimento di questa speranza.
La fine dell’episodio, che mostra Fritz cadere vittima di
allucinazioni (per strada, Fritz scorge personaggi dai
capelli in fiamme, l’immagine del mare in ebollizione 58,
etc.), conferma il sospetto che il personaggio, in questa
seconda parte, subisce una sorta di regressione rispetto
alla soluzione salvifica che aveva raggiunto nella prima 59.
Ciò suggerisce l’ipotesi che le due metà della Scuola del
virtuoso non siano disposte in successione cronologica ma
che la seconda, ambientata nella psiche del protagonista,
rappresenti il rovescio speculare della prima (una sua
variazione), che può essere intesa in tal senso come
proiezione all’esterno dei conflitti interiori dell’eroe.
Oppure, che Gradus ad Parnassum, secondo lo stesso

58
Anc h e qu es ti d et t ag l i c onf er m ano l ’ i p ot es i s ec on d o c u i i l s o l ai o e i
p ia n o f or t i no n r a ppr e s en t in o a ltr os e n o n l a pr o i e zi o n e d e l l a m en te de l
per s o n ag g io pr inc i pa l e .
59
Ric or di am o c h e n el l a pr im a p ar t e l a “ s al v e z za ” di F r it z er a c ons is t i ta
ap p un t o n e l la s u a c ap ac it à d i r i- c on os c e r e le p ic c o le v ar i a zi on i c h e
a ve v a no d is t i nt o l’ u lt im a f es ta d a q ue l l a or ig i n ar i a ; gr a zi e a qu es ta
s c op er ta , i l p er s on a gg i o r i es c e a s ot tr a r s i al l a tr a p po l a d e l la r ip e ti z i on e.

40
criterio che unisce il secondo movimento dell’Opus 111 al
primo, accompagni i lettori in un’epoca antecedente, o
comunque lontana da quella in cui si svolge l’asse
centrale della narrazione (coincidente con la prima parte);
tale spiegazione risulta ammissibile in quanto la ragione
della sua presenza non consiste nel completare la trama
delineata in Presen za del ricordo, ma nel declinarne temi
e motivi in base a nuove prospettive.
In ogni caso, sembrano poter valere per La Scuola del
virtuoso le stesse osservazioni delle quali si avvale Milan
Kundera, nei Testamenti traditi, per cogliere la principale
qualità dell’Opus 111: «è proprio l’inattesa contiguità di
questi due movimenti ad essere eloquente, espressiva, a
diventare il gesto semantico della sonata, il suo significato
metaforico (…). Questo significato metaforico, non
traducibile in parole e tuttavia forte e insistente,
conferisce unità ai due movimenti della sonata un’unità
inimitabile» 60.
Impiegando lo schema a variazioni dell’Opus 111, uno
schema in cui la seconda parte é allo stesso tempo

60
K un d er a pr os e g ue l a r if l es s i on e i nt r o d uc en d o l a p os s i b i l it à d i u n
c onf r on to tr a l ’ op er a d i B e et h o ve n e l a le tt er at ur a: « L a S o n at a o pe r a 1 1 1
m i f a pe ns ar e a Pa l me s e lv ag g e d i F a ul k ner . Q u i, s i a l ter n a no u n
r ac c o n to d ’ am or e e la s tor i a d i u n e vas o , du e s o gg et t i c he n on ha n n o
nu l l a i n c om u ne , n on un p er s o n ag g i o e n ea nc h e u na qu a l un q ue
per c e tt i b il e af f i ni t à d i m oti v i o d i t em i. U n a c om pos i zi o n e c he n on p u ò
s er v ir e d a m o de l l o a n es s u n a ltr o r om an zi e r e; c h e p uò es is ter e u n a v o lt a
e bas ta ; c h e è a r b i t r ar ia , no n r ac c om an d ab i l e, i n g ius t if ic ab i l e; e d è
i ng i us t if ic a b il e p er c hé d i etr o d i es s a s i a v v er t e u n es m uß s e i n, c h e
r en d e s u p er f l ua o gn i g ius t if ic a zi o ne » . M . K un d er a, I T es t a me n t i tr a d it i ,
c it ., p p . 1 67- 1 68 .

41
radicalmente diversa eppure in ogni suo elemento
complementare alla prima, il romanzo di Jonke acquisisce
la stessa struttura concentrata, cioè interamente centrata
sul tema che Beethoven aveva auspicato per la sua
sonata; una struttura che appare di colpo libera da tutto
l’apparato di premesse, descrizioni, digressioni di cui
secondo i canoni tradizionali il romanzo doveva
necessariamente ammantare lo spazio dedicato
all’esposizione del tema vero e proprio, per consacrarsi
dall’inizio alla fine allo sviluppo della questione
esistenziale specifica del romanzo. In questo modo,
l’autore mostra di aver recepito la lezione più importante
del musicista tedesco, per il quale uno degli obiettivi
principali – ricorda ancora Milan Kundera – è stato proprio
quello di:

«dare un senso diver so alla f orma di tema con


var iazioni che pr ima di lui era solo virtuosismo
tecnico, e virtuosismo particolarmente vacuo: un po’
come f ar sf ilare in passerella una sola indossatrice
con diversi modelli. Di questa f orma Beethoven ha
rovesciato il senso, chiedendosi: quali sono le
possibilità melodiche, ritmiche, armoniche che si
celano in un tema? Fin dove ci si può spingere nella
trasf ormazione sonora di un tema senza tradirne
l’essenza? E qual è, poi, quest’essenza? Ponendosi,
musicalment e, interrogativi di quest o genere,
Beethoven può f are a meno di tutto ciò che la f orma-

42
sonata comporta, di pont i, sviluppi, remplissages;
nemmeno per un att imo egli si distoglie da ciò che è
per lui essenziale, dal mist ero del tema» 61.

Il tipo di variazione a cui Beethoven approda nella sua


ricerca, da cui lo stesso Kundera trae spunto per
l’architettura dei suoi romanzi 62, attesta per la prima volta
nella storia della musica la possibilità fenomenologica
della variazione, coincidente con la ricognizione delle
potenzialità intrinseche di un tema.
L’eredità lasciata da Beethoven non viene però raccolta
nel cosiddetto periodo romantico: le variazioni di Schubert
sui propri lied (ad esempio, nel quartetto La Morte e la

61
I v i, p . 1 50 .
62
Me ntr e T hom as M a n n im p ie g a l ’O p .1 1 1 d ir et tam en t e c om e s o g ge tt o
nar r a t i vo , s i è v is t o c h e a l tr i r om an zi e r i s e n e a v v a lg o no c om e s c h em a d i
c om pos i zi o n e. Com e g i à ac c e n na t o ne l pr im o par . d el p r es e nt e c ap i to l o,
M il a n K u nd er a r a v v is a i n q u el l a c h e l u i b at te z za «s tr a te g i a
be e th ov en i an a d e l le v ar ia zi o n i » l a p os s ib i l it à d i es p lor ar e i n m ani er a
p iù es aus t i va i t em i a t tor n o ai q u al i or g an i z za i s uo i r om an zi ; c o s ì, n el
L ibr o de l r is o e d e l l ’o b li o ( 1 97 8) l es e tt e pa r ti i n c u i è s u dd i v is a l ’o p er a
c or r is p o nd o no a s e t te d i v er s i m od i d i d ec l i n ar e g l i i nt er r og a ti v i
es is t en zi a l i al c e n tr o de l r om an zo e i n a ltr e o per e k u nd er i an e , da L a V it a
è a ltr ov e ( 19 6 9) aL ’I m mo r t a li t à ( 19 8 8) , l o s t es s o g i oc o di p u nt i d i v is t a è
r ic r ea t o at tr a ver s o var i a zi o n i “ d i r i tm o” ne l l a nar r a zi o n e o , c om e v e dr em o,
tr am it e il c onf r on t o p o lif on ic o tr a i ns er t i o n ir ic i ed e lem en t i r e a lis t ic i
de lr ac c on t o. A ltr i r om an zi e r i, c om e C l au d e Ro y, a d ot ta n o in v ec e n e l le
l or o o per e no n ta n to l a “ va r i a zi o n e b ee t ho v e ni a na ” , qu a nt o p i ù
pr ec is am en te l a s t es s a s u d d i vis i o ne b i par t i ta d el l ’O p. 1 11 . A d es em pi o,
La T r av er s é e d u P on t des ar ts di R o y ( G al l im ar d, 1 9 79) è c om po s ta d i
du e p ar t i da l l a lu n gh e z za m ol to d is eq u i li br a ta ( l a pr im a c ons t a d i c ir c a
du ec en t o p a gi n e, l a s ec o n da d i u n a d ec i na a pp e na ) , es a tt am en te c om e l a
s on a ta di B e et h o ve n ; l ’ u lt im a, po i , è i nt i to l at a Der n i er
mo uv e me nt : ’A d a g io ’, i n om ag gi o a l s ec on d o m o vim en t o de l l ’O p. 11 1 e ,
c om e g i à ne l l ’ op er a m us ic a l e, a nc h e l a s ec o n da p ar te d e l r o m an zo
c ons e gu e s i a i l f in e d i s v i l up p ar e ul t er ior m e nt er ip r e n der e i t em i e m oti v i
de l i ne a ti n e ll a pr im a par te c h e q u el l o d i s t em per a r n e i t o n i p i ù
dr am m atic i.

43
Fanciulla) o i cicli di variazione pianistici di Brahms su
temi di Haendel e Paganini rispondono ancora solo al
bisogno di virtuosismo musicale.
La tecnica wagneriana del leit-motiv è forse una delle
poche, nel XIX secolo, ad implicare l’uso della variazione
come mezzo di straniamento – e non solo di abbellimento
– della materia musicale basilare.
In realtà, però, in questo caso il principio della variazione
appare in qualche modo rovesciato: non si tratta qui di
riproporre in maniera parzialmente modificata uno stesso
tema, ma al contrario di far ricorrere il medesimo soggetto
in momenti diversi della stessa opera, così da far risaltare
come elementi di un’opera unitaria anche episodi
apparentemente slegati.
Il principio della variazione ritorna ad occupare un posto
centrale nelle riflessioni dei compositori all’inizio del XX
secolo. Oltre a figurare come procedimento fondamentale
della musica jazz, dove confluisce nella tecnica
dell’improvvisa zione – consistente appunto nella ripresa
liberamente variata di materiali di base –, un ripensamento
intorno al concetto stesso di variazione costituisce la
piattaforma d’avvio alla riforma del sistema tonale,
modello su cui, fin dalle origini, era sempre stata basata
l’articolazione della materia musicale.
Il sistema tonale prevede che questa venga impostata
secondo una scala gerarchica, le cui note sono percepite
come più o meno dominanti in base al rapporto che

44
instaurano con la nota che funge da cardine di tutta la
composizione, detta nota tonica.
Constatata l’insufficienza raggiunta ormai da questo
modello, dopo secoli di impiego, a rendere le varie
potenzialità espressive della musica, Schönberg e gli altri
esponenti della cosiddetta seconda scuola di Vienna 63 si
propongono di rivitalizzarlo, attraverso un’opera di
scardinamento dei parametri attorno ai quali si era sempre
costituito.
Una delle applicazioni più rimarcabili di questa nuova
organizzazione pantonale 64 della musica – così chiamata
per l’introduzione di più note toniche,
in luogo di una sola – corrisponde alla tecnica conosciuta
come dodecafonica o seriale: essa consiste nella continua
riproposizione di un’unica serie di dodici note, in modo che

63
Pe r S ec o n da Sc u o l a d i V i en n a s i in te n de la s c uo l a m us ic a l e f on d a ta
a ll 'i n i zi o de l X X s ec o l o d a Ar n o ld Sh ö nb er g e i c ui pr i nc i pa l i
r ap pr es en ta n ti f ur o no , o l tr e a l l o s te s s o Sc h ö nb er g, A lb a n B er g e A nt o n
W eber n. L a d e nom i na zi o n e f a r if er im en to ad u n' im pl ic it a pr i m a s c u o la d i
V ie n n a: q u el l a f or m ata d a J os epk H a yd i n , W o lf ga n g Am ad e us M o z ar t e
Lu d wi n g v a n B ee t ho v e n.
64
Il t er m in e “ a to n a le” , c on c ui è m ag g ior m e nt e d if f us o i l ti p o d i m us i c a
e la b or a t o da l l a s c u ol a d i Sc hö n ber g , è i n r e a lt à d o v ut o a i s u oi de tr at tor i ,
c he lo a ve v a no c o n i at o c om e s in o n im o d i “ a nt i- m us ic a l e” ; q u es t o
ne l l ’ ot tic a c h e l a r i v o l u zi o n e s c hö n b er g h ia n a pr oc e d es s e ne l s e g n o d i
un ac om pl et a d is tr u zi o ne di t u tt i i c r it er i – r i t m ic i, m e lo d ic i, f or m al i - , c he
l a m us ic a d o v e va r is p et tar e .D ’ a ltr a p ar t e, i r ap pr es en ta n ti de l l a s e c on d a
s c uo l a d i V i e nn a c h i ar is c on o c h e l or o i nt en zi on e n o ner a d e por r e t a l i
c r it er i , né s up er ar e de l t utt o il c onc et t o d i to na l i tà , m a s em pl ic em ent e
c on d ur ne u n ar i v is i t a zi on e c r i t ic a. L o s t es s o Sc hö n ber g p ar l a d i un a
s em pl ic e d if f er e n za di gr a d o tr a i l tr ad i zi o n a l es is t em a t on a l e e q ue l l a
c he def in is c e « la t o n al it à d i o g gi » ; pe r l a qu a l e, n e l T r a tt at o d i ar m on i a,
pr o p o ne a p pu n to il no m e di «p a nt o na l it à »: « Co n q ues t o ter m i ne ,
i nt en d i am o l a p ar en t el a d ic ias c u no d e i d o dic i s u on i c o n c i as c u no d eg l i
a ltr i ». T r ad . n os tr a ( « P ar c e t er m e, no us s i g n if i ons la p ar e n té d e c hac u n
des do u ze s ons a vec c hac u n d es au tr es ») .

45
ad ogni riapparizione l’ordine iniziale delle note risulti
variato. L’istituzione della serie modifica la tradizionale
concezione dei rapporti tra tema e variazioni.
Più precisamente, la rivoluzione schönberghiana sembra
segnare il passaggio dall’opera tematica all’opera seriale:
dall’opera orchestrata attorno ad un tema, di solito
corrispondente ad un numero esiguo di battute e inteso,
secondo l’originaria accezione etimologica (thema, dal
greco tìthemi, «io pongo»), come “deposito” dell’idea
fondante di tutto il brano, ad un tipo di opera, in cui –
spiega lo stesso Schönberg – è ormai l’intera totalità del
pezzo da intendere «come l’idea: l’idea che il suo creatore
intendeva presentare» 65.
Tale cambiamento non consiste semplicemente nel
transito della nozione di tema da un nucleo di note
disposte secondo criteri melodici e ritmici – a cui, secondo
la tradizione, corrisponde il concetto di tema – alla
successione arbitraria di altezze che costituisce un’unità
seriale, a partire dalla quale si sviluppa la composizione
dodecafonica; riguarda invece proprio l’abbandono
dell’originaria funzione del tema di porsi come principio di
unitarietà di un brano, contenendone in nuce l’idea

65
A . Sc hö n ber g , ( 19 7 7 : 22 0) , c it . d a: J - J . N a tt i e z, Mu s ic o l o gi e g é n ér a l e
et s é m i o lo g ie , E d it i ons C hr is t i an Bo ur go i s , P ar is 19 8 7, p . 35 9 .A .
Sc hö n ber g , St i le e i de a , F el tr i ne l l i, M i la no 1 97 5 , p . 54 ; c it . da C .
Da l ha us , Ch e c os a s i gn i fic a v a r i a zi o n e i n s v il u pp o ? , p . 1 30 , in : G .
B or io , ( a c ur a d i) , Sc h ön b er g,I l Mu l i no , B o lo gn a 1 9 99 .

46
generale. Tutto ciò implica un’alterazione del ruolo svolto
dalle variazioni.
Mentre in Beethoven, ad esempio, la forma delle variazioni
è funzionale all’ampliamento progressivo di una medesima
idea tematica di base e dunque si configura come
strumento di una composizione organica, la nuova
«variazione di sviluppo» 66 introdotta da Schönberg non
risulta più organizzata attorno ad un tema, a qualcosa che
possa intendersi come “deposito” della matrice di
unitarietà del brano 67.
Ne deriva l’impressione di incompiutezza che spesso
genera questo tipo di musica: le variazioni seriali non
rispondono all’obiettivo di approfondire determinati aspetti
di un tema oggettivamente individuabile, ma solo alla
contrainte di sperimentare le varie combinazioni di suoni a
cui può dar luogo una successione arbitraria di note,
quindi sono suscettibili di progredire all’infinito.
La differenza tra i due tipi di variazioni così individuati,
beethoveniana e schönberghiana, per alcuni versi è
assimilabile alla distinzione che lo stesso Schönberg, negli

66
«d i s v i l up p o» : c i oè , c he i n qu a dr a t ut t o il b r an o , d a l l ’ in i zi o a l l a f i ne . I n
un o s t ud i o s u B ac h d e l 19 5 0, è S h ön b er g a d en om in ar e i n ta l m od o i l
pr inc i p al e m et o do s u c u i b as a l a do d ec af o n i a. Cf r . A. Sc h ö nb er g, B ac h,
i n Id . , Sty l e a n d I de a, L. St e in ( a c u r a d i ) , F a b er a n d F a b er , L on d on -
B os t on , 19 7 5; c it . d a C. D al h aus , C he c os a s i gn i fic a v a r i a zi on e in
s v i lu p po ?, c i t. , p. 1 3 0.
67
Si p uò d ir e c h e, ne l l a m us ic a p a nt o na l e, i l c onc e tt o d i “ i de a” tr as m igr a
d ir e tt am en te n el l a no zi o n e di « v ar ia zi o n e d i s v i lu p po » , c h e c o r r is po n de
no n a d u na par te , m a a l l’ i nt er a s tr ut tur a de l p e z zo . Cf r . C .D a l ha us :
«v ar i a zi o n e d i s v il u pp o è il c onc e tt o c om pl em ent ar e d i t em a»: i n C he
c os a s ig n if ic av ar ia zi o ne in s v i lu p po ? , c i t. ,p . 12 9 .

47
Elementi di composi zione musicale, pone tra le effettive
variazioni e le semplici varianti: mentre le prime
concorrono ciascuna allo sviluppo di una nuova
dimensione del tema, le seconde non sono significative di
per sé e rispondono solo ad un’esigenza di espansione
strutturale.
Allo stesso modo, l’unico senso conseguito dalle variazioni
seriali consiste nel comprovare la possibilità della musica
di esistere al di là del principio di totalità 68, cioè anche a
prescindere dalla risoluzione di eventuali accordi
dissonanti, che generalmente in musica costituisce il
presupposto per l’archiviazione di una buona
composizione; in questo caso, è proprio l’effetto di
disgregazione ricercato da tale struttura ad esprimere
significanza. Nel passaggio dalla musica tematica (come
in questa sede scelgo di riferirmi alla musica tonale) alla
musica seriale il principio delle variazioni transita dallo
statuto di forma che, come lascia intendere la stessa
etimologia, è davvero tale solo se risulta organizzata

68
L a c os i dd e tt a «r ic er c a d e ll a t o ta l it à » è m en zi o n at a d a N at t ie z c om e i l
pr inc i p io f o n dam en t al e r i nc or s o da l l a m us i c a to n a le : « S i a c h e l ’ op er a
to n al e s i a f on d at a s ul l a c o ns on a n za e l a d is s on a n za , s ia s u l la t en s i on e e
l ’a b ba n do n o, i n e n tr am bi i c as i , è l a t ot a l it à d e l l ’u n i ve r s o s on or o
pos s i b i le c he , o g n i v o lt a, or g a n i z za i c o nt r ar i i n u n t u tt o om og en e o» .
T r ad. n os tr a ( «Q u e l ’ oe u vr e to n a le s oi t f on dé e s ur la c ons o na nc e et la
d is s o n anc e, o u s ur l a te ns io n e e t la d ét e nt e , d a ns l es de ux c as , c ’ es t l a
to ta l i té d e l ’ u n i ver s s on or e pos s i b le q u i, à c h a qu e f o is , ar t ic u le l es
c on tr ai r es e n u n t o ut h om og èn e ») . Cf r . J - J . N at t ie z, Mu s i c o lo g ie
gé n ér al e e t s é mi o l og i e , É di t io ns C hr is t i an B o ur g o is , P ar is 19 8 7, p . 35 8 .

48
attorno ad un preciso «contenuto» 69 – e, di conseguenza,
presenta un assetto organico –, a quello di struttura, con
cui si può intendere, invece, un insieme di elementi in ogni
sua parte autonomo, libero dall’asservimento ad un
particolare soggetto centrale.
Anche in questa configurazione, non di composizione
organica, ma di struttura indipendente da un tema, e
impiegata piuttosto come schema di disgregazione della
materia, il principio delle variazioni continua a servire al
romanzo, in quanto espediente di nuove possibilità
espressive.

69
Il ter m i ne “ f or m a” d er i va d a l s a nc r it o «p he ir », c o nt e ner e . Ai f i ni d e l
nos tr o dis c or s o, è o p por t un o r ic or dar e c h e , n e l lo s t u di o d ed ic at o a I l
pr o b l em a de l c o nt e n ut o, d e l m at er i a le e de l l a f or ma n e ll a c r ea zi o n e
l et ter ar i a ( 1 9 24) [o r a i n I D. , Es t et ic a e r o ma n zo , R . Pl a to n e ( a c ur a d i) ,
E in a u di , T or in o 2 0 01 , pp . 3- 6 6] M ic h a e l B ac ht i n c h i ar is c e l ’ e vi d e n za , per
un a f or m a « es t e t i c am ent e s ig n if ic a nt e» , di es s er e s em pr e
i nd is s o lu b i lm ent e c or r e la ta a d un c o nt e nu t o, e lem e nt o c he c os t it u is c e
l ’« o gg e tt o es t e tic o » d i un ’o p er a d ’ar t e: l ’ o gg et to es t et ic o, o v v er o i l lu og o
i n c u i la r e al t à es ter n a, o m eg li o «l a r ea l t à de l l a c o n os c e n za e d e ll ’a t t o
et ic o» , v i e ne s o tt o po s ta a d u n ’ « in t ui t iv a un i f ic a zi o n e , i nd iv i du a zi o n e,
c onc r e ti z za zi o n e , is o la m en t o e c o mp i m en t o, c i o è a u n a tot a le
or g a n i z za zi o n e f or m al e ar t is t ic a » ( c it . da I l pr o b l em a d e l c o nt e nu t o, d e l
ma t er ia l e e d e ll a f or ma ne l l a c r e a zi o ne le tt er a r i a , p. 2 7) . N e c ons e gu e
c he par l ar e d i f or m a ar t is tic a in as s e n za d i c o nt e nu t o no n h a s ens o , e
c i ò a pr es c in d er e d a l n o n- s e ns e t er m i n o lo g ic o , s em pr e r i l e v at o da
B ac h t in , d i c ons er v ar e i l ter m i ne « f or m a » qu a lor a s i n eg h i l a pr es e n za d i
un c o n te n ut o. Pur r ic on os c en d o i n qu es te d ic h i ar a zi o n i le bas i t eor ic h e
de l l a r if les s i o ne a pr o pos i to de l l a F or m a Var i a zi o ne a c u i ap pr od er em o in
s eg u it o , ne l tr a tt ar e l a d if f er e n za tr a f or m a e s tr ut tur a d e l le v a r i a zi o n i
c om e di p en d en t e d al l a pr es e n za o a s s e n za di «c o nt e nu t o» , c i r if er iam o
i n q ues ta s ed e a d u n ’ ac c e zi o n e di t a l t er m ine pi ù r id o tt a r is p et to a q ue l l a
bac h ti n i an a e p iu tt os t o c or r is p o nd e nt e al l a n o zi o n e di t em a, c os ì c om e é
s ta ta def in i ta ne l c or s o d e l p ar a gr af o: i l d ep os it o d e ll ’ i de a g e ne r a l e d i u n
br a n o, r in tr ac c ia b i le n e ll o s p a zi o di qu a lc he ba tt u ta .

49
Michel Butor, ad esempio, elabora L’impiego del tempo 70,
romanzo del 1956, in base ai principi operanti nelle
composizioni dodecafoniche.
In tal caso questi principi corrispondono ai criteri osservati
dal narratore, il giovane Jacques Revel, per organizzare il
racconto dei dodici mesi trascorsi nella città di Bleston, i
quali vengono ripercorsi secondo diverse successioni
(Jacques intraprende stesura e rilettura del suo diario
seguendo un ordine alternativamente cronologico e
decrescente), alla maniera delle variazioni seriali 71;
l’adozione di tale struttura probabilmente mira a rendere il
sentimento di disorientamento avvertito dal giovane al
cospetto di una città in cui gli risulta impossibile mettere
radici.

1.3. Il problema della forma e del contenuto

Per comprendere meglio le possibilità di integrazione della


forma variazione al romanzo e il modo in cui essa possa
rendersi funzionale al conseguimento delle tre proprietà
specifiche di quest’arte, ovvero la funzione catartica,

70
M. B ut or , L ’I m p ie g o de l te m p o ( 1 9 56 ) , t r ad . it . di O . De l B uo n o,
Mo n da d or i, Mi l a no 1 9 6 0.
71
Da a tt e nt o e pr inc i p a l e c om m enta tor e de l l a s ua op er a, B ut or dic h iar a
es p l ic it am en te l ’ i nf l ue n za d e ic om pos i to r i s e r i al i s u i s uo i r om an zi ; ne l l e
Im pr ov is a t io ns s ur Mi c he l Bu to r [L a D if f ér e nc e , 1 99 3 ,p .5 1 ], a pr op os it o
de l l a m us ic a d o dec af o nic a , s p i eg a : « H o a v ut o l ’ im pr es s io ne c h e
ad o pe r a n do d e ll es tr u tt ur e r om an ze s c he s uf f ic i e nt em en te c o ntr o ll a te ,
a vr e i ot te n ut o l ’ eq u i v a le nt e d e l la pr os o d ia c l as s ic a o di qu e l le s tr u tt ur e
m us ic a l i» . T r ad u zi o n e n os tr a d a l f r anc es e : «J ’ ai eu l ’im p r es s io n
qu ’ e nu t il is a nt d es s tr u c tur es r om an es qu e s u f f is am ent c o nt r ô l ées , j ’ aur a is
l ’é q u i va l e nt d e l a pr os od i e c l as s iq u e o u d e c es s tr uc t ur es m us ic a le s ».

50
quella «totalizzante» 72, relativa alla necessità del romanzo
di concentrare il racconto dei più disparati aspetti del
reale in una forma che resti compatta e unitaria, e quella
cognitiva 73, consistente nella capacità del romanzo di
sviluppare una modalità di apprensione dell’esistenza
diversa da quelle veicolate dalle altre arti o branche del
sapere, può essere utile procedere da un confronto con gli
effetti da essa conseguiti nella musica.
Prima di poter comparare direttamente i modi in cui
rispettivamente la musica e il romanzo elaborano la forma
della variazione, è però necessario innanzitutto stabilire
che cosa si intenda per forma nel caso delle due arti, sia
in relazione al tema, che più in generale al cosiddetto
contenuto, termine con cui identifichiamo adesso il senso
complessivo sprigionato dall’opera.
A questo riguardo, la caratteristica che contraddistingue la
musica rispetto al romanzo, oltre che alla letteratura in
generale, sembra consistere nel fatto che nel primo caso,
come dichiara Pierre Boulez nel 1960, non si può parlare
di un vero rapporto tra i due elementi in questione, dal
momento che «La forma e il contenuto presentano la

72
T al e f un zi o n e d e l r o m an zo è t e or i z za ta d a H er m ann Br oc h ne i s ag g i
r ac c o l t i i n Po es i a e c o nos c e n za ( 19 5 5) , tr ad . it . di S. V er to n e, Pr e f a z. d i
H. A r e n dt , Ler ic i Ed i to r i, M il a no 19 6 5.
73
L a c ir c os c r i zi o n e d i qu es t i tr e as p et t i, c om e i p i ù f on d am ent a li tr a
qu e l l i c h e def in is c o no g li o b ie tt i v i de l r om an zo , è pr es e nt at a d a M as s im o
Ri z za n t e n e l s u o l i br o L ’A l b er o . S a gg i s ul r o ma n zo , c it . Cf r . i n p ar t ic ol ar e
i l s a g g io De l l ’i d e a le e nc ic l o pe d ic o. S u ll ’a r te de l l a c o m pos i zi o n e d i Da n i lo
K iš , p p . 12 7- 1 39 .

51
stessa natura, sono soggetti allo stesso tipo di analisi» 74.
Diversamente che nelle opere di creazione verbale, in cui
risulta possibile rilevare un livello di separazione tra
l’insieme di parole che determina la forma e gli oggetti di
realtà a cui fa riferimento e che, di conseguenza,
consideriamo il “contenuto”, nella musica invece – spiega,
ad esempio, Hoa Hoi Vuong –, per forma intendiamo
direttamente sia il materiale sonoro, sia i principi di
organizzazione formale, che le stesse idee musicali 75.
Anche nel romanzo Le Variazioni Goldberg, il personaggio
della concertista Liliane Kulainn, tramite la quale la stessa
autrice sembra esprimere la sua concezione dei rapporti
tra letteratura e musica, interpretando al clavicembalo
l’opera di Bach si rende conto che, nella musica, la forma
e il contenuto coincidono:

74
«F or m e e t c on te n u s on t d e m êm e na t ur e , j us t ic ia b les d e l a m êm e
an a l ys e» ( tr a d. n os t r a ) . La c it a zi o n e, es tr at ta d a u na c onf er e n za te n ut a
da P ie r r e B ou l e z n e l 19 60 , è r ip or ta t a d a J e an- J ac q ues N a tt i e z n e l
s ag g i o L év i- Str a us s mus ic i e n. Es s a i s ur la te nt a ti o n h o mo l og i q ue ,
Ac t es S ud , 2 00 8 , i n a per t ur a al C a p. X I , L a s tr uc t ur e e t l es f or mes : l e
ma l e nt e nd u, p. 1 3 1.
75
Sc r i v e V u on g : « La f or m a é u na no zi o n e m olto c om pl es s a . D a un a
par t e, c onc er n e g l i e lem en t i d e l la f or m a ( c he c om po ng o no l a f or ma
mus ic a l e, al s i n go l ar e) , d al l ’ a ltr a, q ue l l i c he p otr em m o def in ir e m ode l li
as tr at t i ( l e for m e m us ic al i) . L a s t es s a f or m a m us ic a l e è r i par t it a i n tr e
e lem en t i: m at er i a l es o nor o ( al t e z za , t im br o , in te ns it à , d ur at a) , pr i nc ip i d i
or g a n i z za zi o n e f o r m al e e ‘ i de e ’ m us ic a l i» . T r ad. n os tr a. ( « La f or m e es t
un e n o ti o n tr ès c om p lex e. E l le r ec ou vr e d ’u n e p ar t l es é lém e nts de
l af or m e ( q u i c o ns t it u e nt l a f or m e m us ic a l e, au s in g ul i er ) , d ’a utr e par t c e
qu ’ o n p o ur r a i t a p pe l er des m od è l es a bs t r a i ts ( l es f or mes m us ic a l e s ) ». L a
f or m e m us ic a l e e l le - m êm e s e déc om pos e en tr o is é lém e nts : m atér ia u
s on or e ( h a ut e ur , tim br e , in te ns i té , d ur ée ) , pr i nc ip es d ’ or ga n i s at i on
f or m ell e e t ‘ id é es ’ m us ic a l es » ) . In H . H. V uo n g, Mu s iq u es de r o ma n.
Pr ous t, Ma n n, J oy c e , Pr es s es In te r u n i ve r s i t a ir es E ur o p ée n nes , Br ux e l l es
20 0 3, p . 2 97 .

52
«(…) Quando sono delle par ole ad essere captate
dalle m ie orecchie, a venir r ielaborate mentalment e e
ad essere rest ituite dalla m ia bocca, posso essere
incerta, correggermi, balbettare e f are anche errori
di sintassi, senza che il contenuto ne r isult i alterato.
In questo caso, il contenuto è la f orma. (…) Per
interpr etare è necessario capire, ed io invece non
capisco nulla di quello che succede. Quando si tratta
di parole, almeno so di aver a che f are con un
determinato numero di unità, provviste di un valor e
relat ivamente stabile. Posso prevedere il modo in
cui, quando sono or ganizzate in questo o quel modo
– “la f ame”, “il Terzo Mondo”, “l’esplosione
demograf ica”- tenderanno a suscitar e questa o
quella emozione (…) Ma una nota musicale, non vuol
dire niente» 76.

La musica, continua Vuong, sarebbe dunque un’arte al


limite «nel senso matematico della parola» 77: un’arte che
implica «la completa conformità tra significato e
significante, visto che non significa altro se non quello che

76
«( …) qu a nd c e s o nt d es m ots q ui e ntr e nt pa r m es or ei l l es , s u bis s e nt un
tr a i tem en t d a ns m onc er ve a u e t r es s or t e nt p ar m a bouc h e d ans un e a utr e
l an g ue , j e pe ux h és it er , c or r i g er , b a l bu t ier e tm êm e f air e des f a ut es d e
s yn t ax e s a ns q u e l e c on te n u e n s oi t a l t ér é . Ic i , l e c on te n u c ’e s t la
f or m e( …) . P o ur i nt er p r ét er i l f a u t c om pr e ndr e, e t j e n e c om pr e n ds r i e n à
c e qu i s e p as s e. Q u a n d i l s ’ ag i td e m ots , a u m oins j e s a is q ue j ’ a i af f air e
à u n c e r t a in nom br e d ’u n it és , d ou é es d ’ un e va l eu r r e l at i v em ent s ta b le .
J e p e ux pr é v o ir c om m ent, l or s q u ’ el l es s o n t c om bi n ées d e t e ll e ou te l l e
f aç o n– ‘ la f a im ’, ‘ le T ier s m ond e ’, ‘ l ’ex p l o s i on dém og r a p hi q ue ’ - , e l les
aur o nt t en d anc e à s u s c it er te l l e ou te l l e ém ot i on ( …) M a is un e n ot e de
m us iq ue , ç a n e v eu t r i en d ir e» . ( tr a d. n os tr a) . N. Hus t on , L es V ar i at i ons
G o ld b er g, c i t. , p p. 1 4- 15 .
77
H. H . V uo n g, Mus i qu e s d e r o m an . Pr o us t , M an n , J oy c e , c i t. , p. 18 .

53
viene udito» 78. A deduzioni simili perviene Cazaban, il
quale ricapitolando le posizioni espresse al riguardo da
Wittgenstein 79, stabilisce che se la musica riesce a
suscitare delle emozioni, destando in tal modo
l’impressione di organizzare il mondo reale, ciò avviene
perché essa «adotta la FORMA del pensiero» 80; i
cambiamenti di ritmo, le pause che lo scandiscono,
producono inevitabilmente delle alterazioni emozionali nei
fruitori di un’opera musicale, i quali sono, in tal modo,
sollecitati a proiettarvi il proprio vissuto e a ricavare, così,
l’impressione che davvero essa stia comunicando
oggettivamente qualcosa. In realtà, spiega Jean-Jacques
Nattiez, «se la musica potesse, da sola, presentarsi come
racconto allo stesso modo del linguaggio umano, ci
parlerebbe direttamente e non vi sarebbe più differenza
tra linguaggio e musica» 81; la corrispondenza che si viene
a stabilire tra musica e mondo reale viene istituita solo nel
momento della ricezione e, per le suddette ragioni, è di
ordine puramente formale.

78
Ib i d em .
79
P er il qu a l e, in m us ic a, «l ’ i nes pr im ab i l e é i nes pr im ab i lm ent e c o n t en u to
i n c i ò c h e è es pr es s o» . C i t. d a C . C a za ba n , T em ps m us ic a l/ Es pac e
mus ic a l c o m m e f onc t i ons l og i q ues , Éd i t io ns l ’H ar m att a n, 20 0 0, C ap . VI ,
T a ut o lo g i e et v ér it é, Par . Mus i qu e e t c onc e pt ( s u it e) . A u- d e là du
c onc e pt , c i t. p . 2 09 .
80
I v i, p . 2 08 .
81
«S i l a m us i qu e p ou v a it , par e l le - m ê me , êtr e r éc it c om m e p eu t l’ ê t r e le
l an g ag e hum a in , e ll e no us pa r l er a it d ir ec t e m ent e t i l n’ y a ur a it p lus d e
d if f ér e nc e en tr e l an g a ge et m us i qu e ». ( t r a d . nos tr a) . J - J . Na tt i e z , Lév i-
Str a us s m us ic ie n . Es s a i s ur la t e nt at i o n h o mo l o g iq u e, c it ., C a p. X VI La
mus i q uer ac on t e- t- e l le un e h is to ir e ? , p. 1 7 6.

54
È importante però dissipare gli eventuali dubbi che
potrebbero crearsi a proposito dell’effettiva esistenza di
qualcosa che possa essere definito contenuto, nell’opera
musicale; l’attestazione della coincidenza, che si rileva nel
caso di quest’arte, tra forma e contenuto non vale a
sostenere l’assenza di quest’ultimo; escludendovi del tutto
la permanenza di un significato, un oggetto estetico,
momento dell’opera che – secondo la definizione offerta
da Bachtin – risulta dall’«intuitiva unificazione» 82, ovvero
dalla sintesi artistica che l’autore effettua di acquisizioni
cognitive ed etiche, non sarebbe nemmeno possibile
presupporre, nella musica, l’esistenza di una forma.
Il tipo di significato, che le analisi precedentemente
riportate conducono ad escludere, è quindi solo quello
“dicibile”.
Il finale del romanzo di Claude Roy La Traversée du Pont
des arts (1979) mette in luce questo paradosso della
musica. Al giovane Pierre, che cerca di interpretare le
composizioni dell’antenato musicista Charles Rivière, la
compagna Michelle risponde:

« ‘Mi chiedo se abbiamo il dir itto di f are quello che


hai appena f atto.
– Che cosa avrei f atto? domandò lui.
– Sono sent imenti tuoi, in f ondo quelli che
attribuisci alla musica di Rivièr e. È ciò che abbiamo

82
V d. n o ta 7 0 .

55
sentito noi due che tu credi di r itrovar e in Cascata
immobile. Ti domandi spesso se la m usica voglia
realmente “dire” qualcosa. Anch’io. Ma anche se una
successione di not e ha un senso, credi davvero che
sia quello che Rivière ha voluto dire?
– Non so, disse. È quello che io ho creduto di
sentire» 83.

Una possibile spiegazione di questo paradosso, in realtà


solo apparente, secondo cui «la musica è un racconto che
non racconta niente» 84 è già intuita da Bachtin nello studio
del 1924 incentrato sui problemi della forma e del
contenuto nell’arte.
In tale occasione, lo studioso russo attribuisce l’equivoco
di ritenere la musica un’arte priva di contenuto alla
confusione che spesso viene creata tra quest’ultimo e il
concetto di «differenziatezza oggettuale conoscitiva» 85,
con cui si intende il potere referenziale, o meglio il

83
«’J e m e d em and e s i on a le dr o it d e f ai r e c e q u e t u as f ai t là . – Q u ’a i-
j e d o nc f a it ? i n ter r o g ea- t- i l. – Ce s o n t d es s en t im ents à t oi , au f o nd , qu e
tu pr êt es à la m us iq u e d e R i v ièr e. C ’ es t c e qu i n o us es t ar r i vé , à n o us
de ux , q u e t u t ’ im ag i nes r et r o u v er d a ns Cas c a de i m mo b i le . T u te
dem an d es s o u ve nt s i l a m us i q ue ve u t r ée l l e m ent d ir e q u e lq u e c ho s e. M o i
aus s i . Ma is m êm e s i u n e nc ha î nem en t d e no tes a u n s ens , c r o is - t u
vr a im ent qu e c ’ es t c el a q u e R i v ièr e a v o u lu d ir e ? – J e n e s ais p a s , d it- i l .
C’ es t c e q u e j ’ a i c r u en t en dr e» . ( tr a d. n os tr a) . C. R o y, L a T r av er s ée d u
P on td es ar ts , G a ll im ar d, 1 9 79 , c i t. p . 2 45 .
84
T al e f or m ula zi o n e è es pr es s a d a T . W . Ad or n o n e l lo s t u d io s u Ma h l er
de l 19 6 0 e r i por t at a d a J e a n- J ac q u es Nat t i e z n e l c a p it o l o g i à
pr ec e d en tem en t e c i ta t o ( X V I: La m us i q ue r ac o n te- t- el l e u n e h is t o ir e ?) ,
ne l v o lum e L év i- Str a u s s mus ic i en . Es s a i s ur l a te nt a ti o n h o mo l og i q ue ,
c it ., p . 1 7 5.
85
M. B ac ht i n, I l pr o b le ma d e l c on t en ut o , d e l ma t er ia l e e d e l l a f or m a ne l l a
c r ea zi o n e le tt er ar ia , c i t., p .1 2.

56
risultato del processo di traduzione e interpretazione di
elementi obiettivamente riscontrabili nella realtà esterna
che un’opera può aver la facoltà di operare attraverso il
linguaggio di cui si serve. L’erronea sovrapposizione di
questi due momenti, nel caso di alcune arti (nella
letteratura, ad esempio) coesistenti, ma comunque non
identici, visto che, a differenza del secondo,
l’accoglimento del primo soltanto costituisce una
condizione imprescindibile per l’opera d’arte, conduce in
genere alla falsa risoluzione che la musica, in quanto arte
non figurativa, non possa esprimere contenuto.
Al contrario, spiega Bachtin, «La musica è priva di
determinatezza oggettuale e differenziatezza conoscitiva,
ma essa è profondamente dotata di contenuto: la sua
forma ci porta oltre i confini del suono acustico e non in un
vuoto assiologico: il contenuto qui è, nella sua base,
etico» 86.
Per questo, il fatto che la musica non esplichi una
funzione referenziale, di presa diretta del mondo, non
significa che non possa tuttavia esprimere qualcosa.
Né le riflessioni bachtiniane risultano in contrasto con il
confronto tra le strutture musicali e quelle del mito
ingaggiato da Claude Lévi-Strauss nel già menzionato
Finale dell’Uomo nudo; utili, come si vedrà, anche a

86
Ib .

57
dedurre il modo in cui cambia il rapporto tra forma e
contenuto nelle due arti musicale e letteraria.
L’ipotesi da cui procede lo strutturalista francese è che
musica e mito siano due prodotti incompleti del linguaggio
verbale, privi ciascuno di una delle tre componenti
primarie. Infatti, mentre quest’ultimo si compone come
unione di strutture, suono e senso, la musica risulta
invece da un incontro diretto tra strutture e suono, che non
presuppone la mediazione del senso; d’altra parte, i miti
nascono da un’aggregazione di strutture e senso che
prescinde dalla particolare lingua adottata per veicolarli e
appare dunque indipendente dal suono 87.
S’intende che, in questo caso, il concetto di senso cui fa
riferimento Lévi-Strauss è quello di significato
referenziale, ovvero quel tipo di significato riferibile alla
realtà esterna e dunque traducibile da un linguaggio
all’altro.
Tenendo presente questo elemento come cardine della
differenza tra miti e musica, si osserva che nel primo caso
le strutture, la cui attività organizzatrice è sempre

87
Lo s tes s o Lé v i- S tr aus s pr e c is a c he l a s im m etr i a r ic a v a ta d a l c o nf r on t o
tr a m us ic a e m ito è v al i d as o l o c om e m ode l l o d i s t u d io : n e l la r ea l tà ,
i nf at t i, « a d if f er en za de l l a m us ic a l a q ua l e tr a e d al l i n gu a gg i o n at ur al e
s o lo l ’ e nt it à d e l s uo n o, i l m i to p er es pr im er s i n ec es s i ta d e l la li n gu a a l
c om pl et o. L a c om par a zi o n e a b bo z za t a r im a r r e bb e va l i da s o l o a pa tt o di
v ed er e i n og n i m ito u na p ar t it ur a c h e, p er e s s er e s u on at a , r ic h i ed er e b b e
c om e or c h es tr a i l l i n gu a gg i o ». Lo s t u d ios o c om un q ue r i ba d is c e c h e
l ’a n a lo g ia c o nc er n e q ua n to d i p iù es s en zi a l e c ar at t er i z za la m us i c a e i l
m ito, vis t o c h e « I m it i s on o tr ad uc i bi l i s o lt an t o g l i u n i ne g l i al tr i, c os ì
c om e un a m elo d ia no n è tr a duc i b i le c he in u n ’a l tr am e lo d i a» . Cf r . C . Lé v i-
Str a us s , F i na l e, c it . r i s pe tt i v am ent e p p .6 1 1 e 6 09 .

58
generatrice di senso, incanalano un tipo di contenuto
(l’immaginario archetipico che compone i miti) già di per
sé significante, perché a sua volta corrispondente a
determinati concetti; invece, nel caso della musica l’unico
significato conseguito risulta dalla funzione organizzatrice
operata dalle strutture sui suoni, i quali di per sé sono
privi di altri significati.
Dunque, nei miti le strutture si trovano ad organizzare due
livelli di significato, mentre in musica non esiste alcun
grado di separazione supplementare tra forma e
contenuto.
Una differenza simile si osserva comparando l’azione delle
strutture compositive nella musica e nella letteratura,
ambito nel quale – osserva ancora Lévi-Strauss nel Finale
dell’Uomo nudo 88 – sono confluite le strutture del mito, in
concomitanza con la depauperazione subita da
quest’ultimo dopo l’avvento delle scienze matematiche.
Come nel mito così, anche nella letteratura, le strutture di
composizione, che nel caso della prosa rispondono ad
esempio ai criteri di organizzazione temporale, ripartizione
del discorso (divisione in parti, o capitoli, alternanza di
storie diverse, etc.) o scelta del punto di vista sulla
narrazione 89, forniscono senso ad un materiale (le

88
Cf r . I v i, p. 5 8 4. P er u n a ppr of o n d im en to s u l r ap p or t o tr a m ito e
r om an zo , c h e t i en e c on t o d e l c onf r on to a v v ia to d a Lé v i- S tr a us s , s i
r im an da al I II C a p it o lo d e l pr es e n te la v or o.
89
A t i to l o d i es em p io , s i r ic or d a c h e G en e tt e, i n F i g ur e II I. D is c o r s o de l
r ac c o n to ( 19 7 2) , tr a d . it . d i L .Z ec c hi , Ei n au d i, T or i no 19 7 6, r ic on o s c e tr e

59
riflessioni o storie da raccontare) che ,comunque, già ad
primo livello più basilare appare dotato di significato.
Per questo, nell’arte letteraria, nonostante tra forma e
contenuto sussista spesso una relazione di
interdipendenza – nel romanzo, come vedremo, il tema, se
estrapolato dal contesto formale in cui è stato concepito,
diventa qualcos’altro –, la valenza referenziale insita al
contenuto gli garantisce comunque una qualità autonoma
rispetto alla forma e permette quindi di distinguere i due
termini, forma e contenuto, come poli di un rapporto, se
pur dalla natura biunivoca.
Nella musica, invece, le note non detengono alcun senso
se considerate al di fuori delle strutture formali (ad
esempio, tecniche di sviluppo quali il canone, la
modulazione, o figure più elaborate, come la fuga) in cui
sono organizzate; per questo, nel caso della musica,
forma e contenuto non si contrappongono come termini di
un vero rapporto, che non sia tutt’al più di coincidenza.
A conferma di ciò, forse anche il fatto che, nella musica, il
tempo relativo all’esecuzione materiale dell’opera
corrisponde già al tempo della ricezione 90: l’ascolto

par am etr i pr i nc ip a l i d i or g a n i z za zi o n e d e l r ac c o n to :t em por a l e, c h e


de t er m in a l a qu a nt it à d i s c ar to tr a l a dim e ns i on e t em por a le d e ll a s tor i a e
i l t em po im pi e ga to a r a c c on t ar l a ; m oda l e, d a c u i d i pe n do n o la d is t a n za e
l a pr os p et ti v a as s un te d al n ar r at or er is p e tt o a ll a s to r i a ; inf in e, q u e l lo c h e
s ta b i lis c e l a « v oc e» , l a s c e lt a d e l s og g et to nar r a nt e .
90
D is t i ng u en d o l e f as i di es ec u zi o n e e r ic e zi o n e c om e du e d i v er s e
pr os p et t i ve d a c ui c o n s i der ar e l ’o p er a , al l u d o a l l a c os i d de tt a te or i a d e l la
tr i p ar t i zi o n e s em io l o g i c a d i J ea n M o l in o, im pi eg at a d a J e an- L ou is Na tt i e z

60
dell’opera musicale mette gli uditori direttamente a
confronto con i movimenti generatori del suono,
permettendo loro di ricostruire un senso a partire da una
forma colta direttamente nel momento della sua
plasmazione; come scrive Boris de Schlœzer, nella
musica, il senso risulta «immanente all’atto» 91.
Ciò fa sì che, dinanzi ad un’opera musicale, l’ascoltatore
non abbia il tempo di intuire il disegno architettonico che
ne sancisce il senso, che già nuove impressioni sonore si
sovrappongono alle precedenti, costringendolo ad una
continua ridefinizione della sua interpretazione.
La precarietà che caratterizza il processo di assimilazione
della musica evidenzia come quest’arte, più di ogni altra,
privilegi la dimensione temporale del presente.
La maniera di impiegare il leit-motiv chiarisce, ad
esempio, la distanza che a questo riguardo separa la
musica dalla letteratura, in cui, come spiega Hoa-Hoi
Vuong in uno studio dedicato alle interazioni tra musica e
romanzo, per leit-motiv va intesa «la ripetizione esatta o

i n r if e r im en t o a l la m us ic a ( c f r . J - L. N a tt i e z, Mus ic o lo g i e G é n é r a le et
S ém i o lo g i e, C hr is ti a n B our g o is É d it e ur , 19 8 7) ; s ec o n d o q ues t ’o tt i c a, og n i
op er a r is u lt a s ot to p o ni b il e a tr e d i ver s i t ip i d i a na l is i, p o ie t ic a, es t et ic a o
ne u tr a , a s ec on d a c h e ne s i c ons i d er i la c if r a c om pos i ti v a , l e p os s ib i l i
s tr a te g i e el a bo r a te n e l m om ent o d e l l a p er c e zi o n e o s em p l ic em en t e la
s ua tr ac c i a m ater i a le , o v ver o l ’o p er a c o lt a n e ll a f as e pr ec e d en t e a l la s ua
m es s a i n at t o ve r a e pr o pr i a. N e l c as o de l l a m us ic a, c iò s i tr a d uc e
ne l l ’ op p or t u ni t à d i n on c onf o n d er e i l p a r tic o l ar e s ens o d es u nt o d a l
f r ui tor e de l l ’o p er a c o n qu e l lo i po t i z za to d a ll ’ au t or e , e qu es to n on o s ta nt e
l a c o inc i de n za tem p or a le c h e i n v es t e l e f as i d i es ec u zi o n e e r ic e zi on e .
91
B. d e Sc h l œ zer e M . Sc r ia b i ne , Pr ob l è me s d e la m us i qu e m od er n e ,
M in u it , 1 95 9 , p. 5 8 .

61
deformata di un motivo, ripetizione che dota di profondità
volumica la scena descritta e dà consistenza alla linearità
della narrazione» 92.
Ad esempio, tra i numerosi leit-motiv che impreziosiscono
la trama del Libro del riso e dell’oblio, contribuendo ad
assicurarne l’organicità di fondo, ve n’è uno che ricorre tra
i tre capitoli 93 centrali, quelli in cui comincia a profilarsi
con maggiore chiarezza la natura romanzesca,
concentrata attorno a determinati temi di riflessione,
dell’opera: si tratta del motivo del grano d’oro, presentato
in genere come simbolo dell’essenza che racchiude
l’identità di un personaggio femminile.
Nel terzo capitolo è lo stesso autore, nelle vesti di
personaggio interno al suo romanzo, a ricorrere
all’immagine della «pepita d’oro» per evocare l’anima
ineffabile di R., timida amica del romanziere, come lui

92
«l a r é p ét it i o n ex ac te ou d éf or m ée d ’ u n m ot if , r é pé t it i on q u i aj o ut e un e
pr of on d eur v o l um iq ue à l a s c èn e déc r i te et do n n e c o ns is t a nc e à l a
l in é ar it é d e la n ar r at i o n» . ( tr a d. n os tr a) . H. H V uo n g, Mus i q ues d e r om a n,
c it ., p . 27 2. Is a be l l e P ie tt e , in L i tt ér at ur e e t m us i qu e , c it ., s i pr e oc c u p a
d i s t a b il ir e l a p at er ni t à de l c o nc et to d i l e it- mo t iv : a ttr i b ui t a in g e ner e a l l a
m us ic a, a c a us a d el gr a n d e im pi e go c he ne f ec e W agner , i n r ea l tà i l
pr oc e d im ent o di f ar c i r c o lar e un t em a as s oc i an d ol o ad u n per s o na gg i o o
ad u na par t ic o l ar e s i t ua zi o n e r ic or r en t i er a ad o per at o ne l l a l et t e r at ur a
g ià m ol t o pr im a d e l X IX s ec ol o . A l l a c r it ic a wa gn er i an a v a i n vec e
r ic on os c i ut a l a d if f us i on e d e l t er m in e « l e it - m ot iv », d a lì in p oi s c el to
anc h e p er des i g nar e i l m ot i v o r ic or r e n te ne l l a le tt er at ur a. Com e
v edr em o, p er ò, in q u es t ’ u lt im o c as o , l ’ im pi eg o d i q u es t o s tr um ent o, s i
m anif es ta d i v er s am ent e e c o ns e g ue ef f ett i d i v er s i r is pe tt o a l l a m us ic a.
93
Per c om od it à , i n qu e s ta s ed e nom i n iam o c ap i to l i qu e l l i c h e in v e c e n e l
r om an zo s o no pr es e nt at e c om e « p ar t i » e in c ui , c om e g i à s p i eg a to ne l
pr ec e d en te p ar a gr af o , s e bb e n e s i a no or g an i z za t e c i as c u n a a tt or n o a
v ic en d e e p er s o n ag g i d i ver s i , l a c os pic u a r i le v a n za d i m ot i v i e t em i
r ic or r e n t i tr a dis c e l a l or o c o l l oc a zi o n e i n un ’ op er a d a l l ’ im pi an to u n it ar io ,
da r it e ner e a t ut t i g l i e f f etti un r om an zo .

62
minacciata dalla polizia di Stato (la vicenda si svolge
all’epoca della dittatura comunista in Cecoslovacchia);
l’esplosione della paura sconvolge il contegno in genere
equilibrato di R., e provoca nel romanziere il violento
desiderio di violentarla, per così riuscire a cogliere il vero
fulcro della sua personalità, «quella pepita d’oro, quel
diamante nascosto nelle sue profondità» 94.
Nel quinto capitolo, invece, il leit-motiv del frammento
d’oro sembra adoperato in senso contrappuntistico rispetto
alla prima ricorrenza: se nel terzo capitolo è associato ad
un personaggio femminile etereo e sfuggente, in questo
caso assume sembianze decisamente più prosaiche e si
concretizza nel dente d’oro di Kristýna che, mal celato
com’è, si rivela una cartina di tornasole della condizione
provinciale della signora.
Tuttavia, per la morale ironica che governa l’episodio, i
poeti che figurano nella vicenda finiscono con il ritenere
questo smacco estetico il segno dell’unicità inimitabile
della signora; in tal senso, il dente si rivela ai loro occhi
prezioso almeno quanto «un anello» 95.
A sua volta, il paragone con l’anello non è casuale:
costituisce un richiamo ad un altro anello d’oro, che figura
nella parte centrale, la quarta.

94
M. K un d er a , I l L ibr o d e l r is o e d e ll ’o b l i o, c it . , p. 9 9.
95
Cf r . i v i, p. 1 7 1.

63
In questo caso, il leit-motiv si traduce in una pura illusione
del narratore (qui diretto portavoce dell’autore): esso
immagina un anello serrato nella bocca di Tamina, giovane
vedova in esilio, mentalmente ancora legata al marito
defunto.
La visione di Tamina, che custodisce un anello di oro nella
bocca, mentre resta immobile davanti a un branco di
struzzi, è una metafora a cui l’autore ricorre per
inquadrare il profilo esistenziale del suo personaggio.
Rispetto alla varia umanità che la circonda, con cui non è
possibile dialogare, in quanto composta da gente
interessata solo a rovesciare all’esterno tutto quello che le
passa per la testa (di qui l’immagine degli struzzi, che
spalancano continuamente il becco senza in realtà
emettere il minimo suono), Tamina è l’unica a serbare
gelosamente i suoi ricordi; in altre parole, a salvaguardare
la sua identità (l’anello d’oro).
Inoltre, il fatto che Tamina sia l’unico personaggio del libro
a comparire in più di un capitolo, rivelandosi quello che
più degli altri rappresenta i temi alla base del romanzo,
riveste di un ulteriore significato le altre due ricorrenze del
leit-motiv: le immagini della pepita e del dente d’oro, poste
rispettivamente nei capitoli precedente e successivo
rispetto a quello in cui figura la scena dell’anello, si
delineano così come aloni scaturiti dal suo bagliore.
I tre episodi, considerati separatamente, appaiono tutti
intrinsecamente significativi; ma la ragione della loro

64
presenza, ciò che conta nell’ottica del romanzo, consiste
soprattutto in ciò che risulta dal loro confronto.
Essi alludono tutti alla lotta continuamente ingaggiata
dalla memoria (e rappresentata in maniera esemplare
dalla vicenda di Tamina) per cercare di isolare, dal flusso
caduco della Storia, anime o situazioni che si vogliono
uniche e irripetibili; in questo modo, le tre ricorrenze del
leit-motiv favoriscono la comprensione di uno dei temi di
fondo del romanzo.
Nel caso della musica, invece, la valenza del leit-motiv è
costituita solo dall’atto stesso della sua ripetizione.
Il piacere della sorpresa, misto ad un senso di
rassicurazione, che consiste nel ritrovare, nel territorio
ignoto di una nuova linea melodica o tenuta ritmica, note
che risuonano familiari, permette di apprezzare meglio
l’ingegno della costruzione; di riconoscere, al di là degli
inserti che di volta in volta arricchiscono il brano, la sua
matrice unitaria.
Perché il leit-motiv, nella musica, possa in tal modo
favorire la comprensione dell’opera è però necessario che
già per la sola qualità della sua trama riesca ad imporsi
all’attenzione degli ascoltatori. Infatti, a differenza
dell’opera romanzesca, generalmente basata su un
processo di «discontinuità del senso che obbliga il lettore

65
ad operare una sintesi continua di serie eterogenee» 96,
quella musicale, spiega Vuong, rappresenta «una
continuità senza faglia» 97: un flusso ininterrotto, la cui
assimilazione non è possibile controllare completamente,
dipendente com’è dal tempo unico in cui si svolge
l’esecuzione.

1.4. Saggezza del romanzo e della musica

Sia l’apprensione del romanzo che quella della musica


coinvolge l’esercizio della memoria 98; dalle due arti, però,
questa viene stimolata in maniera diversa.
Il primo sembra in grado di coinvolgere una memoria più
profonda, a lungo termine, che il lettore si trova a dover
sviluppare per ritenere i vari indizi di cui è disseminato il
romanzo, finché essi non assumono un senso compiuto.
La musica, invece, almeno nella fase del primo ascolto,
arriva a sollecitare soltanto una memoria a breve
termine 99; ovvero, meno resistente alla forza dell’oblio, a

96
« d is c o nt i n u it é d u s e ns q u i o bl i g e l e l ec t eur à o p ér er un e s ynt h ès e
per p ét u e ll e de s ér i es hé t ér o g èn es » ( tr a d. n o s tr a) . H .H . V uo n g, Mu s i qu es
de r om a n, c it ., p . 1 66 .
97
I v i, p . 1 65 .
98
L a be l l a s c e na f i n al e d i F a hr en h ei t 4 51 , i l r ac c on to d i f a nt as c i en z a
s c r it t o da Ra y Br a d bu r y, tes t im on ia la n ec es s it à d e l l e gam e es is t e nt e tr a
r om an zo e r ic or do : p e r s a l v ar e i l i br i d al l a d is tr u zi o n e d i m as s a i m pos ta
da l g o v er no , u n gr up p o d i s o v v er s i vi s i r a d u na in un bos c o p er r i p as s ar l i
a m em or i a e c os ì t r am an d ar l i a ll e g e ner a zi o n i s uc c es s i v e.
99
Q u es t a d is ti n zi o n e tr a i d u e t ip i d i m em or i a a l u ng o e br e v e t er m ine
r is po n de al l e c o nf er m e d el l a ps ic o lo g i a c o gn i t i va , s ec on d o c u i s o lt an t o
qu e i p ar tic o l ar i s t im o li c he s i s i a a vu t o i l t em po d i r i el a bor ar e
r a zi o n a lm ent e, i n m od o d a c ol l e gar l i a l c om pl es s o di c o n o s c en ze

66
cui, al momento stesso della loro materializzazione,
soggiacciono tutti gli elementi che non siano stati ripetuti
un numero di volte sufficiente ad imprimersi nella mente
degli ascoltatori. Romanzo e musica sono entrambi
misurabili dalla memoria, in quanto tutti e due organizzati
sulla base del fattore tempo.
Il fatto che possano essere ideati e percepiti solo grazie al
tempo e attraverso il tempo rappresenta il loro principale
elemento di analogia, a fronte di altre arti a carattere
spaziale, come quelle figurative 100; «sorelle temporali» 101,
secondo Vuong le arti del romanzo e della musica hanno
entrambe a che fare con «una successione di suoni
articolati e organizzati in base ad analoghe strutture di
percezione: tensione, ripetizioni, contrasti» 102.
Tuttavia, oltre alla diversa azione sulla memoria, proprio
la diversa percezione del tempo suggerita dalle due arti è
paradigmatica del modo in cui, rispettivamente nella
musica e nel romanzo, si definisce il rapporto tra forma e
contenuto; per questo, il suo esame rappresenta un
presupposto importante per arrivare poi a distinguere gli

pr ec e d en tem en t e ac q u is i t e, p os s on o ac c e d er e ad u n l i v el l o d i m em or i a
p iù d ef i n it i v o.
100
S u l la p os s i b i l it à d i d i s ti n gu er e l e ar t i tr a t em por al i e s p a zi a l i s i s on o
es pr es s i v ar i s tu d i os i ; a t it o lo d i es em pi o, s i c o nf r o nt i G er ar d G en et te , i n
F i gu r e II . La p ar o l a l et ter ar i a, tr ad . it . d i F . Ma d on i a, E i n au d i, T or i no
19 7 2.
101
H. H. Vu o ng , Mu s iq u e s d e r o m an , c i t. , p3 2 .
102
Ib . ( tr ad . m i a) .

67
esiti conseguiti dall’elaborazione della forma variazione
nei due diversi casi.
Se il romanzo riesce ad accedere ad un livello di memoria
più profondo, ciò avviene anche perché sembra suggerire
una percezione lineare del tempo, che la memoria può
così decodificare secondo un ordine intellegibile.
L’impressione che l’universo temporale dei romanzi sia
sostenuto da criteri cronologici è però illusoria; come
spiega Roland Barthes 103, è il lettore ad attribuire al
racconto quella che, in realtà, è la materia temporale di
cui si suppone sia informato il referente, ovvero il mondo a
cui rimanda la storia.
Ricapitolando le riflessioni del critico francese, Vuong
conclude che, in tal caso, è la fase della lettura a farsi
carico, «di incarnare nella sua propria durata la
rappresentazione temporale contenuta virtualmente nel
racconto» 104.
Come si è visto, invece, la musica si presta in misura
minore a questo tipo di proiezioni, dal momento che
quest’arte presenta una natura intrinsecamente formale,
nel senso che da essa è oggettivamente assente un

103
A q ues t o r i gu ar do , B ar t h es par l a d i « i l lus i on c h r o n ol o g iq u e» . Cf r . R .
B ar t h es , I ntr o duc t io n à l ’a n a ly s e s tr uc t ur a l e des r éc i ts , in Cr i ti qu e e t
v ér it é, Œ uv r es c om p l èt es , t. I I, 1 96 6- 19 7 5, S e ui l , p. 8 7. L a c it a zi o n e é
r i por t at a d a V uo n g i n Mus i q ues de r o m a n, c i t. p . 16 7 .
104
« i nc ar n er d a ns s a pr o pr e d ur ée l a r e pr és e n ta t io n t em por e ll e qu e
c on t ie n t v ir t u e l lem en t l e r éc it » ( tr ad . nos tr a ) . I b .

68
qualsiasi contenuto ricomponibile in termini di parole o
immagini.
Nel caso della musica, allora, il tempo appare
direttamente nella sua datità più pura, cioè svincolata dai
parametri di causa ed effetto con cui si è soliti
inquadrarla. Questa ipotesi sembra trovare sostegno nelle
osservazioni condotte al riguardo da Vuong, secondo cui,
nella musica, il tempo si presenta «chiuso, autonomo; si
tratta di un presente dinamico senza altro obiettivo che la
sua propria realizzazione» 105.
Una dimostrazione dello stato magmatico che caratterizza
il tempo nella musica consiste nella possibilità di
quest’arte di prestarsi alla tecnica del contrappunto.
Anche il romanzo, soprattutto a partire dall’inizio del XX
secolo, ha più volte ricercato nel principio di sviluppare
parallelamente più linee melodiche una possibilità di
arricchimento della trama.
Nel passaggio al romanzo, questo modello compositivo è
stato quindi tradotto, a seconda dei casi, in un’esposizione
alternata di storie relative a personaggi diversi, coinvolti
però dalle stesse vicende; ciò si osserva, ad esempio, nel
romanzo di Aldous Huxley pubblicato nel 1928,
dall’eloquente titolo Punto contro punto 106.

105
«c l os , a ut on om e, c ’es t u n pr és en t d yn am iq u e q u i n ’ a d ’ a utr e f i n q u e s a
pr o pr e r é a l is a t io n » ( tr ad . n os tr a) . I vi , p . 16 6 .
106
A. H ux le y, Pu n to c on tr o p u nt o , tr a d. i t. d i S. S p a ve n ta F il i pp i ,
B om pi an i , M i la n o 19 8 0 .

69
Altrove, l’assunzione del contrappunto nel romanzo ha
dato luogo alla pratica di trattare il tema fondante di
un’opera in un’ottica alternativamente narrativa, filosofica,
oppure onirica; quest’ultimo è appunto il caso di Milan
Kundera 107, la cui già appurata frequentazione dei principi
di composizione musicale è dovuta alla sua dichiarata
esperienza di pianista e compositore.
Nonostante i tentativi di rielaborazione romanzesca del
contrappunto abbiano conseguito nuove soluzioni di
approfondimento della materia narrata, tuttavia, solo nella
musica questa tecnica – il cui nome significa precisamente
“punto contro punto”, cioè nota contro nota – può
realizzare il suo presupposto di partenza, che consiste nel
permettere alle diverse voci melodiche di esistere
simultaneamente.
Questa condizione di tempo «chiuso», quindi reversibile,
che pare essere propria della musica, favorisce in
quest’arte l’elaborazione di forme compositive come la
ripetizione, o la variazione su tema, le cui strutture
periodiche – basate sul continuo rinvio al tema di base –,

107
L o s t es s o r om an zi e r e d es c r i v e i n q u es t i ter m in i la s u a « ar t e d e l
c on tr ap p un t o r om a n z es c o ( c a p ac e d i f on der e i n u na s o l a m us ic a la
f il os of i a, i l r ac c o nt o e il s o g no ) » . Cf r . M . K un d er a, L ’A r te d e l r o ma n zo ,
c it ., Par t e Q u ar t a, D i a l og o s u l l ’a r t e d el l a c o m pos i zi o n e , p. 1 0 5.

70
sembrano suggerire una concezione temporale fondata sul
principio dell’eterno ritorno 108.
L’arte del romanzo, attingendo dalla musica forme e
modelli compositivi, ricava per tale ragione anche il modo
di dotare l’asse lineare della narrazione di ulteriori
“risonanze”, per le quali ciascuno dei suoi elementi diviene
parte di un progetto conoscitivo che esula dalla direzione
apparente della trama.
Questa possibilità del romanzo di attendere ad una
temporalità che si potrebbe definire circolare, mediante
l’assunzione di principi compositivi solitamente impiegati
nella musica, si evince dunque con chiarezza nel caso
della variazione su tema; forma non riconducibile soltanto
alla musica, ma di cui, come si è detto, è quest’ultima ad
aver svelato, più delle altre arti, le possibilità espressive.
Comportando un continuo ritorno all’esame di un tema
determinato, una volta tradotta nel romanzo, questa forma
riesce ad installarvi un’idea di tempo che devia dalla
concezione temporale di tipo evoluzionistico, fornendo
così la possibilità di un racconto svincolato da criteri
cronologici.
La compresenza di epoche lontane nell’ambito di una
stessa opera costituisce, ad esempio, una delle cifre

108
P er u n c o nf r o n to pi ù ap pr of o nd i to tr a i l c o n c et to d i v ar i a zi o ne s u tem a
e la t eor i a f i l os of ic a d e l l ’e t er n o r i tor n o , s i r im a nd a a l s e gu e nt e
par a gr af o.

71
artistiche di Enciclopedia dei morti 109, opera pubblicata da
Danilo Kiš nel 1984 e da considerare, nonostante la
scansione in nove novelle distinte, come un romanzo
unitario. Ciò risponde alla poetica dello scrittore
jugoslavo, secondo il quale anche un insieme di novelle,
purché orchestrato attorno ad un preciso tema di
riferimento, rappresenta «una particolare forma di
romanzo» 110, il cui principio di indagare attraverso storie
diverse una stessa problematica offre la possibilità di fare
a meno dei «tradizionali rapporti di solito necessari per
creare una falsa continuità temporale, i legami e i cliché
così in uso nelle opere dei cattivi romanzieri» 111.
La «particolare forma» a cui allude Kiš sembra proprio
corrispondere ad uno degli esiti a cui può dar luogo
l’elaborazione della variazione su tema nel romanzo.
Come già nel Libro del riso e dell’oblio, i nove racconti
compresi in Enciclopedia dei morti rappresentano
altrettante opportunità di modulare un unico tema centrale
attraverso storie di argomento e genere diverso 112 (Kiš

109
D. K iš , E nc ic l op e di a d e i m or t i ( 1 9 84) , tr ad . i t. d i L . Cos t an t in i , A d e l ph i ,
M il a n o 19 8 8.
110
L a s u d de tt a c o nc e zi on e de l r om an zo è e s pr es s a da l r om an zi e r e a
pr o p os it o d e l l ’ Ar m a ta a c av a l lo d i Ba b e l’ n e l l o s c r i tt o s ag g is t ic o R om a n zi
i n u n p a lm o d i m a no . Ci t. d a M . R i z z an t e n e l s a gg i o De l l ’i d e al e
enc ic l op e d ic o . S u l l ’ar te d e l l a c o mp os i zi o n e d i D an i l o K iš , p. 13 2,
c om pr es o ne l l a r ac c o lt a s a gg is tic a L ’ A l ber o , c it .
111
Ib .
112
L ’a tt i tu d in e a d am al gam ar e, e ntr o u n ’u n i c a op er a, u n a v ar ie t à d i
ge n er i e s t i l i d if f er e n ti c ar a tt er i z za t ut ta l ’ at t i vi t à le tt er ar ia d i K iš . I n
un ’ i nt er v is t a r il as c i at a n e l 19 7 3, l ’a u tor e s pi e ga : « ne i m ie i r om an zi ,
s opr a tt ut to i n Cl es s i dr a [ r om an zo p u bb l i c at o q ue l l o s t es s o an n o,

72
spazia dalla cronaca al racconto di ascendenza biblica,
dal saggio all’epistola, etc.).
Nel Post Scriptum, oltre a dichiarare la struttura tematica
del libro – incentrata attorno al problema
«metafisico» 113della morte –, Kiš spiega che tutte le
novelle costituiscono una variazione immaginaria condotta
su dati documentali 114; ad esempio, notizie relative ad
aneddoti di origine storica o leggendaria, e risalenti alle
epoche più disparate e lontane.
Nel disporre i racconti che ne risultano, l’autore non
rispetta l’ordine cronologico degli eventi rappresentati:
così, mentre Simon Mago, la novella iniziale, è ambientata
«Diciassette anni dopo la morte e la miracolosa

( n. d. R. ) ] , s i r i tr o va t r ac c ia di t u tt i i c am p i de l l a l et t er a tu r a c he m i
i nt er es s a n o e d e i q u a l i ho u n a c er t a es p er ie n za : c on os c en ze s a gg is t ic h e
e r if les s i on i t e or ic h e, ec o d e l l ’es p er ie n za p oe t ic a ac q u is it a tan t o
tr a d uc e n do g l i a ltr i po et i c h e s c r i v en d on e io s tes s o, ( …) » . T r ad . nos tr a
da : T o us l es gè n es de m es l ec t ur es , p. 2 3 . I n: D. K iš , L e r és id u a me r de
l ’ex p ér ie nc e, tr a d. d al s er b o- c r oa to a l f r an c es e d i P . De l p ec h , F a ya r d ,
P ar is 19 9 5.
113
Q ues t o l’ i nc i pi t de l P os t Sc r i pt u m: «T u tt i i r ac c on t i di q u es t o l i br o
nas c o no , i n m is ur a m ag g i or e o m i nor e , s o t to i l s e gn o d i u n tem a c he
c h iam er e i m et af is ic o; a par t ir e d a l l ’e p op e a d i G i lg am es h , la q u es t i on e
de l l a m or te è u no d e i t em i os s es s i vi d e l l a l e tt er at ur a » . Vd . D. K iš ,
E nc ic l o pe d i a de i mor t i , c it ., p . 1 85 .
114
Le no v e p ar t i d i E nc i c l op e di a de i m or t i c os ti t uis c o no , c os ì, v ar i a zi o n i
d i t r e or d i ni di v er s i : ol tr e a c o nf i gur ar s i c om e no v e m od u l a zi o n i
“ na r r a t i ve” de l m ed es i m o tem a ( c io è, ol tr e a c or r is p on d er e a n o v e s tor ie
d i ar gom en t o e p er s o na g g i d i ve r s i) , r a p pr e s en t an o, c om e s pi e ga Kiš ne l
P os t Sc r i pt u m, i n o g ni c as o v ar i a zi o n i f i tt i zi e d i d at i doc um en ta l i. In o ltr e,
os s er v a M as s im o R i z z an t e, d el t em a d e l la m or t e r a ppr es en t an o c i a s c un a
un a d i ver s a v ar i a zi o ne o nt o l og ic a, n e ll a m is ur a i n c u i « L ’ au t or e ,
at tr a v er s o la r ic os tr u z i on e de l m om ent o p r e s en t e [ i l m om ento pr e s en t e
s em pr e c or r is po n de n t e a ll a d i v er s a e p oc a r af f ig ur at a ( n. d .R .) ] , s t or ic i z za
og n i vo l ta l a M or te , le d à u n vo l to » . C f r . M. Ri z za n t e, De l l ’I d e a l e
enc ic l op e d ic o . S u l l ’A r t e d el l a c o m pos i zi o n e d i Da n i lo K iš , c i t. , p . 1 27 .

73
resurrezione di Gesù di Nazareth» 115, l’incipit della
successiva, Onoran ze funebri, annuncia che l’episodio
narrato «accadde nel millenovecentoventitre o
ventiquattro», e la terza si svolge agli inizi degli anni
ottanta; la quarta, invece, accompagna i lettori in una
retrocessione del tempo fino agli albori del VI secolo, la
quinta li riproietta nel XIX e così via.
La cura dimostrata da Kiš nel delineare, spesso con
profusione di dettagli, lo sfondo temporale su cui si staglia
il racconto non rispecchia tanto un’intenzione realistica,
quanto il progetto formale su cui si fonda la sua poetica.
L’«ideale enciclopedico» 116 a cui Kiš si richiama – e di cui
la terza novella di Enciclopedia dei morti, a cui è ispirato il
titolo del libro, rappresenta l’apice della
concretizzazione 117 – consiste nel principio di accogliere la

115
D. Kiš , E nc ic lo p ed i a d e i mo r t i, c it ., p . 17 .
116
Ne l s ag g i o gi à c i ta t o, T o us l es gè n es de m es lec t ur es ( D . K i š , L e
r és id u a m er d e l ’e x p ér ie nc e) , K iš d ic h i ar a c om e il s u o i d ea l e s i a «u n
l ibr o c h e d o vr e bb e l e gg er s i n on s o l o c om e s i l eg g e un l i br o la pr im a
v o lt a, m a c om e un ’e nc ic lo p ed i a ( …) , e c io è c os tr u it o s ec o nd o
un ’ a lt er na n za br ut a le e v er ti g i nos a d i c onc e tt i, u n l i br o c ap ac e d i
ob b ed ir e a l l e l eg g i d e l c as o e d e l l ’or d i ne a lf ab e tic o ( o al tr o) , n e l q ua l e s i
s uc c e d on o n om i di p er s o n e c e le br i e l e l or o v it e r i do tt e a l m inim o
nec es s ar io , v it e d i p oe t i, d i r ic er c a t or i , d i po l i t ic i , d i r i vo l u zi o n ar i, d i
m edic i, d i as tr on om i, ec c . ». T r ad u zi o n e d i M. R i z za n t e, c h e ne l s ag g i o
De l l ’I d ea l e enc ic l op e d i c o. S u l l ’A r t e de l l a c o m pos i zi o n e d i D a n i lo K i š , c i t. ,
a p ag . 1 27 r ip or ta la c it a zi o n e d i K iš .
117
Ne l r ac c o nt o, a pr o p o s it o de l l a m is ter i os a « E nc ic l o pe d i a d e i m or ti », l a
pr o t ag o n is t a s p i e ga c he : «T u tt o è pr es en t a to i n s i n go l i c ap o v er s i, o gn i
m om ent o è r ie v oc at o in u n a s o r t a di qu i nt es s en za e d i i m m agin i
po e tic h e, n on s em pr e i n or d i ne c r o no l o gic o , m a in un a b i z zar r a s i m bios i
d i t em pi , p as s a to , pr e s en t e e f u tur o ». Q u es te p ar o le , o ltr e a d es c r i v er e
l o s t i l e in c u i è r e d at t a la m is t er i os a enc ic l op e d ia c h e r ac c og l i e l e ges ta
d i tu tt i i d ef u nt i n o n c e l ebr i , c i o è a ltr i m enti es c lus i da l l a St or i a,

74
visione frammentaria del mondo, quale si è andata
definendo in età moderna, entro una struttura che risulti il
più possibile compatta, e per mezzo della quale il reale,
generalmente avvertito come disorganico e insensato,
assuma finalmente una configurazione intellegibile; alla
maniera di un’enciclopedia, le cui diverse voci, in pochi
tratti essenziali, assemblano una quantità di saperi
distinti, relativi alle più disparate realtà geografiche e
temporali.
Il compito dell’arte, e in primo luogo dell’arte del romanzo,
per Kiš è costituito proprio dalla possibilità di contrapporre
una forma «al disordine della barbarie e all’arbitrarietà
degli istinti» 118, secondo quanto spiega lo scrittore in un
saggio composto subito dopo Enciclopedia dei morti; una
forma, che celebri lo sforzo dell’intelligenza di resistere al
«caos che ci circonda» 119 e che rispetto a tale caos
rappresenti «un punto di riferimento certo» 120.
In quest’ottica, la compresenza dei molteplici universi
temporali, gravitanti attorno ad un unico nucleo tematico,
che contrassegna Enciclopedia dei morti, è da intendere
come il risultato a cui dà luogo la funzione ricompositiva
del romanzo, oltre a quella direttamente compositiva: il
compito, in cui sembra consistere l’essenza stessa

s em br a no r a ppr es en t a r e l a c if r a de l l ’ id e a le ar t is tic o di Da n i l o K iš . Cf r . l a
ter za n o ve l l a ( o t er za par t e) d i E nc ic lo p ed i a de i m or t i, c i t. , p. 4 9.
118
D. Kiš , V ar i a zi o n i s u i te m i d el l ’E u r op a c e ntr a le , c i t. , p. 6 7 .
119
Ib .
120
Ib .

75
dell’arte del romanzo, di fungere da contrappeso alla
perdita dell’unità della conoscenza sperimentata dai
moderni.
Al pari di Milan Kundera, con cui Danilo Kiš ha
l’opportunità di intrattenere uno scambio intellettuale
vivace nel corso del comune esilio a Parigi 121, quest’ultimo
riconosce proprio nei principi di composizione tipici della
musica le possibilità di pervenire, nel romanzo,
all’ideazione di questa forma omnicomprensiva 122.
Così, impiegando il medesimo principio di orchestrare
attorno ad un unico tema centrale i materiali più svariati
ed eterogenei – in cui consiste la variazione su tema –,
l’arte del romanzo acquisisce la stessa possibilità della
musica di una presa diretta del tempo, affrancata dai
parametri di inquadramento cronologico.
Ad esempio, nell’Enciclopedia dei morti o ne Il Libro del
riso e dell’oblio, tutti i personaggi, continuamente posti a
confronto con ipotetici predecessori e successori, si
configurano come variazioni degli stessi temi di

121
A r ipr o v a d e l la f r at e l l an za i nt e ll e tt ua l e c he ha u n it o i d u e r om an zi er i s i
l eg g a, ad es em pi o, F ed e l e a Ra b e la is e a i s ur r e a l is t i c h e fr ug av an o ne i
s og n i, r ic or do c h e K u nd er a de d ic a a l l ’am ic o Kiš a d iec i a nn i d a l la s u a
m or te ( K iš s c om par v e pr em at ur am en t e, n e l 1 98 9) , or a r ac c o lt o i n U n
Inc o ntr o, c it ., p p. 12 5- 12 6 .
122
Ad es em p io , i l l us tr a n do i l m od el l o e nc ic l op ed ic o c h e s os t i en e la s ua
op er a, K iš r ic o n os c e ne l pr inc i p io d el l a p o lif on i a, as s un ta «s ul pi a no
de l l a f or m a» , lo s tr um en t o p er da r l u o go , e n tr o u n ’o p er a u n it ar ia , ad u na
c om pr es en za d i d i ve r s i p ia n i t em por a l i . Cf r . D . K iš , T o us les g è nes d e
mes lec t ur es , c i t. , p. 2 3.

76
ascendenza ancestrale, di cui finiscono con il
rappresentare le molteplici prospettive di analisi.
Tale possibilità inclusiva sembra risultare dal
conseguimento di una visione totalizzante dell’esistenza
umana, che secondo il romanziere Hermann Broch deve
poter essere sviluppata da ogni romanzo degno di questo
nome.
Nell’Immagine del mondo nel romanzo 123, testo di una
conferenza letta nel 1933, Broch spiega che la vertiginosa
accelerazione del progresso scientifico, invece di favorire
un miglioramento della conoscenza (intesa, nel suo senso
più nobile e al contempo più efficace, come possibilità di
scoprire la realtà, l’altro da noi, attraverso noi stessi, e
viceversa), ha condotto ad una vivisezione del sapere in
branche sempre più specifiche, al punto tale da rendere
sempre più difficile la loro riconduzione ad una matrice
comune.
Secondo Broch, il compito di assicurare una sintesi
intellegibile dell’assetto magmatico tramite cui si presenta
il reale, compito di natura etica (in quanto rispondente ad
un bisogno primario dell’uomo), e che un tempo era svolto
dalla Chiesa – la cui linea dogmatica non è riuscita ad
arginare il processo di «disgregazione dei valori» messo in
atto dalla scienza –, ormai può essere preso in consegna
solo dall’arte. In particolare, dall’arte del romanzo, il cui

123
In : H. Br oc h , P oes i a e c o n os c e n za , c i t. , p p. 26 7- 2 98 .

77
obiettivo originario – continua a spiegare Broch – consiste
nel rappresentare il mondo «così come esso è» 124, nella
sua totalità.
Che si tratti del sostegno ad una determinata teoria
filosofica, o ideologia politica, il romanzo non deve quindi
in nessun caso essere asservito ad una particolare
dottrina o immagine del mondo troppo specifica; pena il
conseguimento di un risultato, più che artistico, didattico.
Se vuole invece rispondere al suo originario compito
conoscitivo – che è allo stesso tempo di natura etica –, il
romanzo deve sforzarsi di inglobare, entro il suo statuto
puramente fittizio, tutte le varie immagini, o concezioni del
mondo, già emesse dalle varie discipline, attraverso un
lavoro di astrazione della materia e di stilizzazione,
perfezionato fino al conseguimento di uno stile
massimamente essenziale, che Broch chiama «Lo Stile
dell’età mitica» 125 o stile della maturità (intesa nel senso di
essenzialità) 126:

«Per poter sopravvivere l’arte deve tendere


all’essenziale, deve diventare un contrappeso alla

124
I v i, 2 7 5.
125
L o s t i l e d e ll ’e t à mi tic a è i l t i to l o d i u n a lt r o s ag g i o d i Br oc h ,
or ig i n ar i am en te c om pos t o c om e pr ef a zi o n e a O n t he I li a d ( d e l f r anc es e
Rac h el B es pa l of f e p ub b l ic a t o n e l 19 4 7) e at tu a lm ent e c o nt en u t o in : H .
Br oc h , P o es i a e c on os c en za , c it ., pp . 3 15- 3 3 3.
126
Cf r . Br oc h : « In d ub b i am ent e i l m it o p or t a i n s é c ar at ter is t ic he d i
en tr am bi i per i o di : l ’ in f an zi a ( c os ì v ic in a a ll ’ et à de l l ’ uom o p r im it i v o) e l a
s en i l it à . Lo s t i le d e l l ’u n a e de l l ’a l tr a e s pr im e l ’ es s e n zi a l e : q ue l l o
de l l ’ inf an zi a , pr im a d e l l ’i n gr es s o n e l r e g n o d e i pr o b lem i s og g et t i vi ; q ue l l o
de l l a v ec c hi a i a d op o l ’ us c it a d a qu es to r eg n o» . I v i, p . 3 15 .

