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documenti di lavoro
del centro internazionale di scienze semiotiche
dell’università degli studi di urbino carlo bo
11
Direttore
Gianfranco Marrone
Università degli Studi di Palermo
Comitato scientifico
Roberta Bartoletti
Università degli Studi di Urbino Carlo Bo
Giovanni Boccia Artieri
Università degli Studi di Urbino Carlo Bo
Vincenzo Fano
Università degli Studi di Urbino Carlo Bo
Dario Mangano
Università degli Studi di Palermo
Gianfranco Marrone
Università di Palermo
Tiziana Migliore
Università degli Studi di Urbino Carlo Bo
Isabella Pezzini
Sapienza Università di Roma
Pubblicazione realizzata con il contributo del CiSS, Centro internazionale di Scienze Se-
miotiche Umberto Eco dell’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, Dipartimento di
Scienze della Comunicazione, Studi Umanistici e Internazionali.
riflessi
documenti di lavoro
del centro internazionale di scienze semiotiche
dell’università degli studi di urbino carlo bo
I “Documenti di lavoro” propongono opere di alto livello scientifico nel campo degli
studi di semiotica, anche in lingua straniera per facilitarne la diffusione internazionale.
Quest’opera, approvata dal direttore, è stata anonimamente sottoposta alla valutazione di
due revisori, anch’essi anonimi: uno tratto da un elenco di studiosi italiani e stranieri, de-
liberato dal comitato di direzione; l’altro appartenente allo stesso comitato in funzione
di revisore interno. La revisione paritaria e anonima (peer review) è fondata sui seguen-
ti criteri: significatività del tema nell’ambito disciplinare prescelto e originalità dell’ope-
ra; rilevanza scientifica nel panorama nazionale e internazionale; attenzione adeguata alla
dottrina e all’apparato critico; rigore metodologico; proprietà di linguaggio e fluidità del
testo; uniformità dei criteri redazionali. Quest’opera ha ricevuto una valutazione com-
plessiva superiore a 8/10. Le schede di valutazione sono conservate, in doppia copia, in
appositi archivi.
EUGENIO COSERIU
SISTEMA, NORMA
E PAROLA
traduzione, postfazione e cura di
TIZIANA MIGLIORE
introduzione di
ROSSANA DE ANGELIS
©
isbn
979–12–5994–xxx–x
prima edizione
r o m a 4 novembre 2021
Opera originale:
Eugenio Coseriu
Sistema, norma y habla, 1952, poi in
Teoría del lenguaje y lingüística general. Cinco Estudios
isbn 978-8424905057
Gredos, Madrid 1989.
9 Introduzione
Rossana de Angelis
45 Eugenio Coseriu
Sistema, norma e parola
125 Postfazione
Modernità di un classico.
Coseriu per una semiotica delle norme
Tiziana Migliore
141 Bibliografia
7
Introduzione
9
10 Introduzione
1. Lingua e parola
(9) «De ces deux sphères la sphère parole est la plus sociale, l’autre est la plus com-
plètement individuelle. La langue est le réservoir individuel; tout ce qui entre dans la lan-
gue, c’est-a-dire dans la tête, est individuel. Du côté interne (sphère langue) il n’y a ja-
mais préméditation ni même de méditation, de réflexion sur les formes, en dehors de
l’acte, <de l’occasion> de la parole, sauf une activité inconsciente, presque passive, en
tous cas non creatrice: l’activité de classement. Si tout ce qui se produit de nouveau s’est
crée à l’occasion du discours c’est dire en même temps que c’est du côté social du lan-
gage que tout se passe. D’autre <part> il suffira de prendre la somme des trésors de lan-
gue individuels pour avoir la langue. Tout ce que l’on considère en effet dans la sphère
intérieure de l’individu est toujours social parce que rien n’y a pénétré qui <ne soit> d’a-
bord <consacré par l’usage> de tous dans la sphère extérieure de la parole» (I R: 65-66).
(10) «Cette chose bien qu’intérieure à chaque individu est en même temps bien col-
lectif, qui est placé hors de la volonté de l’individu» (III C 308a).
(11) CLG/E (note di Riedlinger): «Tous les faits de langage, les faits évolutifs surtout,
forcent de se placer en face de la parole d’une part et d’autre part du réservoir des formes
pensées ou connues de la pensée» (CLG/E: I R 2.23).
(12) CLG/E (note di Riedlinger): «Il faut donc se mettre en face de l’acte de la paro-
le pour comprendre une création analogique. La nouvelle forme je trouve ne se crée pas
dans une assemblée de savants discutant sur le dictionnaire. Pour que cette forme pénètre
dans la langue, il faut que 1° quelqu’un l’ait improvisée, et 2° improvisée à l’occasion de
la parole, du discours, […]» (CLG/E: I R 91).
(13) Ciò si ripercuote sull’organizzazione della linguistica come disciplina. «La lin-
guistique, j’ose le dire, est vaste. Notamment elle comporte deux parties: l’une qui est
plus près de la langue, dépôt passif, et l’autre qui est plus près de la parole, force active
et origine véritable des phénomènes qui s’aperçoivent ensuite peu à peu dans l’autre moi-
tié du langage» (ELG: 273).
14 Introduzione
(14) «Tout ce qui est langue est implicitement collectif. En revanche il n’y a pas de
parole collective» (III C 308a).