78
mostruosa calam ità che ha colpito il mondo.
Imponendo questo compito alle art i la nostra epoca
di disintegrazione impone ad esse lo ‘stile della
tarda maturità’, lo stile dell’essenziale, lo st ile
127
dell’astratto» .

Attraverso questa risposta etica, e al tempo stesso di


natura estetica (in quanto prodotto di un’operazione
formale), offerta al disfacimento del senso arrecato dalla
scienza, il romanzo sviluppa anche una funzione catartica.
Infatti – secondo Broch – l’elaborazione di una immagine
del mondo “totalizzante”, cioè il più possibile
omnicomprensiva, produce necessariamente anche una
«parziale liberazione dall’angoscia» 128; questo perché
«una volta che il mondo intero sia stato misurato non vi
sarà più posto per l’oscurità» 129.
In conclusione al suo discorso, Broch sembra suggerire al
romanzo la via da intraprendere per poter assolvere il suo
compito.
Lo stile «dell’essenziale, lo stile dell’astratto» 130, tipico dei
miti, che solo permette di abbracciare la complessità
dell’esistenza umana, potrà derivare al romanzo da una
sua «musicalizzazione», che non si risolva in una scelta di
vocaboli in base alla loro sonorità, ma coinvolga

127
I v i, p . 3 29 .
128
I v i, p . 2 94 .
129
Ib .
130
Com e Br oc h l o d ef i nis c e n el s ag g io Lo s t i l e de l l ’e t à m it ic a, c it ., p . 32 9 .

79
soprattutto l’organizzazione sintattica, ovvero
macrostrutturale. Le strutture generalmente impiegate
nella musica – «arte astratta par exellence» 131 secondo le
parole di Broch –, come la polifonia e la variazione su
tema, rispondono meglio di altre all’obiettivo di
condensare la varietà nell’unità 132; se considerata nella
sua accezione classica, cioè in quanto principio di
composizione e non di disgregazione dei rapporti armonici
(come invece viene assunta nell’ottica atonale, tesa a
superare l’idea di totalità), la forma musicale della
variazione costituisce un riferimento ideale a cui il
romanzo può attingere per conseguire gli obiettivi
totalizzante e catartico.
A sua volta, nella musica e nel romanzo, il
soddisfacimento di questi due obiettivi ne sostiene ancora
un terzo, necessario al compimento della missione etica
che sottende entrambe le arti; la possibilità di intendere il

131
La r if l es s io n e s u i be n ef ic i d er i v an t i a l r om an zo da u na s ua
c om m is ti o ne c on l a m us ic a , g i à ac c e n n at a a ll a f i ne de l l ’ I mm a g i ne de l
mo n do ne l r o m a n zo , è p oi ap pr of o nd i ta d a Br oc h ne l l o S t il e de l l ’e t à
m it ic a, d a c u i è a p pu n to tr at t a anc h e q ues t a c it a zi o n e. Cf r . p. 3 3 0.
132
A q ues t o r i gu ar do , e r if er e nd os i i n pa r t ic ol ar m od o a l la va r i a zi o ne s u
tem a, C up er s s c r i v e : «A l l a b as e d e l la s pec u l a zi o ne es t et ic a s u l le
i l lim it a te p os s i b il i tà ar tis t ic h e d e l la f or m a t e m a c on var i a zi o n i vi è l a s u a
c on n es s io n e c o n la n ec es s i tà q uas i ep is te m olo g ic a i n c u i s i tr o v a l ’ ar t e
d i c om bi nar e d i v er s it à e un i tà , e v ic e v er s a: r ic o nc i li ar e l ’ un i t à e l a
d i ver s i tà . In q u es t o c as o s i tr a tt a s e n z’ a l tr o d e l l ’e te r n o c o nf r o nt o tr a
l ’u n o e i l m o lt ep l ic e ». T r ad . nos tr a ( « La s o ur c e de l a s p éc u la t io n
es t h ét i qu e s ur l es p os s i bi l i tés ar t is ti q ues i l li m itées de l a f or m e du thèm e
et de s es var i at i o ns pr o v i e nt de s a c o n ne x i on a vec l a n éc es s i t é q u as i
ép is tém o lo g i qu e da ns l aq u el l e l ’ar t s e tr o u v e d e c om bi ner l a d i v er s it é
a vec l’ u n it é, e t v ic e v er s a : r éc o nc i l i er l ’ un it é e t l a di v er s i té ») . I n: J - L .
Cu p er s , H ux ley et la mus i q ue , à l a m a n ièr e de J e a n- Sé b as t i en , F ac u l tés
un i v er s it a ir es de S ai n t - Lo u is , Br ux e l l es 1 98 5 , p. 2 3 3.

80
molteplice in riferimento ad un unicum comporta difatti
anche un’acquisizione di tipo cognitivo.
Mentre l’elaborazione della variazione su tema, nel caso
del romanzo e in quello della musica, assicura all’opera un
impianto ugualmente unitario (da cui scaturisce, come si è
visto, anche l’effetto catartico), la differenza tra queste
due forme di variazione, musicale e romanzesca, si evince
soprattutto in relazione a quest’ultima funzione: il tipo di
conoscenza a cui la forma variazione dà accesso,
rispettivamente nelle due arti considerate, è infatti di
natura diversa.
Questa differenza dipende dal diverso tipo di rapporto che,
rispettivamente nella musica e nel romanzo, lega la forma
al contenuto e, più specificatamente, le variazioni al
soggetto posto come tema.
Appurata l’impossibilità, a proposito della musica, di
scindere forma e contenuto, ne consegue che, in questo
caso, l’unica specie di acquisizione cognitiva a cui può dar
luogo il principio compositivo della variazione corrisponde
alla possibilità stessa di percepire l’armonia formale che
deriva dalla disposizione di un materiale sonoro –
caratterizzato da alternanze ritmiche o melodiche – in
riferimento ad un tema di raccordo; il piacere, che
naturalmente scaturisce dalla constatazione delle
corrispondenze intrattenute dalle diverse voci, implica,
difatti, anche la capacità di un’intuizione, dunque di
un’applicazione a livello cognitivo.

81
In altre parole, nella musica, la funzione conoscitiva – in
genere, ritenuta afferente al piano del contenuto 133 –
sembra coincidere direttamente con quella totalizzante e
con quella catartica: è proprio la bellezza armonica di un
brano, risultante dalla confluenza delle diverse linee
melodiche verso il tema di base, a rappresentare, in
quest’arte, il cosiddetto contenuto 134.
Ne deriva che, in questo caso, le variazioni non esercitano
sul loro elemento di raccordo, il tema, altro tipo di
approfondimento che non sia di natura prettamente
formale, e se un senso viene comunque conseguito, si
tratta pertanto di un senso indicibile.
Françoise Escal individua in questa caratteristica il
principale discrimine tra la forma musicale della variazione
e quella letteraria.
A questo riguardo, la studiosa spiega che:

«Nella musica, i tem i-personaggi e le lor o var iazioni


sono prodottie organizzati in modo autonomo, liber i
da ogni asser viment o alle rappresentazioni di cose o

133
Per B ac h t in , a d es e m pio, u n « o gg et t o es te t ic o » c h e pos s a es s er e
def in i to t a l e c om por t a s em pr e , a l i v e ll o f or m a le , u n’ or ga n i z za zi o n e d e l le
du e r ea l tà « de l l a c o n os c e n za e d el l ’ at t o e ti c o» , le q ua l i ne c om pon g on o
i n ta l m odo i l c on t en ut o. Cf r . M . B ac ht i n, Es t et ic a e r o m an zo , c it ., p. 2 7 .
134
Cf r . a nc or a B ac h t in : «L a f or m a es t et ic a, c he i nt u it i v am en te u nif i c a e
c om pi e, s i c a l a d a ll ’ es t er no s u l c o nt e n ut o ( …) ; es s a tr as f er i s c e i l
c on t en ut o s u un nu o vo pi a n o as s io l o gi c o: q u e l lo d i un ’ es i s te n za
d is t ac c a t a e c om pi ut a , as s i o l og ic am ent e p a c if ic at a i n s é: la b e l l e z za » .
Iv i , p. 28 .

82
di esser i che popolano il mondo dellar ealtà o della
f inzione. Detentor i di senso, anche se resta implicito
o indicibile, le strutt ure musicali non r ispondono però
che ai loro cr iteri di costruzione. Ben diverso è il
caso dei tem i-personaggi nella letterat ura (…). La
‘var iazione’ letteraria, subor dinata ad un contenuto,
non conosce procedure come il r inversamento,la
soppressione, la f rammentazione, la gradazione; in
breve, tuttal’integrazione f ormale di cui la musica è
suscettibile dal momento che è un linguaggio ad un
solo livello,quello del signif icante» 135.

La nozione di contenuto cui Escal sembra far riferimento,


considerandola specifica della «variazione letteraria», è
quella di significato dicibile, cioè referenziale; diverso
quindi dal «senso» sprigionato dalla musica, cui invece la
studiosa riconosce la possibilità di celarsi come «implicito
o indicibile».
Proprio questa possibilità di espansione referenziale che
caratterizza il contenuto della letteratura, rispetto a quello
musicale, chiarisce la differenza che contraddistingue il

135
« E n m us iq u e, l es th èm es - p er s o n na g es et le ur s va r i a ti o ns s on t
pr o d u its et or g an is és de f aç o n a ut on om e, l i br es d e to ut e as s er v is s em ent
à des r epr és en t at i ons d e c hos es o u d ’ êtr es q u i pe u p le nt le m on d e de la
r éa l i té o u de l a f ic t io n. P or t e us es d e s e ns , m êm e s ’ i l r es t e im pl i c it e o u
i nd ic i bl e , l es or ga n i s at i ons m us ic a l e n ’ ob é is s en t c e p en d a nt qu ’ à
l ’ex i g enc e d e le ur c ons tr uc t i on . T ou t a ut r e es t l e c as d es t hèm es -
per s o n na g es en l i tt ér at ur e ( …) . L a ‘ v ar ia t i on ’ l i tt ér a ir e , as s uj et t i e à un
c on t en u, ne c on n aî t pas c es pr oc é d ur es q ue s on t l e r e n v er s em en t, la
s up pr es s io n , l a f r a g m enta t io n, l ’ aux ès e, br ef , to u te c et te i nt é gr a t io n
f or m ell e do nt l a m us i qu e es t s us c e pt i b le p ar c e - q u ’e l l e es t u n la ng a ge à
un s eu l p l an , c e l u i du s i g n if i an t» . ( T r ad . n o s tr a) . F . Es c a l, Co ntr ep o i nt .
Mus i q ue et l i tt ér at ur e, c i t. , p . 1 81 .

83
tema delle variazioni nelle due arti considerate e il motivo
per cui, di conseguenza, il tipo di indagine conoscitiva a
cui la forma variazione dà luogo nel romanzo non si
risolve, come nella musica, esclusivamente nel
conseguimento della «bellezza» formale, ovvero di una
forma compositiva unitaria; effetto che, invece, ne
rappresenta piuttosto il presupposto di avvio.
Ciò che caratterizza il romanzo è il fatto che, in questo
caso, l’opera di organizzazione formale è funzionale
all’inquadramento di un tema che viene indagato anche in
ciò che consiste la sua valenza referenziale; un tema, che
quindi trascende la sua forma, nonostante la particolare
configurazione scelta per rappresentarlo sia ad esso
correlata da un rapporto di necessità, di insostituibilità.
Nel romanzo, infatti, sebbene non si determini davvero
coincidenza tra forma e contenuto – come avviene nella
musica –, nondimeno il contenuto non può essere
considerato completamente separabile dalla forma, come
può accadere invece nella filosofia e accade nei testi
scientifici 136. Più precisamente, sebbene nel romanzo (a
differenza della musica), sia possibile riscontrare la
presenza di un effettivo rapporto tra forma e contenuto,
questo è però regolato da un criterio di interdipendenza,

136
P er u na d is am in a de l l e c ar at ter is t ic h e c he c on tr ad d is t i ng u o no i l
r ap p or t o tr a f or m a e c on te n ut o r is p et t i va m ente ne l l a f i los of i a e n el
r om an zo , s i r im an da a l p ar a gr af o s uc c es s i v o .

84
per il quale al mutare di uno dei due termini muta
necessariamente anche l’altro.
Ciò dipende dall’approccio assunto dal romanziere verso il
tema della sua opera, di cui non gli interessa condurre
un’analisi oggettiva – pena la riduzione del romanzo a
scienza o filosofia –, ma piuttosto un’esplorazione libera,
in linea con lo spirito ludico e fittizio del romanzo e quindi
sempre condizionata dalla particolare forma prescelta per
condurla.
Lo scopo di quest’arte, infatti, non è offrire al lettore
soluzioni già definite ma metterlo in condizione di
misurarsi personalmente con il tema dell’opera.
Assumendo la forma della variazione, il romanzo riesce a
conseguire il suo obiettivo conoscitivo essenziale:
esaminare aspetti obliati dell’esistenza – in cui consistono
i temi – secondo punti di vista sempre diversi, così da
offrirne una visione problematica e mai definitiva.
Dal confronto tra le molteplici modulazioni comprese in
uno stesso romanzo, il lettore giunge a ricavare il tema di
base e, in questo modo, a cogliere nel contempo la radice
della sua identità: questa possibilità di riconoscere
nell’alternanza delle diverse prospettive sviluppate su uno
stesso tema i lineamenti di una forma unitaria equivale
infatti alla possibilità di riscoprirsi cardine della propria
esistenza, tema della sua propria forma; acquisizione in
cui consiste la conquista cognitiva ultima di ogni indagine
di tipo romanzesco.

85
Così, il ruolo svolto dal tema permette anche di
distinguere i casi di vera rielaborazione romanzesca della
variazione su tema dai semplici adattamenti di questo
principio dalla musica alla letteratura.
Perché il recupero di questo principio compositivo dalla
musica si traduca in un reale esempio di forma
romanzesca della varia zione – che comporta l’effettiva
riconduzione di tale forma alla missione conoscitiva
caratterizzante l’arte del romanzo – è necessario che le
variazioni vengano sviluppate su un vero tema da
romanzo, ovvero suscettibile di approfondimenti in senso
esistenziale. In caso contrario, il tema si configura come il
pretesto di un semplice esperimento musico-letterario,
incapace di sostenere alcuna indagine di tipo romanzesco.
Questa è la differenza che, ad esempio, lo stesso Danilo
Kiš riscontra tra i romanzi e gli Eserci zi di stile 137 (1947) di
Raymond Queneau, di cui aveva curato la traduzione in
serbo-croato.
Come scrive in un saggio del 1986 138, se Queneau, nel
tentativo di trasporre nella letteratura in prosa le
variazioni di Bach, avesse adottato come tema non un

137
R. Q u e ne a u, Es er c i zi d i s t il e ( 1 94 7) , tr ad . it . d i U. Ec o, E i na u d i,
T or i no 19 8 3. O per a di c ar a tt er e m eta l e tt er a r i o , i n c u i Q u e ne a u s i
c im ent a c o n la pr o d u zi o n e d i n o va n ta n o v e va r i a nt i s t il is t ic h e d i u n a
s tor i e ll a in v e nt at a c om e m er o pr e te s t o.
138
S i tr at ta d i Q ue l qu es n ot es s ur l es Ex er c is es d e s t yl e et l eur
tr a d uc t i on e n s er b o- c r oa t e, t es t o i n i zi a lm ent e e la b or at o pe r l ’ in c on tr o
i nt er n a zi o n a l e d e i tr a du tt or i d i Ar l es pr e v is to per n o vem br e 1 98 6 , e or a
c om pr es o ne l l a v er s i on e f r anc es e d i H o m o P oe t ic us ( tr a d. d a l s er bo -
c r oa t o a l f r a nc es e di P . D e l pec h , F a ya r d , P ar is 1 99 3) , p p. 1 4 1- 1 4 5.

86
«soggetto insignificante» 139 (un incontro casuale su un
autobus) ma contenuti più «metafisici» 140, gli Esercizi di
stile non avrebbero costituito «pure speculazioni
‘alessandrine’» 141; ciò che Kiš sembra rimproverare a
Queneau è proprio il fatto di aver assunto dalla musica le
variazioni come semplice tecnica, perdendo l’occasione di
trasformarle in una forma romanzesca, capace dunque di
approfondimenti esistenziali.
Non è dunque un caso se, solo un paio di anni prima, lo
scrittore jugoslavo qualifica proprio come «metafisico» 142 il
tema cardinale della sua Enciclopedia dei morti; in
quest’opera, i nove capitoli-variazioni non si configurano
come semplici «Eserci zi», quindi come varianti tecniche,
ma come elementi di una vera architettura romanzesca.

139
I v i, p . 1 43 .
140
Ib .
141
I v i, p . 1 42 .
142
P er i l r if er im ent o b i bl i ogr af ic o , s i r im a nd a a l l a no t a 10 9 .

87
Capitolo 2

Dalla filosofia al romanzo:


confronto tra metodo e forma della variazione su
tema

2.1. La seconda volta non è una ripetizione

Tra gli scritti di Søren Kierkegaard, spicca un’operetta


giovanile che esula dai parametri discorsivi tipici dei testi
filosofici, di solito impiegati per cementare la coerenza di
asserzioni che si desidera presentare come il più possibile
obiettive ed esaustive: La Ripeti zione 143 (1843).
Spiega l’autore, nella postfazione, lo scritto disattende sia
le aspettative del lettore comune, il quale spera di trovarvi
qualcosa come «una commedia tragedia romanzo epopea

143
Di c ui t e n iam o pr es en t e la tr a d u zi o ne a c ur a di D ar i o B or s o per le
E di zi o n i RC S L i br i S p a, M i l an o 1 9 95 .

88
epigramma novella» 144, sia quelle dei più scaltri, che le si
accingono alla ricerca di precise soluzioni, risultanti dallo
schema logico «1.2.3» 145 (cioè tesi, antitesi e sintesi).
La Ripeti zione consiste invece nel racconto di «un
esperimento psicologico» – così recita il sottotitolo
dell’opera –, condotto da Constantin Constantius
(pseudonimo dietro il quale si nasconde l’autore) al fine di
provare che la sola categoria in base alla quale vale la
pena orientare l’esistenza è quella della ripetizione.
Questo perché, dichiara Constantin, se la speranza «è un
frutto invitante che non sazia» 146 e il ricordo «un viatico
stento che non sfama» 147, la Ripetizione, invece, è il vero
«pane quotidiano che nutre in abbondanza» 148.
Del ricordo, infatti, quest’ultima conserva lo stesso
movimento, ma rivolto in senso opposto: mentre il primo
riguarda ciò che è già stato, la ripetizione ricorda il suo
oggetto in avanti; per questo, conclude Constantin, solo
quest’ultima può rendere davvero felici: «Si, senza
neanche una ripetizione, cosa sarebbe poi la vita?» 149 .
L’ordinamento stesso dell’universo costituirebbe la “prova
provata” della supremazia spettante al principio della
ripetizione: se il mondo sussiste – riflette Constantin – è

144
I v i, p . 1 26 .
145
I v i, p . 1 27 .
146
I v i, p . 1 3.
147
Ib .
148
Ib .
149
Ib .

89
proprio perché, superata la soglia della vana speranza e
tuttavia ancora al di qua di quella del ricordo, si alimenta
di ripetizione in ripetizione.
Per saggiare anche sulla propria pelle l’applicabilità di
questa legge universale, Constantin programma di
ritornare a Berlino, dove aveva soggiornato alcuni anni
prima; lo scopo è appunto verificare la corrispondenza di
questo secondo viaggio con il primo e cercare così di
cogliere il vero significato delle eventuali ripetizioni
risultanti dal confronto.
Tutto, però, sembra deludere le aspettative di partenza: la
camera con vista occupata da Constantin, la stessa della
prima volta, non presenta più gli stessi comfort; la
ballerina del Königstädter (teatro di Berlino), che all’epoca
del primo soggiorno sprigionava «una grazia per dir così in
ascesa» 150, adesso appare come «discesa» 151; perfino il
caffè, gustato nella locanda un tempo preferita, non ha
conservato lo stesso aroma.
Deluso, Constantin si ritrova così a decantare le virtù del
corno da postiglione, strumento musicale dalle note
talmente indefinibili da mettere al riparo gli ascoltatori da
qualsiasi illusione di ripetizione: «Viva il corno da
postiglione! È il mio strumento, per tanti motivi e
segnatamente perché non si è mai sicuri di potergli cavare

150
I v i, p . 6 4.
151
Ib .

90
la stessa nota. Difatti cela una possibilità infinita, e chi se
lo porta alla bocca per riversarvi il suo sapere, non
rischierà una volta di ripetersi» 152.
Tuttavia, lungi dal determinare una vera confutazione del
principio di ripetizione, l’esperimento ne fornisce invece
l’occasione di un chiarimento; il secondo soggiorno
berlinese in effetti conferma l’ineluttabilità del principio di
ripetizione – se Constantin si trova a sperimentare
l’impossibilità della pura ripetizione, ciò avviene proprio «a
forza di ripetizioni» 153 –, ma soprattutto permette di
cogliere la differenza sostanziale che separa il concetto di
ripetizione da quello di imitazione.
Tutti i casi osservati da Constantin dimostrano che la
ripetizione non coincide mai con la riproposizione identica
del passato, ma accoglie sempre margini di differenza. In
altre parole, non esiste ripetizione che non sia al tempo
stesso variazione.
L’individuazione del nesso composto da questi due poli,
solo apparentemente opposti, è anche al centro della
ricerca di Gilles Deleuze, che riprende e sviluppa la
scoperta raccontata da Kierkegaard.

152
I v i, p p. 70- 7 1.
153
Ne l r ie n tr ar e a c as a da Be r l i n o, C o ns t an t in os s er v a a pp u nt o c h e: « L a
m ia s c o p er t a no n er a s i gn if ic a t i va , e t u tt a v i a c u r i os a : a v e v o s c op er to
c he la r ip et i zi o n e n on es is te v a af f at to , e c ’ er o ar r i v a to a f or za d i
r i pe t i zi o n i» . I v i, p . 6 5.

91
In Differen za e ripeti zione 154 (1968), il filosofo francese
dissipa la confusione avvolgente i concetti di ripetizione e
generalità. Mentre quest’ultimo, infatti, «esprime un punto
di vista secondo cui un termine può essere scambiato con
un altro, un termine sostituito ad un altro» 155, il primo
definisce in ogni caso «una singolarità impermutabile,
insostituibile» 156. Così, secondo Deleuze, la differenza è
sempre insita nella ripetizione, «non come una variante
accidentale ed estrinseca, ma come il proprio centro,
come la variante essenziale che la compone (…)» 157.
È la stessa sostanza del tempo, ontologicamente
irreversibile 158, a negare ogni possibilità di ripetizione
pura, ossia di riproposizione identica del passato; per
questo – osserva Deleuze – la nozione di festa, la cui
funzione primaria è celebrare, ovvero rendere memorabile
un avvenimento del passato per farlo rivivere, rappresenta
di per sé il colmo del paradosso 159.
In un saggio del 1974, L’Irreversible et la nostalgie,
Jankélévitch riflette sulla condizione irreversibile del

154
S i tr a tt a a p pu n to d i Di ff er en za e r i p et i zi o ne ( 1 96 8) , d i c u i i n q ues t a
s ed e p r e n di am o i n es am e la tr a d u zi o n e a d op er a d i G . G ug l i e l m i, per
Raf f a el l o C or t i na E di t or e , M i l an o 1 99 7 .
155
I v i, p . 7
156
Ib .
157
I v i, p . 3 70 .
158
A l la c o i nc id e n za tr a t em por a l i tà e ir r e v er s i bi l i tà i l f i l os of o V la d im ir
J ank é l é vi tc h, ad es em p io , d e dic a un a r if l es s i on e a p pr of on d it a ne l pr im o
c ap i to l o d e l s a g gi o L ’Ir r ev er s ib l e e t l a n os t a lg i e, F l am m ar i on , Par is
19 7 4.
159
A q ues t o pr o pos i to , p uò r is u lt ar e a nc or a p i ù s i g n if ic at i v o, ne l r o m an zo
d i J onk e L ’E c o le du v ir t u os e , c h e l a ver if ic a i nt or no al l ’ es is t e n za de l la
r i pe t i zi o n e s i a af f id at a pr o pr io a l l a p os s ib i l it à d i r e pl ic ar e u na f es t a.

92
tempo, misurandola rispetto alla possibilità di ripetizioni.
Precisamente l’impossibilità di duplicare un qualsiasi
momento del passato costituisce la prova e, al tempo
stesso, permette il continuo divenire del tempo.
Se fosse possibile riprodurre esattamente, ovvero senza la
minima modifica, un attimo già trascorso, anche soltanto
per una volta, ciò attesterebbe la possibilità di invertire il
corso del tempo; di trasformare, cioè, sebbene per un
unico istante, il divenire in rivenire.
Il verificarsi di questa singola eventualità già basterebbe a
bloccare ogni possibilità di sviluppo, considerato che la
progressione di un qualsiasi evento, la forma che esso
assume nel tempo, e così a ben guardare la stessa
possibilità della sua esistenza, dipende unicamente dagli
elementi di variazione insiti nelle sue diverse
ripresentazioni; in altre parole, dalla sua apertura al
cambiamento. Grazie al potere irreversibile del tempo, il
rischio della seconda volta, ovvero di una ripetizione
identica, è definitivamente scongiurato. Così Jankélévitch:

«L’irr eversibile ci rif iuta non la ter za, la quarta o la


centesima volta, non la t ir itera meccanica, ma la
seconda volta! Questa volta numer o Due che è la
prima ripetizione… (…). Dunque, è certo che non
rivivr emo mai lo stesso avvenimento, nemmeno una
seconda volta… Soprattutto nemmeno una seconda
volta! Giacché la secondarietà della seconda volta
decide di tutte le altre: nel moment o in cui un solo

93
momento pot esse ripetersi in una f orma identica, non
vi sarebbe più alcuna dif f erenza essenziale tra il
tempo e una qualunq ue serie meccanica» 160.

La seconda volta, dunque, non è mai uguale alla prima: a


differenziarla è sufficiente la stessa secondarietà
cronologica, che la subordina all’originale: nessuno può
bagnarsi due volte nello stesso fiume, ma questo accade
perché l’uomo che tra una volta e l’altra vi si immerge non
è più lo stesso.
La prima riproposizione di un evento può poi già
comportare una riduzione della sua intensità: allo stesso
modo di uno scherzo, che dopo la prima volta non fa più
effetto; o di una sorpresa che, se riproposta, non stupisce
più. A questo riguardo, nell’ultimo romanzo di Milan
Kundera, L’Ignoran za 161 (2000), il narratore si chiede se
esista una barriera al di là della quale la ripetizione
diventa «stereotipata, quando non comica o addirittura
impossibile» 162 e se, passato questo limite, l’amore di tipo

160
«L ’ ir r é v er s ib l e n ous r ef us e no n p as l a tr o is ièm e, la q u atr i èm e ou la
c en t ièm e f o is , n on p as l e r ad o ta g e m éc a n iq u e, m a is l a s ec o n de f o is !
Ce tt e f o is n um ér o D e ux qu i es t l a pr em ièr e r é pé t it i on …( …) . En br ef , i l
es t d it qu e no us ne r e v i vr o ns j am a is l e m êm e év én em en t, et pas m êm e
un e d eux i èm e f o is …S ur t o ut p as u ne d e ux iè m e f ois ! Car la s ec o nd ar it é
de la s ec o nd e f o is d éc id e d e to ut es l es au tr es : dès lor s q u ’ un s e u l
m om ent a pu s e r é p ét er s ous u n e f or m e i de n ti q ue , i l n ’ y a p lus d e
d if f ér e nc e es s e nt i e l l e en tr e l e tem ps e t un e q u elc o nq u e s ér ie
m éc an iq u e» . T r ad . n o s tr a . V . J a nk él é v i tc h , L ’Ir r ev er s ib l e e t l a n o s ta l g ie ,
c it ., p . 4 6.
161
M. Ku n der a , L ’I g n or a n za ( 2 00 0) , tr a d. it . d i G . P i n ot ti , Ad e l ph i , M i la n o
20 0 1.
162
I v i, p . 1 17 .

94
sentimentale, ad esempio, che sempre si basa su una
promessa di tempo (e quindi di ripetizioni) limitata,
sarebbe ancora possibile.
Il riconoscimento di una o poche corrispondenze tra un
amore e l’altro può sprigionare l’effetto quasi magico delle
coincidenze. Tuttavia Milada (uno dei personaggi
dell’Ignoran za) finisce col rendersi conto che il loro
proliferare rivela nient’altro che «la deplorevole uniformità
degli individui (che per baciare si fermano tutti negli stessi
luoghi, hanno gli stessi gusti in fatto di abbigliamento,
lusingano una donna impiegando le stesse metafore)» 163.
L’individuazione di una coincidenza nella ripresentazione
di un avvenimento già trascorso può costituire la prova
dell’impossibilità di replicare in maniera identica il
passato: l’esperienza del riconoscimento lo carica infatti di
un significato diverso e dal confronto con quello
manifestato la prima volta è possibile trarre ancora un
senso ulteriore, come un tema di due ricorrenze che si
rivelano infine delle variazioni.
Ogni singolo evento è così inesorabilmente
«primultimo» 164, aggettivo con cui Jankélévitch intende che
ogni prima volta, proprio perché non potrà essere mai più
ripetuta – almeno non nello stesso identico modo in cui si

163
I v i, p . 8 0.
164
Cf r . V. J a nk é lé v i tc h , L ’Ir r ev er s ib l e e t l a n o s ta l g ie , c i t. , p .4 6: «c h aq u e
f ois es t à l a f o is pr em ièr e e t der n i èr e , et p o u r c et t e r ais o n no us l a d is o ns
pr im u lt i m e» .

95
è presentata al principio –, è al tempo stesso anche
l’ultima. Traendo spunto da Jankélévitch, Gerard Genette
individua proprio nel concetto di primultimità uno dei
motivi compositivi della Ricerca del tempo perduto (1913-
1927); questo leit-motiv agirebbe a supporto
dell’interrogazione più generale che attraversa l’opera, e
cioè su ciò che resta del tempo una volta trascorso 165.
Genette chiama «racconto ripetitivo» questo particolare
procedimento, a suo avviso assai frequente nel romanzo di
Proust, che consiste nel riprendere più volte, nel corso
della narrazione, un episodio che nella logica della trama,
invece, si verifica una volta sola; l’episodio in questione
può essere così dal narratore preannunciato o rievocato in
svariate occasioni, secondo prospettive di volta in volta
corrispondenti alla distanza temporale da cui viene
riconsiderato.

165
Cf r . F i gur e II I ( 19 7 2) , tr a d. i t. d i L. Z ec c h i , E i na u d i, T or i n o 1 9 7 6. Ne l
de tt a g li o , i l r if er im en t o a J ank é l é vi tc h f i gu r a a pr op os it o d e l po s s i bi l e
v a lor e as s un to , ne l l ’ o per a d i Pr ous t, d a l le an t ic ip a zi o n i d el l a s to r i a ( da
G e ne tt e in tes a dir e tt am ent e c om e s em p l i c e p l ot , tr am a) pr es en t i n e l
c or s o de l l a n ar r a zi o n e, a c ui i l r om an zi e r e s em br a f ar s pes s o r i c or s o e
c he G e ne tt e d ef i n is c e pr o les s i . S i tr a tt er eb b e d i tr a tt i d i im pa zi e n za
nar r a t i va ; t ut ta v i a, s ec on d o l o s t u di os o, es s i de t en g on o a nc he « un v a lor e
i n ver s o, f or s e p iù s pec if ic a tam e nt e pr o u s ti a no , c h e m ett e in r is a l t o
p iu tt os t o un s e nt im ent o n os t a l gic o per c i ò c he V l ad im ir J a nk é lé v i t c h h a
c h iam at o un a v o lt a l a ‘ pr im ul tim it à ’ d el pr i m o m om ento ( … ) . P o s s ed er e
O d et te , b ac i ar e A l b er t i ne p er la pr im a vo l ta , s i gn if ic a v e der e p er l ’ ul t im a
v o lt a O de tt e no n anc or a p os s ed ut a , A l b er t i ne n on a nc o r a b ac i a t a: a t a l
pu n to è ve r o c h e i n Pr ous t l ’ e ve n to – q u a l un q ue e v e nt o – r a p p r es e n ta
s o lo il pas s a gg i o, f ug g it i v o e ir r e p ar ab i l e ( i n s e ns o v ir gi l i an o) , d a
un ’ a bi t ud i n e a u n’ a ltr a ». C i t. p . 1 21 .

96
In alcuni casi – spiega Genette – l’orchestrazione di
questa molteplice visione appare in forma concentrata,
condensata in un unico passaggio narrativo.
Così ad esempio, il narratore della Ricerca, finalmente in
procinto di baciare Albertine dopo un’attesa protrattasi
molti anni, nell’avvicinarsi alla ragazza passa mentalmente
in rassegna tutte le volte in cui, in passato, aveva cercato
di baciarla.
Così racconta il narratore: «Durante il breve tragitto delle
mie labbra verso la guancia furono dieci le Albertine che io
vidi; quell’unica fanciulla era come una dea dalle
molteplici teste, e quella che avevo appena scorta cedeva
il posto ad un’altra se solo tentavo di avvicinarla» 166.
Lo stesso episodio del bacio, già nell’attimo in cui si
verifica, appare al narratore altrettanto evanescente delle
sue anticipazioni immaginarie, e la viva impressione che
esso suscita è da subito avviata al graduale
deterioramento che inevitabilmente produce nel ricordo il
corso del tempo.
In altri passaggi della Ricerca, il narratore proustiano
riflette in modo ancora più diretto sulla misteriosa
impossibilità di rivivere anche solo un attimo del passato.
Nel secondo volume – All’Ombra delle fanciulle in fiore
(1919) –, constatando una certa difficoltà ad inquadrare

166
M. Pr ous t, A l l a R ic er c a d e l t e m po p er d u to – L a P ar t e d i G u er m a nt es
( 19 2 0) , tr a d. it d i G . R ab o n i, M o nd a do r i , M i l an o 1 9 95 , p. 44 1.

97
Albertine e le sue amiche (da poco entrate nella rete delle
sue conoscenze), conclude che:

«Ogni essere è distrutto appena smettiamo di


veder lo; la sua apparizione successiva è una nuova
creazione, diversa da quella che l’ha
immediatamente preceduta, se non da t utte le altre.
Il minimo grado di varietà che possa regnare in
queste creazioni è, inf atti, di due. Se ricordiamo
un’occhiata energica, un atteggiament o ardito, la
volta successiva sarà inevitabilmente da un prof ilo
quasi languido, da una certa sognante dolcezza,
aspetti trascurati nel precedent e r icordo, che saremo
stupit i, vale a dir e colpit i in modo pressoché
esclusivo (…)» 167.

L’intuizione dell’unicità di ogni momento, quindi della sua


«primultimità», si traduce nell’ipotesi proustiana che,
scartata la possibilità della ripetizione, il solo modello
valido di inquadramento del reale corrisponda alla logica
delle variazioni: è dal confronto tra due o più
manifestazioni dello stesso fenomeno, come si è visto in
ogni caso inevitabilmente diverse, che si può desumere –
sebbene non in maniera esaustiva – il principio di base.
L’esempio ricavato dalla Ricerca permette di considerare
tale modello conoscitivo, fondato sull’osservazione non

167
M. Pr o us t, A l la Ric er c a d e l t e mp o per d ut o – A l l ’O m br a d e ll e f a n c i ul l e
i n fi or e ( 1 91 9) , tr a d . it d i G . R a bo n i, M o n da d or i, M i l an o 1 9 95 , p. 5 9 2.

98
delle ripetizioni ma dei gradi di differenza attraverso i
quali si rivelano le essenze – intese come i nuclei
fondamentali a cui è possibile ridurre il ventaglio delle loro
rappresentazioni – come una conquista non riconducibile
ad un ambito esclusivamente filosofico.
Oltre all’opera di Proust, vi sono altri romanzi del XX
secolo in cui il procedimento di declinare il tema di
riferimento per rivelazioni contrastanti – in cui consiste
uno degli esiti letterari della struttura a variazioni – è
presente, prima che come retaggio delle forme musicali,
direttamente come modello conoscitivo.
Ad esempio, il romanziere giapponese Kenzaburō Ōe nel
corso di un’intervista rilasciata qualche anno fa 168 dichiara
di riconoscere nel principio della «ripetizione contenente
delle variazioni» il procedimento formale più importante
dei suoi cinquant’anni di creazione letteraria; impiegato
per la prima volta nella composizione del Grido
silen zioso 169 (1967), questo influenzerebbe l’architettura
generale dei suoi romanzi, fino ad interessarne anche i
«minimi dettagli, fino all’immagine apparentemente più
banale, fino all’uso di certe metafore…».

168
Si tr a tt a di u n d i a lo g o s vo l tos i ne l 20 0 5 tr a K e n za b ur ō Ō e e Ma s s im o
Ri z za n t e, po i pu b bl ic at o i n p ar te s ul l a r i v is t a « N uo v i ar g om ent i », 3 4 ,
apr i l e- gu g no e per i nt er o s u l bl o g le tt er ar io Na zi o n e In d ia n a ( da c u i h o
tr a tt o l e c i ta zi o n i c he s eg u on o) .
169
K. Ō e , Il G r i do s i l e n zi os o, tr a d. i t. d i N . Sp a da v ec c h ia , G ar z an t i,
M il a n o 19 9 9.

99
Nonostante una conoscenza approfondita della musica, Ōe
spiega che la sua predilezione per la forma a variazioni
riecheggerebbe piuttosto una certa concezione dell’eterno
ritorno, affine a quella ipotizzata da Mircea Eliade 170.
Già descritto da Françoise Escale 171 come un modello di
pensiero, per questo non attribuibile in maniera esclusiva
a nessuna arte o branca del sapere particolare, nei suoi
romanzi Ōe adotta il principio delle variazioni come mezzo
per esplorare una particolare situazione esistenziale –
posta, in genere, come tema dell’opera – procedendo dal
confronto tra diversi personaggi (spesso distanti nel
tempo), i quali si configurano così come incarnazioni di
uno stesso archetipo.
Ad esempio, nel Grido silenzioso, i due fratelli Mitzu e
Takashi, di ritorno al villaggio natale dopo una lunga
assenza, si sorprendono a rivivere le medesime gesta dei
loro leggendari antenati; come un secolo prima il suo
bisnonno, a Mitzu tocca armarsi per sedare una rivolta di
giovani contadini animata dal fratello minore.

170
A pr o pos i to d e l p r i nc i p i o c om pos i t i vo de l l a va r i a zi o n e s u tem a,
ne l l ’ in t er v is t a d e l 2 0 0 5 Ō e af f er m a: « L a m ia s tes s a v is i o ne d e ll a St or i a e
de l l ’ uom o s i bas a s u qu es t o p ar ad i gm a. Ci ò s i l e ga per f et tam en t e a l
m is tic is m o de l l ’ ‘ et er no r it or n o’ d i M ir c ea El i a de , n o zi o n e c h e m i è
s em pr e pr es e nt e qu an d o r if l et to s u l l a s t or ia d e ll e i de e m od er n e e
c on t em por a n ee . N o n c ’ è d un q ue n u ll a di n uo v o ? C om e s c r it t or e , e s o l o
c om e s c r it tor e , r is po n der e i: c on i m iei r om an zi af f er m o c he n on c ’ è n ul l a
d i nu o v o. C i o no n os t a nt e c i s o n o s em pr e c os e c he c i ap p a io n o nu o v e,
c os e c he p os s on o es s er e gi à es is ti t e c om e ‘r i pe t i zi o n i c on t en e nt i d e l le
v ar ia zi o n i ’ ».
171
Cf r . n ot a 3.

100
Questa esperienza, ma soprattutto le differenze emerse
rispetto ai loro antenati nel modo di affrontarla, rivelano la
vera anima dei due fratelli.
Come già in alcuni romanzi di Milan Kundera e Danilo Kiš
(ma già prima di loro di Hermann Broch e di Thomas
Mann), riconosciuti da Ōe come membri del suo atelier
estetico 172, anche nel caso di quest’ultimo il principio della
«ripetizione in grado di liberare delle variazioni» 173 si
traduce in un procedimento di costruzione
sovrapersonale 174 del personaggio; il continuo confronto

172
Cf r . l ’ in t er v is t a d el 20 05 , c i t.
173
I v i.
174
Ne l p ar . «C o es is t e n za d i d iv er s i t em p i s t or ic i in u n r o m a n zo » ,
c om pr es o ne l l a Pr im a P ar t e de i T es t am en t i t r a d it i , c it ., p p. 2 2- 2 3 ,
K un d er a r ag i on a s u l pr oc e d im ent o f o r m al e , f r e qu e nt e a nc h e n e i s u oi
r om an zi , d i in te r s ec ar e al l a l i n ea p r i nc i pa l e d e ll a tr am a s tor ie d i
per s o n ag g i d is t a nt i ne l t em po o n e ll o s pa zi o , c h e p er ò r i s u lt an o
ac c om un a t i ai p er s o na g g i pr inc i pa l i d a l l’ es p er i en za d e ll a m e des im a
s it u a zi o n e es is t en zi a l e. È i l c as o de l l ’I m mo r t a li t à, a d es em pi o, c h e
K un d er a p u bb l ic a n el 19 9 0: i n q ues t o r om an zo , i l t em a d e l c onf li tt o t r a l a
c os c ie n za d el l a m or t e e l a c o ns eg u en t e te ns io n e a l l ’im m or ta l it à, c h e
r i gu ar da i n m is ur a v ar i a t ut t i g l i es s e r i um a n i, v i en e dec l i na t o tr a m ite la
s tor i a de l l e du e s or e ll e A gn es e La ur a, am bi en t at a ne l l a Pa r i g i d i og g i, l a
r ic os tr u zi o n e im m agi n ar ia d e l r a p por t o t r a G o et h e e l a s u a pr es u n ta
am ant e B et t in a Br e nt a no e i l r ac c o nt o de l l a c r is i es is t en zi a l e
at tr a v er s at a da u n p i tt or e d e i n os tr i g io r n i , a pp ar e nt em ent e s le g at o d a g li
a ltr i p er s on a gg i de l r om an zo e d i c u i s o l o a l la f i n e s i s c o pr i r à u na
c on n es s io n e a l la tr am a pr i nc i p a le . L a s tr at e g ia di as s em b lar e in u n u n ic o
r om an zo l e s to r i e d i per s on a gg i c ol l e ga t i da f i l i i n v is i b i l i, c o m e s e
f os s er o l e d i v er s e v oc i di un ’ u nic a par t it ur a c on tr ap p un t is t ic a, c os t i tu is c e
un o d e gl i es i t i a c u i c on d uc e l ’e l a bor a zi o n e d el l a f or m a- v ar i a zi o ne ne l
r om an zo e r a p pr es e nt a a s u a v o lt a la p os s i bi l i tà d i r ic a var e un a nu o v a
pr os p et t i va u t i le a l l a c om pr e ns io n e de g li im per at i v i i nt er i or i c u i
s og g i ac e l ’ es is t en za u m ana; es s a r ic or r e n e l le op er e d i d i ver s i a u tor i d e l
s ec o n do ‘ 9 00 : o l tr e a K un d er a , c ar a tt er i z z a a lc un e op er e d i F u en t es ,
Da n i lo K iš , S a lm an R us h d i e, e tc . È i nt er es s an t e m ett er e i n l uc e c om e a
K un d er a q u es t a c om pr es e n za d i un a s tes s a in v e n zi o n e c om pos i ti v a i n
p iù r om an zi er i di un o s tes s o p er io d o n on s em br i p o ter es s er e at tr i b u it a
ad u n ’ inf lu e n za d ir e tt a tr a g li a ut or i i n q u es t i o ne ; n o n os t an t e i l
r om an zi e r e c ec o e g l i a ltr i m en zi o n at i c o n d i v i da n o u na c onc e zi o n e af f in e

101
con eventuali predecessori storici o ancestrali consente al
romanziere di guadagnare una prospettiva astorica
nell’esplorazione delle problematiche rappresentate dai
suoi personaggi, che in questo modo possono venire colte
nei loro aspetti più essenziali; ovvero, in maniera sgombra
da troppe implicazioni storiche, la cui eccessiva
considerazione rischierebbe di ridurre la portata
esistenziale del personaggio a quella di mero prodotto dei
suoi tempi.
Nonostante il ricorso al principio della ripetizione variata
accomuni l’autore del Grido silenzioso a filosofi teorici
dell’eterno ritorno (Kierkegaard, Nietzsche Deleuze,

de l l a r a is o n d ’ê tr e pr opr i a a l r om an zo ( c o m e r is u l ta d a i l or o s ag g i d i
c r it ic a) , lo s t es s o K u nd er a, a d es em pi o, d i c h iar a d i es s er e s t at o m olt o
s or p r es o n e l r i tr o v ar e n el r om an zo T er r a nos t r a d i C ar l os F ue n tes
l ’es p ed i e nt e d i f ar c onf lu ir e in un r om an zo u n ic o un i v er s i t e m por a l i
d i ver s i , e c h e a ve v a f in o a q u e l m om ento r it e nu t o u n a s ua i n v e n zi o n e
or ig i n al e . Sc ar ta t a l a pos s i b i li t à d i u n’ i nf l u e n za d ir et ta tr a s é e F ue n tes ,
K un d er a f in is c e c on l ’ at tr i b u ir e l a c aus a d i qu es ta c or r is po n de n za a l l a
s tes s a ar t e d e l r om an zo , c h e s i s v o lg er eb b e s ec o n do l i n eam en t i i nd ic at i
da l l a s t es s a s tor i a d e ll a s u a tr a d i zi o n e e d ei s u o i ob i et t i v i c o s ti t ut i v i.
L ’i n v en zi o n e c om pos i t i v a de l l a pl ur i tem por a l it à r a pp r es e nt er eb b e du n qu e
un a n u o va t ap p a n el l a s tor i a d i q ues t ’ar t e, a c u i a ut or i ac c om un at i d a l
r ic on os c im ent o di u n m edes im o c a n on e d e l r om an zo , s ar eb b er o g i un t i
au t on om am ent e, c i o è in as s e n za d i s ug g es t i on i im m edi at am ent e
r ec ipr oc he . I n c o nc l u s i on e a l l a s ua r if l es s i on e, K un d er a s i d o m anda :
«Q ues to c om un e i n t en t o es te t ic o ( u nir e i n u n r om an zo pi ù ep oc he
s tor ic he ) p uò d ip e n de r e d a inf lu e n ze r ec ip r oc h e ? N o. Da i nf l ue n z e a l tr u i
s ub i te da t ut t i? N o n v ed o q u al i p o tr e b be r o es s er e . O p pur e a b bi a m o tu tt i
v is s ut o l a s tes s a t em per i e s t or ic a ? E s e f o s s e s ta ta in v ec e l a s t or ia d e l
r om an zo , s e gu e nd o l a l og ic a c he l e è pr opr i a, a d as s e g nar e a tu tt i no i l o
s tes s o c om p it o ?» ( M i la n K un d er a , I T es t am e nt i t r a d it i , c i t. , p. 23) .
L ’a d o zi o ne d i q u es t o pu nt o d i v is t a es pr es s o d a M i la n Ku n d e r a, ne l
pr es e nt e la v or o s u l r ap p or t o tr a f or m a- va r i a zi o n e e r om an zo , r i s po n de
a ll ’ es ig e n za di un s up er am en to di un a c er t a m et o do l o gi a ,
tr a d i zi o n a lm ent e as s u nt a d al l a r ic er c a le tt e r ar ia a b as e c om par a tis t ic a ,
s ec o n do l a q u a le un a c om par a zi o n e tr a d et er m in at i au to r i è g i us t if ic at a
s o lo d a l la pr es en za d i u n ’i nf l u en za o u n r ap por t o di r e tt o tr a i m ed es im i,
s tor ic am ent e r in tr ac c i ab i l e.

102
Jankélévitch) o a studiosi del mito (Mircea Eliade),
l’obiettivo che Ōe si prefigge nell’impiegare la forma
variazione come mezzo di inquadramento dell’umano non
è né di tipo filosofico né tantomeno psicologico (cioè
scientifico). Il suo scopo principale, infatti, non è trasporre
in una modalità narrativa modelli già definiti di
interpretazione della realtà e nemmeno cercare di risalire,
in modo più o meno obiettivo, alla matrice psichica di
taluni comportamenti; questo perché, per l’autore, la
parola che si vuole romanzesca non è mai «definitiva» 175.
La sua esplorazione intorno al mistero della specificità di
un essere umano, di ciò che permane di specifico in un
individuo, una volta rivelato l’istinto umano a ripetere
modelli provenienti da un passato ancestrale, va compresa
nell’ottica più generale della riflessione – di natura
ipotetica perché di natura poetica – che, in quanto
romanziere, egli conduce sugli aspetti sconosciuti
dell’esistenza.

175
Cf r . l ’i n ter v is ta d e l 20 0 5: tr a tt a nd o la q u es t i on e de l r ap p or t o tr a i l
r om an zo e l e a l tr e a r ti , Ō e af f er m a c he, a dif f er en za d i qu e l l o c he
ac c a d e, ad es em pi o , ne l l a p oes i a, «U n r o m an zi er e , i n v ec e , n o n gi un g e
m ai a pr on u nc iar e qu e l la p ar o la d ef i n it i v a, p oic h é qu es to no n è
c ons us ta n zi a l e a l l a pa r o la r om an zes c a » ( c i t) .

103
2.2. Romanzi filosofici o romanzi «che pensano»

Il mito dell’eterno ritorno, filtrato dall’interpretazione


nietzschiana 176, ricorre anche nel romanzo di Milan

176
D op o a v er n e of f er t o u na pr im a f or m ula zi o n e n e l la G a i a s c i en z a
( 18 8 2) , è s op r a tt ut t o i n C os ì p ar lò Z ar at hus tr a ( 1 8 85 ) c h e N i et zs c h e
m ette ap p un t o l a s ua c o nc e zi o n e de l l ’ et er no r i tor n o, af f id an d on e
l ’ il l us t r a zi o n e a l l e d ue “ vis i o n i” d el na n o d a v an t i a l la por ta c ar r ai a e d e l
pas t or e : « "G u ar d a q u es t a p or t a c ar r a i a! Nan o! c ont i nu a i: es s a ha du e
v o lt i. D u e s en t ie r i c o n ve n go n o q ui : n es s u n o l i h a m ai p er c or s i f i no a l l a
f in e. Q u es t a lu n ga v i a f i no a l la p or t a e a l l 'i nd i et r o : d ur a un' e ter n it à. E
qu e l la lu n ga v ia f u o r i d e ll a p or t a e a v an t i è u n'a l tr a et er n it à . S i
c on tr ad d ic on o a v ic e nd a , qu es t i s e n ti er i ; s ba tt o no la t es t a l 'u n c o ntr o
l' a ltr o: e q u i, a qu es ta p or t a c ar r a i a , es s i c o n ve n go n o. I n a l to s t a s c r it t o
i l n om e de l l a p or ta : " a tt im o" . M a, c h i n e p er c or r es s e un o de i du e s em pr e
p iù a v a nt i e s em pr e p iù lo nt a no : c r e d i tu , na no , c h e qu es t i s e nt i er i s i
c on tr ad d ic an o i n et e r no ? " . "T u tt e l e c os e d ir it t e m ent on o, b or b o tt ò
s pr e z za n t e i l n a no . O gn i v er it à è r ic ur v a , i l tem po s tes s o è u n c i r c o lo " .
[.. .] O gn u na d e l le c os e c he p os s on o c am m inar e , no n d o vr à f or s e a v er e
g ià per c or s o u n a v o lt a q ues t a v i a ? N on d o vr à o gn u na de l l e c o s e c h e
pos s o no ac c a der e , g i à es s er e ac c a du ta , f a tt a, tr as c or s a u na v o lt a ? E s e
tu tt o è g i à es is t i to : c h e pe ns i, o n an o, d i q u es t o at t im o? N o n de v e a nc h e
qu es ta po r t a c ar r a i a es s er c i g ià s ta t a? E t ut te l e c os e no n s on o f or s e
an n od a te s a l dam en t e l' un a a l l' al tr a, i n m od o t a le c h e qu es to a tt i m o tr ae
d ie tr o d i s é t u tt e le c os e a v v e nir e ? D u nq ue a nc h e s e s t es s o ? [. .. ] E
qu es to r ag n o c h e in d u g ia s t r is c i a nd o a l c h ia r o d i lu n a, e p er s in o qu es to
c h iar o d i l un a e i o e t u b is bi g l ia n ti a q ues t a p or ta , d i c os e et er n e
b is b i g li a nt i n o n do b b i am o t ut ti es s er c i s t at i u n' a ltr a v o lt a ? e r it or nar e a
c am m ina r e i n q ue l l' a lt r a vi a al d i f uo r i , d a v an t i a no i , i n qu es t a lu n ga
or r id a via non do b b iam o r it or n ar e in et er no ?
[. .. ] V id i un g io v a ne pas t or e r ot o l ar s i, s of f oc a t o, c on v u ls o , s tr a v o lt o i n
v is o, c u i u n gr e ve s er p e nt e ne r o p en zo l a v a d a l l a b oc c a. [. .. ] La m i a
m ano t ir ò c on f or za i l s er p en te , t ir a va e t i r a va i n va n o! Non r i us c i v a a
s tr a p par e i l s er p e nt e da l l e f a uc i. A l lor a u n gr id o m i s f u gg ì da l l a boc c a :
" Mor d i! Mor d i! Stac c a g li i l c a po! Mor d i! ", c os ì gr i d ò d a d en tr o d i m e: i l
m io o r r or e , i l m i o od i o, il m io s c h if o , l a m i a p ie tà , t ut to q u an t o i n m e
bu o no o c a tt i v o g r i d a va d a d en tr o d i m e, f us o i n u n s o l gr i d o. [ .. .]
G i ac c h é er a u na v is i on e e u n a pr e vis i o n e: c h e c os a v i d i a ll o r a p er
s im il i tu d i ne ? E c h i è c o lu i c h e u n g i or n o n on p otr à n on ve n ir e? Ch i è i l
pas t or e , c u i i l s er pe nt e s tr is c i ò i n ta l m od o en tr o l e f a uc i? C h i è l 'u om o,
c u i l e p iù gr e vi e l e pi ù ne r e f r a l e c os e s tr is c er a nn o ne l l e f a uc i? Il
pas t or e , p o i, m or s e c os ìc om e gl i c o ns i g li a v a i l m io gr i do : e m or s e b en e!
Lo n ta n o da s é s p ut ò l a tes ta d e l s er pe nt e: e b a l zò i n p ie d i» . F . W .
Ni e t zs c h e, Cos ì p ar l ò Z ar at h us tr a, L a v is i on e e l ’e n i gm a , i n O per e , tr ad .
it . d i G . C o l li e M . Mo nt i nar i , A de l p hi , M i la n o 19 7 7, v o l. VI , t om o I, p p.
19 1- 1 94 .

104
Kundera, rappresentando fin dalle prime pagine uno degli
sfondi concettuali su cui si innestano i casi esistenziali
rappresentati dai personaggi 177.
La riflessione sull’eterno ritorno tratta da Nietzsche,
congiunta alla teoria degli opposti di Parmenide, concorre
all’illustrazione del tema centrale del romanzo, articolato
intorno alla dicotomia leggerezza-pesantezza: è meglio
ispirare le proprie scelte ad un ideale di assoluta libertà,
nella prospettiva della loro inevitabile contingenza, oppure
caricarle del peso della necessità, nell’idea che ogni
singolo gesto, anche quello in apparenza più
insignificante, comporti conseguenze destinate a
riecheggiare nell’eternità?
L’interesse di Kundera per la filosofia 178, di cui affiorano
svariate tracce nella sua produzione romanzesca e

177
Cf r ., ad es em pio , l ’ i nc ip i t d el r om an zo : « L ’i d ea de l l ’ et er no r it o r no è
m is ter ios a e c o n es s a N ie t zs c he h a m es s o m olt i f i l os of i n e ll ’ im ba r a z zo :
pe ns ar e c h e u n g io r n o o gn i c os a s i r i p et e r à c os ì c om e l ’a b b ia m o già
v is s ut a, e c h e a nc he qu es ta r i p et i zi o n e de bb a r i pe t er s i a l l ’ inf i ni t o! Che
s i gn if ic a to ha qu es to f ol l e m ito ? I l m ito de l l ’e t er n o r it or no af f er m a, per
ne g a zi o n e, c h e l a v i t a c he s c om par e un a v o lt a p er s em pr e , c he n o n
r it or n a, è s im il e a u n ’ om br a, è pr i va d i pes o, è m or t a g i à in pr ec ed e n za ,
e c h e , s ia s t at a es s a ter r i b i le , be l l a o s p l en d i da , qu e l t er r or e, qu e l lo
s p le n dor e , qu e l la be l l e z za no n s i g nif ic a n o nu l l a. N o n oc c or r e t e ner n e
c on t o, c om e d i u n a gu er r a f r a d u e S ta t i af r ic an i de l qu at t or d i c es im o
s ec o l o c h e no n h a c am bi at o n ul l a s u l la f ac c i a d e l la t er r a, be nc hé
tr ec e nt om il a n egr i v i a bb i a no tr o va t o la m or te f r a t or t ur e i nd i c i bi l i . E
anc h e i n qu es ta g u er r a f r a d u e St a ti af r ic an i d el q u at to r d ic es im o s ec o l o,
c am bi er à q ua lc os a s e s i r i p et er à i n n um er e v o li v o lt e n e l l ’e t er n o r i tor n o?
S i, q ua lc os a c am bi er à : es s a d i ve n ter à u n b l oc c o c h e s v et ta e p er dur a , e
l a s u a s t u p id i tà n o n a vr à r im ed i o» . M . K u nd er a, L ’I ns os t en i b i le
l eg g er e z za d e l l ’e s s er e , c it ., p . 1 1. R ic or d i am o c he i l s i gn if ic a to d i qu es to
i ns er to f il os of ic o n e l r om an zo è q u el l o d i f o r n ir e un u lt er io r e par a m etr o,
ut i l e a c om pr en d er e i l c od ic e es is t e n zi a l e d i de t er m in at i p er s o na g g i;
c om e qu e ll o d i T om áš , ad es em p io , i n b i l i c o tr a d es i d er io d i l i ber t à e
r ic er c a de l l a s ta b i l it à.

105
saggistica, ha spesso indotto la critica a qualificare i suoi
libri come “romanzi filosofici”, senza che questa
supposizione, però, abbia mai trovato riscontri nelle
dichiarazioni dell’autore.
Al contrario, nel Dialogo sull’arte del roman zo 179, Kundera
prende energicamente le distanze dai vari tentativi di
inquadrare la sua opera come «fenomenologica», o
semplicemente filosofica:

«L’aggettivo non mi dispiace, ma mi proibisco di


usarlo. Ho troppa paura dei prof essori per i quali
l’arte non è altro che un der ivato delle corr enti
f ilosof iche e teoriche. Il romanzo conosce l’inconscio
prima di Freud, la lotta di classe prima di Mar x,
pratica la f enomenologia ( la r icerca dell’essenza
delle situazioni umane) prima dei f enomenologi. Che
stupende ‘descr izioni f enomenologichÈ nell’oper a di
Proust, che non ha conosciut o nessun
f enomenologo!» 180.

178
Cf r .C h v at ik : «I n u n ’i nt er v is t a p er l a Q u i n z a in e l i tt ér air e , K un d er a h a
d ic h i ar at o c h e pr ef e r is c e l e gg er e op er e f il os of ic he p iu tt os t o c h e
l et ter ar i e, e i n p ar t ic o lar e l e o per e d i P l at o ne , Car t es i o , Ni e t zs c he ,
Hus s er l, H e id e g ger e S ar tr e, o qu e l le de i f i l os of i c ec hi L a d is la v K lίm a e
J an P a toč k a. I l s u o in t er es s e è r i v ol t o s opr at t ut to a l la f i l os of ia
de l l ’ es is t en za , c h e n e l l ’e p oc a m od er na è s t at a a p pr of on d it a da l l ’ an a l is i
f en om eno l o gic a . Q u e s to o r i e nt am en to no n è nu o v o i n K u nd er a : g ià a
Pr ag a eg l i a v e va r im p r o ve r a to a l la l e tt er a t u r a c ec a l a m anc an za d i u n a
c u lt ur a f i los of ic a ». Ci t. da K . C h va t ik , I l Mo n do r o m an ze s c o d i Mi l a n
K un d er a , T r a d. it . di S. Z a n gr a n d o, Pr ef a z . d i M. R i z za n te , U n i v er s it à
de g l i s tu d i d i T r e n to , p . 13 1 .
179
S i tr a tt a di u n ’ in t er vi s ta r i l as c ia t a d a K u nd er a a C hr is t i an S a lm on, p o i
c onf lu i ta ne l l ’ Ar t e d e l r o ma n zo , c i t.
180
I v i, p . 5 4.

106
La questione del rapporto tra romanzo e filosofia risulta da
sempre intricata e ciò non solo se la si esamina dal punto
di vista dei romanzieri.
Secondo Lakis Proguidis, tra arte del romanzo e sapere
filosofico avrebbe avuto luogo un «rendez-vous
manqué» 181; piuttosto che ai romanzieri, i quali hanno
spesso attinto alla filosofia per nutrire il loro universo
immaginario, questa mancanza sarebbe imputabile
soprattutto ai filosofi, per Proguidis colpevoli di non aver
saputo riconoscere e valorizzare la saggezza del roman zo,
ovvero il modo specifico del romanzo di esplorare
l’esistenza. Avviate ai due diversi esercizi della φιλοσοφία
(termine di origine greca, che indica precisamente la
ricerca della scienza, della verità) e della ποίησιs (poesia;
dal greco ποιέω «costruisco», «foggio», «formo»), le
missioni del filosofo e del letterato si sono distinte in tal
modo fin dalle origini.
La prima, come corrispondente ad un’analisi di determinati
concetti condotta sulla base di un metodo prestabilito
(quindi svolta più direttamente sul piano dei contenuti).
La seconda, in quanto tesa principalmente alla
«costruzione», alla composizione di una forma; a cogliere,
attraverso la «foggia» di una forma – l’invenzione di una

181
P h i los o ph i e et r o ma n: le r en d e z- v o us m a nq u é ( F i l os of i a e r o m an zo :
l ’a p pu n ta m en t o m anc at o) è il t i to l o d e l d o s s i er d ed ic at o a l l ’es a m e del
r ap p or t o tr a r om an zo e f il os of ia , c om pr es o i n u no de g l i u lt im i num er i
de l l a r i v is ta : « L’ A te l i er d u r om an » n .6 1, m ar zo 2 01 0.

107
forma, non la sua assunzione automatica dalla tradizione
– e dunque in maniera soggettiva, non l’inimmaginabile,
l’inconoscibile, ma l’inimmaginato, l’inconosciuto, tutto ciò
che non è ancora diventato patrimonio del sapere ufficiale
e che quindi non può essere già sottoposto alla
ricognizione del filosofo o dello scienziato.
La percezione di questo confine originario, che separa
filosofia e letteratura 182 distinguendole l’una come branca
del sapere, dunque deputata allo studio oggettivo del
mondo reale, e l’altra come arte, e in quanto tale carica di
una funzione creatrice 183 – funzione che, ricordiamo, in
questo caso consiste nella possibilità di immaginare nuove

182
Ric or d i am o c h e, a ll e or ig i n i, i l t er m ine g r ec o ποίησιϛ a ve v a
un ’ ac c e zi o ne p i ù a m pia d i qu e l lo c h e a l g ior n o d’ o gg i s ’ in t en d e
c om unem e nt e p er p oe s i a.
183
S ec o n do C or n el i us Cas tor i a d is , q u es t a f un zi o n e pr i nc i pa l e d e l l ’ar te ,
c he c hi am iam o c r e atr ic e, a g is c e d ir e tt am ent e c om e f or za d em i ur g ic a.
P er i l f i l os of o gr ec o, c ons i d er a t o c h e l ’ es s er e um an o os c i l l a tr a « Ca os e
Cos m os » , l ’ o bi e tt i v o c ons us ta n zi a l e d i un a v er a o per a d ’ ar te , c i ò in c u i
es s a s i d is t in g ue da i c om un i pr o do tt i c u l tu r a li , c o ns is t e n e l s o v v e r ti r e gl i
au t om atis m i a c u i g l i es s er i um an i f an n o ab i tu a lm en te r if er im ent o p er
es or c i z za r e i l c a os in t er ior e e r es t i tu ir e i n c am bi o u na f or m a n uo v a, c h e
ab b i a la f or za d i te n ut a d i u n «C os m o». P er qu es to , s pi e g a C as t o r i ad is ,
un a v er a o p er a d ’ ar te s i r ic on os c e d a l f a tt o c he è « as s o l ut am en te c h ius a
i n s é » ( «a bs o lum e nt f er m ée s ur e l l e- m êm e») ; os s i a, no n h a b is o gn o d i
a lc u n c om pl em ent o es ter n o p er per m et t er n e l a c om pr e ns i on e es s e n zi a l e,
è u n a f or m a c he bas ta a s e s t es s a. Le c it a zi on i s on o tr a tt e d a i t es ti de l l e
c onf er e n ze te n ut e d a Cas t or ia d is a l l ’E H E S S d i P ar i gi ne l 19 9 2 e
s uc c es s i v am en te r ac c o lt i i n: C. C as t or i ad i s , F e nê tr e s ur l e c h aos , E .
Es c ob ar , M. G on d ic as , P. V er n a y ( a c u r a d i) , Éd i ti o ns d u S eu i l , P ar is
20 0 7. Cf r . I n p ar t ic o l ar e p p. 13 4- 13 5 . A i f in i d e l n os tr o d is c o r s o, l a
pos i zi o n e d i C as tor i ad is c i s em br a i nt er es s a n te p er c h é v a lo r i z za i l
po t er e d i c o es io n e d i s pe ns at o d al l a f or m a c om e c r i t er io d i c o er e n za d i
un ’ o per a ; c iò i n c o n tr as to c o n a ltr e t en de n ze , i n v o ga s o pr at tu tt o
ne l l ’ ep oc a c o n tem po r an e a, c h e pr es u pp o n go n o in v ec e, c om e pr i nc i p a le
c r it er i o i nd is pe ns a bi l e a ll ’ i nd i v i d ua zi o n e de l l a r a gi o ne d ’ es s er e d i
un ’ o per a , il r if er im ent o ad a p par at i es ter n i ( i l c on tes t o s t or ic o, s oc i al e , la
r ag i o ne de l l a c om m itt e n za , e tc .) .

108
frontiere dell’esistente attraverso la concezione di nuove
forme –, è poi gradualmente sfumata presso i moderni.
La rivoluzione scientifica, avviata da Galilei e proseguita
nel corso dei secoli con un’accelerazione inarrestabile,
comportando la proliferazione di saperi specialistici, ha
determinato di pari passo l’avvio di un processo di
spersonalizzazione: per l’essere umano, sottoposto alle
medesime forze di matematizzazione, diviene sempre più
difficile concepire una visione coerente, che sintetizzi i
rapporti di significato che legano le varie sfere del sapere
e le diverse logiche di potere (la politica, il mercato, la
tecnologia), e che consenta in tal modo il recupero della
centralità dell’essere 184.
Mentre, in passato, questa possibilità di una visione
d’insieme veniva ricercata nella letteratura – che aveva, a
sua volta, colmato il vuoto di senso lasciato dalla Chiesa

184
Il pr o b lem a de l l a c r i s i s u b it a da l l a c i vi l tà eur o pe a è s t at o pos to i n
ter m i ni s im il i d a H us s er l: n e l c or s o d i a lc un e c o nf er en ze t en ut e n e l 19 3 5
a V i en n a e a Pr a ga , i l f il os of o n e at tr ib u is c e l ’or i g i ne a l l a n as c i t a d e ll ’ er a
s c i en t if ic a s e g na t a d a l l e s c o p er t e d i G a l i l ei e D es c ar t es . I n q u es t a s e d e,
te n iam o a r ic or d ar e c he K un d er a, n e l s a gg i o L a D e ni gr at a e r ed i tà d i
Cer v a nt es ( c om pr es o ne l l ’ Ar t e d e l r o m an zo , c it .) , e la b or a un a s u a
per s o n al e c o nc e zi o n e de l r om a n zo ( s e c on d o l ’ au tor e c ec o , ar t e
c os t i tu t i vam en t e e ur o pe a) t en e nd o c o nt o de l l ’i n ter pr et a zi o n e c h e Hus s er l
( e, s uc c es s i v am ent e, He i de g ge r ) of f r on o d el l a nu o v a c os c ie n za eu r op e a.
S ec o n do K un d er a, il pr o gr es s o s c i en t if ic o a vr e bb e r id o tt o l ’ u om o a
par t ic e l l a inc o ns a p e v o le d i u n s is t em a; c on tem p or a n eam en t e a l l a
s c i en za , per ò, i T em p i m od er ni a v r e b ber o g en er at o a nc he l’ ar te d e l
r om an zo , l a c u i m i s s i on e f on d am ent a le c o ns is t er eb b e pr op r i o ne l
r ec u p er o d e l la c e ntr a l it à de l l ’ es s er e . C os ì , «s e è v er o c h e l a f i l o s of i a e
l e s c i en ze ha n no d im ent ic at o l ’ es s er e d el l ’ uo m o, è ta nt o p i ù e v i d en te c he
c on C er v an tes h a pr e s o f or m a u n a gr a n de ar t e eu r o p ea c h e a ltr o no n è
s e no n l ’ es pl or a zi o n e d i qu es t o es s er e d im ent ic at o ». C it . d a M. Ku nd er a,
La D e n igr a ta er e d it à d i C er v a nt es , c it ., p. 1 7 .

109
(Broch) –, l’avanzare del progresso sembra sottoporre
anche quest’ultima al processo di parcellizzazione che
domina il sapere scientifico; nella società attuale, alla
letteratura si domanda principalmente di adempiere una
funzione informativa, per lo più intesa come trasposizione
narrativa di acquisizioni già registrate dalle varie
discipline, o al massimo quella di distrazione, tale facoltà
ormai considerata come unica possibile avventura mentale
alternativa al processo di istruzione 185.
In ogni caso, ne risulta il mancato riconoscimento della
funzione invece primaria dell’arte letteraria, consistente
nella possibilità di suggerire una visione coerente
dell’esistenza (quindi della essere), mediante l’invenzione
di una forma compatta.
Di questa depauperazione, subita dalla letteratura nel suo
complesso, è stato vittima soprattutto il romanzo,
probabilmente per due ragioni.
A causa del suo statuto in prosa che, rispetto alla poesia,
lo ha reso erroneamente assimilabile ad altri generi della
prosa non artistici, e per cui è stato, di volta in volta,
ridotto alla stregua di appendice della cronaca, della

185
Ne l s u o u l t im o s a gg i o, No n s i a mo g l i u lt i m i. L a le tt er at ur a tr a f in e
de l l ’o p er a e r i g en er a zi o n e u m an a ( Ef f ig i e, M il a no 2 00 9) , M as s im o
Ri z za n t e, a ttr a v er s o l a r i e voc a zi o n e d i a lc un i r om an zi e c as i l et ter ar i
de g l i u lt im i a n n i, tr at t eg g i a i n q u es t i t on i i l qu a dr o d el l o s t at o a tt ua l e i n
c u i ve r s a l a l et ter a tu r a: i n q ues t ’« ex Re p ub b l ic a d e l le L et t er e » c h e è
or m ai l a s oc i et à l e tt er a r i a c o nt em por a n ea , d om in at a da l l o s p ir it o
«d e l l ’e te r n o pr es en t e », s i è s m es s o d i r i c er c a r e ne l l a l et te r a t ur a un a
f or m a di c om pr ens i on e de l s é e d es s a p ar e ap p un t o d e l eg at a a m er a
r eg is tr a zi o ne de l r e g n o i nf or m e c he c a r a tt er i z za i l pr es en te .

110
storia, o della filosofia. Inoltre, proprio in virtù dello spirito
cartesiano tipico della modernità, caratterizzato da una
costante tensione alla riduzione e alla dimostrazione, e
per questo naturalmente avviato a fraintendere la modalità
specificatamente anti-dimostrativa, perché fondata
sull’invenzione soggettiva di una forma, tramite la quale il
romanzo esperisce l’esistenza; arte che, spiega lo
scrittore greco Dimitris Dimitriadis, nasce come «forma
aperta all’invenzione formale ma che non è soltanto
formale, nel senso che è inseparabile dal suo contenuto»
e deputata a scoprire, proprio per mezzo delle sue
invenzioni formali, «spazi che nessuna altra branca
dell’intelletto fino a quel momento ha potuto affrontare ed
esprimere» 186. Nel contesto attuale, il maggiore rischio ai
danni del romanzo, come conseguenza dello studio di sue
eventuali implicazioni con la filosofia, è stato spesso
quello di intenderlo o come sublimazione artistica di
determinate correnti filosofiche oppure come serbatoio di
una filosofia altra, di tipo non sistematico, ma comunque

186
R i por t iam o p er in t er o i l br a no i n c u i D im itr i a d is s i es pr im e s u l l ’ es s en za
de l r om an zo : « Le r om an , c et te f o r m e ou v er t e à l ’ i n ve n ti o n f or m el l e m ais
qu i n ’ es t pas un i qu e m ent f or m el le , c ’ es t- à - d ir e qu i es t i ns ép ar a b le d e
s on c o nt e nu , es t aus s i un m éc a n is m e d ’ ap par i t io n, à tr a ver s l a f or m e,
d ’es p ac es qu ’ a uc u n e au tr e br anc h e d u s a vo ir a p u j us q u ’à pr és e nt
ab or d er et ex pr im er » . P er D im itr ia d is , i l r om an zo r a p pr es e nt a l a p un t a d i
d iam an t e de l l a l et t er a tur a, a i f in i d e l c o ns e gu im en t o de l l o s p ec ia l e ti p o
d i c o nos c e n za c he es s a p uò of f r ir e de l l a v i ta um a na : l ’ ar t e r om a n zes c a
s ar e b b e l a p iù v ic i na a c o g l ie r e l ’ in d im os tr a b il e i n q u an to n at ur a l m ente
por t at a al r i n no v a m ento f or m al e. C i t. da C. D. D im it r i ad is ,
L ’Hy pe r l i tt ér at ur e. U n e pr em i èr e ap pr oc h e , i n: « L ’ At e l ier d u r om an » n. 6 1,
c it ., p p . 1 03- 1 07 .

111
animata dalla ricerca di una verità obiettivamente
riscontrabile. Ad esempio, per Vincent Descombes, autore
di Proust. Philosophie du roman 187 (1987), un romanzo «è
filosofico se manifesta una disciplina di pensiero analoga
a quella incarnata dalla filosofia nella tradizione
occidentale» 188; ossia, se possiede «quella forza filosofica
d’imporre un lavoro intellettuale e morale» 189, tale da
conseguire nei lettori una «riforma dell’intendimento» 190.
Queste analisi sembrano iscriversi nel contesto di un più
generale ritorno, registrato a partire dagli anni novanta e
soprattutto in terra francese, da parte dei filosofi e i teorici
della letteratura alla considerazione della “portata morale”
dei romanzi; forse, una reazione all’egemonia mantenuta a
lungo dalle correnti strutturaliste e decostruzioniste, che
invece avevano squalificato come politicizzati, quindi
come asserviti agli interessi delle sole classi dominanti,
quei criteri di approccio allo studio dei testi che non
fossero strettamente linguistici, tra cui il presupposto di
reperire nelle opere principi morali che aiutassero a vivere
meglio 191.

187
V . D es c om bes , Pr o us t. Ph i l os o p h ie du r om an , L es É d i ti o ns d e m i nu i t,
P ar is 19 8 7.
188
I v i, p . 4 6.
189
Ib .
190
Ib .
191
A n tes i gn a no d i q u e s ta in v er s i on e di te nd e n za , lo s t es s o R o la n d
B ar t h es , c h e n e l 1 97 8, a poc h i a nn i d a l la s ua m or te , i na u gur a il s u o
u lt im o s em in ar i o a l C o ll è ge d e F r anc e c on un a c onf er e n za ( d a l ti to l o
Lo n gt e mps , j e me s u is c o ac h de bo n ne he ur e) v o lt a a pr en der e le
d is t an ze da a lc un i ir r i gi d im en ti d e l la c r it ic a s t r u tt ur al is ta e pos t-

112
Rispetto ad altre ricerche, come ad esempio quella di
Antoine Compagnon, che ha dedicato uno dei suoi ultimi
seminari al Collège de France all’esplorazione del senso
morale (e filosofico) rintracciabile nei casi narrativi al
centro del romanzo di Proust, quella di Descombes si
distingue per aver riconosciuto la valenza morale del
romanzo come qualcosa di emanante dall’impianto formale
generale dell’opera, piuttosto che da particolari idee
espressevi esplicitamente, dunque dal “contenuto”.
Per l’individuazione della centralità assunta dalla forma,
nel perseguimento del particolare tipo di saggezza offerto
dal romanzo, la posizione di Descombes risulta affine a
quella presentata da Jacques Bouveresse, che nella
Connaissance de l’écrivain 192 (2008), esplora la differenza
tra i due tipi di conoscenza, scientifica e letteraria.
Le «verità della scienza», spiega il filosofo, sono verità
teoriche: dal momento che vengono esposte nella maniera
più semplice possibile, si rivolgono esclusivamente
«all’intelletto» 193 e per questo appartengono alla categoria
che Robert Musil definiva dei «pensieri morti» 194.

s tr u tt ur a lis t a, a f a v o r e d i u na r i n no v a ta r ic er c a d e l le v er it à m or al i
c us t o di t e d a i gr an d i r om an zi . A tr e nt ’ an n i d i d is ta n za , è i n v ec e A nt o in e
Com pa g no n c h e, i ns i gn i to d e l lo s t es s o r u o lo d i B ar t h es a l C o l l èg e de
F r a nc e , de d ic a i l c o r s o an n ua l e pr opr i o a ll ’ a na l is i de l l e Mo r a l es d e
Pr ous t, o v v er o a ll e v e r it à e tic h e pr es e nt i n e l la R ic er c a, i n q ua nt o i de a le
es em p io d i gr an d e r om an zo , e a l lo s tu d io d e l la l or o e v en t ua l e
c on n es s io n e c o n l a m or a l e s t ab i l it a i n c am p o f il os of ic o.
192
J . B ou v er es s e, L a C o nn a is s anc e d e l ’é c r iv a i n, A g on e , P ar is 2 00 8.
193
P er u l ter i or i a p pr of o nd im en t i, r ip or t iam o per i nt er o l a c i ta zi o n e: «I
pe ns i er i c he , c om e q u e ll i d e l la s c i e n za , p os s i ed o no u n e le v a to gr ad o d i

113
Quelle della letteratura, invece, sono particolarmente
condizionate dalla forma scelta per esprimerle. Nel caso
del romanzo, ad esempio – continua Bouveresse – esse
sono presentate in una forma narrativa, vale a dire
esaminate alla luce delle vicende concrete sperimentate
dai personaggi; ciò fa sì che, oltre al raziocinio, stimolino
anche la sensibilità dei lettori, riuscendo in tal modo ad
imprimersi più vivamente nella memoria.
Sebbene sia Descombes che Bouveresse riconoscano
l’importanza del ruolo assunto dalla forma ai fini del
perseguimento di una sapienza altra rispetto a quella
assicurata, ad esempio, dalla filosofia convenzionale,
entrambi mostrano di non cogliere in quale misura questo
elemento contribuisca al raggiungimento di un particolare
tipo di conoscenza che solo il romanzo, in quanto arte
indipendente – dunque, non semplice genere letterario tra
gli altri ma caratterizzato da precisi obiettivi estetici e
cognitivi – è in grado di conseguire.
Nell’attribuire alla messa in forma narrativa quella sorta di
valore aggiunto che caratterizzerebbe il tipo di
conoscenza offerto dal romanzo, Bouveresse mostra di
non distinguere quest’arte da altre forme narrative e non si

i nd if f er e n za a l la f or m a no n s i r i v o l go n o ( …) c he a l l ’ i nt e ll e tt o e no n
par l a no al l ’ af f ett i v i tà e a l l a v o lo n tà » ( tr ad .m ia) . ( « Les pe ns ées qu i ,
c om m e c el l es d e l a s c i enc e, p os s è d en t un e de gr é é l e v é d ’ i nd if f ér enc e à
l a f or m e ne s ’a dr es s en t ( …) qu ’ à l’ i nt e l lec t e t n e p ar le n t pas à
l ’af f ec ti v i té et à la vo l on t é») . I v i, p . 7 0.
194
Ib .

114
addentra nella questione specifica che comporterebbe la
considerazione del modo in cui agisce la forma nel
romanzo. Descombes, invece, si sofferma sul potere di
riforma morale che sarebbe insito alla forma propriamente
romanzesca; tuttavia, secondo lo studioso, questa
possibilità sarebbe garantita non da tutti i romanzi, ma
solo da quelli a cui riconosce la qualifica di «filosofici».
Dunque, anche in questo caso, il problema prioritario,
relativo al riconoscimento della specificità che caratterizza
la forma romanzesca, e di come essa consenta a
quest’arte di conseguire i suoi propri obiettivi cognitivi – la
presentazione degli aspetti impensati o obliati
dell’esistenza, condotta in una modalità non univoca ma
ironica – viene elusa.
Questi esempi, se pur utili ad una comprensione più
approfondita dei rapporti tra filosofia e letteratura,
contribuiscono a confermare il sospetto che, ad oggi, la
particolare visione obliqua sul mondo dell’esistenza che il
romanzo riesce a dischiudere attraverso la sua struttura
formale costitutivamente ironica, non sia ancora oggetto
della dovuta considerazione da parte della filosofia e, di
conseguenza, della teoria della letteratura, che della
filosofia ha spesso assunto le modalità di analisi 195.