(15) «Si nous pouvions examiner le dépôt des images verbales dans un individu, con-
servées, placées dans un certain ordre et classement, nous verrions là le lien social qui
constitue la langue» (III C 269).
(16) «L’acte social ne peut résider que chez les individus additionnés les uns aux autres,
mais comme pour tout fait social, il ne peut être considéré hors de l’individu» (III C 268).
(17) «Tout ce qui est amené sur les lèvres par les besoins du discours et par une
opération particulière: c’est la parole» (I R: 65).
(18) «L’acte individuel, quand il s’agit de langue, suppose deux individus» (III C 266).
(19) «C’est pourquoi à aucun moment, contrairement à l’apparence, le phénomène
sémiologique quel qu’il soit ne laisse hors de lui-même l’élément de la collectivité socia-
le: la collectivité sociale et ses lois est un de ses éléments internes et non externes, tel est
notre point de vue» (ELG: 290).
Introduzione 15
(20) «Il n’y a rien dans la langue qui n’y soit entré <directement ou indirectement>
par la parole, c’est-à-dire par la somme des paroles perçues, et réciproquement il n’y a de
parole possible que lors de l’élaboration du produit qui s’appelle la langue et qui fournit
à l’individu les éléments dont il peut composer sa parole» (Notes Constantin, III C 304).
(21) «S’il est vrai que l’on a toujours besoin du trésor de la langue pour parler, récip-
roquement tout ce qui entre dans la langue a d’abord été essayé dans la parole un nombre
de fois suffisant pour qu’il en resulte une impression durable: la langue n’est que la con-
sécration de ce qui avait été evoqué <par> la parole» (I R: 65).
16 Introduzione
Nella versione lunga del saggio Sistema, norma e parola, Coseriu (1952a,
1952b) passa in rassegna diverse interpretazioni delle nozioni di langue e pa-
role. Seguendo il percorso costruito dall’autore, oltre alle riletture proposte
da Charles Bally (1865-1947) e Albert Sechehaye (1860-1946), continuatori
immediati del pensiero saussuriano, Coseriu mette a confronto, direttamente
o indirettamente, le riletture proposte da linguisti diversi: Giacomo Devoto
(1897-1974), Hermann Paul (1864-1940), Otto Jaspersen (1860-1943), Ha-
rold Palmer (1877-1949), Walter Porzig (1895-1961), Louis T. Hjelmslev
(1899-1965), Alan H. Gardiner (1879-1963), Aarni Penttilä (1899-1971),
Viggo Brøndal (1877-1942), Walter von Wartburg (1888-1971), Karl Bühl-
er (1879-1963), Antonino Pagliaro (1898-1973), Nikolaï S. Troubetzkoï
(1890-1938), Betil Mamberg (1913-1994), André Martinet (1908-1999)…
Seguendo questo percorso, e senza soffermarci sulle diverse teorie evo-
cate nella versione lunga del saggio (Coseriu 1952a, 1952b), ci si rende
conto allora che le nozioni di langue e parole sono definite a partire da une
serie di dicotomie più o meno esplicite, ma in ogni caso presupposte dalle
definizioni citate. La coppia langue/parole si presenta come una dualità(25)
che può essere descritta attraverso queste dicotomie senza per questo di-
ventare essa stessa una dicotomia.
fondato sulle reciproche relazioni degli strati della forma, della sostanza e
della materia.
Allo strato della forma corrisponde l’insieme delle abitudini previste dal si-
stema (schema); allo strato della sostanza corrisponde l’insieme delle abi-
tudini ammesse dal sistema (norma); allo strato della materia corrisponde
l’insieme delle realizzazioni individuali e contingenti (uso). Il passaggio da
uno strato all’altro corrisponde al passaggio da una forma vuota (lo schema:
valore puramente relazionale e differenziale di una forma rispetto alle altre
forme del sistema) a – nei termini di Hjelmslev – una «forma materiale», una
forma piena che prevede una materializzazione (norma).
Questa riflessione si ritrova in germe nelle tracce dell’intervento di Hjel-
mslev contenute nel fascicolo della Conférence européenne de séman-
tique(38). Il fascicolo è composto da un corpus di documenti (ff. 32-185)
che testimoniano della preparazione di questa conferenza: lettere, biglietti,
telegrammi, ricevute, note, ecc., e fra questi anche gli interventi preparati
dai linguisti che vi hanno preso parte. Esso contiene, in particolare, tre
documenti (f. 125[95], f. 126[96], f. 127[97]) che formano un insieme in-
tegrato nel corpus, ma nello stesso tempo distinto per colore e testura del
supporto. Questo insieme è seguito da un quarto documento (f. 128[98])
che sembra una rielaborazione del terzo (f. 127[97]), ma si distingue dai
primi per le stesse ragioni. Poiché questa parte del fascicolo è riservata
agli interventi spediti dai linguisti che hanno preso parte alla Conférence
européenne de sémantique, sembra si tratti dei fogli spediti o portati o uti-
lizzati da Hjelmslev come supporto al suo intervento. Questa supposizione
è dovuta a più ragioni: il posto occupato dai documenti all’interno del fa-
scicolo, la relazione che intrattengono con gli altri documenti, e soprattutto
la concordanza fra i termini utilizzati in questi documenti e l’avanzamento
della riflessione di Hjelmslev sulla relazione fra schema, norma e uso nel
passaggio dall’articolo già pubblicato, Langue e parole (1943), all’articolo
che verrà pubblicato in seguito, La stratification du langage (1954), in cui
queste stesse nozioni vengono affinate.