195
Ric or d iam o c he q ues t o pr o b lem a c os ti t uis c e pr opr i o i l t em a
de l l ’ in t er es s a nt e d os s i er d e ll a r i v is t a « L ’ At e li er du r om an » d ed i c at o a l
r ap p or t o tr a f i l os of i a e r om an zo , l a c u i no t a i n tr o d ut ti v a r ec it a: «C er t o ,
e
ne l c or s o de l X X s e c o lo le c os e c am bi an o. Ma l ’a nt ic o f os s at o tr a i l
pe ns i er o f i los of ic o e l ’ es t et ic a de l r om an zo è s t a to c o lm at o? C e r to , la

115
In ogni caso, la rivalutazione che Descombes compie della
forma, come unico vero canale di trasmissione del
particolare tipo di saggezza che egli chiama «filosofia
romanzesca» segna una progressione rispetto alle
posizioni di quei filosofi che, nei romanzi, non ricercano
nient’altro che la «comunicazione indiretta di un’idea che
sarebbe possibile comunicare direttamente» 196, ossia una
tesi che, desunta da teorie già codificate o formulata ex
novo dall’autore, sarebbe assunta a priori dall’autore come
nucleo concettuale dell’intero romanzo.
Tra i sostenitori del romanzo di idee, Descombes
riconosce anche alcuni illustri commentatori della Ricerca
del tempo perduto, tra cui Gilles Deleuze.

c r ea zi o n e ar t is t ic a n o n d i pe n de d a l p ens i er o as tr a tt o . D i c o ns eg u en za , i l
r om an zi e r e n o n s of f r ir à tr o p po s e i f i l os of i n on l e g go n o r om an zi . Ma i l
c r it ic o ? Ma i l t eo r ic o d el l a l et te r a tu r a ? I l s uo l i n gu a gg i o, il li n gu a gg i o
de l l a c r it ic a, li n gu a g g io c om pos to es s e n z i alm e nt e di n o zi o n i a s tr a tt e,
l in g ua g g io nu tr it o e im pr e g na t o di c onc e tt i f i los of ic i , no n è
pr of on d am ent e m ar c a to d a q u es t a i nf er m it à a r t is t ic a de l l a f i l os of i a? »
e
tr a d.m i a. ( « Cer t es , a u X X s i èc l e les c h o s es c ha n ge n t. M a is l ’ anc i en
f os s é e ntr e la pe ns é e p h il os op h i qu e e t l ’ es t h ét i qu e d u r om an a- t- i l
c om bl é? Ce r t es , l a c r éa t io n ar t is t iq u es n e dé p en d pas d e l a p ens é e
abs tr ai t e. P ar c o ns é qu e nt , le r om anc i er ne s o uf f r ir a tr op s i les
ph i l os o p hes n e l is en t p as d e r om ans . Ma is l e c r i t iq u e ? Ma is l e
th é or ic i e n d e l a li tt ér at ur e ? So n la n ga g e, le la n g ag e d e l a c r it i q ue ,
l an g ag e es s e nt i e l lem en t f a it de n ot i ons a bs tr a it es , l a ng a ge no ur r i e t
im pr é gn é de c o nc ep ts p hi l os op h i qu es , n’ es t- t- i l p as m ar qu é
pr of on d ém ent p ar c et t e inf ir m it é ar t is t i qu e de l a ph i l os op h ie ? ». Ci t. d a
«L ’ A te l i er d u r om an », n. 6 1 , p. 1 9 .
196
«c om m unic at i on i n d ir ec te d ’ u ne p e ns é e qu ’i l es t p os s ib l e de
c om m u ni q ue r d ir ec t e me n t» ( tr ad . nos tr a ) . V. Des c om bes , Pr ous t.
P hi l os op h i e du r om a n, c i t. , p. 43 .

116
In Proust e i segni 197, quest’ultimo spiega come sia
possibile ricavare il nucleo di una tesi filosofica – alla cui
rielaborazione più approfondita dedicherà poi la sua opera
principale 198 – a partire dallo stesso modello della
costruzione a variazioni, che è alla base del romanzo
proustiano.
Secondo Deleuze, la maniera in cui Proust elabora questo
principio compositivo sottende una precisa concezione
della verità: l’idea che i fenomeni che regolano i vari
ambiti della vita umana (la Ricerca ne indaga quattro in
particolare: la mondanità, l’amore, le impressioni materiali
e l’arte) in realtà siano tutti «segni» da decifrare.
Emanazioni, che procedono secondo una logica seriale, da
un’unica essenza originaria (per Deleuze, ad esempio,
tutti i codici che disciplinano la società mondana
rinvierebbero in ogni caso alla percezione di un senso di
vuoto, unica vera matrice alla base di questo modo), che il
filosofo considera «la Differenza ultima e assoluta»: il
tema da cui si dipartono tutte le variazioni 199.
Secondo Deleuze, il campo che permette più chiaramente
l’osservazione di questo meccanismo è quello dell’amore:
tutti gli amori raccontati nella Ricerca, non solo quelli

197
G . D e le u ze , Pr o us t e i s eg n i, tr ad . it . di C . Lus i g no l i e D . De A g o s ti n i,
E in a u di , T or i n o 19 8 6.
198
V d. G . D e l eu ze , D i ff er en za e r ip e ti zi o n e , c i t.
199
Pe r u n ’ an a l is i d e l l ’ in t er p r e ta zi o n e d e le u zi a na d e l la R ic er c a d e l t em p o
per d ut o, c f r . M . F er r ar is e D . d e A gos t i ni , Pr o us t , D el e u ze et l a
r ép é ti t io n . No t es s ur l es n iv ea ux n ar r at i fs d ’ « A la r ec h er c he du te m ps
per d u », « L it tér a tur e » n. 3 2, 1 9 78 , p p. 6 6- 85 .

117
vissuti direttamente dal protagonista (innamorato,
successivamente di Gilberte, Madame de Guermantes e
Albertine, nonché della figura materna, artefice della
delusione amorosa primaria, a cui seguono tutte le altre),
ma anche dai personaggi del suo entourage (la passione,
infuocata di gelosia che gli amici del narratore Charles
Swann e il nobile Robert Saint-Loup nutrono
rispettivamente per Odette e l’attrice Rachel prefigurano,
nel racconto, i tormenti inflitti al narratore da Albertine),
fino alle diverse tappe che scandiscono una medesima
relazione, vengono presentati e letti dallo stesso narratore
come episodi speculari, a tal punto che sembrano – spiega
Deleuze – delle variazioni di un unico «tema che ci
sorpassa, una specie di archetipo» 200, che rappresenta la
matrice di tutti gli amori che possono attraversare
un’esperienza umana.
Così, «Albertine è la stessa ed è diversa, non solo rispetto
agli altri amori del protagonista, ma anche rispetto a se
stessa. Ci sono tante Albertine che si dovrebbe dare a
ciascuna un nome distinto; eppure sono come un solo
tema, una medesima qualità, sotto vari aspetti» 201.

200
G .D e l eu ze , Pr ous t e i s e g ni , c i t. , p . 6 3.
201
I vi , p. 6 4. Per a p pr of on d ir e i l c onc e tt o d i s pec u l ar it à a ll a b as e de g l i
am or i pr ous t ia n i, c f r . anc h e p. 6 8: « Cos ì l a s er ie p er s on a le d e i n os tr i
am or i c i r im an d a d a un l at o a un a s er ie p iù v as t a , tr a ns - per s on a l e;
da l l ’ al tr o a s er ie pi ù r i s tr e tt e, c os t it u it e d a o gn i am or e in p ar t ic o l a r e. L e
s er ie s on o du n qu e im pl ic at e l e un e n e l le a ltr e, c om e anc he s i
s o vr a p p on g on o g l i un i a gl i a l tr i gl i i n d ic i d i v ar i a zi o n e e l e l e gg i d i
pr o gr es s io n e. Q u a nd o dom a nd i am o c om e d eb b an o v e nir e i nt er pr et at i i

118
Ciò significa che nella Ricerca di Proust la logica del tema
e variazioni, oltre ad informare l’impianto strutturale del
romanzo, attraverso la sua concretizzazione nel modello
del «racconto ripetitivo» – procedimento per il quale uno
stesso episodio viene raccontato diverse volte ed ogni
volta in maniera diversa –, costituisce una delle questioni
su cui si appunta la riflessione del narratore,
configurandosi così al tempo stesso come forma e tema
del romanzo.
Nonostante Deleuze riconosca la natura antisistematica
delle riflessioni sviluppate dal narratore, che, a suo
avviso, comporrebbero «la portata ‘filosofica’ dell’opera di
Proust» 202, tuttavia mostra di intendere il procedimento
delle variazioni come parametro di una precisa concezione
della verità, piuttosto che come una forma significante
innanzitutto sul piano estetico, ossia come una struttura in
grado d’informare un oggetto, il cui valore principale è
innanzitutto quello estetico: un tema romanzesco.
La ricerca del quid essenziale celato oltre le mutevoli
apparenze, che Proust sviluppa come tema del romanzo,
dunque come elemento di una meditazione a carattere
poetico 203, Deleuze sembra assumerla invece come idea,

s eg n i de l l ’am or e, c er c h iam o u n ’ is t a n za gr a z i e a l l a q u al e s i es p l ic h in o le
s er ie , e s i s v i lu p pi n o i nd ic i e le g gi » .
202
I v i, p .8 7 .
203
L a s c e lt a d e l l’ a gg e tt i v o p oe t ic o no n è c as u a le : i l r om an zo , n at o c om e
ar t e d e l la pr os a , c us t od is c e a l t em po s t es s o u n n uc le o po et ic o; t ut ta v i a,
s i tr at t a d i u n t i p o d i p oes i a d i v er s o d a q u e ll a c h e a n im a l a m agg i o r par te

119
come un ragionamento che, se pur concepito nel contesto
di un romanzo, potrebbe apparire valido anche in altri ed
espresso per mezzo di forme diverse.
In questo modo, dalla prassi del narratore proustiano di
approssimarsi per gradi alle rivelazioni essenziali (che sul
piano formale si concretizza nella struttura del racconto a
variazioni), Deleuze ricava una teoria sul modo in cui, di
solito, si manifesta la verità 204.

de i v er s i. P er M i la n K un d er a , c he a l la q u es t i on e da d e dic a to s v ar ia t i
s c r it t i ( a d es em p io S u ll a po es ia , r ac c o l to in «R i g a» n. 2 0, d ed ic at o
a ll ’ o per a de l r om an zi e r e c ec o e c ur at o da M as s im o Ri z za n t e) , i l r o m an zo
è i l r eg n o de l l a «p o es i a a n ti l ir ic a» : d i un a m etaf or a c h e , a dif f er en za d i
qu e l le l ir ic he , no n v uo l e « i nc a n tar e , n é a b b e l l ir e , m a c o nos c er e: d ef i n ir e
c i ò c h e s e n za di es s a s ar e b b e i nd ef i n i bi l e ». A l lo s t es s o m odo , i l c om pit o
de l r om an zo è r i v el ar e, de l l ’ es is t en za um a na , c iò c he n on è p o s s i bi l e
c og l i er e c on l ’a us i l io de l s o l o r a zi oc i n io ; il r om an zo è p oes i a c h e
c on os c e.
204
Ne l c om m ento a Pr ous t e i s e g n i, F er r a r is l a r i as s um e c os ì: « La
Ric er c a f or n is c e a ll or a u na n o zi o n e d i le g ge c h e r i vo l u zi on a i
pr es u p pos t i tr a d i zi o n a li : s e la le g ge de l l a c o nc e zi o n e c las s ic a ( g i à
m es s a i n d is c us s i o ne da D e le u ze i n La F i lo s of i a c r it ic a d i K an t, 1 96 3) s i
pr es e nt a c om e u na s is t em at i z za zi o n e a po s ter i or i d i d at i em p ir i c i, he
s on o c om unq u e of f er t i c om e c on os c ib i l i a pr i or i , la c os c ie n za im m ed i at a
de l l a l e gg e , c os ì c o m e s i m anif es t a ne l tes t o de l l a R ic er c a , ap pa r e
pr ec is am en te c om e u na p o te n za au t on om a c h e s o vr a de te r m in a p ar t i
s ep ar at e e c h e s i of f r e n e l la s ua t ot a l it à s o l o d op o l a tr as gr es s io n e
( qu es ta i d ea d i l e gg e s ar à s vi l u pp a ta n e l lo s tu d io s uc c es s i vo d i De l eu z e
e G u at tar i s u K af k a ne l 1 9 75 ) » . T r a d. no s tr a . ( « La R ec he r c h e f our n it
do nc u n e n ot i o n d e l a lo i q u i r en v er s e l es pr és u p pos és tr a di t io n ne ls : s i
l a l oi de la pe ns ée c la s s i qu e ( d éj à m is e en d is c us s i on par De l eu z e d ans
La P h i los o ph i e c r it i qu e de K a nt , 1 9 63) s e pr és en t e c om m e u n e
s ys tém at is at i on a pos ter i or i d es do n né es e m pir i q ues , q u i s o n t p our t an t
do n né es c om m e c on n a is s a b les a pr ior i , l a c on s c ie nc e im m éd ia t e de la
l oi , te l l e qu ’ e ll e s e m an if es t e d a ns l e t ex t e de l a Rec h er c he , a pp ar aî t
pr éc is ém en t c om m e un e p u is s a nc e au to n om e q u i s ur d ét er m i n e des
par t ies s é pa r é es e t qu i s ’ of f r e d ans s a to ta l i té s eu l em en t a p r ès la
tr as gr es s io n ( c e tt e i d é e d e l a l o i s er a d é ve l o pp é e d ans l ’é t ud e u lt é r i eur e
de De l e u ze et G ua tt ar i s ur K af k a en 1 9 75 » . M. F er r a r is e D .d e A gos t in i ,
Pr ous t, D e le u ze et la r ép é ti t io n . No tes s u r l es n iv e a ux nar r a t ifs d ’ « A l a
r ec h er c h e du t e m ps p er d u », c it . p. 6 7 .

120
Per il filosofo francese, il termine «ricerca» che figura nel
titolo del romanzo proustiano non va infatti inteso in senso
metaforico, ma nell’accezione più pura di «ricerca della
verità» 205. Questa interpretazione sembra però interferire
con il presupposto, su cui si basa l’arte del romanzo, di
opporre al dogmatismo delle religioni e
all’incontrovertibilità delle scienze una visione
sostanzialmente relativa delle verità umane, che in tal
modo preservi la complessità dell’esistenza dal rischio
della sua riduzione a meccanismi o a sistemi che la
trascendono.
Ciò ha impresso al romanzo un’inclinazione meditativa,
caratterizzata dall’astensione verso qualsiasi tipo di
soluzione definitiva; questo sin dalle origini, e per tutto il
corso della sua tradizione: ad esempio, si pensi
all’“ambiguità” della morale esposta dal narratore in Tom
Jones o alla centralità che assumono le riflessioni ludiche
del protagonista ne La vita e le opinioni di Tristam
Shandy, gentiluomo.
La componente saggistica insita nei romanzi ha indotto il
saggista canadese François Ricard a proclamare che oggi,
epoca in cui il trionfo dei saperi specialistici rischia di
minacciare la sopravvivenza della vera arte del saggio,
nata proprio allo scopo di «soppesare» 206 i problemi e non

205
Cf r . Pr o us t e i s eg n i, c it ., p . 5 .
206
Q u es t o s i gn if ic a to è s u gg er i to d a l la s t es s a ac c e zi o n e or i g i nar i a de l
nom e: s a g g iar e , i nf at t i , s i gn if ic a pr o pr io p r o v ar e , s p er im ent ar e.

121
di sistematizzarli, a rintracciare proprio all’interno del
romanzo la migliore (e forse unica) possibilità
d’espressione 207.

207
Cf r . F . R ic ar d, L a S o li t ud e d e l ’e s s ay is t e , i n « L’ A t el i er d u r o m an»,
n. 5 0, p . 84 : « P i ù c h e de l le ‘ af f in i tà el e tt i v È, è a l l or a un a pr of o nd a
c om pl ic it à, un ac c or do f o n da to s u l l or o s tes s o es s e r e a l e gar e il
r om an zo , lo s pi r i t o d e l r om an zo , e l o s p ir it o d e l s a g gi o . R ad ic at a n e l
c om une us o de l l a pr o s a, q u es t a c om pl ic i tà s i es p l ic a, n e l la l et t er a t ur a
m oder na , no n s o l o ne l f a tt o c h e a lc u n i r om an zi e r i, s p es s o i p iù gr a n d i,
s on o a l lo s tes s o tem po d e i gr a n di s a g gis ti , m a a nc h e , e i n m ani er a
anc or a p iù s c on v o l g en t e, n e l lo s p a zi o s em pr e p i ù am pi o c h e es s i
ac c or d a no n e i lo r o r o m an zi a l la s c r i tt ur a s ag g is t ic a, o a lm en o d i t i po
s ag g is t ic o; c om e s e l ’ ar t e r om an ze s c a p ot es s e apr ir s i n a tur a lm ent e ,
s en za c h e la s u a p r o p r i a u n it à n e r is u l t i m in ac c ia ta , a q u es t ’ ar t e s or e l l a
c he è i l s ag g i o. A t a l p un to , d ’ al tr on d e, c he c i s i p uò d om an d ar e s e
qu es t’ i n gr es s o ne l l ’a t m os f er a es t et ic a d e l r om an zo n on s ar eb b e per i l
s ag g i o, t en ut o c o nt o de l l e c ir c os t a n ze a v v er s e c h e h o e v oc a to pr im a ,
un ’ i ns p er at a oc c as io n e di s a l v e z za . S e m i as c o l tas s i , g iu n ger e i anc h e a
d ir e u na f o l l i a: i l s a g g io , o g gi , la s c r i tt ur a s pec i fic a ta m en t e s a g g is t ic a
no n p u ò p iù es is t er e c he ne l l a s f er a o s ot t o l a pr ot e zi o n e d e l r o m an zo.
Ci ò n o n vu o l d ir e c h e tu tt i i s a gg is t i d o vr e b b er o s c r i v er e d e i r om an zi . Ma
c he do v r e b ber o , a lm eno , s c r i ver e i l or o s a g g i c o me s e q u es t i f ac es s er o
par t e d i un r om an zo » tr a d. n os tr a. ( « P l us qu e des ‘ af f in i tés é le c ti v es ’,
c ’ es t d onc u n e pr of on de c om p l ic i t é, u n ac c o r d f o n dé s ur le ur ê tr e m êm e,
qu i l i e le r om an , l ’ es p r it d u r om an, et l ’ es pr it d e l’ es s a i. E nr ac i n é e d a ns
l ’us a ge de la pr os e, c e tt e c om pl ic i tà s e tr ad u it , d ans l a l it t ér a t ur e
m oder ne , n o n s eu l em en t par l e f a i t q u e d es r om anc ie r s , s o u ve nt l es p l us
gr a n ds , s on t e n m êm e t em ps de gr a nds e s s a yi s t es , m ais aus s i , et de
m ani èr e p l us f r ap p an t e enc or e, p ar l a p lac e d e p lus e n p lus lar g e q u ’i ls
ac c or d e nt d a ns l e ur s r om ans à l ’éc r i tur e e s s a yi s t i qu e, ou du m o ins de
t yp e es s a yi s ti q u e, c om m e s i l ’ar t r o m anes q u e po u v ai t s ’ ou vr ir
na t ur e l l em ent , s a ns q ue s a pr op r e un i té en s o it m enac é e, à c et a r t f r èr e
qu ’ es t l ’ es s ai . À te l po i nt , d ’a i l le ur s , qu ’ o n pe ut s e d em an der s i c et te
en tr ée d ans l ’ atm os p h èr e es th é ti q ue d u r om an n e s e r a i t p as po ur l ’es s a i,
c om pte t e n u d es c ir c ons t anc es a d v er s es q ue j ’a i é vo q ué es pl us ha ut ,
un e oc c as i on i nes p ér ée de s a lu t. S i j e m ’é c ou t ais , j ’ ir a is m êm e jus q u ’ à
d ir e u ne f o l i e: l ’es s a i, auj ou r d ’ hu i , l ’ éc r it ur e s péc i fi q ue m e nt es s a yis t i q ue
ne pe ut p lus ex is t er q ue da ns l ’ or be ou s ou s la pr o tec t io n d u r om an . C e
qu i n e ve u t p as d ir e q ue t ous l es es s a yi s tes de v r a i en t éc r ir e d es r om ans .
Ma is q u ’ ils d e vr a ie n t, a u m oi ns , éc r ir e l eu r s es s a is c om m e s i c eux - c i
f ais a ie nt p ar t i e d ’ u n r om an ») . S em pr e a pr o pos i to d e l le a f f ini t à
r i ntr ac c ia b i l i tr a r om a n zo e s a g g io , R o ber t Mus i l ( un o de i p iù i l lu s tr i d i
qu es ti r om an zi e r i- s ag g is t i) s c r i v e va c h e es s i s on o ac c om un a te d a l f at to
c he e n tr am b i s i oc c u pa n o d i qu es t i o ni c h e no n d ev o n o po t er es s er e
tr a tt at e d a l l a pr os a f a t tu a le ( S ac h pr os a) ; per qu es t o, l ’af f i n it à tr a q ues t e
ar t i ( l e c u i or i g in i r is a l go n o p i ù o m en o a l l o s tes s o p er i od o: M on t a i gn e è
c on t em por a n eo d i Ra b e la is ) r is u l ta ta l e c h e, s ec o nd o M us i l, t u tt i i gr a n d i

122
A proposito dell’affinità tra queste due arti, Jean-Louis
Cupers ad esempio scrive che, mentre il saggista
letterario assomiglia all’esecutore di un assolo, a un
pianista che, non potendo contare su altri strumenti (i
personaggi), trova proprio nel principio delle variazioni il
mezzo con cui ricomporre la diversità nell’unità, il
romanziere assomiglia al direttore di un’orchestra, i cui
componenti sono paragonabili ai vari punti di vista, dalla
cui interazione nasce la rappresentazione multiforme del
reale 208.

s c r it t or i, o i gr a nd i c r it ic i , s i tr o ve r e b ber o, pr im a o po i , a p as s ar e
da l l ’ un a al l ’ a ltr a. Cf r . r . M us i l, S ag g i e l e tt e r e, B . C et t i M ar i no n i ( a c ur a
d i) , tr a d. i t. d i A. C as a l e gn o, L . M a nn ar i n i, R . Ma l a go l i, M . O l i v et ti ,
E in a u di , T or i n o 19 9 5.
208
Cf r . J .- L- C u per s , A ld ous H ux l ey et l a mus i qu e .À l a m an i èr e d e J ea n-
S éb as t i e n, F ac u lt és un i v er s it a ir es Sa i nt - Lo u is , B r ux e l les 1 9 85 . I n
par t ic o l ar e, c o nf r o nt a nd o l e o per e s a gg is t ic he e r om an zes c h e d i Hux l e y,
Cu p er s s t a b il is c e u n c o nf r o nt o tr a s a gg i o e r om an zo s u l l a b as e d e l
m ode l lo m us ic a le : « M a q u al è a l l or a l a d if f er e n za tr a i l r om a n z o e i l
s ag g i o, a q u es t o l i v e ll o ? T utt o s em br a di pe n de r e d a l la qu es t i on e
de l l ’ im por t a n za r e l at i v a d e l le d u e n o zi o n i f on dam en t al i , va r i a z i on e e
c on tr ap p un t o ( …) . Se i l s a g g is t a c i pr o po n e, at tr a v er s o de l l e im m ag in i i n
s uc c es s i o ne , u n c hi ar im ent o d i v o lt a in v o l ta p iù r af f in a to , d i v o lt a i n
v o lt a pi ù s o tt i le , d i un a m ed es im a r e a lt à es am in at a s ot to u n a le n te
d ’i n gr an d im ent o , e di r ic o n du r r e i l t ut t o ( l e var i a zi o n i) a q ue l l a s ol a e
un ic a r e a lt à d i par te n za ( il t em a) , i l c o nt r ap p u nt o de l r om an zo c er c a,
at tr a v er s o n u o ve m oda l i tà di r a ppr es en t a zi o n e, s us c e tt i b i li d i inf in i to
r i nn o v am ent o a s ec o nd a d e l l ’i n g eg n o d el l o s c r i tt or e, di f ar c i p er c e p ir e
c he es s e s on o di f at t o id e nt ic he , c he es s e s i ad at t an o e s i r ip i eg a no
es a tt am en te l ’ un a s u l l’ a ltr a- in d ef i n it i v a, r is u lt an d on e u na s o la im m agi ne
f in a le ». T r a d. n os tr a ( «M a is q u e l le es t a lor s l a d if f ér enc e e ntr e le
r om an e e t l ’ es s a i , à c e n i v ea u ? T ou t s em bl e t en ir à u n e q ues t io n d e l a
r e la t i ve im por ta nc e d e s de ux n ot i o ns m us ic a les , v ar i at i o n et c o nt r ep o i nt
( …) . S i l ’ es s a yis t e n o u s pr op os e par d es im ages s uc c es s i ves , ex pl i c at i on
de p l us e n pl us f in e , d e p lus e n p lus a i g uë d ’ un e m êm e r é a l it é pr is e s ous
l a l ou p e, de t o ut ( l es v ar ia t io ns ) r am ener à c ett e s e u l e et m êm e r éa l i té
de d ép ar t ( le th èm e) , l e c o ntr e p oi n t d u r o m an es s a i e , p ar des m odes
no u v ea ux d e p r és e nt a ti o n, s us c ep t ib l es d ’u n inf in i r e no u v e l lem en t s e l o n

123
Così, se il saggio può essere assimilato ad un romanzo
con un solo personaggio, la componente meditativa insita
al romanzo è impiegata allo scopo di contribuire ad
illuminare la vicenda esistenziale dei diversi personaggi
che ne fanno parte e non ha senso se non entro l’orbita
gravitazionale del personaggio cui si riferisce 209.

l ’ in g én i os it é d e l ’ éc r i v a in , d e n ous f a ir e p e r c e vo ir qu ’ e l les s on t en f a it
i de nt i q ues , qu ’ e l les s ’ ap p l iq u en t et s e r e p li e nt ex ac t em en t l ’u ne s ur
l ’a u tr e , – u ne s eu l e im ag e f i na l e e n r és u l ta n t e n d éf i n it i v e» . C it . pp . 23 6-
23 7 .R i as s um en d o, per Cu per s l a v ar ia zi o ne s u tem a s ar eb b e l a f ig ur a
f or m ale pe r ec c e ll e n z a d e l s a g g io e i l c o ntr ap p un t o q u el l a d e l r o m an zo.
In q u es t o s e ns o, i l s a gg i o p otr e b be es s er e i nt es o c om e un r om an zo ad
un ’ u nic a voc e, c io è a n im ato da u n s o l o p er s on a gg i o.
209
Cos ì , ne l c or s o di un ’ i nt er v is t a r i l as c i a t a a C hr is t i an S a lm on ( or a
r ac c o l ta ne l l ’ Ar t e d e l r o ma n zo , c i t.) , M i la n K un d er a c om m ent a l e r a g io n i
de l l ’ inc l us i on e, n e i s u o i r om a n zi , de l l a «l i n e a f i l os of ic a » , c h e ( i ns i em e a
qu e l le on ir ic a e nar r a ti v a) c os t it u is c e u na de l l e tr e v oc i d e l l’ « ar te de l
c on tr ap p un t o r om an z es c o » , im por ta n te pr i nc i p i o a l la bas e d e l l a s u a
po e tic a : a c h i r is c h i a d i s c am bi ar e qu es ti i nt er v e nt i pe r l a d ir e tt a
m anif es ta zi o n e d el l e i de e de l l ’ au to r e , Ku n d er a s p i eg a : «( …) en tr an d o a
f ar par t e d el c or po d e l r om an zo , l a m edi ta zi o n e c am b ia es s e n za . A l d i
f uor i de l r om an zo , s ia m o ne l c am po d el l e a f f er m azi on i : og n un o è s ic ur o
de l l a s u a par o l a – i l p o li t ic o , i l f i los of o , l a po r t i er a . Ne l t er r it o r i o de l
r om an zo , no n s i f an no af f er m a zi on i : è i l ter r i tor i o d e l g i oc o e d e l le
i po tes i . L a m ed it a zi o n e r om an ze s c a è q u i nd i, pe r es s en za , i nt er r o ga t i va ,
i po te t ic a ( …) . C ’è un a d if f er e n za f o n dam en t a le f r a l a m an i er a d i p ens ar e
d i u n f i l os of o e d i u n r om a n zi er e. S i par l a s p es s o d e l la f il os of i a d i
Čec h o v, d i Kaf k a, d i Mus i l , ec c . Ma pr o v i a t ir ar f u or i d a c i ò c h e h an n o
s c r it t o u na f i l os of ia c oer e nt e! Anc h e q u an d o es pr im ono le l or o i de e i n
m odo d ir e tt o , n e i l or o ap p un t i, s i tr at t a d i es er c i zi d i r if l es s i on e , d i
g ioc h i, d i par a dos s i , d i im pr o v v is a zi o n i , pi ut tos t o c h e de l l ’ af f er m azi o ne
d i u n p e ns ier o ». C iò r i en tr a n e ll a c onc e zi o n e di r om an zo c o lt i v at a
da l l ’ au to r e : per Ku n de r a, m entr e l o «s c r it to r e d i pr os a » es pr im e s em pr e
de l l e « id e e or ig i n al i » c he q u i nd i p u ò es pr im er e s er ve n dos i « d i q u a ls i as i
f or m a ( c om pr es o i l r om an zo ) » , il v er o r o m an zi er e , in v ec e, « n on d à
gr a n d e im por ta n za a l l e pr o pr i e id e e. È u n o s c opr i tor e c h e , a t e n to n i, s i
s f or za di s v e l ar e un as pe tt o s c on os c i ut o d e l l ’es is te n za . No n è
af f as c i n at o d a ll a p r o p r i a v oc e, m a da un a f or m a c he ins e gu e , e s o lo le
f or m e c he r is p o nd o no a ll e es i ge n ze de l s u o s og n o f a n no p ar te d e l l a s ua
op er a. F ie l d i ng , S ter ne , F l a ub er t, P r o us t , F a u lk ner , Cé l i ne » . Ci t. p p .
11 4- 1 15 e 20 3- 20 4 .

124
Anche nei casi in cui gli interventi meditativi risultano
direttamente riferibili ad un autore implicito, essi non
risultano più attendibili (cioè, non adombrano in alcun
modo una possibile soluzione degli enigmi) delle riflessioni
attribuite al narratore o ad altri personaggi: tutti i punti di
vista sono ugualmente accettabili e al tempo stesso
nessuno è decisivo nella comprensione della questione
esistenziale al centro del romanzo.
Per tale ragione, alla qualifica di «romanzi filosofici»,
Milan Kundera – che ha consacrato diverse riflessioni
all’argomento – preferisce quella di «romanzi che
pensano», per definire quei romanzi in cui la componente
speculativa risulta particolarmente rilevante (si pensi, ad
esempio, ai Sonnambuli di Hermann Broch o all’Uomo
senza qualità). Nel Sipario 210, scrive:

«Vorrei sottolinear e una cosa essenziale: la


rif lessione romanzesca, così come Br och e Musil
l’hanno introdotta nell’estetica del romanzo moderno,
non ha nulla a che vedere con quella di uno
scienziato o di un f ilosof o; direi anzi che essa è
intenzionalmente non f ilosof ica, se non antif ilosof ica,
cioè tenacemente autonoma rispetto a ogni sist ema
di idee pr ecost ituite; non giudica; non proclama

210
Rac c ol t a d i s c r it t i s a g g is t ic i d e l r om an zi er e c ec o , pu b bl ic at a ne l 2 00 5 .
L ’e d i zi o n e it a li a na è tr a d ot ta d a M as s im o R i z za n t e e p ub b l ic at a da
A de l p hi , M i la n o 2 00 5 .

125
ver ità; si int erroga, si stupisce, sonda; assume le
f orme più diverse: metaf orica, ironica, ipotet ica,
iper bolica, af oristica, divertente, provocat oria,
estrosa; e soprattutt o: non abbandona mai il cerchio
magico della vita dei per sonaggi; è la vit a dei
personaggi ad alimentarla e giustif icar la» 211.

Il romanzo, anche quando innesta nella linea narrativa


numerosi inserti meditativi, come nell’esempio della
Ricerca (non a caso, sviluppata a partire da un progetto in
origine destinato ad un saggio), non è animato dalla
volontà di tendere ad una «verità», ma di illuminare un
tema in maniera ipotetica e relativa, quindi soggetta
all’ottica dei diversi personaggi attraverso le cui vicende è
illustrato.
Nel caso del romanzo di Proust, in particolare, le indagini
intorno al quid essenziale che si cela dietro ogni serie di
uno stesso fenomeno non sono mai condotte al di fuori del
«cerchio magico» (Kundera) corrispondente al campo
d’osservazione del narratore: la prospettiva d’indagine
adottata coincide sempre con il suo punto di vista, o
meglio, con i vari punti di vista assunti, nel corso del
tempo, dal suo io, la cui vicenda il narratore rievoca a
posteriori; espediente narrativo, questo, che contribuisce a
relativizzare ulteriormente l’attendibilità di tali riflessioni.

211
I v i, p . 8 5.

126
La stessa tecnica delle coincidenze, ovvero il ricorso
all’espediente delle circostanze casuali, come mezzo che
innesca il ricordo capace di provocare la riflessione sul
senso dell’esperienza trascorsa, risponde proprio allo
scopo di scoraggiare ogni tentativo di ravvisare, nelle
riflessioni che ne scaturiscono, il progetto di una
sistemazione coerente.
Si pensi, ad esempio, alla casualità degli incontri con certi
personaggi in cui il narratore sembra imbattersi
regolarmente (come il personaggio di Odette dÈ Crecy, di
ritorno, nella vita del narratore, a seconda dei casi nei
panni della misteriosa amante dello zio abbigliata in rosa,
in quelli di un amore perduto di Swann e,
successivamente, nelle vesti di moglie di costui e madre di
Gilberte), la cui frequenza sembra scandire il ritmo del
romanzo e sollecitare il narratore ad una continua
correzione delle varie impressioni che nel corso del tempo
aveva su di loro accumulato 212; alla contingenza di un
disagio come quello dell’insonnia che, nel romanzo, è

212
S ec o n d o G i ac om o D e be n ed e tt i, qu es t a f i du c i a, « o a dd ir i tt ur a c er t e z za
s ta t is t ic a c h e, i n un c er t o gi r o d i tem po , s i v er if ic her a n no
s po n ta n eam en t e le oc c as io n i c h e f ar a nn o s c oc c ar e q u el l e r e v i v is c en ze » ,
c he s em br a c os t it u ir e i l m ot or e pr op u ls i v o d e ll a R ic er c a, s i p u ò
i nt er p r e ta r e c om e un s e gn o d e l nu o v o m od o d i p er c e p ir e l a r ea l tà ,
m atur a t o a s eg u it o de l l a r i vo l u zi o n e s c i en t if ic a r e g is tr a ta n e i pr im i
dec e nn i de l X X s ec o l o ( e c on tr ad d is t i nt a s pec i a lm ent e da l l e s c o per t e d i
E ins t ei n e P la nc k ) , u n ’e l ab or a zi o n e ar tis t ic a d el l e l e gg i di pr o b ab i l it à
m es s e a p un to d a l l a m ec c a n ic a q ua n tis tic a . Cf r . G . De b e n ed e tt i,
Co m me m or a zi o n e pr o v v is or i a d el p er s on a gg i o- uo m o, a pp ar s o i n u n
pr im o m om ento s u « P ar a g o ne », X VI , 1 90 , d ic em br e 19 6 5, or a r ac c o l to
i n: ID , G i ac o mo D e be ne d et t i. P r o us t , M . L a va g et to ( a c ur a d i) , B o l la t i
B or in g hi er i , T or i no 2 0 05 , p p. 1 0 1- 13 1.

127
l’occasione che produce il ricordo delle altre notti
trascorse dal narratore nel medesimo stato di
inquietudine, fino a quelle lontane dell’infanzia nel
villaggio di Combray; oppure, al fenomeno delle
improvvise epifanie, come quella provocata dal gusto della
madeleine intinta nel tè, il cui sapore familiare, riportando
il narratore al pensiero di quella pregustata anni e anni
prima, lo induce al raffronto con quell’epoca che aveva
creduto irrimediabilmente perduta 213.
Il carattere non sistematico delle riflessioni che
alimentano il romanzo di Proust conferma che, in questo
caso, nel modello della variazione su tema – tramite cui
viene tradotta anche a livello strutturale la «ricerca» al
centro dell’opera: l’esplorazione degli aspetti essenziali di
esperienze come l’amore, o la vita mondana – è possibile
ravvisare il disegno di una forma, la cui funzione è quella

213
A ta l e pr op os it o , ap p ar e e l o qu e nt e i l p as s ag g i o in c u i , c om m ent an d o
l ’e p is od i o de l l a ma d el e in e, i l n ar r at or e c o nf es s a c h e: «( …) c om e i n q u e l
g ioc o, c h e p iac e a i g i ap p on es i, d i b ut tar e i n u n a c i ot o la d i p or c e ll a na
p ie n a d ’ac q ua de i pe z ze t t in i d i c a r t a a t ut t a pr im a in d ef i n ib i l i c h e, n o n
ap p en a im m er s i , s i s t i r an o , as s um on o c o n to r n i e c o lor i , s i d if f er e n zi a n o
d i ve nt a nd o f i or i, c a s e , f ig ur e c o ns is t en t i r i c on os c i bi l i , c os ì , or a, tut t i i
f ior i d e l n os tr o g i ar d i no e q ue l l i d e l p ar c o di c as a S wa nn , e le ni nf e e
de l l a V i v on n e, e l a br a va g e nt e d el v il l a gg i o e l e l or o p ic c o le a b it a zi o n i e
l a c h i es a e t u tt a Com br a y e la c am pa g na c ir c os t an t e, t ut to q u es t o c he
s ta pr e nd e n do f or m a e s o l id i tà è us c i t o, c i t tà e gi ar d in i , d al l a m i a ta z za
d i tè » . M . Pr o us t , D a ll a p ar t e d i S wa n n, in a l l a R ic er c a de l t e mp o p er d u to
I, tr ad . i t. d i G . R a bo n i , Mo n da d or i, Mi l a no 1 98 3 , p. 5 9 .

128
di servire unicamente alla comprensione del tema
specifico per cui è stata ideata 214.
Nella Ricerca, il principio delle variazioni si traduce in una
forma in grado di sostenere delle scoperte che sono valide
solo al di qua dell’universo specificatamente proustiano, il
quale – come tutti quelli generati dall’arte – si configura
come universo autosufficiente, che basta a se stesso: non
prevede, cioè, il bisogno di alcun supporto esterno per
agevolarne la comprensione e al tempo stesso rende
impossibile la sua traduzione al di là dell’impianto formale
tramite cui è stato organizzato.
Ciò risponde alla funzione catartica dell’arte, che secondo
il filosofo Castoriadis coincide essenzialmente con il suo
potere demiurgico: quello di istituire, mediante
l’invenzione di una forma, un universo compatto e che
basti a se stesso 215.
In questa possibilità, spiega ancora Castoriadis,
consisterebbe anche la funzione mimetica dell’arte;
secondo il filosofo, essa non coinciderebbe con una
semplice capacità imitativa (la cui soddisfazione, secondo
il filosofo, potrebbe rappresentare solo il fine di un’arte
mediocre) ma con l’esercizio di una «vis formandi» 216 (una

214
Com e i l lus tr a i l s u o s i g n if ic at o e t im ol o g ic o , n e l l ’ar te i l c o m pito
s pec if ic o d i u n a «f or m a» è «c o nt e ner e » c i ò c h e no n s ar e bb e p os s ib i l e
es pr im er e a ltr im en ti . Cf r . no t a 68 .
215
P er m ag g i or i ap pr of o nd im en t i, s i r im an da a l la no ta 18 0.
216
Cf r . C. C as tor i a dis : «L a s ol a m im es is c h e c i s i a ne l l ’ ar t e – s e no n
par l i am o d e g l i e lem e nt i m at er i a li e s ec o n dar i , c i r it or n er ò – è q u el l a

129
tensione alla forma) simile a quella che agita normalmente
gli esseri umani.
L’esempio della Ricerca e il confronto con i tentativi di
estrapolarne una “filosofia” permettono di anticipare
qualche conclusione al problema della differenza che il
modello delle variazioni assume a seconda che sia
impiegato nel romanzo o in filosofia; si è visto infatti che,
mentre nel primo caso viene elaborato in quanto forma,
nel secondo è inteso come metodo.
Tuttavia, al fine di comprendere più approfonditamente
questa differenza, come già a proposito dell’indagine sulla
forma variazione in musica, può essere opportuno partire
da un esame del significato che, rispetto al cosiddetto
contenuto, assume più in generale il concetto di forma nei
due casi.

de l l ’ es s er e in g en er a l e: c os ì c om e l ’es s er e è v is f or m an d i, a ll o s tes s o
m odo l ’ ar te è v is for m an d i ( … ) . I n un gr a n d e r om an zo , c om e A l l a r ic er c a
de l t em p o pe r d ut o o L ’E d uc a zi o ne s e n ti m e nt a le , p er c as o l ’ ar t e im it a la
v it a ? È i l m at er ia l e c h e è pr es o da l l a v it a, c os ì c om e s i pr e nd o no i c o lor i
per r ea l i z za r e u n q ua dr o . Q u i n o n s i tr a tt a di im ita zi o n e . S i tr at t a d el l a
c r ea zi o n e d i un a f o r m a ( …) » . T r a d. n os tr a. ( «L a s e ul e m i mès is q u ’i l a it
da ns l ’ ar t – s i o n ne par l e p as d ’ é l ém ents m atér ie ls et s ec o nd a ir es , j ’ y
r e v ie n dr a i - , c ’ es t c e ll e d e l ’ ê tr e e n gé nér a l: c om m e l’ êt r e es t v is
for m an d i, d e m êm e l ’ ar t es t v is f or m an d i.( …) . D ans u n gr an d r om an,
d is o ns À la r ec her c h e du te m ps p er d u o u L ’É duc at i o n s e nt i m en t al e, es t-
c e qu e l ’ ar t im it e la v i e ? C ’es t l e m at ér ia u qu i es t t ir é d e l a v i e, c om m e
on pr e nd d es c o u le ur s p our f a ir e u n t ab l e a u. I l n ’ y a pas d ’ im it a ti o n l à-
de d ans . Il y c r é a ti o n d ’ un e f or m e ( …) » ) . C it . d a: C . C as t or i ad is , F en ê tr e
s ur l e c h aos , c i t. , pp . 13 6- 1 37 .

130
2.3 Metodo versus forma

Ne La Connaissance de l’écrivain 217, Bouveresse distingue


il tipo di conoscenza comunicato dalla scienza da quello
dispensato dalla letteratura, sulla base del modo in cui,
nei due ambiti, si definisce il rapporto tra la forma e il
contenuto. Bouveresse parte dal presupposto che, dal
momento in cui ogni scelta formale riflette sempre
un’inclinazione soggettiva, il fatto che una determinata
«verità» risulti sostanzialmente invariata, a seconda della
particolare struttura formale scelta per veicolarla, sarebbe
indice della sua oggettività.
Così, nel caso dei trattati scientifici, caratterizzati da una
massima tensione all’oggettività, «l’allentamento dei
legami tra il contenuto e la forma sembra raggiungere il
suo apice: per un unico e solo contenuto, è possibile una
moltitudine di forme diverse ed equivalenti» 218; per
Bouveresse, ne consegue che: «Ciò che caratterizza le
verità della scienza (…) sembra essere di possedere il

217
Per i r if er im en t i b i b li o gr af ic i, v d. n ot a 18 9 . R i gu ar do i l dis c or s o
og g et to d el pr es e n te par a gr af o, s i c o nf r o nt i s opr at t ut to i l c a p i to l o 9 ,
L ’I ns é p ar ab i l it é d u c o nt e nu e t d e l a fo r m e r om a nes q u e, p p. 64- 7 1 .
218
T r ad . n os tr a. «( … ) l e r e l âc h em en t d es l i ens en tr e l e c o nt e nu et l a
f or m e s em ble a tt e in dr e s o n m ax im um : p our un s e u l e t m êm e c o nt e nu ,
un e m ul t it ud e de f or m es d if f ér en tes e t é q ui v a le nt es s on t p os s i b le s ». I vi ,
p. 6 8 .

131
grado più elevato di indipendenza in rapporto alla forma
che può essere scelta per esprimerlo» 219.
Al contrario, la letteratura sembra caratterizzata dal
massimo grado di interdipendenza tra forma e contenuto;
continua Bouveresse:

«se si pone l’indipendenza del contenut o in rapporto


al modo di espr essione e alla f orma come condizione
necessaria dell’oggettività, è dif f icile rit enere i testi
letterar i capaci di esprimer e e di comunicare dei
contenuti obiettivi, nel senso stretto del termine. Per
trasmettere il sapere e la conoscenza ( obiettivi), la
letteratura dovr ebbe avere un contenuto separ abile,
cosa che in realt à non è» 220.

A differenza delle scienze, nelle arti letterarie, e in


particolar modo in quella del romanzo – la cui
sopravvivenza sembra proprio legata alla sua capacità di
sperimentazione formale –, ciascuna delle conquiste
conseguite su aspetti sconosciuti dell’esistenza (che ne
costituiscono, in genere, i temi) è indissociabile dalla
particolare composizione formale messa a punto per

219
«L e pr o pr e d es v ér i t és d e la s c i enc e s em b le êtr e ( …) d e p os s é der l e
de gr é l e p l us é le v é d ’ i nd é pe n da nc e par r a p por t à l a f or m e q u i p e ut ê tr e
c ho is i e p our les ex pr i m er ». Ib .
220
«s i o n f ai t de l’ i n d ép e nd a nc e d u c o nt e nu p ar r a pp or ta a u m ode
d ’ex pr es s io n et à la f o r m e un e c o nd i t io n n éc es s a ir e d e l ’ obj ec t i v it é , i l es t
d if f ic i l e d e c o ns i d ér er les t es t e l i tt ér a ir es c om m e c apa b l es d ’ex pr im er et
de c om m uni qu er d es c on t en us obj ec t i v es , au s e ns s tr ic t d u t er m e. P o ur
tr a ns m ettr e le s a v oi r et la c o nn a is s anc e ( o bj ec t if s ) , l a li tt ér at ur e de vr a it
a vo ir u n c o n te n u s ép a r ab l e, c e q ui n’ es t pas l e c as ». I b .

132
realizzarla. La particolare conoscenza restituita dal
romanzo non si evince da sentenze o illazioni espresse
esplicitamente, dal momento che ciascuna delle sue
asserzioni, quale che sia la prospettiva secondo la quale
viene modulata (si è visto che, nel caso di un romanzo, il
punto di vista di un autore non gode di una maggiore
attendibilità rispetto a quello dei personaggi) va
interpretata sotto il segno dell’atmosfera ludica e relativa
che contraddistingue quest’arte; dunque, la saggezza del
romanzo non va ricercata in un particolare messaggio, che
sia in qualche modo veicolato all’ambito del cosiddetto
contenuto. Al contrario, essa risulta dalla comprensione
dei rapporti ironici 221 in base a cui è organizzata la
composizione formale: il punto di vista decisivo,
l’apprendimento infine conseguito dal lettore sul tema
affrontato, non risulta dall’assimilazione di una qualsiasi
delle opinioni espresse al riguardo nel romanzo, ma
dall’astrazione che il lettore compie dell’insieme dei punti
di vista, diversi e spesso contraddittori, che ne animano la
struttura 222.

221
A t it o l o d i es em p io , r ic or d i am o c h e, n ei T es t a me nt i tr ad i ti , Ku n der a
s p ie g a i n c h e c os a c ons is te l ’ ir o n i a d el l a f or m a ne i r om an zi : « L ’ir o n ia
im pl ic a: n es s u n a d e l l e af f er m a zi on i c o nt en u t e in u n r om an zo p u ò es s er e
pr es a is o l at am en te , p o ic h é c ias c u na è i ns e r it a in u na s er ie d i c o nf r o nt i
c om pl es s i e c o nt r a d di tt or i c o n a ltr e af f er m a zi o n i, a lt r e s i tu a zi o n i, a l tr i
ges t i, a ltr e id e e, a ltr i e ve nt i ». M . K u nd er a, I T es ta m en t i tr a di t i, c it ., p.
19 5 .
222
R ig u ar do a q ues to p u nt o, l a n os tr a p os i zi o n e s i dis t an zi a d a q u el l a d i
B ou v er es s e , per i l q ua l e i l va l or e a g gi u nt o c o nf er i to d a ll a f or m a al l a
c on os c en za tr as m es s a d al r om an zo n on r i gu ar da t a nt o l a s ua

133
Mentre nelle discipline scientifiche – come in tutte le
branche del sapere animate da una tensione dimostrativa
– a ciascuna delle scoperte conseguite può corrispondere
una quantità di modalità espressive possibili, nella
letteratura, e in particolar modo nel romanzo, tra la forma
e il tema il rapporto è necessariamente biunivoco.
Diversamente dal romanzo, la filosofia è caratterizzata da
una natura sistematica 223, dal momento che, al pari delle
scienze, persegue la conoscenza di verità obiettive. Le
strutture che vengono messe in atto al fine di definire i
concetti filosofici essenziali non si configurano come
forme (cioè come componenti il suddetto contenuto), ma
come metodi di ricerca, la cui adozione dell’uno o
dell’altro non influisce sulla stessa esistenza di quei
concetti al centro dell’indagine.
La differenza tra l’attitudine alla composizione e quella
alla ricerca di un metodo, che separa il romanziere dal

or g a n i z za zi o n e , im pr o nt at a a l pr i nc i p io de l ’ i r on i a, qu a nt o il f a tt o c he ne i
r om an zi , i m es s ag g i m or al i n on v e n go n o c om un ic a t i di r e tt am en te m a
s em pr e c onc r et i z za t i in f or m a nar r a t i va , c os ì r i v ol g e nd os i n on s o l o
a ll ’ i nt e l le tt o m a a nc h e a l l a s ens i b i li t à d ei le t tor i ( c f r . n ot a 1 90) .
223
La na t ur a es s en z i alm e nt e s is t em atic a de l l a f i l os of ia è s ta ta
r ic on os c i ut a da m olt i s tu d ios i , t r a c u i l o s te s s o B ou v er es s e , i l qu a le h a
de d ic at o i c or s i a l C o l l èg e de F r a nc e d e g li an n i ac c a d em ic i 20 0 6/ 20 0 7 e
20 0 7/ 2 00 8 a l t em a: C he c os ’è un s is t em a f i los o fic o ? ( Q u ’e s t- c e q u ’u n
s y s tè m e p h i los o ph i q u e ?) . I n p ar t ic o l ar e, B ou v er es s e s v i l up p a le te or ie
d i J u l es Vu i l l em in ( au t or e d i: W h at ar e Ph i l os o p h ic a l Sy s te ms ?,
Cam br id g e U n i v er s i t y Pr es s , C am br i dg e 19 8 6) , p er i l qu a le l a f il o s of i a e
l a s c i en za s i c o nf i gur an o c om e d is c i pl i n e a voc a zi o n e s is t em atic a p er l a
r ag i o ne c h e e nt r am b e c er c an o l a v er it à . L a d if f er e n za t r a l e du e
c ons is ter e b be , i n v ec e , n e l f at to c he s o l o l a f il os of ia ac c og l i e tr a i s u o i
i nt er es s i la c ons i d er a zi o n e d e l l’ o nt o lo g i a, r ag i o n pe r c u i pr es u p p on e i n
m is ur a m agg i or e r is pe tt o a l la s c ie n za l a pos s i bi l i tà d e l c o ntr a dd i tt or io .

134
filosofo, può risultare, ad esempio, con particolare
evidenza, dalla considerazione di un filosofo tra i più
sistematici dell’età moderna, come Edmund Husserl 224, il
quale si avvale proprio della variazione come di un metodo
per conseguire la «visione d’essenza» 225
(Wesenserschauung).
Un esame del concetto husserliano di variazione può
contribuire ulteriormente a chiarire la differenza del modo
in cui, nella filosofia e nel romanzo, è impiegato questo
stesso principio; riflessione che, a sua volta, è funzionale
alla comprensione del tipo di conoscenza a cui dà accesso
il romanzo, in quanto forma del discorso prettamente
artistica, rispetto a quella che viene invece sviluppata da
una disciplina come la filosofia.
Nella terza sezione di Esperienza e giudizio (1939),
Husserl scrive che, a partire da un insieme circoscritto di
fenomeni, è possibile risalire all’essenza (eidos) – intesa
come «ciò senza di cui non si potrebbe pensare un
oggetto di questa specie, senza di cui, cioè, esso non

224
Cf r . B o u ver es s e: «F i l os of i c om e D es c ar t es , K an t e H us s er l s o no c er t o
s ta t i p er s u as i n e l la l or o e p oc a d i a v er tr o va t o f i na lm en t e i l m etod o
f il os of ic o ap pr o pr ia to c he a vr e b be r es o le q ues t io n i f i los of ic h e d e c i di b i l i
i n pr inc i p io ( ….) ». T r ad . n os tr a ( « Des ph i l os o p hes c om m e Des c ar t es ,
K an t e t H us s er l o n t c er t es ét é p er s u ad és en l e ur t em ps d ’a v o ir tr o u v é
enf in la m éth o de p h i l os o p hi q ue ap pr opr i é e qu i r e n dr ai t l es q u es t i ons
ph i l os o p h iq u es déc i da b les e n pr inc i pe ( …) » . C it . d a J . Bo u v er es s e, C he
c os ’è un s is te m a f i los of ic o ? , t it o lo d e l c or s o s v o lt o a l Co l l è ge de F r a nc e
dur a nt e l ’ a. a 2 0 06 /2 0 0 7, r e p er ib i l e s u l s i to : ww w.c o ll e ge - d e- f r a nc e .f r
225
Hus s er l tr at t a i l pr i n c i pi o d e l la v ar ia zi o n e ne l s ec on d o c a p it o lo de l la
ter za s e zi o n e d i Es per i e n za e g i u di zi o ( c it .) : « Le u niv er s a l it à p ur e
ot te n ut e m ed i a nt e i l m et o do d e l la v is io n e d ’e s s en za » , p p . 82 5- 8 9 7 .

135
potrebbe essere fantasticato intuitivamente come tale» 226 –
mediante l’operazione della Variazione (Variation), che
consiste nell’immaginare una sequela di varianti
(varianten) di tale oggetto (ad esempio, procedendo dal
confronto delle possibili varietà del rosso, è possibile
cogliere intuitivamente l’essenza di questo colore).
Tutte le varianti ipotizzate, continua Husserl, vanno inoltre
tenute presenti nel loro insieme, come «molteplicità in un
processo aperto» 227, ovvero come valide nella loro
simultaneità e potenzialmente sviluppabili ad libitum: solo
in quest’ottica, diviene possibile estrarre l’angolo di
coincidenza di tutte le varianti immaginabili e ricavarne
l’eidos, l’idea primigenia 228.
Si è visto che, nella musica, l’approfondimento che le
variazioni conseguono del tema può riguardare solo la sua
natura prettamente materiale (la sua natura fonica), dal
momento che, nel caso di quest’arte, non è possibile
distinguere la forma dal contenuto; da un primo esame
della variazione husserliana appare chiaro che, invece, in
questo esempio di applicazione alla filosofia del medesimo
principio, la struttura a variazioni viene impiegata come
modello cognitivo la cui adozione è funzionale allo studio
di un tema (l’eidos) che esiste a priori, che non dipende

226
E . Hus s er l, Es p er i en z a e G i u d i zi o , c it ., p. 8 33 .
227
I v i, p . 8 39 .
228
A l pr oc es s o di f or m azi o n e de l l e v ar ia n ti d es c r it to d a Hus s er l s i è g ià
ac c e n na t o ne l l ’I n tr o d u zi o n e. I n p ar t ic o l ar e , s i c o nf r o nt i l a n ot a 1 5.

136
cioè dalle variazioni stesse, qui assunte semplicemente
come metodo di ricerca, e non come struttura che forma il
tema.
A proposito del Libro del riso e dell’oblio, Kvetoslav
Chvatik osserva che, in questo romanzo, l’elaborazione
del modello compositivo della variazione sembra ispirato
non solo alla musica di Beethoven (cui nel romanzo viene
fatto esplicito riferimento) o a quella di Schönberg 229, ma
anche all’impiego, finalizzato ad uno studio di tipo
fenomenologico, che ne fa Husserl 230.
L’interesse nutrito da Kundera – fin dalla prima
giovinezza 231 – per la fenomenologia influenza anche la
sua poetica, come risulta fin dalle prime pagine dell’Arte

229
I l m ode l l o s c h ö nb er gh i a no è d ic h iar at o da l l o s t es s o K un d er a . Ne l
Di a l og o s ul l ’a r t e de l l a c om p os i zi o ne , il r om an zi e r e s p i eg a : « Un t em a è
un i nt er r o ga t i vo es is t en zi a l e . E s em pr e p i ù m i r en do c o nt o c h e un ta l e
i nt er r og at i v o è , in def i n it i v a, l ’es am e d i p ar o l e p ar t ic o lar i , d i par o l e- t em a.
Il c h e m i p or t a a i ns i s ter e: i l r om an zo è f o nd a to i nn a n zi t ut to s u a lc u n e
par o l e f on d am ent a l i. È c om e la ‘s er ie de l l e no t È i n Sc h ö nb er g. N e l L i br o
de l r is o e de l l ’o b l i o, l a ‘s er ie ’ è la s eg u en t e: l’ o b li o , i l r is o, gl i a ng e l i, la
lÍ t os t, l a f r on ti er a. Q u es t e c i nq u e p ar ol e pr i nc i p a li , n e l c or s o d el
r om an zo , s on o a na l i z za t e, s t ud i at e, d ef i n it e, r i def i ni t e, e tr as f o r m ate
c os ì i n c a te g or ie d e l l ’ es is t en za . I l r om a n zo è c os tr u i to s u q u es t e p oc h e
c at e gor i e, c om e un a c as a s u de i p i l as tr i ». Ci t. da M . K u nd er a, Di a l og o
s u ll ’a r t e d e l la c om pos i zi o n e, ne L ’A r te de l r o ma n zo , c it ., p . 1 24 .
230
Cf r . K . Ch v a tik , I l Mo nd o r o m an ze s c o d i Mi l an Ku n d er a , c i t. , p. 1 1 9.
231
I l pr im o i nc o n tr o d i K un d er a c o n l a f en om eno l o gi a a v v i e ne g ià a l l ’e t à
d i d ic i ot to a nn i , a ttr a v er s o l e pa g i ne d el l a r i v is t a c ec a « L is t y» , c he n e l
19 4 7 r ip or tò l a l e zi on e i na u gur a l e t e nu t a d a He i d eg g er n e l 19 2 9
a ll ’ u ni v er s i tà d i F r i bu r go ( d a l t i to l o C h e c os ’è l a me ta f is ic a) . Cf r . K.
Ch v at ik , I l Mo n d o r o m an ze s c o d i Mi l a n K u n d er a , c i t. , p. 22 .

137
del romanzo 232, vero e proprio saggio di «confessione
estetica» 233.
Da Husserl, in particolare, Kundera ricava la nozione di
umanità europea, dal filosofo intesa come una comunità
spirituale la cui estensione trascende i confini dell’Europa
geografica e la cui identità è fondata sul tentativo di
interrogare il mondo nel suo insieme (concependolo come
mistero da risolvere), sulla scia della filosofia greca
classica; nozione a partire dalla quale Kundera sviluppa la
sua personale concezione di romanzo europeo:

«Quando dico ‘romanzo europeo’ intendo usare


l’aggettivo in senso husserliano: non come una
determinazione geograf ica, ma ‘spir itualÈ, che
ingloba anche l’America o, per esempio, Israele. Ciò
che chiamo romanzo europeo è una stor ia che va da
Cer vantes a Faulkner» 234.

232
La pr im a pa r t e d e l s ag g i o ( « L a d e n igr a ta er e d it à d i C er v an t es » , p p.
15- 3 8) s i a pr e c o n un r if er im en to a l le c o nf e r en ze c he H us s er l te n ne n e l
19 3 5, in a lc u ne c a p i ta l i e ur o p e e, s u l l a c r is i d e ll ’ um an it à e ur op e a.
233
Ku n der a q u a l if ic a i n ta l m od o l e s ue du e pr im e r ac c o l te s a gg is tic h e
( L ’A r t e d e l r o ma n zo e I T es t a m en t i tr a d it i) n e ll ’ ar t ic o l o A b ât o ns r om p us ,
i n: « L ’ At e l ier d u r om a n» , n . 4, m agg i o 1 9 95 , p . 6 2.
234
M i la n K u nd er a, I l c i e l o s t e l l at o d el l ’E u r o p a c e ntr a l e, ar t ic o l o a pp ar s o
per l a pr im a v o l ta i n «T he Re v i e w of Co n te m por ar y F ic t i o n» ne l 18 9 8 e
po i r ac c o lt o e tr a do tt o da Mas s im o Ri z za n t e pe r i l num er o m on o gr af ic o
de d ic at o a K u nd er a d a ll a r i v is t a « R i ga » n . 20 , Mar c os y M ar c os , Mi l a no
20 0 2. D u nq u e, c o n la no zi o n e d i “ r om an zo eur op e o” , Ku n d er a i nt e nd e
r if er ir s i ad u n ’ar t e c he , di q u el l a par t i c o lar e at t it ud i n e c o n os c it i v a
er e d it a ta d a l la G r ec i a c l as s ic a , r ap pr es en ta i l c or r is pe tt i v o ar t is ti c o pi ù
im m ed ia to e c h e na s c e c on R ab e l ais , d un q ue « n el Su d d el l ’ E ur o p a
a ll ’ a lb a d e i T em pi Mo der n i » ( c f r . L ’A r te d e l r o m an zo , p. 2 0 6) , p er p oi
es t e nd er s i a nc h e a l G i ap p on e , a ll ’ Am er ic a d e l No r d e , s o pr a tt ut to a
par t ir e d a g l i a n n i s es s an t a, a nc h e a l l’ Am er ic a L a ti n a, i c u i a ut o r i p iù

138
Kundera ricava da Husserl anche l’interesse per il die
Lebenswelt, il mondo concreto della vita, il mondo delle
cose prima della loro cristallizzazione in concetti 235;
tuttavia, la differenza tra il filosofo e il romanziere, a
questo riguardo, consiste nel fatto che quest’ultimo non
concepisce l’universo dell’esistenza come idealità, ma lo
indaga alla luce delle storie vissute dai suoi personaggi –
non a caso, da Kundera considerati degli «io
sperimentali» 236 – e non affidandosi ad altro strumento che
all’immaginazione.
Riconoscendo le affinità esistenti tra la fenomenologia
filosofica e quella romanzesca, Kundera ribadisce la
necessità di comprendere in cosa esattamente si distingue
quest’ultima rispetto alla prima; ad esempio, a proposito
del suo rapporto con Heidegger, spiega:

«(…) Quindi io non sono un heideggeriano, ma ho


una simpat ia per l’opera di Heidegger e soprattutto
per Esser e e tempo: in quest’oper a Heidegger ha
rivolto in modo r adicale il pensier o f ilosof ico
all’esistenza, alle situazioni più concr ete, banali e

r ap pr es en ta t i v i ( c om e Sa lm an Rus h d ie o Pa tr ic k , l e c u i p oe t ic h e
pr es e nt a no d eg l i e l e m enti af f in i a q u e ll a k und er ia n a) p er K un d er a o gg i
r i es c o n o a d at t in g er e m egl i o d i a ltr i a l l a l inf a r a be l a is ia n a.
235
Cf r . a nc or a C h v at i k : «Com e H us s er l r it or na c o n la n o zi o ne d i
Le b ens w el t a l l e c os e an ter i or i a i c o nc et ti , il r om an zo e ur o p eo [ne l l a
ac c e zi o n e k un d er ia n a, n. d.r .] r it or n a a l la r e l at i v it à es s e n zi a l e d e l l e c os e
um ane , pr im a de l l a s pec ia l i z za zi o n e e in p ar te a nc h e pr im a
de l l ’ ac c ec am en to de l l e s i ng o l e s c i en ze ne i c o nf r o nt i d e l l ’ es s er e
de l l ’ uom o» . C it . d a Il Mo n do r o ma n ze s c o d i Mi l a n K u nd er a, p . 1 73 .
236
Cf r . L ’A r t e d e l r o ma n z o, c it. , p . 53 .

139
reali. Nessuno pr ima di lui aveva portato lo sviluppo
della f ilosof ia europea a un contatto così stretto con
la f ilosof ia e il romanzo. Perché il r omanzo, secondo
me, non è altro che un’esplorazione dell’esistenza
attraverso l’immaginazione poetica. ( Bisognerebbe
rif lettere sulla par ticolar ità della f enomenologia
romanzesca rispetto alla f enomenologia
237
f ilosof ica)» .

237
M i la n Ku n der a , E in K om m e nt ar zu Ka fk a, c it . d a K . C h va t ik , Il Mon d o
r o ma n ze s c o d i Mi l an K un d er a , p . 17 3. In u no d eg l i s c r it t i r ac c o lt i n e Lo
Sc r it t or e e i s u o i f a nt as mi , i l r om an zi e r e ar ge nt i n o Er nes to S ab at o
s em br a in d ir et tam en t e of f r ir e u n a r is p o s ta a ll ’ a pp e l lo l anc i at o d a
K un d er a a s o n dar e l a d if f er e n za tr a l a “ f en om en o lo g i a r om an z es c a” e
qu e l la pr e tt am en te f i los of ic a ; ne l t es to i n qu es ti o n e, i n ti t ol a to « I l
Ro m an zo t ot a le » e c he q u i r i p or t i am o in te gr a lm en t e, tr o va n o r i s c on tr o
anc h e l e os s er v a zi o n i d a no i pr ec ed e nt em ent e es pr es s e s u l la s p ec if ic it à
de l l a c o n os c e n za r i ve l at a d a l r om an zo , r is p et to a q u e l la s v i l up p at a d a l le
te or ie f i l os of ic h e: « L a f i l os of ia , d i per s é – s c r i v e S ab at o – n on p u ò
r ea l i z za r e l a s i n tes i un i tar i a d e l l ’u om o s c i s s o: pu ò s o l o c o n os c er la e
aus p ic ar la . M a p er l a s ua n at ur a c o nc ett u a le , n on pu ò f ar e a lt r o c h e
r ac c om a nd ar e, ap p un t o c o nc et tu a lm ent e , l a r ib e l l io n e c o ntr o i l c onc e tt o
s tes s o, t a nt o c h e, per s i n o l o s t es s o es is t en zi a l i s m o f in is c e p er
tr as f o r m ar s i in u na s or t a d i pa r a d os s a l e r a zi o n a l is m o. L ’ a ut e nt ic a
r i be l l i on e e l a ver a s i nt es i pu ò d et er m i n ar la s o l o q u el l ’ at t i vi t à d el l o
s p ir i t o c he n o n h a s e p ar a t o m ai l ’ i ns e p ar a b i l e: i l r om an zo . I l r om an zo per
l a s u a n at ur a i br i da , a m età s tr ad a f r a id e e e p as s i on i , er a d es ti n at o,
a lm eno n el l e s u e pi ù v as t e e c om pl es s e r ea l i z za zi o n i, a s us c i tar e la
r ea l e r ic om pos i zi o n e de l l ’ uom o s c is s o. Q u es t i s om m i r om an zi s on o l a
s i nt es i c u i l ’ es is t e n zi a l is m o f en om en o lo g ic o as p ir a. Né la pur a
og g et t i vi t à d e ll a s c i en za , né l a p ur a s o g ge tt i v it à d e l la r i b el l i o ne is ti n ti v a :
l a r e a lt à es pr es s a d a un i o, l a s i nt es i tr a l ’i o e i l m ond o , tr a l ’ i nc o ns c io e
l a c os c i en za , tr a la s ens i b i li t à e l a r ag i o ne . T ut to q ues t o è po t ut o
ac c a d er e p er c h é il r o m an zo s i è t o lt o d i do s s o t u tt i i pr eg i ud i zi s c i en t is t i
c he h an n o p es a t o s u a lc u n i s c r i tt or i de l s ec o lo s c or s o , r ius c e nd o c os ì a
r ap pr es en ta r e i l m ond o es t er no e le s tr ut tu r e r a zi o n a li , a d es c r i v er e il
m ondo i nt er i or e e l’ i nc o ns c i o pr of o nd o de l ’es s er e um an o , as s o r be n d o
c am pi c h e in p as s a t o ap p ar t e ne v a no a l l a m agi a e al l a m it o lo g ia . I n
ge n er al e , i l s uo o bi e tt i v o er a d i c o pr i r e l a d is ta n za c h e s e p a r a u n
s em pl ic e doc um en to d a q ue l c h e s i p u ò c h ia m ar e u n ‘ p oem a m et af is ic o ’ .
Da l l a Sc i e n za a l l a Po es ia . D o po t ut to , s i tr at ta d i r i pr e n de r e l ’ i d ea d e i
r om ant ic i t e des c h i: l ’ ar t e è la s up r em a s i nt es i d e ll o s p ir i to . M a o gg i ,
s u ll a b as e d i u na el a b or a zi o n e pi ù c om p les s a, b is o gn er eb b e c h i a m ar la –

140
A tal fine, proprio l’esame del diverso modo in cui, nei
due contesti, è assunto il modello della variazione, può
risultare indicativo.
Una prima differenza tra la variazione di tipo filosofico e
quella romanzesca, rilevata alla luce del modo in cui, ad
esempio, questo modello viene interpretato
rispettivamente da Husserl e da Kundera, consiste nel
fatto che, nel primo caso, il presupposto per la ricerca del
tema – inteso come l’angolo di coincidenza di tutte le
varianti – è che queste siano concepite come sviluppabili
all’infinito. Al contrario, nell’arte della variazione
romanzesca, specialmente alla maniera in cui la realizza
Kundera – il quale assume questo principio letteralmente

s e n on f os s im o f r en a ti da l l a m agn i l o qu e n za de l l ’ es pr es s i on e –
“ ne or om an tic is m o f e n om eno l o g ic o” . P ens o c h e q ues ta d o ttr i na p os s a
r is ol v er e i di l em m i s u c u i s i è ar e n at a l a teor i a : r om an zo ps ic o lo g ic o
c on tr o r om an zo s oc i a le , r om an zo o g ge tt i v o c on tr o r om a n zo d i i de e.
Co nc e zi o ne i nt eg r a l is ta e c or r is p o nd e nt e i nt e gr a l is m o de l l e t ec n ic h e ».
Ci t. da Lo Sc r it tor e e i s u o i f an tas m i ( 1 97 9) , tr a d . i t. d i L . Da p el o ,
B ib l i ot ec a Me l t em i, pp . 2 0- 2 1 . D e l la s t es s a o p er a, s i c o ns i gl i a d i
c ons u lt ar e, a qu es to pr o pos i to , a nc h e il p ar . « R om a n zo e
fe n om e no l o gi a », p p. 71- 7 3. N. d. R. : Ma l gr ad o l a l u ng h e z za , n on
ab b i am o v ol u to tr as c u r ar e d i r ip or tar e i nt er a m ente l a c i t a zi o ne d i S ab at o ,
c he c i s em br a m ett e r e in l uc e u n p ar ad os s o im por t an te : o r m ai, la
f il os of i a p i ù a ut e nt ic a, i nt es a s ec on d o l ’ ac c e zi o n e s oc r a t ic a c om e
s ag g e z za d el l ’ i nc er t e z za – o v ve r o c om e f or m a di c o n os c en za c h e
s ar e b b e s ba g l i at o c er c ar e d i d ef i ni r e in t e o r i e o im pa r t ir e d ir et ta m ente ,
m a a c u i c i s i pu ò ac c os t ar e s o l o per v i e ob l i qu e – pu ò es s er e
c ons e gu i ta s o lo a l d i l à d e l la pr a t ic a f il os of i c a m oder n a e ne l l a f or m a del
r om an zo ; d if at t i, q ue s t’ u lt im o c e l e br a a l m as s im o gr a d o l o s tr um ent o
c on os c it i v o d a i s oc r a t ic i r i t en ut o i l p i ù ef f i c ac e : l’ ar te de l l ’ ir on i a . ( c f r .
anc h e, a pr o po s i t o di qu es t’ u lt im o d is c or s o , C he c os ’è l a f il os of i a a nt ic a
? ( 1 99 5) di P ie r r e Ha do t, t r a d. it . d i E. G io v an e l l i, Ei n a ud i , T or i n o 1 99 8 ,
i n p ar t ic o la r e i l Par . I I d e l C ap . I II : « I l n o n- s ap er e s oc r a t ic o e la c r it ic a
de l s a p er e s of is tic o », pp . 2 7- 3 1 .

141
come modello di composizione - 238, le variazioni sono
impiegate allo scopo di costituire una forma; quindi di
comprendere, nei limiti di un’architettura che risulti
massimamente concentrata, la molteplicità degli spunti
offerti dall’analisi di un determinato tema.
Ne risulta che, in questo caso, il limite delle variazioni non
si configura come il termine arbitrario di una sequenza che
si immagina poter essere sviluppata ad libitum; la sua
demarcazione risponde ad esigenze estetiche, come il
rispetto dei principi di simmetria della composizione (che
risultano funzionali alla messa a fuoco del tema centrale).
Ad esempio, nel caso di Kundera, la decisione di
strutturare il Libro del riso e dell’oblio proprio in sette
parti, corrispondenti ad altrettante variazioni dei temi alla
base dell’opera 239, non appare casuale ma sembra
riflettere un’ossessione estetica dell’autore.
Nel Dialogo sull’arte della composizione, ragionando sulla
sua scelta di suddividere quasi tutte le sue opere (romanzi
e saggi) in sette parti, Kundera spiega: «Se racconto tutto

238
Q u es t a pr ec is a zi o n e è o pp or t u n a a l f i ne d i d is t i n gu er e i c as i i n c u i
a lc u n i r om an zi e r i, c o m e Kun d er a, m a anc h e M ar c el Pr ous t, Da n i l o K iš , o
K en za b ur ō Ō e , ( tr a q ue l l i g i à m en zi on a ti ) , r av v is an o n e l la f or m a d el l a
v ar ia zi o n e s u t em a u n m ode l l o d i c om pos i zi o n e u n it ar i a, or ga n i c a ( a l l a
m ani er a d i B ee t ho v e n n e ll ’ o pus 11 1) d a a ltr i – c he es am i ner e m o più
a va n ti – i n c u i lo s t es s o pr inc i p io è as s u nt o i n v ec e c om e m ode ll o d i
d is gr e ga zi o n e d e l la m at er ia r om a n zes c a, c om e i l l us tr an o L ’I m p i eg o d el
te m po d i M ic h e l B ut o r o S e u n a no tt e d ’i n v er n o u n v ia g gi a tor e d i I ta l o
Ca l v i no , b as at i s u u na s tr u tt ur a s e r i a l e ( ne l c as o d i Bu to r , m utua ta
d ir e tt am en te d a Sc h ö n ber g) .
239
P er u n a d es c r i zi o ne s in te t ic a de l l a s tr utt ur a d i q ues to par t ic o l ar e
r om an zo s i r im an d a a l l ’I n tr o d u zi o n e.

142
questo, è per dire che non si tratta né di un mio civettare
superstizioso con un numero magico, né di un calcolo
razionale, ma di un imperativo profondo, inconscio,
incomprensibile, di un archetipo della forma al quale non
posso sottrarmi. I miei romanzi sono varianti della stessa
architettura fondata sul numero sette» 240.
Il rispetto di questa cifra formale non risponde ad un vezzo
manierista dell’autore; al contrario, suggella l’originalità
del suo universo romanzesco, il cui impianto formale non è
desunto passivamente dalla tradizione ma è il prodotto

240
M. Ku n der a , D i al o go s ul l ’a r t e de l l a c o m p os i zi o ne ,c it ., p. 1 26 . Ci è
par s o u t il e r ip or tar e qu es to p as s o a nc h e per c h é d im os tr a f i n o a q ua l e
l i ve l l o i l pr i nc ip i o d e ll a v ar ia zi o n e s ia c on n at ur at o a l la po et ic a d i q u es t o
r om an zi e r e . A s os t e gn o d i t a l e ip ot es i, F r a nç o is R ic a r d s c r i v e c he
l ’ ins i em e d e i r om a n zi d i Ku n der a p otr eb b e e s s er e c o ns id er at o « un a s u i t e
d i var i a zi o n i al l ’ i nt er no d e ll a s tes s a r ic er c a, o m eg l io : d e l l a s tes s a
s c op er ta , i ns t anc a b il m ente pr os eg u it a , in s ta nc ab i lm en te r ic om i nc ia ta » .
A d u n ’i n ter pr et a zi o n e d i t ip o h e ge l i an o , c i o è bas at a s u un a c o nc e z i on e d i
ti p o e v o lu zi o n is t ic o , R ic ar d d ic h i ar a d i pr ef e r ir e l ’ im m agin e de l «c er c h i o »
per d es c r i v er e i l c om pl es s o d e ll ’ o per a k u nd e r i an a, i n c u i, s c r i v e i l c r it ic o:
«c am b iar e l o s t i l e, pas s ar e da u n c ic lo a l l ’a l tr o , no n eq u i v al e
nec es s ar iam en t e a d a nd ar e p i ù l o nt a no o p i ù i n a l to d i pr im a, l a s c i ar e
qu e l te r r i t or io p er u n a ltr o p i ù v as t o; al c on tr ar io , eq u i v a le a r es t ar e
s em pr e n el t er r it or i o c he s i è s c e l t o d i a b i tar e, m a a b it ar lo in u n a ltr o
m odo, m od if ic ar e le pr o pr i e p os t a zi o n i d ’os s er v a zi o n i, m uo v er s i i n
d ir e zi o n i n uo v e, a l f i ne d i c o nos c er l o m eg l io e d i tr o v ar c is i a n c or p i ù
c om e a c as a pr o pr i a» . T r ad . n os tr a ( «c h a n ger d e m an i èr e, p as s er d ’u n
c yc l e à l ’a utr e , c e n’ e s t p as n éc es s a ir em en t a l ler p lus l o in ou p l us h a ut
qu ’ a v an t, q u it te r c e t er r it o ir e po ur c et au t r e p lus vas t e; a u c o ntr a ir e,
c ’ es t r es t er t ouj o ur s da ns le t er r i to ir e q u e l’ o n a c ho is i d ’ h ab i te r , m ais
l ’h a b it er au tr em ent , m od if ier s es p os t es d ’o bs er v a ti o n, s ’ y m o u vo i r d ans
des d ir ec t i ons no u v e l l es , af i n d e m ie ux l e c on n aî tr e e t d ’ y ê tr e enc or e
p lus c h e z s o i ») . L a s er ie d ei r om an zi k u nd er i an i , a p ar t ir e d a qu e l lo
d ’es or d io ( L o Sc h er zo ) , f i n o a ll ’ u lt im o, s c r i tt o i n f r a nc es e , ( L ’I g nor an za ) ,
s em br a d un q ue pr es e nt ar s i c om e u n ’ op er a un ic a, t e nu t a ins i em e da u n a
s er ie d i m oti v i , c h e s i r ic hi am an o d a r om an z o a r om an zo e c or r is p on d on o
a q u ei po c h i t em i a l c en tr o d el l ’ i nd a g in e per s o na l e d e l l ’a ut or e; al l o
s tes s o m od o , i pr ot a go n is t i d e i d i ve r s i r o m an zi d i K u nd er a po t r eb b er o
es s er e c o ns id er at i i m o lt ep l ic i v o lt i ( l e m o lt ep l ic i v ar i a zi o n i) d i u n un ic o
per s o n ag g io , o m eg li o d i u n un ic o c o d ic e es is t e n zi a l e ( s ec o nd o l a
c onc e zi o n e k u n der i an a d el per s o na g g io) .

143
dell’invenzione personale dell’autore, allo stesso modo dei
temi.
Un’altra differenza tra i due tipi di variazione, husserliana
e kunderiana, consiste nel fatto che, nel primo caso, le
varianti vengono sviluppate in base ad un principio di
contiguità (nel senso di affinità logica); ciò al fine di
permettere un’identificazione, che si riveli la più obiettiva
possibile del loro comune denominatore, che abbiamo
definito come eidos, l’essenza ideale.
Le variazioni di un romanzo, invece, rispondono
unicamente ad un criterio di affinità poetica e il loro
accostamento, piuttosto che ad un principio di contiguità si
rifanno a quello di contrasto ironico (relativo alla morale
ambigua che caratterizza il romanzo).
Per illustrare questo meccanismo, consideriamo ancora
una volta, a titolo di esempio, il Libro del riso e dell’oblio.
La scelta di ritornare più volte su quest’opera per mettere
in luce il modo in cui il principio compositivo della
variazione può essere tradotto in ambito romanzesco ci
appare giustificata dall’estrema chiarezza in cui, in questo
libro in particolare, è organizzato questo modello; una
chiarezza probabilmente dovuta alla grande
consapevolezza che ne dimostra l’autore 241.

241
Ric or d i am o c h e, n e l c or s o d e l r om a n zo , v ie ne es p lic i tam e nt e p r ec is at o
c he : «T ut to q u es t o è un r om an zo i n f or m a d i var i a zi o n i . L e d i v er s e par t i
s i s us s e gu o no c om e le di v er s e t ap p e d i un v ia g gi o c he c i c on d uc e
a ll ’ i nt er no di un t em a, a l l ’ in ter n o d i u n pe ns i er o , a l l ’i n ter n o d i u na s o la e

144
Ad ogni modo, la disposizione delle variazioni in base al
principio dell’ironia non sembra essere una caratteristica
esclusiva di questo romanzo, ma ci pare possa essere
considerata connaturata alla maniera in cui i romanzieri, in
generale, elaborano questo principio di composizione,
secondo la “morale ironica” tipica di quest’arte.
Ricordiamo che anche l’esame delle variazioni alla base
della Ricerca del tempo perduto rivela spesso un effetto di
contrasto, ravvisabile, ad esempio, tra le diverse
apparizioni di uno stesso personaggio 242: da Proust questo
principio è spesso adoperato per mettere in rilievo le
contraddizioni insite nei suoi personaggi, le quali rivelano
il dissidio esistente tra l’apparente adeguamento ai valori
consolidati della società e la realtà dei comportamenti
umani; ad esempio, può capitare di leggere, nella Ricerca,
di personaggi, in un primo momento presentati come
modello di cortesia e sensibilità e successivamente
mostrati in atteggiamenti volgari – come l’amico del
narratore, Robert Saint-Loup, che lo costringe in più

un ic a s it u a zi o ne ( …) ». ( M. K un d er a, I l L ibr o de l r is o e d el l ’o b l i o, c i t. , p.
20 1) .
242
Cf r . c iò c h e s c r i v e a qu es to pr o pos i to G u y Sc ar p e tt a i n un s a g gi o s u l la
Le n te z za ( r om an zo d i M il a n Ku n d er a p ub b l ic at o ne l 1 99 5) : « Ch e c os a h a
i n ve nt a to K u nd er a? L ’us o d i c or r e l a zi o n i a dis t an za , n o n pi ù s ol o
m us ic a l i, tem at ic h e e des t in a te a or ga n i z z ar e l ’ u ni t à s o tt er r a ne a d i u n
r ac c o n to in s up er f ic i e f r am m entar i o ( c os a c he , a d es em pi o, s ia K iš c h e
V ar g as L l os a ha n no pi ù v o lt e u ti l i z za t o n e i l or o r om an zi ) , m a anc or a p iù
s pec if ic a tam e nt e ir on ic he ( c om e s e ne pos s o no tr o v ar e a l l o s ta t o
d ’a b bo z zo n e l l’ o pe r a d i Pr ous t) , i n gr ad o d i s ug g er ir e un a c om p lic i tà
f on dam en t al e ( e s e gr et a) tr a tu tt o c i ò c h e ap p ar en tem en t e s em br er eb b e
pr i vo di pos s i b i li t à as s oc ia t i ve ». Ci t. da G . Sc ar p et ta , D iv e r t i me nt o à la
fr a nç ais e , i n «R i g a» n . 2 0, c it ., p . 2 90 .

145
occasioni ad una riconsiderazione del valore dell’amicizia,
o la stessa Albertine che a ogni incontro «era diversa, così
come è diversa ogni apparizione d’una danzatrice i cui
colori, la cui forma, il cui carattere sono trasmutati dai
giochi innumerevolmente cangianti d’un proiettore
luminoso» 243.
Nel Libro del riso e dell’oblio l’individuazione dei contrasti
ironici è ulteriormente facilitata dall’organizzazione del
romanzo in sette parti distinte.
Nella prima, «Le lettere perdute», viene declinato uno dei
nuclei tematici del romanzo – il conflitto tra la memoria e
l’oblio –, attraverso il racconto della storia d’amore tra
Zdena e Mirek, di cui anni dopo quest’ultimo desidera
dissipare ogni traccia per cancellare il ricordo di un
passato che non avverte più in linea con il suo presente.
All’atmosfera malinconica che pervade questa prima parte
si contrappone quella, decisamente più ludica, della
seconda (intitolata «La mamma»), che descrive la storia di
un ménage à trois; in questo episodio, il tema del ricordo
si concretizza nella rievocazione di una fantasia erotica
risalente all’infanzia del protagonista e alla questione del
conflitto tra memoria e oblio viene associata quella del
conflitto tra senso e non sense (in questa sede declinato
mediante l’indagine intorno al limite che separa passione e
routine).