Nel fascicolo della Conférence européenne de sémantique ritroviamo que-
sta riflessione nel primo documento qui riprodotto (f. 127[97]), seguito dal
secondo documento (f. 128[98]) che sembra essere una rielaborazione del
primo (f. 127[97]).
(38) Émile Benveniste, (1902-1976). Auteur de lettres. Recueil. Conférence eu-
ropéenne de sémantique, Nice, 26-31 mars 1951. 1950-1951. [ff. 32-185]. Source galli-
ca.bnf.fr / Bibliothèque nationale de France. Département des Manuscrits. Papiers d’o-
rientalistes 29 (2).
Introduzione 25
26 Introduzione
Nella prima tabella (f. 127[97]) troviamo tre colonne: quella dello sche-
ma, quella della norma, quella della parole (che prende il posto dell’uso).
Entrambe vengono descritte secondo i piani (del contenuto e dell’espres-
sione) e la funzione.
• Nella prima colonna, lo schema è oggetto della «plèrémique», disciplina
che si occupa dei «plérèmes» come grandezze della forma del contenu-
to (grandezze plerematiche, Hjelmslev 1954, trad. it. 1981: 39), e della
«cénémique», disciplina che si occupa dei «cénèmes» come grandezze
della forma dell’espressione (grandezze cenematiche, Hjelmslev 1954,
trad. it. 1981: 39), e coincidono con ciò che nel modello saussuriano del
segno si chiamano «signifié» e «signifiant». La funzione segnica è la
«signification».
• Nella seconda colonna, la norma è oggetto della «sémémique», disciplina
che si occupa dei «sémèmes» intesi come grandezze della forma del con-
tenuto, e della «phonémique», disciplina che si occupa dei «phonèmes»
intesi come grandezze della forma dell’espressione sonora(39) («graphé-
mique» sarebbe, infatti, la disciplina che si occupa dei «graphèmes» in-
tesi come grandezze della forma dell’espressione grafica), e coincidono
con ciò che nel modello del segno si chiamano «désigné» e «désignant».
La funzione segnica è la «désignation». La norma occupa il posto della
manifestazione, ossia la relazione specifica tra forma e sostanza (Hjel-
mslev 1954, trad. it. 1981: 39): «una certa grandezza all’interno della
forma costituisce il valore che viene attribuito, nel sistema semiotico in
considerazione, alla corrispondente grandezza della sostanza con cui si
manifesta» (Hjelmslev 1954, trad. it. 1981: 39-40). La norma occupa lo
spazio della manifestazione.
• Nella terza colonna, la parole (che occupa il posto dell’uso) è oggetto
della «sémique», disciplina che si occupa dei «sèmes» come unità mini-
me della forma del contenuto, della «phonique», disciplina che si occupa
dei «phones» come unità minime della forma dell’espressione, e posso-
no essere associati a ciò che nel modello del segno si chiamano «référé»
e «référant». La funzione segnica è la «référence».
(40) L’espressione “norme établie” lascia il posto alla più semplice “norma” (Hjel-
mslev 1954).
28 Introduzione
(42) «Le système [...] comprend tout ce qui est objectivement fonctionnel (distinctif).
[...] le système est un ensemble de possibilités de réalisation: il comprend aussi ce qui
n’a pas été réalisé, mais qui est virtuellement existant, ce qui est “possible” [...]» (Cose-
riu 2001, pp. 246- 247).
Introduzione 31
dizionali; comprende ciò che “esiste” già, ciò che si trova realizzato nella
tradizione linguistica […] (Coseriu 2001: 246-247, trad. mia(43)).
Coseriu distingue allora tre dimensioni: quella della lingua (sistema fun-
zionale), quella della norma (sistema normale), quella della parole (gli atti
individuali e collettivi). In questo modo, la nozione saussuriana di langue
viene scomposta nelle due nozioni di sistema (sistema funzionale) e norma
(sistema normale), mentre la parole rimane la dimensione degli atti lingui-
stici concreti. «Norma e sistema non sono quindi concetti a priori che noi
applichiamo al parlare concreto, ma forme che si manifestano – o meglio,
che noi distinguiamo – negli stessi atti linguistici individuali» (cfr. infra).
Come scrive nella versione lunga di questo stesso saggio, la linguisti-
ca viene considerata come «scienza della cultura» (Coseriu 1952, trad.
it.: 48). Se si estende la riflessione di Coseriu ai sistemi di segni non lin-
guistici, uno spazio si apre fra il sistema e la sua realizzazione per tutti i
sistemi di segni, e lo spazio è quello della norma: «la norma, infatti, può
considerarsi come sistema di realizzazioni obbligatorie, di “imposizioni”
sociali e culturali, e dipende dall’estensione e dall’indole della comunità
considerata» (cfr. infra).
sua riflessione intorno alla nozione cardine del saggio presente in questa
riedizione.