243
M. Pr ous t, A ll ’O m br a de l l e fa nc i ul l e i n f i or e , c i t. , p. 62 7.

146
Nella terza parte (che rappresenta, allo stesso tempo, la
terza variazione dei temi al centro dell’opera), dal titolo
«Gli angeli», l’autore ritorna ad indagare il tema del
confine – sempre labile – tra senso e non senso; in questo
caso, esso viene declinato nella forma di una riflessione
sul significato del «riso» – a cui allude il titolo del
romanzo –, che per Kundera può tradursi nelle due
possibilità opposte del «riso degli angeli», espressione
con cui l’autore allude a quel tipo di ilarità che scaturisce
dall’abbandono del senso critico e dal conseguente
sentimento di totale armonia con l’essere (che, per
Kundera, definisce il male, sempre in agguato, del kitsch),
e del «riso del diavolo», ovvero il riso demistificatore,
ironico, che salva gli uomini dall’approvazione acritica
delle verità consolidate e spezza, dunque, la malia del
kitsch.
A riprova della coerenza interna dell’opera, la quarta parte
s’intitola come la prima («Le lettere perdute»); a
differenza del primo caso, però, in cui il protagonista
desidera recuperare le sue vecchie lettere d’amore al solo
scopo di bruciarle per liberarsi così di tutti i ricordi,
l’eroina della quarta parte, Tamina, cerca di ritrovare i
suoi diari per riuscire a ricostruirne il filo della sua vita; la
prima e la quarta parte, così contrapposte, mettono in
evidenza due aspetti diversi, ma entrambi connaturati
all’essenza dei ricordi, che a seconda dei casi possono
trasformarsi in prigioni che impediscono di evolvere

147
oppure nei tasselli insostituibili per la formazione della
propria identità.
La quinta parte, «Lítost» (termine ceco che designa uno
dei sentimenti più patetici che esistano: quello della rabbia
frustrata), ripropone la contrapposizione tra kitsch e
humour: a schierarsi contro l’umorismo, in questo caso, è
un gruppo di poeti, i quali additano il riso di tipo
irriverente, lo scherzo, come «nemico dell’amore e della
poesia» 244; attraverso l’illustrazione di questa dicotomia
vengono presentate i due diversi atteggiamenti nei
confronti del mondo, quello ironico e quello lirico, che per
Kundera sono rispettivamente alla base delle due arti,
quella del romanzo e quella della poesia.
Questa opposizione è ulteriormente sottolineata dal
contrasto rilevabile tra le due vicende d’amore raccontate
nella terza e nella quinta parte: nel primo caso, la
passione, tanto improvvisa quanto scevra da
romanticismo, nutrita dal personaggio del romanziere
Kundera nei confronti dell’amica R.; nel secondo, l’amore
di un giovane poeta per una donna di provincia: un amore
intriso di sentimentalismo e per questo a rischio di
sconfinare nella passione patetica della lítost.
Ad incrementare ancor di più il gioco delle coincidenze e
dei contrasti che sottende al Libro del riso e dell’oblio, la
sesta parte è intitolata come la terza («Gli angeli»); in

244
M. K un d er a , I l L ibr o d e l r is o e d e ll ’o b l i o, c it . , p. 1 7 8.

148
quest’unico caso, però, il problema dell’oblio viene svolto
secondo una modalità onirica, che fornisce ulteriori
prospettive da cui inquadrare il tema. Infine, la settima e
ultima parte («Il Confine») ritorna a sviscerare il motivo
della frontiera tra senso e non senso, stavolta
inquadrandolo attraverso il racconto delle avventure
erotiche del personaggio libertino Jan.
L’eterogeneità dei materiali che compongono Il Libro del
riso e dell’oblio viene organizzata attraverso una struttura
in cui il principio della variazione si combina con quello
contrappuntistico; in tal modo, l’opera prende la forma di
un complesso di motivi che si intersecano, fino a
convergere attorno ad un unico complesso tematico che
ne suggella l’organicità e il suo statuto di romanzo.
Commentando Il Libro del riso e dell’oblio, lo stesso
Kundera spiega che:

«Ciò che gli toglie l’appar enza di romanzo è


l’assenza di unit à d’azione. Si f atica a immaginare
un romanzo privo di tale unità (…). Eppure questo
pretesto, questa ‘scatola’, è necessaria perché il
romanzo venga per cepito come romanzo, o almeno
come una parodia di r omanzo. Io cr edo però che
quello che assicura la coerenza del r omanzo sia
qualcosa di più prof ondo: l’unità temat ica (…) Nel
Libr o del r iso e dell’oblio, la coerenza dell’insieme è
data unicamente dall’unità di alcuni tem i (e motivi),
con le loro variazioni. È un romanzo, questo? I o
credo di sì. Il romanzo è una meditazione

149
sull’esistenza vista attraverso personaggi
immaginar i» 245.

Nel Libro del riso e dell’oblio, la successione delle sette


parti-variazioni non appare regolata da alcun criterio
logico (come nel caso dell’applicazione della variazione
alla fenomenologia filosofica): tra le diverse parti non vi è
continuità d’azione né comunanza di personaggi (ad
eccezione di Tamina, unico personaggio che compare in
due parti, sebbene si tratti di due parti non consecutive) e
il loro accostamento è regolato unicamente dalla legge
dell’ironia, che rappresenta l’unica e sola vera morale
rispettata dall’arte del romanzo.
La forma della variazione, una volta introdotta nel
romanzo, perde sia il carattere opaco, cioè impermeabile
all’esplorazione di un qualche significato dicibile che
contraddistingue il suo uso nella musica, sia il carattere di
metodo, funzionale ad un’indagine di tipo oggettivo-
sistematico, quale è quello che contraddistingue la pratica
filosofica, e si rivela idonea al conseguimento del più
importante obiettivo cognitivo dell’arte del romanzo,
ovvero l’inquadramento di un medesimo tema secondo
molteplici prospettive che costringe il lettore a non
formularne interpretazioni univoche, assolute, ma a
concepirne una visione relativa, problematica.

245
M. K un d er a , L ’A r t e d e l r o m an zo , c it . p. 12 2.

150
Capitolo 3

La variazione:
modello dell’esistenza e principio compositivo
del romanzo

3.1. «Ce fut d’abord une étude» 246

La citazione di Rimbaud è impiegata da Pierre Brunel


come titolo della sua introduzione a Les Arpèges
composés (1997) 247, saggio che dedica all’analisi del
rapporto tra la letteratura e la musica, arti che per il critico
francese sono, com’è proprio degli «arpeggi composti» 248,
fin dalle origini vicendevolmente implicate.

246
S i tr at t a d i u n v er s o tr at t o da Un e s a is o n en e nf er ( 18 7 3) d i A r th ur
Rim ba u d.
247
C it .
248
R ic or d i am o c he , i n m us ic a , l ’ es pr es s i on e « ar p e g gi c om pos t i » d ef i nis c e
qu e l la t ec n ic a c h e p r e v ed e l ’ es ec u zi o n e s im u lt an e a di d u e s uc c es s i on i d i
no t e, s uo n at e i n m odo p i ù o m eno r a p id o, a d u n f i n e or n am en t al e ;

151
Ciò non è casuale: Les Arpèges composés è anche il
nome di uno dei dodici Éudes pour piano realizzati nel
1915 da Claude Debussy e alla cui grazia armoniosa
Brunel rende omaggio.
Non è infrequente che chi scrive di musica ceda alla
tentazione di comporre il suo libro alla maniera di una
partitura, ad esempio disponendone i capitoli come i
movimenti di una sonata, o secondo la logica alternata del
contrappunto; scelta che sembra adombrare, piuttosto che
uno sterile gusto mimetico, la consapevolezza che le
forme musicali consentono modalità esplorative diverse.
Tra gli esempi più celebri di studiosi che hanno mutuato
dalla musica i criteri di composizione, abbiamo già
ricordato Claude Lévi-Strauss, la cui decisione di
organizzare le sezioni in cui è articolata Mitologica alla
maniera delle forme musicali, quali la variazione su tema,
la fuga, o la sonata, non è casuale; al contrario,
rappresenta la testimonianza più evidente della complessa
omologia formale che l’antropologo individua tra le
strutture del mito e quelle musicali.
Allo stesso modo, nell’introduzione al suo saggio del 1997,
Brunel dichiara di averlo concepito secondo il modello
dello studio musicale: un tipo di composizione
caratterizzato dall’obiettivo specifico di sviluppare, fino

l ’ar p e gg i o, c om e il g l i s s an d o o i l tr em o l o, r i en tr a tr a l e t ec n ic h e d et te d i
ab b e ll i m en t o.

152
agli esiti più raffinati, una particolare contrainte tecnica,
così da saggiarne nuove potenzialità.
Diffusosi con questo nome verso la fine del XVIII secolo, a
seguito della notorietà conquistata da Muzio Clemente
(autore dei cento studi per pianoforte dal titolo Gradus ad
Parnassum), successivamente il genere dello studio si
emancipa dallo stadio di esercizio puramente tecnico per
diventare una forma musicale autonoma, che impiega a
sua volta altri principi strutturali, tra cui la variazione su
tema. Il modello dello studio musicale ha ispirato anche la
presente analisi della variazione su tema: mirante ad
individuare gli effetti cognitivo-estetici sviluppati da questo
principio compositivo, il discorso è giunto ad assumerne la
forma, finendo così per assimilarsi allo stesso oggetto
della nostra indagine.
Al fine di comprendere il modello della variazione su tema,
ci è sembrato impossibile non adottarne la stessa logica
interna: così, per poterne valutare le implicazioni in
relazione al romanzo, missione che si è subito definita
come il tema principale del nostro studio, ci è parso utile
sottoporle ad un approccio a variazioni.
Abbiamo lentamente messo a fuoco la questione cardinale
del rinnovamento apportato al romanzo dall’introduzione
della forma variazione, procedendo dall’analisi degli effetti
da essa realizzati nei due diversi ambiti della musica e
della filosofia; questo nell’ottica che solo comparando sia
realmente possibile comprendere.

153
Si è visto come, allo stesso modo che nella musica,
l’impiego del principio della variazione su tema nella
composizione di un romanzo ottiene l’effetto di sovvertire
l’illusione della cronologia, imposta come parametro
estetico sia da un certo genere di romanzo – affermatosi
soprattutto a partire dal XIX secolo –, strettamente
subordinato alle leggi della verosimiglianza, che dalle
sonate e sinfonie diffusesi più o meno nello stesso secolo,
la cui alternanza ritmica (quattro movimenti disposti
secondo un ordine discendente: dal più grave, in genere
un adagio, al più leggero, ad esempio un rondò) scandisce
in maniera convenzionale il procedere verso la fine.
Il modello a variazioni perturba la trama di tipo
unidirezionale: comportando un perpetuo ritorno al tema di
base, le variazioni definiscono una struttura compositiva
che, a differenza di altri casi, non prevede l’ausilio di
ulteriori elementi, concepiti unicamente allo scopo di
collegare un nucleo e l’altro del discorso, e concede
spazio solo a ciò che è davvero essenziale.
Tuttavia, mentre nella musica l’approfondimento che le
variazioni conseguono del tema resta vincolato alla sua
componente tecnica, nel romanzo le variazioni riescono ad
indagarne una dimensione altra, di tipo esistenziale.
Inoltre, a differenza che nella filosofia, dove il modello
delle variazioni è adottato come metodo funzionale
all’illustrazione di un significato posto come “oggettivo”,

154
che cioè possa essere comunque espresso per mezzo di
altri procedimenti discorsivi, nel romanzo esso è assunto
come una forma: ossia, non alla maniera di un metodo
scientifico, né di una contrainte puramente tecnica, ma
come strumento conoscitivo di un tema esistenziale di cui
conseguire significati che l’ausilio di altre forme, o la
trasposizione in qualsiasi altro contesto che non sia quello
romanzesco, non potrebbero mai rendere allo stesso
modo; una forma, infatti – ricorda Milan Kundera nell’Arte
del roman zo-, nell’arte, rappresenta «sempre qualcosa di
più di una forma» 249.
Come spiega Cornelius Castoriadis in Fenêtre sur le
chaos, nell’arte la forma corrisponde all’«incarnazione
appropriata di uno specifico significato», 250il quale, al di
fuori di questo particolare involucro entro il quale è stato
concepito, non potrebbe essere colto.

249
M. K un d er a , L ’A r t e d e l r o m an zo , c it ., p . 2 23 .
250
S i r i p or t a l ’ i nt er a c i ta zi o n e d i C or n e l i us Cas tor i ad is , d a n oi t r a d ot t a d al
f r anc es e a ll ’ i ta l i an o : «( …) qu e l la f or m a è c om e u n ’ inc ar na zi o n e
ap pr o pr i a ta d i u no s p ec if ic o s i g nif ic a t o; ed è d i q u es t o s i g n if ic a to c he
par l a l ’o p er a d ’ ar t e. È s o l o in e at tr a v er s o q ues t a f or m a c he q ue l
s i gn if ic a to – i l c o nt en ut o, s e c os ì pos s o c h i am ar l o, n on s i tr at t a p iù d i
m ater ia , de l l ’o p er a d ’ a r te – p uò es s er e ve ic o l at o. I l s uo m od o d i es s er e è
s u i g e n er is , e d è per q u es t a r a gi o n e c he es s o è as s ol u t am ent e
i ntr ad uc i b il e i n u n al t r o l in g ua g g io » . ( «( …) c et t e f or m e es t c om m e un e
i nc ar n at i on a d éq u at e d ’ un e s i g nif ic a t io n s péc if iq u e; e t c ’ es t d e c et te
s i gn if ic a ti o n qu e p ar le l ’ œ u vr e d ’ ar t . C’ es t u n iq u em ent d ans e t pa r c et t e
f or m e que c et te s ig n if i c at i on – l e c o nt e nu , s i j e pu is d ir e, i l ne s ’ a g it p as
de m at ièr e , de l’ œ u vr e d ’ar t – p eu t ê tr e vé h ic u l ée . S o n m od e d ’ êtr e es t
s u i g e ner is , e t c ’e s t p o ur c e tt e r a is o n q u ’ el l e es t abs o l um ent
i ntr ad u is i bl e d ans un au tr e l an g ag e ». C it . d a C. C as t or ia d is , F en êtr e s ur
l e c ha os , c it . p p 1 40- 1 41 .

155
In particolare, la forma delle variazioni, introdotta nel
romanzo, contribuisce alla possibilità di declinare il tema
(lo «specifico significato» che si trova ad «incarnare»)
secondo una serie di riformulazioni, tutte relative, che
suggeriscono così l’idea dell’impossibilità di una sua
acquisizione esaustiva; ciò forse permette di considerare
questo principio compositivo come intrinseco alla stessa
arte del romanzo, intesa come finalizzata ad indagare
l’universo dell’esistenza in maniera sistematica.
Ricordiamo che il particolare assetto non sistematico del
tipo di conoscenza offerta dal romanzo può essere
garantito solo nel caso di una corrispondenza completa tra
il tema e la forma, tale che non vi sia alcun elemento del
primo – e, più in generale, dell’intero contenuto – che non
sia determinato dalla particolare architettura formale che
caratterizza il romanzo.
Nel caso in cui, invece, permanesse la possibilità di
riconvertire il tema anche «in un altro linguaggio» 251 o di
renderlo in altra maniera che non sia la forma specifica del
romanzo in questione, ciò vorrebbe dire che il suo
trattamento ha conservato una presunzione di obiettività,
che cioè non è stato interamente formalizzato come

251
I l r if er im en to è a l l a c o nc e zi o n e d i f or m a ar tis tic a s vi l u pp a ta d a
Cas tor i a d is . Cf r . n ot a 24 7 .

156
«oggetto estetico» 252, quale invece deve essere il soggetto
della meditazione di un romanzo 253.
Per questo, il criterio utile a distinguere se, in un romanzo,
il principio delle variazioni è realmente elaborato come
forma e non invece assunto come semplice tecnica (a
scopo sperimentale o di mero omaggio all’arte musicale) è
osservare se ad essere formalizzato dalle variazioni sia
effettivamente la questione specifica al centro del
romanzo (ciò che definisce il tema) – che in questa
maniera viene esplorata nell’ottica relativa che
caratterizza quest’arte – o se piuttosto, in quel caso, il
principio delle variazioni non ricopra solo un valore
ornamentale e dunque si riveli opaco rispetto all’indagine
conoscitiva di cui dovrebbe farsi carico un’opera
romanzesca.
La Traversée du Pont des Arts 254 di Claude Roy, ad
esempio, è un romanzo ispirato alla struttura dell’opus 111
di Beethoven, capolavoro dell’arte della variazione.
Oltre a figurare come unica opera musicale esplicitamente
menzionata nel testo 255 (ad altri compositori, come Bach o

252
Si r ic or da c h e, p er B ac h t in , l’ « o gg et t o e s te t ic o » ( c io è i l c o n t en u to
de l l ’ op er a d ’ ar t e) c o ns is t e n e l r is u l ta t o de l l ’ el a bo r a zi o n e s o g ge tt i v a
( ot te n ut a m ed i a nt e l a f or m a) de l l e du e r e a lt à “ es t er ne” d e l la c o n o s c en za
e d e l l ’a tt o et ic o. P er c onf r on ta r e l a def in i zi on e c om pl et a c h e Bac ht i n ne
of f r e in Es t e tic a e r o m an zo , r im an d iam o a l la no t a 69 .
253
Co gl i am o l ’ oc c as i o ne p er r ic or d ar e c h e, anc h e p er B ac h t i n, a
pr o p os it o d el r om an z o e de l l ’ ar t e i n g en e r a le , «I l p i ù gr an d e er r or e
c ons is ter e b be n el l ’ im m agi nar s i i l c on t en u to c om e u n t ut t o t eor ic o
c on os c it i v o, c om e u n pe ns i er o , c om e un ’ i de a ». C it . d a M. B a c ht i n,
Es t e tic a e r om a n zo , c i t. p . 32 .
254
C it .

157
Mozart, vengono fatte solo delle allusioni generiche),
l’analogia formale tra la sonata di Beethoven e il romanzo
è avvalorata dalla comune scansione in due parti, in
entrambi i casi dalla lunghezza molto diversa 256.
Nella Traversée du Pont des Arts questa asimmetria è
sviluppata al punto che la seconda parte – sottotitolata
«Ultimo movimento: adagio», come già l’ultima parte della
sonata beethoveniana – sembra costituire tutt’al più un
epilogo della prima: essa consta solo di una decina di
pagine, rispetto alle 235 complessive.
Inoltre, così come l’ultima parte dell’opus 111, anche
quella della Traversée du Pont des Arts rappresenta una
variazione speculare della prima, di cui tramuta il ritmo
incalzante in un «adagio»: collocata in un’epoca che
segue almeno di mezzo secolo quella in cui si svolge la
vicenda esposta nella prima parte, la seconda introduce

255
Il r if er im en to a l l ’o p us 11 1 , n e l r om an zo , è at tr ib u it o a l p er s on a g g io d i
Sc ha b e l, am ic o d e l pr ot a go n is t a C h ar les R i v i èr e , c om p os i t or e d i t a le nt o :
« Sc h a be l a v e va c o lt o i m m edia t am ent e c iò c h e C h ar l es a v e va v o lu t o f ar e.
A v e va ac c os t at o l a c o s tr u zi o n e d ei T r e m ov i me n ti a d alc u n i b r a n i d i Bac h
i n c ui s i tr o v a n o de i tem i r e tr ogr a da t i c he p os s o no es s er e l et t i in
en tr am bi i s e ns i, c om e l e p ar o l e l at i n e RO M A A MO R… o al pas s ag g i o
de l l a So n at a p er p ia n o o p. 1 11 d i Be e th o v e n i n c u i g l i ac c or d i d i s et t im a
d im in ui t a d e l t em a e s pos t o a l l ’ in i zi o d e l m ovim en t o r i a pp ar i v a no p er
i n ver s i o ne ». T r ad . n o s tr a . ( « Sc ha b el a v a it t ou t de s ui t e s ais i c e qu e
Ch ar l es a v a it vo u lu f a ir e . I l a v a it c om par é la c o ns t r uc t io n des T r o is
mo uv e me nts à c er t a i ns m or c ea ux d e B ac h o ù on t r o u v e des th èm es
r étr o gr a d és q u i pe u v en t s e l ir e d ans les de ux s e ns , c om m e l e s m ots
l at i ns R O M A AMO R … ou a u p as s ag e d e l a S on a te p o ur p ia n o op . 11 1 d e
B ee th o v e n o ù l es ac c or ds d e s e pt i èm e d im i nu é e du t hèm e ex p o s é au
dé b ut d u m ou vem e nt r ep ar a is s e n t par r en v er s em ent ». I v i , p p. 1 0 9- 11 0 .
256
S i r ic or d a c he l o s t es s o es p ed i en t e d i o r d in e s tr u tt ur a le , al f i ne d i
a ll u de r e a l l’ o pus 1 1 1 d i B e et h o ve n , è im pi e ga t o n e l r om a n zo Sc h u le d es
G e lä u fi gk e it ( L a Sc u o l a d e l v ir tu os o) , d i c u i ab b i am o p ar la to n e l Ca p. I:
La v ar i a zi o n e s u t e ma da l l a m us ic a a l r o m a n zo .

158
due personaggi completamente nuovi, lo scrittore Pierre e
la pianista Michèle; questa coppia si configura come
speculare rispetto a quella al centro delle vicende
raccontate nella prima parte, costituita dalla fotografa
Louise e dal talentuoso compositore Charles Rivière.
Ritrovatene per caso le tracce, Pierre e Michèle si
incaricano di far conoscere al grande pubblico l’opera di
Rivière, così riscattandola da anni di oblio; l’ordine che
viene così ripristinato sancisce il disegno circolare del
romanzo. La trama di rimandi e variazioni interessa anche
la prima parte dell’opera 257:

257
L ’ in ter pr et a zi o n e d e l l a T r av er s é e d u P o n t des Ar ts in r if er im en t o
a ll ’ o pus 1 11 d i B e et ho v e n è s os t en ut a da P o l V an d e ve l d e, c he s i
pr e oc c u pa in par t ic o l a r m odo d i d im os tr ar e l e a na l o gi e r is c o nt r a b i l i tr a i l
pr im o m ovim en t o d e l l a s o na t a b e et ho v e n i an a e l a pr im a par t e d e l
r om an zo : s ec o n do V an d e ve l d e, ne l l a p r e s en t a zi o ne d i per s o n ag g i e
v ic en d e, Ro y s e gu ir eb be i c r it er i d i es p os i zi on e , s v i l u pp o e r i es po s i zi o n e
ti p ic i de l l e s on a te . L a t es i d el l ’ af f in i tà s tr ut tur a l e t r a L a T r av er s ée d u
P on t d es Ar ts e l ’ o pu s 11 1 a pp ar e c o nf er m at a a nc h e d a C l au d e Ro y, i n
un pas s o d i u n ar t ic o l o r i p or t at o d a V a nd e v e ld e: « È l a m us ic a s t e s s a [… ]
c he m i h a r eg a la t o q ues t o r om a n zo c h e s i a v v ia a l l a c o nc l us i o n e [ …] .
Com e t ut ti , C h ar les Ri v i èr e s i è n ut r i t o d e i s u o i i nc on tr i e de l l e s u e
s c e lt e [ … ]. S i è m er a v ig l i at o, c om e m e, d i s c o pr ir e l ’ im m agi n e de l l a
tr am a, la s tr u tt ur a d i s s im ul at a d a Be e th o v en ne l l e var i a zi o n i e i tr i ll i
de l l a So n at a o p . 1 1 1 , i n c ui i l t em po s e m br a f er m ar s i, s os pe nd er s i,
r if l et t er s i i n s e s tes s o , e la c u i p ar t i tur a r i v e la c he g li ac c or d i d i s et t im a
d im in ui t a d el l ’ A da g i o s on o l’ i nv er s io n e, la r i s a li t a n el s ens o c o n tr ar io de l
tem a es p os to a l l ’ in i zi o» . T r a d. n os tr a ( « C ’ e s t la m us i qu e e l le - m êm e […]
qu i m ’a do n né c e r om an q u i s ’ ac hè v e [ …] . C om m e tou t l e m onde ,
Ch ar l es R i vi èr e s ’ es t no ur r i d e s es r e nc o ntr es e t d e s es c h o ix […] . I l
s ’ es t ém er ve i l l é, c o m m e m oi, de déc o u vr ir l ’ im ag e d e l a tr am e, l a
s tr uc tu r e d is s im ul ée p ar B ee th o v en d a ns les v ar ia t io ns et l es tr i ll e s d e la
S on at e op . 11 1, o ù le tem ps s em b le s ’ ar r êt e r , s e s us pe n dr e , s e r é f léc h ir
en l u i- m êm e, et o ù l a p ar ti t i on r é v è le q u e les ac c or ds d e s e pt i èm e
d im in ué e de l ’ A da g io s on t le r e nv er s e m en t, l a r em on t ée e n s e ns i n ver s e
du t h èm e ex p os é a u d éb u t» . C. R o y, Pe r m is de s éj o ur 1 97 7 - 19 8 2.
G a l lim ar d, Par is 1 9 83 , pp. 82- 8 3, c it . d a: P. V an d e ve l d e, L e t em ps d ’u n e
s on a te , L a T r av er s é e du P on t d es Ar ts d e Cl a ud e R oy , i n « Les Le ttr es

159
i leit-motiv degli orologi fermi, dei flussi d’acqua (a cui
allude anche il nome del protagonista: Rivière, cioè
«fiume»), oppure la riproposizione integrale di interi brani
– che compaiono alla maniera di un refrain 258 in diversi
luoghi del testo –, come quello in cui è descritto l’incontro
di Charles e Louise, ritrovatisi dopo anni e anni sul Pont
des Arts (dall’autore eletto a simbolo della congiunzione
delle diverse dimensioni temporali) sostengono tutti una
nozione di tempo ciclico che, come si è visto, appare
connessa alla stessa idea di variazione sul tema.
La scelta di organizzare la struttura della Traversée du
Pont des Arts in base al modello delle variazioni non
appare una casuale: esso rappresenta il corrispettivo, sul
piano formale, della quête, artistica ed esistenziale,
intrapresa da Charles Rivière al fine di smantellare la
comune percezione di tempo lineare, in nome
dell’affermazione di un sentimento del tempo più in
sintonia con il vissuto interiore, in cui il passato, il
presente e il futuro sono avvertiti come fasi non
successive, ma continuativamente compresenti.
Fin da giovane, il compositore Rivière intuisce che la
musica – la quale «non è la rappresentazione di niente: è
presenta zione del presente, il presente immediato del

Rom an es », Un i v er s it é Ca th o l iq u e d e Lo u v ai n, T om e X L, n . 1 , 1 9 86 , p p .
46- 6 0.
258
La tr ad u zi o n e i n i ng l es e d e l ter m i ne «r i tor ne l l o» n e s ot t ol i n ea m eg l i o
l ’ac c e zi o n e d i: «c os a c he v ie n e r i p et ut a ».

160
tempo» 259 – costituisce un canale d’accesso ideale
all’essenza più vera del tempo; di conseguenza, dedica le
sue composizioni (dai titoli eloquenti: «Tre movimenti
concentrici», «Fuga, andata e ritorno», «Cascata
immobile», «Sospeso» 260) allo studio di questa
potenzialità.
Procedimenti come la ripetizione e la variazione sono
impiegati da Rivière proprio allo scopo di attribuire ai suoi
brani una struttura circolare, che renda l’idea di un tempo
ciclico. Il fisico molecolare Audoin, amico del compositore,
fornisce dei suoi «Tre movimenti concentrici» una
descrizione che può essere interpretata anche come una
mise en abyme della costruzione del romanzo:

«Il tuo lavoro, disse a Char les, consiste in tre


var iazioni su un modello costante, quello di una
struttura simmetrica invertita al centro. La serie degli
avveniment i sonor i si capovolge, così determinando
due sequenze ‘a specchio’, che si rif let tono … sto
semplif icando, cert o … Perché le percussioni

259
La c it a zi o n e è i n c or s i v o per c h é r a ppr es en ta u n es tr a tt o d eg l i a p pu n ti
d i l a v or o r e da tt i da C h ar les R i vi èr e; q ues t i v en g on o an a l i z za t i d a u n a l tr o
per s o n ag g io d el r om a n zo , Ber n ar d B a be l a in , a l le pr es e c o n i l pr o ge tt o di
c om por r e u n l i br o s u i pr ec ur s or i de l l e a v an g ua r d i e ne l X X s e c o lo . I l
r ac c o n to d e l l ’a v v e nt ur a in t e ll e tt ua l e d i Ri v i èr e – c h e a l im ent a t ut ta l a
pr im a p ar t e d e l r om an zo – è c os ì es p os t o n e ll a m o da l it à d e l fl as h bac k , i l
c u i pr et es t o è c os t i tu it o d a l le r ic er c he c he , s u l s u o c o nt o , ef f et tu a a
pos t er i or i B a be l a in . L ’or g an i z za zi o n e de l l a t em por a l it à de l r o m an zo,
bas a ta s u u n c o n t in u o g ioc o d i an a l es s i ( c i o è di r im an d i a d e ve nt i s v o lt is i
i n u n pe r i o do pr ec e de n te a qu e l l o i n c u i s i s vo l ge l a n ar r a zi o n e)
par t ec i p a c os ì a l l a d e f in i zi o n e d e l s e ns o d e l r om an zo . P er la c it a zi o n e,
c f r . C . Ro y, L a T r av er s ée du Po nt des Ar ts , c it ., p . 1 5 6.
260
L a tr a d u zi o n e da l f r a n c es e è nos tr a.

161
introducono dei rit mi paralleli che non lasciano
sempre traspar ire la struttura ‘ciclica’ della melodia
… Ben inteso, una f rase musicale è reversibile,
propriamente par lando, solo se è cost ruita su un
ritmo simmetrico … (…)» 261.

L’improvvisa scomparsa di Louise, donna amata e al


tempo stesso musa ispiratrice del musicista, rappresenta
per Rivière l’occasione di applicare anche alla sua
esperienza personale le leggi di cristallizzazione del
tempo messe a punto attraverso i suoi studi sulla musica:
abituandosi a sospendere il pensiero logico («si era
organizzato un programma del tempo insignificante e
regolare, così che il tempo finisse quasi con l’essere
abolito a forza di essere ritmato dalla ripetizione» 262), il
compositore riesce pian piano a sperimentare delle
alterazioni temporali, che gli permettono di rivivere
letteralmente frammenti del suo passato con Louise, fino a
scivolare gradualmente in un nulla senza tempo, cioè a

261
T r ad. n os t r a d a l f r a n c es e : «T o n tr uc , di t- i l à C har l es , ç a c o ns is t e en
tr o is v ar ia t io ns s ur u n m odè le c o ns t an t, c e l u i d ’ un e s t r uc tur e s ym étr i qu e
i n ver s é e e n s o n m il ie u. La s ér i e des é vé n e m ent s o nor es s e r e n v er s e , c e
qu i do n ne d eux s éq u enc es ‘e n m ir o ir ’, s e r éf l éc h is s a nt … J e s i m plif i e ,
b ie n s û r … P ar c e - qu e les p er c us s i o ns in tr od u is en t d es r yt hm es
par a l l èl es q u i n e l a is s en t p as t ouj o ur s a pp ar a ît r e la s t r uc tu r e ‘c yc l i q u È
de l a m élo d i e … Bi e n en te n du , u n e p hr as e m us ic a le n ’es t r é v er s i bl e , à
pr o pr em en t pa r l er , q u e s i e l l e es t c o ns tr u it e s ur un r yt hm e s ym étr i qu e …
( …) ». I v i, p. 1 1 5.
262
T r ad. n os tr a d a l f r anc es e: « i l s ’ or ga n is a it u n em pl o i du t e m ps
i ns i g n if i an t e t r ég u l i er , af in q ue l e t em ps f i n is s e p ar pr es q ue s ’ a bo l ir à
f or c e d ’ êtr e r yt hm é p a r l a r é p ét i ti o n» . I v i, p . 21 7 .

162
coronare il desiderio di morte che lo aveva assalito dopo
la scomparsa di Louise.
Inquadrandola in questo contesto, anche la ripartizione del
romanzo in due “movimenti” acquista una risonanza
maggiore: tramite il gioco di richiami ottenuto attraverso la
forma delle variazioni, le due diverse epoche
corrispondenti alle due parti del romanzo risultano
elementi di un’opera armonica, alla maniera di due sponde
collegate da un ponte.
Nel romanzo di Roy, l’intero impianto architettonico, dalla
struttura generale fino ai minimi dettagli, rispecchia la
riflessione sul carattere alogico del tempo, che si impone
come la questione cardinale dell’opera; tuttavia, questa
costruzione non sembra comunque rispondere alla
funzione specifica che dovrebbe essere ricoperta dalla
forma di un romanzo, ovvero la funzione conoscitiva.
La corrispondenza rilevabile tra il soggetto posto al centro
della Traversée du Pont des Arts e il modo in cui è
disposta la forma del racconto si riduce solo ad un
semplice effetto di rispecchiamento; per il resto, il modo in
cui, in questo romanzo, è elaborato il modello delle
variazioni non sembra rispondere davvero all’obiettivo di
esplorare una questione che possa essere identificata
come un tema.
Nel romanzo di Roy, le variazioni non partecipano alla
relativizzazione ironica del soggetto a cui rimandano

163
(operazione invece indispensabile al processo conoscitivo
che caratterizza l’arte del romanzo).
A differenza che in altri casi di romanzi impostati sul
modello delle variazioni – come Il Libro del riso e dell’oblio
–, in cui queste ultime corrispondono alle diverse
prospettive, di volta in volta contrastanti, da cui viene
inquadrata una tematica di base, gli esempi di variazioni
riscontrati nella Traversée du Pont des Arts (come la
costruzione simmetrica o la serie dei leit-motiv) sembrano
tutti sostenere un’unica concezione: la nozione di tempo
circolare, a cui si riferiscono anche le citazioni poste come
epigrafi del romanzo 263 e che viene rappresentata, per
tutto il corso della narrazione, dal personaggio principale.
L’insieme degli episodi, gli incontri e le corrispondenze del
destino sperimentate da Charles Rivière contribuiscono ad
avvalorare la sua teoria sul tempo, che viene in questo
modo presentata come la tesi del romanzo.
In questo caso, le variazioni sono impiegate solo per
l’esposizione 264 del soggetto principale, ma non
contribuiscono ulteriormente al sostegno di una forma che

263
Cf r ., a d es em pi o, q ue l la d i M e h lb er g ( tr at t a da l s ag g i o d i f i l os of ia de l l a
s c i en za d e l 19 6 1) : «I n b as e a t u tt i i da t i s c i en t if ic i d i c u i o gg i
d is p o ni am o, c o n v i en e c ons i der ar e c h e i l t em po n o n è c o n di zi o na t o d a
nes s u na d ir e zi o n e s p ec if ic a c h e l o in d ir i z z er e b b e v er s o u na d ir e zi o n e
de t er m in at a» . T r a d . n os tr a d e l br an o, r i por t at o d a Ro y i n f r a nc es e .
264
I l t er m in e d i es pos i zi o n e, pe r d es c r i v er e la f u n zi o n e s v o lt a da l l e
v ar ia zi o n i n e l la T r av e r s ée d u P o nt d es Ar ts , n o n è c as ua l e: es s o i nf a tt i
s i r if er is c e a nc or a a l l ’am b it o m us ic a l e e s pec if ic a tam e nt e des i gn a l a
pr im a s e zi o ne d i s tr ut t ur e c om e l a s o na t a o l a f ug a, i n g e ner e d e d i c at a a l
s em pl ic e an n unc i o d e l t em a.

164
possa determinarne la comprensione; non formalizzano il
tema.
La visione che ne viene infine trasmessa si riduce dunque
alla presentazione che ne offre il cosiddetto contenuto,
mentre la forma assume solo una funzione ornamentale.
Ciò fa si che La Traversée du Pont des Arts si presenti,
piuttosto che come un romanzo, come la trasposizione
narrativa di una teoria sul tempo; alla maniera dei testi
filosofici o scientifici, esso appare fondato su un’idea che
risulta indipendente rispetto alla sua forma.
Dunque, in questo caso, il principio delle variazioni non
sembra rielaborato come forma del romanzo: cioè, come
forma che risulta connaturata allo «specifico significato» 265
che incarna, secondo il criterio fondativo dell’arte.

3.2. Perché il romanzo del Novecento

Finora abbiamo esaminato la ricezione nel romanzo di


forme compositive come la variazione su tema sulla scorta
di alcuni esempi, tutti ricavati da romanzi appartenenti al
XX secolo.
Da un lato, la scelta di ascrivere il discorso ad un lasso
temporale più o meno circoscritto ha risposto a ragioni di
studio eminentemente pratiche; dall’altro, l’individuazione
di questo secolo in particolare come il periodo

265
I l r if er im en to è a ll a c i ta zi o n e d i C or ne l i us C as t or ia d is . Cf r . no t a 2 47 .

165
maggiormente indicato per l’osservazione di questi
rapporti risponde a delle precise ragioni.
In un’intervista del 1977 266, Michel Butor si riferisce al
Novecento come al secolo della «variazione» per
eccellenza, quando descrive l’attitudine a «variare» – che
Butor intende nel senso di continuo esercizio critico sul
passato – come l’inclinazione intellettuale che
contraddistingue maggiormente quest’epoca:

«Tutta l’arte del XX secolo ha una vocazione cr itica,


è l’arte di un secolo di musei, di biblioteche, di
cataloghi. Non è che a una pr ima rapida lettura che
si può parlar e, a proposito della letteratura
contemporanea, di “distruzione” del r acconto, del
personaggio, e i lettori più recenti e spregiudicati
hanno buon gioco a denunciare il car attere sommario
di certe approssimazioni. Si tratta inf atti di
spostament i, di generalizzazioni, di interrogativi. Si
può r iassumere tut to in una domanda: come f ar
var iar e? Per quanto riguarda le opere del passato
possiamo distinguer e due piani: 1) com e f ar variare
il romanzo di Balzac, che, per cert i aspetti, ci
inganna sulla realtà? Scrivendo altri romanzi o non-
romanzi; 2) come f ar var iare l’idea che abbiamo dei
romanzi di Balzac e che, in generale, ci inganna su
questi romanzi. Tornandoci sopra, citandoli in modo

266
S i tr a tt a di q u e ll a r i l as c ia ta a M ar io L a v a ge tt o , or a p ub b l ic a t a c om e
i ntr od u zi o n e a l la r ac c o lt a de g l i s c r it t i c om pos t i da M ic h el Bu t o r s u l la
Ric er c a d e l t e mp o per du t o, da l ti t ol o S ei s a gg i e s e i r is pos t e s u P r ous t e
s u l r o ma n zo , c i t. , p p. 3- 1 1 .

166
diverso da quanto si è soliti f are. Sono i miei
romanzi, poem i, st udi, ecc. che possono essere
considerat i come esercizi di def ormazione di vecchie
strutture, dell’opera di Proust, per esempio, tra molt e
altre che hanno avuto per me almeno altrettanta
importanza. I miei lavori cr itici trasf ormano
l’immagine di queste opere. Mostrano che esse
erano def ormate. Def ormano questa def ormazione.
Raggiustamento int erminabile perché a produrre
def ormazioni non sono soltanto la m enzogna, la
malaf ede, la stupidità; è la r if razione stessa del
linguaggio e dell’ambiente stor ico che cambia
continuamente e in modi diversi, così da permetterci
poco a poco di misurarla, di dom inar la. È il mondo
che è var iazione» 267.

Mentre Butor interpreta l’arte della variazione come il


riflesso della vocazione critica che caratterizza l’epoca
contemporanea, Pierre Brunel sottolinea in particolare
l’interrelazione tra la musica e il romanzo, a suo avviso
altrettanto rappresentativa di questo periodo: «La storia
del romanzo, nel XX secolo, permette di rintracciare
diversi analogon con la storia della musica, tra cui ciò che
si potrebbe chiamare la tentazione della scrittura
fugata» 268.

267
I v i, p . 8.
268 e
T r ad. n os tr a, d a l f r a n c es e : «L ’ h is t o ir e du r o m an, au X X s i èc l e , p er m et
de r etr o u ver m ai nt an a lo g on a v ec l’ h is t r o ir e de l a m us iq u e, do nt c e q u’ o n
po ur r a it a p pe l er l a te nt a ti o n de l ’éc r i tur e f u g ué e ». C it . d a B as s o
Co nt i n uo ( Pr es s es U n i v er s i t ai r es de F r a nc e , P ar is 2 0 01) , il s ec o nd o de i

167
L’osservazione del critico francese fa riferimento
soprattutto alla propensione dei romanzieri contemporanei
ad adottare le tecniche di sviluppo della musica, come il
contrappunto – che Brunel riconosce, ad esempio,
nell’opera di Hermann Broch –, il canone, o la
combinazione di questi due principi nella più elaborata
forma della fuga, a cui lo stesso Butor ispira la
composizione del romanzo L’Impiego del tempo 269.
La convergenza nel XX secolo di questi due fattori, e cioè
da una parte il bisogno di rivitalizzare l’impianto
romanzesco più tradizionale (il modello balzachiano del
romanzo realista), dall’altra la necessità del romanzo di
ricorrere a modelli compositivi già impiegati nella musica,
sembra presentarsi non come una semplice coincidenza,
ma piuttosto come il naturale esito del rapporto di
interconnessione che, ad esempio, secondo Levi-Strauss,
interessa le forme della musica, del romanzo e del mito,
fin dagli albori della cultura moderna.
L’ipotesi di Levi-Strauss è che strutture come il
contrappunto, la fuga, la variazione su tema, non
appartengano propriamente alla musica, ma che
costituiscano più in generale delle formae mentis, già

s ag g i c h e P i er r e B r u n e l d ed ic a a l lo s tu d i o d e ll a c o nf l u en za d e l l a m us ic a
ne l l a l et te r a tur a .
269
A qu es t’ o pe r a i n pa r tic o l ar e B r u n el d e d ic a a nc h e un a m on o gr af i a, i n
c u i s i c onc e ntr a a nc h e s u l l ’ im por t a n za c h e as s um e l a m us ic a n e l la v or o
d i B ut or . Cf r . P . Br un e l, B ut or , L ’ Em pl oi du t em ps . L e t ex t e et l e
l aby r i nt h e, P UF , 19 9 5; s i r im a nd a s p ec if ic a t am ent e a l pa r . « Un e é c r it ur e
fu g ué e », p p. 14 7- 15 1 .

168
riconoscibili nei processi di formazione dei miti. Sulla base
di queste analisi, si potrebbe ipotizzare che il romanzo,
mutuando questi modelli compositivi, non si proponga
tanto di imitare l’arte musicale, quanto di pervenire,
tramite l’intermediazione della musica, a delle modalità di
inquadramento dell’esistenza, che riflettano la tensione ad
abbracciare la complessità del mondo nella sua totalità,
propria della «pensée mythique» (la mentalità alla base
dell’edificazione dei miti) 270.
Per mezzo di questi schemi compositivi, che si rivelano
essere delle ipotesi ontologiche primarie 271 – prima ancora

270
L a c o es i on e s tr ut t ur a l e c h e c ar a tt er i z za i m iti r if l e tt e l ’ as pi r a zi o n e al l a
to ta l i tà p r o pr i a d i « H om o Re l ig i os us » , c o m e lo s tu d i os o de l l e r e li g i on i
M ir c e a E li a de n om in a l a f un zi o n e s p ir i tu a l e i ns it a a l l a c os c ie n za u m ana e
par t ic o l ar m en te va l or i z za t a pr es s o g l i a nt ic h i. A q ues t o r ig uar d o,
r ic or d i am o c h e M ir c e a E li a d e d ef i n is c e l ’ uo m o m itic o, os s i a l ’ uo m o c he
af f id a a i m it i l a pr o pr ia p er c e zi o n e de l l a r e a lt à, « u om o to t al e» : l a
v oc a zi o n e r e li g i os a c h e s ot t en d e l ’ e la b or a zi on e d e i m iti im pl ic a i n f att i l a
pos s i b i li t à d i r a v v is ar e , in og n i s i ng o l o e lem en t o, l ’ im pr o nt a d e l T u tt o. L a
s tes s a es p er i en za r e l ig i os a, s p ie g a E li a d e, n on è a ltr o c he qu es to :
«es p er ie n za d e l l ’es is t en za to ta l e, c h e r i ve l a a l l ’ uom o le s u e m oda l i tà d i
es s er e ne l m on do » ; l a p os s ib i l it à di i nt er p r et ar e i m is t er i d e l l’ u n i ver s o
a ll a luc e d i c r it er i, d e r i v an t i d a u na qu a ls ia s i d ot tr in a r e l i g ios a , i nn a l za
l ’u om o d a l c on t in g en t e al l ’ as s o l ut o e l o c o ll oc a «a l c e ntr o s te s s o de l
r ea l e ». L e br e v i c i t a zi on i s o n o tr a tt e da l l a pr em es s a c he E l i ad e ap p on e
a l s u o tes to Mi t i , s og n i e m is t er i ( 1 95 7) , tr ad . it . d i G .C a nt o n i, R us c o n i
L ibr i , M i la n o 19 9 0.
271
In un ’ o per a , l a s c e l ta d e l l a f or m a c om pos it i v a d a a d ot tar e im p lic a
i ne v i ta b i lm ent e a nc h e la d ec is i o ne d i u n ’ ip ot es i o nt o l og ic a. C iò s em br a
es s er e s os t e n ut o anc he d a Cor n e li us Cas tor i ad is , qu a nd o n el s ag g i o
F e nê tr e s ur le C h aos , c i t. ( d i c u i a bb i am o g ià tr at ta t o ne l II p ar . d e l I I
c ap i to l o: « Ro m an zi f il os o f ic i o ‘r o ma n zi c h e p e ns a n o ’») , af f er m a c he i l
c om pit o pr i nc ip a l e d e l l ’ar t e è «d ar e f or m a a l Ca os », os s i a or g a n i z za r e il
c aos i n c u i è im m er s a la v it a um ana tr am ite l ’ i n ve n zi o n e d i un a f or m a,
c he as s o l va l a f u n zi o ne d i u n c os m o al t er n at i v o: « E qu es to d ar e f or m a,
eq u i v al e a l la c r e a zi o n e d i u n c os m o ». In T e mps m us ic a l / Es p ac e mus ic a l
c om m e f o nc t i ons l o g iq ues , c it ., a pa g. 1 97 C ons t an t in Ca za b a n a g g iu n ge
c he : «C on tr o la p os i zi on e de l f i los of o d i F r anc of or te [ i l r if er im ent o è a d
A dor n o, n. d.r .] , s ec on do c u i l ’ op er a ac qu is i s c e i l s u o s t at ut o g r a zi e a l la

169
che strutture mitiche –, il romanzo assolve la sua
ambizione conoscitiva più importante: la ricomposizione
della varietà nell’unità, ossia della complessità del reale,
in una forma coerente 272, ottenuta secondo quel
procedimento di astrazione e concentrazione della materia
che, non a caso, presentandolo come correttivo alla
struttura invece frammentaria manifestata da molti
romanzi contemporanei, nel saggio omonimo Broch aveva
definito «lo stile dell’età mitica» 273.
In un altro scritto, il romanziere austriaco analizza il
concetto di mito, come costruzione il cui carattere
fondamentale consiste nella compattezza strutturale; un
mito, infatti, nasce come esperienza della totalità:

f or m a per c h é è at tr a v er s o l a f or m a c h e ‘r ie s c e a s e par ar s i da l s em pl ic e
es s e n te ’ , s i po tr eb b e dir e c he è pr o pr i o per m e z zo de l l a f or m a c he
l ’o p er a c on q uis t a un o s t at ut o o nt o lo g ic o, c i oè u n e qu i l i br io d is s i m etr ic o
c he l e p er m ett e d i ‘e s s er e ’ e l a i n n al za a l li v e l lo d el l e ver i tà p r im e» .
T r ad. n os tr a d al f r a nc es e : « C on tr e la pos i t io n du p h i los o p he d e
F r a nc f or t , s e l o n l a qu e ll e l ’ œu vr e ac q u i er t s on s ta t ut gr âc e à l a f or m e
par c e- q ue c ’es t p ar l a f or m e q u’ e l le ‘r éus s it à s e s ép ar er d u s im pl e
ét a nt ’, o n po ur r a it d i r e qu e c ’ es t j us t em ent p ar la f or m e q ue l ’ œu vr e
ga g ne u n s ta t ut o nt o l og i q ue , à s a vo ir u n é qu i l i br e d is s ym étr i qu e q ui lu i
per m et d ’ ’ê tr e ’ , e t l a ha us s e a u n i v e au des vé r i t és pr em ièr es ». N e ll ’ Ar te
de l r o m an zo , c it ., a nc he M i l an Ku n de r a s p i eg a c h e l a c o n d ic io s i ne q u a
no n p er l a c om pos i zi on e d i u n r om an zo c ons is te n e l l a pos s i b i l it à d i
p las m ar e , p er m e zzo de l l ’ in v e n zi o n e d i u na f or m a c om pos i t i va or i g in a le ,
un ’ i po t es i o nt o l og ic a e d i in d ag ar e le pos s i b i li t à r im as te a l l ’u om o
a ll ’ i nt er no d i q ues to m ondo im m agi n at o: « Q u al i p os s ib i l it à h a l ’ uom o
ne l l a tr a p p ol a c h e è d i ve nt a to il m on do ? P er r is po n d er e , è n ec es s ar i o
i nn a n zi t ut to a ver e un a c er ta i de a d i c he c os a s i a i l m on do : a v e r e c i o è
un a i p ot es i o nt o lo g ic a ». Cf r . p . 7 4.
272
S i r ic or d a c h e q u es ta s i nt es i d el r u o l o c on os c it i v o d el r om an zo è
of f er t a da J ea n- Lo u is Cu p er s , i n H ux ley et l a m us i q u e, à la m a n i èr e de
J ea n- S éb as ti e n, c it . V d. n o ta 1 3 1.
273
C it ., v d . n ot a 1 25 .

170
«(…) la comprensione del mondo si attua nel
mythos e nel logos; i quali cost ituiscono i due
prototipi di contenuto e f orma (…). Data la sua
prof onda unità str utturale con il logos, cui è
collegato alla radice, il mythos abbraccia la totalità
della natura umana, la sua capacità di r ispecchiare e
di indagare la totalit à del mondo; esso tende perciò
a produrre una im magine del mondo capace di
imporre un ordinam ento così universale alla realtà,
sia nei suoi aspett i mitici che in quelli logico-causali,
da poter rappresentare cosmogonicamente la
creazione, anzi da diventare essa stessa creazione.
Ogni mito culm ina in cosmogonia; esso è il pr ototipo
di tutto ciò che si può dire sul mondo, è una realtà
primaria e appunt o perciò irraggiungibile nella sua
elementare semplicità. Nessuna delle f orme
ereditate dal m ito in epoca tarda – non la
conoscenza storico-scientif ica, non la storiograf ia
con le sue varietà biograf iche o di altro tipo, non la
poesia stor ica – è riuscita ad esser e cosmogonia né
potrà mai r itornar e ad esser lo. Grazie al patrim onio
mitico er editato, ognuna di queste f orme tende
tuttavia a presentar e una totalità ordinata secondo
un cr iterio cosmogonico onde poter assur gere – nella
misura in cui riesce in questo intento – a ‘cr eazionÈ,
a nuova creazione del mondo» 274 .

274
H. Br oc h , L ’E r e d it à m it ic a d el l a p o es i a , i n : ID , P oes i a e c o n os c en za ,
c it ., p . 3 0 2.

171
Queste osservazioni trovano riscontro presso Mircea
Eliade, secondo il quale non solo tutti i miti, ma anche le
loro derivazioni (come le leggende epiche, o le ballate,
finanche i rituali più quotidiani, ovvero le semplici
abitudini) ripropongono, su scala diversa, la struttura dei
miti concernenti il fenomeno della Creazione; in tal senso,
la tipologia dei «miti cosmogonici» costituisce l’archetipo
mitico per eccellenza 275.
Propria degli antichi è l’aspirazione a comprendere i
misteri dell’universo – dai grandi dilemmi dell’umanità,
come la creazione, a quelli che interessano più
direttamente l’esistenza umana, come la nascita, la morte,
l’esperienza dell’amore o della guerra – come racconto
(ogni mito infatti, prima di ogni altra cosa, è innanzitutto
un racconto, e la sua caratteristica principale è il fatto di
venir trasmesso oralmente; un mito nasce per essere
raccontato), cioè secondo un modello intellegibile, rispetto
al quale l’uomo diviene in grado di misurare la propria
collocazione.
I miti elaborati dagli antichi costituiscono dunque la prima
manifestazione del desiderio di dipanare il «caos» in un

275
Cf r . M. E l i ad e , T r a tt at o d i s to r i a de l l e r e l i g io n i ( 1 9 4 8) , tr a d. i t. d i V .
V ac c a , B o l la t i B or in g h i er i , T or i n o 20 0 8; in p ar t ic o lar e , i l p ar . 1 5 6: « I m it i
c os m o go n ic i- m it i es e mp l ar i », da l C ap . 1 2 , « Mo r f o lo g i a e f un zi on i d ei
m it i », do v e, pr oc e d e nd o d a l l ’a n a lis i d i u n m ito c os m ogo n ic o de l l a
P ol i n es ia ( c he n ar r a l ’ em er s i on e d e l l’ I o d al l e ac qu e pr im or d i a l i) , E l ia d e
s p ie g a: «I l m it o c os m ogon ic o s er ve q u in d i a i P ol i n es ia n i d a m ode l lo
ar c h e ti p a le per t u tt e l e ‘c r ea zi o n i ’ , s u q u a ls ias i p i a no s i s v o l ga no . L a
f un zi o n e f o n dam en t al e d e l m it o è qu e l la d i s t ab i l ir e i m od e l li es em p l ar i d i
tu tt i i r it i e d i t ut t e l e a zi o n i um an e s i g n if ic at i v e» . ( v d . p. 3 7 3) .

172
«cosmo»; tentativo che costituisce l’esercizio più alto
dell’immaginazione e contraddistingue l’essenza stessa
della condizione umana: «L’uomo quando sogna è un Dio,
quando pensa è un mendicante», ricorda un celebre
aforisma di Hölderlin.
L’attitudine dell’uomo a coltivare l’immaginazione come
vocazione necessaria alla stessa salvaguardia della
propria condizione è appurata anche da Mircea Eliade; in
Miti, sogni e misteri, lo studioso spiega che, per l’umanità
primitiva, «l’esperienza religiosa fonda il mondo:
l’orientamento rituale, rivelando le strutture dello spazio
sacro, trasforma il ‘caos’ in ‘cosmo’ e, quindi, rende
possibile un’esistenza umana (cioè le impedisce di
regredire al livello dell’esistenza zoologica)» 276.
Questo sogno di intendere il mondo come un mistero da
illuminare, che nel saggio sulla Denigrata eredità di
Cervantes 277 Kundera descrive come una delle più
importanti illusioni europee, è però incrinato dal progresso
scientifico, che provoca uno slittamento della concezione
del sapere, originariamente intesa come capacità di
sviluppare una visione omnicomprensiva, verso l’idea di
una molteplicità di saperi, tanto più specialistici, quanto
più difficili da ricondurre ad una logica comune.

276
Cf r . M. E l i ad e , Mi t i , s o gn i e mis t er i, c i t. , p . 1 3.
277
S ag g i o c om pr es o n el l ’ L ’A r t e d e l r o ma n zo , c it ., p p . 1 3- 3 8.

173
Kundera riassume in questi termini la parabola dello
smarrimento dell’uomo dinanzi a questa ramificazione
dello scibile:

«Il progresso scientif ico aveva spinto l’uomo nei


tunnel delle discipline specializzate. Più aumentava
il suo sapere, più egli per deva di vista tant o
l’insieme del mondo quanto se stesso, aff ondando
così in quello che Heidegger, discepolo di Husser l,
chiamava, con una f ormula bella e quasi magica,
l’’oblio dell’esserÈ. Quello stesso uomo che
Descartes aveva eretto un tempo a ‘signore e
padrone della natura’ diventa una semplice cosa per
le f or ze (della tecnica, della polit ica, della Stor ia)
che lo superano, lo travalicano, lo possiedono. I l suo
essere concreto, il suo ‘mondo della vit a’ (die
Lebenswelt) per queste f orze non ha più nessun
valore e nessun interesse: è eclissat o, è già caduto
nell’oblio» 278.

278
Iv i, p . 1 6. L a m edes i m a c onc e zi o n e d i s c ie n za , in tes a c om e d is c i p li n a
v ot at a a l l ’a r r ic c h im ent o d e ll o s c ib i l e, ma no n pe r qu es to
nec es s ar iam en t e a nc h e d e l la v er a c on os c en za , è c ol t i va t a a nc he da C ar l
G us t a v J u ng , s c i en z i at o no t or i am en te a n tic o n ve n zi o n a l e. Ne l l a s ua
au t ob i og r af ia , R ic or d i, s og ni e r i f les s i o ni ( 19 6 1) , A. J af f é ( a c u r a d i) ,
BU R, M il a no 20 0 8, r i por ta i l r ic or do d i un di a l og o c o n u n i nd i a no
pu e b los , inc o ntr at o ne l c o r s o d i u n o d e i n u m er os i v i ag g i d i J u ng , da c u i
lo ps ic hi a tr a r ic a v a i nt er es s an t i c o n s i der a zi o n i s ul l a s c is s io n e
de l l ’ an im a, s ub i ta da g li e ur o p e i c i v i l i z za t i: «C ap i i al l or a d a c h e c os a
d ip e nd es s e l a ‘ d ig n it à ’ , i l c o nt e gn o c a lm o e s ic ur o de l l ’ in d i v id u o i n d ia n o:
da l l ’ es s er e f ig l i o de l s o le . La s u a v i ta h a u n s ig n if ic at o c os m ol og ic o,
per c h é e gl i a i ut a i l p a dr e e c ons er v at or e d i og n i v i ta n e l s u o qu o t i di a no
s or g er e e tr am on tar e . S e a c iò p ar a g on i am o la n os tr a a ut os uf f ic i en za , il
s i gn if ic a to d e l le nos tr e v it e c os ì c om e è f o r m ula to d a l la nos tr a r ag i o ne ,
no n p os s iam o a l l or a s ot tr a r c i al l ’ im pr es s i o ne de l l a n os tr a p o ver tà . P er

174
A provocare l’indebolimento della «pensée mythique», il
pensiero di tipo unitario che contraddistingue gli antichi 279,
a favore della nuova «pensée occidentale» (come Lévi-
Strauss chiama la forma mentis moderna 280), soggetta al
turbine della disgregazione provocato dal progresso, è la
Rivoluzione scientifica, maturata a cavallo tra il XVI e il
XVIII secolo, a seguito di alcune intuizioni filosofiche,
come i principi che definiscono il razionalismo cartesiano,
e di alcune scoperte scientifiche, ad esempio
l’introduzione del metodo sperimentale ad opera di Galileo
Galilei.
Tuttavia, il trionfo della scienza non offusca
completamente il mito, e l’immaginario ad esso connesso;

pur a i n v i di a s i am o o b b li g at i a s or r i de r e d e l l ’ in g en u it à d eg l i i n di a n i, e a
v an t ar c i d e l l a nos tr a i nt e l li g en za ; per c h é a l tr im e nt i s c o pr ir em m o qu a nt o
s i am o im po ve r i t i e d ec a d ut i . L a c o n os c e n za [s c i en t if ic a, c io è i nt es a
c om e s em pl ic e p os s es s o d el l o s c ib i l e, n .d .r . ] n o n c i ar r ic his c e; c i
a ll o nt a na s em pr e p iù da l m on do m it ic o ne l qu a l e un a vo l ta v i ve v a m o per
d ir i tt o d i n as c it a ». I v i , p. 3 0 2.
279
A nc h e p er C ons t an ti n C a za b an «i l ‘p e ns ier o m i tic o ’ è i l m eno
d is c o nt i n uo tr a t ut t e l e a l tr e f or m e d i pe ns i er o » ( « l a ‘ p ens é e m yt h iq u e’
es t m oins dis c o nt i nu e qu e t ou te a u tr e f or m e d e p ens é e») . Cf r . C .
Ca za b a n, T e mps m us i c a l/ Es pac e m us ic al c o m me f o nc t i ons l og i q ue s , c it .,
p. 1 9 6.
280
L ’o p pos i zi o n e tr a l e du e f or m e di p ens i e r o, m it ic a e m oder na , g ià
des c r i tt a n e l l ’O uv er tu r e e ne l F i na l e d i Mi t o lo g ic h e , c i t. , è r im ar c at a i n
m ani er a p i ù n et ta n e l c or s o d i un a d el l e c i nq u e i nt er v is t e r a di of on ic h e
c he Cl a u de Lé v i- S tr a u s s r i las c i a i n in g les e p er l a C a na d i an Br oa dc as t i ng
Cor p or a t io n , po i r ac c o lt e i n My t h an d Me an i n g ( ed . S hoc k e n B ook s ,
19 7 9) , a lc un e d el l e q ua l i s o no s t at e t r a d o tt e e r i vis t e in f r a nc es e d a
Lé v i- S tr a us s per i l n . 3 11 d i « M ag a zi n e l it tér a ir e» , g i u gn o 19 93 . D i
qu es te c o n ver s a zi o n i r a di of o n ic h e è pr e s en t e a nc he u na v er s io n e
it a l ia n a, a c ur a d i C es ar e S eg r e ( Mi t o e s ig n if ic at o , I l S a gg i at or e, 19 9 7) .
In par t ic o l ar e, l ’ in te r vi s ta a c u i s i f a r if er im ent o è I l Mit o e l a mus i c a ( I v i,
pp . 5 7- 6 7) , in c u i l o s t ud i os o f r anc es e d if e n d e l a per t in e n za d i u n o s tu d io
s u l r a p po r t o ( c he Lé v i- S tr a us s d ef i n is c e d i «s om ig l ia n za » e di
«c o n ti g u it à» ) tr a q u e s ti d ue am bi t i d a l le a c c us e d i ar b i tr a r i e tà c he n e
a ve v a no ac c o l to la s u a pr im a es p os i zi o n e i n Mi to l og ic a .

175
come osserva Lévi-Strauss, esso scivola solo in secondo
piano 281: ad assicurarne la sopravvivenza, in maniera
diversa, sono le due arti della musica e del romanzo.
Nel Finale che conclude Mitologica, l’antropologo francese
riflette sul rapporto che unisce il mito e la musica, sulla
base dell’analisi della loro analogia formale.
Per Lévi-Strauss, entrambi possono essere interpretati
come dei «sottoprodotti» 282 del linguaggio naturale, che è
composto dei tre elementi del suono, della struttura e del
senso. Essi si differenzierebbero comunque per il fatto
che, mentre nella musica la configurazione strutturale
aderisce direttamente al suono – senza la mediazione del
senso –, i miti consistono in strutture di senso, che non
presuppongono il suono come condicio sine qua non per la
loro esistenza 283. Tuttavia, precisa Lévi-Strauss, questa
simmetria diviene evidente solo durante un determinato
periodo storico, e particolarmente in riferimento ad «una
certa forma di musica nata verso il XVI e il XVII secolo e

281
I v i, p . 5 8.
282
C. L é v i- Str a us s , F i na l e, in : I D, L ’U o mo n ud o, tr a d. i t. d i E. Luc ar e l l i, I l
S ag g i at or e , M i l an o 1 9 74 , p . 61 0 .
283
Cf r . L é v i- Str aus s : « No n s i p u ò d un q ue s os t e ner e c h e i l m it o s i a
af f r anc at o da l l i n gu a g g io c om pl e tam en te , c om e l o è la m us ic a . Rim an e
an zi u n ’ i nt es a c on e s s o. T ut ta v i a, i l d is t a c c o, p er q u an t o r e l at i v o, s i
tr a d uc e ug u a lm ent e, dur a nt e l a nar r a zi o n e d e l m ito, i n te n ta t i v i p er
r ec u p er ar e i l s uo n o , s im i l i a l l e ve l l ei t à d e l l ’as c o lt at or e d i u n a
c om pos i zi o n e m us ic a l e c h e t en d er eb b e a c onf er i r l e un s ens o . I l m ito è
at t ir a to ver s o i l s ens o c om e d a u n a c a lam it a; e qu es ta a der e n za p a r zi al e
c r ea , d al l a pa r t e de l s uo n o, u n v uo t o v ir t u a le c h e i l nar r a tor e s en t e il
b is o g no d i c o lm ar e c on var i pr oc e d im en ti : ef f ett i v oc a l i o g es t u a li c h e
s f um ano, m od u la n o o r af f or za n o i l d is c o r s o » . I v i , p. 61 1.

176
di cui assistiamo oggi al progressivo spegnersi, dopo
l’esaurimento delle sue potenzialità» 284.
Quando, in concomitanza con la temperie culturale che
segna la nascita dei tempi moderni, il mito smette di
rappresentare il riferimento cognitivo principale, a
vantaggio del pensiero scientifico nascente, gli stessi
modelli strutturali – corrispondenti ad altrettante
possibilità di conseguire una comprensione totalizzante –
che ne avevano costituito la prerogativa fondamentale,
vengono assorbiti dalla musica: risalgono proprio a questo
periodo le prime elaborazioni più compiute di forme
musicali come la variazione su tema o la fuga, che
secondo Lévi-Strauss corrispondono agli schemi che
presiedono alla costruzione dei miti.
Proprio nella forma della fuga Lévi-Strauss riconosce il
modello mitico per eccellenza 285: per lo studioso, il suo
schema di base, costituito dall’alternanza di diverse voci,
che si sovrappongono man mano fino all’armonizzazione
finale, è lo stesso che si può riconoscere nella
composizione di alcuni miti, organizzati intorno alla
contrapposizione di diversi gruppi di personaggi.

284
I v i, p . 6 15 .
285
Cf r . L é v i- Str a us s : «O r a, s em br a pr opr i o c h e i l m om ento in c ui m us ic a
e m ito l og i a h an n o c o m inc i at o a d a p par ir e c om e im m agi n i c a po v o l te l’ u na
de l l ’ al tr a, c o inc i d a c on l ’ i n ve n zi o n e d e l la f uga , c io è un a f or m a d i
c om pos i zi o n e c h e ( …) es is t e p i en am en te c o s ti t ui t a n e i m it i, ne i q ua l i l a
m us ic a a vr e bb e p ot ut o d a s em pr e a n da r e a c er c a r l a ». I b id e m.

177
A pochi anni dalla pubblicazione di Mitologica, Lévi-
Strauss riassume questo stesso confronto in una
conferenza dedicata espressamente al rapporto tra il mito
e la musica:

«Non si tratta solo di una rassomiglianza


complessiva. È proprio come se, inventando le f orme
musicali specif iche, la musica non avesse f atto altro
che r iscoprire strutture già esistent i al livello m itico.
Ad esempio, è davver o impressionante constat are
come la f uga, quale venne f ormalizzata all’epoca di
Bach, sia una rappresentazione quanto mai realist ica
del f unzionamento di alcuni particolari miti. Par lo dei
miti in cui abbiamo due personaggi, o due gruppi di
personaggi che, semplif icando molto, potremmo
descr ivere come uno buono e l’altro catt ivo. La stor ia
narrata nel mit o è basata sui tent ativi che un gruppo
di personaggi compie per f uggire e salvarsi dall’altro
gruppo; un gruppo quindi dà la caccia all’altro e
talvolta il gruppo A r iesce a raggiungere il gruppo B,
talvolta il gruppo B scappa – propr io come in una
f uga musicale. Abbiamo quello che in f rancese si
dice ‘le sujet et la réponsÈ. L’ant itesi o antif ona
continua per tutta la vicenda, f inché i due gruppi
sono quasi amalgamati e conf usi – come avviene
nella stretta della f uga. La soluzione f inale o l’acme
di questo conf litto è rappresentata dalla
conciliazione dei due principi che er ano contrapposti
per tutta la durata del mito. Può trattarsi di un

178
conf litto tra le potenze celesti e i pot eri terreni, f ra il
cielo e la terra, o f ra il sole e le f orze degli inf eri, e
così via. La soluzione m itica della conciliazione
assomiglia molto, nella struttura, agli accordi che
risolvono e concludono il br ano musicale, poiché
anch’essi operano una conciliazione di estremi che
vengono f inalmente per una volta riunit i. Si potrebbe
anche dimostrare che alcuni m iti, o gruppi di mit i,
sono costruit i come una sonata, o una sinf onia, o un
rondò, o una toccat a, o una qualsiasi delle f orme
musicali che la musica in ef f etti non ha inventato, ma
preso inconsapevolmente a prest ito dalla struttura
del m ito» 286.

Così, conclude Lévi-Strauss al termine dell’analisi che


conclude Mitologica, «Quando il mito muore, la musica
diventa mitica» 287; ovvero, i compositori si rivelano i primi
a cogliere e a riplasmare in un altro materiale la proprietà
distintiva dei miti – la possibilità di restituire l’illusione di
una visione omnicomprensiva, che scaturisce da quelle
prime forme di rappresentazione della realtà – e, per
questo, a partire dal XVI secolo, a presentarsi come il
massimo riferimento culturale. In realtà, il passaggio dal
mito alla musica di questa missione totalizzante non fa
che porre maggiormente in risalto la funzione

286
C. L é v i- Str a us s , I l Mi t o e l a m us ic a , c i t. , pp . 6 2- 63 .
287
Cf r . C . Lé v i- S tr a us s : «Q ua n do i l m it o m u or e, l a m us ic a d i v en ta m itic a
c os ì c om e l e o per e d ’ ar t e, q u an d o m uor e la r e l ig i o ne , c es s a n o d i es s er e
s em pl ic em ent e be l l e p er d i ve nt ar e s ac r e » . Ci t. d a L ’U o mo n u do , F i na l e,
c it ., p . 6 1 6.

179
cosmogonica che sin dalle origini è connaturata all’arte
musicale: l’etnologo Marius Schneider riporta che, presso
le popolazioni arcaiche, era viva la convinzione che fosse
stato un canto ad originare il mondo; alcune leggende in
circolazione tra i paesi rivieraschi dell’Oceano Pacifico, ad
esempio, raccontano che la materia primordiale sarebbe
stata destata da una volontà sonora, provocando uno
scontro da cui avrebbe tratto origine la Creazione 288.
Così, l’incipit più celebre della storia, «In principio era il
Verbo», piuttosto che in riferimento ad una particolare
parola generatrice, potrebbe essere interpretato più
generalmente come allusione ad un atto acustico, da cui
tutto poi sarebbe scaturito; leggendola in questa
prospettiva, anche nella scala dei suoni, alla maniera di
una cabala, sarebbe possibile scorgere un modello
dell’universo. Lo stesso costume tribale di accompagnare
al suono della musica, non solo le feste o le
rappresentazioni artistiche, ma in generale le semplici
manifestazioni della vita quotidiana (dalla preparazione
per la caccia ai raduni sociali, dal saluto al sole alla
nascita dei figli) rivela il forte impulso religioso delle
società arcaiche a ricondurre anche i gesti più ordinari al
loro atto primigenio fondatore; cioè, a quella prima volta

288
Cf r . M . Sc h n ei d er , I l S ig n if ic a to d el l a mus i c a ( r ac c o l ta d i s ag g i r ed a tt i
tr a il 1 9 51 e i l 19 6 0) , tr a d. i t. d i A. A ud is i o, A. S a nf r at e l l o e B .
T r ev is an o, Pos tf a z. d i E . Z o l l a, E d i zi o n i S E , M i l an o 2 00 7 . I n p ar t i c o lar e,
r im an d iam o a l s ec on do c a p it o lo d el l a pr i m a par t e ( «L ’E s s e n z a d e l la
mus ic a ») : « L a m us ic a c om e m o de l l o d e l mo n do » , pp . 5 1- 58 .

180
straordinaria – perché predisposta da un ente divino – che
figura alla base della serie di ripetizioni prosaiche
perpetrate dagli uomini 289; nella musica, che assume in tal
modo il ruolo di ponte tra il contingente e l’assoluto, le
popolazioni pre-storiche trovano la possibilità di dotare di
senso l’esercizio della vita quotidiana.
Mitica prima ancora della nascita dei miti, – «Mito il cui
codice è il suono invece della parola» 290, precisa Lévi-
Strauss in un altro passaggio del Finale –, proprio per tale
la ragione, alla scomparsa di questi ultimi, la musica si
presenta come l’arte più adatta a perpetuarne il compito.
D’altro canto, anche la letteratura contribuisce a
preservare l’eredità dei miti, all’indomani della loro
scomparsa sotto l’egida della scienza; tuttavia,
quest’ultima non ne raccoglie le strutture, bensì i contenuti
(gli archetipi derivati dall’inconscio collettivo e le storie a
cui essi danno luogo) deformalizzati, cioè affrancati dagli
schemi logici che si erano propagati tramite i miti.

289
P er m agg i or i a ppr of o nd im en t i i nt or no a q ues ta m et af is ic a de l la
r i pe t i zi o n e c o l ti v a ta pr es s o l e s oc i e tà pr e- m od er n e, r im an d iam o a qu a nt o
ab b i am o s c r i tt o n e l C ap . 2 , Da l l a fi l os of i a a l r om a n zo : c o nfr o nt o tr a
m etod o e f or m a d el l a v ar ia zi o n e s u t e ma , in par t ic o l ar e n e l la n ot a n. 30 ,
no nc hé a l s a gg i o d i M ir c e a El i a de gi à m en zi o n at o, I l Mi t o de l l ’et er no
r it or n o. Ar c h et i pi e r i pe t i zi o n e, c it ., d o v e lo s t ud i os o s c r i ve : « Ne l
par t ic o l ar e s u o c om por t am en to c os c i e nt e i l ‘ pr im it i vo ’ , l ’ uom o a r c a ic o ,
no n c on os c e a tt o c h e no n s ia s ta to p os t o e v is s ut o a nt er i or m ent e da u n
a ltr o, d a u n a l tr o c h e no n er a u n u o mo . C i ò c he e g li f a , è g i à s t at o f at to ;
l a s u a v it a è l a r i pe t i zi o n e in i nt er r ot t a d i g es t i i na u gur a ti d a a l tr i ». C it. ,
p. 1 7 .
290
C it ., p . 6 22 .

181
Lévi-Strauss riconduce a questo passaggio le origini del
romanzo moderno, che lo studioso francese fa
corrispondere a quel momento in cui l’immaginario depone
le strutture del mito per prodursi attraverso forme più
libere. Su questa base, Lévi-Strauss contrappone al
confronto precedentemente esposto tra la musica e il mito
un nuovo parallelo, che in questo caso collega la musica
al romanzo: entrambi depositari dell’eredità mitica, tuttavia
la prima ne avrebbe assicurato la perpetuazione
dell’«anima» 291, mentre il secondo la sopravvivenza di ciò
che, semplificando, si può intendere come il corpo, i
contenuti.
Ciò induce lo studioso ad individuare un rapporto di
contiguità tra le due arti:

«Si comprenderebbero meglio così i caratteri


complementar i della musica e della letteratura
romanzesca dal XVI I o XVIII secolo ai nostri giorni:
la prima f atta di cost ruzioni f ormali sempre carent i di
senso, l’altra f atta di un senso tendente verso la
plur alità, ma in disgregazione dal di dentro man
mano che prolif era al di f uori a causa della sempre
più palese mancanza di un’ossat ura int erna,
mancanza a cui il nuovo romanzo tenta di porre

291
Cf r . C . L é vi- S tr aus s : « Er a qu i n di nec es s ar i o c h e i l m ito i n q ua nt o ta l e
m or is s e pe r c h é la s u a f or m a us c is s e f u or i, c om e l ’ an im a c h e s i s ep ar a
da l c or p o , e a n das s e a c h i ed er e a l la m us ic a i l m od o p er r e i nc ar nar s i ».
Iv i , p. 61 5 .

182
rimedio con un puntellament o ester no, che però
ormai non ha più niente da sorreggere» 292.

Tuttavia, questi equilibri non perdurano che fino al XVIII


secolo, a partire dal quale sembra definirsi una svolta
ulteriore nel rapporto tra la musica e il romanzo.
L’operazione metamusicale di cui si fa interprete Wagner
(fautore della Gesamtkunstwerk, l’opera totale) segna
l’inizio di un processo di esautoramento delle forme
musicali classiche; a proposito del declino subito dalle
strutture compositive impiegate nella musica fino a quel
momento, André Gide, ad esempio, fa proclamare ad uno
dei suoi personaggi:

«Dopodiché (…) il mondo è guar ito dalla malattia


della f uga per molto tempo. L’emozione umana non
ci si è più pot uta alloggiare, ed ha cercato un altro
domicilio» 293.

Ora, l’abbandono degli schemi tonali (e della relativa


coerenza organica), in base ai quali erano state
organizzate le composizioni fino a quel momento,

292
Ib .
293
Il p er s o na g gi o c it a t o è La ur a, am ic a d e ll o s c r it t or e E do u ar d n e l
r om an zo I F a ls ar i. L a d is c us s i o ne i nt or no a l des t in o s ub i to d a l pr i nc i p i o
c om pos it i v o d e ll a f u g a v i e ne s us c it at a pr o pr io da l l ’ an n unc i o d i E do u ar d
d i s c r i v er e u n r om a n z o s ec o nd o le l eg g i c h e r e g ol a n o i l c a p o la v or o d i
B ac h L ’A r t e de l l a f u g a. C it . d a A. G i d e, I F a ls a r i ( 1 9 25) , tr a d. d i O . d e l
B uo n o, Bom p ia n i, M i l a no 20 0 4, p . 1 80 .

183
equivale, di fatto, all’espulsione dalla musica delle
strutture mitiche.
In questa tappa, piuttosto che un’evoluzione, Lévi-Strauss
sembra ravvisare un’inversione: come un tempo la musica
aveva desunto la sua configurazione dai miti, e ne aveva
quindi recuperato la struttura organica interna, il suo
nuovo orientamento verso la combinatoria seriale (esito
più evidente della rivoluzione atonale condotta nel XX
secolo) rifletterebbe la tendenza della musica ad
assorbire, in questo secondo caso, la condizione informe
della letteratura romanzesca, ridotta ormai, alle soglie del
XX secolo, alla semplice funzione di supporto di una trama
unilineare.
Per Lévi-Strauss, tale modificazione segna un ritorno allo
stadio pre-mitico, epoca in cui gli uomini non avevano
ancora imparato ad interrogarsi sul mondo come totalità e,
di conseguenza, non avevano sviluppato delle ipotesi
ontologiche.
Ciò sembrerebbe testimoniare la possibilità di un ritmo
ciclico nello sviluppo delle arti 294; esso non sarebbe
condizionato dalla successione degli eventi storici o dei

294
Q u es t a pos s i b il i t à s e m br a es s er e a v va l or at a a nc h e da Her m an n Br oc h ,
c on p ar t ic o la r e r if e r i m ento a l l ’ar t e l e tt er ar i a. Lo S t i le d e l l ’e t à m it ic a s i
apr e c on qu es ta c ons i der a zi o n e: «O m er o s i tr o v a s u l la s og l i a i n c ui i l
m ito s a l e al a po es i a; T ols t ój s u q ue l l a in c u i la p oes i a r it or na a l m i to . D a l
m ito a l m it o : t ut ta o q uas i l a s t or i a d e l la l et t er a t ur a e ur op e a s i s t e nd e da
O m er o a T ols t ój . M a c h e t i po d i s vi l u pp o è d un q ue q ue l l o d e l la
es pr es s i on e um an a s e, a lm en o a p par e nt e m ente , es s a r i tor n a a ll a s u a
s or g e nt e, a l m ito ? N o n s i tr a tt a f o r s e d i u n ta r d i v o r it or n o al l e o r i gi n i ?
( …) ». C it . d a H. Br oc h , Lo St i l e de l l ’e t à m it ic a, c it. , p . 31 5 .

184
mutamenti sociali – nel cui caso, il cammino delle arti ci
apparirebbe parallelo e non complementare, cioè
asincronico, come invece si è fin qui sostenuto –, ma da
criteri puramente estetici, quali la possibilità di rinvenire
soluzioni formali di volta in volta nuove, dunque in grado
di rinnovare la percezione della realtà 295.
La musica, la prima tra le arti ad ingaggiare la missione di
ricomporre un’immagine unitaria dell’esistenza, a seguito
del declino dei miti, sarebbe dunque stata anche la prima
ad esaurire il bagaglio formale necessario
all’espletamento di questo compito.
Quest’ultimo verrebbe allora preso in carica dal romanzo,
secondo quel principio di contiguità delle arti enucleato da
Lévi-Strauss: «I vari ordini culturali si danno il cambio e,
prima di scomparire, ciascuno di essi trasmette all’ordine
più prossimo ciò che costituì la sua essenza e la sua
funzione» 296.
Nel momento in cui la musica reagisce all’esautorazione di
quelle strutture compatte derivate dalle forme dei miti,
liberandosene attraverso la loro disgregazione nella
musica seriale, la letteratura, e in particolar modo il

295
Un ’os s er v a zi o n e s im il e è ef f et tu a ta d a M i l an K u nd er a c he , c om e g i à
Lé v i- S tr a us s , r il e v a tr a la m us ic a e i l r om an zo eu r o p ei u n r ap p or t o di
c om pl em ent ar it à : s ec on d o i l r om an zi e r e , q ues t e du e ar ti s i s ar eb b er o
s v i lu p pa t e i n m an i er a s im il e, m a c o n t em pi di v er s i ; K u nd er a n e de d uc e
c he « i l r itm o d e l la s tor i a de l l e ar t i n o n è d e ter m i na t o d a f att or i
s oc io l og ic i o p o l it ic i, b ens ì d a f a tt or i e s te t ic i : l eg a ti al c a r at ter e
i ntr i ns ec o di q ues t a o qu e l l ’ar te ( …) ». C it . da M . K u nd er a, I T es t am e nt i
tr a d it i , c it ., p. 6 3.
296
In L ’U o m o n u do , F i n a l e, c it. , p . 61 6 .

185
romanzo, la cui progressiva riduzione – giunta al culmine
nel corso del XIX secolo, soprattutto dopo Balzac – alla
funzione di mero sostegno di una trama unilineare aveva
nel frattempo fortemente limitato le sue possibilità
conoscitive, comincia ad appropriarsene e a riconoscere
proprio in quei modelli, ormai pian piano abbandonati dalla
musica stessa, i criteri necessari alla sua rivoluzione
formale.
A conferma del rinnovamento ottenuto dal romanzo,
all’inizio del Novecento, grazie all’apporto delle forme
musicali, in Musique de roman Vuong scrive: «Tema e
variazioni, soggetto e risposta di una fuga, forma sonata
con esposizione, sviluppo e coda, quale scrittore non ha
sognato per la sua opera condizioni formali talmente
eleganti e rigorose?» 297.

3.3. Sulla musicalizzazione del romanzo

Marcel Proust, Hermann Broch, Thomas Mann (soprattutto


per il suo impiego del leitmotiv 298), Milan Kundera, Danilo

297
T r ad u zi o ne nos tr a d al f r anc es e: «T hèm e et v ar ia t io ns , s uj e t et r ép ons e
d ’u n e f ug u e, f or m e s o na t e a v ec ex p os it i o n, dé v e l op p em ent et c o d a, q ue l
éc r i va i n n ’ a r ê v é p our s on œ u vr e de c on d it i o ns f or m el les aus s i é l é ga n tes
et aus s i r ig o ur eus es ? ». H . H . V u on g, Mu s i q ue de r o ma n . Pr o us t , Ma n n,
J oy c e , c i t. , p . 2 7.
298
A d es em p io , v d . La Mo n ta g na inc a nt at a ( 1 92 4) , tr a d. it . e In tr o. d i e .
P oc ar , Pr ef a z. d i G . M on t ef os c h i , Co r b ac c io , M i l an o 1 9 99 2.

186
Kiš, Saul Bellow 299 e altri autori rappresentativi del primo e
del secondo Novecento, ricavando dalla musica i criteri
necessari alla strutturazione delle loro opere, perseguono
quel processo di musicalizzazione del romanzo, descritto
dallo stesso Broch come l’unica possibilità rimasta a
quest’arte – all’indomani della frammentazione di una
visione unitaria dell’esistenza – di riuscire a convertire il
caos in cosmo (dando luogo ad una forma organica) e così
assolvere i suoi tre compiti: conoscitivo, etico e catartico.
La musica, «la più ‘sintattica’ di tutte le arti» 300 secondo la
definizione di Broch, offre al romanzo i criteri che gli
servono a ricollocare i vari «vocaboli di realtà» 301 –
corrispondenti alle diverse proiezioni del mondo sviluppate
dalle singole ideologie, commerciale, politica, scientifica,
etc., ma la cui correlazione appare in genere sempre più
incomprensibile – all’interno di un quadro unitario che ne
rappresenti la sintesi.

299
Cf r . J . R us s el l R ea v er , S a ul B el l o w ’s So n at a- A ll e gr o a s a n
E mer s o n ia n I de a l: H en d er s on ’s I ma g in a t i on C o nv er t ed t o R e a li ty , in
Pr oc e e d in gs of t he IX t h C o ngr es s o f t h e I n ter n at i on a l Co m p ar a t iv e
L it er a t ur e As s oc i at i on , I nns br uc k , 1 97 9, II I. Li t er a t ur e a nd t he O th er
Ar t s , e d. Z . K ons t an t in o v ić , S t. P. Sc h er , U. W eis s tein , In ns br uc k , 19 8 1.
300
H. B r oc h, Lo St i le de l l ’et à m it ic a,c i t. , p . 31 7
301
Cf r . H. B r oc h: «( …) i l r om an zo d e v e es s er e s p ec c h io d i tu tt e l e a ltr e
im m ag in i d e l m on do c he t ut ta v i a s o no p er es s o s em p lic i voc a bo l i de l l a
r ea l tà , c om e q u als i as i al tr o v oc ab o l o d el m o nd o es t er n o . E pr o pr i o c om e
per og n i a l tr o v oc a b o lo d e l l a r e al t à as s un t o da l m on do es t er n o , i l
r om an zo d e v e i ns er ir e e s is t em ar e q u es t e i m m agin i d el m on d o n e ll a s ua
s pec if ic a s in tas s i po et ic a» . In L ’I m m a g in e d e l mo n d o ne l r om a n zo , c it . ,
pp . 29 5- 2 96 . C o g l iam o l ’oc c as i on e pe r r im an d ar e a l C ap i to l o Pr i m o: L a
V ar ia zi o n e s u t em a d a l la m us ic a al r o m a n zo , in c u i è es pos ta u n a pr im a
pr es e nt a zi o n e de l l a t e or ia d e ll a m us ic a l i z za zi o n e de l r om an zo id e at a da
Br oc h .

187
La grande influenza esercitata dalla musica sui
meccanismi compositivi del romanzo novecentesco, in
alcuni casi, si estende fino a coinvolgere anche la cura
dello stile o la sonorità del linguaggio: nei romanzi Viaggio
al termine della notte (1932) e soprattutto Guignol’s band
(1944) di Louis-Ferdinand Céline, o nei più recenti Il
Persecutore (1967) di Julio Cortázar e Be-bop (1995) di
Christian Gailly, il ritmo fluido della scrittura è ispirato, ad
esempio, alla musica jazz.
In altri casi, invece, essa può condurre i romanzieri a
prediligere la narrazione di storie direttamente ispirate a
quest’arte.
Nel Novecento ha luogo una proliferazione di opere
romanzesche evocanti la figura di musicisti, realmente
esistiti o puramente fittizi: è il caso dei romanzi già
menzionati, come Schule der Geläufigkeit di Gert Jonke,
La Traversée du Pont des Arts di Claude Roy, L’Offrande
musicale di Yves-Michel Ergal, Les Variations Goldberg di
Nancy Huston, o Il Libro del riso e dell’oblio di Milan
Kundera (in cui compare il personaggio di Beethoven) 302;

302
L a f ig ur a d i B ee t ho v en è ug u a lm ent e e v oc a t a i n a ltr i r om an zi d i
K un d er a : L ’I ns os te n ib i l e l e gg er e z za de l l ’e s s er e , c it ., d o v e l ’ u lt im o m oti vo
de l la v or o c h e i l m aes tr o t ed es c o c om po s e im m edi at am ent e p r im a d i
m or ir e ( i l q ua r t et to n. 16 de l l ’o p us 1 3 5) s i c onf i g ur a c om e i l l e i t- m o tiv
c he u n is c e l ’ es is t e n za de i d ue pr ot a go n is t i, T om áš e T er e za , e
L ’I m mor ta l i tà ( tr a d . i t . d i A . M ur a, Ad e l p h i, M i l a no 19 9 0) , in c ui la
c on tr o ver s a r ic e zi o n e de l l a s u a m us ic a pr es s o i p os t er i è pr es en t at a
c om e un a de l l e pr os pe tt i v e da c u i in q ua dr a r e i l t em a d i f o n do d e l
r om an zo , r e la t i vo a l la pos s i b i li t à d i c on q uis tar e l ’im m or ta l it à. Ne l l ’ ul t im o
r om an zo k u nd er i an o , L ’I g n or an za ( c it .) , v i en e in v ec e r a pp r es e nt at o il

188
ma anche di numerose altre opere: Jean-Christophe
(1904-1912) di Roman Rolland, scrittore sedotto dalle
potenzialità del «romanzo musicale» 303, Il Dottor Faustus

c om pos it or e Ar n o ld Sc hö n be r g , l a c u i es p er i en za d e l l ’es i l i o v i e ne pos t a a


c onf r on to c o n qu e l la de l p er s o n a gg i o d i Ir e n a. A pr es c in d er e d a l la
r is po n de n za d el l e s t or i e de i d u e m us ic is t i a qu el l a es p os t a n ei r o m an zi,
i l f a tt o c he i l p er s o n ag g i o d i B e et h o ve n c om pa ia n e i tr e r om an zi c he
s ug g e ll a no l a f as e de i r om an zi s c r it t i i n c e c o e c h e in v ec e i l r o m an zo
m agg ior m e nt e r a p pr es en t at i v o d el l a s ec o nd a f as e de l l a s u a pr o d u zi o n e
( qu e l l a i n f r anc es e) pr es e n ti l a f ig ur a d i Sc h ön b er g c i s em br a i nd i c at i v o
de l l a s vo l ta f or m al e i ns e g u it a d a l r om an zi e r e tr a un a s ta g io n e e l ’a l tr a
de l l a s u a p o et ic a, c h e p ur s o n o e ntr am be c ar a tt er i z za t e d a l r ic or s o a
m ode l li r ic a v at i d al l a m us ic a. T utt a v i a, m en tr e n e ll a pr im a f as e d e ll a s u a
at t i vi t à, t r a i v ar i m ode l li r e pe r i b i l i d a l l a m us ic a c om e pr i nc ip i d i
c om pos i zi o n e un i tar i a ( s ec on d o l ’ id e a le es t et ic o pr ef is s os i d a K u nd er a) ,
qu es t’ u lt im o c ons i de r a s opr at t ut to q ue l l a d el l a s on a ta f on d a ta s u l
pr inc i p io d el l e va r i a zi on e s u t em a, e s p ec i a lm ent e l ’e l a bor a zi o n e c he n e
of f r e B e et h o ve n ( l o s tes s o r om an zi e r e de s c r i v e l a s ua « s tr a te g i a
be e th ov en i an a d e l l e v ar ia zi o n i » n e i T es t am en t i tr ad i ti , c i t.) , i r om an zi d e l
s ec o n do p er io d o, q ue l l o f r anc es e, s o no pr i n c i pa lm en te is p ir a t i a l m ode l lo
de l l a f ug a . A q ues to r ig u ar do , s i c o ns ig l i a d i c onf r on tar e i l s a gg i o d i
Mas s im o R i z za nt e , L ’Ar t e d e l la f u ga r om a n ze s c a . S u l l ’I g n or an za d i Mi l a n
K un d er a , c he c h i ud e i l n. 2 0 d i «R i g a» a c u r a di M . R i z za n t e ( Ma r c os y
Ma r c os , 2 0 02 ) . A nc or pr im a d i B ac h ( i l g r an d e in v e nt or e d e l la f ug a ,
ad d it a to a nc h e d a Her m an n Br oc h m as s im o m ode l l o d i p er f e zi on e
f or m ale) , il c om pos i tor e da c u i Ku n der a d es um e i pr inc i p i ut i l i
a ll ’ or c hes tr a zi o n e de l l a « fu g a r o ma n ze s c a » s em br a es s er e Sc h ön b er g,
c he d a l s u o m aes tr o B ac h a v e v a im p ar a t o « l ’ ar t e d i c r ear e i l tu tt o a
par t ir e da u n n uc le o u n ic o » ( c f r . M. K u n der a , I T es t a me n ti tr a d it i, c it ., p .
61) . I n u n’ i nt er v is ta r i l as c ia ta a M as s im o R i z za n t e, da l t it o lo S u l la s on a ta
e s u l la f u ga , K u nd e r a c h i ar is c e le r a g i on i d e l la s ua s im pa ti a p er
l ’ in v e nt or e de l l a do d e c af o ni a , s m an te l l an d o l e pr e ve n zi o n i d i c h i r i t ie n e
qu es ta m us ic a un a s c is s io n e n e tt a r is p et t o a ll a t r a d i zi o n e: «( …) Ar no l d
Sc hö n ber g , q ua n do c r ea l a s u a m us ic a d o d ec af on ic a, r it or na a l v ec c h i o
pr inc i p io d e l la f ug a, c i oè , a ll a c om pos i zi o n e, l o c it o, d o v e t ut t o è ‘ c r ea t o
da un s o lo noc c i o l o’ , d o ve ‘ i gr u pp i di no t e s on o c r ea t i i n m odo da es s er e
i ns i em e ac c om pa gn am en t o e m el o d ia ’ . L a f u ga , p er m e, è l ’ es em pi o d e l la
per f e zi o n e f or m al e i n tu tt e le ar t i ; l ’ es em pio di u na c om pos i zi o n e f att a d i
un u n ic o b l oc c o i nd i v i s i bi l e do v e i l t em a e i l s uo c o ntr o t em a i n v ec e d i
s uc c e d er s i s o n o s em pr e pr es e n ti , in m od o q u as i s im ul ta n e o» . Ci t. da
Mi l a n K u nd er a r is p on de a Mas s i m o R i z za n t e. Su l l a s o na ta e s u l l a fu g a,
i n A l d i l à de l g e ne r e , M . Ri z za n t e , W . Nar do n e S. Z a n gr a n d o ( a c ur a
d i) , U ni v er s i tà d eg l i S tu d i di T r en t o, D ip . d i S tu d i Le tt er ar i, L i ng u is t ic i e
F i l ol o g ic i, 2 0 10 .
303 e
Cf r . A . Loc a te l l i, L it t ér a tu r e e t m us iq u e a u X X s i èc l e , Pr e s s es
Un i v er s it a ir es d e F r a n c e, P ar is 20 0 1, i l pa r . «L es s p éc if ic it és f or me l l es

189
(1947) di Thomas Mann, che presta alla musica del
compositore immaginario Adrian Leverkühn i caratteri
della dodecafonia – tecnica alla quale Mann confessa di
aver ispirato anche l’intera struttura del romanzo –, Il
Soccombente (1983) di Thomas Bernhard, ispirato alla
figura di Glenn Gould, o la Resurrezione di Mo zart (1989)
di Nina Berberova 304…
Tuttavia, nonostante l’accoglienza di storie ispirate al
mondo della musica appaia particolarmente rilevante nel
romanzo moderno, questo aspetto non ne rappresenta il
vettore principale.

du r om a n ‘m u s ic a l ’» , pp . 8 3- 88 d e l C ap . « Ro m an et n o uv e l l es i ns p ir és
par l ’ar t s o no r e », pp . 71- 9 1.
304
Un e le nc o p i ù es aus ti v o d i r om an zi c om p os t i d ur a nt e i l X X s ec o lo e
am bi en t at i n e l m ond o d e l la m us ic a è pr es e n ta to n el l i br o d i Au d e
Loc a te l l i ( I v i) , c h e i nd a ga i r a p po r t i i n t es s u t i tr a l a m us ic a e l a
l et ter at ur a n e l No v ec e n to s ec o nd o u n a pr os p et t i va le tt er ar ia e
s oc io l og ic a. Ne l c a p it o lo d e d ic a t o a l r ap p or t o c h e l ’ ar t e s on or a
i ntr at t ie n e s p ec if ic a ta m ente c o n i l r om a n zo , o ltr e a r ic on os c er e l a
pos s i b i li t à d i un ’ a na l og i a s tr ut tur a l e t r a l e du e ar t i ( v d. il pa r . «L es
s péc i f ic i t és f or me l l es du r o ma n ‘m us ic a l ’» , c it .) , l ’ au tr ic e d is t i n gu e, da
un a p ar t e, i r om a n zi i n c u i l a s u gg es ti o ne d el l a m us ic a i nf l u is c e s ul l a
m us ic a l it à de l l i n gu a gg i o, c h i am an do l i «r om ans de vo ix », r om an zi d i
v oc e ( c o nf r o nt a i l r e la ti v o p ar a gr af o, p . 8 8) . Da l l ’a l tr a , r i p ar t is c e anc h e i
r om an zi i n c ui l a s ug g es t i on e es er c i ta t a d a l la m us ic a s i e v inc e
d ir e tt am en te d a l c o n te nu t o d e l l ’o p er a , c io è da l l e s t or i e r a p pr es e n ta te , in
tr e c at e gor i e: q ue l l i d a i t it o l i ‘m us ic a l i ’ ( vd . par . p p. 7 6- 7 8) , c om e L es
V ar ia t io ns G o ld b er g d i N anc y Hus t on o Co nc er t o b ar oc c o d i A lej o
Car p en t er , i n c u i i t i to l i s o no r ic a va t i da qu e l l i d i br an i m us ic a li al l o
s c op o d i of f r ir e , g i à a par t ir e d al pa r a tes t o, un ’ i nd ic a zi o n e s u l l a r i c e zi o n e
de l l ’ op er a. I r om an zi ‘s t or ic i ’ ( vd . p ar . pp . 78- 8 0) , in c ui g li e s p lic i t i
r if er im en t i a de t er m in at i g e ner i m us ic al i r in c or r on o l o s c o po di c o nn o tar e
l ’e p oc a i n c u i s i s vo l ge l a s t or ia , a d es e m pio n e l c as o de i R ac c o n ti
de l l ’e t à d el ja z z ( 19 2 2) d i F r a nc is Sc ot t F i t zg er a l d. I nf i ne , i r om an zi ‘ d i
f or m a zio n e m us ic a l È ( v d. p ar . p p. 8 0- 83) , c h e m ett o no i n s c e na l ’ as c es a
d i m us ic is t i o a lt r i p er s on a gg i c h e c os t e l la n o i l m on do d e l la m us ic a, a c u i
Loc a te l l i as c r i ve anc he il r om an zo d i Pr o us t A l l a R ic er c a d e l t em p o
per d ut o, pe r v i a d e l per s o n ag g io de l c om pos it or e V i nt eu i l , c h e per ò in
qu es t’ o pe r a oc c u pa un r u o lo s o lo m ar g in a l e.

190
Presentando l’orientamento musicale come caratteristico
del romanzo novecentesco, in questa sede non intendiamo
riferirci né ad una questione di ordine stilistico e
linguistico, né ad una di ordine tematico; ma al modo in
cui la musica influenza il romanzo sul piano
dell’organizzazione macro-strutturale.
Come spiega Vuong, nel Novecento «la musica non è più
soltanto un oggetto di descrizione, allo stesso titolo di
qualsiasi altro oggetto reale, ma una forma» 305.
Anche il critico e romanziere Guy Scarpetta, autore di La
Suite lyrique 306, romanzo composto secondo i principi
strutturali che figurano alla base dell’omonima
composizione di Alban Berg, riconosce nell’espediente di
adottare le forme della musica la possibilità, per il
romanzo, di liberarsi dalla sovranità del plot o dagli altri
canoni imposti dalla tradizione ottocentesca:

«Non bisogner ebbe off rirne un’applicazione troppo


meccanica, troppo sistemat ica. Ma quel che è certo,
per me, è che in questo consiste un tratto
caratterist ico di un gran numero di r omanzi
important i di oggi. Mallarmé, all’epoca, rivendicava
in un testo celebre (La Musique dans les lettres) la
possibilità per la poesia di appropriarsi delle f orme e
delle f unzioni che f ino a quel momento erano state

305
T r ad. nos tr a d a l f r a n c es e : «l a m us i q ue n ’ e s t p l us s e u l em ent u n obj et
de des c r i pt i o n a u m êm e titr e q ue t o ut au tr e o bj e t r é e l, m ais u n e f or m e».
Ci t. da H- H. Vu o ng , M us iq u e de r om a n. Pr o u s t, Ma n n , J oy c e, c i t. , p. 2 5 .
306
G . Sc ar pe tt a , La Su i t e ly r i qu e , G r as s et , P ar is 1 99 2 .

191
ad appannaggio della musica. Ebbene, senza
dubbio, anche l’arte del romanzo ormai può
pretendere di aver assorbito alcuni pr incipi musicali
– o di averli conquistati – dalla musica. A patto di
precisare che non si tratta soltanto, per il r omanzo,
di lavorar e sulla m ateria f onica della lingua (come
nel caso di Joyce, o Céline, ciascuno alla sua
manier a) ma piutt osto di musicalizzare, più in
generale, la sua str ategia composit iva (considerat o
che il grande innovat ore, in questo campo, nella
modernità, è chiaramente Pr oust). I romanzi
contemporanei di cui tratto obbediscono sempre di
meno, per esempio, ad una strategia di sviluppo
progressivo, dove c’è un unico intreccio, la cui posta
è stabilita a partire dal pr imo capitolo, e che trova la
sua risoluzione nell’ult imo, al seguito di una ser ie di
peripezie ed episodi, concatenat i secondo un or dine
linear e, cronologico. Possono esserci, al contrario,
diverse linee di intr eccio che si intersecano (come
nell’Acacia di Claude Simon), o stor ie inscatolate,
come Etat de siège di Goytisolo – tra questi intrecci
o linee narrative si realizza un contrappunto
romanzesco (un gioco, per esempio, di echi e di
contrasti temat ici). La strutturazione può essere
anch’essa più tem atica che pr ogressiva – con
raccordi temporali, variazioni, ricorrenze,
ramif icazioni di mot ivi secondari: è il m odello della
‘grande f orma’ musicale (W agner, Mahler, l’opera di
Berg), e si sa che anche lo stesso Proust indicava
una parent ela tra la sua strategia di composizione
romanzesca e l’arte di W agner, ma questo f enomeno
può anche assumer e, sia chiaro, delle f orme meno

192
imponenti: la densit à del tessut o tematico e motivico,
ad esempio, nei romanzi di Kundera è estremamente
rilevant e, anche quando si tratta di testi brevi.
Insomma, è l’idea t radizionale di ‘sviluppo’ che è
messa in discussione – e ciò tanto più quanto la
stessa cronologia è perturbata, ridistribuita» 307.

307
T r ad. nos tr a d a l f r a nc es e : « I l n e f a u dr a i t p as do n ner d e c el a un e
ap p l ic a t io n tr o p m éc an iq u e, tr o p s ys tém at i q ue . M a is c e q u i es t c e r ta i n, à
m on s ens , c ’ es t q u ’ i l y a bi e n l à u n tr a i t c ar a c tér is ti q u e de t r ès n o m br eux
r om ans im por t an ts d ’ auj o ur d ’ h ui . M a ll ar m é , s on é p oq u e, r e v e n d iq u ai t
da ns u n t ex te c é l èbr e ( La Mus i qu e d ans l es l et tr es ) l a p os s ib i l it é p our la
po és i e d e s ’ a ppr o pr i er d es f or m es et des f o nc t i o ns q u i ét a ie n t
j us q u ’a l or s l ’ ap a na g e de l a m us iq u e. E h b i e n, s a ns do u te l ’ ar t d u r om an
dés or m ais , p e ut- i l l u i aus s i pr é te n dr e a vo i r abs or bé c er t a ins pr i nc i p es
m us ic a ux – o u les a v o ir c o nq u is s ur l a m us i qu e. A c o n d it i on de p r éc is er
qu ’ i l n e s ’a g it p as s e u lem en t, p o ur le r om an , de j o u er s ur la m atiè r e
ph o n iq u e d e l a l a ng u e ( c om m e c ’es t le c as po ur J o yc e , o u p our Cé l i ne ,
c hac u n à s a f aç o n) m a is e nc or e d e m us ic a l is er , p l us g é né r a l em ent , s o n
m ode d e c om pos it i o n ( l e gr a nd n o v at e u r , en c e d om ai ne , da ns l a
m oder ni t é, é ta n t b ie n e nt e nd u Pr o us t) . L es r om ans c o n tem po r a i ns q ue
j ’a b or de ob é is s en t d e m oins e n m oins , p ar ex em pl e, à u n m od e d e
dé v e l op p em ent pr ogr es s if où i l n ’ ex is t e qu ’ u ne s e ul e in tr i gu e , d on t
l ’e nj eu es t pos é dès l e pr em i er c ha p itr e , e t q ui tr o u ve s a r és o lu t i on a u
der n i er , a pr ès un e s u i te d e pér i p ét i es et d ’ é p is o d es , e nc h a în és s e l on u n
or d r e li n éa ir e , c hr on o lo g iq u e. I l p e ut y a vo ir , à l ’ i n ver s e , p l us ie ur s
i ntr i gu es en tr e lac é es ( c om m e d ans L ’A c ac ia d e C l a ud e S im on) o u
em boî té es , c om m e da ns E t at de s i èg e d e G o yt is o lo – a v ec , e nt r e c es
i ntr i gu es , o u c es l i g n es n ar r at i v es , la m is e e n œ u vr e d e c o nt r ep o i nts
r om an es q u es ( t o ut u n j e u, p ar ex em pl e , d’ éc h os e t d e c on tr as tes
th ém at iq u es ) . L a s tr u c tur at i o n p e ut ê tr e e l l e- m êm e thém at i q ue , p lu t ôt
qu e pr ogr es s i v e – a v e c d es r ac c or ds à tr a v er s le t em ps , des v ar i at i ons ,
de r és ur ge nc es , d es r am if ic at i ons d e m ot if s s ec o nd a ir es : c ’ es t l e
m odè le d e l a ‘ gr a nd e f or m e’ m us ic a l e (W agn er , M a hl er , l es o p é r as d e
B er g) , et l ’o n s ai t qu e Pr o us t l u i- m êm e in d i qu a it u ne pa r e nt é en tr e s o n
m ode d e c om pos it i on r om anes q ue et l ’ ar t de W agner m ais c el a p e ut
aus s i pr e n dr e , b ie n e n te n du , d es f or m es m oi ns im pos an t es : l a d e n s it é d u
tis s u th ém at i qu e et m ot i v i qu e, p ar ex em pl e, d ans l es r om ans d e K un d er a
es t t o ut- à- f a i t s a is is s a nt e, m êm e s ’i l s ’ ag i t d e t ex t es br ef s . En br ef , c ’ es t
l ’ id é e tr a d it i on n e ll e d e ‘d é v e lo p pem e nt ’ q u i es t c o nt es t é e – et c e l a
d ’a ut a nt p lus q ue l a c hr o no l o gi e e l le- m êm e es t b o ul e v er s é e ,
r ed is tr ib u ée » . Es tr a tt o da : L ’Â g e d ’o r d e G uy Sc ar p e tt a, i nt er v is t a
pu b b lic a ta s u «I n S it u! . Re v u e d e c r i t iq u e et de c r éa t io n c o n tem po r a in e »,
d ir . D . A tr i a , N. D ’ A nn i ba l e e R . De n ys , n. 3 , au t un n o 20 0 6.

193
Come ricordato da Scarpetta, l’influenza della musica non
viene raccolta solo dal romanzo: tra le arti letterarie,
anche la poesia si dimostra ricettiva nei confronti dei
procedimenti musicali, ai quali appare intrinsecamente
votata per via dell’attenzione rivolta alle concordanze
sonore a cui pare destinarla la sua stessa natura.
A partire dal tardo romanticismo, a cui probabilmente
risalgono le prime operazioni programmatiche di
commistione delle arti 308, e a seguire lungo il XX secolo
fino ai nostri giorni, anche da parte dei poeti si riscontra
una tendenza sempre maggiore ad orchestrare i propri

308
Sp i e ga J e an- L ou is B ac k ès c h e u n m ag g ior e a v v ic i n am ent o tr a l a
m us ic a e l a l e tt er at ur a, i n g e ner a l e, a vr e bb e a v ut o l u og o i n
c onc om it a n za c o n la r if l es s i on e i nt or no a ll a p at er ni t à d e l l ei tm ot iv :
s ec o n do l a r ic os tr u zi on e d i C a l v in S. Br o wn , i l t er m in e s ar eb b e s t at o
c on i at o d a l c r i t ic o m us ic a l e H ans v on W o l zo g en in r if er im en t o a l la
tec n ic a de l m ot i v o r ic or r en te l ar g am en te im p ie g at o d a W agner e, pr im a
d i l u i, anc h e d a al tr i c om pos i t or i; qu es t i u lt im i, t ut t a vi a , l ’ a vr e bb er o a
l or o v o lt a r ic a v at a d a ll a le tt er at ur a, do v e lo s tes s o pr oc e dim e nt o, i n
r ea l tà , è r ic on os c i b il e f i n d ai t em pi d i O m er o ( a q u es t o pr op os it o ,
c onf r on ta a nc he I. P i et te , Li tt ér at ur e et m us iq u e. Co n tr ib ut i o n à u n e
or ie nt a ti o n t h éor i q ue ( 19 7 0- 1 9 85 ) , Pr es s es U n i ver s i ta ir es d e Nam ur ,
19 8 7, i n p ar t ic ol ar e i l p ar . « l ei tm ot i v» , pp . 9 6- 9 8, d e l Ca p. « D if f ic u lt és
m étho d o lo g iq u es » ) . L a c om pr ens i on e de l l e n um er os e pos s i b i l it à d i
r ec ipr oc o s c am bi o di s po n i bi l i al l a m us ic a e a ll a le tt er at ur a a vr eb b e
du n qu e i n vo g l ia to s c r i tt or i e m us ic is t i a s p e r im en tar n e a nc or a d i nu o v e:
c om e s c r i v e B ac k ès , «è i n ef f ett i gr a zi e a l l a n o zi o n e d i l e itm ot i v c he ,
l un g o u na c e r t a ep oc a q ua l if ic a ta a l le v ol t e c om e ‘s ec o n do
r om ant ic is m o’ , s i è po tu ta a us p ic ar e l a f us i on e de l l e ar t i, s i a n e ll ’ op er a,
s i a n e i l i br i» . T r ad . n o s tr a da l f r a nc es e : «c ’ e s t e n ef f et gr âc e à l a no t io n
de le i tm oti v q u e, p e nd a nt u n e c er t a in e é po q ue p ar f o is qu a l if i ée d e
‘s ec o n d r om an t is m e’, on a p u r ê ver à la f us i on d es ar ts , s o i t d ans
l ’o p ér a, s o i t d ans les l i vr es » . C it . d a J - L . B a c k ès , Mus i qu e e t l i tt ér at ur e.
Es s ai d e p oé t iq u e c o mp ar é e, Pr es s es Un i v er s it a ir es d e F r a nc e , Par is
19 9 4.

194
testi alla maniera delle forme musicali, che sembra voler
rimarcare l’origine comune delle due arti 309.
Gli stessi titoli di alcune composizioni poetiche sono
spesso indicativi: Tema e variazioni (1923) di Boris
Pasternak, I Quattro quartetti (1935-1942) di T.S. Eliot,
Fuga di morte (1945) di Paul Celan, Leggendo John Cage
(1970), nonché le raccolte di Amelia Rosselli Variazioni
belliche (1959) e Variazioni (1960-1961), rappresentano
alcuni tra i più celebri lavori poetici del XX secolo, ispirati
a principi di composizione tipici dell’arte sonora.
La spinta creativa impressa nelle due arti della musica e
della poesia dall’intuizione delle numerose possibilità
derivanti dalla loro reciproca interazione è stata messa in
rilievo da diversi studi, come Musique et littérature. Essai
de poétique comparée 310 di Jean-Louis Backès oppure, ad
esempio, l’articolo di Calvin S. Brown dedicato
all’applicazione della forma variazione su tema nella
letteratura 311, che l’autore illustra alla luce di esempi
ricavati dalla poesia: Variationen auf eine hölderlinische
(1954) dell’austriaco Joseph W einheber, composizione di
undici strofe corrispondenti ad altrettante variazioni

309
Al l ’ i ni zi o , l a p o es ia e la m us ic a c os t i tu i v a n o u n u n ic um . C om e r i c or d a
B ac k ès , i l v er b o gr e c o «π ο ίε ι ν », d a c u i der i v a i l ter m i ne « p o et ic a» ,
or ig i n ar i am en te s ig n if ic a: «c om por r e m us i c a e ve r s i » . Cf r . I v i, p ar .
« Pr inc i pes de p o ét i q u e» , p . 23 .
310
C it .
311
C. S . B r o wn , T he m e a nd V ar ia t io n as a Li t er ar y F or m , in : « Ye a r b o ok of
Com par a ti v e a n d G e n er a l L i te r a tu r e », X X VI I , 19 7 8, p p . 35- 4 3.

195
(metriche e tematiche) su un’ode di Hölderlin, e il poema
di Robert Browning L’Anello e il libro (1869) 312.
Nonostante l’affinità che apparenta la musica e la poesia
fin dalle origini, tuttavia quest’ultima non si presta quanto
il romanzo al discorso sullo sviluppo complementare delle
forme musicali e letterarie: l’originaria aspirazione ad
accogliere il maggior numero di visioni diverse della realtà
in una forma unitaria, secondo l’ideale conoscitivo che
caratterizza il romanzo, induce maggiormente quest’arte
ad aver bisogno, in quanto criteri di ordinamento del
«caos», di quei principi di composizione che, a sua volta,
la musica aveva assorbito dai miti; la poesia, invece, si
impone immediatamente come nucleo formale compatto,
essendo animata dall’intento di esprimere un punto di
vista unico, corrispondente all’io lirico 313.

312
Un a r ic c a b ib l i ogr af ia d i s tu d i m us ic o- l et ter ar i, c h e ti e ne c o n to s i a di
l a vor i de d ic at i s i a a l r ap p or t o c he l a m us ic a in t es s e c o n il r om an z o s ia a
qu e l lo c h e i n tr a tt i en e c o n l a po es i a è f o r n it a d a Is a be l l e P i e tt e, i n
c om pl em ent o a l s u o Li tt ér a t ur e et m us i qu e. C o ntr i b ut i on à un e
or ie nt a ti o n th é or i q u e ( 19 7 0- 19 8 5) , c i t. I n p ar t ic o lar e , in q ues t a s ed e c i
l im it iam o a s e gn a la r e, o ltr e a i tes t i g i à m en zi on at i , l a m is c e ll a ne a
L it tér at ur e et mus i q ue , R. C e lis ( a c ur a d i) , F ac ul t és u n i v er s i t ai r es S ai n t-
Lo u is , Br ux e l l es 1 98 2.
313
Ci s i p otr e bb e s p i ng er e ol tr e i n qu es ta r if l es s i o ne s ul r ap p or t o c he ,
r is pe tt i v am ent e , l a p oes i a e i l r om an zo ins ta ur an o c on la m us ic a
i po t i z za n do c om e r ag i on e p er c u i, i n q ues t o c as o , n on ac c om un i am o l e
du e ar t i le tt er ar i e q u e ll a c he , r is p et t o a l l a m us ic a, l a p o es ia m an if es t i
un o s v i lu p po n on c o m plem en tar e , a l p ar i de l r om an zo , m a p i ut tos t o
par a l l el o : l e num er o s e an a l og i e c h e as s em bl an o l a p oes i a a l l ’ar t e
s on or a, c om e l ’ im pi eg o d e l le s tes s e t ec nic h e ( a d es em pi o la r i p et i zi o n e) ,
l a c om un e br e vi t à e c onc e ntr a zi o n e, c he i m pong o n o ge n er alm e nt e a d
en tr am be l a nec es s it à d i un a r ic e zi o n e im m ed i at a e c o nt i nu a , l ’ef f ett o d i
tem por a l it à c i r c o l ar e c he n e c o ns eg u e, e v ar i e a ltr e s om i g li an ze d i
qu es to ti p o s em br an o a v va l or ar e l ’ i de a c h e a nc he l a p o es ia , c om e l a
m us ic a, al t em po d e l l a s c om par s a d el m it o da l l ’ im m agi n ar io c ol l et ti v o , s i

196
Vuong sembra confermare questa differenza tra il romanzo
e la poesia, quando afferma che: «l’uno mira a
rappresentare il mondo nella sua diversità, mentre l’altra
s’interessa soprattutto alle parole, costituendosi come
unità di senso e linguaggio» 314.
Per il romanziere Kenzaburō Ōe, invece, «la poesia è
qualcosa di celeste, mentre il romanzo è scritto per
qualcuno di questa terra, qualcuno che è precipitato dal
cielo» 315; dunque, la poesia è rivelazione, mentre il
romanzo, essendo sempre animato da uno spirito di
relatività, è un’interrogazione intorno ai dilemmi
dell’esistenza, perpetuamente rinnovata. Aggiunge ancora
Ōe:

«Penso che un poeta sia qualcuno che racconta,


attraverso la parola poetica alla quale si è
totalmente consacr ato, la def init iva saggezza su
questo mondo, sulla vita, e su ciò che trascende
questo mondo e questa vita. L’ult imo Eliot ne è un
grande esempio. Un romanzier e, invece, non giunge

s i a tr o v at a a d i nc ar n ar ne la f u n zi o ne s ac r a , d i gar a nt e d i u n or d i n am ent o
ar m on ic o d e l la r e a lt à. Il r om an zo , a l l or a , r a v v is a n e l l ’es p ed i e nt e d i tr ar r e
is pir a zi o n e d a v er s i o br an i p o et ic i g l i s t es s i ef f ett i c h e g l i d er i va n o
da l l ’ as s u n zi o n e d i p r i nc i p i m us ic a l i : de n s it à , ec h i , c or r is p o n de n ze ,
s m ante l l am ent o de l l ’ i ntr ec c io di tipo l in e ar e a v a nt a gg i o di
un ’ es pl or a zi o n e n on s i s tem at ic a de l t em a di bas e .
314
T r ad . n os tr a d a l f r a nc es e : « l ’u n v is e à déc r ir e le m on de d a ns s a
d i ver s i té t an d is q ue l ’ au tr e a af f a ir e e n pr ior i té a ux m ots , e n s e
c ons t it u an t c om m e un it é de s e ns s e t d e l an gu a ge » . C it . d a H- H . V uo n g,
Mus i q ue de r o m a n. P r ous t, Ma n n, J oy c e, c it . , p . 22 .
315
Ci t. d a K. Ō e , Av an zi a m o s e m pr e p i ù n el p as s at o, d i al o g o c on
Mas s im o R i z za nt e , «N uo v i ar g om ent i », 34 , a pr il e- g iu g n o, 2 0 07 .

197
mai a pronunciare quella parola def initiva, poiché
questo non è consustanziale alla parola
romanzesca» 316.

Nonostante quest’incompatibilità radicale, l’incontro con la


poesia, come già quello con la musica, si rivela fecondo
per l’arte romanzesca, al punto da poter ritenere che un
romanzo, per essere davvero riuscito, debba essere
poetico, ossia capace di armonizzare lo spirito
“intransigente” insito nella poesia e la potenziale
dispersione invece tipica della prosa 317; fare proprie le
esigenze della poesia, ossia la cura «di ogni singola
parola; l’intensa melodia del testo; l’imperativo
dell’originalità applicato a ogni particolare» 318, senza per
questo lirici zzarsi, vale a dire «rinunciare alla sua
essenziale ironia, allontanarsi dal mondo esterno,
trasformare il romanzo in confessione personale,

316
Ib .
317
Cf r . a nc he J - Y. M as s on : «M i s em br a v a c h e u na v i a a us p ic ab i l e p er i l
r om an zo o gg i , i n s e gu i to a l l a ‘c r is i d e l la f ic t i on ’ c h e a b b iam o at tr a v er s a t o
e l e c u i c o ns eg u en ze s i f an no anc or a s e nt ir e tr am i te i l s uc c es s o d e ll e
‘ au tof ic t i ons ’ , f os s e d i r ic o nc i l iar s i , d a un a p ar te c on l a p o es i a ( …) ,
da l l ’ al tr a c o n l ’ ar te d e l n ar r at or e q ua l e l a def i n is c e B e nj am i n, v et tor e
pr i vi l e g ia ta de l l a tr as m is s io n e d el t es or o d e ll ’ es per i e n za um ana » . T r ad.
nos tr a da l f r anc es e: «I l m e s em bl a it q u’ u ne vo i e s ou h a it a bl e po ur l e
r om an auj o ur d ’ h ui , apr ès la ‘c r is e de l a f ic t io n ’ q u e n o us a v o ns tr a v er s é e
et d o nt les s é q ue l l es s e f o n t e nc or e s en t ir d ans la vo g u e d es
‘ au tof ic t i ons ’ , é t ai t d e s e r éc onc i l i er , d ’u ne p ar t a v ec l a po és i e ( …) ,
d ’a utr e par t a v ec l’ ar t d u c o nt e ur t el q ue l e d éf i n it Be nj am in, v ec t e ur
pr i vi l é g ié de tr a ns m is s i on di tr és or d e l ’ex p ér ie nc e h um ai ne ». I n:
Re nc on tr e m a n qu é e o u r enc o ntr e n éc es s a ir e ? , « L ’ At e l ier d u r om an » , n .
61 ., p. 2 5.
318
M. K un d er a , L ’A r t e d e l r o m an zo , c it . , p. 20 6 .

198
sovraccaricarlo di ornamenti» 319, come precisa Kundera
nell’Arte del romanzo.
L’introduzione della poesia nel romanzo gli garantisce
inoltre un effetto coesivo, simile a quello che gli deriva
dall’inserimento delle forme musicali: assumendo le
istanze della poesia, che è «parola definitiva», senza
ridursi ad essa ma introiettandola nell’atmosfera invece
ironica e relativa che contraddistingue il romanzo,
quest’ultimo acquisisce infatti quel criterio di ordinamento
che gli serve a filtrare la rappresentazione del reale 320.
L’evoluzione del romanzo da un livello puramente
narrativo, a cui aveva finito per ridursi nel XIX secolo, ad
una dimensione “poetica”, secondo Kundera avrebbe avuto
luogo specialmente a partire dal 1857, anno in cui viene
pubblicato Madame Bovary, opera che per Kundera
precorre l’ingresso del romanzo nel modernismo.
I caratteri che definiscono il nuovo romanzo poetico, come
la densità, il disegno compositivo orientato in senso

319
K un d er a s vi l u pp a u lt e r i or m ent e q ues te c o ns i der a zi o n i , f i no a d ef i n ir e i l
r om an zo c om e l ’ ar t e de l l a p o es i a an t il ir ic a e a d ic h i ar ar e c he «I p iù
gr a n d i tr a i ‘r om an zi er i d i ve n ta t i po e t i’ s on o vi o l en t em ent e a nt i l ir ic i:
F l au b er t , J o yc e, Kaf k a , G om br o wic z» . Ib .
320
L a c o ns id er a zi o n e d e i b e nef ic i a pp or t a t i a l r om an zo da l l ’ inc o ntr o c on
l a po es i a i n duc e a d es em p io K en za b ur ō Ō e a pr oc l am ar e, ne l di a lo g o
c he a b bi am o m en zi o n at o, c h e pr o b a bi lm en t e la s f i da p i ù s t im ol a nt e, p er
un r om a n zi er e, c o ns is te pr o pr io n e l l’ as s um er e c om e t em a d i r if e r i m ento
un br a n o po et ic o, o s em pl ic em ent e a lc u n i v er s i, p er p o i s ot t op or lo a d
un a var i a zi o n e r om a n zes c a , c i oè tr a d ur n e i l c o nt e nu t o i n f or m a di
r om an zo , c om e r e a li z za t o d a l u i s tes s o n e l c as o d i a lc u ne s u e o per e . A
qu es to r i g uar d o, s i l eg g a il s a g g io d i Mas s im o R i z za n t e L ’In fer n o
de l l ’i n n oc en za . Su G l i A nn i d e l la n os t a lg i a d i Ke n za b ur ō Ō e , in
par t ic o l ar e i l pr im o p ar a gr af o , « L ’a l b er o d e l r o ma n zo af f on d a l e s u e
r ad ic i n e l la po es ia » , o r a c om pr es o n e ll ’ ’A l b e r o. Sa g g i s u l r o ma n zo , c i t.

199
“spaziale” piuttosto che lineare, o l’allentamento
dell’azione a vantaggio di un approfondimento meditativo,
corrispondono alle prerogative in genere ritenute tipiche
del romanzo moderno e si configurano come l’effetto che
scaturisce da una svolta del romanzo in senso musicale,
ossia dall’impiego dei principi di origine musicale nella
composizione. Scrive Vuong: «Ora, si produce
precisamente un fenomeno di poetizza zione del racconto
alla fine del diciannovesimo secolo, parallelamente a un’
intrusione della musica nel romanzo’ (…). In altri termini,
esiste una correlazione tra il fatto che il romanzo si
interessi dal di dentro al fenomeno musicale e la
trasformazione profonda della sua natura» 321.
Contro l’inclinazione seguita a volte dagli specialisti dello
studio sui rapporti tra la musica e la letteratura ad
interpretare l’intensificazione di questo fenomeno, nel
corso del XX secolo, come il segno di un progressivo
affievolimento delle frontiere che separano le due
discipline – dunque in linea con l’ideale della fusione delle
arti, tuttora molto in voga presso la critica contemporanea
–, la nostra preoccupazione finora è stata quella di
presentare le fasi di snodo di questi rapporti piuttosto

321
T r ad. n os tr a d a l f r anc es e: « O r , i l s e pr o du i t pr éc is ém en t un
ph é nom è ne d e p o ét is at i on d u r éc i t à la f i n d u dix - n e u vi èm e s i èc l e ,
par a l l èl em en t à un e ‘ i ntr us io n d e l a m us i qu e d ans l e r om a n ’ ( …) .
A utr em ent d it , i l y a u ne c or r é la t io n en tr e le f ait q ue l e r om an s ’ in t ér es s e
de l ’i n tér i e ur a u p hé n om ène m us ic a l e t l a tr ans f or m ati o n pr of o nd e de s a
na t ur e ». C it . da H- H. V uo n g, Mu s iq u e d e r o ma n Pr ous t, Ma n n , J oy c e ,
c it ., p . 2 3.

200
come le battute di un dialogo, ossia come un’interazione i
cui poli non perdono ciascuno la propria autonomia e non
abdicano al loro statuto specifico.
Come scrive Hermann Broch, riflettendo intorno alla
traduzione dalla musica al romanzo di quell’ideale
compositivo da lui stesso battezzato come «stile della
tarda maturità», «stile dell’essenziale» o «stile
dell’astratto»:

«Quanto più le arti procedono in direzione


dell’astratt ismo, tanto più strett i divengono i loro
legami teoretici: la connessione tra musica e pittura
è più f orte oggi che in qualsiasi per iodo precedente.
E ciò vale anche per la poesia e la letterat ura;
l’oper a di Joyce der iva in larga misura la sua validità
artistica dagli elem enti e dai pr incipi musicali sui
quali è costruita (…). Cionondimeno l’ast razione non
porta alla Gesamtkunstwerk, all’opera t otale, ideale
del t ardo romanticismo; le art i rimangono separate.
Specialmente la letteratura non può mai raggiungere
un piano di completa astrazione, non può esser e
totalmente ‘musicalizzata’» 322.

Ciò accade perché, precisa Broch, «In letteratura lo stile


della ‘tarda maturità’ è legato soprattutto ad un altro

322
H. Br oc h , Lo St i l e d el l ’e t à m it ic a, c it ., p . 3 30 .

201
atteggiamento sintomatico, e cioè all’aspirazione al
mito» 323.
Assunta in quest’ottica, si intende che l’espressione di
«musicalizzazione del romanzo» non costituisce una
semplice metafora, né tantomeno è da interpretare troppo
alla lettera, come pretesa di conseguire, in un romanzo,
effetti che risultino identici a quelli della musica; a questo
proposito, Isabelle Piette prende le distanze dalla
tentazione dell’«impressionismo terminologico», in cui può
incorrere la branca della critica incentrata sui rapporti tra
la musica e la letteratura, e che consiste nell’applicare
con eccessiva facilità, alla descrizione dei procedimenti
letterari, termini o formule di appannaggio musicale.
Ad esempio, è evidente come la tecnica del contrappunto
possa essere adottata solo in maniera relativa dai
romanzi, visto che nella letteratura non esiste la
simultaneità 324; di conseguenza, nel caso di quei
romanzieri che siano in qualche modo riusciti a realizzare
l’illusione di un effetto contrappuntistico, come Aldous
Huxley in Contrappunto, o Milan Kundera – il cui
«contrappunto romanzesco» figura come un cardine della
sua poetica 325 –, l’approccio più corretto allo studio delle
implicazioni esistenti tra le arti romanzesca e sonora

323
Ib .
324
Cf r . I. P ie tt e , L it tér a tur e e t m us iq u e. C o n tr i b ut i on à u ne or ie nt at i on
th é or i q u e ( 19 7 0- 1 9 8 5) , c it . In p ar tic o l ar e , s i l e gg a i l p ar . « L e da n ger d e
l a mé t ap h or e » , pp . 9 2- 94 , d e l Ca p. VI : « Di ff i c u lt és m ét ho d o lo g i qu e s ».
325
Cf r . M. K un d er a , L ’A r t e d el r om a n zo , c i t. , p. 10 5 .

202
consiste nell’impegnarsi a comprendere in cosa
esattamente si fonda la maniera specifica del romanzo,
rispetto alla musica, di elaborare il principio compositivo in
questione e, qualora si intenda verificare la reale misura
in cui l’impiego di questa forma nel romanzo derivi dalla
musica, preoccuparsi di appurare la volontà dell’autore di
richiamarsi effettivamente a questo modello.
Così, il confronto che qui conduciamo tra le forme del
romanzo e quelle della musica non è finalizzato
semplicemente a dimostrare l’esistenza di un’affinità
strutturale tra le due arti ma, in linea con le osservazioni
di Broch, piuttosto a mettere in rilievo la possibilità del
romanzo di reperire nei principi che regolano le
composizioni musicali quei criteri di ordinamento formale
già propri delle costruzioni mitiche, grazie ai quali il
romanzo diviene in grado di attendere all’originaria
funzione religiosa (intesa nel senso di tensione verso la
contemplazione di un tutto) caratteristica dell’arte 326.

326
A qu es t o r i g uar d o, c f r . a nc or a H . Br oc h : «P er di r l a i n t er m i ni b a n a li , l a
po es i a, o m egl i o l’ o p er a p oe t ic a , d e v e a b br ac c i ar e n e l la s u a u n it à i l
m ondo in t er o , d e ve r i s pec c h i ar e n e l la s c el t a de i voc a bo l i d e l la r e a lt à, l a
c os m ogo n i a d e l m on d o e n e l l’ im m agi ne i d ea l e c h e es s a r es t it u is c e , d e v e
l as c i ar e tr as par ir e l ’i nf i n it à d e l la v o lo n tà et ic a ( …) . L ’ at t i v it à c r ea tr ic e
no n c ons is te i nf a tt i ne l f a v o l eg g i ar e a c as ac c i o, m a ne l l a f a c o lt à d i
or g a n i z za zi o n e e d i un if ic a zi o n e ». C i t. d a L ’I m m ag i ne de l m o n do d e l
r o ma n zo , c i t. , p p. 2 9 6- 29 7 .

203
In questo richiamo della musica 327 – o più esattamente del
mito, che giunge al romanzo per mezzo della musica –, da
sempre presente come possibilità di sviluppo connaturata
all’arte romanzesca, i romanzieri ricavano una risorsa, a
cui si appellano soprattutto come reazione al processo di
deflagrazione delle strutture interne che aveva colpito il
romanzo nel corso del XIX secolo:

«È altamente signif icativo che Joyce si rif accia


all’Odissea. E sebbene questo r itorno al mito – già
anticipato da W agner – sia in Joyce più elaborato
che altrove, esso costit uisce pur sempre una
tendenza generale della letteratura moderna. Il
revival di tempi biblici che caratterizza, ad esempio,
i romanzi di Thomas Mann, rivela l’impeto con cui il
mito prorompe sulla linea avanzata dell’arte» 328.

Peraltro, conclude ancora Broch, riflettendo sulla


rivoluzione formale inaugurata dal romanzo moderno, «si

327
La s ot to l i ne a tur a i n c or s i vo c os ti t uis c e un ’ a l lus i o ne a l l ’e l enc o d ei v ar i
«r ic h i a mi » , r ic a p it o l at i d a M i l an Ku n der a n e l l ’A r t e de l r o ma n zo ( c i t., p p.
31- 3 4) c h e s ec on d o i l r om an zi e r e s ar eb b er o s ta t i r i v o lt i a l r om a n zo , d i
v o lt a i n v o lt a n e l c or s o d e i s ec o l i e at tr a ver s o l ’ es em pi o d i alc u n i gr a n d i
i nn o v at or i d i q ues t ’a r t e, c om e i n v it i a s v i lu p par e a lc u ne s ue p o te n zi a l i tà ,
da s em pr e c on n at u r at e a l s uo s t at u t o e t u tt a v ia n o n anc or a
c om pl et am ent e r ec e p i te da i r om an zi e r i c o n tem por a ne i : « I l r ic h i a mo d e l
g ioc o », o v v er o l a p o s s i bi l i tà lu d ic a, la nc i at o d a S t er n e e D i d er o t, «I l
r ic hi a m o de l s o gn o », l ’ i n vi t o a m es c o la r e v er os im ig l ia n za e ir r ea l tà
s u ll ’ es em pi o d i K af k a, « I l r ic h i am o d e l pe ns i er o » , c h e c o nc er n e la
pos s i b i li t à d i f o n d er e l a d im ens i on e m ed i ta t i v a t i pic a d el s a g gi o qu e l la
nar r a t i va de l r om an zo i nt u it a d a Br oc h e M us i l e « I l r ic h ia m o d e l t e mp o »,
c ons is te n te n e l l’ i n v en zi o n e d i in t er s ec ar e un i v er s i tem por a l i l on ta n e in
un ’ o per a u n ic a , a l la m an i er a d i F u en t es .
328
H. Br oc h , Lo St i l e d el l ’e t à m it ic a, c it ., p . 3 30 .

204
tratta soltanto di un ritorno, un ritorno al mito nelle sue
forme antiche» 329.

3.4. L’aspirazione del romanzo alla totalità

Svariati decenni prima di Lévi-Strauss, che era giunto ad


affermare che alla maniera del mito ogni composizione
musicale è fondata su «una matrice di rapporti che filtra e
organizza l’esperienza vissuta, si sostituisce a essa e
procura la benefica illusione che certe contraddizioni
possano essere superate e certe difficoltà risolte» 330,
Broch riconosce nell’assetto conchiuso che caratterizza le
forme musicali (o mitiche) una risorsa a cui il romanzo può
attingere per ristabilire una visione «totale» dell’esistenza;
in grado, cioè, di risolvere in un quadro unitario le
immagini del mondo, molteplici e contrastanti, generate
dalla proliferazione del sapere prodottasi in età
moderna 331.
La disposizione di una struttura contrappuntistica, nei
romanzi di Broch (dai Sonnambuli agli Incolpevoli),
sembra rispondere proprio a questo intento.

329
Ib .
330
C. L é v i- Str a us s , L ’U o mo nu d o, c i t. , p . 62 2 .
331
Per m ag g ior i a ppr of o nd im en t i r e l at i v i al l a t eor i a s v i lu p pa ta d a Br oc h ,
de l r om an zo c om e ar t e “ t ot a l i z za nt e” , r im an d iam o a qu a nt o g i à s c r it t o n e l
Ca p. 1, L a v ar i a zi o n e s u te m a d al l a m us ic a a l r o ma n zo .

205
Ad esempio, Huguenau o il realismo, ultimo volume della
trilogia I Sonnambuli 332, è articolato in cinque diverse linee
(o «voci», per continuare a riferirci alla terminologia
musicale), che corrispondono ad altrettanti generi
discorsivi: un racconto romanzesco, una novella a
carattere intimista, un reportage, un racconto poetico
(scritto parzialmente in versi) e un saggio di tipo filosofico.
Secondo Milan Kundera, attento lettore di Broch 333, questa
invenzione strutturale – che manifesta un’«evidente
intenzione polifonica» 334 – non è finalizzata a generare
un’impressione di frammentazione, ma, al contrario, risulta
funzionale al raggiungimento di un effetto coesivo, quale
la possibilità di osservare la riconduzione di strumenti
intellettuali e artistici differenti ad un principio unico.
Per Hermann Broch, il romanzo costituisce così la
piattaforma ideale ove tentare la ricongiunzione dei saperi,
che si canalizzano attorno al comune obiettivo di servire
da mezzi di esplorazione della questione nodale, la
condizione esistenziale dell’uomo; nel caso dell’ultimo
romanzo dei Sonnambuli, rappresentato dal personaggio
di Huguenau, alle prese con un mondo in cui ogni certezza
è stata smarrita.

332
H. Br oc h, I S on n a mb u li ( 1 9 28 - 1 9 31) , M. R i z za n t e ( a c ur a d i) , t r a d. i t.
Di C. Bo v er o, Pr ef a z. di M. Ku n de r a , P os tf a z. D i C . F u e nt es , E d i zi o n i
M im es is , Mi l a no- U d in e 2 0 10 .
333
Co g l iam o l ’ oc c as i o n e p er r im an d ar e a l l e s u e No te is p ir a te d a i
S on n am bu li , c h e c os t i tu is c e l a ter za p ar t e de l s a g g io d i M i l an K un d er a
L ’A r t e d el r om a n zo , c i t ., p p. 7 1- 1 01 .
334
M. K un d er a , L ’A r t e d e l r o m an zo , c it ., p . 1 08 .

206
Il romanzo è l’uomo, ricorda Ernesto Sabato nello Scrittore
e i suoi fantasmi, alludendo alla coincidenza perfetta che
individua tra i confini del romanzo e quelli che definiscono
la sfera della «condizione totale e misteriosa» 335
dell’esistenza umana.
Sulla stessa linea di Broch, anche il romanziere argentino
coltiva la concezione di «romanzo totale» 336: in

335
Cf r . i n p ar tic o l ar m odo i l p ar . «I l R o ma n zo e i t e mp i mo d er n i »: « B as ar e
l ’a n a lis i de l r om an zo un ic am en te s ul l e d i at r i be de i c en ac o li l et t er a r i –
s on o ab b as t a n za l ib e r i la l i ng u a e l o s t i l e, o tr o pp o c ons er v a tor i ? –
s i gn if ic a c o n d an n ar s i a l c a os p iù ar bi tr ar io . Nes s u na at ti v i tà d el l o s p ir i t o
e nem m eno un o d ei s u oi pr o do tt i p u ò e s s er e c a p it o e v a lu t at o ne l
r is t r e tt o am bi to d e l la s ua s f er a d i c om pe t e n za : né l’ ar te , né la s c i en za ,
né l e is t it u zi o n i gi ur i d ic h e; m a n e pp ur e q ue l l ’ at ti v i tà c h e a p par e e d è
c os ì vis c er a lm ent e u n it a a l l a c on d i zi o n e to t a le e m is t er i os a d e ll ’ u om o e
c he è i l r if l es s o e l a r a pp r es e nt a zi o n e de l l e s u e i d e e, a n g os c e e
s per a n ze : c i oè l a tes t i m oni an za g lo b a le d e l l o s pir i t o d e l s uo t em po» . Ne
Lo Sc r it tor e e i s u oi f a nt as mi , c i t. p . 2 2.
336
S i r ic or d a c h e pr o pr i o q ues t o è il t it o lo d i un o d e g l i s c r i tt i r ac c o lt i ne
Lo Sc r it to r e e i s u o i f an t as m i , g ià da no i r i por t at o a l l ’i n ter n o d e l Ca p. 2,
Da l l a f i los o fi a a l r o m a n zo : c o n fr o n to tr a m et od o e f or m a d el l a v ar i a zi o n e
s u t e ma ( v d. n ot a n. 2 37) . I n qu es to s e ns o , r is ul t a p er ò f or s e a nc or a p i ù
e lo q ue nt e u n a ltr o p a r . de l l o Sc r it t or e e i s uo i f an t as m i : «I l r o ma n zo ,
r is c at to de l l ’u n i tà pr i mi g e ni a » ( p p. 16 6- 17 1) , i n c u i i l r om an zi e r e
ar g e nt i n o s c r i v e: «I n og n i gr a nd e r om an zo , in og n i gr a nd e tr a ge d ia , c ’ è
un a c os m o v is io n e im m anen t e. C am us , c o n r a g io n e, p u ò af f er m ar e c h e
B al za c , Sa d e, M e l vi l l e, S te n dh a l, D os t o e vs k ij , Pr o us t , Ma lr aux e K af k a
s on o r om an zi e r i f i l os of i. In q ue i c r e a tor i f o n dam en t al i c ’ è u n a
W elt ans c h au u ng , o, m egl i o, ‘ un a v is i on e de l m on d o ’, u n ’i n tu i zi on e d el
m ondo e d e l l’ es is te n z a; per c h é, c on tr ar i am e nt e a l p e ns at or e p ur o , c he c i
of f r e ne i s uo i tr a tt at i u no s c he l etr o s tr e tt am ent e c o nc et tu a le de l l a r ea l tà ,
i l p o et a c i d à u n ’im m ag in e t ot a l e, un ’ im m ag i ne c h e s i d is t i ng u e d a l c or p o
c onc e tt ua l e t a nt o q ua nt o u n es s er e vi v e nt e d a l s u o c er v e l lo . I n q ue i
gr a n d i r om an zi e r i n o n s i d im os tr a n u l la , c om e i n v ec e f a n no i f i l os o f i o g l i
s c i en zi a t i : s i m os tr a u na r e a lt à . E t u tt a v ia n on u n a r ea l tà q u a ls i a s i, m a
qu e l la s c e lt a e s t l i z z at a da l l ’a r t is t a , s c e l ta e s t i l i z za t a s ec o nd o l a s u a
v is io n e de l m ond o , e q u in d i l a s ua o p er a è u n m es s a gg i o , s i gn i f ic a
qu a lc os a , è l a f or m a c he l ’ ar t is ta h a d i c om un ic ar c i un a v er it à s ul c i el o e
l ’ inf er n o, la ver i tà c h e e g li c a p is c e o s ub is c e. N on c i dà u n a pr o v a, n é
d im os tr a u n a t es i, n é f a d e ll a pr op a g an d a p er un p ar ti t o o u n a c hi es a : c i
of f r e u na s i gn i fic a zi o n e. S ig n if ic a zi o n e: c i oè qu as i i l c on tr ar io de l l a t es i ,
per c h é in q u ei r om a n zi , l ’ ar t is t a s i p on e un o b ie tt i v o d iam etr a lm ent e
op p os t o a c i ò c h e q ue i pr o p ag a nd is ti es eg u on o n e i l or o de t es t a bi l i

207
contrapposizione al principio di vivisezione su cui si fonda
la scienza – continua a spiegare Sabato nello Scrittore e i
suoi fantasmi –, che considera la psiche umana in modo
settoriale, a seconda del tipo di “intelligenza” presa in
esame (quella emotiva piuttosto che l’intelligenza pratica,
l’io cosciente piuttosto che l’inconscio), il romanzo,
calamitando funzioni un tempo demandate alla magia e
alla mitologia, costituisce l’unico strumento ancora in
grado di liberare lo sguardo sull’uomo dalle costrizioni del
microscopio, così da permettergli di abbracciare la sua
complessità sostanziale, questo impasto di anima e corpo,
e di poter tenere in conto, nel loro insieme, la molteplicità
delle istanze che lo determinano.

pr o d ot t i. Q u e i gr a nd i r om an zi er i , inf att i , no n s on o des t in a t i a m or a l i z za r e


né a d e d if ic ar e, n on vo g l i on o s t or d ir e l a c r e at ur a um ana e
tr a n qu i l l i z zar l a ne l s e no d i un a c hi es a o d i u n p ar t it o ; n o, q ue l l i s on o
po em i d es t i na t i a r is v eg l i ar e l ’ uom o, a s c u o ter l o d a l l’ o v at ta t o gr o v i gl i o d i
l uo g hi c om un i e l e r e g o le s on o is p ir a te da l Dem on i o, n on da l l a s a gr es t ia
o da l p o li t bur ò ». C i s c us iam o per a v er c o n f in at o n el l o s tr e tt o s p a zi o d i
un a n o ta un a r if l es s i on e , l a c u i pr e g na n z a b as t er eb b e a c os t i tu ir e i l
f ulc r o d e l d is c or s o s u l la m is s i on e c os m ogo n ic a d el r om an zo e s u c u i c i
r is er v iam o d i r it or nar e p iù a v a nt i, m a i n qu es to m om ento c i p r em ev a
s opr a tt ut to m ett er e i n r i l ie v o l a c o i nc id e n za r a v v is a b i le tr a la c o nc e zi o n e
d i Sa b at o e q ue l l a es pr es s a d a He r m ann B r oc h n e l s a gg i o L ’I m ma g i ne
de l m on d o d e l r o m an z o, a c u i i l r om a n zi er e ar g e nt i n o s em br a r ic h i am ar s i
ap er tam en t e, s e bb e n e n o n c it i d ir et tam e nt e i l s u o m od e l lo . Ne l l a
Pr ef a zi o n e al l ’ u lt im a ed i zi o n e i ta l i an a de i S on n am b u li d i Br oc h, anc h e
K un d er a s ot t ol i n ea l ’ a f f ini t à c h e i n tr a v e de t r a l ’ a ut or e d e l la tr il o g ia ed
Er nes t o S a ba to : «( …) è s o pr a tt ut t o i l g r a n de r om an zo l at i n oam er ic a n o
c he da g l i a nn i c i n q u an t a e s es s an t a c on t i nu a s u l l a s tr a d a a pe r ta d a
Br oc h . P e ns o ad Er nes t o S ab a to c he , n e l 1 97 4, af f er m a, in m odo
as s o l ut am en te br oc h i an o , c he ‘ ne l m ond o m oder n o a bb a nd o na t o d al l a
f il os of i a, f r a zi o n a to i n c e nt i na i a di s p e c i al i z za zi o n i s c ie n tif i c he , il
r om an zo r e s t a l ’u l tim o os s er v at or i o da d o v e s i pu ò ab br ac c iar e l a v it a
um ana c om e u n t ut to ’ » . C i t. p p . 1 8- 1 9.

208
La facoltà di «suscitare la reale ricomposizione dell’uomo
scisso» 337, che accomuna il romanzo al mito e alla musica,
nei tre casi viene conseguita per mezzo di un meccanismo
analogo.
L’assetto conchiuso che contraddistingue gli schemi
musicali (almeno, quelli adoperati dalla musica tonale, a
cui facciamo maggiormente riferimento nel presente
capitolo) sembra rispondere allo stesso principio per cui,
consapevolmente o meno, gli uomini stabiliscono delle
corrispondenze tra i diversi episodi della loro vita, al fine
di ricercarvi una spiegazione, o meglio un modello alla
luce del quale le circostanze che sembrano determinate
dal caso si rivelino al contrario come necessarie, così
lasciando trasparire il senso segreto che le sostiene.
Questo senso non corrisponde però ad un significato di
ordine razionale, scientifico; piuttosto, è afferrabile
direttamente come intuizione, in quanto la sua natura è
essenzialmente estetica: la stessa possibilità di
interpretare, come parte di un disegno, elementi in
apparenza discontinui basta a suscitare una sensazione di
appagamento, paragonabile al tipo di godimento che si
trae dall’ascolto di una sinfonia, la quale non vuol dire
nulla, ma la cui compiutezza formale genera
nell’ascoltatore un analogo senso di riconcilia zione.

337
E . S ab a to , L o Sc r it t or e e i s u o i f an tas m i , c it . , p. 2 1.

209
Anche il romanzo, che offre una rappresentazione ordinata
della realtà, suscita questa impressione di redenzione
dell’esistenza da tutto ciò che sembra insensato e
contingente. Piuttosto che dalla possibilità di osservare le
vicende dei personaggi, incasellate secondo la logica di
un plot, il tipo di appagamento generato dal romanzo
deriva dalla percezione delle varie corrispondenze,
contrasti e simmetrie, in base a cui è concepita la
struttura; in altri termini, dall’impressione di risanamento
formale delle disarmonie – che si traduce in un senso di
soddisfazione estetica – che il romanzo, al pari della
musica, riesce a sviluppare.
Questo senso di acquietamento potrebbe derivare dalla
risoluzione dell’ancestrale aspirazione alla quadratura
circuli (la quadratura del cerchio), che – spiega Carl
Gustav Jung – costituisce l’archetipo su cui si fonda ogni
avventura conoscitiva 338.
In questa ottica, ciò che accomuna il romanzo alla musica
e al mito è la sua proprietà di cogliere il mistero
dell’esistenza umana come bellezza, cioè di districare il

338
J un g n e p ar la a p r o p os it o de l l e im m agi ni c on os c i ut e c om e m an d a la ( il
c u i n om e, i n s ans c r i to , v u o l d ir e “ c er c h i o” ) : « la ‘ qu a dr a t ur a d el c e r c h io ’ è
un o d e i t an t i m oti v i ar c he t ip ic i c h e s t a nn o a l la bas e d e l le f or m e a s s un t e
da i nos tr i s o g n i e da l l e n os tr e f a nt as i e. La qu a dr at ur a d e l c er c h io è p er ò
un o d e i m ot i v i pi ù im p or t a nt i d al p u nt o d i v i s ta f un zi o n a l e: l o s i p otr e bb e
ad d ir it tu r a d es ig n ar e c om e ‘ l ’a r c h et i p o d e l l a t ot a l it à ’ ». C it . d a C he c os a
s on o i m an d a la , p . 3 8 2, in : C .G . J un g , O p e r e. V ol u m e 9: G l i a r c h et i p i e
l ’i nc o ns c i o c o l l et t iv o ( 19 7 6) , L. Bar uf f i ( a c ur a d i) , Bo l l at i Bor i ng h i er i,
T or i no 1 9 97 .

210
suo intrigo apparente, organizzandolo sulla base di canoni
estetici 339.
Nell’Insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera,
una riflessione del narratore a margine del capolavoro
tolstojano Anna Karenina fornisce il pretesto per lo
sviluppo di analoghe considerazioni, sulla correlazione
esistente tra i principi di composizione impiegati
rispettivamente dalle due arti romanzesca e musicale e
l’esercizio di “comprensione estetica” dell’esistenza
coltivato dagli uomini:

«All’inizio del romanzo che Tereza teneva sotto il


braccio quando era arrivata da Tomáš, Anna incontra

339
Q ues ta br e v e d ef i n i zi o n e de l l a f u n zi o n e c on os c it i v a r ic op er ta da l l a
be l l e z za è in p ar te i s p ir a ta a l p er s on a l e d i zi o na r i e tt o de l l e «p ar o l e-
c h ia v e », r e d at to d a M il a n K un d er a al l o s c op o d i s c o ng i ur ar e e ve n tu a l i
f r ai nt e nd im en t i d e i c r it ic i ne l l ’ in t er pr e ta zi on e d e l l a s u a p oe t i c a d e l
r om an zo ( c f r . l a s es t a pa r t e d el l ’ A r t e de l r o ma n zo « S es s a nt a c i nq u e
par o l e» , pp . 16 9- 2 13) . D op o i l c o nc e tt o d i AF O RI S M A, ( «f or m a po e tic a
de l l a d ef i ni zi o n e ») , l a s ec o nd a v oc e d i q u es t o v oc ab o l ar io d ’ a u tor e è
de d ic at a a ll ’ a ppr of o n d im ent o de l l a no zi o n e k un d er ia n a di Be l l e z za ( e
c on os c en za ) : «Q u e l li c he d ic on o c on Br oc h c he l a c o n os c e n za è l a s o l a
m or al e de l r om an zo s o no tr ad i t i da l l ’a ur a m eta l l ic a d e l l a p ar o l a
‘c on os c en za ’ , tr op p o c om pr om es s a d a i s uo i l e gam i c on l e s c i en ze .
B is o g n a du n qu e a g gi un g er e: t ut ti gl i as p et ti d e l l ’es is te n za s c o p er t i d a l
r om an zo s o n o s c o p e r ti c om e b e l le z za . I pr im i r om an zi e r i s c o pr ir o n o
l ’a v v e nt ur a. Do b bi am o r in gr a zi a r e l or o s e tr o v iam o b e l la l ’ a v ve nt u r a e s e
ne s i am o in n am or a ti ( …) . B el l e z za n e l l’ ar t e: l uc e im pr o v v is am ent e
ac c es a d e l m a i de tt o » . Ne l l a m on o gr af ia de d ic a ta al r om an zi er e c ec o ( I l
Mo n do r om a n zes c o d i Mi la n K u nd er a, c i t.) , l ’ au to r e K v e tos l a v C h va t ik
s v i lu p pa ul t er ior m en t e qu es t e os s er va zi o n i , s p ie g an d o c h e: « L a f un zi o n e
no e tic a d e l r om an zo s i r e a li z za a ttr a v er s o l a s u a f u n zi o n e es te tic a ; i l
r om an zo c om e o per a d ’ar te l et te r ar i a tr as m et te l a c o nos c e n za d i nu o v i
as p e tt i de l l ’ es is t en za um ana a ttr a v er s o l ’e ff et to es te t ic o ; l a po et i c a de l
r om an zo d i K un d er a i nc o ntr a q u i l ’ es t et ic a de l l a s c u ol a s tr ut t ur a l is ta
pr a g h es e ». ( v d. p . 1 71 ) .

211
Vronskij in strane circostanze. Sono sul marciapiede
di una stazione dove poco pr ima qualcuno è f init o
sotto un treno. Alla f ine del romanzo sarà Anna a
gettarsi sotto il treno. Questa composizione
simmetrica, nella quale un ident ico motivo appare
all’inizio e alla f ine, può sem brar vi molto
‘romanzesca’. Si, sono d’accordo, ma a condizione
che la parola ‘r omanzesca’ non la intendiate come
‘inventata’, ‘artif iciale’, ‘diversa dalla vita’. Perché
proprio in questo modo sono costruite le vite umane.
Sono costruite come una composizione musicale.
L’uomo, spint o dal senso della bellezza, trasf orma
un avvenimento casuale (la musica di Beethoven
[che risuona nel r istorante in cui lavora Tereza, al
momento del suo pr imo incontro con Tomáš, n.d.r.],
una morte alla st azione) in un motivo che va poi a
iscr iversi nella composizione della sua vita. Ad esso
ritorna, lo ripete, lo var ia, lo sviluppa, lo traspone,
come f a il composit ore con i tem i della sua sonata.
Anna avrebbe potuto togliersi la vita in maniera
diversa. Ma il mot ivo della stazione e della morte,
quel motivo indimenticabile legato alla nascita
dell’amore, nel momento della disperazione l’aveva
attratta con la sua cupa bellezza. L’uomo senza
saper lo compone la propria vita secondo le leggi
della bellezza persino nei momenti di più prof ondo
smarrimento. Non si può quindi rimproverare al
romanzo di essere aff ascinato dai mist eriosi incontr i
di coincidenze (com e l’incontro tra Vr onskij, Anna, il
marciapiede della stazione e la morte, o l’incontro
tra Beet hoven, Tomáš e il cognac), m a si può a
ragione r improverare al’uomo di essere cieco davanti

212
a simili coincidenze nella vita di ogni giorno, e di
privar e così la propria vita della sua dimensione di
bellezza» 340.

Da un altro passaggio del romanzo, si evince che le


stesse rappresentazioni oniriche possono fungere da
prova di questa aspirazione, tipica degli uomini, a
sviluppare una visione unitaria della propria esistenza.
Qualsiasi sogno, infatti, ancora prima di apparire strano o
inverosimile e, a seconda dei casi, di conforto oppure
inquietante, al sognatore risulta innanzitutto «bello».
Aggettivo a cui, in questo caso, non va attribuita una
qualche accezione morale, ma esclusivamente estetica; un
sogno è bello nel senso che la sua struttura è armoniosa,
e sembra rispondere a criteri esclusivamente estetici:
«Quei sogni non erano solo eloquenti, erano anche belli.
Questo è un aspetto che è sfuggito a Freud nella sua
teorie dei sogni – puntualizza il narratore dell’Insostenibile
leggerezza dell’essere, nel descrivere gli incubi che
tormentano Tereza –. Il sogno non è soltanto una
comunicazione (magari una comunicazione cifrata), ma
anche un’attività estetica, un gioco dell’immaginazione,
che è di per sé un valore. (…) Qui sta la radice del perfido
pericolo del sogno. Se il sogno non fosse bello, sarebbe
possibile dimenticarlo in fretta. Tereza, invece, tornava

340
M. K un d er a , L ’I ns os t e n ib i l e l eg g er e z za d e l l ’es s er e , c it . p p. 5 9- 6 0.

213
continuamente ai propri sogni, se li ripeteva dentro di sé,
li trasformava in leggende». 341
Tutti i sogni, anche quelli che non sembrano affatto
rispondere ad una logica lineare, di tipo narrativo, perché
magari costituiti da una sola immagine, dal loro autore
vengono in genere percepiti come un unicum; dunque,
come compiuti, armoniosi.
Questo perché anche una singola immagine onirica –
oppure, nel caso di quei sogni che risultano composti da
poche immagini sconnesse, lo stesso criterio che è alla
base della loro concatenazione – si impone
all’immaginazione di colui che produce il sogno come
carica di una verità assoluta, che possiamo definire sacra
(se, alla maniera di Mircea Eliade, assumiamo questo

341
Iv i, p. 6 5. R ic or d iam o c h e in qu es to r om an zo e, p iù i n g e ner a l e, ne l
c om pl es s o de l l ’ op er a k und er ia n a, le s c en e on ir ic h e n on r ap pr es e nt a no
s o lo de l l e p ar en tes i , im pi eg at e p er a ll e g ger ir e la na r r a zi o n e , m a s i
r i v el a n o in v ar i m od i f un zi o n a l i a l l’ a pp r of o n d im ent o de i t em i es is t en zi a l i
a l c e n tr o d e l l’ o pe r a . Ne l l ’ Ins os t e n ib i l e l eg g er e z za d e ll ’e s s er e , es s e
v en g on o im p ie g at e s o pr a tt u tt o a ll o s c o p o d i s v i l up p ar e u l te r i or m en t e i l
per s o n ag g io d i T er e za , in g e ner e d al l ’ at t eg g i am ent o d oc i l e e i ntr o v er s o e
l e c u i pa ur e s i m a n if es ta n o ap er tam en t e s o l o i n s og n o. G l i i nc ub i
m en zi on a ti d a l n ar r a t or e , a d es em p io , c os t it u is c on o i l c o ntr a lt ar e de l l a
ge l os ia n utr it a di g i or n o d a T er e za v e r s o l e num er os e r e l a zi o n i
c l an d es t i ne a l l ac c ia te d a l m ar i to . A l lo s t es s o m od o de i m ec c an i s m i c he
r eg o l an o i s in g ol i s o g n i di T er e za , anc h e l a s e qu e n za c on la q u al e es s i
s i r i pr es e nt a n o ne l t e m po s em br a r is p o nd e r e a d un a l o gic a c o er en t e, a
tes t im oni a n za de l pr i n c i pi o es te t ic o c h e , c o m e s i e v inc e d a ll a l e t tur a d i
K un d er a , s em br er e b b e r e g o lar e l ’a tt i v it à o n ir ic a . A q ues t o pr o p os it o, i l
nar r a tor e s pi e ga c h e T er e za « So g na v a in s uc c es s i o ne t r e s er ie d i s o g ni :
l a pr im a, d o v e im per v er s a v a n o i ga tt i , p ar l a v a de l l e s of f er e n ze de l la s u a
v it a . La s ec o nd a m os tr a va , i n i n num er e v o l i v ar ia nt i , im m agin i d e l l a s ua
es ec u zi o n e. La t er za par l a v a de l l a s u a v it a d op o l a m or te , do v e l a s ua
um il i a zi o n e d i v en t a va un o s t a to s e n za f i n e. In qu e i s og n i n o n c ’ er a n u l la
da dec if r ar e . L ’ ac c us a c he es s i r i v o lg e v an o a T om áš er a c os ì c h i a r a c h e
l ui n o n p ot e v a f ar a lt r o c he s t ar zi t to o c a r e z za r e l e m an i d i T e r e za a
tes ta bas s a ». ( I b) .

214
aggettivo semplicemente per intendere tutto ciò il cui
valore non è riducibile al suo significato più manifesto e
contingente, che cioè non è «profano» 342); in tal senso,
essa rappresenta una forma conchiusa, che non può
essere messa in discussione, ma solo accolta,
interpretata.
I sogni appaiono come l’anello di congiunzione con
quell’altro mondo, il mondo psicologico, che si configura
come un sistema bilanciato di forze 343; in quanto simbolico,

342
D i M ir c ea E l ia d e, c f r . Il T r a tt at o d e l le r el i g io n i, c it ., in par t ic o l ar e i l
par . 1 d e l pr im o c ap i to l o: « ’S a c r o ’ e ‘p r o fa n o ’» , p p. 3- 6 .
343
A d es em p io , Ca r l G u s ta v J u n g, p er d ef i n ir e l ’u n it à ps ic h ic a , r ic o r r e a l
c onc e tt o d i S e lbs t ( i l s é) : a d if f er en za d e l l ’i o , no zi o n e c on c ui vi e ne
de l im it at o i l s o lo «c e ntr o d el l a c os c ie n za » , il s é r a p pr es e nt a i l p un to
d ’i nc on tr o tr a la c os c i en za e l ’ i nc o ns c i o. S e c on d o J u n g, i l s é c os t it u is c e
l ’a p ic e d e l le f or m e c o nc h i us e, l ’a r c h et i p o d e ll ’ or d in e e d e l la t ot a li tà e per
qu es to p uò es s er e r ap pr es en ta t o s im bo lic am ent e d al l e im m ag i n i d e l
c er c h i o, d e l qu a dr a t o, de l b am bi no e d el m and a l a; i nc ar n a l ’ar c h et i po d e l
c en tr o, p er ec c el l e n z a. D e l c o nc et t o d i s é , J u ng tr at t a, a d es em p io , i n
Ps ic o l o g ia e a lc h im i a , tr a d. i t. d i R . B a zl en , Rom a 1 95 0. I n u n a ltr o
v o lum e, J u n g of f r e u n’ i nt er p r e ta zi o n e de i s o gn i , af f in e a l l a n os tr a i po t es i :
«L a c os c i en za d i v i d e: m a c o l s o gn o n o i p en e tr i am o ne l l ’ uo m o pi ù
pr of on d o, un i v er s a le , v er o e d e ter n o, anc or a im m er s o i n q u el l a o s c ur it à
de l l a n ot t e pr im it i v a i n c u i eg l i er a i l t u tt o e t ut to er a i n l ui , ne l l a n at ur a
pr i va d i o g n i d if f er e n zi a zi o ne e di o gn i ‘ e s s er e i o ’» . C i t. da L a r ea l tà
de l l ’a n i m a ( 19 4 7) , tr ad . it . di P. S a nt ar c an g e li , Rom a 19 4 9, p. 4 3 .
Ne l l ’ in te r ve nt o s u l l ’ Er ed i tà mi t ic a de l l a p oes i a, c it ., p . 3 06 , a nc he
Her m an n s os t ie n e c h e «I l s o gn o , q ues t o q uo ti d i an o m ito d i tu tt i i g i or n i e
d i t ut te l e n o tt i, n on c on t ie n e s o l ta n to l a us u a l e ( ar is to t el ic a) lo g ic a
d iur n a, m a anc h e u na pi ù u n i ver s a l e ‘ l og ic a not t ur n a ’, c he i nc l u d e i n s é
l a p r im a. Q u es ta l o g i c a no tt ur na s i c om po r ta c er to in m odo a l t am ent e
‘ i ll o g ic o ’ c o n l e s ue c o nn es s i on i e c on i s uo i ta g l i f o lg or an t i: d i es s a p er ò
s ap p i am o c on o gn i s i c ur e z za , pr o pr io pe r c hé n e a v v er t i am o i l ‘ s ens o ’
pr of on d o, c h e s e g ue nor m e be n pr ec is e anc h e s e q u es t e s e m br an o
pr o v e n ir e d a u n a l tr o m ondo » . P er D a n i lo K iš , i n l i n ea c on l a p o e tic a d i
Br oc h , l’ or d in e de i r o m an zi de v e at te n er e a ll a s t es s a lo g ic a s o tt er r an e a
c he r e g o la i s o g ni ; du nq u e, r is p ec c h i ar e la s tes s a «p r of o n d it à de l l a n o tt e
e d el l ’ es s er e , f on d at a s u l eg g i a l tr e c he n o n qu e l le c r on o l og ic h e: l e l eg g i
de l l ’ as s oc i a zi o n e e d e l l ’or g an i z za zi o n e» . C i t . d a D . Kiš , T ous l es gè n es
de m es e l ec tur es , i n t er v is t a c o nc es s a n e l 19 7 3, or a in : I D, L e r és id u
am er d e l ’e x pér i e nc e , c it ., p . 2 1.

215
dunque – per definizione – capace di racchiudere in un
particolare il tutto 344, ogni sogno comprende questo
universo nella sua totalità.
In riferimento a quanto dicevamo prima, sull’aspirazione
coltivata dagli uomini a concepire un ordine totale, sembra
che sia questo il senso principale nel quale i sogni
svolgono la loro funzione compensatrice: le immagini
oniriche risarciscono l’uomo dalla sua immersione nella
dimensione profana della realtà diurna, la «crudelissima
immanenza» (come scriveva il filosofo Herzen),
permettendogli di riconciliarsi con la logica coerente e
unitaria della psiche, con il suo sé originario.
La medesima aspirazione al significato, questo desiderio
di poter contemplare la trama di una vita umana nel suo
insieme e cogliervi una forma, un disegno coerente (in altri
termini, ciò che siamo soliti chiamare destino), è anche
alla base del genere biografico e autobiografico: «Questo

344
Per M ir c e a E l ia d e, ad es em pi o, og n i s i m bol o, per q ua nt o p i c c o lo ,
i nc ar n a s em pr e n o n u na par t e m a tutt o i l s is t em a c he r ap pr es en ta : « A l
l im ite , l ’o g ge tt o c he d i v en t a u n s im bo lo t en d e a c o i nc i d er e c o l T ut t o, a l lo
s tes s o m odo c he la i er of a n i a te n de a i nc or p or ar e i l s ac r o n e l l a s u a
to ta l i tà , a es a ur i r e d a s é s o l a t u tt e le m a nif es t a zi o n i de l l a s ac r a l i tà ( …) .
Q u es t a ‘ un if ic a zi o n e ’ no n è u n a c o nf us io n e; il s im bo l is m o per m ette i l
pas s a gg i o, l a c ir c o l a z i on e da u n l i v el l o a l l’ a ltr o, d a un m odo a l l ’ al tr o,
i nt egr a n do t ut ti q u es t i l i v el l i e p ia n i, m a s e n za f on d er l i. L a t e nd en za a
c o inc i de r e c o l T ut to de v ’ es s er e in t es a c o m e ten de n za a i nt e g r ar e i l
‘t u tt o ’ in u n s is t em a, a r i dur r e l a m o lt e pl ic i tà a ‘s i tu a zi o n e ’ u nic a» . C it .
da l T r at ta to di s t or i a de l l e r e l ig i o ni , c i t. , pp . 41 3- 41 4 . D u n qu e, a nc h e i l
m ec c an is m o a l la b as e d e i s im bo l i r ap pr es en t a l a p er e n ne as p ir a zi o n e
um ana a l la d ef i ni zi o n e d i un s ens o , d i un a v is io n e u n it ar i a d e l le c os e , a
s ua v o lt a ec o d e l l a v o l on tà c os m og on ic a – l ’ at to d i c r e a zi o n e d a l c aos a l
c os m o – c h e c o ntr a d d is t i ng u e l ’ es p er i en za um ana e c h e è al l a bas e d i
qu a ls ias i at t i v it à i n c u i l’ u om o p os s a r ic on o s c er s i c om e u m an o p i ut tos t o
c he an im al e , o p as s i v o i ngr a n ag g io de l l a te c hn e .