Scritto maggiormente nel 1955, poi ampliato nel 1956-57, il saggio Sin-
cronía, diocronía e historia. El problema del cambio lingüístico(44) è stato
pubblicato per la prima volta a Montevideo nel 1957, poi indipendente-
mente nel 1958. La genesi di questo scritto è quindi ulteriore rispetto al
saggio qui riedito, e la definizione di norma più complessa.
Il saggio è dedicato al problema del cambio linguistico. Coseriu parte
dall’assunto che nella lingua i fattori “esterni”(45) sono forze di cambiamen-
to da un punto di vista diacronico (lingua intesa come parlare concreto)
mentre i fattori “interni” sono forze di resistenza da un punto di vista sin-
cronico (lingua intesa come sistema astratto). Il cambio linguistico può
concepirsi però da un punto di vista diacronico soltanto considerando due
stati di una lingua: per questa ragione, ad esempio, arcaismi e neologismi
sono tali soltanto da un punto di vista sincronico rispetto a un determinato
stato di lingua. Il carattere a-storico della lingua concerne quindi la sua
descrizione, non la sua natura ineluttabilmente storica.
Coseriu permette di considerare la lingua diversamente: essa è nello
stesso tempo sistema e istituzione, e affinché possa mantenersi come si-
stema deve poter cambiare incessantemente proprio in quanto istituzione.
«La lingua si fa attraverso il cambiamento, e “muore” in quanto tale quan-
do smette di cambiare» (Coseriu 1958/1978: 283, trad. mia). Solo così
possiamo comprendere l’idea di lingua come ἐνέργειᾰ, oggetto storico che
in quanto tale presuppone insieme permanenza e trasformazione.
Nella lingua il cambiamento risiede nell’incessante modificarsi degli
usi, quindi dell’equilibro del sistema in generale che si basa sulle norme
che a loro volta si basano sugli usi. Tuttavia, non tutti i cambiamenti modi-
ficano il sistema: infatti, il sistema, proprio in quanto sistema di possibilità,
presuppone il cambiamento continuo pur permanendo tale fino a quando
si produce una modificazione della norma che viene accettata e integrata
(44) Sincronía, diocronía e historia. El problema del cambio lingüístico, Facultad
de Humanidades y Ciencias, Montevideo, 1958 (2a ed. 1973; 3a ed. 1978; Editorial Gre-
dos, Madrid).
(45) «Los hechos que realmente se imponen al individuo le son siempre exteriores
(son sólo “de otros”, y no “también de otros”) y son por excelencia antisociales. En cam-
bio, los hechos sociales no “se toleran” en común, sino que se aceptan como comunes y se
hacen en común. Su característica no es la “obligatoriedad”, en el sentido de imposición
externa, sino lo que — para destacar el sentido etimológico del término — podría llamar-
se “obligatoriedad”: tienen el carácter de empeño o compromiso contraído, de obligación
consentida (que era el sentido de lato obligatio)» (Coseriu 1958/1978, p. 44).
Introduzione 33
(46) «Mas esta lengua, determinada constantemente (y no de una vez por todas) por
su función, no está hecha sino que se hace continuamente por la actividad lingüística con-
creta: no es ἔργον, sino ἐνέργειᾰ, mejor dicho, es “forma” y “potencia” de una ἐνέργειᾰ»
(Coseriu 1958/1978, pp. 30-31).
(47) «Como ya decía Platón [Cratylus, 378b-388d], el hablar es acto (πρᾶξις) que uti-
liza palabras puestas a su disposición por el “uso” (νόμος) y hay que agregar que el acto
manifiesta concretamente el νόμος y, al manifestarlo, lo supera y lo modifica» (Coseriu
1958/1978, p. 32).
34 Introduzione
In generale, si può dire, quindi, che una lingua funzionale (lingua che può
essere parlata) è un “sistema di opposizioni funzionali e realizzazioni nor-
mali” o, meglio, sistema e norma. Il sistema è un “sistema di possibilità, di
coordinate che indicano le strade aperte e le strade chiuse” di un discorso
“comprensibile” in una comunità; la norma, invece, è un “sistema di re-
alizzazioni obbligate” […], socialmente e culturalmente consacrate: non
corrisponde a ciò che “si può dire”, ma a ciò che è già stato “detto” e tra-
dizionalmente “si dice” nella comunità considerata. (Coseriu 1958/1978:
55, trad. mia).
(48) Un’applicazione al sistema fonologico dei concetti proposti da Coseriu nel sag-
gio Sistema, norma y habla è stata proposta da Ramírez Quesada (2017).
(49) « El sistema se aprende mucho antes que la norma: mu- cho antes de cono-
cer las realizaciones tradicionales para cada caso particular, el niño conoce el sistema de
«posi- bilidades», de donde sus frecuentes “creaciones sistemáticas” contrarias a la nor-
ma (como andé y cabí, por anduve y cupe), constantemente corregidas por los mayores»
(Coseriu 1958/1978, p. 138).
Introduzione 35
Poiché le cose non sono così semplici come appaiono, e poiché le nor-
me sono di diversa natura, Coseriu propone una distinzione ulteriore fra
norma funzionale e norma storica. La lingua intesa come sistema (la lin-
gua funzionale) non deve essere confusa con la lingua intesa come istitu-
zione (la lingua storica: il francese, lo spagnolo, l’inglese… ecc.) poiché
quest’ultima può comprendere diversi sistemi. «Così, ad esempio, realiz-
zazioni come [kaθa] e [kasa], per caza, sono ugualmente spagnole, ma
corrispondono a due sistemi diversi: in un sistema si distingue tra casa e
caza, mentre nell’altro tale distinzione non può essere fatta (almeno fo-
nematicamente). Lo “spagnolo” è, quindi, un “archisistema” all’interno
del quale sono inclusi diversi sistemi funzionali. L’equilibrio tra i sistemi
racchiusi da un archisistema può essere definito norma storica» (Coseriu
1958/1978: 56-57, trad. mia). Così una lingua non coincide con un solo si-
stema o una sola norma, ma con tutto ciò che in una lingua è riconoscibile,
nel contempo, come sistematico, sociale, storico, quindi culturale (Cose-
riu 1958/1978: 62). E la norma concerne sempre una comunità linguistica
data: cambiando comunità linguistica, cambia anche la norma.
Queste considerazioni non si applicano esclusivamente al sistema lin-
guistico, ma più generalmente a qualsiasi sistema semiologico. La rifles-
sione di Coseriu oltrepassa la linguistica, permettendoci di ripensare le
dinamiche proprie delle istituzioni.
Questa commistione di sociale, storico, culturale nel concetto di nor-
ma emerge soprattutto nell’analisi lessicale, cui Coseriu consacra il saggio
Structure lexicale et enseignement du vocabulaire pubblicato nel 1966(50).
La norma include nella “tecnica del discorso” tutto ciò che non è necessa-
riamente funzionale (distintivo), ma che è ancora tradizionalmente (social-
mente) fissato, che è uso comune e corrente della comunità linguistica. Il
sistema, invece, include tutto ciò che è oggettivamente funzionale (distin-
tivo). La norma corrisponde grosso modo alla lingua come “istituzione so-
ciale”; il sistema è la lingua come insieme di funzioni distintive (strutture
di opposizione). Come corollario, la norma è un insieme formalizzato di
realizzazioni tradizionali; comprende ciò che “esiste già”, ciò che si trova
realizzato nella tradizione linguistica; il sistema, invece, è un insieme di
possibilità di realizzazione: comprende anche ciò che non è stato realizzato
ma che è virtualmente esistente, ciò che è “possibile”, cioè ciò che può
essere creato secondo le regole funzionali della lingua (Coseriu 1966: 205,
trad. mia).
pi sottesi alle “regole” adottate nel sistema. Per questa ragione, la norma
concerne le realizzazioni concrete mentre il sistema quelle possibili e il
tipo quelle concepibili. Un solo sistema può quindi comprendere diverse
norme così come sistemi diversi possono corrispondere a uno stesso tipo
linguistico. Questi tre gradi di generalità si includono l’un l’altro (Coseriu
1968: 278). E la lingua risulta un sapere tecnico di possibilità in parte rea-
lizzate, in parte non realizzate ma realizzabili.
6. Conclusione
Riferimenti bibliografici
di Eugenio Coseriu
45
46 Sistema, norma e parola
Devoto, che pure dubita dell’utilità delle eccessive astrazioni cui giun-
ge la scuola danese, abbozza in seguito una concezione della parole non
meno astratta:
Tuttavia — scrive — la mia vera obiezione sta nella posizione del problema della
parole, scissa analogamente nelle due unità “fonica” e “semica”. La parole si
distingue a mio avviso dalla langue non solo quantitativamente, ma per la sua
struttura. La parole non può avere legami con lo schema né con la norma di una
lingua perché non è ancora suono né segno, non si sa ancora se si realizzerà in
parole grammaticali o in linee, colori o note musicali.
A questa parole che esiste e non esiste, che — per non essersi ancora
espressa — è solo intuizione o pensiero (e dunque non è un fatto lingui-
stico né estetico ma semplicemente psicologico, come processo psichico
o anche logico per via della sua coerenza intima o del suo rapporto con la
realtà) o che comunque è solo un’intenzione, una virtualità, Devoto de-
dica la sua semantica, intesa come linguistica del discorso. La semantica
si identificherebbe con quest’ultima, benché il discorso implichi solo il
concreto fissarsi di determinate relazioni significative individuali che, in
generale, preesistono nella lingua — nella misura in cui essa preesiste al
1.2. Qui però non intendiamo criticare, sulla base di una frase isolata
esposta a varie interpretazioni, la concezione linguistica di Devoto, che
ha solide e innegabili basi teoriche, né intendiamo sviluppare una nostra
teoria personale della parole. Ci preoccupa invece accertare se, dal punto
di vista metodologico, la tripartizione di Hjelmslev, fondata su altre basi
e in termini molto diversi, possa risultare utile, vantaggiosa e anche ne-
cessaria per la linguistica teorica e la linguistica storica, tanto sincronica
quanto diacronica. Si tratta cioè, da un lato, di contribuire a una migliore
comprensione della realtà intima e del modo di essere di quella comples-
sa attività umana che è il linguaggio, dall’altro di comprendere meglio
la natura di quei sistemi storico-culturali che comunemente chiamiamo
lingue e il fattore intrinseco del loro sviluppo: il mutamento linguistico e
il meccanismo della sua produzione e diffusione. Va detto subito che la tri-
48 Sistema, norma e parola
partizione che proponiamo potrebbe essere letta come una scissione della
langue saussuriana. Quest’interpretazione, però, non è necessaria né cor-
retta, perché il nostro concetto di lingua non coincide in alcun modo con
quello di Saussure e dei suoi continuatori. Per noi la langue si colloca in un
momento successivo all’analisi del linguaggio, come fenomeno concreto,
e corrisponde alla linguistica storica più che a quella teorica.