216
libro è la storia della mia vita, il tentativo di raccontare
questa vita seguendo un ordine cronologico e di scoprirne
il significato» 345, scrive Nina Berberova nell’incipit della
sua autobiografia.
Come in tutti gli esempi di questo genere, anche Nina
Berberova, nel raccontarsi, non manca di esaltare in
rilievo segrete corrispondenze che intravede tra la sua
esistenza e quella dei modelli di riferimento, o tra il suo io
attuale e quello di un tempo; così, specifica che nella
stessa strada di Mosca dove lei era venuta alla luce, «due
anni e quattro mesi» 346 prima di lei era nato Nabokov, o
come la sua vocazione letteraria le si sia rivelata, come un
fulmine a ciel sereno, già in tenera età: «a dieci anni
giocavo, mi ingegnavo per sottrarmi ai compiti, mi mettevo
nell’angolo e grattavo l’intonaco; insomma, ero come tutti i
bambini, ma in me viveva anche un pensiero costante:
sono un poeta, sarò un poeta, e voglio fare amicizia con
chi è come me» 347.
La possibilità di proiettare sulla propria esistenza una
visione retrospettiva consente di ritagliarne il racconto
secondo una precisa logica, di immaginare, tra le varie
tappe che scandiscono il vissuto, la ricorrenza di
simmetrie, parallelismi, progressioni significative; per

345
N. Ber b er o va , I l Cor s iv o è m i o, tr a d. i t. di P. D e ot to , A d e lp h i, Mi l an o
19 8 9.
346
I v i, p . 4 1.
347
I v i, p . 3 1.

217
riprendere il paragone presentato da Kundera, di
sviluppare il proprio racconto alla maniera di una
composizione musicale.
Il criterio di ordinamento di questa narrazione risiede non
tanto nella saggezza accordata dalla maturità (Berberova
termina l’autobiografia all’età di ottantotto anni), quanto
nella possibilità di riconoscere, nelle maglie che
sorreggono l’ordito di un’esistenza, la presenza di un
tema, in riferimento al quale tutto diviene spiegabile: «Nel
corso della narrazione risulterà chiaro quale sia per me il
senso di questa vita (o forse di ogni vita), e quale sia la
strada che porta a questo senso, o quantomeno la
direzione in cui cercarla» 348.
Più che la velleità di autorappresentarsi come bambina
prodigio, o il capriccio di esibire la propria come la vita di
una predestinata, in questo sforzo di ricondurre ogni
vicenda ad un tema che si è individuato come perno
dell’esistenza, si rivela la dignità umana al suo massimo
grado, l’impeto etico di attestare la propria identità.
In un altro classico del genere autobiografico, Ricordi,
sogni, riflessioni 349 (1961) di Carl Gustav Jung (scritto a
quattro mani con l’allieva Aniela Jaffé), lo psichiatra vi
riconosce l’inutilità di affidarsi ai principi della scienza per
cercare di determinare il senso di un’esistenza; infatti, a

348
I v i, p . 1 6.
349
Ci t.

218
differenza di altri oggetti di indagine, l’esperienza umana
non può essere comparata a quella di nessun’altra
creatura e, di conseguenza, si sottrae a qualsiasi metro
oggettivo di valutazione.
Ne deriva che, nell’esplorazione di quanto lo concerne
intimamente, l’uomo manca degli strumenti necessari ad
un’analisi di tipo razionale e versa nello stato in cui si
trovavano i primitivi, allorché si accingevano ad
interpretare i fenomeni della natura nell’ignoranza delle
più elementari leggi della fisica.
Come questi ultimi, l’uomo di oggi, che tenti un’ispezione
della sua vita interiore – come di tutte le altre zone
dell’esistenza lasciate nell’oscurità dalla scienza –, riesce
a dominarne il caos solo ricorrendo all’attività
affabulatoria, sua principale risorsa da tempi
immemorabili. Dunque, tramite la sua riconversione entro
una struttura narrativa che risulti codificata e unitaria; di
un mito 350:

«Che cosa noi siamo per la nostra visione int erior e,


e che cosa l’uomo sembra essere sub specie
aeternat itis, può essere espresso solo con un mito. Il

350
Ric or d i am o c h e, s ec on d o H er m an n B r oc h, s ol t an to « my t h os e l og os
c ons e nt o no a l l’ u om o d i in t uir e l ’a pr i or i d e l p r op r i o Io » e c h e o g n i m ito, a
c aus a d e l la s u a i n tim a c o nn es s io n e c o n i l l og os , r ap pr es en ta s e m pr e u n
m ode l lo s tr ut tu r a lm en te c om pi u to ; c a pac e d i r ac c h i u der e, a tt r a v er s o la
nar r a zi o n e d i un a r e al tà s p ec if ic a, « la t ot a l i tà d e ll a n at ur a um an a ». C it .
da : H. Br oc h , L ’E r ed i tà m i t ic a de l l a p oes i a , c it ., p. 3 0 2. D i Br oc h, c f r .
anc h e l a c i ta zi o n e c h e a b bi am o r i por t at o n el l a n ot a 2 73 .

219
mito è più individuale, rappresenta la vita con più
precisione della scienza. La scienza si ser ve di
concett i troppo generali per poter soddisf are alla
ricchezza soggettiva della vita singola. Ecco perché,
a ottantatré anni, mi sono accinto a narrare il m io
mito personale. Posso f are solo dichiarazioni
immediate, soltant o ‘raccontare delle storiÈ; e il
problema non è quello di stabilire se esse siano o
non vere, poiché l’unica domanda da porre è se ciò
che racconto è la mia f avola, la m ia ver it à» 351.

L’arte del romanzo, nata da una tensione fagocitante nei


confronti degli altri generi intellettuali e artistici 352,

351
C it . d a l Pr o lo g o d i R i c or d i , s o g ni , r i f les s i o n i d i C .G . J un g e A. J af f é,
c it ., p . 2 7.
352
L’ i de a d i r om an zo c om e ar t e c he i n gl o ba gl i a ltr i g en er i, c h e f in or a
ab b i am o dec l in a to s opr a tt ut to ne l l ’ ac c e zi on e br oc h ia n a d i r o m an zo
«p o l is t or ic o» , es pr es s i on e c h e a l l ud e al l ’ at ti t ud i ne i nc lus i v a s v i l up p at a
da qu es t ’ ar te r is p e tt o ag l i a l tr i s tr um e nt i d e l s ap er e ( ne l l a pr os pe t ti v a d i
r ic om por r e, a l i v e l lo pur am en te f or m al e , u na tr am a c he am a lg am i le
d i ver s e im m agi n i d e l m ondo da es s i c o ns e gu i te) , tr o v a s os t e gn o anc he
ne l l e te or i e di G yö r g y L uk ác s e Mic h a i l B ac h t in , s e pp ur e i n m od a l it à
d if f er e nt i, a s ec o nd a de i du e c as i . M e ntr e i l pr im o, af f er m an d o c he « il
r om an zo , r i un e nd o i n s é t ut t e l e f or m e, de b ba ac c o gl i er e n e l l a s u a
c os tr u zi o n e s i a la p u r a l ir ic a c h e i p ur i p ens i er i » ( c it . da T eor i a d e l
r o ma n zo , 19 2 0, tr ad . it . a c ur a di G . Rac i ti , E d i zi o n i S e, M il a n o 20 0 4) ,
i nt en d e r if er ir s i es s en zi a lm e nt e a l l a d up l ic e na tur a di q ues t ’ar t e, per i l
f il os of o u ng h er es e n a ta a l l o s c o po d i r a p pr es e n tar e l ’ et er no s c o ntr o tr a
l a s o g ge tt i v i tà d el l ’ u o m o m oder n o, l as c ia t o s o lo d a q u e l le d i v in i tà c h e
i n vec e p er g l i er oi ep i c i c os ti t ui v a no de i p u n ti d i r if er im ent o s t ab i l i , ed u n
m ondo c h e, di c ons e gu e n za , si r i v e la ai suoi oc c h i c om e
ir r im ed i ab i lm en te a li e na n te , i l s ec o n d o, in v ec e – le c u i p os i zi on i c i
s em br a no m ag gi or m en te in li n e a c on qu e l le de g l i s tu d i os i pr es e in es am e
ne l n os tr o l a vor o, c o m e qu el l e d i Br oc h e K un d er a - , s v i l up p a qu es to
as s u n to i n r if er im ent o ad u n d is c or s o d i n a tur a pr e tt am en te s tr ut tur a le ;
r ic or d i am o c h e, ne l l a s ua m on o gr af ia s u K un d er a ( c i t.) , a nc he Ch v at ik
s ot to l i ne a l a d is t a n za c h e s ep ar a l e c o nc e zi o n i d e l r om an zo pr e s en t at e
r is pe tt i v am ent e d a K u nd er a e da L uk ác s , q u a lif ic a n do q u es t ’ u lt im a c om e
p iù «c o nt e nu t is t ic a» ( v d. p. 1 6 6) . P er B ac h t in , i l r om an zo , ar t e i n
d i ve n ir e e , d i c ons e gu e n za , na t ur a lm en t e r ef r a tt ar i a a i t en ta t i v i di

220
sussume la particolare spinta conoscitiva che
contraddistingue gli esperimenti biografici, indirizzata
verso la comprensione di un destino; con la differenza
che, nel regno problematico del romanzo, un personaggio
non è mai riducibile ad un destino – inteso come traiettoria
lineare che, dalla nascita, lo conduce, senza troppe
deviazioni, a realizzare le sue potenzialità più intrinseche
–, come invece accade nelle narrazioni mitiche ed
epiche 353. Queste ultime, più che il romanzo, sembrano

i nq u adr am en to tr o p po s is t em at ic i , n o n p u ò in t egr ar s i, c om e s e m plic e


ge n er e tr a g l i a ltr i , a f or m e l e tt er ar ie i n v ec e c ons o l id a te f i n da t em p i pr e-
s tor ic i, c om e la tr a ge d ia o l ’e p ic a; a l c o n tr ar io , n as c e pr o pr i o a m ar gi ne
de l l or o s m an t el l am ent o p ar o dis t ic o . A q ues t o pr o pos i to , lo s tu d ios o
r us s o s c r i v e : « No n s i pu ò ne p pu r e p ar lar e d i un ’ ar m on ia s u l l a b as e d e l la
r ec ipr oc a l im it a zi o n e e de l r ec i pr oc o c om pl e m ento . I l r om a n zo par od i a g l i
a ltr i ge n er i ( pr o pr io i n qu a nt o ge n er i) , s m as c her a l a c o n v en zi o n a l it à de l
l or o l i ng u ag g i o, s op p i an t a a lc un i ge n er i e ne i ntr o duc e a ltr i ne l l a s u a
pr o pr i a s tr u tt ur a, r e i nt er pr e t an d ol i e r iq u a lif ic a n do l i » ( c i t. d a E pos e
r o ma n zo , p. 4 4 7, i n: M. B ac ht i n, Es t et ic a e r om a n zo , c it .) . I n qu es to
s ens o , l ’u n ic a m oda l i tà n e l la qu a l e r is u lt a p os s i b i l e l ’ inc o ntr o tr a i l
r om an zo e a ltr e f or m e d e l la l et t er a tu r a o, p iù i n g e ner a l e, d el s ap er e,
a v v ie n e n e l c on tes t o d e l la l or o f a goc i ta zi o n e en tr o la s t r ut tu r a
i nt er n am en te inc om pi u ta d e l r om an zo .
353
Cf r . M. B ac ht i n, ne l s ag g i o d e dic a to a l r a pp or to tr a e p ic a e r o m an zo,
tr a i q ua l i l o s t ud i o s o in d i v id u a u n a c es ur a n et t a ( d i v er s am ent e da
Luk ác s , p er i l tr a i d u e v i è un r ap p or t o d i m agg ior e c o n ti n u it à) : «L ’ u om o
de i g en er i l et te r ar i a lt i e d is t an zi a t i [t r a i q u a li B ac ht i n r ic on os c e l ’ ep ic a,
n. d.r .] è l ’ uom o d e l pas s a to as s o l ut o e d e ll ’ im m agin e d i lo n ta na n za .
Com e t al e , e gl i è d e l t ut to c om pi ut o e c onc l u s o. E gl i è c om pi ut o a un a lt o
l i ve l l o er oic o , m a è c om pi ut o e es as p er at a m ente c om p le to , è t ut to q u i,
da l pr inc i p io a ll a f i n e, c oi nc i de c on s e s t es s o, è as s o lu tam e nt e u g ua l e a
s e s tes s o. I n ol tr e eg l i è t u tt o es t er i or i z za to . T r a l a s u a v er a es s e n za e l a
s ua p ar ve n za es ter i o r e n o n c ’ è la m in im a d i v er g e n za . T ut te l e s u e
po t en zi a l i t à s o no r ea l i z za t e f in o in f o nd o ne l l a s u a p os i zi o n e s oc ia l e
es t er io r e , in tu tt o i l s u o d es t i n o, pe r s i n o n e l s uo as pe tt o; f uor i d i qu es to
s uo des t in o d et er m in a to e di qu es ta s u a d e t er m in at a p os i zi o n e d i l ui no n
r es t a a lc u nc hé . E g li è di v e nt at o t ut to c i ò c h e p o te v a es s er e ed e g l i
po t e va es s er e s o l o c i ò c h e è d i v e nt at o . E g l i è t ut to es ter i or i z za t o anc h e
i n u n s e ns o p i ù e l em ent ar e, q uas i l e tt er al e : i n l ui t ut t o è ap er t o e de tt o
ad a l ta voc e, il s u o m ond o i nt er ior e e tu tt e l e s ue c ar at t er i s tic h e,
m anif es ta zi o n i e a zi o n i es t er i or i s i tr o v an o s u u n o s t es s o p ia n o. Il pu nt o

221
costituire lo schema di riferimento a cui attengono le
biografie intese come genere “a tesi”, che cioè rispondono
all’obiettivo di piegare gli episodi che compongono
l’esistenza del personaggio in questione ad una lettura
che ne riveli il carattere finalistico.
Compito del romanzo, invece, è sondare la zona d’ombra,
lo scarto che si annida tra l’azione che il personaggio
libera all’esterno e il processo recondito dei suoi pensieri.
Se comunque di destino si tratta, è un “destino interno”
quello di cui sembra delineare i contorni l’arte del
romanzo, un tipo di destino che non prevede
necessariamente come condizione della sua presenza una
rivelazione allo sguardo altrui; il perimetro dei problemi
personali (amicizia, amore, dolore, etc.) di cui il
personaggio fa esperienza e che compongono il bagaglio
della sua identità, i leit-motiv della sua esistenza.
Mentre gli eroi dipinti dai miti, e dalle opere letterarie
annoverabili sotto il genere memorialistico – di cui l’epica
e le biografie possono forse essere considerate due
possibili diramazioni – attengono alla sfera del divino, o
comunque dell’astratto, in quanto interamente rispondenti
ai determinati assunti teorici che sono chiamati a

d i v is t a da c u i eg l i g u ar d a s e s tes s o c o inc i de i n ter am en te c o n q ue l l o da


c u i lo g u ar d a no g l i a ltr i , l a s oc i et à ( l a s u a c ol l et t i v it à) , il c a nt or e , g l i
as c o l ta t or i» . C i t. da E pos e r o ma n zo . S u l la me t od o l og i a d e l l o s t u d io d el
r o ma n zo ( 19 3 8, 1 9 41) , p p . 47 5- 47 6 , i n: M . B ac h t in , Es te t ic a e r o ma n zo ,
c it .

222
dimostrare, il «personaggio uomo» 354, quello raffigurato dai
romanzi, rappresenta la condizione umana sulla terra, nel
territorio sempre imprevedibile dell’esistenza concreta.
Comune al mito, resta però l’elemento a cui abbiamo
dedicato la principale attenzione nel corso di questo
capitolo – e a un cui maggior risalto può forse essere
valso l’accenno appena terminato alle differenze che
separano mito e romanzo –, ossia la tensione conservata
da quest’ultimo verso una struttura formale unitaria; come
già ricordato, una delle possibilità che si offre al romanzo
al fine del suo conseguimento, è costituita dal ricorso al
principio formale dell’ironia 355, che consente a quest’arte
di restituire un’immagine armoniosa della varietà del reale
e in cui si può forse ravvisare un retaggio della

354
D al ti t ol o d i un a r ac c o l ta d i s a gg i di G iac om o De b en e de tt i: I l
per s o n ag g io uo m o. L ’uo m o d i fr o nt e a l le f or me de l d es ti n o n e i gr a nd i
r o ma n zi d el N ov ec en t o, G ar za nt i , M i la n o 1 9 88 .
355
Ric or d iam o c he a nc h e G yö r g y L uk ác s r ic o n o s c e in q ues to pr i nc ip i o un a
de l l e c a r a tt er is t ic h e f on d am ent a l i d e l r om an zo ( Cf r . s op r a tt ut t o i l qu ar to
c ap i to l o de l l a Pr im a P ar t e d e l l a T e or i a d e l r om a n zo , «L a f or ma i nt er n a
de l r o ma n zo » , c it ., pp . 6 2- 75) . T ut ta v i a, m e ntr e Luk ác s , n e l r ic o n os c er e
l a s c o p er t a d e ll ’ ir o n i a c om e i l noc c i o l o d el l a n o vi t à c on o s c it i v a
r ap pr es en ta t a d a l r om an zo , r is p et t o a l l ’ ep os , s u l l a s c or t a de i te or ic i de l
pr im o r om ant ic is m o, l a i n ter pr et a s opr at t ut t o c om e « l ’ au to r ic o nos c im ent o
– e d u n qu e l ’a u tos u p er am e nt o – de l l a s o g ge tt i v i tà », – e ,d u nq u e , le g ge
l ’ in tr o d u zi o n e d e l l’ e l e m ento ir on ic o n e l r om an zo s ec o n do qu e l l ’ac c e zi o n e
p iù «c o nt en u t is t ic a» i nd i v i du a ta d a C h va t ik ( v d. n ot a 3 5 1) - , ne l l o s t ud i o
c he a bb i am o c on d ot t o f in or a, a bb i am o f at to r if er im en to a ll a “ s t r ut tu r a
ir on ic a” ne l m od o in c u i l a def in is c e, a d es em pi o, M i la n K un d er a , c om e
dec l i na zi o n e d i u n t e m a al la l uc e d i p u nt i d i v is ta d if f er e nt i , c os ì d a n o n
r i dur n e l a l et tu r a u n a par t ic o l ar e tes i .

223
«coincidentia oppositorum» 356, principio alla base della
struttura dei miti.
Quest’affinità formale, che sembra rappresentare il filo
invisibile che collega il mito al romanzo – a lato delle
differenze sostanziali che li separano e su cui ci
soffermeremo nell’ultima parte del nostro studio – può
essere messa in evidenza ricorrendo ancora ad un
paragone con la musica.
Nel Mito e la musica, Lévi-Strauss scrive:

«Per quanto riguar da l’aspetto della somiglianza, il


principale punto che assodai f u che, proprio come in
una partitura musicale, è impossibile comprendere
un m ito come una sequenza cont inua. (…) dovremmo
invece coglier lo come una totalità e scoprir e che il
suo signif icato f ondamentale non è trasmesso dalla
sequenza degli eventi ma, per così dir e, da f asci di
event i, anche se questi eventi appaiono in momenti
diversi della stor ia. Perciò dobbiamo leggere il mito
più o meno com e leggeremmo una partitura
orchestrale, non una strof a dopo l’altra, ma sapendo
che è necessar io cogliere il senso dell’intera pagina
e che le parole della pr ima strof a all’inizio della

356
Es pr es s i o n e ad o tt at a d a M ir c ea E li a de ne l T r at ta t o d i s to r i a de l le
r e li g i on i , in r if er im ent o al l a s tr utt ur a d up l ic e de i m i ti , i q ua l i s o no s p es s o
im per n ia t i a tt or no a l lo s c o ntr o d i d u e po l ar it à , p o i des t i na t e a
r ic on g i un g er s i, o p pur e a l l’ a gn i zi o n e d i u n a d i v i ni t à, d i c u i s i r i v e la n o i
du e v ol t i b e ne v o lo e d is tr u tt or e. Sec o nd o lo s tu d ios o , q ues t a c os tr u zi o n e
po tr eb b e r a p pr es e nt ar e l a c onc e zi o n e or ie nt a l e, n el l a qu a l e « l a
per f e zi o n e n o n è c onc e p ib i l e s e n za un ’ ef f ett i v a t o ta l i z za zi o ne d e i
c on tr ar i» . C it . d a l T r a t ta to d i s tor i a d e l le r e li g io n i, c it ., p ar . « Co nc i de n ti a
op p os it or um – mo d e ll o m i tic o », p p . 38 1- 3 83 .

224
pagina acquistano signif icat o solo se vengono
considerat e parte e por zione di ciò che è scr itto più
avant i nella seconda strof a, nella ter za e così via.
Bisogna cioè leggere non solo da sinistra a destra
ma contemporaneamente in senso vert icale, da cima
a f ondo. Dobbiamo capire che ogni pagina è una
totalità. E solo trattando il mito alla stregua di un
partito orchestrale, scritto strof a per strof a,
possiamo comprenderlo come una totalità ed
estrarne il signif icat o» 357.

Allo stesso modo, il senso di un romanzo, quel che di più


essenziale esso rivela dei temi che prende in esame non
può essere desunto esclusivamente da una lettura lineare;
piuttosto che dalla morale della storia raccontata, questo
senso risulta dal concerto delle varie risonanze a cui dà
luogo la modulazione dei temi in questione.
Come il compositore concepisce il primo movimento di una
sonata già in funzione del modo in cui i suoi motivi
convoglieranno nel finale, il romanziere organizza la sua
opera «come una totalità»:

«(…) per lui ogni minimo dettaglio è importante, lo


trasf orma in motivo e lo f arà tornare in molteplici
ripet izioni, variazioni e allusioni, come in una f uga.
Per questo è sicuro che la seconda parte del
romanzo sar à ancor a più bella, più f orte della prima;
via via che ci inolt reremo nelle sale del castello,

357
C. L é v i- Str a us s , Mi t o e m us ic a , c it ., pp . 5 7- 58 .

225
inf atti, gli echi delle f rasi già pronunciate, dei temi
già esposti, si m olt iplicheranno e, associat i in
accordi, risuoner anno ovunque» 358.

Nelle pagine del Sipario – da cui è tratta la precedente


citazione –, Milan Kundera offre un saggio di questa
inclinazione compositiva osservata dai romanzieri, basata
sulla lungimiranza.
Nel finale dell’Educazione sentimentale (1869) di Flaubert,
Frédéric e Deslauriers rievocano malinconici la loro prima
visita al bordello, risalente a parecchi anni prima; in
realtà, si tratta di una visita mancata: i due amici, infatti,
scappano appena arrivati, paralizzati dalla timidezza.
Tuttavia, a dispetto della maturità poi conquistata da
adulti, la cosiddetta «educazione sentimentale», entrambi
si trovano d’accordo a riconoscere proprio nel periodo del
loro primo apprendistato – di cui la figuraccia al bordello
rappresenta il culmine – la più bella stagione della loro
vita.
A prima vista, questo riferimento, che figura per la prima
volta direttamente nel finale, ad un episodio in realtà
verificatosi fuori dal tempo del romanzo (prima che la
storia effettiva avesse inizio) e altrimenti sempre taciuto –
e questo nonostante rappresenti il “sugo della storia”,
almeno nell’ottica dei protagonisti – potrebbe essere

358
M. Ku n de r a , I l S ip ar i o , c i t. , p ar . « I l R o ma n z o c o m e u t op i a d i u n m on d o
c he ig n or a l ’o b l io » , pp . 16 4- 1 6 5.

226
interpretato come un difetto di composizione, una
deviazione rispetto alle regole normalmente seguite nella
fase narrativa dello “scioglimento”.
A ben guardare, però, si nota che un’allusione alla vicenda
del bordello compare già all’inizio del romanzo, più
precisamente nel secondo capitolo della prima parte.
Al termine di una passeggiata, Frédéric e Deslauriers
scorgono una luce accendersi sotto il tetto di una casupola
in lontananza: questa apparizione risveglia nei due amici il
ricordo di un’avventura comune e non meglio specificata,
la cui evocazione scatena fragorose risate.
L’introduzione di questo piccolo dettaglio, lasciato
scivolare quasi impercettibilmente all’inizio del romanzo,
proietta nuovi significati sul finale; al contrario che
asimmetrico, esso si rivela il prodotto di un calcolo ben
studiato, il cui risultato – osserva Kundera – è quello di
provocare una sorta di effetto contrappuntistico tra
l’allegria registrata dalle risate di Frédéric e Deslauriers
all’alba del loro percorso di iniziazione sentimentale e la
malinconia provata invece alla fine.
Perché questo raffinato disegno compositivo possa esser
colto, è però necessario che il lettore sia in grado di
passare dalla semplice attenzione automatica, di solito
richiesta per immagazzinare prontamente (e dimenticare
altrettanto velocemente) l’ondata di dati proveniente ogni

227
giorno dalla televisione, dal web o da quella narrativa «in
concorrenza con le arti audiovisive e la cronaca» 359 a una
concentrazione più profonda, necessaria a trattenere i
particolari indiziali che il romanziere dissemina nella sua
opera, almeno fino a veder compiuto il tracciato che ne
riscatta il senso complessivo 360.

359
Co n qu es ta f or m ul a, M as s im o R i z za n t e al l u de a q u el t i p o di
pr o d u zi o n e c h e s em br a a v er r i nu nc i at o a d og n i pr er o ga t i va ar ti s tic a di
f il tr a r e es t et ic am e nt e, c io è at tr a ve r s o u n la v or o d i i n ve n zi o n e f or m a le , l a
r ap pr es en ta zi o n e de l m ondo e c h e s i r id uc e , pr o pr i o c om e un a c r on ac a o
un t e l ef i lm , al l ’es p os i zi o n e d i u n a v ic en d a da l l o s n od o i nc a l za nt e, il c ui
pr inc i p io d ’ a zi o n e è f a v or it o a tu tt o s v a nt a g g io d e l lo s p a zi o l as c i a to a l l a
r if l es s io n e. Q u es t a a b d ic a zi o n e d e l l o s ta tu t o ar tis t ic o a f a vor e d i qu e ll o
i nf or m at i vo tr ad is c e u na pr of o nd a i nc o m pr ens io n e de l r u o l o de l l a
l et ter at ur a, l a c u i ut i l i tà v i e ne m is ur a t a or m a i s o l o s u ll a b as e d e l l a s u a
f un zi o n a li t à m er am en t e c on t in g en te . A q ues t o pr o p os it o, d a l s a g g i o di M .
Ri z za n t e N o n s ia m o g li u lt i m i, c i t. , c f r . s o pr a tt u tt o i l c a p it o lo « Il n i ño
i nt er ior » , pp . 3 4- 38 .
360
Il d is c or s o r e la t i vo a l t i po d i m em or ia s o ll ec it a ta d al l a l ett ur a d e i
r om an zi è s t at o af f r on t at o n e l ter zo par . de l s ec on d o c a p it o l o, « La
te m por a l it à al tr a d e l la mus ic a e d e l r o m an z o» ; vd . s opr at t ut to p p. 45- 4 6.
In un ’ a ltr a s u a o p er a, L ’I m m or ta l it à , l o s t es s o K u nd er a of f r e u n s ag g i o,
i n qu es to c as o a ttr a v er s o la m od a li t à ir on ic a i ns i t a a i r om an zi , d e l la
d is a b it u di n e d el l ’ uom o c o nt em por an e o a c o l ti v ar e qu e l t ip o d i p a zi e n za
nec es s ar ia a l l a c om pr ens i o ne d i u n ’ op er a ar tis t ic a , c h e s i tr at ti d i m us ic a
o d i r om an zo . Inc a p ac e d i d is c e r n er e l ’ i m por ta n za d e ll a f or m a, al
c on tr ar io in tes a c om e un ap p ar a t o i ng o m br ant e , c he s e r ve s o lo a
r it ar d ar e l ’ es p os i zi o n e de l l a tr am a – i l c ui s c or r im ent o in v ec e s i vu o l e
s em pl ic e e ve l oc e - , l ’u om o c ar tes i an o de i nos tr i t em pi, r i do tt o or m ai
a ll ’ ex tr e m a r a t i o, de l l e op er e ar t is tic h e r it i e n e s o l o qu e l l o c h e pe r c ep is c e
c om e ver am en te u ti l e; c io è , f un zi o n a l e ad un ac c r es c im ent o
de l l ’ er u d i zi o n e o , a l m as s im o, ad u n ef f et t o d is t e ns i vo , n e l la s u a o tt ic a
l ’ar t e es s en d o r id ot t a a l l e s o l e f un zi o n i em ine n tem en t e pr at ic he d i
ap p ar at o d e l l’ i nf or m a zi o n e o d i e v as i on e . C os ì , n e ll ’ u lt im o c ap i to l o
de l l ’I m m or t a l it à, il m ed ic o P a ul c om m ent a c on s ar c as m o l a f at ic a
d is p e ns a ta d a l c om p o s it or e Ma h le r , ne l r if i n ir e l a s ua c e le br e S et t im a
s i nf on i a; d i s e g ui t o, r i por t iam o u n es tr at t o d e l di a l og o s v o lt os i tr a qu es to
per s o n ag g io e i l n ar r at or e ( c h e r a ppr es en t a d ir ett am en te l ’a l ter eg o d i
K un d er a ) : « ’ Me l o im m agi no in q u el l a s ta n za d ’ a lb er g o c ir c on d at o d a
f og l i d i n ot e, ’ c o n ti n u ò P a ul s en za l as c i ar s i i nt er r om per e ‘c o n v in to c h e
tu tt a la s u a o p er a s ar eb b e s t at a r o v in a ta s e n e l s ec o n do m o v im en t o l a
m elo d ia f os s e s t at a s uo n at a d a l c l ar i ne tt o i n v ec e c he da l l ’ ob oe ’ . ‘ È
pr o pr i o c os ì ’ d is s i p e ns a n do a l m io r om a n z o. P au l c on t in u ò: ‘ Vo r r e i c h e
un g i or no q u e ll a s i nf o n ia f os s e es e gu i t a da v an t i a un p u bb l ic o d i f am os i

228
Questo tipo di tensione progettuale è alla base di tutte le
arti; anche di quelle apparentemente affidate
all’improvvisazione, come certe correnti della musica jazz
o della pittura astratta; ma ciò che distingue il romanzo
dalla comune narrativa, il quid che chiamiamo l’elemento
romanzo, consiste proprio nella possibilità che, in
quest’arte, la forma acquisisce di concorrere
all’espressione del senso.
Nel caso del romanzo, la progettazione macro-strutturale
si presenta come la condicio sine qua non, la fase nella
quale esso esaurisce il suo compito essenziale. Nella
possibilità di imbastire un disegno compositivo, che stimoli
il lettore alla necessità di abbracciare l’opera nel suo
insieme per poterne comprendere le singole parti, il
romanzo realizza la sua aspirazione alla totalità.

es p er ti , pr im a c o n le c or r e zi o n i d e l l e u l t im e d ue s e tt im an e e p o i s en za
c or r e zi o n i. V i g ar an t i s c o c he n es s un o r i u s c ir eb b e a dis t in g ue r e un a
v er s io n e d a l l ’a l tr a . In t en d i am oc i: c er tam e nt e è m er a v i gl i os o c h e i l m oti vo
s uo n at o d a l v io l i no ne l s ec o n do m o vim e nt o s i a r i pr es o n e l l ’ u lt im o
m ovim en t o da l f la ut o. T u tt o è e la b or at o, m e di t at o, pr of o nd am ent e
s en t it o, n u ll a è las c i at o a l c as o, m a q ues t a i m m ane p er f e zi o n e c i s up er a,
s up er a la c ap ac it à de l l a n os tr a c onc en tr a zi o n e, c os ic c h é anc h e
l ’as c o lt a tor e p i ù f a n at i c am ent e a tt en t o n on per c e p ir à c he u n a c e n tes im a
par t e de l l a s i nf o ni a e s ic ur am e nt e qu e l l o c h e p er Ma h l er er a m eno
im por ta nt e ’. I l s u o p ens i er o, c os ì pa l es e m ente g i us t o , lo r a l l egr a v a,
m entr e i o d i v en ta v o s em pr e p i ù tr is te : s e un m io le tt or e s a l ta s s e u na
f r as e de l m io r om an z o n o n l o c ap ir e bb e, e pp ur e q u a le l et tor e a l m ondo
no n s a lt a n ea nc he u na r ig a ? I o s tes s o n on s o n o f or s e i l pi ù gr a n d e
s a lt at or e d i r i gh e e d i pa g i ne ? ‘N o n n e go a l l e s i nf o n i e l a lor o pe r f e zi o n e’
c on t in u ò P a u l. ‘N e go s o lt an t o l ’ im por ta n za d i q ue l l a p er f e zi o n e. Q u es t e
ar c is u b l im i s i nf on i e no n s o n o c h e l e c at te dr a li d el l ’ i nu t i le . So n o
i nac c es s ib i l i al l ’ u om o ( …) ’» . C i t. da M . K u n der a , L ’I m m or t a l it à, c i t. , p p.
35 5- 3 56 .

229
3.5 Variazione su tema o la forma della massima
totalità

Per spiegare la somiglianza che unisce, a livello formale, i


miti e le composizioni musicali del periodo classico – la
cui compattezza strutturale risponde in entrambi i casi alla
funzione di restituire una visione ordinata dell’esistenza –
e la relativa necessità di sottoporli ad un’analisi che
rispetti lo stesso metodo sincronico, cioè basato
sull’esame della correlazione piuttosto che della
successione dei singoli passaggi, in Mito e musica Lévi-
Strauss cita, ad esempio, l’Anello del Nibelungo.
Lévi-Strauss si concentra in particolar modo sulla
ricorrenza di uno stesso motivo musicale in tre momenti
distinti e lontani: quello in cui Alberico promette di
rinunciare per sempre all’amore in cambio dell’oro
(nell’Oro del Reno), quello in cui Sigmundo estrae la
spada dall’albero in cui era conficcata e conquista così
Siglinda (nella Valchiria) e un altro nel quale il re degli
dei, W otan, condanna sua figlia Brunilde ad un lungo
sonno magico e la circonda di fiamme (sempre nella
Valchiria).
Il confronto a cui dà luogo l’accostamento di queste scene,
reso possibile dall’individuazione del loro leit-motiv,
permette di ricavarne significati, utili alla comprensione
dell’intera opera, che non sarebbe stato possibile
desumere da una considerazione isolata dei tre diversi
episodi; attenendoci all’interpretazione di Lévi-Strauss,

230
«che l’oro, la spada e Brunilde sono una sola e medesima
cosa: l’oro come mezzo per conquistare il potere, e la
spada come mezzo per conquistare l’amore, se così si può
dire. E questa sorta di fusione tra l’oro, la spada e la
donna ci spiega perfettamente perché, alla fine di Il
crepuscolo degli dei, l’oro ritorna al Reno, proprio
attraverso Brunilde: essi erano una sola e identica cosa,
vista da differenti angolature» 361.
Allo stesso modo – continua Lévi-Strauss – i miti, in
quanto prodotto dell’esigenza profondamente umana di
ristabilire un ordine nel caos, appaiono spesso strutturati
in previsione della conciliazione finale di un conflitto
generato tra entità dalla natura apparentemente opposta,
come cielo e terra, sole e luna, e così via.
La stessa possibilità di percepire tale ricongiunzione
deriva dalla capacità di tener presente, in ogni momento, il
mito nel suo complesso e così di riconoscere che ciò che
in un primo momento sembra rispondere ad una diversa
natura può rivelarsi in realtà la stessa cosa « vista da
differenti angolature».
Nell’esempio wagneriano appena menzionato è possibile
riconoscere un modello di variazioni sul tema. Lévi-
Strauss riconosce in questa forma un principio ideale al
sostegno di una composizione organica, concentrata, in
cui ogni passaggio si presenta strettamente correlato agli

361
C. L é v i- Str a us s , Mi t o e m us ic a , c it ., p. 6 1.

231
altri, tanto da indurre l’ascoltatore, in ogni istante della
composizione, a restare sempre «consapevole della
totalità» 362:

«Se prendiamo per esempio la f ormula musicale del


tema e delle var iazioni, possiamo individuarla e
sentir la solo se, ad ogni var iazione, abbiamo in
mente il t ema ascoltat o in precedenza; ogni
var iazione conser va il suo sapore solo se,
inconsciamente, riusciamo a sovrappor la all’ultima
var iazione udita» 363.

Abbiamo già spiegato che la ragione per cui i romanzieri


individuano nelle forme musicali efficaci modelli di
rappresentazione dell’esistenza è che esse sembrano
ricalcare delle formule ancestrali, corrispondenti alla
maniera in cui, fin dalle origini, gli uomini si sono
rappresentati la realtà.

362
I v i, p . 6 2.
363
T r ad. n os tr a da l l ’ or ig i na l e in f r a nc es e: « S i v ous pr e ne z l a f or m ule
m us ic a l e d it e ‘T h èm es et V ar i at i ons ’ , p ar ex em pl e, vo us n e l a p er c e vr e z
et v o us ne l a s en t ir e z qu e s i p our c h a qu e v a r i at i on v o us gar d e z à l ’ es pr i t
l e t hèm e q ue v o us a v e z e nt e nd u po ur c om m enc er ; c h aq u e v ar i at i on n ’a
s a pr opr e s a v e ur q ue s i, inc o ns c iem m ent, v ous s a ve z la s up er pos er à l a
v ar ia t io n q ue v ous ve n e z d ’e nt e n dr e ». C i t. d a : C . L é v i- Str a us s , M y th e et
m us iq ue , c i t., p. 4 3 . I n q ues t o c as o , ab b i am o pr ef er it o a t te n er c i
a ll ’ or i gi n a le e n on al l a tr ad u zi o n e i ta l i a na a c ur a d i C es a r e Se g r e (« S e
pr e n d iam o p er es e m pio l a f or m ul a m us ic a l e d e l tem a e de l le
v ar ia zi o n i , pos s i am o in d i vi d ua r l a e s e n tir l a s o lo s e , a d o gn i var i a zi o n e,
ab b i am o i n m en te il t e m a as c o lt a to i n pr ec e de n za ; o g ni va r i a zi o n e ha u n
s uo s a por e p ar t ic o l a r e, s e r i us c i am o inc ons c i am en te a s o vr a pp or l a
a ll ’ u lt im a var i a zi o n e ud i ta ») , c h e c i s em br a v a n o n s o tt o li n ea r e
op p or t u na t am ent e l ’ i d ea d i L é v i- Str a us s d e l l ’im p os s i b i l it à d i dis t i ng u er e
og n i va r i a zi o n e s e n on r ic o nd uc en d o la a l l e pr ec ed e nt i ( e d u n qu e al
tem a) .

232
Forma mentis per eccellenza, la variazione su tema si
configura come un modello conoscitivo basilare, dal
momento che appare fondata sui principi di immanenza e
trasformazione alla base di ogni fenomeno 364.
Anche Milan Kundera, da noi menzionato già più volte, in
quanto nel gruppo dei romanzieri che adottano le forme
musicali, dimostrandosi particolarmente consapevoli della
loro valenza esistenziale e, di conseguenza, della
potenziale funzionalità di questi schemi ai fini
dell’indagine conoscitiva tentata dall’arte del romanzo, tra
le varie forme, mostra di riconoscere proprio nella
variazione sul tema il modello più esemplare del modo in
cui gli uomini inquadrano la loro esistenza.
Già nell’Insostenibile leggere zza dell’essere Kundera
aveva osservato come l’uomo che ricerchi nella sua vita
un disegno, un principio di senso, tenda a
rappresentarsela secondo «le leggi della bellezza» 365,
parametri che sembrano riecheggiare le composizioni
musicali.
Nel romanzo composto successivamente – L’Immortalità
(1990) – Kundera ritorna su questo paragone, specificando
però che la forma che meglio si configura come modello
per una riflessione sull’esistenza è la variazione su tema,

364
P er un a p pr of on d im ent o d el l a v a le n za f i l o s of ic a i ns i t a al c o nc e tt o d i
v ar ia zi o n e s u l t em a, s i r im a nd a a l n os tr o s ec on d o c a pi t ol o .
365
C it ., v d . n ot a 3 40 .

233
unità strutturale matrice di forme compositive più
complesse, leit-motiv della stessa musica.
In una delle numerose meditazioni poetiche che
contrassegnano la poetica kunderiana, il narratore
dell’Immortalità (alter ego dell’autore) spiega che la stessa
astrologia costituisce un esempio di come l’uomo, fin da
tempi immemorabili, usi raffigurarsi il corso della propria
esistenza secondo un paradigma che rispecchia il
tracciato compositivo da noi conosciuto come variazione
sul tema:

«(…) Pare che l’astrologia ci insegni il f atalismo:


non sf uggirai al t uo dest ino! Per me l’astrologia
(intendiamoci, l’astr ologia come metaf ora della vita)
dice qualcosa di m olto più sottile: non sf uggirai al
tema della tua vita! Da ciò der iva, ad esempio, che è
una pura illusione voler iniziar e a un certo punto
della vita una ‘nuova vita’ che non assomigli alla
precedente, iniziare, come si dice, da zer o. La vostra
vita sarà sempre f atta dello stesso mat eriale, deg li
stessi mattoni, deg li stessi pr oblemi, e ciò che in un
primo momento vi appar irà come una ‘nuova vita’
ben presto si dimost rerà una semplice variazione di
quella precedente. L’oroscopo assomiglia all’orologio
e l’or ologio è la scuola del f inito: non appena la
lancetta descrive un cerchio e ritor na al punto di
partenza, una f ase è conclusa. Sul quadrante
dell’oroscopo le nove lancette girano a diversa
velocit à e ad ogni istante si conclude una f ase e ne
inizia un’altra. Quando l’uomo è giovane, non è in

234
grado di percepir e il tempo come un cerchio, bensì
come una strada che porta dritta ver so or izzont i
sempre nuovi; non intuisce ancora che la sua vita
contiene un unico tema; lo comprende solo nel
momento in cui la sua vita comincia a r ealizzare la
prima var iazione» 366.

Per definizione, non è possibile conoscere l’informe.


Se conoscere equivale a fare luce, distinguere la forma
delle cose, ignoto è ciò che giace nell’indistinto
dell’oscurità.
L’atto di comprendere un fenomeno comporta quindi la
necessità di riconvertire l’assetto nebuloso con cui
all’inizio esso si presenta alla luce di un modello formale.
La stessa possibilità di percepire una forma implica il fatto
di riuscire a seguire l’evoluzione di un «sostrato» (come
Eraclito definiva il nocciolo che non muta) attraverso lo
spettro di una o più alterazioni; solo queste ultime, infatti,
forniscono l’occasione di riuscire a distinguerlo e, in
questo modo, di comprenderlo.
A questo riguardo, risuonano significativi e quasi oracolari
alcuni versi di Seamus Heaney: «Strano come le cose in
vista, una volta intuite, / si convertano in cose previste; / e
come ciò che ci capita si manifesti / solo alla luce di ciò
che è già successo (…)» 367.

366
M. K un d er a , L ’I m m or t a li t à, c i t. , p . 29 4 .
367
Ver s i tr at ti d a l la s e zi on e «x lv i i i » de l p oem et to Mi s ur a zi o n i , tr a d. it . di
N. F us i n i, or a i n: S. He a ne y, P o es i e s c e l te , R. Sa n es i ( a c ur a d i ) , tr a d .

235
Il messaggio di fondo di questi versi, e in cui sembra
sussistere anche la filosofia che sottende la forma delle
variazioni, è che la conoscenza sia possibile solo come
riconoscimento. Questo assunto porta Kundera a
concludere che se l’uomo tenta di comprendere gli
avvenimenti della sua vita, finisce per inquadrarli secondo
la logica delle variazioni su tema:

«(…) E la vita è così: non somiglia a un romanzo


picaresco, dove il pr otagonista di capitolo in capit olo
viene cont inuamente sorpreso da nuovi avveniment i
senza alcun denominator e comune. Somiglia alla
composizione che i musicisti chiamano: tema con
varia zioni» 368.

La riflessione intorno al valore della variazione su tema


come modello di lettura dell’esistenza campeggia già nel
Libro del riso e dell’oblio, presentato dallo stesso Kundera
come un omaggio in forma di romanzo all’arte della
variazione 369. Quest’ultimo, insieme ai successivi
L’Insostenibile leggerezza dell’essere e L’Immortalità –
pubblicati tutti nell’arco di una decina d’anni, tra il 1978 e

it . d i R . S an es i, G . S ac er d ot i , N . F us i ni e F . R . P ac i, M ar c os y Ma r c os ,
M il a n o 19 9 6, p . 1 65 .
368
M. K un d er a , L ’I m m or t a li t à, c i t. , p. 29 3 .
369
Cf r . la c i t a zi o ne d a no i r i p or t at a a p. 1 0 : «T ut to q u es t o l i br o è un
r om an zo i n f or m a d i v ar ia zi o n i . L e di v er s e par t i s i s us s eg u on o c om e le
d i ver s e ta p pe d i u n v i ag g i o c he c i c o n duc e a l l’ i n ter n o di u n t em a,
a ll ’ i nt er no d i u n pe ns i er o , a l l’ i nt er n o d i u n a s o la e u n ic a s i tu a zi o n e ( …) » .
Ci t. da : M. K un d er a , I l l i br o de l r is o e de l l ’o b l io , c i t. , p. 20 1.

236
il 1990 –, sembra comporre un trittico unitario: una trilogia
dedicata all’arte della variazione.
Oltre a fornire di per sé un omaggio a questo principio
compositivo attraverso la sua stessa struttura formale 370, il
Libro del riso e dell’oblio presenta per la prima volta,
nell’excursus dell’opera romanzesca di Kundera, alcuni
temi – tra i quali proprio la riflessione sul concetto di
variazione sul tema –, che successivamente saranno
ripresi e modulati sia nell’Insostenibile leggere zza
dell’essere che ne L’Immortalità; a questo proposito, non
pare essere un caso il fatto che il narratore
dell’Immortalità, riflettendo sulle problematiche esistenziali
esposte nel romanzo, ad un certo punto dichiari di volerlo
intitolare «L’Insostenibile leggere zza dell’essere» o che,
nell’episodio del Libro del riso e dell’oblio in cui Tamina
dimora sull’immaginaria isola dei bambini, essa venga
sopraffatta dal terribile «peso della leggerezza» 371.
Allo stesso modo, se nel Libro del riso e dell’oblio e
L’Immortalità – rispettivamente primo e ultimo romanzo
della trilogia – l’idea delle variazioni si concretizza anche
in tema narrativo, questo concetto sembra assumere
centralità anche nella storia raccontata dall’Insostenibile
leggerezza dell’essere: come osserva François Ricard,

370
Pe r u n a ppr of o n dim e nt o de l l a c om pos i zi o n e s tr u tt ur al e d el L i br o d el
r is o e d el l ’o b l i o, s u c u i c i s i am o s of f er m ati in p i ù d i un ’ oc c as io n e p er l a
s ua e v i de nt e f u n zi o n a l it à ai f in i d e l n os tr o s tu d io s u l la f or m a v ar ia zi o n e,
c f r . s o pr at tu tt o i l p ar . 2. 3. « Met o do v er s us f or ma ».
371
M. K un d er a , I l L ibr o d e l r is o e d e ll ’o b l i o, c it . , p. 2 2 7.

237
l’ossessione del protagonista Tomáš, che cerca in ogni
amante «quel milionesimo di diversità» 372 che la distingue
dalle altre e nella cui scoperta risiede tutto il piacere della
conquista non è altro che «l’ossessione della
varia zione» 373.
L’uniformità riscontrabile tra questi romanzi è sancita
anche dal fatto che tutti e tre sembrano rappresentare una
svolta nella poetica kunderiana: sono i primi che Kundera
compone a seguito del suo trasferimento come esule in
Francia e con cui il romanziere rompe il silenzio (di circa
sette anni) in cui si era rintanato dopo la composizione del
Valzer degli addii 374 (1973) – romanzo dopo il quale
l’autore aveva inizialmente dichiarato di ritenere conclusa
la sua carriera -; allo stesso tempo, sono gli ultimi tre che
Kundera redige in ceco, prima del passaggio al francese.
Ma, soprattutto, in queste tre opere Kundera celebra
l’esautoramento del principio compositivo maggiormente
impiegato nel suo primo ciclo di romanzi (quello in lingua
ceca), quale la forma della sonata – di ispirazione
prettamente beethoveniana –, prima di avviarne uno
nuovo, imperniato sul modello della fuga 375.

372
M. K un d er a , L ’I ns os t e n ib i l e l eg g er e z za d e l l ’es s er e , c it ., p. 2 0 4.
373
F . R ic ar d , Le d er n i er apr ès - m i di d ’A g n ès . Es s ai s ur l ’o e uv r e de Mi l a n
K un d er a , G a l l im ar d, P ar is 20 0 3, p. 8 6.
374
M. K un d er a , I l V a l ze r de g l i a dd i i ( 1 9 73) , tr a d. it . d i S . V it a l e e A . Mu r a ,
A de l p hi , M i la n o 1 98 9 .
375
Q u es t a s v ol t a è c o nf er m at a d a ll o s t es s o Ku n de r a , i n d ic h i ar a zi o n i
r i las c i at e in d i ve r s e o c c as io n i. Ne r i por t iam o u na tr a l e p i ù r ec e nt i: « Am o
d ir e c h e i r om an zi d e l m io c ic l o c ec o s o n o s c r it t i in f or m a d i s on a t a, c i o è

238
L’affinità strutturale dei tre romanzi in questione è
riscontrata anche da Ricard: pur ravvisando, nel
complesso dei romanzi kunderiani (dunque, sia quelli in
ceco che in francese), un insieme così compatto da
sembrare «un seul livre» 376, il critico canadese riconosce
che, dei due principi da Kundera dichiarati indispensabili
alla composizione di un romanzo, il principio “epico” e
quello “musicale”, nel gruppo dei primissimi romanzi –
dall’opera d’esordio, Lo Scherzo 377 (1967), al Valzer degli
addii – sembra ancora prevalere una maggiore attenzione
nei confronti della trama (dunque, il riferimento al principio
“epico”), mentre in quelli successivi (Il Libro del riso e

s on o c om p os t i c om e u na s u it e d i m ov im ent i – n e l m io c as o s em pr e s e tt e
– c he per t o no , s t il e , t em p o e tem a d om in an t e c on tr as t an o m olt is s im o
l ’u n o c o n l ’ a ltr o . Co n L ’I m m or t a l it à h o a v ut o l ’ im pr es s i o ne di es s er e
g iu nt o a l l ’es a ur im ent o di q u es t a f or m a e d el l e s u e pos s i b il i t à ( …) .
Ne l l ’I m mo r t a li t à v e do un a s in tes i d i t ut to i l m io p er i od o c ec o . D op o
a ver l o t er m in at o, e r o c o n v in t o c he n o n a vr e i s c r it t o p iù n u l la . E , i n
ef f ett i , ho s m es s o d i s c r i v er e r om an zi [n e l 1 99 3 v e de l a l uc e s o lo i l
s ag g i o I T es ta m en t i tr a d it i , c i t., n. d.r .] . Q ua n do , s e tt e a nn i do po , h o
i n ve nt a to c o n i ns o l i ta r a p id i tà L a L en te z za , p er m e è s ta t a u n a v er a
s or p r es a. Ho v is s u t o qu e l m om ento c om e un a r in as c it a in at t es a . M a l a
r i nas c i ta n o n è u n a r ip et i zi o n e. Q u e l lo c h e m i ha af f as c in a to è c h e gr a zi e
a ll a L e nt e z za ho t r o v at o im m edi at am ent e un ’ a ltr a f or m a. M eg l i o c os ì :
a ll a n o v it à r a d ic al e d e ll a f or m a s i er a a gg i un t a l a n o vi t à d el l a l i ng u a» .
Ci t. d a l d i a lo g o Su l l a s on a ta e s u ll a f u g a, tr a M i l a n K u n der a e M a s s im o
Ri z za n t e, c it ., p . 6 3.
376
Cf r . F . Ric ar d, Le d er n i er a pr ès - m id i d ’A gn ès . Es s a i s ur l ’o e u v r e d e
Mi l a n K un d er a , c it ., i l par . «U n s e ul l iv r e », p p. 4 8- 5 2 . R ic or d iam o c he , i n
s eg u it o , q u es t a i nt er pr e t a zi o n e d e i r om an zi k un d er ia n i c om e « un s e u l
l iv r e » , pe r la pr im a v o lt a a va l l at a d a R ic ar d, è s t at a r ic o nos c i ut a anc h e
uf f ic i a lm en te : n e l 2 01 1, i l c om pl es s o d e ll ’ o p er a d i K u nd er a ( c om pr ens i v a
de i s ag g i) è s t a to r i p ub b l ic a t o n el l a c o l l an a « P lé i a de » d i G a ll i m ar d e
pr es e nt at o , p er l ’ oc c as io n e, c om e u n ’o p e r a un i tar i a, a ttr a ve r s at a da i
m edes im i f il o ni tem at i c i e f or m a li ; l ’ e d i zi o n e è s t at a c ur a t a pr op r i o d a
F r a nç o is R ic ar d, i n s tr et ta c ol l a bor a zi o n e c o n l ’ au tor e .
377
M. Ku n der a, L o Sc h er zo ( 1 96 7) , tr ad . it . d i G . D i er na [ A. B ar b at o] ,
A de l p hi , M i la n o 1 98 6 .

239
dell’oblio, L’Insostenibile leggere zza dell’essere e
L’Immortalità) questo rapporto appare invertito; in altre
parole, per Ricard, l’ultima trilogia di romanzi appare
caratterizzata da una maggiore attenzione rivolta alla
forma (rispetto alla trama), che Kundera intende in senso
musicale, come gioco di simmetrie e corrispondenze tra le
diverse parti dell’opera 378.
Un ulteriore indizio dell’uniformità strutturale presente tra i
tre romanzi può essere considerato il fatto che, sia nel
Libro del riso e dell’oblio che nell’Immortalità, la
riflessione esposta dal narratore sul senso della forma
variazione figura nella sesta delle sette parti in cui sono
suddivisi tutti e tre romanzi.
Ciò risulta indicativo soprattutto se si considera la
funzione di cui, in genere, Kundera riveste le parti dei suoi
romanzi poste come penultime: l’autore usa introdurvi
personaggi o scenari completamente nuovi, che
apparentemente sembrano rappresentare una digressione
rispetto alla linea principale della trama, ma il cui valore è
invece strumentale ad una mise en abyme dell’intera
opera 379.

378
Cf r . F . Ric ar d, Le d er n i er a pr ès - m id i d ’A gn ès . Es s a i s ur l ’o e u v r e d e
Mi l a n K u nd er a, c it ., p p . 43- 4 4.
379
Per a pp r of o n d ir e l a l og ic a c he s ot t en d e la s c ans i o ne d ei r om an zi di
K un d er a , e d u nq u e c og l i er e m egl i o i l s e ns o as s un to da l l a s es t a par t e ,
c onf r on ta q ues t e af f er m azi o n i d e ll o s t es s o au t or e : «Q u a nd o h o f i n it o d i
s c r i v er e L o Sc h er zo , no n a v e v o a lc u na r ag i o ne d i m er a v ig l i ar m i c he
a ves s e s et te par t i. P o i h o s c r it to L a V i ta è a ltr ov e . I l r om an zo er a q u as i
f in it o e a ve v a s e i pa r ti . N on er o s o dd is f a tt o. La s t or i a m i s em br av a

240
Il fatto che la riflessione sulla forma variazione compaia
proprio nella sesta parte dei romanzi che figurano
rispettivamente come primo e ultimo della trilogia da noi
individuata sembra rafforzare l’ipotesi che Kundera abbia
voluto invitare i lettori a riconoscere in questo principio
compositivo non soltanto il cardine strutturale dei singoli
romanzi ma, più generalmente, dell’intero micro-ciclo da
essi aperto e concluso.
Nella sesta parte del Libro del riso e dell’oblio, Kundera
ritorna ad occuparsi del personaggio della giovane vedova
Tamina – già protagonista della quarta parte dello stesso
romanzo –, rivelando il suo ruolo di primo piano nella
composizione generale: «Tutto questo libro (…) È un
romanzo su Tamina e, nell’istante in cui Tamina esce di
scena, è un romanzo per Tamina. È lei il personaggio
principale e il principale destinatario, e tutte le altre storie
sono variazioni della sua storia e si congiungono nella sua
vita come in uno specchio» 380.
In particolare, Kundera dedica questa parte del romanzo al
racconto del viaggio di Tamina sull’isola dei bambini, dove
il bisogno di spensieratezza che muove l’eroina a partire si

p ia tt a. Im pr o v v is am en te m i è ve n ut a l’ i d ea di i ns er ir e u n a v ic e n da c he
ac c a d es s e tr e a n ni do po la m or te de l l ’ er o e ( os s ia a l d i là d e l tem po d e l
r om an zo ) . E l a pe n u l tim a par t e, l a s es t a: «I l q uar a nt e nn e ». D i c o lp o,
tu tt o f u p er f et to . P i ù tar d i m i s on o r es o c o nt o c h e q ues t a s es t a par te
c or r is p o nd e v a a l la s e s ta p ar t e d e l lo Sc h er zo ( « Kos tk a») , c h e in tr o d uc e
anc h ’ es s a n el r om an zo u n per s o n ag g io e s ter n o, e a pr e ne l m ur o d e l
r om an zo u n a f i ne s tr a s egr e ta ». C it . da l l ’ Ar t e d e l r o ma n zo , c i t. , p p. 1 24-
12 5 .
380
M. K un d er a , I l L ibr o d e l r is o e d e ll ’o b l i o, c it . , p. 2 0 1.

241
traduce, letteralmente, nel bando di ogni forma di
pensiero, di riflessione, che i bambini – unici governanti
dell’isola – impongono a favore dell’assoluta supremazia
del gioco e del divertimento.
A questa linea narrativa, schiettamente onirica, Kundera
alterna un racconto di carattere autobiografico, che
fornisce il pretesto per l’esposizione delle riflessioni di
natura musicologica: sulla scia di una serie di studi avviati
dal padre (esperto di musica) poco prima di morire,
Kundera – o meglio, il narratore, che in questa parte del
romanzo rappresenta il punto di vista dell’autore – cerca di
districare il senso del labirinto di variazioni realizzato da
Beethoveen nella sua ultima opera, l’opus 111, sonata in
cui il compositore tedesco sembra emancipare le
variazioni dallo stadio di tecnica puramente ornamentale a
quello di «forma sovrana» 381, principio compositivo nel
cuiimpiego di tutte le potenzialità risiede la raison d’être
dell’opera 382.
Il narratore intuisce che nella scelta di improntare la
composizione sul continuo ritorno al tema centrale,
piuttosto che sull’evoluzione di soluzioni sempre nuove,

381
I v i, p . 1 96 .
382
De l l ’ im por t a n za as s u nt a d a B ee t ho v e n ne l l ’e v o lu zi o n e d e l pr i n c i pi o
de l l a v ar i a zi o n e, e i n par t ic o l ar e d e l la t a p p a s e gn a ta a q u es t o r i gu ar d o
da l l ’ op us 1 1 1, a b bi am o g ià t r a tt at o n e l p ar . 1. 2 « L a v ar i a zi o n e s u te m a
da Bac h a Sc h ö nb er g ». C om e u n f i lo r os s o , l as c iam o c h e i l r if er i m ento a
qu es ta s o na t a – “ o p e r a s o vr a n a” de l l e var i a zi o n i – a ttr a v er s i il nos tr o
s tu d io , i n s e gn o d e ll ’ om agg i o c h e a nc h e no i a b b iam o i nt es o o f f r ir e a
qu es to pr inc i p io c om pos it i v o e al f o n dam en t o e tic o , c h e s i p uò i nt en d er e
c om e l a m or a le de l l ’es s en zi a l e , c h e l o s os t i e ne .

242
Beethoven aveva ravvisato un’occasione unica di rivelare
il valore dell’arte in quanto forma della concentra zione; la
sua possibilità di inoltrare un tipo di conoscenza rivolta
non in senso orizzontale, quindi non intesa come semplice
enumerazione, ma verso la profondità; la sua possibilità di
addentrarsi nei meandri del particolare, in un modo che la
scienza non potrà mai eguagliare.
La forma della variazione rappresenta la manifestazione
più diretta di questo potere in cui risiede l’autonomia
conoscitiva dell’arte, in quanto – spiega Kundera nei
Testamenti traditi, in cui ritorna ad occuparsi del concetto
di variazione in maniera più estesa 383 – costituisce la
forma della massima essen zialità: meglio di qualsiasi altro
principio strutturale, essa garantisce la tenuta di una
composizione da cui risulta bandito ogni remplissage, ogni
passaggio che non risulti immediatamente funzionale
all’esplorazione del tema di base.
Per questo, il narratore del Libro del riso e dell’oblio
paragona l’artista alla condizione dell’uomo, che è
perennemente in bilico tra due infiniti, «l’abisso
dell’infinitamente grande e l’abisso dell’infinitamente
piccolo» 384, ossia l’infinito dell’universo esteriore e quello
della propria anima, non meno insondabile; e la forma

383
De l b r a n o de i T es t a m en t i tr a d i ti in c ui K un d er a s p ie g a i l pr i nc i p i o de l l e
v ar ia zi o n i s u t em a, c o nf r o nt a l a c it a zi o n e c h e a bb i am o r i p or t at o n e l p ar .
1. 2. «L a v ar i a zi o n e s u t em a d a B ac h a Sc h ö nb er g » ( v d. n o ta 6 1) .
384
M. K un d er a , I l L ibr o d e l r is o e d e ll ’o b l i o, c it . , p. 2 0 0.

243
compositiva della variazione, in particolare, a questo
secondo infinito, o meglio al viaggio che è possibile
tentare negli abissi della piccolezza:

«Cercherò di spiegar mi con un paragone. La sinf onia


è un’epopea musicale. Si potrebbe dir e che è come
un viaggio che ci porta, attraverso l’inf inito del
mondo ester iore, da una cosa a un’altra, sempre più
lontano. Anche la variazione è un viaggio. Ma questo
viaggio non ci porta attraverso l’inf init o del mondo
esterior e (…). Il viaggio della var iazione ci porta
dentro questo altro inf inito, nell’inf inita var ietà del
mondo interiore che si cela in ogni cosa» 385.

Queste analisi chiariscono il senso dell’incontro – che


possiamo definire a pieno titolo come contrappuntistico,
secondo quanto dichiara lo stesso Kundera 386 –, nella
sesta parte del romanzo, tra le riflessioni sulla forma
varia zione esposte dal narratore e il racconto onirico
relativo al viaggio di Tamina, che di quelle considerazioni
sembra costituire la traduzione metaforica; infatti, il

385
I v i, p p. 19 9- 20 0 .
386
R ic or d i am o c he , n e l l ’ Ar t e d e l r o m a n zo , M il a n Ku n der a p r es e nt a i l
«c o n tr a p pu n to r o m an ze s c o ( c a p ac e d i f o n der e i n un a s o l a m us ic a la
f il os of i a, i l r ac c o nt o e i l s o g n o) » c om e u n o de i p un t i p i ù im por ta nt i de l
s uo pr o gr am m a ar t is t ic o e , r i gu ar d o l’ e l e m ento o n ir ic o , s p ie g a: «( …)
c om e K af k a ( e c om e No v a l is ) io pr o v o qu e s to d es id er i o d i f ar e ntr ar e i l
s og n o, l ’ im m agi n a zi o n e c h e è pr opr i a d e l s og n o, ne l r om an zo . Il m io
m odo d i f ar l o n on è un a ‘f us i o ne tr a s o g n o e r e al t à ’, m a u n c o nf r o nt o
po l if o n ic o . I l r ac c o nt o ‘o n ir ic o ’ è u na de l l e l in e e d e l c o ntr a pp u nt o ». Cf r .
l a qu ar ta par te de l l ’ Ar te de l r o m an z o, « D ia l o go s u l l ’a r t e de l la
c om p os i zi o n e» ; c i t. es tr a tt e r is p et t i vam en t e da p. 1 0 5 e p. 12 0.

244
viaggio di Tamina verso l’immaginaria isola dei bambini,
oltre a configurarsi come un’esplorazione interiore, che
Tamina in realtà conduce alla ricerca di se stessa, può
essere inteso come una metafora del viaggio affrontato
dall’autore alla scoperta di Tamina, visto che si tratta di
un’ulteriore variazione a cui il romanziere si affida per
analizzare – in questo caso attraverso il mezzo del sogno
– nuovi aspetti del personaggio principale, tema e perciò
termine ultimo di tutte le variazioni.
All’opposizione qui delineata tra il viaggio alla maniera
dell’epopea e quello di tipo concentrico delle variazioni
sembra corrispondere, come un refrain di una stessa
partitura, il passaggio collocato nella sesta parte
dell’Immortalità, in cui il narratore osserva che la vita non
assomiglia «a un romanzo picaresco», il cui protagonista
procede sempre in avanti, di avventura in avventura, ma
piuttosto al principio musicale conosciuto come variazioni
su tema, caratterizzato da un andamento in senso
circolare, conchiuso.
Questa disposizione perfettamente speculare tra le due
ricorrenze in cui, nella trilogia che abbiamo individuato, il
narratore si intrattiene sul concetto di variazione su tema
intendendolo come metafora della vita sembra costituire la
chiave per attingere la concezione artistica che sostiene,
in particolare, questo ciclo di romanzi: un’idea di romanzo,
inteso come viaggio delle variazioni, alla scoperta del

245
ristretto nucleo di temi esistenziali selezionati da Kundera
per la sua indagine.
In tal modo, Kundera veicola non soltanto una concezione
di variazione sul tema come forma ideale del romanzo –
ossia in quanto forma massimamente funzionale all’effetto
di essenzialità necessario al romanzo per sviluppare una
visione totalizzante (cioè, complessa e non riduttiva)
dell’esistenza –, ma anche e soprattutto una concezione di
romanzo come arte della varia zione sul tema; che, per la
maggiore varietà di soluzioni formali che il romanzo è in
grado di offrire, rispetto alle altre arti in cui il principio
della variazione può essere adottato, si presta in maniera
più efficace ad un’elaborazione che risulti sempre nuova
ed originale di questa forma.
Nel romanzo – alla maniera in cui lo intende Kundera –, la
forma variazione rivela forse al meglio la sua potenzialità
di servire da principio di ordinamento, dunque la sua
discendenza mitica.
La metafora introdotta da Kundera in relazione ai due tipi
di viaggio, quello picaresco e quello intimo delle
variazioni, rimanda alla contrapposizione che il romanziere
riconosce tra i due principi alla base della sua poetica,
quello epico e quello musicale (da intendere nel senso di
formale), e sembra confermare l’ipotesi sostenuta anche
da Ricard di una maggiore adesione a quest’ultimo nel
presente ciclo di romanzi.

246
Sviluppando la metafora kunderiana, Ricard chiama le
opere di Kundera (specialmente dal Libro del riso e
dell’oblio in poi) romanzi-passeggiata 387, alludendo in
questo modo a un concetto di romanzo «il cui proposito –
spiega – non è trasportare il lettore da un punto all’altro,
logicamente, con verosimiglianza ed efficacia.
Esso consisterebbe piuttosto nel portarlo fuori strada,
rallentarlo, o almeno trascinarlo di continuo fuori dalla
pista che si era tracciato» 388 e così distinguendolo dai
romanzi-strada, i romanzi dalla trama lineare.
Tuttavia – mette in guardia Kundera – se, da un lato, il
viaggio delle variazioni assicura al lettore la possibilità di
una riflessione approfondita sui temi esplorati, dall’altro
non garantisce mai la conquista della meta; cioè, non può,
di fatto, condurre ad una comprensione del tema
d’indagine data per certa e definitiva:

«Il viaggio nell’altro inf inito non è meno avventur oso


del viaggio dell’epopea. Allo stesso m odo il f isico
penetra nelle prodigiose viscere dell’atomo. A ogni
var iazione, Beet hoven si allontana un po’ di più dal
tema iniziale, che non assom iglia all’ultima
var iazione più di quanto il f iore assomigli alla sua

387
S i è pr ef er it o tr a d u r r e i n qu es to m odo l ’es pr es s io n e or ig i n al e d i
Ric ar d, «r om an- c h e m in» ( l e tt er alm e nt e, r om an zo- s e nt i er o) , per
s ot to l i ne ar e l ’ an d am ent o r if les s i v o d i q u es t i r om an zi , e c h e r a pp r es e n ta
un o d e i pr i nc ip a l i e l e m enti d i d if f er e n zi a zi o ne d i qu es t i r om an zi r is pe tt o
ag l i a l tr i, b as at i s u l l ’ef f ett o s us pe nc e.
388
F . R ic ar d , Le d er n i er apr ès - m i di d ’A g n ès . Es s ai s ur l ’o e uv r e de Mi l a n
K un d er a , c i t. , p. 91 .

247
immagine vista al microscopio. L’uom o sa di non
poter abbracciare l’intero universo, con i suoi soli e
le sue stelle. Ben più insopportabile per lui è f arsi
sf uggire anche l’altr o inf inito, quello vicino, a portata
di mano. Tamina si è lasciata sf uggire l’inf inito del
suo amore, io mi sono lasciato sf uggire mio padre e
ciascuno di noi si è lasciato sf uggire la propria
opera, perché inseguendo la perf ezione si penetra
dentro le cose, e là non si riesce mai ad arrivar e
sino in f ondo» 389.

Chi intraprende il viaggio delle variazioni è destinato a


perdersi. Tentando di ricondurre il modello delle variazioni
ai suoi possibili significati archetipici, possiamo supporre
che, se nella tensione che spinge l’uomo verso il tema –
cioè, verso una questione, la cui eventuale decifrazione
diventa simbolo della possibilità di accedere ad una
chiarificazione della realtà – è possibile riconoscere la
sempiterna aspirazione all’omphalos, «l’ombelico della
Terra», lo spazio sacro che rappresenta la meta di ogni
possibile ricerca, il luogo della risposta a tutte le
domande, e in cui all’irrequietezza tipicamente umana
subentra uno stato di pace divina, le variazioni
corrispondano allora al labirinto di cui – sempre
nell’immaginario mitologico – ogni spazio sacro appare

389
M. K un d er a , I l L ibr o d e l r is o e d e ll ’o b l i o, c it . , p. 2 0 0.

248
circondato e che costituisce la prova da superare per chi
voglia accedervi 390.
Allo stesso modo, nel labirinto è possibile riconoscere la
via, o l’intreccio costruito dal logos per giungere a
formulare quella risposta unica, per pronunciare la parola
definitiva che spieghi ogni cosa.
Tuttavia, la stessa possibilità di valicare i confini di quel
centro sacro sarebbe sufficiente a trasformare chi vi arriva
in un mostro, o comunque in un essere non umano.
Risponde Emil Cioran a chi lo interroga sulla possibilità di
pervenire mai alla risoluzione di un qualsiasi enigma
filosofico: «Solo il mostro può vedere le cose come sono
poiché il mostro è uscito dall’umano (…) La conoscenza,
spinta all’estremo limite, può essere pericolosa e malsana,
poiché la vita è sopportabile unicamente perché non si va
fino in fondo. Un’impresa è possibile solo se si conserva
un minimo d’illusione. La lucidità completa, è il nulla» 391.

390
Cf r . M ir c e a E l ia d e: « Se n za pr e g i ud ic ar e i l s i gn if ic a to e l a f u n zi o n e
or ig i n ar i d e l l a bir i nt o , es s i i nc lu d e va n o c er t am ent e l ’ i de a d i d if es a d i un
‘c en tr o ’ . N on er a c o n c es s o a c h ic c hes s i a pe n etr ar e i n u n la b ir i nt o o
us c ir n e i n de n ne ; l ’ in g r es s o a v e v a un va l or e d i in i zi a zi o n e. I l l a b ir i n to
po t e va d if e nd er e un a c it t à, un a tom b a o u n s an t uar i o, m a i n t ut t i qu es ti
c as i d if e nd e v a u no s pa zi o m ag ic o- r e l i gi o s o, c he s i vo l e va r en d er e
i n vi o l ab i l e d a i n on - e l et ti , i n on- i n i zi a t i» . Ci t. p. 34 6, d al p ar . «I l
s i mb o l is m o d e l ‘c e ntr o ’» , c a p. 1 0 « Lo s pa zi o s ac r o : t em p i o, p a l a z zo ,
‘c e n tr o de l Mo nd o ’» , i n: M . E l i ad e , T r a tt at o d i s tor i a d e ll e r e l i g io n i , c it .
391
Ci t. es tr at t a d a un d o c um ent ar i o s u Em i l C i or a n , r e a l i z za t o d a P a tr ic e
B ol l o n e B er na r d J o ur da i n n e l 1 99 9, per la s er ie «U n s i èc le d ’ éc r i v ai ns »
pr o d ot ta da F r a nc e 3 .

249
Solo ad esseri dalla statura eccezionale, come gli eroi –
secondo la leggenda, semi-dei o comunque dotati di poteri
sovrumani – è dato di poter superare il labirinto che
separa dalla dimensione ideale che costituisce il centro
delle cose, la cui strada è «ardua, piena di pericoli, perché
in realtà si tratta di un rito di passaggio dal profano al
sacro, dall’effimero e illusorio alla realtà e all’eternità,
dalla morte alla vita e dall’uomo alla divinità. L’accesso al
‘centro’ equivale a una consacrazione, a un’iniziazione;
all’esistenza precedente, profana e illusoria, succede una
nuova vita, reale, duratura ed efficace» 392.
Dei comuni mortali, invece, è il regno del dubbio: ogni
avventura conoscitiva tentata dagli uomini non può che
condurre ad una conclusione che resta solo parziale.
La stessa scienza, tesa ad una classificazione che sia il
più possibile oggettiva degli elementi naturali, deve
continuamente misurarsi con i limiti del sistema, in ogni
caso relativo, entro il quale i risultati delle sue scoperte
possono essere ritenuti validi.
L’accettazione di questo limite, però, può tradursi in una
conquista sul piano cognitivo: essa consiste
nell’acquisizione di ciò che potremmo chiamare sagge zza
dell’incertezza, la quale si manifesta nel momento in cui
alla pretesa illusoria di detenere la verità subentra un
nuovo senso di complessità; quest’ultimo genera una

392
M. E l ia d e, T r at ta to di s tor i a d e ll e r e l i g io n i, p . 34 7 .

250
nuova idea di conoscenza, intesa come semplice
possibilità di saggiare un problema, senza l’ambizione di
risolverlo sistematicamente.
Di questa particolare saggezza, questa forma umana di
conoscenza, il romanzo è territorio di sperimentazione
continua. Se l’epica nasce come celebrazione delle gesta
degli eroi, esseri più che umani i cui atti rispondono ad un
canone di valori posto come indiscutibile, il romanzo è
invece «il paradiso immaginario degli individui» 393: luogo
deputato a ridestare nell’uomo l’uomo e le facoltà
connesse alla sua condizione di pellegrino nel labirinto-
Terra: il senso del dubbio, del gioco, dell’humour.
Non sembra casuale che, nei romanzi strutturati attorno al
topos del labirinto, soprattutto i più contemporanei, l’eroe
molto spesso venga raffigurato come un anti-eroe, che
rinuncia alla possibilità di rintracciare una direzione.
Ne è un esempio Jacques Revel, il giovane protagonista
dell’Impiego del tempo 394 di Michel Butor, che cerca di
interpretare il suo soggiorno a Bleston – in cui è inviato
per lavoro – alla luce del mito di Teseo, le cui gesta
gloriose sono raffigurate nelle tappezzerie esposte nel
museo della città.
Tuttavia, a differenza dell’eroe, Jacques non riesce a
conquistare Ann, l’amica che in un primo tempo lo aiuta a

393
La d ef i n i zi o n e è d i M il a n K un d er a. Cf r . L ’A r t e d e l r om a n zo , c i t ., p.
22 0 .
394
Rom an zo d i M ic h e l B ut or . C i t.

251
districarsi nei meandri di Bleston, come una novella
Arianna; per quanto Jacques legga e rilegga – non in
ordine sparso, ma secondo schemi che ricordano quelli
osservati da Schönberg nelle sue variazioni seriali, a cui
Butor dichiaratamente si ispira 395 – il diario che registra le
sue memorie a partire dal primo giorno trascorso a
Bleston, non riesce a rintracciare la causa dei suoi passi
falsi e si risolve a lasciare la città (che è labirinto e al
tempo stesso Minotauro, alterità da in cui è impossibile
integrarsi) senza aver saputo cogliere il senso
complessivo della sua esperienza.
Nella monografia che dedica specificatamente a questo
romanzo 396 – un tipico esempio di mito-critica, in cui Pierre
Brunel legge l’opera di Butor alla luce del mito di Teseo –
lo studioso francese mette in evidenza il modo in cui,
presso Butor e altri nouveaux romanciers, lo stesso testo
del romanzo si configuri ormai come un labirinto.
Soprattutto nel XX secolo, viene messa in dubbio la
possibilità del romanzo – invece sostenuta da alcune
tendenze del secolo precedente, come il romanzo realista
–, di fungere da filo di Arianna; ossia, di fornire al lettore
un modello della possibilità di districarsi nel caos,

395
Per u lt er i or i a p pr of o nd im en t i a l r i gu ar d o, r im an d iam o a l p ar . 2. 1 L a
v ar ia zi o n e s u t em a d a Bac h a Sc h ön ber g , do v e è r i por t at a l a
d ic h i ar a zi o ne di B ut or .
396
Cf r . P . Br u ne l , B ut or . L ’e m p lo i d u t em ps – L e tex t e et le la by r i nt he ,c i t.

252
attraverso la presentazione di una storia che si svolge
ordinatamente dall’inizio alla fine.
La concezione sempre più spesso avallata è invece quella
di romanzo come labirinto.
Se, da una parte, il protagonista dell’Impiego del tempo
sperimenta il fallimento del tentativo di ricomporre il
ricordo frammentario dei suoi giorni a Bleston attraverso il
mezzo della scrittura – la redazione di un diario –, anche
in Se una notte d’inverno un viaggiatore 397 (1979) di Italo
Calvino possiamo riconoscere un caso simile.
Nella sequenza dei titoli dei dieci incipit che il personaggio
del Lettore comincia a leggere, senza poterne mai reperire
il seguito, è forse possibile riconoscere proprio la
descrizione di un labirinto: «Se una notte d’inverno un
viaggiatore, Fuori dell’abitato di Malbork, Sporgendosi
dalla costa scoscesa, Senza temere il vento e la vertigine,
Guarda in basso dove l’ombra s’addensa In una rete di
linee che s’allacciano, In una rete di linee che
s’intersecano, Sul tappeto di foglie illuminate dalla luna,
Intorno a una fossa vuota, Quale storia laggiù attende la
fine?» 398. Lontano dal rappresentarne uno strumento di
consolidamento, il romanzo appare piuttosto come il luogo
in cui le presunte verità, consegnate dal mito o dalla

397
I. Ca l v i n o, S e u na n ot te d ’i n v er n o u n v ia g g ia tor e ( 1 9 79) , M on d a dor i ,
M il a n o 19 9 4.
398
I v i.

253
scienza, vengono smantellate, mettendone in luce la
sostanziale relatività.
Probabilmente è per questa ragione che, tra i vari principi
compositivi di cui il romanzo si impossessa attraverso la
musica – nell’ambito del rinnovamento formale
sperimentato dall’arte romanzesca nel secolo scorso – la
variazione su tema si presenta come quello che attira
maggiormente l’attenzione dei romanzieri: implicando
l’analisi di un unico oggetto da diverse prospettive, ne
favorisce una presentazione non sistematica; in questo
modo, si rivela un principio compositivo ideale per il
conseguimento del particolare tipo di conoscenza, inteso
come sagge zza dell’incerte zza, la cui trasmissione
costituisce il fine specifico dell’arte del romanzo.

3.6. Le due vie della musicalizzazione del romanzo.


Variazione come principio di composizione o di
“disgregazione” della forma.

Fino a questo momento, sulla base del riconoscimento


della convergenza di due posizioni in particolare (di
estrazione tanto diversa quanto complementare), da una
parte la teoria della «musicalizzazione del romanzo» di
Hermann Broch, dall’altra l’analisi di Claude Lévi-Strauss
sul rapporto tra mito, musica e romanzo, abbiamo
sviluppato l’ipotesi secondo cui, nel XX secolo, il romanzo
ha rintracciato nella musica i criteri necessari ad una
rivalorizzazione del ruolo “cosmologico” – cioè, di

254
compattazione del caos – tipico della forma, a seguito del
ridimensionamento subito da questo elemento nel romanzo
di tradizione ottocentesca.
Tuttavia, questa non è che una delle possibili
interpretazioni che si possono offrire della storia del
romanzo; come spiega il critico ceco Chvatik: «Una teoria
del romanzo è raramente ‘imparziale’; ciò significa che il
punto di partenza della sua argomentazione è di norma un
determinato tipo di romanzo, eventualmente una
determinata fase del suo sviluppo» 399.
Non può essere espresso alcun giudizio critico, se scisso
da una determinata tradizione estetica che si decide di
assumere come riferimento e rispetto alla quale misurare
l’eventuale grado di novità rappresentato da un’opera.
Di conseguenza, esistono diverse storie del romanzo, che
possono essere percepite come continuativamente
parallele e compresenti; tra queste, il critico seleziona
quella da quella da legittimare, il romanziere quella da cui
trarre i suoi modelli e in cui inscriversi a sua volta, così
determinando quel contesto che, ad esempio, lo scrittore
François Taillandier nomina «espace d’apparition» 400, lo
spazio di apparizione di un’opera.

399
K . Ch v at ik , I l Mo n d o r om a n zes c o d i Mi l a n K un d er a, c i t. , p . 1 65 .
400
Q u es t a es pr es s i on e f i g ur a ne l l ’ ar t ic ol o p ub b l ic a t o da F r a nç o is
T ai ll a n di er n el n um er o de l « Ma g a zi n e l it t ér a i r e» d i a pr i l e 20 1 1, d a l ti t ol o
Le r om a n c o mm e zo n e fr anc h e.

255
Ad esempio, il Cinquecento, secolo in cui – spiega Lévi-
Strauss – fanno la loro comparsa quelle formazioni
narrative nate dalla rielaborazione “destrutturata” dei miti,
e che appaiono fondate principalmente sul contenuto (a
discapito della forma), è allo stesso tempo il periodo in cui
vengono composti capolavori come Gargantua e
Pantagruele 401 di François Rabelais e Don Chisciotte 402 di
Miguel Cervantes, il cui punto di forza risiede piuttosto
nell’invenzione di alcune soluzioni formali.
Tra queste, sembra spiccare soprattutto un principio di
accumula zione, come si evince dall’osservazione della
sfilza degli scontri sanguinolenti affrontati da Don
Chisciotte lungo il suo cammino o dall’esame dei numerosi
“elenchi” che figurano in Gargantua e Pantagruele – a
proposito dei quali Bachtin parla della tecnica delle serie,
che rappresenterebbe la cifra formale dell’arte
rabelaisiana e costituirebbe un retaggio della cultura
comica popolare 403 – e il cui marcato carattere di

401
F . R ab e l ais , G ar g an t ua e P an t agr u e le ( 15 32- 1 5 64) , M . B onf an t i n i ( a
c ur a di ) , E i n au d i, T or i no 19 9 3.
402
Q u es t ’ u lt im o, p ub b l ic at o tr a i l 1 60 5 e i l 1 6 15 . E d i zi o n e it a l i an a a c ur a
d i C. S e gr e e D. M or o P in i , tr ad . d i F . C ar les i, Mo n da d or i, M i l an o 1 97 4 .
403
Cf r . M. B ac ht i n: « L a c os tr u zi o n e d el l e s er i e è l a pec u l iar i tà s p e c if ic a
de l m et od o ar t is tic o di Ra be l a is . T u tt e le s v ar ia t is s im e s er i e d i R ab e l ais
pos s o no es s er e r i d ot t e a i s e gu e nt i gr u p p i p r i nc i p a l i: 1) le s er i e d e l c or p o
um ano d al p un to d i v i s ta an at om ic o e f is io l og ic o; 2) l e s er i e de l v es t i to ;
3) le s er ie d e l m ang i ar e ; 4) l e s er ie d el b er e e de l l ’ ubr i ac he z z a; 5) le
s er ie s es s u a li ( c o it o ) ; 6) l e s er ie de l l a m or te ; 7) l e s er ie d eg l i
es c r em e nt i. O gn u na d i qu es t e s e tt e s er ie p os s ie d e un a s u a pr o pr i a
l og ic a s p ec if ic a , o g nu na h a le s u e p r o pr i e dom i na n ti . T ut te q u es t e s er i e
s i in ter s ec a no tr a l or o ; il l or o s v i l u pp o e l e l or o i n ter s e c a zi o n i
per m et t on o a R ab e l ai s d i ac c os t ar e o d i d is gi u ng er e tu tt o c i ò c he g l i

256
inverosimiglianza evidenzia la volontà degli autori di
rimarcare lo statuto fittizio di quanto raccontato,
contemporaneamente ad una sorta di distacco critico
rispetto alla materia narrata.
In questa presa di coscienza assunta da parte degli autori
si può scorgere una linea di demarcazione rispetto alle
semplici narrazioni, passaggio che alcuni intendono come
il fondamento di una particolare concezione di romanzo –
che, ad esempio, Milan Kundera identifica come romanzo
moderno europeo 404 – in cui l’architettura formale collabora
significativamente all’espressione del cosiddetto
contenuto. Allo stesso modo, nel XX secolo, si assiste ad
una diramazione di ciò che viene comunemente inteso per
romanzo, verso diverse possibili evoluzioni.
Da un lato, il tipo di narrativa fondata principalmente sullo
svolgimento di un plot e che rappresenta, nel migliore dei

s er ve . Q u as i t ut t i i t em i d e l v as t o e nem at ic am ent e r ic c o r om an zo d i
Ra b el a is p as s an o l un g o q u es t e s er i e» . C it . d a « Il c r o no t op o
r ab e l a is i a no » n e L e f o r m e de l t em p o e d el c r on o to p o ne l r o m a n zo . S a gg i
d i p o et ic a s t or ic a ( 19 37- 1 9 38) . O r a i n: M. B ac h t in , Es t e tic a e r o ma n zo ,
c it ., p p . 3 16- 3 17 .
404
Ri po r t i am o qu es ta def in i zi o n e d i M i l a n K un d er a , c he r a pp r e s en t a
anc h e l a b as e de l l a c o nc e zi o n e d i r om an zo d a n oi s os t en u ta ne l pr es e n te
l a vor o: « RO M AN Z O ( eur o p eo) . La s t or ia ( l’ e vo l u zi o n e un i ta e c o nt i nu a)
de l r om an zo ( d i tu tt o c i ò c h e v i e ne c h i am ato) no n es is te . Ci s on o
s o lt an t o d iv er s e s tor i e de l r om a n zo : d e l r om an zo c in es e, gr ec o- r o m ano,
g ia p po n es e , m ed io e v a l e, ec c . I l r om an zo c h e i o c h i am o e ur o p eo s i f or m a
ne l S ud d el l ’ E ur o p a a l l ’a l ba d e i T em pi m od er n i e r a p pr es e nt a un ’ en t it à
s tor ic a in s é c h e , p i ù t ar di , a l l ar gh er à i l s uo s p a zi o ol tr e i c onf in i
de l l ’ E ur o p a g e ogr af ic a ( in pa r t ic ol ar e n e l l e d ue Am er ic h e) . P er l a
r ic c he z za de l l e s ue f or m e, per l ’ i nt ens i t à v er t i g in os am ent e c on c en tr at a
de l l a s u a e v o lu zi o n e , per i l s u o r u o l o s oc i a l e, i l r om an zo e ur op e o ( c os ì
c om e l a m us ic a eur o pe a) n on h a eg u al i i n n es s u n’ a ltr a c i v i lt à ». Da
S es s a nt ac i nq u e p ar o l e , ne l l ’ Ar t e d e l r o ma n zo , c it ., p p . 20 6- 2 07 .

257
casi, una ripetizione, nel peggiore, un peggioramento del
romanzo realista ottocentesco sembra costituire ancora la
corrente dominante; basti pensare, a titolo di esempio, ai
numerosi prodotti narrativi che appaiono ogni giorno sugli
scaffali delle librerie e che si accontentano semplicemente
di soddisfare nei fruitori la loro brama di avventure.
D’altro canto, anche nel gruppo di quei romanzieri che,
impegnati nella ricerca di un rinnovamento delle forme,
individuano nella musica un arsenale di principi
compositivi a cui attingere si possono riconoscere
tendenze differenti; infatti, l’ipotesi che finora abbiamo
principalmente avallato, secondo cui il romanzo, giunto
all’apice di un processo di deterioramento delle forme –
intorno all’alba del XX secolo –, a partire da quel periodo
abbia ricercato nella musica nuove strutture ordinatrici,
trova riscontro solo nel caso di alcuni romanzieri,
sostenitori di un’idea di romanzo come arte cosmologica, o
potremmo anche dire mitica, nel senso che svolge la
stessa funzione formale del mito di ricomprendere – per
mezzo di una struttura costitutivamente ironica – le
contraddizioni del reale.
Presso altri romanzieri, l’esplorazione dell’arsenale delle
forme musicali sembra essere stata invece tesa a
rintracciare, piuttosto che principi utili ad una
composizione unitaria, tecniche di disgrega zione della
materia romanzesca.

258
In questo novero rientrano ad esempio i membri
dell’Oulipo, l’Officina di Letteratura Potenziale 405 nata nel
1960 a Parigi per iniziativa del matematico François Le
Lionnais e di Raymond Queneau, come «emanazione –
spiega Italo Calvino, annoverato nel gruppo a partire dal
1973, in qualità di membre étranger – del Collège de
Pataphysique, quella specie di accademia dello sberleffo e
della fumisteria che fu fondata da Alfred Jarry» 406.
Obiettivo dell’Oulipo: il rinvenimento di nuovi orizzonti
creativi attraverso il superamento di una determinata
contrainte, una clausola, che l’autore si autoimpone. Il
presupposto alla base di queste operazioni metaletterarie
è che ogni artista, al momento di comporre un’opera,
faccia sempre riferimento – in maniera più o meno
consapevole – ad un canone di regole da rispettare, e che
l’ispirazione creativa, invece di esserne soffocata, sia
alimentata proprio dall’impegno profuso per attenersi a tali
condizioni.
Allo scopo di vivificare la letteratura, gli oulipiani si
propongono quindi di reperire il maggior numero possibile
di contraintes: esse possono consistere in clausole di

405
L a tr ad u zi o n e or i g in a l e f r anc es e de l l ’ ac r o n i m o «O ul i p o» è O u vr o i r de
L it tér at ur e Po te n ti e l le . R ic or d i am o c he , i n r ea l tà , il pr im o nom e s c el to
per i l gr u pp o f u Se l it ex ( S ém in a ir e d e L it t ér a t ur e P ot e nt i el l e) : qu es to
nom e v en n e m ant e n ut o s ol o p er 2 5 g i or n i , per p o i es s er e m od if i c at o i n
qu e l lo d i O u l ip o , c h e s em br av a m eg l io r e nd er e i l c ar a tt er e l ud ic o de l
m ovim en t o. Cf r . P. F o ur n e l, Cl e fs p our l a l it tér at ur e p ot e nt i e ll e , E d it i ons
De n oë l , P ar is 19 7 2, p. 1 0.
406
Cf r . I . Ca l v i no , Du e i nt er v is t e s u s c i e n za e l et te r a tu r a , i n I d ., U na
p ie tr a s opr a , E i na u di , T or i no 1 9 80 , p . 22 5 .

259
carattere spazio-temporale, come quella alla base dei
Poèmes de mètro di Jacques Jouet – poemi composi nel
mètro, nell’intervallo di tempo che intercorre tra una
stazione e l’altra –, o in giochi linguistici, come nel caso
delle 101 variazioni parafoniche sul nome di Montserrat
Caballé, realizzate da un gruppo di scrittori oulipiani (da
George Perec a Paul Fournel, a Harry Mathews e altri) o
nella Scomparsa 407 (1969), romanzo di George Perec il cui
titolo si riferisce alla «scomparsa» dall’intera opera della
vocale e (lo scrittore riesce nel difficile intento di
adoperare solo parole che non la comprendono).
Come spiega Jacques Roubaud dalle pagine dell’Atlas de
littérature potentielle, il metodo più efficace per
rintracciare nuove contraintes sembra essere «quello del
‘trasporto di strutture’: un insieme, fornito di una
determinata struttura, è ‘interpretato’ in un testo; gli
elementi dell’insieme diventano delle coordinate del testo,
le strutture che sorreggono l’insieme sono convertite in
procedure di composizione del testo (…)» 408.
Oltre che nella matematica, bacino di formule da adottare
come contraintes, anche Queneau e gli altri riconoscono
nella musica – che nel Medio Evo era inclusa nel gruppo
delle quattro arti a carattere matematico (insieme
all’aritmetica, l’astronomia e la geometria), dal momento

407
G . P er ec , L a Sc o m par s a ( 1 96 9) , tr a d. it . d i P. F a lc h e tt a, G ui d a, 2 00 7 .
408
J . R ou b a ud , L a Mat h ém a ti q u e d ans l a m ét ho d e d e R ay m o n d Q u en e au
i n: O u l i po , A t las de li tt ér a t ur e po te n ti e l l e, G a l l im ar d, 1 9 81 , p . 67 .

260
che, da sempre, si basa su proporzioni ben regolate e
rigorosi principi numerici 409 – un’ideale riserva a cui
attingere.
A questo riguardo, Susanne W inter spiega che:

«La trasposizione letteraria di f orme musicali rientra


tra le procedure più rispondent i, e la variazione, la
f orma sonata e la f uga sono le m acrostrutture
pref erite dagli aut ori. Che Perec e Queneau abbiano
scelto la var iazione mi pare signif icativo, perché è
una delle f orme che non sono essenzialmente
musicali e possono così trovare un adeguamento
letterar io (…). Nella sua accezione più vasta, la
var iazione potrebbe essere def inita come la
modif icazione di un qualunque mater iale dato. E
sono precisamente la limitazione del materiale
d’or igine e la possibilit à di esplorar lo a convenire
molto bene agli autori oulipiani» 410.

Nel principio delle variazioni su tema è possibile ravvisare


il meccanismo stesso dell’attività oulipiana, se
consideriamo che, in ciascuno dei prodotti dell’Oulipo, la
contrainte rappresenta ciò che è possibile identificare

409
In a lc un e c om pos i zi o n i, l ’i d en t it à tr a s t r u tt ur e m at em at ic h e e m us ic al i
è p os ta i n pa r t ic ol ar e r i l ie v o: s i p e ns i , ad es em pi o, a l l’ Ar t e d e l l a f ug a d i
J oh a nn Se b as t i an Ba c h, s ec on d o a lc u n i tr ad u zi o n e pr at ic a de i pr inc i p i
f il os of ic i p it a gor ic i ; o pp ur e, tr a le o p er e p i ù c o nt em por an e e, a d a lc u n e
c om pos i zi o n i d i C l a u de D e bus s y f on d at e s u i par a d igm i d el l a s e zi o n e
aur e a, c om e L a Me r ( 1 90 5) .
410
S . W inter , À pr o p os d e l ’O u li p o et de q ue l q ue c o n tr a i nt es m us ic o-
tex tu e l les , i n : O u l ip o po é ti q ue : ac t es d e C o ll o qu e d e Sa l zb o ur g , 23- 25
av r il , e d. d a Pe te r K uo n, T ub i ng e n 1 99 9 , pp . 17 5- 1 76 .

261
come tema e le varie soluzioni creative da esse scaturite –
e che, nel loro insieme, compongono il testo oulipiano –
come delle variazioni.
In alcuni casi particolari, però – fa notare W inter – è il
principio delle variazioni su tema in sé, o meglio il
tentativo di trasferire questo modello dalla musica alla
letteratura, a fungere da contrainte, come nel caso delle
35 Variations sur un thème de Marcel Proust 411 (1947) di
George Perec o degli Eserci zi di stile (1947) di Raymond
Queneau, considerata l’opera più celebre dell’attività
oulipiana 412. Variazioni senza tema, come vengono in
genere considerati gli esercizi di Queneau, il loro principio
ispiratore corrisponde all’intento – o meglio, alla
contrainte, per attenerci al linguaggio oulipiano – di
applicare alla scrittura un modello, in genere attribuito
all’arte musicale.
Il riferimento al principio musicale è dichiarato dallo
stesso autore, nella prefazione scritta per l’edizione
illustrata degli Esercizi, datata nel 1979: l’autore vi ricorda

411
Si tr at ta d i un a s er ie d i var i a zi o n i l in g u is t ic he s u l l ’i nc i p it de l l a R i c er c a
de l te m p o p er du t o « L o ng t em ps , j e m e s u is c ouc h é d e b on n e h e ur e », c h e
i n a lc un i c as i pos s o no c o ns is t er e n e l la s em pl ic e s os t it u zi o n e d i u n a
l et ter a, o tt en e nd o i n t a l m odo u n ef f et to c o m ic o o c om unq u e u n to ta l e
r o ves c i am en to d i s ens o ; c onf r on t a, a d es em pi o, l e var i a zi o n i
«L o ng t em ps , j e m e s uis d o uc h é d e b o nn e h eur e » o « L o ng tem ps , j e m e
s u is t ouc h é d e b o nn e he ur e »; c om e g i à r ic o r da t o, l ’ef f et t o p i ù im m edi at o
de l l e o per a zi o n i m eta l et ter ar i e d el l ’O u l ip o è s p es s o qu e l lo par o d is t ic o.
Cf r . G . P er ec , 3 5 Var i at i ons s ur u n t h èm e d e Mar c e l Pr ous t, i n: G . P er ec ,
Q u ’es t- c e qu e l a l it té r at ur e po t en t ie l l e ?, «M a ga zi n e l it tér a ir e» n. 9 4 ,
19 7 4, p p . 22 - 2 3.
412
A q u es t ’ o per a, ab b i am o gi à f att o u n ac c e n no ne l C a p. 1, par .
1. 4. « S ag g e z za de l r o ma n zo e d e l la m us ic a ».

262
come, ascoltando un’esecuzione dell’Arte della fuga di
Bach, fosse rimasto colpito in particolare dalla capacità di
Bach di sviscerare un gran numero di variazioni a partire
da un tema molto semplice e così di aver voluto tentare
qualcosa di simile sul piano letterario.
Il numero novantanove degli Esercizi di stile, oltre a
costituire un multiplo del numero fissato da Beethoven per
le sue 33 Varia zioni su un valzer di Diabelli e a poter forse
rappresentare un omaggio a quest’opera modello delle
variazioni, per il suo carattere di indefinitezza (soltanto
una variazione in più avrebbe permesso a Queneau di
raggiungere lo stato di completezza, in genere
rappresentato dal numero cento) simboleggia la volontà
dell’autore di conferire all’opera una struttura aperta e
così di suggerire la possibilità di proseguire a oltranza gli
esercizi di varianti stilistiche.
Ora, a differenza dei casi in cui il principio delle variazioni
è impiegato come modello di composizione unitaria – alla
maniera di Beethoven, nelle sue ultime sonate – e in cui le
variazioni assumono la funzione di strumenti di
concentrazione del tema, Queneau in questo stesso
modello ravvisa non un principio compositivo ma
semplicemente un principio inventivo, uno stimolo per
l’invenzione del maggior numero di soluzioni sperimentali;
poiché queste ultime non rispondono allo scopo di mettere
in luce i singoli aspetti di un determinato tema, ma solo a
quello di dimostrare le svariate possibilità di attendere ad

263
una stessa contrainte, le varianti di Queneau non
compongono un’architettura formale definibile, ma
assumono una configurazione seriale, a catalogo.
La differenza tra i due tipi di variazione è che, nel primo
caso, esse sostengono una creazione, dunque realizzano
la missione dell’arte di «dare forma al Caos» attraverso la
composizione di una forma, nel secondo supportano
semplicemente un esercizio di creatività.
Le possibilità strutturali a cui può dare luogo l’adozione di
modelli musicali nella letteratura sono diverse, a seconda
del concetto di musica a cui si fa riferimento: mentre
alcuni romanzieri considerano la musica una riserva di
forme compositive unitarie e paiono ispirarsi soprattutto ai
modelli caratteristici della musica nella sua fase tonale
(come il modello della fuga o della sonata, basati su uno
sviluppo più complesso di principi quali il contrappunto o
la variazione su tema), presso altri romanzieri
contemporanei si registra la diversa tendenza a ricercare
nell’arte musicale «un arsenale di schemi combinatori che
si possono riprendere e adattare» 413 – spiega Jean-Louis
Backès – e quindi ad assumere come riferimento piuttosto
il modello musicale elaborato dalla scuola di Schömberg,
basato sui principi della serialità.

413
T r ad. nos tr a da l f r a nc es e : « ar s en a l d e s c h é m as c om bi na to ir es q u ’ i l es t
pos s i b le d e r e pr en dr e et d ’ a da p ter ». C it . d a J .- L. B ac k ès , Mus i qu e et
l it tér a tur e . Es s a i d e p oé t iq u e c o m pa r é e, Ca p. P et it e h is t o ir e d es f or mes :
d ’u n e pr ob l ém a t iq u e m od er n it é, c it ., p . 2 44 .

264
Tra questi ultimi, è possibile ricordare quei romanzieri
francesi (Nathalie Sarraute, Alain Robbe-Grillet,
Marguerite Duras, Michel Butor, Claude Simon, Robert
Pinget e altri) pubblicati dalle Éditions de Minuit tra gli
anni cinquanta e sessanta e chiamati dalla stampa
nouveaux romanciers, per la polemica che essi rivolgono
all’impianto romanzesco di tipo tradizionale; questa viene
da loro veicolata sia direttamente, attraverso i romanzi,
che teorizzata in alcuni saggi, poi considerati come
manifesto di questa corrente: L’ère du soupçon 414 (1956) di
Sarraute e Une voie pour le roman futur 415 (1956) di
Robbe-Grillet.
Nonostante sia il cinema l’arte a cui il movimento che fa
capo a Sarraute e Robbe-Grillet maggiormente si indirizza,
per mutuare nuove strategie narrative 416 – al punto da

414
V d. N. Sar r a ut e , L ’E tà d e l s os p e tt o. S a g g i s u l r o ma n zo , R us c o n i e
P ao l a z zi , M i l an o 1 9 59 .
415
V d . A . R o bb e- G r i l le t, Un a v i a per i l r o m a n zo f ut ur o, R . Bar i l l i ( a c ur a
d i) , «Q u ad er n i d el V er r i », R us c o n i e Pa o l a z z i, Mi l a no 19 6 1.
416
T r a q u es t e, r ic or d i am o l a s c e lt a d i c o nc ed e r e u n m ag g io r e s p a zi o a l l a
des c r i zi o n e , i nt es a c o m e s em plic e pr es en ta zi o n e d e l la r e al t à c os ì c om e
ap p ar e, c he a l le i nt e r pr et a zi o n i s o g g ett i v e c or r is p o nd e nt i a l l’ o tt ic a d e i
v ar i per s o na g g i, d a l m om ent o c he i l t i po d i ap pr of o nd im en t o ps i c o lo g ic o
c he i l r om a n zo d i m atr ic e o tt oc e nt es c a a v e v a ad es s i r is er v at o v i e ne d a i
no uv ea ux r o ma nc i er s g iu d ic a t o i ns uf f ic ie nt e a s c u o ter e g li a ut om at is m i
de l l a p er c e zi o n e e c os ì a c o g l ie r e l ’ es s e n za d e ll a r ea l tà . Cf r . A la i n
Ro b be- G r i l l et : «O r a i l m ond o n o n è n é s i g n if ic at i v o n é as s u r d o. Es s o
s em pl ic em ent e è. Q u es t o, i n t ut ti i c as i , è c i ò c he es s o h a d i p iù
no t e vo l e ( …) . T ut to s i s vo l g e i n ef f e tt i c om e s e l e c o n v e n zi o n i d e ll a
f oto gr af i a ( le d ue d im ens i on i , i l b ia nc o e n er o, l ’ i nq u adr a t ur a , le
d if f er e n ze d i s c a la tr a i p i a ni) c o ntr i b u is s er o a l i ber ar c i da l l e nos tr e
c on v e n zi o n i. L’ as p et t o u n p o ’ i nus u a le di qu e l m ond o ‘r i pr od o tt o ’ c i
r i v el a , n e l lo s tes s o tem po , il c ar at te r e i nus u a le d el m on d o c he c i
c ir c on d a, in us u al e a nc h ’es s o n e l la m is u r a i n c ui s i r if i ut a d i pi e ga r s i a l l e
nos tr e ab i tu d in i d i a p pr e ns i on e e a l nos tr o or d in e. I n l uo g o d i qu es to

265
essere conosciuto anche con il nome di école du regard
(scuola dello sguardo) –, è grande anche il ruolo che esso
accorda all’influenza della musica; secondo Aude
Locatelli, ad esempio, i nouveaux romans invitano, oltre
che allo sguardo, anche «all’ascolto, sia per mezzo dei
riferimenti musicali insiti ai loro titoli (Moderato cantabile,
Passacaille) che per la preminenza della voce che
caratterizza la loro strategia di scrittura» 417.
Animati in primo luogo da una volontà destrutturatrice, che
veicolano contro i pilastri su cui si basa il romanzo
tradizionale (identificati da Robbe-Grillet nei tre elementi
del personaggio a tutto tondo, della storia, intesa come
trama dall’evoluzione unilineare, e del contenuto 418), ai
nouveaux romanciers, della musica, non interessano tanto
le soluzioni macro-formali, quanto il suo assetto
particellare pregresso; lo stato della musica prima
dell’armonia delle forme e che è possibile ritrovare negli
esperimenti di tipo combinatorio, che caratterizzano in
particolare la musica dodecafonica, ma di cui alcuni grandi
compositori del periodo classico furono già precursori.

un i v er s o de i ‘s i gn if ic at i ’ ( ps ic o l o gic i , s oc i a li , f u n zi o n a l i) oc c or r er e b b e
du n qu e t e nt ar e d i c os tr u ir e u n m ond o p iù s ol i d o, p i ù im m ed i at o .
Co n v ie n e c h e o gg e tt i e ges t i s i im p on g an o i n pr im o l uo g o p er la lor o
pr es e n za ( …) ». I v i, pp . 37- 3 9.
417 o
Ci t. da A . Loc at e l l i, L it tér at ur e et m us i q ue a u X X s i èc le , p a r . « À
l ’éc o ut e d u No uv e au r om a n» , c i t. , p. 44 .
418
Q ues t ’u l t im o, in t es o c om e l’ ec c es s i va i m por ta n za c he – s e c on d o
Ro b be- G r i l l et – i l r o m an zo tr ad i zi o n a le r i s er va al l a m at er i a n ar r at i v a
og g et to de l r ac c o nt o, p i ut tos t o c he al l a f or m a, a l l a m an i er a di
pr es e nt ar l a. Cf r . i l C ap . I I, R i fl es s i on i s u a lc u n i e l em e nt i de l r om a n zo
tr a d i zi o n a le , i n: A. R o bb e- G r i l l et , Un a v i a p e r i l r om a n zo f ut ur o, c it .

266
Questa tendenza sembra confermata da Pierre Brunel 419, il
quale spiega che, presso scrittori come Michel Butor o
Alain Robbe-Grillet, «scrittura seriale» e «scrittura fugata»
sembrano coincidere.
Tra i romanzieri che assumono i modelli musicali al fine di
ricavarvi dei principi di scardinamento – piuttosto che di
composizione – della materia romanzesca si può ricordare,
ad esempio, Robert Pinget, che ispira il suo romanzo
Passacaille 420 (1969) all’opera omonima di Bach (la
Passacaglia e tema fugato in do minore 421 del 1705); nel
trasporla sul piano letterario, Pinget riduce il complesso
marchingegno compositivo messo a punto da Bach – la cui
passacaglia appare articolata in due sezioni, la
passacaglia vera e propria costituita da venti variazioni su
un tema di otto battute e una fuga finale, in cui al primo
tema viene affiancato un altro secondario – ad uno
schema di tipo combinatorio, che si configura come la
base strutturale del romanzo.

419
«E n l it t ér a t ur e , l ’é q u i va l en t de l ’ éc r it ur e s ér ie l l e r ej o i nt l ’ éc r it ur e
f ug ué e. C ’ es t c e qu e j ’ es s a ya i s d e m on tr e r , à pr op os d e B ut or . C ’ es t c e
qu e m et e n va l e ur , t o ut a us s i b i e n, l ’ œ u vr e d ’ Al a i n R o bb e- G r i l l e t» . C i t.
da : P . Br u ne l , B as s o Co nt i n uo , Ca p . II « L e r o ma n f ug u é» , p. 51 .
420
R. Pi n ge t, P as s ac a i ll e , É di t io ns d e M i nu i t, P ar is 19 6 9.
421
S i tr at ta d e l la c om pos i zi o n e p er or g an o BW V 58 2. C om e r i por t a
E ug é n ia L ea l , s ar e b b e s t a to l o s tes s o P i ng e t a d ic h iar ar e d i es s er s i
is pir a to a qu es t ’ o per a d i B ac h p er l a c om pos i zi o n e d el s u o r om an z o; c f r .
E. L e a l, L a Mis e à m or t d u r éc it d ans l ’o e uv r e r o m a nes q ue d e Ro b er t
P in g et ? A n a ly s e d es pr oc é d és nar r a t ifs p i ng é ti e ns , P e ter L a ng , B er ne
20 0 9; vd . i n par t ic o l ar e i l par . Rac o nt er d ’a p r ès l e mo d è le d e l a pa r ti t io n
de B ac h: l ’av è ne m e nt de l a f u gu e et de l a po ly p ho n ie ( P as s ac a i l l e) , p p.
19 5- 2 13 .

267
Esso appare fondato sulla riproposizione sistematica di
alcune micro-cellule narrative, a cui, di volta in volta,
viene aggiunto o modificato qualche elemento. Una di
queste, ad esempio, è rappresentata dalla scena di
apertura:

«Calma. Grigiore. Tutto tace. Qualcosa deve essere


inceppat o nel meccanismo ma nulla traspare.
L’or ologio a pendolo è sul caminetto, le lancette
segnano l’ora. Qualcuno sar ebbe appena entrato
nella st anza f redda, la casa era chiusa, era inverno.
Grigiore, calma. Si sarebbe seduto al tavolo.
Intirizzito dal f reddo, f ino al calare della notte. Era
422
inverno, il giardino spoglio (…)» .

A partire dalla sua prima esposizione, questa scena viene


ripresentata periodicamente – a intervalli di due o tre
pagine – e riproposta sia nel suo intero che a frammenti:
«Grigiore. Calma (…). Calma, grigiore (…). Qualcosa di
inceppato nel meccanismo (…)» 423.
Questi frammenti, messi in circolo nel romanzo in una
modalità slegata dal contesto, si configurano come dei
leit-motiv, che sviluppano nel testo un effetto di risonanza;

422
T r ad. n os tr a d al f r a nc es e : « Le c a lm e. L e gr is . D e r em o us a uc u n .
Q u el q ue c hos e d o it êtr e c as s é d ans l a m éc an i qu e m ais r i en ne
tr a ns par a ît . L a pe n d u le es t s ur l a c hem i né e , l es a ig u i l les m ar q u e nt
l ’h e ur e. Q ue l qu ’ u n d a ns l a p i èc e f r o i d e v i e n dr a i t d ’ en tr er , la m ais on ét a it
f er m ée, c ’ ét a it l ’ hi v er . Le gr is , le c a lm e. S e s er ai t as s is d e v an t l a ta b l e.
T r ans i de f r o i d, j us qu ’ à l a tom bé e d e l a nu i t. C ’é t ai t l ’ h i ver , l e j ar di n m or t
( …) ». C it . d a R. Pi n g e t, P as s ac a i l l e, c it. , p . 7.
423
I v i, p p. 7, 1 0, 12 .

268
inoltre, ciascuno di essi costituisce a sua volta il nucleo a
partire dal quale germinano nuove serie di motivi, che via
via arricchiscono il quadro originario.
Ne deriva che le varie riesposizioni dei motivi non
rappresentano delle ripetizioni neutre, ma si configurano
piuttosto come delle elaborate micro-variazioni; tecnica
che lo stesso Pinget ha ammesso di aver ricavato dalla
musica e di aver adottato come procedimento fondativo di
gran parte dei suoi romanzi 424.
Così, in Passacaille, la progressiva messa a fuoco dei
dettagli chiarisce a poco a poco il senso della scena di
partenza, che si rivela come lo scenario di un delitto:

«L’orologio a pendolo sul caminetto è in marmo nero,


con il quadr ante cerchiato in oro e i numeri romani.
L’uomo seduto al t avolo qualche ora prima trovat o
morto sul letame non sarebbe stato solo, una
sentinella vigilava, un contadino sicur o di aver visto
solo che il def unto in un giorno grigio, f reddo, si
sarebbe avvicinato all’apertur a dell’anta e l’avr ebbe
visto dist intamente danneggiare l’or ologio e poi

424
Cf r . M ad e l ei n e R e n ou ar d, c h e r ip or ta l e par o l e d i Ro b er t P i ng e t:
«J ’i g no r e , di t- i l, l a s c i enc e d u c o n tr e p o in t m a is le l i gn es m é lo d iq u es m e
f as c i ne n t. D e m êm e que l e t h èm e r epr is en di v er s es va r i a ti o ns , c om m e
da ns P as s ac a i l l e ( …) . M o n go û t du t h èm e r epr is e n d i v er s es v ar i at i ons
ou c o ntr a dic t io ns m ’e s t r es té et s e r etr o u v e d a ns m es r om ans et m on
th é âtr e» . C it . da : M. Re n o uar d, R o ber t P i ng et à l a l et tr e, i nt er v is t e,
B elf on d, 19 9 3, p . 3 1.

269
rimanere prostrat o sulla sedia, con i gomit i sul
tavolo, il capo tra le mani» 425.

Questa scoperta diventa a sua volta l’oggetto di una serie


di modulazioni, rivisitazioni, correzioni, che generano
ancora catene di nuovi dati, e così fino alla fine del
romanzo. In questo modo, attorno ad un soggetto
poliziesco – Chi o cosa è la causa di questa morte
sospetta? A chi corrisponde il cadavere? E questo
cadavere è stato davvero rilevato o non rappresenta
piuttosto lo spettro dell’ansia di una mente inquieta (il
parto dell’immaginazione del narratore?) – si sviluppa una
narrazione dal procedimento indiziario, i cui enunciati
sono sottoposti letteralmente ad una continua
ritrattazione; l’andamento esitante del discorso che ne
scaturisce pare evocare il tratto incerto della memoria, o
dell’immaginazione, alle prese con la formulazione delle
ipotesi di quanto accaduto o potrebbe accadere.
Nonostante la proliferazione delle congetture intorno a
quello che potrebbe essere realmente accaduto, il caso
non viene risolto: il romanzo si chiude nel modo in cui si
era aperto, ripresentando la stessa scena iniziale

425
T r ad. nos tr a d a l f r anc es e : « L a pe n d ul e s ur l a c h em in ée es t e n m ar br e
no ir , c a dr an c er c lé d’ or e t c h if f r es r om ai ns . L’ h om m e as s is à c et t e ta b l e
qu e l qu es h e ur es a va n t r etr o u vé m or t s ur le f um ier n ’a ur a it é té s e u l, u n e
s en t in e l le ve i l l a it , u n pa ys a n s ûr qu i n ’ a v ai t a per ç u q ue le d éf u nt un j o ur
gr is , f r o i d, s e s er a i t ap pr oc h é d e l a f e nt e du v o le t et l ’a u r a it v u
d is t i nc t em ent d é tr a q u er l a pe n du l e p uis r es ter pr os tr é s ur s a c h a i s e, l es
c ou d es s ur l a t ab l e, la t êt e d ans les m ai ns ». I v i, p . 8 .

270
dell’uomo che resta inchiodato alla sedia dopo aver
trafficato con l’orologio; per Pinget, più importante dello
scioglimento del mistero è la possibilità di presentare la
quantità di interpretazioni a cui ha dato luogo il deliquio
dell’immaginazione, scatenato dall’episodio del delitto.
Ciò riflette il senso specifico dell’operazione condotta dal
romanziere in Passacaille: quel che conta, per l’autore, è
innanzitutto dare luogo ad una narrazione che si sottragga
al rispetto dei parametri su cui si fonda il romanzo
tradizionale. Per questo, Pinget pone al centro di
Passacaille un soggetto poliziesco come puro pre-testo
per l’ideazione di un impianto narrativo che traduca su un
piano letterario quei meccanismi di rivoluzione degli
schemi prestabiliti, che Pinget trae dalla musica di Bach;
quest’ultima, agli occhi del romanziere, memorabile per
essere stata in grado di corrodere dall’interno (cioè
aderendovi soltanto apparentemente) le regole del sistema
tonale, il principale schema di riferimento dell’arte
musicale.
Come già gli oulipiani, anche Pinget assume i principi
della musica non come elementi di una forma, ossia –
come spiega Bachtin – di un’architettura il cui senso
specifico consiste letteralmente nell’informare, cioè
nell’elaborare un determinato «oggetto estetico» posto

271
come tema; ma di una struttura 426: una costruzione
indipendente dalla relazione con un contenuto e che
rintraccia la sua ragione d’essere nella stessa possibilità
della propria sussistenza, in quanto risponde unicamente
ad un obiettivo sperimentale.
L’obiettivo di Pinget non è rintracciare, attraverso un
lavoro di invenzione formale, nuove chiavi di esplorazione
della realtà, ma insistere direttamente sull’impossibilità
della letteratura nell’epoca contemporanea di servire
ancora a veicolare un qualche significato; consapevolezza
che conduce Pinget alla scelta di rintanarsi nel tracciato di
un discorso puramente autoreferenziale: di una «voce» 427,
che trae la sua forza dalla stessa possibilità della propria
espressione ma che, di fatto, non vuol dire niente.
Questa interpretazione è comprovata dallo stesso autore,
che spiega di aver organizzato Passacaille secondo un
procedimento combinatorio proprio al fine di rendere,
attraverso l’astrattezza propria della matematica, l’idea

426
P er u n c hi ar im en to de l l a d if f er e n za c he ab b i am o pr es en ta t o t r a i l
c onc e tt o d i f or m a e q ue l l o d i s tr ut t ur a , c f r . l a n ot a 6 9 e i l p ar . 1. 2. «L a
v ar ia zi o n e s u te m a d a Bac h a Sc h ön b er g » , p p . 4 9- 5 0: «N e l p as s ag g i o
da l l a m us ic a t em at ic a ( c om e i n q ues t a s ed e s c e l g o d i r if e r i r m i al la
m us ic a t on a le ) al l a m us ic a s er i a le , i l pr i nc i p io d e l le var i a zi o n i tr ans i ta
da l l o s t a tu to d i f or m a c he , c om e l as c ia i n te nd er e l a s t es s a e t im ol og i a, è
da v v er o ta l e s ol o s e r i s u lt a or g a n i z za ta a tt or no a d u n pr ec is o ‘c o n t en u to ’
– e, di c ons e gu e n za , pr es e nt a u n as s et t o or ga n ic o - , a q ue l lo di
s tr u tt ur a, c o n c u i s i pu ò in te n de r e , in v ec e, u n ins i em e d i e l em en ti i n o g n i
s ua p ar te a ut o nom o, l i ber o d al l ’ as s er vim e nt o ad u n pa r t ic ol ar e s o gg e tt o
c en tr al e ».
427
A d ot t iam o q u es t o t er m ine n e l l ’ac c e zi o n e il l us tr at a da G er ar d G e ne tt e ,
ne l s e ns o di d is c or s o c on d ot to d a l n ar r a t or e . Cf r . G . G e n et te , F i g ur e I II .
Dis c or s o d e l r ac c o n to , c i t. , i n p ar t ic o lar e i l C ap . V , « V oc e », pp . 2 5 9- 3 1 0.

272
dell’impermeabilità della realtà, a fronte di qualsiasi
tentativo di apprensione diretta 428.
Pinget e altri romanzieri contemporanei individuano nella
musica un bacino di schemi geometrici la cui possibilità di
applicazione al romanzo suggerisce in quest’arte
un’impressione di identità, di adesione completa tra la
forma e il contenuto – risultante da una riduzione della
qualità referenziale del cosiddetto contenuto a favore della
preminenza del principio strutturale 429 –, per certi versi

428
Cf r . N o uv e a u r om a n : h i er , a u j our d ’h u i , U G E , 1 0 /1 8 , 1 9 72 , to m o II,
Pr at i qu es , pp . 3 35 , 3 3 6, 3 5 0.
429
Af f er m ar e c he , i n P as s ac a i l le e o p er e a na l o gh e d i a ltr i r om an zi er i
c on t em por a n e i, l a m ater i a n ar r at a as s um e un m i nor e r i l ie v o r is p et to a l
m odo d i n ar r ar e n o n e qu i v a l e a n e gar e in es s e l ’es is te n za di un
c on t en ut o ; c iò c h e ap p ar e r id im ens i o na t o è l’ e l em ent o c h e B ac h t in
def in is c e «d if f er en zi at e z za o g ge tt u a le c on os c it i v a », la t e ns io n e
i nt er p r e ta t i va n e i c o nf r o nt i de l r e a le , e c he c os t it u is c e s o l o u n
c om pon e nt e d i c i ò c h e s i p uò in t en d er e c o m e c on te n ut o ( c f r . a qu es to
r i gu ar do qu e l l o c h e a b b iam o s c r i tt o n e l p ar . 1. 3. «I l pr o b le m a d e ll a for ma
e d e l c on t en u to ») . La tr a du zi o n e i n l et ter a tur a de i pr i nc ip i d i
c om bi na zi o n e o per m uta zi o n e ( a c u i h a f att o s p es s o r ic o r s o s ia i l
No uv ea u r o m an c he i l gr u p p o s pe r im e nt a le d eg l i a n n i s es s a n ta r ac c o lt os i
i nt or n o a l l a r i v is ta «T e l Q u e l») es pr im e s e m pr e un c o n te n ut o, q u i i nt es o
ge n er alm en t e c om e “ s ens o” ; ad es em pi o , q ues t e op er a zi o n i p os s o n o
es s er e l e tt e c om e f i gur a d i u n d et er m in a to a tt e gg i am ent o e t ic o, c h e
s pes s o c o ns is te ne l l a r in u nc ia a l c o nf r o nt o c on i l m ond o es ter n o e la
c ons e gu e nt e s c e lt a d i l im it ar s i a r if le tt er e i l c a os . A qu es t o pr o pos i to ,
c f r . It a lo C al v i n o, c he n e ll o s c r i tt o t e or ic o C i ber n et ic a e f a nt as mi
( ap p u nt i s u l la n ar r at iv a c o me pr oc es s o c om b in at or i o) ( 1 96 7) , s u ll a s c or t a
de l l a le tt ur a d i un s ag g i o d i H ans M a gn us E n ze ns b er g er , r if l et t e
s u ll ’ a pp l ic a zi o n e de l l e s tr u tt ur e t op o l og ic he al l a l e tt er a t ur a m od er n a;
i nd i v i du at e , a d es em p i o, n e l le s tr u tt ur e l ab i r i nt ic he di Bo r g es e Ro b be-
G r i l le t. A m ar g in e d i un a c i t a zi o n e d i E n ze ns b er g er , p er i l qu a le c er te
s tr u tt ur e l ab ir i nt ic he c es s a n o d i r ap pr es en ta r e u na «s f id a a l l ’i n te l l i ge n za
um ana » e s i i ns t a ur an o c om e f ac s im i le d e l d is or d i ne u n i ver s a l e, Ca l v i no
ag g i un g e: « I l gi oc o p u ò f u n zi o n ar e c om e s f i da a c om pr en d er e i l m on d o o
c om e d is s uas i o ne d a l c om pr e nd er l o; l a l et te r at ur a pu ò l a vo r ar e ta nt o ne l
s ens o c r i t ic o q ua n to ne l l a c onf e r m a d el l e c os e c om e s t a nn o e c om e s i
s an n o, I l c o nf i n e n o n s em pr e è c h i ar am ent e s eg n at o; d ir ò c h e a qu es to
pu n to è l ’ at te g g iam en t o d e l l et to r e c he di v e nt a d ec is i vo ; è a l l et t or e c he
s pe tt a d i f ar s ì c h e l a le tt er at ur a es p l ic h i l a s ua f or za c r it ic a ( …) ». C i t.

273
simile a quella che caratterizza la musica (arte
areferenziale per eccellenza, come già dimostrato 430) e che
rende quest’ultima significante a prescindere dalla
trasmissione di eventuali significati.
Come nella musica, anche nelle opere romanzesche
organizzate secondo i principi combinatori – i quali
sembrano rispondere solo a freddi criteri numerici – è la
stessa struttura a presentarsi come espressione di un
determinato stato d’animo: il sentimento di alienazione
sperimentato dall’uomo, a confronto con un sapere
parcellizzato e che risulta sempre più arduo ricondurre ad
una matrice unitaria.
Nella conferenza intitolata Cibernetica e fantasmi (appunti
sulla narrativa come processo combinatorio) 431, manifesto
programmatico della poetica praticata da Italo Calvino
nella seconda metà della sua produzione (che segue la
fine degli anni sessanta) 432, lo scrittore delinea un quadro

da C i ber n et ic a e f a nt as mi ( a p p un t i s u l l a nar r a tiv a c o m e p r oc es s o


c om b i na t or i o , in : I . C a l vi n o, Un a p ie tr a s o pr a . Dis c or s i d i l e tt er at ur a e
s oc ie tà , O s c ar Mo n da dor i , T or i n o 19 9 5.
430
Cf r . i l n os tr o p ar . 1. 3 «I l pr o bl e m a de l l a f or ma e de l c o n te n ut o ».
431
C it .
432
In p ar tic o l ar e , tr a le op er e d i Ca l v i no is p ir at e in m an i er a p i ù o m eno
d ir e tt a a i m ec c an is m i c om bi n at or i s i pos s on o a n no v er ar e: L e Cit t à
i nv is i b i li ( 19 7 2) , c he pr es en t a un c at a lo go di c i nq u an tac i n qu e c i tt à
im m ag in ar i e i l c u i or d in e d i ap p ar i zi o n e è r eg o l at o da u n o s c hem a
c om bi na t or i o ( l a c u i i l lus tr a zi o n e f ig ur a n e l s om m ar io) ; I l C as t e l l o d e i
des t in i i nc r oc ia t i ( 1 9 73) , i n c u i l e s tor i e d e i c a va l i er i a l c en tr o d e l
r ac c o n to s o no ge n er a te da l l e d i v er s e d is po s i zi o n i a c u i d a nn o l u og o le
c ar t e d i un m a z zo d i tar oc c h i, d a C a l v i no ut i l i z za t o c om e «m ac c h in a
nar r a t i va c om bi na t or i a» ; Se un a no tt e d ’i n v er n o un v i ag g i at or e ( 19 7 9) ,
r om an zo c om pos t o d a un a s er i e d i d iec i in c i pi t d i r om an zi im m ag in ar i,
l et ti d a u n p er s on a g gi o a l l a r ic er c a d e l L i br o d e i L i br i e , p er c onc l ud er e,

274
chiaro dello stato disgregato in cui versa la cultura
contemporanea e della ragione per cui nella nostra epoca
l’ars combinatoria – concepita già nel lontano Medio Evo –
«trova la piena attualità» 433:

«Nel modo in cui la cultura d’oggi vede il mondo, c’è


una tendenza che aff iora contemporaneamente da
var ie parti: il mondo nei suoi var i aspetti viene visto
sempre più come discr eto e non come continuo.
Impiego il termine ‘discreto’ nel senso che ha in
matematica: quant it à ‘discr eta’ cioè che si compone
di parti separate. I l pensiero, che f ino a ieri ci
appar iva come qualcosa di f luido, evocava in noi
immagini lineari come un f iume che scorre o un f ilo
che si sdipana, oppure immagini gassose, come una
specie di nuvola, tant’è vero che veniva spesso
chiamato ‘lo spir ito’, – oggi tendiamo a veder lo come
una serie di stati discont inui, di com binazioni di
impulsi su un numero f inito ( un numero enorme ma
f inito) di organi sensori e di controllo» 434.

Per questo – continua Calvino – il processo in atto nella


cultura contemporanea «è quello d’una rivincita della

P al o m ar ( 19 8 3) , r ac c o lt a di r ac c o nt i n i c he r u ot a no i n tor n o al l ’ o m onim o
per s o n ag g io , d is pos t i s em pr e s ec on d o u no s c hem a n um er ic o. A qu es to
i ns i em e d i o per e , s i pu ò f or s e i nc lu d er e l ’ u lt im a n o v el l a d i T i c on zer o
( 19 6 7) – I l C o nt e d i Mo n tec r is to – , i n c u i i l m ec c a n is m o c om bi na t or i o
f ig ur a d ir e tt am en te c o m e s ogg et to na r r a t i vo e i l c u i f in a l e, n o n a c as o , è
r i por t at o n el l a c o nc lus i on e d e ll a c o nf er e n za Ci b er ne t ic a e f a nt as m i .
433
I. C a l v in o , C i ber n et ic a e fa n tas m i ( ap p un t i s u l l a nar r a tiv a c om e
pr oc es s o c o mb i n at or io ) , c it ., p. 2 0 4.
434
I v i, p . 2 03 .

275
discontinuità, divisibilità, combinatorietà, su tutto ciò che è
corso continuo, gamma di sfumature che stingono una
sull’altra» 435. Passando in rassegna i diversi gruppi
letterari e orientamenti critici contemporanei che adottano
i principi combinatori come base dei loro procedimenti
(dall’Oulipo alla scuola di Chomsky, che studia il
linguaggio sulla base di modelli matematici
trasformazionali, fino alle varie derivazioni dello
strutturalismo), Calvino dimostra questa nuova flessione
del sapere moderno e spiega che, quando vengono
impiegate per la costruzione dei romanzi, le strutture
combinatorie si configurano direttamente come figura
dell’inintelligibilità del reale; o meglio, come segno
dell’ammissione dell’impossibilità di comprendere la realtà
in un discorso organico e della conseguente necessità di
ridurne l’analisi a quella di suoi frammenti.
A questo riguardo, forse non è casuale che i maggiori
esponenti della nuova narrativa combinatoria siano tra
quelli che hanno più spesso impiegato come procedimento
strutturale anche il topos del labirinto: ad esempio, si
pensi all’ingegnere Alain Robbe-Grillet – che definiamo in
questo modo non solo per le composizioni geometriche dei
suoi romanzi, ma in riferimento alla sua effettiva
formazione da ingegnere agronomo –, autore di Nel

435
I v i, p . 2 04 .

276
Labirinto 436 (1959) o a Michel Butor, che, nell’Impiego del
tempo 437, si avvale di uno schema seriale per organizzare
il racconto di un giovane, perso nelle spire di una città-
labirinto…
Tuttavia, ragionando intorno al modo in cui i romanzieri
elaborano le strutture combinatorie, Calvino distingue tra
quelli che le impiegano solo come figura del caos e gli altri
– tra cui Calvino si riconosce –, che invece le adottano
come piattaforma sperimentale da cui procedere verso
l’esplorazione di quei fantasmi, a cui si allude nel titolo
della conferenza: i simboli custoditi nell’inconscio
collettivo e non ancora organizzati dal linguaggio 438.
Per Calvino, i primi rinuncerebbero a priori alla sfida della
letteratura, che consisterebbe proprio nel «dare la parola
a tutto ciò che nell’inconscio sociale o individuale è
rimasto non detto» 439.
Obiettivo che, per lo scrittore, può essere atteso solo
attraverso un continuo lavoro di riformulazione,

436
A . R o bb e- G r i l l et, N el La b ir i nt o, t r a d. i t. di F . L uc e n ti n i, E i na u d i, T or in o
19 6 0. R ic or d iam o c h e qu es t o r om an zo i n p ar t ic o lar e v ie n e a na l i z za t o d a
It a lo C a l v in o in un al t r o s a gg i o, c om pos t o poc h i a n ni pr im a de l t es t o d i
Ci b er ne t ic a e f a nt as m i: L a Sf i da a l la b ir in t o , a p par s o per l a pr im a vo l ta
ne l 1 9 62 s u «I l m en ab ò 5 » ( E i n au d i, T or i no) ; or a i n: I D, U n a p i etr a
s opr a , c it ., pp . 9 9- 1 1 7 .
437
C it .
438
Cf r . I. C al v i n o: « L’ i n c ons c i o è il m ar e d e l no n d ic ib i l e, d el l ’ es p u ls o
f uor i d a i c onf in i de l li n gu a gg i o, de l r im os s o in s eg u it o a d an t ic h e
pr o i b i zi o n i; l ’ inc o ns c io par l a – ne i s og n i, n e i l a ps us , n e ll e as s oc i a zi o n i
is t a nt a ne e – at tr a v er s o p ar ol e p r es ta t e, s im bo l i r u b at i, c on tr a bb a nd i
l in g u is t ic i, f inc h é la l et ter a tur a n on r is c at t a q u e i t er r it or i e l i a n ne tt e a l
l in g ua g g io de l l a v eg l i a ». C i t. d a C ib er n et ic a e fa n tas m i, c it ., p . 2 12 .
439
Ib .

277
permutazione e combinazione di quei materiali già
precedentemente codificati; così fino alla scoperta della
particolare combinazione che fa scattare qualcosa e
diviene in grado di liberare significati nuovi: perché «Una
cosa non si può sapere quando le parole e i concetti per
dirla e pensarla non sono stati ancora usati in quella
posizione, non sono stati ancora disposti in quell’ordine, in
quel senso (…) è il richiamo di ciò che è fuori dal
vocabolario che muove la letteratura» 440.
Calvino riconosce comunque che, in ogni caso, le strutture
combinatorie sono però condannate a restare puro non-
sense, se i possibili significati a cui danno luogo non
vengono poi recepiti e organizzati da un lettore
consapevole; se i loro segmenti non trovano posto nella
forma unitaria di una coscienza.
Scrive Calvino: «La macchina letteraria può effettuare
tutte le permutazioni possibili in un dato materiale; ma il
risultato poetico sarà l’effetto particolare d’una di queste
permutazioni sull’uomo dotato d’una coscienza e d’un
inconscio, cioè sull’uomo empirico e storico (…)» 441.
Al contrario di quei romanzieri che fanno ricorso alla
musica per rintracciare dei mezzi di composizione di una
forma organica, che sia in grado di realizzare la possibilità
insita all’arte di contrapporsi al caos, i romanzieri

440
I v i, p . 2 11 .
441
I v i, p . 2 15 .

278
“combinatori” sembrano scegliere piuttosto di riflettere
l’assetto caotico a cui si è ridotta la cultura
contemporanea, al fine di offrirne testimonianza
permettere al lettore di prendere posizione rispetto ad
essa; in questo modo, essi però rischiano di asservire
l’istanza artistica a quella culturale e civile e così di
partecipare – inconsapevolmente o meno – al processo di
disgregazione dell’io provocato dalla parcellizzazione del
sapere, determinatisi in concomitanza alla proliferazione
delle discipline scientifiche 442.
Il tipo di approccio mimetico alla realtà caratterizza anche
l’opera romanzesca di Michel Butor che – come Pinget –
ricorre alla musica, in quanto attratto soprattutto dalla sua
possibilità di sperimentazione seriale; nelle Improvisations
sur Michel Butor, il romanziere francese dichiara di aver
rintracciato nella dodecafonia di Arnold Schönberg le
strutture «sufficientemente controllate» 443 di cui aveva
bisogno per i suoi romanzi – da Passaggio a Milano
all’Impiego del tempo, alla Modificazione, tutti pubblicati
tra il 1954 e il 1957 –, che appaiono organizzati sulla base
di una serie di variazioni (Pierre Brunel ha riscontrato
nell’Impiego del tempo il principio del movimento

442
De l l ’ im pat to pr o v oc a to d a l la r i vo l u zi o n e s c i en t if ic a s u l c onc e t to d i
s ap er e, a b b iam o g ià t r at ta t o ne l p ar . 3. 2. «P er c h é i l N ov ec e n to », a l la c ui
l et tur a r i n v i am o.
443
P er l a f on te de l l a c it a zi o n e, r im an di am o a ll a n ot a 7 1.

279
retrogradato, «caratteristico, nel XX o secolo, della musica
seriale, a cui Butor è vicino» 444).
Anche la struttura della Gelosia 445 (1957) di Alain Robbe-
Grillet è organizzata sulla base di una serie di micro-
variazioni, che scandiscono una vicenda apparentemente
inconsistente – ambientata in una fattoria nel cuore di una
piantagione ai tropici – di cui poco è realmente rivelato ma
molto è lasciato ad intendere.
Un narratore X, mai altrimenti specificato, ritorna
sistematicamente sulla medesima serie di particolari,
relativi a momenti svoltisi probabilmente nell’arco di una
stessa giornata, ma il cui ordine cronologico appare
indistinguibile: la precisazione del tempo del romanzo è
affidata solo a laconici avverbi di tempo – «Ora la casa è
vuota» 446 – che, al posto di fornire un orientamento,
sembrano servire lo scopo di mantenere la storia in
un’atmosfera di sospensione e di eterno presente; o
meglio, di «’tempo-memoria’» 447 (come osserva il
traduttore Franco Lucentini).

444
T r ad. nos tr a d al f r a n c es e ( s i r i p or t a la c it a zi o n e p er es t es o) : « Ce tt e
e
pr a t iq u e d u m ou v em ent r é tr ogr a de es t c ar a c tér is ti q u e, a u X X s iè c l e, d e
l a m us i q ue s ér i e l l e, do n t B ut or es t pr oc h e. C ’ es t l’ ‘ex p os it i o n d ’u n e
m élo d ie ( o u d ’ un e s é r i e) en or dr e i n v er s e’ ( …) ». C i t. d a : P . Br un e l,
B ut or , L ’e m p l o i d u te mps . Le t ex t e et l e l aby r i nt h e, p ar . « Un e éc r it ur e
s ér ie l l e» , c i t. , p. 15 3.
445
A. R o bb e- G r i l l et , La G e los i a ( 1 95 7) , t r a d. i t. e Pr ef a z. e P os tf a z. d i F .
Luc e nt i n i, Ei n au d i, T or i no 1 9 58 .
446
I v i, p . 7 5.
447
Cf r . F . L uc e nt i ni : « Il t em po de l l a n ar r a zi o n e n o n è i nf a tt i qu e l lo
l in e ar e, or d i n ar io , in c u i g l i e ve nt u a l i pr ec or r i m ent i o r it or n i i n d ie tr o s i
is c r i vo n o n a tur a lm en t e e r is a lt an o c on e v i de n za . S i am o in v ec e in u n

280
Il modo in cui A. (forse la moglie di X ?) si sporge dalla
finestra della sua camera al mattino, lo scambio di battute
che intrattiene con il vicino di casa Franck a proposito di
un giallo sentimentale in corso di lettura – una storia di
tradimenti, la cui menzione probabilmente svolge la
funzione di mise en abyme del romanzo –, la sconosciuta
litania dei braccianti che giunge dalle rimesse «su note
che non sembrano costituire un principio né una
ripresa» 448 e altri piccoli episodi vengono raccontati dal
narratore ciclicamente, ad intervalli brevi e in maniera di
volta in volta più dettagliata, in modo che ciascuna delle
varie riesposizioni sviluppi un particolare nuovo.
Il ritmo della narrazione rispecchia l’ossessione di una
mente in preda alla gelosia, che riesamina a più riprese
ogni particolare, per cogliervi l’indizio che confermi i
sospetti e conduca all’intuizione della verità: la relazione
clandestina tra A. e Franck.
Il meccanismo del gioco narrativo che l’autore ingaggia
con il lettore è riassunto in un commento espresso dal
narratore a proposito dell’aria cantata dai braccianti, la cui
melodia appare tutt’altro che lineare:

s is t em a ‘t em po- m em or i a’ c he a nc he q u an t o a i tem p i v er ba l i s i r i duc e a


un et er n o pr es en te , d o ve n on è m ai s pec if i c at o s e i f a tt i a c u i as s i s ti am o
s i an o gi à ac c a d ut i , o s e ac c a da n o in q ues to m om ent o, o s e s i pr e v ed e ( o
s i t em e) c h e ac c a dr an no » . Pr ef a zi o n e a l l’ e d i zi o n e it a li a na d e ll a G e los i a
d i A la i n R ob b e- G r i l le t, c i t. , p. 2.
448
A . Ro b be- G r il l et , L a G e los i a, c it ., p . 6 1.

281
«Se talvolta i tem i si cancellano, è solo per tornare
un po’ più t ardi, raff orzati e prat icamente ident ici.
Tuttavia queste r ipetizioni, queste inf ime varianti,
queste cesure, questi r itorni indietro, possono dar
luogo a modif icazioni che –sebbene appena sensibili
– conducono alla lunga ben lontano dal punt o di
partenza» 449.

Anche in questo caso, le variazioni non sono impiegate


come principio di composizione unitaria, ma come mezzo
di frammentazione della struttura romanzesca; questa
soluzione è in linea con la poetica dell’autore, fondata
sulla pratica dello smantellamento dei canoni basilari del
romanzo tradizionale e il cui effetto apparente è appunto
l’impressione di un’assenza di forma.
Su questa base, lo scrittore accosta le ragioni della sua
ricerca alle motivazioni artistiche che avevano sorretto le
sperimentazioni dodecafoniche di Arnold Schönberg, la cui
portata innovatrice fu inizialmente misconosciuta dai critici
– spiega Robbe-Grillet in Una via per il roman zo futuro – e
il cui assetto disorganico veniva attribuito semplicemente
ad una totale noncuranza per le questioni di ordine
formale 450.

449
I v i, p . 6 2.
450
Cf r . A . R ob b e- G r i l le t : «O r a, inc o ns a p e v ol m ente gi u d ic a t a i n r a pp or to
a ll e f or m e c o ns ac r at e , u n a f or m a n uo v a s em br er à s em pr e p i ù o m eno
un ’ as s en za di f or m a. No n s i le g ge f o r s e , i n u n o d e i nos tr i p i ù c e le br i
d i zi o na r i enc ic l op e dic i , al l a v oc e Sc h oe n ber g: ‘ … a ut or e di op er e au d ac i,
s en za pr eoc c u pa zi o n e d i r e g o la a lc un a! ’ ( …) » . C i t. d a U n a v ia per i l
r o ma n zo fu tu r o , c i t., p . 35 .

282
Dal maestro austriaco, Robbe-Grillet trae ispirazione
anche per la sua pratica di romanziere, come accade nella
Gelosia, non a caso definito dall’autore «un romanzo
seriale» 451.
La ragione del breve panorama dei romanzieri
contemporanei che abbiamo appena tracciato è stata
quella di dimostrare come, a partire dal XX secolo,
abbiano coesistito – accanto al fenomeno, che abbiamo
già detto, della continua proliferazione di prodotti narrativi
incentrati unicamente sul plot e che sembrano costituire
nient’altro che una cattiva appendice del romanzo di
matrice balzacchiana – almeno due modi di reagire alla
saturazione sviluppata nei confronti dei modelli formali
imposti dal romanzo ottocentesco, corrispondenti a due
diverse possibilità del romanzo di ispirarsi alle forme della
musica; arte rispetto alla quale – per i motivi che abbiamo
visto –, fin dalle origini, la letteratura, e in particolare il
romanzo, ha intrattenuto un rapporto di dialogo.
Da una parte, una concezione del romanzo – tra i cui numi
teorici si possono riconoscere in Bachtin e in Broch –
come arte il cui compito privilegiato è sviluppare una
visione totalizzante dell’esistenza, attraverso l’invenzione
di una forma mitica, cioè in grado di opporre «al caos che
ci circonda (…) – come scrive Danilo Kiš – al disordine

451
D ic h i ar a zi o n e r ip or ta ta i n R ob b e- G r i l le t, C o ll o qu e d e C er is y , A tt i d e l
c on v e gn o s vo l tos i a C er is y- la- S al l e n e l 1 9 7 5, 10 /1 8 , UG E, 19 7 6, 2 v o l l. ,
tom o I, p . 4 10 ( c it . i n P. Br un e l, L es ar p èg e s c o m pos és , c it ., p . 2 5 .)

283
della barbarie e all’arbitrarietà irrazionale degli istinti» 452
un universo di senso, in cui le contraddizioni della realtà
vengano riassorbite in una logica di rapporti strutturali.
In quest’ottica, romanzieri come lo stesso Kiš, Broch,
Kundera e Oe reperiscono nell’armonia delle composizioni
musicali (specialmente quelle del periodo tonale) i principi
ideali per l’orchestrazione di queste forme dall’assetto il
più possibile unitario.
Dall’altra, attraverso l’esempio dell’Oulipo e di qualche
scrittore associato al Nouveau roman francese – ma a cui
si possono ricondurre molti altri romanzi dalla struttura
seriale, come Les Variations Goldberg di Nancy Huston 453
–,abbiamo esaminato un tipo di romanzo che, delle due
funzioni proprie dell’arte, la capacità di «smascheramento
del caos» 454 – in cui consiste la possibilità dell’arte di far

452
Cf r . n ot a 1 18 .
453
V d. p ar . 1. 2 . «L a v ar i a zi o n e s u te m a d a B ac h a Sc h ön b er g » .
454
Cf r . C. C as t or i ad is : « A bb i am o d e tt o c h e l ’ es s er e è s ia C a os c h e
Cos m o. Pe r g l i es s e r i um an i , q u es t o c a os è in ge n er al e n a s c os t o
da l l ’ is t i tu zi o n e s oc i a l e e da l l a vi t a q uo t id i a na . U n pr im o a ppr oc c i o a l la
qu es ti o ne d e ll a gr a n d e ar t e s ar e bb e al l or a di d ir e c h e è l o s v el am ent o
de l c a os at tr a v er s o un ‘ dar e f o r m a’, e n e ll o s tes s o tem po l a c r e a z i on e d i
un c os m o a ttr a v er s o qu es to d ar e f o r m a. S v e lam en t o de l c a os p er c h é l a
gr a n d e ar t e s q uar c i a l e e v id e n ze q u ot i d ia n e , i l ‘t e ner e i ns i em È d i qu es te
e v id e n ze , e il c or s o n or m al e d e ll a v it a ( …) Ma , a l l o s t es s o t em po , l ’ ar t e
no n pu ò o per ar e qu e s to s v e lam e nt o de l c aos c h e at tr a v er s o i l da r e
f or m a. E qu es t o dar f or m a, è l a c r e a zi o n e d i u n c os m o: a nc h e in qu es t o
c as o , ab b iam o la c r e a zi o n e d i un a f or m a s u u n c on t en ut o . Pr o b lem a
en or m e, s u l qu a l e s f o r tu n at am ent e n on p os s i am o d i lu n gar c i : in u n c er t o
s ens o , un a gr a nd e o per a d ’ ar t e è s em pr e as s o lu t am ent e c h ius a i n s e
s tes s a. N on h a b is o g n o di n i en t ’ al tr o» . T r a d. n os tr a da l f r anc es e: «N o us
a vo ns d i t q u e l ’ êtr e es t à l a f ois Ch a os et C os m os . Po ur les êtr es
hum a ins , c e c ha os es t e n g én ér a l r ec o u v er t p ar l ’ i ns t it u ti o n s oc i a le e t
par la v ie q u ot i d ie n n e. U n pr em ier a bor d de la q u es t i on d u gr an d ar t
s er a i t a lor s d e d ir e qu ’ i l es t le d é v oi l em en t d u c ha os m o ye n na n t un

284
percepire il non-sense della realtà – e quella di «creazione
di un cosmo» (che rappresenta la risposta etica dell’arte a
questo caos ) sembra limitare il proprio obiettivo
conoscitivo solo alla prima.
In questi romanzieri la constatazione dell’insufficienza
raggiunta dagli schemi formali del romanzo ottocentesco a
esprimere le contraddizioni della realtà sembra provocare
direttamente la perdita della fiducia nella possibilità
cosmogonica del romanzo tout court.
O meglio, produrre come reazione l’abbandono di quella
disposizione intellettuale (ma anche etica 455) a compiere
un atto di fede, in genere necessario alla concezione,
oltreché alla ricezione di un’opera d’arte; in questo caso,
corrispondente all’ammissione che il romanzo possa
costituirsi in una forma autonoma, capace di veicolare
orizzonti di senso.

‘ do n ner f or m e ’ et en m êm e tem ps la c r éa t i on d ’u n c os m os p ar c e d on n er
f or m e. Dé v o il em en t du c ha os p ar c e q u e le g r a n d ar t d éc h i r e l es
é v id e nc es q u ot i d ie n ne s , le ‘t e nir ens em bl È d e c es é v id e nc es , e t le c o ur s
nor m a l d e l a v ie ( …) Ma is , e n m êm e tem ps , l ’ar t n e p e ut op é r er c e
dé v o i lem e nt d u c h ao s q ue m o ye n n a nt le do n ne r f or m e. E t c e do n ne r
f or m e, c ’es t l a c r é at i o n d ’u n c os m os : l à e n c or e , n o us a v ons la c r éa t io n
d ’u n e f or m e s ur un f o nd . Pr o bl èm e é n or m e, s ur l e qu e l no us n e p ou v o ns
m alh eur e us em e nt p as n ous é te n dr e : d ’u n e c er t a i ne f aç o n , u n e gr a n d e
œ u vr e d ’ ar t es t a bs o l um ent f er m ée s ur e l l e- m êm e. E l l e n ’ a bes o in d e
r i en ». C i t. d a F en êt r e s ur l e Ch a os , c it ., p . 1 35 .
455
D ic e va T . S. E li o t: «C ’ è s o l o u n a l tr o s t ad i o p i ù e l e v at o c h e pu ò
es s er e r a gg i u nt o d a l l ’ uom o c i v il e – e d è q u e ll o d i u n ir e l o s c et t ic i s m o pi ù
pr of on d o al l a p iù pr o f on da f ed e ». T r a d . n os tr a d al f r a nc es e: « I l n ’ y a
qu ’ u n s eu l d e gr é p l us é le v é q u ’ il es t pos s i b le à l ’h om m e c i v i l is é
d ‘a tt e in dr e – e t c ’ es t d ’ u nir l e s c e pt ic is m e pl us pr of on d e à l a p l us
pr of on d e f oi » . C it . d a Leç on d e V a lé r y , in P au l Va l ér y v iv a n t, « Ca h ie r s
du Su d », 1 9 4 6, p . 7 5.

285
Di qui, la ricerca nella musica di criteri che fungano
piuttosto da agenti di disgregazione della forma, impiegati
per tradurre sulla pagina la percezione caotica della realtà
che domina la cultura contemporanea.
Autori di romanzi dopo la fine del romanzo, romanzieri
come Alain Robbe-Grillet, Michel Butor o Nancy Huston –
che citiamo solo a titolo di esempio della corrente
sperimentale a cui facciamo riferimento – sembrano porre
in discussione direttamente i principi basilari di quest’arte,
come la proprietà conoscitiva della forma, cioè la
possibilità della forma di fungere da strumento conoscitivo
di un particolare tema; di servire – scrive Castoriadis – da
«incarnazione appropriata di uno specifico significato» 456.
Ne consegue che, a venire meno, presso questi
romanzieri, è la stessa presenza di un tema, inteso come
deposito di una questione esistenziale ben determinata, il
cui tentativo di approfondimento costituisce il motore
propulsore del romanzo.
Abbiamo spiegato che gli esponenti della rivoluzione
musicale dodecafonica strutturano le loro composizioni
non tanto in funzione dello sviluppo di un soggetto
centrale, quanto del rispetto di una contrainte esterna (la
decisione di sperimentare un metodo finalizzato a
rivoluzionare la concezione stessa della musica), e così
sostituiscono ad una nozione di tema, corrispondente ad

456
Cf r . n ot a 2 50 , p ar . 3 . 1. « C e fu t d ’a b or d un e é tu d e» .

286
un elemento del brano ben circoscritto (un soggetto di
circa otto battute, come in uso nella musica classica),
un’altra, secondo la quale per «idea» 457 fondamentale di
un brano si intende – più in generale – l’invenzione di un
metodo. Allo stesso modo, nei romanzi “seriali” che
abbiamo esaminato (cioè, strutturati secondo il
meccanismo della serie), il tema non è identificabile con
una questione che, di volta in volta, appare particolare,
specifica, ma direttamente con la stessa idea dello stato
caotico in cui versa il mondo;
la cui trasmissione ai lettori – per mezzo dell’adozione di
una struttura volutamente frammentaria – sembra esaurire
la ragione d’essere di questi romanzi.

457
Cf r . C. D a h lh a us : «( … ) n e l s a gg i o s u J oh a nn S eb as ti a n B ac h,
Sc hö n ber g im pi eg a i t er m in i d i ‘p e ns i er o ’ e ‘ un i tà f o nd am en ta l È in lu o go
d i G r u n d ges ta l t e ‘ te m a’ ( …) In N ew Mu s i c , O u t mo d ed Mu s ic , S ty l e an d
Id e a [s em pr e d i A. Sc hö n be r g , n . d.r .] i l ‘p e n s i er o ’ ( o ‘ id e a ’) v ie n e def in i to
c om e l a t ot a li t à d i un a f or m a e a l c o nt em po c om e u n ‘m et od o ’ p er c r ea r e
‘ eq u i li br i o ’ ( …) ». C it . da C . D a h la us , Ch e c os a s i gn i fic a ‘v a r i a zi o n e in
s v i lu p po ’? . A qu es t o pr o p os it o, v d. anc h e c i ò c h e a bb i am o s c r i t to ne l
par . 1 .2 ., « La v ar ia z i on e s u t e ma d a B ac h a Sc hö n ber g » : « Pi ù
pr ec is am en te , l a r i v o lu zi o n e s c hö n ber g h ia n a s em br a s eg n ar e i l
pas s a gg i o d a l l ’o p er a tem at ic a a l l ’o p er a s e r i al e : d a l l’ o pe r a or c h es tr at a
at tor n o a d un t em a, d i s ol i to c o r r is p o nd e n te a d u n num er o es i gu o d i
ba tt u te e i nt es o, s ec o nd o l’ or i g in ar i a ac c e zi on e e t im ol og ic a ( t h em a, da l
gr ec o tì t he m i, « i o p on go ») , c om e “ d ep os i to” d e ll ’ i de a f on d an te d i tu tt o i l
br a n o, a d u n t i po d i o per a , i n c ui – s pi e ga l o s t es s o Sc h ön b er g – è or m a i
l ’ in ter a to ta l i tà d el p e z zo d a i n te n der e ‘c om e l ’ id e a: l ’ id e a c h e i l s u o
c r ea t or e i nt en d e v a pr es e nt ar e ’. T a le c am bi am ent o n o n c o ns is t e
s em pl ic em ent e n e l tr a ns it o d e ll a n o zi o n e d i tem a da un nuc l e o d i n ot e
d is p os t e s ec on d o c r it e r i m el o d ic i e r itm ic i – a c ui , s ec on d o la tr a d i zi o n e,
c or r is p o nd e i l c onc et t o d i tem a – a l l a s uc c es s io n e ar b itr ar i a d i a lt e z ze
c he c os t i t uis c e un ’ u n it à s er ia l e, a par t ir e da l l a q u a le s i s v i lu pp a l a
c om pos i zi o n e d od ec af o nic a ; r i gu ar d a i n vec e pr o pr io l ’a b b an d on o
de l l ’ or ig i na r i a f u n zi o n e d e l t em a d i p or s i c om e pr inc i p io d i u n it a r i et à d i
un br a n o, c o n te n en d o ne in nuc e l ’ i de a g e ne r a le ».

287
In questi ultimi, il fulcro dell’interesse sembra spostarsi
dall’interno all’esterno dell’opera: il tema – che, nella
concezione originaria, costituisce la meta ultima
dell’indagine conoscitiva avviata dal romanzo – non
appare più “problematizzato” dall’opera, cioè presentato
come oggetto di una riflessione ipotetica, ma presupposto
come dato di fatto ineluttabile; la struttura seriale è allora
solo il mezzo della sua traduzione, non della sua
forma zione.
Così, nei romanzi ad impianto seriale, la ragione estetica
– la necessità di trasformare i contenuti oggettivi 458 in
«oggetto estetico», attraverso il loro modellamento per
mezzo di una forma compositiva – appare subordinata ad
una di ordine prettamente intellettuale, coincidente con
l’esigenza sperimentale di rintracciare nuovi mezzi
espressivi che attestino la percezione contemporanea
dell’universo.
Come abbiamo visto, la trasformazione nel segno della
combinatorietà e della serialità, in cui incorre il romanzo
verso la metà del Novecento, presenta delle analogie con
la rivoluzione delle forme che interessa la musica all’inizio
del secolo.

458
Es s i s os t an zi a n o la « r ea l tà d el l a c o n os c e n za e d e l l ’a tt o e t ic o » , c he –
r ic or d i am o – per M i c ha i l B ac ht i n c os t i tu is c e i l m at er ia l e d i b as e
de l l ’ «or g an i z za zi o n e f or m al e ar t is t ic a »; o pe r a zi o n e in s e gu i to a l l a q u a le
es s o v i en e tr as f or m at o i n u n ef f et t i vo «o g g et to es t et ic o » ( s e n za i l q ua l e
no n s i ha ve r a o p er a ar t is t ic a) . C it . d a M. Bac h ti n , Il Pr ob l e ma de l
c on t en ut o , de l m at er i a le e d e ll a f or m a n e ll a c r ea zi o n e l e tt er ar i a , c i t. , p.
27 .

288
La constatazione di tale affinità ci ha portato a mettere a
confronto l’evoluzione assunta da questo fenomeno
rispettivamente nella musica e nel romanzo, in modo da
lasciar presupporre un’interazione più o meno diretta, tra
le due arti; oppure – considerata l’antecedenza di questo
fenomeno nella musica, rispetto al romanzo – almeno
un’influenza da parte della prima sul secondo.
Tuttavia, la ragione di queste analogie non può essere
spiegata esclusivamente con l’ipotesi di una suggestione
diretta del modello musicale seriale (o dodecafonico) sui
romanzieri; ciò vale senz’altro per alcuni autori, come
Michel Butor, che ammette esplicitamente di aver derivato
l’ispirazione per la struttura combinatoria dei suoi romanzi
dalla conoscenza di Schönberg 459.
Ma per altri romanzi, in cui pur è possibile constatare la
presenza di una struttura seriale, il tentativo di ricondurre
necessariamente questa scelta formale ad un’influenza
diretta di tipo musicale potrebbe risultare capzioso,
specialmente nei casi in cui non è lo stesso autore a
riconoscere questo debito.
Ad esempio, nonostante l’indubbia familiarità di Italo
Calvino con la musica contemporanea (suo è il libretto di

459
Ne l l e i nt er v is te e n e i s uo i s c r it t i te or ic i , l o s c r i tt or e f r anc es e s i
i ntr at t ie n e p iù vo l te s u l le s tr ut t ur e m us ic a li d od ec af o nic h e, m ett en d o le i n
r e la zi o n e a i s u o i r o m an zi. A qu es to r i g uar d o, c f r . , a d es em p io , g l i
E ntr et i e ns av ec G eor g e Ch ar b on n ier ( G a l l im ar d , 19 6 7) e le
Im pr ov is a t io ns s ur Mi c he l Bu t or , d a c u i a bb i am o es tr at t o l a c i ta zi o n e
r i por t at a n el l a n ot a 7 1 .

289
Un re in ascolto 460, opera musicale di Luciano Berio),
risulta difficile sostenere l’ipotesi che lo scrittore abbia
volutamente attinto da quest’arte il modello della struttura
seriale impiegata nelle sue opere, dalle Città invisibili
(1972) – immaginario catalogo delle cinquantacinque città
visitate da Marco Polo – a Se una notte d’inverno un
viaggiatore (1979) – romanzo sperimentale i cui capitoli
corrispondono rispettivamente ai diversi incipit di romanzi
fittizi mai completati e si configurano come varianti seriali
del Libro dei Libri, il libro che non c’è (sorta di Santo
Graal) –, in assenza di sue indicazioni esplicite in tal
senso. Invece – si desume anche dalla lettura di
Cibernetica e fantasmi –, la matrice degli esperimenti
narrativo-combinatori di Calvino è direttamente quella
logico-matematica; essa risiede in alcune delle teorie
scientifiche che caratterizzano la nuova flessione della
cultura contemporanea:

«(…) nella storia non seguiamo più il corso d’uno


spir ito immanente nei f atti del mondo, ma le cur ve
dei diagrammi stat istici, la ricerca st orica si va
sempre più matematizzando. E quanto alla biologia,
W atson e Creek ci hanno dimostrat o come la
trasmissione dei car atteri della specie consista nella

460
R ic o r d i am o c he l ’a zi o ne m us ic a l e, in du e p ar t i , f u r a ppr es en t at a per l a
pr im a v o lt a a S a lis b ur go , l’ o tt o a g os t o 19 8 4. In s eg u it o , C a l vi n o r i e la b or ò
i l l ib r e tt o, c he i n f or m a di r ac c o nt o ve n n e i nc l us o n el l a r ac c o lt a d e i
r ac c o n ti d e d ic a ta a l t e m a de i c i nq u e s ens i , p ub b l ic a t a p os tum a i n S ot to i l
s o le g i a gu ar o, G ar za n ti , M i la n o 1 98 6 .

290
duplicazione d’un certo numero di molecole a f orma
di spirale e f ormate da un certo numer o di acidi e di
basi: la st erminata var ietà delle f orme vitali si può
ridurre alla combinazione di certe quantità inf inite.
Anche qui è la teoria dell’inf ormazione che impone i
suoi modelli. I processi che parevano più ref rattari a
una f ormulazione numerica, a una descrizione
quantitativa, vengono tradott i in modelli
461
matematici» .

Tra le letture responsabili della conversione


epistemologica di Calvino, di cui serbano traccia le sue
opere composte a partire dagli anni settanta, ci sono gli
scritti di Charles Fourier, ideatore dell’«utopia
pulviscolare» 462, Il caso e la necessità (1970) di Jacques
Monod, le teorie di Ilya Prigogine e Isabelle Stengers sulle
“strutture dissipative” e gli studi di Claude Lévi-Strauss, di
cui Calvino ha modo di seguire il seminario del 1977 al
Collège de France 463.
A dispetto delle apparenze, la possibilità di rintracciare la
base dell’inclinazione di Calvino per gli schemi
combinatori nell’interesse maturato dallo scrittore per le

461
I. C a l v in o , C i ber n et ic a e fa n tas m i ( ap p un t i s u l l a nar r a tiv a c om e
pr oc es s o c o mb i n at or io ) , c it ., p. 2 0 5.
462
Com e la q u al if ic a l o s tes s o C al v i n o: c f r . I. Ca l v i no , P er F o ur i er 3.
Co m m ia to . L ’u t o p ia pu lv is c o l ar e, pu bb l ic at o la pr im a vo l ta
s u ll ’ « A lm ana c c o B om pi an i 19 7 4» , M il a no , dic em br e 19 7 3. O r a in : I D, U n a
p ie tr a s opr a , c it ., pp . 30 1- 3 08 .
463
P er u lt er io r i a p pr of o nd im en t i r e la t i v i al b ac k gr o u nd s c i e nt if ic o d e ll o
s c r it t or e i n q ues t i an n i, r im and i am o a l l a m ono gr af i a c ur at a da D o m enic o
Sc ar p a : It a l o C a lv i n o, Mo n da d or i, M i la n o 1 9 99 , e i n p ar t ic o l ar e a l l a voc e
«U NI V E RS O » , p p. 2 4 9 - 25 2 .

291
discipline scientifiche, piuttosto che in quello per la
musica, non smentisce l’ipotesi di riconoscere una
convergenza di intenti tra i vari scrittori che si avvalgono
di questi schemi; in particolare, di individuare una
familiarità tra gli autori che, come Calvino, traggono
l’ispirazione per questi meccanismi dalla matematica ed
altri, che invece li reperiscono nella musica.
Questo perché, come si è spiegato, ciò che i secondi – da
Robbe-Grillet a Pinget, da Butor a Huston –, in particolare,
ricercano nella musica non sono le «grandi forme» (le
architetture compositive del periodo classico), ma i
principi numerici che ne sono alla base; la grammatica
della musica, il suo sostrato matematico.
Proprio nel ritorno ai principi matematici che sottendono i
processi compositivi, in cui si può cogliere la marca
distintiva di questa corrente di romanzieri – e che riunisce
quindi sotto un segno comune i due gruppi, ossia i
romanzieri che ricercano tali principi nell’arte musicale e
quelli che invece li attingono direttamente da studi
scientifici o filosofici –, è possibile individuare uno dei
possibili esiti della musicalizzazione del romanzo; se i
romanzieri che assumono come modello strutturale la
musica, vi ricavano dei criteri di ordine matematico, per la
stessa logica, nelle strutture di quei romanzi che vengono
elaborati direttamente sulla base di processi derivati dalla
matematica, possono essere ravvisati gli elementi di una
composizione musicale.

292
Questa opinione sembra essere sostenuta – ad esempio –
da Luciano Berio, compositore d’avanguardia e amico di
Italo Calvino, in uno scritto dedicato al rapporto dello
scrittore con l’arte della musica 464.
Nell’articolo, pur intrattenendosi sull’improbabilità che
Calvino, il quale soffriva di una soggezione conclamata
verso la musica, avesse potuto scegliere deliberatamente
di ispirare la struttura dei suoi libri agli schemi compositivi
di quest’arte – visto che lo scrittore «era intimidito dalla
musica. Non era molto musicale, andava raramente ai
concerti, era stonato e la musica suscitava in lui un po’ di
interesse solo quando c’erano parole da capire» 465 –, Berio
non esita a definire l’opera di Calvino «una delle più
musicali nella letteratura di questo secolo» 466, a ragione
dei processi matematici che regolano le sue soluzioni
narrative, in cui sarebbe possibile riconoscere gli elementi
di «un’architettura musicale: come una costruzione di
frammenti internamente partecipi di un processo musicale
in continua trasformazione» 467; questo perché – continua a
spiegare Berio – un’occasione ideale per l’invenzione di
nuovi schemi musicali, a volte, può derivare proprio
dall’analisi di ciò che, apparentemente, esiste di meno

464
L ’ar t ic o l o i n qu es ti o n e è s ta to p u bb l ic at o d ap pr im a s u l l ’ «U n it à », i l 12
ge n na i o 1 9 88 , c o n il t i to l o L e n ot e inv is i b il i , e p o i s u «I l Ver r i », M a r ./G i u.
19 8 8, p p . 9- 12 , c o n i l ti t ol o L a m us ic a l i tà d i Ca lv i no .
465
L. Be r i o , La mus ic a l it à d i Ca lv i no , c i t. , p. 1 0.
466
I v i, p . 1 1.
467
Ib .

293
musicale, come l’osservazione delle formule astratte della
matematica.
Aggiungiamo che la presenza di un’analogia – o più
precisamente, di una parziale equivalenza – tra la
matematica e la musica è stata rilevata anche da Claude
Lévi-Strauss.
Nel Finale di Mitologiche, lo studioso confronta le strutture
della matematica, del mito e della musica con le strutture
linguistiche, che – come insegna Saussure – nascono
dall’intersecazione dei due elementi del suono e del
senso; linguaggio provvisto di suono, però privo di senso,
per Lévi-Strauss, la musica rappresenterebbe un
sottoprodotto delle strutture linguistiche 468, rispetto alle
quali, invece, le entità matematiche, che sono invece
«strutture allo stato puro» 469 – ossia, caratterizzate da un
vuoto sia di senso che di suono –, si collocherebbero «in
rapporto di correlazione e di opposizione» 470.
Queste analisi sembrano confermare l’ipotesi che la
matematica possa rappresentare una sorta di substrato, o
uno stadio pregresso alla formazione della musica;

468
D el l e c o ns i der a zi o n i pr es e nt at e da Lé v i- S tr aus s i nt or no al r a pp or to tr a
m ito e l in g ua g g io , a b b i am o gi à tr at t at o n e l p ar . 3. 2. , « P er c hé i l r o ma n zo
de l N ov ec e nt o ».
469
C. L é v i- Str a us s , L ’U o mo N u do , F in a le , c i t. , p. 6 1 0.
470
Ib .