Devoto ha certo ragione quando esprime i suoi dubbi sull’opportunità
delle eccessive astrazioni e sul geometrismo cui approdano alcuni cultori
della linguistica strutturale, in particolare Hjelmslev. Anche altri linguisti,
di orientamento assai diverso da quello di Devoto, come André Martinet
(1942-45), pur riconoscendo la genialità delle costruzioni teoriche del pro-
fessore di Copenaghen, hanno segnalato i rischi impliciti della riduzione
della linguistica a un’algebra di forme vuote e del rifiuto della sostanza
fonica. È certamente vero che la realtà del linguaggio è movimento (cioè
che il linguaggio è attività, “creazione perenne”) e che dunque ogni sistema
sincronico si basa su un equilibrio instabile ed è necessariamente un’astra-
zione; ma un conto è essere al corrente dei rischi che questa astrazione
comporta e un altro è mettere in dubbio la sua ineluttabilità teorica come
condizione necessaria di ogni conoscenza scientifica. Infatti, pur ammetten-
do anche noi che una riflessione puramente strutturale porti spesso lontano
dalla “vita” del linguaggio, cioè dalla sua realtà concreta, non ne deducia-
mo, come corollario, che convenga rifiutare del tutto l’astrazione. Senza
astrazione, infatti, non è possibile accertare verità generali e principi co-
stanti nella molteplicità, frammentarietà e eterogeneità dei fenomeni; ac-
certare cioè nel materiale del linguaggio quegli aspetti ideali o formali che
costituiscono il vero oggetto della linguistica come scienza della cultura(2).
(2) Diciamo, en passant, che non concordiamo con il giudizio un po’ sprezzante della
linguistica attuale sui termini “astratto” e “astrazione”. Tale giudizio è dovuto all’errore
semantico di pensare che “astratto” sia un sinonimo di “fittizio”, “arbitrario”, “non com-
provato dai fatti”, “irreale”, “non vero”, “falso”, ecc... È evidente che se si dà un unico si-
gnificato di “astratto”, opponendolo esclusivamente a “concreto”, il termine non può si-
gnificare “non vero” o “meno vero del concreto”, ma soltanto “più vero”. La frase “tre più
tre è uguale a sei” è più vera della frase, relativamente meno astratta, “tre cavalli più tre
cavalli è uguale a sei cavalli”, perché indica una verità più generale. In linguistica, dun-
que (come in altri campi), l’errore vero è dovuto non all’astrazione in sé, che è un’ope-
razione scientifica indispensabile, ma al fatto di considerare le astrazioni realtà concrete
(vedi le cosiddette Ursprachen) o indipendenti e separate dai fatti concreti (è il caso del-
la langue) e di applicare al linguaggio modelli esterni non dedotti dalla sua realtà concre-
tamente accertata. È ciò che accade in molte filosofie del linguaggio e nella grammatica
generale di tendenza logicista.
Sistema, norma e parola 49
Forse è vero, come osserva Devoto, che con l’analisi della struttura anato-
mica umana ci allontaniamo dalla conoscenza dell’uomo vivo, ma ce ne
allontaniamo solo per avvicinarci di più a essa in seguito. Senza questo mo-
mento di astrazione, la conoscenza stessa dell’uomo vivo non è conoscen-
za effettiva, ma semplice presa di contatto o comunque non è conoscenza
comunicabile né scientifica. Il “movimento” peculiare del linguaggio ri-
sulterebbe incomprensibile se non si astraessero concetti da alcuni ideali
principi sincronici (nel senso non di “simultanei”, ma di “fuori dal tempo”),
che presiedono al medesimo movimento costituendone l’aspetto formale. A
parer nostro la linguistica, più delle altre scienze, deve muoversi costante-
mente, per la natura stessa del suo oggetto, fra i due poli opposti del con-
creto e dell’astratto: deve risalire dall’accertamento empirico dei fenomeni
all’astrazione delle forme ideali e sistematiche, e tornare poi ai fenomeni
concreti arricchita delle conoscenze generali ottenute con il lavoro di astra-
zione. L’importante è che non ci si conformi all’astrazione e non si ristagni
in essa, perché si può comprendere intimamente la realtà del linguaggio
solo nel terzo momento, quando ci si volge al concreto. Il linguista, se ci si
consente quest’immagine, dev’essere insieme botanico e giardiniere: deve
arrivare a costituire tipi astratti e ideali di fiori, ma soltanto per aver meglio
cura della vita capricciosa, complessa e ogni volta nuova e sorprendente dei
fiori vivi e concreti del suo giardino; dev’essere botanico per poter essere
un giardiniere migliore.