294
struttura nuda, puramente astratta, la matematica
costituirebbe una sorta di musica senza sonoro 471.
Lo stesso Lévi-Strauss aveva rinvenuto come, all’origine
del processo di formazione dei miti, oltre che dei processi
di composizione artistica (in particolare della musica),
agissero meccanismi combinatori e, a partire da questa
premessa, aveva predetto alla musica un ritorno ad uno
stadio di “matematizzazione”, i cui primi segni si
riscontrano nella musica contemporanea; basata, come
sappiamo, su una logica seriale.
Lo studioso ricorda che, nel momento in cui l’arte dello
sviluppo – alla base della concezione delle forme
organiche (che si possono intendere come figure di senso)
e che, fino all’inizio del XX secolo, aveva rappresentato la
modalità compositiva principale – esaurisce le sue
possibilità, nella musica «si attenua il legame tra forma e
suono, e lo stesso sistema sensibile diventa uno dei tanti
mezzi possibili per codificare strutture intellegibili (…).
Così il linguaggio musicale si distacca progressivamente
da quello che ha costituito per tanto tempo il suo carattere
peculiare, cioè le strutture latenti sempre in funzione del
supporto sensibile e non viceversa» 472.

471
C iò c he in v ec e s e par a l a m atem at ic a da l m it o è l’ e l em ent o d e l s e ns o :
« A dif f er e n za d e l la m at em at ic a – s p i e ga L é v i- Str a us s – i l m it o s u bor d i na
l a s tr u tt ur a a u n s e ns o d i c u i es s a d i v ie n e es pr es s i on e im m edi at a ( …) ».
Iv i , p. 61 3 .
472
I v i, p . 6 14 .

295
Quando i processi creativi responsabili dell’invenzione
delle forme si cristallizzano, la musica ritorna alla sua
base puramente matematica:

«La contropart ita di ciò che si chiamava una volta


musica consisterebbe quindi i n certe strutture di
signif icato lasciate in sospeso, non f osse altro
teoricam ente, in attesa che dei suoni si investano in
esse. Formula, questa, che corrisponde abbast anza
esattamente a certi tentativi contempor anei che, a
torto o a ragione, danno l’impressione di codif icare
con certi suoni certi sistem i di signif icati concepit i e
organizzat i pr ima [il corsivo è nostro, n.d.r.] della
loro trasposizione in f orma musicale. Non sarebbe
quindi f also, e non costituirebbe comunque un rilievo
di carattere peggiorativo, l’aff ermare che questi
tentativi rappresentano un’anti-musica di f ronte alla
quale la mit ologia, tenendo conto del suo
spostament o in direzione del linguaggio, si
collocherebbe a m età strada rispetto alla musica
tradizionale» 473.

Qualche anno dopo Lévi-Strauss, le cui osservazioni


avvalorano l’ipotesi di un fondamento matematico che può
essere inteso come musica prima della musica, anche
Berio intuisce come nei processi matematici alla base di
alcune nuove soluzioni narrative (in particolare, il
compositore fa riferimento a quelle adottate da Calvino

473
I v i, p . 6 14- 6 15 .

296
nelle sue ultime opere) sia possibile riconoscere «una
progressiva sublimazione di forme musicali» 474.
Anche questo caso permette di verificare l’esistenza di un
rapporto di complementarità tra musica e romanzo.
Come si è già spiegato, nel momento in cui la musica, nel
corso del XX o secolo, si avvia verso un ritorno alla matrice
combinatoria originaria, nell’ambito del romanzo si assiste
alla coincidenza di almeno due diverse soluzioni: se una
parte di romanzieri, sollecitata dall’esigenza di potenziare,
nelle proprie opere, la rilevanza della dimensione formale,
si trova ad elaborare determinate architetture formali
proprio nel momento in cui la musica se ne libera, d’altro
canto – si tratta della possibilità appena dimostrata –, un
secondo gruppo di romanzieri (più o meno contemporaneo
al primo) sperimenta l’applicazione di processi matematici
agli schemi narrativi.
In questo modo, possiamo riconoscere anche in questa
corrente una delle due vie per la musicalizzazione del
romanzo: non perché i romanzieri che ne fanno parte si
propongano come finalità estetica quella di imitare
direttamente i processi della musica, ma nel senso che
proprio nei processi combinatori assunti da questi scrittori
nel corso del XX o si possono riconoscere quei principi di
scomposizione formale che avevano già rivoluzionato
l’arte musicale all’inizio del secolo e sembrano

474
L. Be r i o , La mus ic a l it à d i Ca lv i no , c i t. , p. 1 2.

297
testimoniare l’avviamento del romanzo (di questo tipo di
romanzo) sulla medesima strada imboccata dai musicisti.
L’osservazione delle diverse tappe al centro della
rivoluzione formale che, nel Novecento, investe da un lato
la musica, dall’altro il romanzo, permette forse di
confermare la supposizione secondo cui i mutamenti che
scandiscono l’evoluzione delle arti non possono essere
semplicisticamente ricondotti né all’influenza di fattori
sociologici, né ad una sorta di imitazione passiva di certe
arti rispetto ad altre, ma a criteri estetici intrinseci alla
loro storia.
In quest’ottica, l’integrazione dei processi combinatori
nella concezione strutturale di alcuni romanzi
contemporanei si configura come una delle possibili
risposte sviluppate dagli autori in reazione all’impressione
di esautoramento degli schemi narrativi tradizionali e
appare così come una delle naturali evoluzioni del
romanzo.
Tuttavia, se i processi combinatori adottati dal romanzo
vengono generalmente associati a quelli già messi a punto
dalla musica, lo si deve soprattutto al fatto che
quest’ultima è l’arte in cui le strutture si manifestano in
maniera più concreta e tangibile.
In realtà, come quei romanzieri che impiegano le stesse
architetture compositive sviluppate dalla musica nel suo
periodo classico non si propongono tanto di mimare i
processi compositivi musicali, quanto di ottenere,

298
attraverso l’assunzione di queste forme, quella
compattezza strutturale che, prima della musica, era già
propria dei miti – ed è funzionale allo sviluppo della
particolare “visione cosmogonica” che, a partire dal mito,
viene raccolta da questo tipo di romanzo –, allo stesso
modo, l’obiettivo degli autori che, per la costruzione dei
loro romanzi, si avvalgono dei meccanismi seriali e
combinatori, non è semplicemente quello di seguire la
musica sulle orme dello stesso percorso sperimentale da
essa imboccato.
Se il primo gruppo di romanzieri, impegnato in un lavoro di
recupero della forma, sembra porre i propri obiettivi
artistici in linea con la missione conoscitiva che era
propria dei miti, quei romanzieri che, invece, adottando
meccanismi seriali e combinatori, puntano piuttosto ad una
scomposizione delle forme, sembrano perseguire il ritorno
a quello stadio della pre-coscienza, in cui le immagini
archetipiche esistevano solo in forma disgregata e
confusa; in altre parole, alla fase combinatoria che –
sostiene, tra gli altri, Lévi-Strauss – precede quella della
formazione dei miti.
In Cibernetica e fantasmi, lo stesso Calvino ipotizza come
gli autori contemporanei che adottano i meccanismi seriali
e combinatori non introducano nessuna novità sostanziale,
ma si limitino a mettere a nudo le dinamiche basiche della
fabulazione, fin dai tempi più remoti:

299
«Il narratore della tribù mette insieme f rasi,
immagini: il f iglio minor e si per de nel bosco, vede
una luce lontana, cammina cammina, la f iaba si
snoda di f rase in f rase, dove tende? Al punto in cui
qualcosa di non ancora detto, qualcosa di solo
oscurament e presentito si rivela e ci azzanna e
sbrana come il morso d’una strega antropof aga. (…).
Il mito è la parte nascost a d’ogni storia, la parte
sotterranea, la zona non ancora esplorata perché
ancora mancano le parole per arrivare f in là» 475 .

In questo brano, Calvino focalizza la sua attenzione sul


processo combinatorio alla base della fabulazione, che
non coincide ma precede la conquista cognitiva che
presiede all’edificazione dei miti (dunque, alla formazione
di significati).
La propensione per l’adozione di una struttura seriale e
combinatoria rivela una concezione della letteratura intesa
come luogo dell’informe, quindi del vuoto di significato; un
vuoto che – ricorda Calvino – può essere però colmato
dall’apporto del lettore, il quale sviluppa la mancante
risposta di senso, sulla base degli stimoli offerti dal testo.
Per questo motivo, come si è già detto nel caso della
musica combinatoria, anche l’adesione delle strutture
romanzesche ai processi seriali e combinatori, piuttosto
che come un’evoluzione, può essere intesa come il segno

475
I. C a l v in o , C i ber n et ic a e fa n tas m i ( ap p un t i s u l l a nar r a tiv a c om e
pr oc es s o c o mb i n at or io ) , c it . p p. 2 1 1- 21 2.

300
di un’involuzione artistica: risostituendo al principio di
composizione – quale si era consolidato in secoli e secoli
di produzione artistico-letteraria – un principio di
combinazione, questi romanzieri sembrano attestare,
anche sul piano letterario, il ritorno della civiltà allo stato
di incoscienza in cui versava l’umanità prima della nascita
delle più elementari forme di interpretazione del mondo,
consistenti proprio nei miti.

301
CONCLUSIONI

Se ci siamo intrattenuti sulle due possibilità della


musicalizzazione del romanzo, è stato perché, tra i vari
principi strutturali della musica, proprio la considerazione
dei diversi modi in cui i romanzieri hanno rielaborato il
principio delle variazioni su tema – al centro del nostro
studio – ha costituito un ideale punto di partenza per
confrontare queste due diverse estetiche del romanzo.
Come risulta dagli esempi tratti dai romanzi di cui, di volta
in volta, ci siamo avvalsi, il principio delle variazioni su
tema è stato impiegato, a seconda dei casi, nella sua
forma classica – alla maniera di Beethoven, nelle sue
ultime sonate –, ovvero come principio funzionale ad una
composizione romanzesca organica e unitaria, concentrata
attorno ad un preciso tema; oppure, declinato alla maniera
di Schönberg, come tecnica finalizzata alla produzione di

302
una serie di varianti, quindi destinato ad un effetto di
disgrega zione della forma.
Un esempio di romanzo costruito sulla base del modello
delle varianti seriali è l’opera d’esordio di Nancy Huston,
Le Variazioni Goldberg (1981), di cui abbiamo trattato nel
primo capitolo 476.
Del capolavoro di Bach, Huston riprende e omaggia nel
suo romanzo la valenza combinatoria, che pur era
presente già in quest’opera del XVIII secolo.
Il romanzo della scrittrice canadese – lo ricordiamo –
appare composto da trentadue capitoli, quante le unità del
ciclo Goldberg e quanti sono i personaggi di questo
romanzo: un gruppo di amanti della musica classica,
invitati da una concertista per assistere alla sua
esecuzione delle Goldberg.
Ogni capitolo racconta il flusso di pensieri che
attraversano la mente di ciascuno dei trentadue invitati nel
corso del concerto ed evocanti, di volta in volta, ricordi e
storie personali.
L’unico denominatore comune di tutti i personaggi è
costituito dall’occasione del concerto e dal rapporto di
conoscenza che ognuno intrattiene, pur in maniera
diversa, con la pianista.

476
Cf r . i l p ar . 1. 2: « L a v ar ia zi o n e s u t e ma da B ac h a Sc hö n ber g ».

303
Tali elementi non possono essere però intesi come tema:
rappresentano solo il pretesto per la narrazione di
trentadue storie.
Questo tipo di romanzo sembra adombrare la denuncia
dell’impossibilità, sperimentata dal romanzo
contemporaneo, di concepire ancora romanzi basati su
una trama tradizionale; è ormai subentrata l’«ère du
soupçon» 477 (l’età del sospetto), in cui un certo tipo di
lettore, ormai smaliziato, non si lascia più avvincere da
trame concertate alla maniera del feuilleton di tipo
ottocentesco.
Il romanzo di tipo combinatorio sembra reagire a questa
saturazione sostituendo alla trama di tipo unico e lineare
tante micro-storie; tuttavia, la configurazione che, in
questo modo, si viene a definire non sembra rispondere
davvero alla funzione che dovrebbe essere specifica di
una forma: quella di essere relativa all’esplorazione di un
tema. In questo romanzo, l’unica vera realtà che viene
“significata” corrisponde direttamente all’inadeguatezza
del romanzo ad esprimere ancora dei significati.
Al contrario, nei romanzi di Milan Kundera, Kenzaburo Ōe
e Danilo Kiš – per citare qualche esempio – il modello
delle variazioni è tradotto in un principio di composizione
unitaria, organica funzionale all’approfondimento del tema.

477
C it a zi o n e d a ll ’ om on im o s a gg i o d i Na t ha l i e S ar r au te , c i t.

304
Oltre che ne Il libro del riso e dell’ oblio, questo principio
formale è ravvisabile anche nelle altre opere kunderiane –
dai romanzi scritti in ceco a quelli in francese – e riguarda
sia il loro impianto strutturale, sia aspetti più specifici, ad
esempio relativi alla concezione stessa del personaggio.
Ad esempio, nel tentativo di cogliere l’essenza – che
Kundera definisce il «codice esistenziale» di un suo
personaggio, il romanziere lo sottopone a una sorta di
scomposizione cubista, che consiste nel metterlo a
confronto con il suo antenato ancestrale o con un ‘gemello
storico’; l’impressione che ne deriva è che le dimensioni
del mito, della Storia e dell’esistenza scorrano lungo binari
paralleli e siano, in ogni luogo e in ogni istante, alternabili,
necessarie variazioni sul tema dell’umano.
Ad esempio, ne L’ignoranza 478, ultimo romanzo di Kundera,
nell’analizzare la nostalgia che conduce Irena a rientrare
in patria dopo un lungo esilio, l’autore la paragona a
quella che tormentò sia il personaggio mitico di Ulisse che
quello ‘storico’ del compositore Schönberg, mostrando di
considerare Irena, Ulisse e Schönberg differenti proiezioni
di un uguale sentimento, diverse modulazioni di un unico
tema dalle radici ancestrali.
Un altro espediente a cui, spesso, nei suoi romanzi,
Kundera ricorre per approfondire una determinata

478
M. K un d er a , L ’I g nor a n za , c i t.

305
questione esistenziale, consiste nell’idea di alternare brani
verosimili ed episodi onirici.
A questo espediente è possibile ricondurre l’episodio
dell’approdo di Tamina (protagonista del Libro del riso e
dell’oblio) sull’isola dei bambini; episodio che – chiarisce
Kundera ne L’arte del roman zo – costituisce un esempio di
narrazione onirica.
Gli interventi onirici che Kundera dissemina nelle sue
opere non vanno intesi come parentesi isolate rispetto al
resto della narrazione; al contrario, rappresentano la
possibilità di ‘una doppia visione’: consentono di
osservare uno stesso problema esistenziale da una
prospettiva inverosimile e successivamente da uno
verosimile. Da questa duplice analisi, il soggetto risulta
arricchito di nuovi significati, come un tema declinato
secondo più variazioni.
«La strategia beethoveniana delle variazioni» è adottata
da Kundera al fine di evitare che nelle sue opere si
realizzi una frattura netta tra nuclei tematici ed elementi di
mero collegamento; mediante le variazioni, Kundera riesce
a far di un suo romanzo un unico momento essenziale,
interamente teso all’esplorazione del tema esistenziale.
Anche Kenzaburō Ōe, insignito del premio Nobel nel 1994,
fonda la composizione dei suoi romanzi sul principio delle

306
variazioni, come da lui stesso dichiarato nell’intervista
rilasciata nel 2005 per «Nuovi argomenti» 479.
Nel Grido silen zioso 480 (1967), i due fratelli Mitzu e
Takashi vivono esperienze molto simili a quelle dei loro
antenati, configurandosi, in tal modo, come variazioni di
un unico “tipo” ancestrale. Queste variazioni ricordano
quelle realizzate da Kundera nell’Ignoran za: come Irena,
anche Mitzu si ritrova, forse involontariamente, a rivivere il
passato.
Un altro esempio a cui abbiamo fatto riferimento per
illustrare la possibilità di impiegare il principio delle
variazioni al fine di assicurare coerenza formale ad un
opera romanzesca è il caso dell’Enciclopedia dei morti
(1983) di Danilo Kiš; opera che, a prima vista, ha l’aspetto
di una raccolta di nove novelle, apparentemente
indipendenti e disposte secondo un ordine puramente
casuale.
In realtà, le novelle compongono un romanzo ben
strutturato e si configurano come nove variazioni sul tema
della morte.
Come già si verifica nel Libro del riso e dell’oblio di
Kundera, l’organicità e la qualità romanzesca di
Enciclopedia dei morti non sono assicurate dalla presenza
di un’unità d’azione, ma dalla possibilità di riconoscervi

479
C it .
480
K . Ō e , Il gr id o s i l en zi os o , c i t.

307
un’unità tematica, di cui le variazioni illuminano i diversi
tratti essenziali.
In queste opere di Ōe e Kiš, come nei romanzi di Kundera,
la struttura delle variazioni non viene adoperata allo scopo
di riflettere lo stato di disgregazione in cui versa il mondo;
per questo, esse non assumono una configurazione
seriale.
Al contrario, queste variazioni sono funzionali ad un
principio di concentrazione della materia romanzesca,
necessario alla comprensione essenziale del tema
esistenziale che hanno il compito di esplorare.
In questo modo, Kundera, Ōe e Kiš riescono ad opporre
alla condizione disgregata del mondo, che minaccia la
percezione della totalità dell’essere, una forma
romanzesca strettamente compatta, all’interno della quale
una visione unitaria dell’essere sia ancora possibile.

308
Sintesi in francese

Le principe de composition de la variation sur


thème dans le roman du XXème siècle

En musique, l’expression « variation sur thème » est


utilisée pour indiquer un principe de composition qui
prévoit, à l’intérieur d’un morceau musical, la reprise
continue d’un thème de base unique mais chaque fois
modulé de manière différente.
Cependant, si l’art de la musique a été probablement le
premier à valoriser la technique de la variation, en tant
que possibilité concrète d’organisation formelle unitaire,
l’artifice de subordonner la structure d’une œuvre à la
reprise continue d’un même thème est utilisé aussi dans
d’autres domaines artistiques ou intellectuels.
Au-delà de l’art figuratif, où ce modèle formel a été parfois
employé pour mettre en place des projets de configuration
sérielle (on peut penser par exemple aux trente
reproductions de Andy W arhol sur le modèle de la
Joconde de Léonard de Vinci ou aux Cent vues du Mont
Fuji, réalisées par le peintre japonais Hokusai), le procédé
des variations apparaît aussi fréquemment dans l’art de
l’essai littéraire, qui se différencie de l’essai de type
scientifique par l’approche non systématique de son objet
d’étude.

309
À ce propos Jean-Luis Cupers, en paraphrasant Aldous
Huxley, a écrit que si le romancier est comparable à un
chef d’orchestre, dont les différents instruments sont
assimilables à différents points de vue – dont l’interaction
produit l’effet d’une représentation multiforme du réel –,
de la même manière l’essayiste littéraire est comparable à
un soliste, comme un pianiste qui, n’ayant pas le soutien
d’autres instruments (les différents personnages), trouve
dans le principe des variations un artifice qui lui permet de
recomposer la complexité du réel dans l’unité de
l’œuvre 481. Pour sa fonctionnalité en tant que modèle
d’organisation de la matière, la forme de la variation sur
thème a été souvent adoptée à l’intérieur d’études ou
d’œuvres philosophiques : dans Expérience et jugement
(1939), Husserl identifie dans la « libre variation » un
modèle cognitif – qui permet d’atteindre la
« W esenserschauung », la vision de l’essence – qui
correspond à l’intuition de la forme universelle nécessaire,
l’élément invariable qui constitue le thème de l’étude
phénoménologique.
L’exploration approfondie des thèmes, qui sont conçus
comme des aspects essentiels de l’existence, définit aussi
l’objectif fondamental de l’art du roman, pour lequel la
forme de la variation, qui implique une modulation

481
Cfr. J.-L- Cupers, Aldous Huxley et la musique .À la manière de Jean-Sébastien,
Facultés
universitaires Saint-Louis, Bruxelles 1985, pp. 236-237.

310
progressive du thème de base, peut constituer l’un des
principes de composition les plus fonctionnels.
Un grand nombre de romanciers ont utilisé ce recours,
surtout pendant le XXème siècle : par exemple, le principe
des variations est adopté par Marcel Proust, comme
procédé qui revient souvent dans La Recherche du temps
perdu (1913-1927) ; en ce cas, il se réalise avec le modèle
du « récit répétitif » (comme le définit Gérard Genette
dans Figures III), c’est-à-dire selon un procédé qui
consiste à reprendre plusieurs fois, au cours de la
narration, un épisode qui, au contraire, dans la logique de
la trame, se vérifie une seule fois ; cet épisode peut être
ainsi annoncé par le narrateur ou évoqué plusieurs fois,
selon des perspectives qui correspondent chaque fois à la
distance temporelle selon laquelle il est reconsidéré.
Dans d’autres romans, comme Si par une nuit d’hiver un
voyageur (1979) de Italo Calvino ou Les Variations
Goldberg (1981) de Nancy Huston, le principe des
variations est adopté comme le modèle d’une composition
de type sériel.
De manière analogue, Michel Butor élabore L’Emploi du
temps, roman du 1956, en suivant des principes typiques
des compositions dodécaphoniques : Jacques Revel, le
jeune protagoniste du roman, utilise ces principes pour
organiser le récit des douze mois passés dans l’étrangère
ville de Bleston ; les événements sont contés en suivant
différentes successions à la manière des variations

311
sérielles 482 (Jacques rédige et relit son journal en suivant
un ordre alternativement chronologique et décroissant).
L’adoption d’une telle structure vise probablement à
reproduire le sentiment de désorientation ressenti par le
jeune à l’égard d’une ville dans laquelle il n’arrive pas à
prendre racine ni, de ce fait, à se trouver lui-même.
En ce qui concerne ces romans, où le modèle des
variations se traduit dans une structure sérielle, le sujet
utilisé comme thème semble prendre l’aspect d’un prétexte
pour la production d’un roman à la conformation
combinatoire, dont la véritable raison d’être est de
témoigner de l’impossibilité, pour le roman contemporain,
d’utiliser une trame de type linéaire.
D’autres romanciers, comme Milan Kundera, le japonais
Kenzaburo Ōe ou le serbo-croate Danilo Kiš repèrent dans
le principe des variations sur thème un modèle de
composition unitaire.
Milan Kundera, particulièrement, reconnaît dans ce
modèle une possibilité très efficace pour surmonter le
défaut, qui à son avis est commun à beaucoup de
romanciers, de structurer les œuvres selon une sorte de
dichotomie pour laquelle les thèmes (les moments

482
En tant qu’attentif et principal commentateur de son œuvre, Butor déclare
explicitement l’influence des compositeur sériels dans la rédaction de ses romans ; dans
les Improvisations sur Michel Butor [La Différence, 1993, p. 51], il affirme, à propos de la
musique dodécaphonique : « J’ai eu l’impression qu’en utilisant des structures
romanesques suffisamment contrôlées, j’aurais l’équivalent de la prosodie classique ou
de ces structures musicales ».

312
vraiment essentiels pour la réflexion) deviennent presque
détachés et séparés par rapport aux « remplissages »
(terme technique du langage musical qui désigne les
phases de transition, les moments de pure liaison entre un
thème et un autre) ; en adoptant « la stratégie
beethovenienne des variations » 483, Kundera transforme
donc son roman en un moment unique et essentiel, qui
vise entièrement au développement d’un thème existentiel.
Ce modèle de composition soutient, par exemple, la
structure du Livre du rire et de l’oublie 484, roman kundérien
qui peut être considéré comme un véritable hommage à
l’art de la variation.
Cette œuvre, apparemment composée de sept contes
indépendants et disposés au hasard, se révèle en réalité
une unique « grande composition », comme l’affirme son
auteur : un roman, où chaque partie correspond à une
différente modulation des interrogations existentielles qui
sont à la base du livre.
Dans la sixième partie-variation, l’auteur intervient
directement pour illustrer le système de son roman, en
précisant que : « Tout ce livre est un roman en forme de
variations. Les différentes parties se suivent comme les
différentes étapes d’un voyage qui conduit à l’intérieur
d’un thème, à l’intérieur d’une pensée, à l’intérieur d’une

483
M. Kundera, Les testaments trahis, Gallimard, Folio, 1993, p. 185.
484
M. Kundera,Le livre du rire et de l’oublie, Gallimard, Folio, 1977.

313
seule et unique situation (…) » 485 ; de même que
Beethoven reconnaît dans la « stratégie des variations »
le moyen de se défaire des conventions techniques
imposées par le système classique de la sonate, Kundera
considère ce principe formel comme la forme de la
concentration maximale qui « permet au compositeur de
ne parler que de l’essentiel, d’aller droit au cœur des
choses » 486.
Bien que cette recherche de l’essentiel soit commune au
romancier et aux musiciens comme Beethoven, ou aux
philosophes de certaines écoles, comme la
phénoménologie husserlienne, pour le premier, cette
exploration suit des critères très différents : le roman
trouve sa légitimité dans une investigation des aspects
essentiels de l’existence qui cependant, contrairement à
ce qui se passe en philosophie, ne cherche aucun
caractère systématique ; mais, au même temps, qui ne
renonce pas à l’expression d’un sens, en se distinguant
ainsi aussi de la musique, qui est, par définition, un type
de art a-référentiel. 487

485
Ibidem p. 268.
486
Ibidem p. 267.
487
À propos du caractère aréférentiel de la musique et de la différence constitutive par
rapport à la littérature, H. H. Vuong déclare : « Sur la disparité essentielle entre les deux
arts, la pensée critique est formelle: il est impossible de transcrire telle quelle la musique,
qui est un ‘art non représentatif’, dans la littérature, art ‘représentatif’ qui comporte deux
‘degrés’: une ‘arabesque phonétique’ et une fonction référentielle, soit la distinction
linguistique entre signifié et signifiant ». Cit. Musiques de roman. Proust, Mann, Joyce,
presses Universitaires Européennes, Bruxelles 2003, p.12

314
Dans le but de comprendre le modèle de la variation sur
thème, il nous semble impossible de ne pas adopter sa
logique interne : ainsi, afin de pouvoir en évaluer les
implications par rapport au roman, mission qui s’est tout
de suite imposée comme thème principal de notre étude, il
nous a semblé utile d’adopter une approche qui soit elle-
même « à variations ».
Après avoir considéré la présence de la forme de la
variation sur thème dans plusieurs domaines artistiques et
intellectuels, nous avons lentement mis au point la
question cardinale des résultats cognitifs et esthétiques
que ce principe de composition produit dans le roman, en
procédant par l’analyse des effets apportés par le même
modèle structural aux deux autres cas plus
paradigmatiques , la musique et la philosophie, puisque, à
notre avis, c’est seulement à travers la comparaison que
l’on peut obtenir une véritable compréhension.
En particulier, la forme des variations, dans le roman,
produit l’effet d’une déclinaison du thème (le signifié
spécifique qu’il incarne) dans une série de reformulations,
qui sont toutes relatives et qui suggèrent ainsi l’idée de
l’impossibilité d’une acquisition exhaustive ; cela permet,
peut-être, de considérer ce principe de composition
comme intrinsèque au même art du roman, en définissant
son but comme l’étude, non systématique, de l’univers de
l’existence.

315
Pour comprendre les possibilités d’intégration dans le
roman de la forme variation sur thème et sa façon de
devenir fonctionnelle pour l’obtention des trois propriétés
spécifiques de cet art – c’est-à-dire la fonction
cathartique, la fonction « totalisante » 488 (relative à la
tâche éthique du roman qui consiste à concentrer la
représentation d’une réalité disparate dans une forme qui
est, au contraire, compacte et unitaire) et celle, cognitive,
qui définit la capacité du roman de développer une
modalité d’appréhension de l’existence différente par
rapport à celles utilisées par des autres arts ou branches
du savoir – , il nous a été utile d’effectuer, avant tout, une
comparaison avec les effets qu’elle produit dans le
domaine musical.
Le premier chapitre (« Les variations sur thème en
musique : de la technique à la forme ») est consacré à
cette réflexion.
Parmi les arts, la musique a été la première à développer
les potentialités expressives de ce mécanisme qui
consiste à reprendre plusieurs fois, chaque fois de
manière différente, une même idée de base (le thème) et
de lui consacrer une place d’honneur parmi les différentes
formes de composition : de nos jours le savoir commun
considère les variations comme l’apanage de la musique,

488
Cette fonction du roman a été théorisée par Hermann Broch dans les essais réunis
dans Création littéraire et connaissance, trad fr. par A. Kohn, Gallimard, 1966.

316
en les identifiant avec ce procédé de développement du
thème utilisé déjà aux temps du chant grégorien et ensuite
élaboré jusqu’aux résultats éclatants obtenus, par
exemple, par Bach, qui dans les Variations Goldberg
(1741-1745) n’utilise plus les variations dans leur fonction
originaire purement ornementale, et par Beethoven, qui
augmente leur puissance en les transformant en
instruments actifs d’étude du thème (par exemple dans la
célèbre sonate pour piano n.32, l’opus 111).
Au cours du XXème siècle les variations deviennent le
fondement du projet expérimental à la base de la musique
sérielle, où l’orchestration des variations, au lieu de
tourner autour du thème, vise littéralement à le
"déstructurer".
Avant de comparer directement les façons dans lesquelles
la musique et le roman élaborent respectivement la forme
de la variation, il nous a été nécessaire d’établir avant tout
ce que l’on entend par « forme » dans le cas des deux
arts, par rapport au thème et, plus généralement, en
relation au contenu (terme qui désigne alors le sens global
de l’œuvre).
À ce propos, la caractéristique qui distingue la musique du
roman et, plus généralement, de l’art littéraire, semble
résider dans le fait que, pour le premier cas – comme le
déclare Pierre Boulez en 1960 – on ne peut pas parler
d’un véritable rapport entre les deux éléments en

317
question, puisque dans la musique « forme et contenu
sont de même nature, justiciables de la même analyse» 489.
Contrairement aux œuvres de création verbale, où l’on
peut remarquer un niveau de séparation entre l’ensemble
des mots qui détermine la forme et les objets du réel
auxquels elle se réfère et que, par conséquent, nous
appelons le « contenu », en musique – comme l’explique
par exemple Hoa Hoi Vuong – , le terme « forme » désigne
directement le matériel sonore, les principes
d’organisation formelle et les idées musicales 490 .
La musique, dit encore Vuong, serait donc un art au limite,
au sens mathématique du terme : un art qui implique une
complète conformité entre signifié et signifiant, puisque il
n’y a pas de signifiés différents de ce que l’on entend.
En réalité Jean-Jacques Nattiez explique que « Si la
musique pouvait, par elle-même, être récit comme peut
l’être le langage humain, elle nous parlerait directement et
il n’y aurait plus de différence entre langage et musique

489
La citation, tirée d’une conférence tenue par Pierre Boulez en1960, est reprise par
Jean-Jacques Nattiez dans l’essai Lévi-Strauss musicien. Essai sur la tentation
homologique, Actes Sud, 2008, en ouverture du Chapitre XI, La structure et les formes :
le malentendu, p. 131.
490
Vuong écrit: « La forme est une notion très complexe. Elle recouvre d’une part les
éléments de la forme (qui constituent la forme musicale, au singulier), d’autre part ce
qu’on pourrait appeler des modèles abstraits (les formes musicales). La forme musicale
elle-même se décompose en trois éléments : matériel sonore (hauteur, timbre, intensité,
durée), principes d’organisation formelle et ‘idées’ musicales ». Dans H. H. Vuong,
Musiques de roman. Proust, Mann, Joyce, Presses Interuniversitaires Européennes,
Bruxelles 2003, p. 297.

318
» 491; la correspondance entre la musique et le monde réel
ne s’établit que dans le moment de la réception et donc,
pour les susdites raisons, est d’ordre purement formel.
En musique les notes ne détiennent aucun sens si on les
considère en dehors des structures formelles qui les
organisent (par exemple, les techniques de
développement comme le canon, la modulation ou les
formes plus élaborées comme la fugue) ; en ce cas, donc,
la forme et le contenu ne s’opposent pas comme les
termes d’un véritable rapport, qui tout au plus peut être un
rapport de totale coïncidence.
Par contre, dans l’art littéraire - et donc dans le roman -,
même s’il existe une relation de correspondance entre la
forme et le contenu pour laquelle, si l’un des ces éléments
change, l’autre inévitablement change aussi, la valeur
référentielle qui est à la base du contenu lui garantit
quand même une qualité autonome par rapport à la forme
et lui permet donc de distinguer ces deux éléments.
Dans le roman, notamment, la forme – comme l’a rappelé
Milan Kundera – représente toujours quelque chose de
plus qu’une forme, c’est-à-dire qu’elle ne se réduit pas à
une simple question technique.
Elle prend l’allure d’un instrument d’exploration poétique
(qui ne vise pas à la démonstration d’une idée spécifique,

491
J-J. Nattiez, Lévi-Strauss musicien. Essai sur la tentation homologique, cit., Chapitre
XVI La musique raconte-t-elle une histoire?, p. 176.

319
d’une thèse, mais qui se fonde sur un plan purement
méditatif et hypothétique) des aspect de l’existence qui
restent encore inconnus – c’est-à-dire ces aspects qui
n’ont pas encore été systématisés par les différentes
branches du savoir (comme la philosophie, l’histoire ou la
psychologie) -, qui représentent les soi-disant « thèmes »
du roman.
Contrairement au rôle qu’elle exerce en musique, à
l’intérieur du roman la forme obtient un approfondissement
du thème qui n’est pas seulement lié à sa dimension
purement ‘matérielle’.
Cependant, malgré cette différence constitutive entre les
arts de la musique et du roman – une différence liée à la
nature différente que le rapport entre la forme et le
contenu assume dans les deux cas – l’introduction dans le
roman de systèmes de composition qui sont utilisés
habituellement en musique peut se révéler nécessaire
pour obtenir la fonction dite « totalisante », qui, d’après le
romancier Hermann Broch, doit être développée par tout
roman digne de ce nom.
Dans La vision du monde donnée par le roman 492, texte
d’une conférence du 1933, Broch explique que, si le roman
veut sauvegarder, même dans l’époque contemporaine, sa
tâche cognitive, il ne peut pas se limiter à réfléchir – en le
transposant au niveau narratif – des conceptions du

492
Dans : H. Broch, Création littéraire et connaissance, cit., pp. 215-245.

320
monde (de type scientifique ou philosophique) qui sont
déjà courantes dans la culture commune, en obtenant un
résultat plus didactique qu’artistique, mais il doit plutôt
essayer d’en absorber le plus grande nombre possible ; il
doit réussir à recomposer, dans la forme la plus organique
possible, la totalité des images existantes du monde, le
tout à travers un travail d’abstraction et de stylisation de
la matière, perfectionné jusqu’à l’obtention du style le plus
essentiel possible, que Broch appelle « le style de l’âge
mythique» 493 ou « style de la vieillesse ».
Dans cette réponse éthique, qui est en même temps de
nature esthétique – en tant que produit d’une opération
formelle et, par conséquent, comme l’explique Broch,
résultat esthétique -, utilisée par le roman en opposition à
la perception fragmentaire de la réalité que la culture
contemporaine nous offre, dans cette réponse donc réside
au même temps sa fonction cathartique.
En effet – dit encore Broch – l’élaboration d’une image
totalisante du monde, c’est-à-dire l’image la plus globale
possible, produit aussi, nécessairement, une partielle
libération de l’angoisse ; tout cela parce-que, d’après
l’écrivain autrichien, « là où l’intelligence embrasse le
monde entier, il n’y a plus de ténèbres » 494.

493
Le style de l’âge mythique est le titre d’un autre essai de Broch, composé comme
préface à On the Iliad (du français Rachel Bespaloff et publié en 1947) et actuellement
repris dans : H. Broch, Création littéraire et connaissance, cit., pp. 257-275.
494
H. Broch, La Vision du monde donnée par le roman, cit., p. 240.

321
Or, ce style «de l’essentiel, de l’abstrait» 495, qui est le seul
à permettre au roman d’embrasser la complexité de
l’existence humaine, pourra dériver de sa
« musicalisation » ; un processus qui ne peut pas se
résoudre dans le choix des termes sur la base de leur
sonorité mais qui doit impliquer surtout l’organisation du
roman sur le plan syntactique, soit macrostructurale.
Les structures généralement employées en musique –
« art abstrait par excellence » comme la définit Broch -,
comme la polyphonie et la variation sur thème, répondent
peut-être mieux que d’autres au but du roman de
condenser la variété dans l’unité 496.
Surtout la forme de la variation sur thème, si on la
considère dans son acception classique – et donc comme
un principe de composition et non pas de désagrégation
des rapports harmoniques (comme, au contraire, elle est
considérée dans l’optique atonale, où elle vise à dépasser
l’idée de totalité) – peut constituer une référence idéale
pour le roman, afin d’atteindre son objectif totalisant ainsi
que son objectif cathartique.

495
Comme Broch le définit dans l’essai Le Style de l’âge mythique, cit., p. 271.
496
À ce propos, et en pensant surtout à la variation sur thème Cupers écrit: «La source de
la spéculation esthétique sur les possibilités artistiques illimitées de la forme du thème et
de ses variations provient de sa connexion avec la nécessité quasi épistémologique dans
laquelle l’art se trouve de combiner la diversité avec l’unité, et vice versa: réconcilier
l’unité et la diversité». Dans: J-L. Cupers, Huxley et la musique, à la manière de Jean-
Sébastien, Facultés universitaires de Saint-Louis, Bruxelles 1985, p. 233.

322
À son tour, en musique comme dans le roman, la
satisfaction de ces deux objectifs entraîne la satisfaction
d’un troisième but, qui est incontournable pour
l’accomplissement de la mission éthique qui peut être à la
base des deux arts ; en effet la possibilité de comprendre
la multiplicité en faisant référence à un unicum comporte
aussi une conquête de type cognitif.
Cependant, si l’élaboration de la variation sur thème
obtient, en musique comme dans le roman, le même effet
qui est d’assurer une structure unitaire à l’œuvre, la
différence entre ces deux formes de variation, musicale et
romanesque, peut se déduire surtout en relation à cette
dernière fonction : la forme de la variation sur thème, en
effet, permet un type de connaissance qui est différent
selon l’art que l’on prend en considération.
Cette différence dépend des différents types de rapport
qui lient, en musique et dans le roman respectivement, la
forme au contenu et, plus spécifiquement, les variations
au sujet qu’incarne le thème.
Après avoir vérifié l’impossibilité, pour la musique, de
distinguer la forme et le contenu, l’on peut déduire que, en
ce cas, le seul type d’acquisition cognitive qui peut être
produite par le principe de composition de la variation sur
thème correspond à la possibilité de percevoir l’harmonie
formelle qui dérive de la disposition d’un matériel sonore –
caractérisé par l’alternance rythmique ou mélodique – en
référence à un thème de raccord ; en effet le plaisir qui

323
provient naturellement de la constatation des
correspondances existantes entre les différentes voix,
implique aussi la capacité d’intuition et donc d’une
application au niveau cognitif.
En d’autres termes, en musique, la fonction cognitive – qui
généralement est considérée comme afférente au plan du
contenu – semble coïncider directement avec la fonction
totalisante et avec la fonction cathartique : c’est justement
la beauté harmonique d’un morceau, celle qui résulte de la
confluence des différentes lignes mélodiques vers le
thème de base, qui représente, pour cet art, le soi-disant
contenu.
Par conséquent, en musique, les variations n’exercent sur
leur élément de raccord – le thème – qu’un type
d’approfondissement de nature simplement formelle et le
sens qui, tout de même, est finalement obtenu doit être
considéré un sens indicible.
Françoise Escal reconnaît dans cette caractéristique la
principale différence entre la forme musicale et la forme
littéraire de la variation.
À ce propos elle explique :
E n m us i qu e , les t h è m es - per s on n ag es et l eur s var i at i o ns s o n t
pr o d u its et or ga n is és de f aç on au to n om e, l ib r es de t ou t
as s er v is s em en t à d es r e pr és e nt at i o ns d e c hos es o u d ’ êt r es q u i
pe u p le nt l e m on de d e l a r éa l i té o u d e la f ic t io n. P or t e us es d e
s ens , m êm e s ’i l r es t e im pl ic it e o u i nd ic i b le , les or ga n is at i on s
m us ic a l e n ’o b é is s e n t c e pe n da nt q u’ à l’ ex i ge nc e de l e ur
c ons tr uc t i on . T o ut a u tr e es t le c as d es t h èm es - p er s o n na g es en
l it tér a tur e ( … ) . L a « v ar ia t io n » li tt ér a ir e, as s uj e tt i e à u n c o nt e nu ,

324
ne c o n na ît pas c es pr oc é d ur es q u e s on t l e r e n ve r s em en t, la
s up pr es s io n , la f r a gm ent at i o n, l ’a ux ès e , br ef , t ou te c et t e
i nt égr a ti o n f o r m el le d on t l a m us iq u e es t s u s c ep t ib l e p ar c e qu ’ e ll e
497
es t u n l a ng a ge à un s eu l p l a n, c e l u i d u s i gn i f ia nt .

La notion de contenu à laquelle Escal semble faire


référence, en la considérant comme spécifique de la
« variation littéraire », est celle de signifié dicible, c’est-à-
dire référentiel ; ce signifié est donc différent par rapport
au « sens » irradié par la musique, à laquelle Escal
reconnaît la possibilité de se cacher comme « implicite ou
indicible ».
C’est justement cette possibilité d’expansion référentielle
caractérisant le contenu de la littérature, par rapport au
contenu musical, qui éclaire la différence qui caractérise
le thème des variations dans les deux arts considérés et la
raison pour laquelle, par conséquent, le type d’étude
cognitive que la forme de la variation produit dans le
roman ne se limite pas, comme en musique, exclusivement
à l’obtention de la « beauté » formelle, c’est-à-dire à une
forme de composition unitaire, un effet qui, au contraire,
représente plutôt ses prémisses.
Ce qui caractérise le roman c’est le fait que, en ce cas,
l’œuvre d’organisation formelle est fonctionnelle à la
focalisation du thème, qui est étudié même par rapport à

497
F. Escal, Contrepoint. Musique et littérature, Méridiens Klincksieck., Paris 1990, p.
181.

325
sa valence référentielle ; un thème donc qui dépasse sa
forme, malgré le fait que la configuration choisie pour sa
représentation est liée au même thème à travers un
rapport nécessaire et irremplaçable.
En effet dans le roman, bien qu’il n’y ait aucune
coïncidence véritable entre forme et contenu – comme il
arrive en musique -, le contenu ne peut pas être considéré
comme étant complètement séparable de la forme, comme
il peut arriver, au contraire, pour la philosophie et comme
il arrive dans les textes scientifiques.
Notamment, bien que dans le roman (au contraire de la
musique), l’on puisse relever la présence d’un rapport
effectif entre la forme et le contenu, ce dernier est
cependant réglé par un critère d’interdépendance, pour
lequel le changement d’un des deux termes implique
nécessairement une mutation de l’autre.
Cela dépend de l’approche choisie par le romancier à
l’égard du thème de son œuvre, dont il ne réalise pas une
analyse objective – ce qui pourrait transformer le roman
en science ou en philosophie -, mais plutôt une libre
exploration qui se conforme avec l’esprit ludique et fictif
du roman et qui est donc toujours influencée par la forme
choisie pour son étude.
Le but de cet art, en effet, n’est pas d’offrir au lecteur des
solutions déjà définies mais de le mettre en condition de
se mesurer personnellement avec le thème de l’œuvre.

326
En utilisant la forme de la variation, le roman obtient son
objectif cognitif essentiel : l’étude des aspect oubliés de
l’existence – qui sont les thèmes – selon des points de
vue toujours différents, en offrant ainsi une vision
problématique qui n’est jamais définitive.
La comparaison de plusieurs modulations d’un même
roman offre au lecteur la possibilité d’identifier le thème
de base en saisissant ainsi la racine de son identité : cette
possibilité de reconnaître, dans l’alternance des
différentes perspectives développées sur un même thème,
les éléments d’une forme unitaire, équivaut donc à la
possibilité de s’identifier comme fondement de sa propre
existence, comme thème de sa propre forme ; cette
acquisition représente la conquête fondamentale de toute
étude de type romanesque.
Ainsi, l’analyse du thème permet aussi de distinguer les
cas de véritable élaboration romanesque de la variation
des simples adaptations littéraires de ce principe musical.
Afin que l’acquisition de ce principe de composition
typiquement musical puisse se traduire en un véritable
exemple de forme romanesque de la variation – ce qui
comporte une effective reconnaissance de la mission
cognitive de cette forme, une mission qui est typique de
l’art du roman – il faut que les variations soient
développées à partir d’un thème qui doit avoir les
caractéristiques propres d’un thème de roman, c’est-à-dire
un thème susceptible d’un approfondissement de type

327
existentiel. Dans le cas contraire, le thème prend la forme
d’un prétexte pour une simple expérience musico-littéraire,
qui est incapable de soutenir une véritable exploration
autour de l’existence.
Cette différence a été relevée, par exemple, par le
romancier serbo-croate Danilo Kiš dans sa réflexion
sur les Exercices de style (1947) de Raymond Queneau,
dont il avait effectué la traduction en langue serbo-croate.
Dans un essai du 1986 498, Kiš écrit que si Queneau, dans
l’effort de transposer dans la littérature en prose les
variations de Bach, avait adopté comme thème, à la place
d’un « sujet insignifiant » 499 (une rencontre fortuite dans
un bus), des contenus plus « métaphysiques » 500, les
Exercices de style n’auraient pas été des «pures
spéculations ‘alexandrines’» 501.
Ce que Kiš semble reprocher à Queneau c’est justement le
fait d’avoir utilisé les variations, en les empruntant à la
musique, pour en faire une simple technique, en perdant
ainsi l’occasion de les transformer en une forme
romanesque, capable donc d’approfondissements
existentiels.

498
Il s’agit de Quelques notes sur les Exercices de style et leur traduction en serbo-
croate, texte élaboré, au début, pour la rencontre internationale des traducteurs d’ Arles
prévue pour novembre 1986 et maintenant inclu dans : ID, Homo Poeticus , trad. du
serbo-croate au français de P. Delpech, Fayard, Paris 1993, pp. 141-145.
499
Ibidem, p. 143.
500
Ib.
501
Ibidem, p. 142.

328
Ce n’est donc pas un hasard si l’écrivain serbo-croate,
quelques années auparavant, qualifie de
« métaphysique » 502 le thème fondamental de son
Encyclopédie des morts ; dans cette œuvre, les neuf
chapitres-variations ne se déclinent pas comme de
simples « Exercices », et donc comme des variantes
techniques, mais comme les éléments d’une véritable
architecture romanesque.
Tandis que dans le premier chapitre nous avons essayé de
comprendre les effets de l’application de la forme des
variations au roman, en les comparant avec les effets
obtenus par le même modèle dans le domaine musical,
dans le deuxième chapitre (« De la philosophie au roman :
comparaison entre la méthode et la forme de la variation
sur thème ») nous avons effectué une comparaison
relative à la manière avec laquelle le roman et la
philosophie, respectivement, développent ce principe
formel.
Pour bien saisir cette spécificité, il nous a été nécessaire,
encore une fois, d’effectuer une analyse du concept de
« forme » dans les deux domaines.
À ce propos, il nous a semblé utile de tenir en
considération la comparaison esquissée par Jacques
Bouveresse dans La Connaissance de l’écrivain à propos

502
Cfr. le Post scriptum rédigé par Danilo Kiš pour son roman Encyclopédies des morts,
trad. fr. de P. Delpech, Gallimard, 1985, pp. 181-190.

329
de la valence subjective qui caractérise la forme dans le
domaine littéraire, par rapport au domaine scientifique.
Bouveresse part du présupposé que, vu que chaque choix
formel reflète toujours une inclination subjective, le fait
qu’une « vérité » reste inchangée, abstraction faite de la
structure formelle particulière utilisée pour la véhiculer,
serait le signe de son objectivité. Ainsi, dans le cas des
traités scientifiques, qui se caractérisent par une tendance
maximale à l’objectivité, « le relâchement des liens entre
le contenu et la forme semble atteindre son maximum:
pour un seul et même contenu, une multitude de formes
différente set équivalentes sont possibles » 503.
D’après Bouveresse cela implique que « Le propre des
vérités de la science semble être (…) de posséder le
degré le plus élevé d’indépendance par rapport à la forme
qui peut être choisie pour les exprimer » 504.
Au contraire, la littérature semble caractérisée par un
degré maximale d’interdépendance entre la forme et le
contenu.
Bouveresse dit encore :

S i o n f a it d e l ’ i nd é pe n da nc e d u c on te n u p ar
r ap p or t au m od e d ’ ex pr es s i o n e t à l a f or m e u ne
c on d it i o n n éc es s a ir e de l ’o bj ec t i v it é , il es t

503
J. Bouveresse, La Connaissance de l’écrivain. Sur la littérature, la vérité et la vie,
Agone, Marseille
2008, p. 68.
504
Ib.

330
d if f ic i l e de c o ns id ér er les t ex t es l it té r a ir es
c om m e c a pa b les d ’ ex pr im er e t de c om m uni qu er
des c on t en us o bj ec t if s , a u s e ns s tr ic t d u t er m e.
P our tr a ns m ettr e l e s a vo ir e t l a c o nn a is s anc e
( obj ec t if s ) , l a l it tér a tur e d e vr a it a v oir u n c o n te n u
505
s ép ar a bl e , c e q ui n’ es t pas le c as .

Au contraire des sciences, dans les arts littéraires – et


notamment dans le roman, dont la survivance semble
justement liée à sa capacité d’expérimentation formelle –
toutes les conquêtes obtenues sur les aspects connus de
l’existence (qui définissent, en général, les thèmes) ne
peuvent pas être dissociés de la composition formelle
utilisée pour leur obtention.
La connaissance obtenue par le roman ne se déduit pas
par des sentences ou par des inférences exprimées de
manière explicite, car chaque assertion, qui peut être
modulée de n’importe quelle perspective (nous avons
remarqué que, dans le roman, le point de vue d’un auteur
ne jouit pas d’une crédibilité majeure par rapport à celui
des autres personnages), doit être interprétée sous le
signe de l’ambiance ludique et relative qui caractérise cet
art ; donc, la sagesse du roman ne doit pas être
recherchée dans un message qui est de quelque manière
véhiculé à l’intérieur du contenu.

505
Ib.

331
Au contraire, elle résulte de la compréhension des
rapports ironiques 506 sur la base desquels la composition
formelle est organisée : le point de vue décisif, la
compréhension enfin obtenue par le lecteur sur le thème
abordé, ne résulte pas de l’assimilation de n’importe
laquelle des opinions exprimées dans le roman, mais de
l’abstraction des différentes perspectives qui animent sa
structure et qui sont souvent contradictoires. 507
Donc, tandis que dans les disciplines scientifiques –
comme toute branche du savoir animée par une tendance
démonstrative – chaque découverte obtenue peut
correspondre à plusieurs modalités expressives possibles,
dans la littérature, et notamment dans le roman, le rapport
entre la forme et le contenu est nécessairement
biunivoque.
Contrairement au roman, la philosophie est caractérisée
par une nature systématique 508 car, comme il arrive pour

506
Rappelons, par exemple, que dans Les Testaments trahis, Kundera explique l’ironie de
la forme dans les romans de la façon suivante : « L’ironie veut dire : aucune des
affirmations qu’on trouve dans un roman ne peut être prise isolément, chacune d’elles se
trouve dans une confrontation complexe et contradictoire avec d’autres affirmations,
d’autres situations, d’autres gestes, d’autres idées, d’autres évènements. Seule une
lecture lente, deux fois, plusieurs fois répétée fera ressortir tous les “rapports ironiques” à
l’intérieur du roman sans lesquels le roman restera incompris ». (M. Kundera, Les
testaments trahis, pp. cit. 241).
507
À cet égard notre position s’éloigne de celle de Bouveresse, qui pense que la valeur
ajoutée que la forme donne à la connaissance transmise par le roman ne concerne pas
son organisation, qui est fondée sur le principe de l’ironie, mais est liée plutôt au fait que
dans les romans, les messages éthiques ne sont pas communiqués directement mais
qu’ils sont toujours concrétisés sous une forme narrative, en s’adressant ainsi non
seulement à la raison mais aussi à la sensibilité des lecteurs.
508
La nature essentiellement systématique de la philosophie a été reconnue par
plusieurs savants, et par Bouveresse lui-même, qui a consacré ses cours au Collège de

332
les sciences, elle vise à la connaissance des vérités
objectives.
Dans la philosophie aussi les structures utilisées pour
définir les concepts essentiels ne se déclinent pas comme
des formes (c’est-à-dire comme des éléments qui forment
le contenu susdit), mais comme des méthodes de
recherche, dont l’adoption (de l’un ou de l’autre)
n’influence pas l’existence de ces concepts qui sont au
centre de l’étude.
La différence entre l’aptitude à la composition et l’aptitude
à la recherche d’une méthode, qui distingue le romancier
du philosophe, peut être comprise en considérant
l’exemple, d’un des philosophes les plus systématiques de
l’âge moderne, Edmond Husserl 509, qui utilise la variation
comme méthode pour atteindre la « vision de l’essence »
(W esenserschauung).

France (années 2006/2007 e 2007/2008) au thème : Qu’est-ce qu’un système


philosophique ? En particulier, Bouveresse développe les théories de Jules Vuillemin
(auteur de : What are Philosophical Systems ?, Cambridge University Press, Cambridge
1986), pour qui la philosophie et les sciences sont des disciplines qui ont une vocation
systématique, puisque elles recherchent la vérité. La différence est donc à chercher dans
le fait que la philosophie a, parmi ses intérêts, la considération de l’ontologie ; c’est
pourquoi elle suppose la possibilité du contradictoire d’une manière majeure par rapport
aux sciences.
509
Cfr. Bouveresse: «Des philosophes comme Descartes, Kant et Husserl ont certes été
persuadés en leur temps d’avoir trouvé enfin la méthode philosophique appropriée qui
rendrait les questions philosophiques décidables en principe (…)». Cit. tirée de J.
Bouveresse, Qu’est-ce qu’un système philosophique ? , son cours tenu au Collège de
France pendant l’année 2006/2007 . Le texte est trouvable sur le site www.college-de-
france.fr

333
Une étude du concept husserlien de variation peut
contribuer ultérieurement à éclaircir la différence d’emploi
de ce principe dans la philosophie et dans le roman ; cette
réflexion est, à son tour, nécessaire pour comprendre le
type de connaissance à laquelle le roman donne accès, en
tant que forme purement artistique du discours, par
rapport à celle qui est, au contraire, développée par une
discipline comme la philosophie.
Dans la troisième section de son œuvre Expérience et
jugement (1939), Husserl écrit que, en partant d’un
ensemble circonscrit de phénomènes, il est possible
d’arriver à l’essence (eidos) – considérée comme
l’élément sans lequel on ne pourrait pas penser un objet
de cette espèce, c’est-à-dire sans lequel il ne pourrait pas
être imaginé en tant que tel de manière intuitive – à l’aide
d’une opération de Variation (Variation), qui consiste à
imaginer une séquelle des variantes (varianten) de l’objet ;
par exemple, en partant de la confrontation entre les
possibles variétés du rouge, il est possible de saisir
intuitivement l’essence de cette couleur.
Toutes les variantes envisagées, dit encore Husserl,
doivent être considérées dans l’ensemble, comme des
multiplicités dans un procès ouvert , c’est-à-dire comme
valables pour leur simultanéité et potentiellement
développables ad libitum : c’est seulement dans cette
optique qu’il devient possible de connaître l’angle de

334
coïncidence de toutes les variantes envisageables et d’en
tirer l’eidos, l’idée primordiale.
Nous avons remarqué que, en musique,
l’approfondissement du thème obtenu par les variations
peut seulement concerner sa nature simplement matérielle
(sa nature phonique), puisque, dans le cas de cet art, il
n’est pas possible de distinguer la forme du contenu ; une
première étude de la variation husserlienne démontre que,
au contraire, l’application à la philosophie du même
principe, se traduit en une utilisation de la structure des
variations comme un modèle cognitif dont l’adoption est
fonctionnelle à l’étude d’un thème (l’eidos) qui existe a
priori et qui est indépendant des variations mêmes qui
deviennent ainsi une simple méthode de recherche, et non
une structure qui forme le thème.
À propos du Livre du rire et de l’oubli de Milan Kundera,
Kvetoslav Chvatik observe que, dans ce roman,
l’élaboration du modèle de composition de la variation
semble s’inspirer non seulement à la musique de
Beethoven (auquel il est fait référence dans le roman) ou
à celle de Schoenberg, mais aussi à l’emploi, finalisé à
510
l’étude phénoménologique, effectué par Husserl.
L’intérêt que Kundera nourrit pour la phénoménologie
influence aussi sa poétique ; toutefois, la différence entre

510
Cfr. K. Chvatik, Le Monde romanesque de Milan Kundera, trad. fr. de B. Lortholary,
Gallimard, 1995.

335
le philosophe et le romancier, à cet égard, consiste dans
le fait que ce dernier ne conçoit jamais l’univers de
l’existence comme idéal, mais qu’il l’étudie sur la base des
histoires vécues par ses personnages – qui sont donc
considérés par Kundera comme des « ego
expérimentaux » – et en ne s’en remettant qu’à
l’instrument de l’imagination.
En reconnaissant les affinités existantes entre la
phénoménologie philosophique et la phénoménologie
romanesque, Kundera réaffirme plusieurs fois la nécessité
de comprendre pleinement la distinction qu’il y a entre les
deux.
Dans ce but, c’est justement en examinant les différentes
manières avec lesquelles ces deux contextes utilisent le
modèle de la variation, que l’on peut trouver des
réponses.
En utilisant comme exemple la manière avec laquelle ce
modèle est interprété par Husserl et par Kundera nous
pouvons identifier une première différence entre la
variation de type philosophique et la variation de type
romanesque : dans le premier cas, le présupposé pour une
recherche d’un angle de coïncidence, le plus plausible
possible, des variantes (le thème), c’est de les considérer
comme développables à l’infini.
Au contraire, dans l’art de la variation romanesque, et
notamment dans la manière dont Kundera l’utilise pour la
réaliser – en adoptant ce principe comme modèle de

336
511
composition – , les variations sont employées dans le
but de constituer une forme et donc de comprendre, dans
les limites d’une architecture qui doit paraître concentrée
au maximum, la multiplicité des idées offertes par
l’analyse d’un thème ; donc, dans ce cas, la limite des
variations ne prend pas l’aspect d’un terme arbitraire
d’une séquence qui peut être développée ad libitum, mais
sa démarcation répond à des exigences esthétiques,
comme par exemple le respect des principes de symétrie
de la composition (qui sont nécessaires à la focalisation
du thème central).
Par exemple, dans le cas de Kundera, la décision de
partager Le Livre du rire et de l’oubli en sept parties qui
correspondent à sept variations des thèmes de base de
l’œuvre, ne semble pas un choix fait au hasard, mais il
est, peut-être, le reflet d’une obsession esthétique de
l’auteur.
Dans L’Art du Roman, en réfléchissant sur son choix de
diviser presque toutes ses œuvres (les romans comme les
essais) en sept parties, Kundera explique : « Je raconte
tout cela pour dire que ce n’est de ma part ni coquetterie

511
Cette précision est utile pour distinguer les romanciers, comme Kundera, mais aussi
Marcel Proust, Danilo Kiš, ou Kenzaburo Oe (qui ont été déjà mentionnés), qui identifient
dans la forme de la variation sur thème un modèle de composition unitaire, organique (à
la manière de Beethoven dans l’opus 111) et ceux qui considèrent ce principe comme un
modèle de désagrégation de la matière romanesque, approche illustré par L’emploi du
temps de Michel Butor ou Si par une nuit d’hiver un voyageur de Italo Calvino, qui ont
une structure sérielle (qui pour Butor est emprunté directement à Schoenberg).

337
superstitieuse avec un nombre magique, ni calcul
rationnel, mais impératif profond, inconscient,
incompréhensible, archétype de la forme auquel je ne
peux pas échapper. Mes romans sont des variations de la
même architecture fondée sur le nombre sept » 512.
Le respect de ce style formel n’est pas seulement une
attitude maniériste de la part de l’auteur ; au contraire, il
définit l’originalité de son univers romanesque, dont la
structure formelle et les thèmes ne sont pas déterminés
passivement par la tradition mais qui deviennent le produit
de l’invention personnelle de l’auteur.
Une autre différence entre les deux types de variation, la
variation husserlienne et la variation kundérienne,
consiste dans le fait que, dans le premier cas, les
variantes sont développées sur la base d’un principe de
contiguïté (dans le sens d’une affinité logique) ; cela afin
de permettre l’identification la plus objective possible de
leur dénominateur commun, ce que nous avons défini
comme eidos, l’essence idéale.
Les variations d’un roman, par contre, répondent
uniquement à un critère d’affinité poétique et leur
association suit un principe d’opposition ironique (relative
à la morale ambiguë qui caractérise le roman), plutôt que
de contiguïté.

512
M. Kundera, L’Art du roman,cit., p. 106.

338
Pour illustrer ce mécanisme, nous devons, encore une
fois, considérer comme exemple Le Livre du rire et de
l’oubli.
Le choix d’utiliser plusieurs fois cette œuvre pour focaliser
la manière dans laquelle le principe de composition de la
variation peut être transposé dans le domaine romanesque
nous semble justifié par l’extrême précision selon laquelle,
dans ce livre en particulier, ce modèle est organisé.
De toute évidence, la disposition des variations sur la
base du principe de l’ironie ne semble pas être une
caractéristique exclusive de ce roman, mais il nous paraît
qu’elle peut être considérée comme congénitale à la
manière avec laquelle les romanciers, en général,
élaborent ce principe de composition, selon la « morale
ironique » qui est typique de cet art.
Rappelons aussi que l’étude des variations à la base de
La Recherche du temps perdu révèle souvent un effet de
contraste, reconnaissable, par exemple, dans les
différentes apparitions du même personnage : Proust
utilise souvent ce principe pour donner du relief aux
contradictions innées chez ses personnages,
contradictions qui révèlent le désaccord existant entre
l’adaptation apparente aux valeurs consolidés de la
société et la réalité des attitudes humaines ; par exemple,
il peut arriver de trouver, dans La Recherche, des
personnages qui sont présentés, en premier ressort,
comme un modèle de politesse et de sensibilité, et qui

339
après semblent se dégrader en se comportant d’une
manière vulgaire – comme Robert Saint-Loup l’ami du
narrateur, qui l’amène plusieurs fois à une reconsidération
de l’amitié – ; la même Albertine, d’après le narrateur,
apparaît différente à chaque rencontre.
Dans Le Livre du rire et de l’oubli, l’individuation des
contrastes ironiques est facilitée ultérieurement par
l’organisation du roman en sept parties différentes.
Dans la première, « Les lettres perdues », on décline l’un
des noyaux thématiques du roman – le conflit entre la
mémoire et l’oubli -, à travers le récit de l’histoire d’amour
entre Zdena et Mirek, dont des années plus tard ce dernier
veut effacer toutes les traces, afin d’effacer le souvenir
d’un passé qu’il estime ne pas être en accord avec son
présent.
L’atmosphère de mélancolie qui envahit cette première
partie s’oppose à celle, nettement plus ludique, de la
deuxième (intitulée « La mère »), qui décrit l’histoire d’un
ménage à trois ; dans cet épisode, le thème du souvenir
se matérialise grâce à l’évocation d’une rêverie érotique
qui remonte à l’enfance du protagoniste et le conflit entre
la mémoire et l’oubli est associé au conflit entre le sens et
le non sense (ici décliné à travers l’étude de la limite qui
sépare la passion et la routine).
Dans la troisième partie (qui représente, au même temps,
la troisième variation des thèmes à la base de l’œuvre),
qui a comme titre « Les anges », l’auteur revient sur

340
l’étude du thème de la frontière – qui est toujours faible –
entre le sens et le non sens ; dans ce cas ce thème est
décliné sous forme de réflexion sur le signifié du « rire » –
auquel le titre du roman fait référence -, qui, d’après
Kundera peut se traduire dans les deux possibilités du
« rire des anges », expression qui fait allusion à ce type
d’hilarité qui naît de l’abandon du sens critique (qui,
d’après Kundera, définit le risque du kitsch qui est
toujours aux aguets), et le « rire du diable », c’est-à-dire
le rire de démystification, le rire ironique, qui sauve les
hommes de l’approbation acritique des vérités consolidées
et qui rompt, donc, le charme du kitsch.
Preuve de la cohérence interne de l’œuvre, la quatrième
partie a le même titre de la première (« Les lettres
perdues »). Mais, contrairement au premier cas, où le
protagoniste désire récupérer ses anciennes lettres
d’amour dans le seul but de les brûler pour se libérer ainsi
de tous ses souvenirs, l’héroïne de la quatrième partie,
Tamina, cherche ses journaux intimes pour en reconstituer
l’histoire ; la première et la quatrième partie, ainsi
comparés, mettent en évidence deux aspects différents
mais qui sont tous les deux liés à l’essence de souvenirs
qui, selon les cas, peuvent se transformer en prisons qui
empêchent l’évolution ou, au contraire, en pièces
irremplaçables pour la formation de sa propre identité.
La cinquième partie (« Lítost », terme tchèque qui, d’après
Kundera, désigne l’un des plus pathétiques des sentiments

341
: la colère frustrée) propose à nouveau l’opposition entre
le kitsch et l’humour : un groupe de poètes lyriques
s’attaque à l’humour en considérant le rire irrévérencieux,
la plaisanterie, comme « l’ennemi de l’amour et de la
poésie ».
À travers l’illustration de cette dichotomie l’auteur
présente deux attitudes différentes à l’égard du monde,
l’attitude ironique et l’attitude lyrique qui, d’après lui, sont
respectivement à la base des deux arts du roman et de la
poésie lyrique.
Cette opposition est aussi renforcée par le contraste que
l’on peut remarquer entre les deux vicissitudes d’amour
qui font l’objet de la troisième et de la cinquième partie :
dans le premier cas, la passion que le romancier Kundera
nourrit pour son amie R., une passion qui arrive à
l’improviste mais qui est exempte de romantisme. Dans le
deuxième cas, l’amour d’un jeune poète pour une femme
de province : un amour pétri de sentimentalisme, qui
risque donc de se transformer en passion pathétique, en
litost. Pour augmenter ultérieurement le jeu des
coïncidences et des contrastes qui sont à la base du Livre
du rire et de l’oubli, la sixième partie a le même titre que
la troisième (« Les anges »), mais, seulement dans ce
cas, le problème de l’oubli est modulé d’une manière
onirique qui fournit des nouvelles perspective de
focalisation du thème.

342
Dans la dernière partie, la septième (« La frontière »),
l’auteur revient enfin sur le motif de la limite entre le sens
et le non sens, en l’étudiant cette fois à travers le récit
des aventures érotiques du personnage libertin de Jan.
L’hétérogénéité des matériaux qui composent le Livre du
rire et de l’oubli est organisée à travers une structure où
le principe de la variation est combiné avec celui du
contrepoint.
Ainsi, l’œuvre prend la forme d’un ensemble de motifs qui
se croisent jusqu’à converger vers un ensemble
thématique unique, qui détermine son organicité et son
statut de roman.
Dans Le livre du rire et de l’oubli, la succession des sept
parties-variations ne semble pas réglée par un critère
logique (comme il arrive dans le cas de l’application de la
variation à la phénoménologie philosophique) : entre les
différentes parties il n’y a ni continuité d’action, ni
communauté de personnages (à l’exception de Tamina, le
seul personnage qui apparaît dans deux parties, bien qu’il
ne s’agisse pas de deux parties consécutives) et leur
combinaison n’est réglée que par la loi de l’ironie, qui
représente la seule véritable morale respectée par l’art du
roman. La forme de la variation, une fois introduite dans le
roman, perd son caractère opaque qui la caractérise dans
la musique, un caractère imperméable à l’exploration d’un
signifié racontable ; mais elle perd aussi le caractère de
méthode qui la caractérise dans la philosophie et qui est

343
indispensable à l’étude de type objectif et systématique,
en se révélant ainsi idéale pour la visée cognitive, la plus
importante dans l’art du roman : l’encadrement d’un même
thème selon plusieurs perspectives contraint le lecteur à
ne pas formuler des interprétations univoques, absolues,
mais à en concevoir une vision relative, problématique.
Enfin, dans le troisième chapitre (« La variation : modèle
de l’existence et principe de composition du roman»),
nous nous sommes consacrés à l’encadrement du recours
de la forme variation sur thème dans le contexte de la plus
large révolution des formes qui intéresse le roman du
XXème siècle et qui se développe en réaction à
l’appauvrissement des schèmes du roman traditionnel
d’origine balzacienne.
En particulier, il nous semble possible d’en établir les
raisons au sein du processus général de
« musicalisation » qui investit le roman du XXème siècle
et que Hermann Broch indiquait comme la seule manière
pour cet art de garantir, dans l’époque contemporaine, sa
fonction cognitive.
Au XXème siècle, la convergence de ces deux facteurs,
c’est-à-dire d’une part le besoin de revitaliser la structure
romanesque traditionnelle (le modèle balzacien du roman
idéaliste), d’autre part le recours du roman aux modèles
de composition musicaux, ne semble pas être une simple
coïncidence, mais plutôt le résultat naturel du rapport
d’interconnexion qui d’après Lévi-Strauss intéresse – par

344
exemple – les formes de la musique, du roman et du
mythe, dès l’aube de la culture moderne.
L’hypothèse de l’anthropologue français consiste dans la
considération que des structures comme le contrepoint, la
fugue, la variation sur thème, n’appartiennent pas
proprement à la musique mais qu’elles sont, plus
généralement, des formae mentis, déjà reconnaissables
dans les procès de formation des mythes.
Ainsi la musique n’est que le premier art qui, du fait même
de son statut – fondé sur une absolue coïncidence entre la
forme et le contenu – a reconnu et développé ces
structures.
Dans le Final qui clôture Mythologiques, Lévi-Strauss
démontre que le mythe et la musique sont originairement
liés par une analogie formelle : les deux paraissent être
des dérivés incomplets du langage naturel, qui est
composé des trois éléments du son, de la structure et du
sens.
Cependant, tandis que dans la musique la structure
adhère directement au son – sans avoir la médiation du
sens – , les mythes sont des structures de sens, qui ne
supposent au contraire pas la présence du son.
Cette analogie, dit encore Lévi-Strauss, devient nette dans
la période qui va du le XVIème au XVIIème siècle, en
même temps que l’affirmation des Temps Modernes : c’est
la période au cours de laquelle le mythe (et la pensée qui

345
lui est liée) perd sa fonction prédominante dans la société
et qu’il est remplacé par la nouvelle pensée scientifique.
Mais le mythe ne disparaît pas sans laisser de traces : son
héritage est recueillie par la musique d’une part et par le
roman de l’autre.
Par le mythe le roman hérite les contenus, en se
définissant surtout comme le nouveau réservoir d’histoires
des sociétés, tandis que la musique lui emprunte ses
structures : de cette époque remontent les premières
élaborations plus complètes de fugue, de variation sur
thème et les tentatives de développement de la polyphonie
comme forme autonome.
Ces équilibres se maintiennent au moins jusqu’à l’aube du
XXème siècle : à partir de cette époque, la musique aussi
commence à sortir des structures formelles dont elle avait
hérité par le mythe (même dans la musique on avait
assisté à une accoutumance à ces schèmes), en se
dirigeant vers la révolution atonale qui vise à la
désagrégation des rapports qui jusqu’à ce moment-là
avaient réglé les systèmes musicaux et dont l’expression
la plus haute est la musique dodécaphonique de
Schoenberg (la musique dite « sérielle »).
D’ailleurs, cette période coïncide avec une démonstration
d’intérêt pour la musique de la part des romanciers qui
sont à la recherche d’une rénovation formelle. Comme il
l’écrit Vuong (auteur d’un ouvrage intitulé Musique dans le

346
roman), tous les romans qui s’inspirent de la musique
s’inscrivent dans la modernité du genre.
Cela semble confirmer l’hypothèse de Lévi-Strauss,
d’après qui les différents ordres culturels se relaient.
Avant de disparaître, chacun d’entre eux transmet à son
successeur les éléments de son essence et de sa fonction.
Donc, si jusqu’à un certain moment la musique a été le
majeur vecteur des formes – les modèles interprétatifs de
l’existence -, à partir du XXème siècle elle semble rendre
cette tâche au roman.
Comme nous l’avons déjà dit, le roman ne cherche pas les
structures musicales en soi : mais, grâce à la musique, il
retrouve ces modalités d’encadrement de l’existence qui
étaient déjà le propre des mythes.
Par conséquent, nous pouvons envisager que, à partir du
XXème siècle, les canaux d’évolution du roman se
ramifient.
D’une part, les romans où la dimension formelle se soumet
presque exclusivement au support d’une trame
représentent encore la courante prédominante.
En un sens, ils semblent refléter une régression ou, on
pourrait aussi dire, un retour cyclique au stade pré-
mythique, lorsque les hommes n’avaient pas encore appris
à s’interroger sur le monde comme totalité et donc qu’ils
n’avaient pas développé d’hypothèses ontologiques, ni des
formes.

347
D’autre part, les romanciers qui, au contraire, choisissent
de s’adresser à la musique dans le but de revitaliser la
dimension de la forme, et peuvent se distinguer à leur
tour, selon les modèles musicaux qu’ils adoptent comme
référence.
Tandis que certains romanciers semblent chercher dans la
musique des critères de composition unitaire et organique,
en adoptant donc comme modèles les principes de
composition typiques de cette période tonale – qui est
fondée sur un art du développement qui converge vers un
thème défini -, d’autres semblent, au contraire, suivre les
dérives sérielles de la musique, en adoptant aussi
l’hypothèse ontologique sur laquelle elle semble être
fondée.
Ces deux possibilités correspondent en même temps à
deux différentes esthétiques du roman : l’une coïncide
avec le choix d’opposer une forme unitaire, capable de
donner à l’homme une vision globale des choses, au
procès de mathématisation de la vie humaine qui réduit
l’homme à l’état de particule et qui domine désormais la
perception du réel. L’autre possibilité consiste dans le fait
de choisir tout simplement de dénoncer cette
parcellisation, en la mimant à travers d’une organisation
pareillement fragmentée.
La considération des différentes manières utilisées par les
romanciers pour réélaborer le principe de la variation sur

348
thème a représenté le point de départ pour confronter ces
deux esthétiques différentes du roman.
Dans la musique, la variation sur thème a souvent été
adoptée comme modèle unitaire de composition formelle :
un exemple de cet emploi de la variation est l’opus 111 de
Beethoven, une sonate composée, de manière
exceptionnelle, seulement de deux mouvements, qui
semblent être très différents l’un par rapport à l’autre dans
le rythme et dans la durée, mais dont le thème de base
commun nous permet de les considérer comme les deux
parties d’une œuvre unique.
Le même principe de la variation a été, toutefois, le
fondement de la déstructuration du système tonale
déclenché par le dodécaphonisme. En ce cas, le sujet
utilisé comme thème de base (l’unité des douze notes à
recombiner dans le nombre le plus grand possible de
formulations, selon les lois de la sérialité) est un simple
prétexte pour alimenter la production d’un nombre indéfini
de variantes.
L’un des intérêts principaux de notre travail a pourtant été
l’analyse des différences décelables entre les différentes
formes de la variation romanesque, c’est-à-dire entre les
manières particulières utilisées par les romanciers pour
transposer le principe de composition de la variation sur
thème dans la structure architectonique du roman, en les
distinguant surtout sur la base des deux cas principaux
d’utilisation de ce modèle.

349
Cette forme a été employée, selon les cas, à la manière
de Beethoven et donc comme un principe de composition
unitaire – qui est fonctionnelle à la concentration de la
réflexion sur un thème bien défini – ou plutôt comme
technique de désagrégation de la forme, donc dans le
même but expérimentale que Schoenberg qui, grâce à
l’artifice des variantes sérielles remet en question le
concept de forme en lui-même.
Au cours des trois chapitres de la thèse, nous avons donc
démontré qu’appartiennent à la première catégorie des
romanciers comme Milan Kundera, Danilo Kiš et
Kenzaburo Ōe, qui favorisent une conception du roman en
tant qu’art de la condensation de la variété (la variété du
réel) dans une unité (l’unité de la forme), et qui adoptent
le principe de composition de la variation sur thème dans
ce but, alors que la deuxième catégorie compte des
romanciers comme Michel Butor, Italo Calvino ou Robert
Pinget, qui utilisent les variations comme éléments d’une
architecture « désagrégée », qui sert à la dénonciation de
l’état chaotique dans lequel se trouve le monde.

350
BIBLIOGRAFIA

La nostra indagine intorno agli esiti conseguiti dall’elaborazione del


principio delle variazioni su tema nel romanzo, sostenuta da un
approccio prevalentemente teorico, non sarebbe stata ipotizzabile
senza la considerazione di un determinato corpus di romanzi (tutti
contemporanei) di cui, nel corso delle sue diverse fasi, si è nutrita la
nostra riflessione e a cui, per questa ragione, nella presente
bibliografia intendiamo offrire maggiore risalto.
Avviamo l’elenco delle notizie bibliografiche con i nomi degli autori
dei romanzi - e le relative opere – di cui ci siamo maggiormente
avvalsi e che scegliamo di disporre secondo un ordine alfabetico.
A seguire, la bibliografia critica.

ROMANZI

Broch, Hermann:
I Sonnambuli (1928-1931), M. Rizzante (a cura di), trad. it. di C.
Bovero, Prefaz. di M. Kundera, Postfaz. di C. Fuentes, Edizioni
Mimesis, Milano-Udine 2010.

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Butor, Michel:
L’impiego del tempo (1956), trad. it. di O. del Buono, Mondadori,
Milano 1960.
La modificazione (1957), trad. it. di S. C. Perroni, Fandango, Roma
2006.

Calvino, Italo:
Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979), Oscar Mondadori,
Milano 1994.

Ergal, Yves-Michel:
L’Offrande musicale, Calmann-Lévi, Paris 1993.

Gide, André:
I Falsari (1925), trad. di O. del Buono, Bompiani, Milano 2004.

Huston, Nancy:
Les Variations Goldberg, Babel, Paris 1981.

Huxley, Aldous:
Punto contro punto (1928), trad. it. di S. Spaventa Filippi, Milano
1980.

Jonke, Gert:
L’école du virtuose (Schule des Geläufigkeit,1985), trad. fr. di U.
Muller e D. Denjean, Prefaz. di J-Y. Masson, Éditions Verdier, Paris
1992.

352
Kiš, Danilo:
Enciclopedia dei morti (1984), trad. it. di L. Costantini, Adelphi,
Milano 1988.

Kundera, Milan:
Lo Scherzo (1967), trad. it. di G. Dierna [A. Barbato], Adelphi, Milano
1986.
La vita è altrove (1969), trad. it. di A. Ravano, Adelphi, Milano 1987.
Il Valzer degli addii (1973), trad. it. di S. Vitale e A. Mura, Adelphi,
Milano 1989.
Il libro del riso e dell’oblio (1978), trad. it. di A. Mura, Adelphi, Milano
1991.
L’insostenibile leggerezza dell’essere (1984), trad.it. di G. Dierna / A.
Barbato, Adelphi, Milano 1985.
L’immortalità (1988), trad. it. di A. Mura, Adelphi, Milano 1990.
L’Ignoranza (2000), trad. it. di G. Pinotti, Adelphi, Milano 2001.

Mann, Thomas:
La montagna incantata (1924), trad. it. e Intro. Di E. Pocar, Prefaz. di
G. Montefoschi, Corbaccio, Milano 1992.

Ōe, Kenzaburō:
Il Grido silenzioso, trad. it. di N. Spadavecchia, Garzanti, Milano
1999.

Pinget, Robert:
Passacaille, Éditions de Minuit, Paris 1969.

353
Proust, Marcel:
Alla ricerca del tempo perduto, trad. it. di G. Raboni, L. De Maria (a
cura di), 8 vol., Oscar Mondadori, Milano 1995.

Robbe-Grillet, Alain:
Nel Labirinto, trad. it. di F. Lucentini, Einaudi, Torino 1960.
La Gelosia (1957), trad. it., Prefaz. e Postfaz. di F. Lucentini,
Einaudi, Torino 1958.

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365
INDICE

INTRODUZIONE 3

CAPITOLO 1. LA VARIAZIONE SU TEMA DALLA MUSICA AL ROMANZO 17


1.1. Repetita iuvant 17
1.2. La variazione su tema da Bach a Schönberg 25
1.3. Il problema della forma e del contenuto 50
1.4. Saggezza del romanzo e della musica 66

CAPITOLO 2. DALLA FILOSOFIA AL ROMANZO: CONFRONTO TRA


88
METODO E FORMA DELLA VARIAZIONE SU TEMA
2.1. La seconda volta non è una ripetizione 88
2.2. Romanzi filosofici o romanzi «che pensano» 104
2.3. Metodo versus forma 131

CAPITOLO 3. LA VARIAZIONE: MODELLO DELL’ESISTENZA E PRINCIPIO


151
COMPOSITIVO DEL ROMANZO
3.1. «Ce fut d’abord une étude» 151
3.2. Perché il romanzo del Novecento 165
3.3. Sulla musicalizzazione del romanzo 186
3.4. L’aspirazione del romanzo alla totalità 205
3.5. Variazione su tema o la forma della massima totalità 230
3.6. Le due vie della musicalizzazione del romanzo. Variazione come
principio di composizione o di “disgregazione” della forma 254

CONCLUSIONI 302
SINTESI IN FRANCESE 309
BIBLIOGRAFIA 351

366
Résumé en français : Le principe de composition de la variation sur
thème dans le roman du XXème siècle
Le modèle formel de la variation sur thème, qui est célèbre surtout à cause de son emploi en tant
que principe de composition musical – notamment pour les développements que y ont apporté des
artistes comme Bach, Beethoven ou Schönberg -, toutefois n’épuise pas ses potentialités
expressives exclusivement dans le cadre de cet art.
Dans le roman, notamment, l’adoption du principe de composition nommé variation sur thème, qui
implique la présentation du même thème (ou motif) par de perspectives différentes (que peuvent
correspondre au point de vue des diverses personnages ou à la distance temporelle différente prise
en rapport à la narration du même événement), semble se présenter comme un expédient
idéalement fonctionnel à l’obtention de l’objectif cognitif le principal de cet art, qui concerne le
dévoilement de la substantielle relativité de toutes les vérités apparentes.
Alors que de romanciers tel que Milan Kundera ou Danilo Kiš, dans leurs œuvres, semblent avoir
interprété le modèle des variations comme un principe fonctionnel à la réalisation d’une structure
organique et unitaire, parfaitement concentrée autour du thème, dans d’autres romans
contemporains, par exemple dans Si une nuit d’hiver un voyageur (1979) de Italo Calvino o dans
Les variations Goldberg (1981) di Nancy Huston, les variations assument une disposition de type
sériel.
Dans ces derniers cas, la forme de la variation sur thème est utilisée, plutôt que comme un modèle
de composition, comme un principe de désagrégation de la matière romanesque.
Mots-clés : Variation, Forme, Roman, Bach, Beethoven, Schönberg, Milan Kundera, Danilo Kiš,
Italo Calvino, Nancy Huston.

Résumé en anglais : Theme and variation in 20th century novel


Theme and variation, a formal technique that is popular mainly through its applications within
music, in particular thanks to contributions by artists such as Bach, Beethoven or Schönberg,
nevertheless has expressive potentials that go beyond the boundaries of this art.
In particular, it is in the novel that the use of variation as a composing principle, implying the
presentation of a single central theme or motif by different perspectives (that may correspond to
the point of view of different characters, or to different amounts of time elapsed from the actual
happening of an event to its narration), seems to lend itself as the ideal device to achieve the main
cognitive objective of this art, that is the unveiling of the substantial relativity of all things.
While novelists such has Milan Kundera or Danilo Kiš seem to have developed, in their work, the
theme and variation technique as a principle that is functional to an organic and uniform form of
composition, ideally focused on a single theme, in other novels, such as If on a winter's night a
traveler (1979) by Italo Calvino or Variations Goldberg (1981) by Nancy Huston, the variations
are disposed so as to acquire a serial connotation. In those latter cases, the theme and variation
technique is used as a functional principle for the disaggregation of the matter of the novel, rather
than as a composition technique.
Keywords: Variation, Form, Novel, Bach, Beethoven, Schönberg, Milan Kundera, Danilo Kiš,
Italo Calvino, Nancy Huston.
Discipline : École doctorale III : « Littératures française et comparée »
Spécialité : Littérature comparée

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