Altro punto fondamentale è che il botanico comprenda che i tipi ideali
che ha ottenuto non hanno esistenza autonoma in un mondo a parte, non
esistono al di fuori dei fiori concreti e indipendentemente da essi; e che
le forme astratte riassumono e generalizzano il concreto, ma non gli si
oppongono. Intendiamo dire che è estremamente importante non conside-
rare l’astrazione come un’altra realtà, ma soltanto come un aspetto for-
male e sistematico comprovato, per necessità scientifiche, nei fenomeni
concreti stessi, come un modo di affrontare quella realtà concreta, unica e
indivisibile che è il linguaggio umano.
In concreto esistono solo atti linguistici (Sprechakte), esiste solo il
discorso (das wirkliche Sprechen, das Gespräch), l’attività linguistica
(Sprechtätigkeit). Un’attività che è a un tempo individuale e sociale, che
di per sé è asistematica, essendo perenne creazione di espressioni inedite
corrispondenti a intuizioni inedite, e nella quale distinguere un sistema
più o meno stabile non significa accertare una realtà altra, diversa dagli
atti linguistici. Tale distinzione è infatti soltanto un’astrazione scientifica
50 Sistema, norma e parola
2.1. Lo stesso Jespersen (1925, pp. 25 sgg.), a dispetto della sua ferma
concezione empirica e unitaria del linguaggio, quando si trova a dover
distinguere i due concetti, dà definizioni, esplicite e implicite, assai di-
vergenti. La langue (language) sarebbe «una specie di plurale del di-
scorso», «linguaggio collettivo», «il concetto comune che si ricava dai
linguaggi individuali»; e la lingua di una nazione sarebbe «il complesso
di abitudini con cui i suoi membri sono soliti comunicare gli uni con gli
altri»(6). Dall’altro lato la «parole» (speech) sarebbe, «nel senso più pro-
prio e stretto», il funzionamento linguistico momentaneo dell’individuo,
più o meno conforme all’uso linguistico delle persone che lo circonda-
no(7); ma, in un senso forse meno stretto, esso si identificherebbe con
il linguaggio individuale. Rispondendo alla comunicazione di Gardiner
al III Congresso internazionale dei linguisti, Jespersen chiarisce che si
tratta della distinzione tra concreto e astratto e che ci sono vari gradi
di astrazione, corrispondenti alle varie comunità considerate (a partire,
però, dalle abitudini linguistiche particolari dell’individuo)(8). Lo studio-
so danese fissa quindi una serie di opposizioni che, anche se non con-
traddittorie, non si possono però considerare in alcun modo identiche:
I) funzionamento linguistico momentaneo dell’individuo/uso linguistico
della comunità; 2) linguaggio individuale/linguaggio collettivo (concet-
to comune che si estrae dai linguaggi individuali, cfr. più avanti Walter
Porzig); 3) complesso di abitudini linguistiche di un individuo/comples-
so di abitudini linguistiche di una comunità; 4) linguaggio concreto/lin-
guaggio astratto (atti linguistici concreti/vari gradi di astrazione, incluso
anche il linguaggio individuale). Con quest’ultima opposizione torniamo
a Paul (nota 59), con la consapevolezza che nella realtà concreta propria
del linguaggio non è possibile distinguere alcunché.
tribuire a Saussure tutti i corollari che io stesso ho delineato nel mio recente libro Theory
of Speech and language». Cfr. Gardiner 1935. Traduzione nostra.
(6) Jespersen 1925, pp. 34-35. Cfr. Saussure 1916, trad. it., pp. 95-96.
(7) Ibidem, pp. 31-23. Cfr. Saussure, op. cit., p. 24.
(8) Atti del III Congresso internazionale dei linguisti, p. 354.
52 Sistema, norma e parola
(9) Cit. in Jespersen 1925, pp. 73-74. Cfr. Saussure, op. cit., pp. 29-30.
(10) Saussure, op. cit., pp. 24-25.
(11) Bally 1952, pp. 124 sgg. Cfr. inoltre Bally 1913 e Bally 1950.
Sistema, norma e parola 53
(12) Bally 1932, trad. it., p. 15. Cfr. Saussure, op. cit., p. 27.
(13) Bally 1932, trad. it., p. 83. Cfr. Saussure, op. cit., p. 29.
(14) Porzig 1950, pp. 106 sgg.. Cfr. Saussure, op. cit., p. 24, pp. 29-30, pp. 95-96.
(15) «Aber man muss bedenken, dass die Gesamtheit dieser Gewohnheiten ja erst
die Voraussetzunt ist für das wirkliche Sprechen, das heisst für das Gespräch. Das Ge-
spräch ist als tatsächliches Verhalten zwischen wirklichen Menschen zweifellos eine
Wirklichkeit; die Gesamtheit aller Gespräche in einer bestimmten Sprache würde man
also wohl als die Wirklichkeit dieser Sprache ansehen künnen». Porzig 1950, p. 108.
54 Sistema, norma e parola
(16) Gardiner 1951, in part. le pp. 68-93 e 106 e sgg. Cfr. inoltre la già citata comu-
nicazione The distinction of “Speech” and “Language”, Gardiner 1935.
(17) «Il discorso (Speech) è dunque un’attività esercitata universalmente, che ha
in primis finalità prettamente utilitaristiche. Descrivendola, scopriremo che consiste
nell’applicazione di una scienza che tutti possediamo, cioè la scienza detta linguaggio»
(Gardiner 1951: 62). «Il linguaggio è un termine collettivo e racchiude nel suo compas-
so tutti quegli elementi di conoscenza che consentono a un parlante di fare un uso effi-
cace dei segni verbali» (ibidem, p. 88). Traduzione nostra.
(18) Ibidem, p. 87. Cfr. anche Bally 1932, trad. it., cap. III, pp. 77-100.
(19) «Il discorso (speech), per come lo intendo io, e dubito che anche Saussure non
lo abbia inteso così, è l’attività provvisoria, storicamente unica, di impiego delle parole.
C’è discorso ogni qualvolta un oratore fa un’osservazione o un autore scrive una frase».
Gardiner 1935, p. 347. Traduzione nostra.
Sistema, norma e parola 55
Dopo aver constatato che la langue si genera solo a partire dalla paro-
le, che nel discorso coesistono “fatti di lingua” e “fatti di discorso”, che
la langue può essere considerata in astratto, esistente fuori dal discorso e
indipendentemente dalla parole (almeno dal punto di vista statico), mentre
la parole non può essere pensata fuori dalla langue e indipendentemente
da essa, dato che la langue costituisce in sé la sua stessa forma, il suo
“schema”, dopo tutto questo, insomma, è evidente, a voler essere coeren-
ti, che non è possibile mantenere la distinzione proposta inizialmente da
Saussure.
Ma Gardiner, pur portando alle estreme conseguenze la contraddizione
implicita nell’opposizione langue/parole, non giunge a trarne le uniche
conclusioni che ci sembrano coerenti: 1) o la langue è pura astrazione
dedotta a posteriori dal discorso concreto, come sistema degli elementi
costanti che vi si riscontrano, e l’unica realtà linguistica concreta è il di-
scorso che, volendo, può essere chiamato parole; 2) o la langue si identi-
fica con i “fatti di lingua” (facts of language, fatti linguistici sistematici e
convenzionali in una comunità) e la parole con i “fatti di parole” (facts of
speech, aspetto originale e inedito che si constata in ogni atto linguistico),
e allora langue e parole sono due aspetti che si distinguono all’interno
del discorso concreto; 3) oppure, se si considera la langue come qualco-
sa di esterno al discorso, neanche la parole potrà essere identificata con
tutto il discorso (nel quale si riscontrano anche fatti di lingua) ma con un
solo suo aspetto, l’aspetto concreto che ha luogo ogni volta nell’atto lin-
guistico esaminato. Il discorso sarà allora la convergenza di un “virtuale
concretizzato”, la langue, e di un “concreto primario”, la parole. Meglio
ancora sarebbe identificare la parole con qualcosa di esterno al discorso
stesso, con quel fattore psichico o impulso espressivo che si incontra e si
combina con la langue per costituire il discorso.
Dall’acutissima analisi di Gardiner deduciamo una serie di idee e di
prove davvero illuminanti per il nostro problema: 1) la lingua esiste come
“forma” nel discorso medesimo; 2) i “fatti di lingua” si constatano e si
distinguono concretamente soltanto nel discorso; 3) sono “fatti di lingua”
non solo le parole, ma anche le funzioni e i modelli sintattici, in quanto
“schemi non applicati”; 4) il “linguaggio individuale” (sistema degli atti
linguistici di un individuo) ha carattere di langue; 5) il discorso è un’at-
tività che si fonda su un sapere; 6) è possibile e giustificato dare il nome
di parole a un aspetto particolare del discorso; 7) la parole, in quanto
“discorso”, è in qualche misura langue o, se non lo è, non è nemmeno
Sistema, norma e parola 57
(29) Brøndal 1939, pp. 90-97. Cfr. Saussure 1916, trad. it., pp. 26-27, pp. 33-34, p. 145.
(30) Delacroix 1930, pp. 2-3. Cfr. Saussure 1916, trad. it., pp. 24-25.
Sistema, norma e parola 59
(31) von Wartburg, op. cit., pp. 8-12 e specialmente pp. 341-351.
(32) Cfr. Saussure 1916, trad. it., p. 24, p. 29, p. 30.
(33) Cfr. a questo proposito Jespersen, op. cit., pp. 17-18.
(34) «Solo attraverso la parole possiamo avvicinarci a essa [alla langue]. La langue
appare sempre e soltanto parzialmente. In un certo senso è come se la totalità della lan-
gue si trovasse continuamente avvolta nell’oscurità, ma si rendesse visibile o concreta
quella parte di essa che è illuminata dal fascio di luce della parole. Ecco in che modo è
possibile risolvere la divergenza di opinioni sul carattere concreto o astratto della lin-
gua». Von Wartburg 1942, p. 342, nota.
60 Sistema, norma e parola
del linguaggio” (di ciò che Croce chiama “linguaggio”) o, meglio, ciò
che Croce chiama “scienza del linguaggio”, ma non necessariamente
che con la stessa “estetica” si identifichi quello che altri, e in primo
luogo i linguisti, chiamano “linguistica”. Quest’ultima scienza, infatti,
presenta aspetti non riducibili alla filosofia. Il problema stesso della
“linguistica” senza aggettivi (come si presenta, come si manifesta il
linguaggio?) è diverso dal problema della “linguistica come filosofia”
o dalla “filosofia del linguaggio” (che cos’è il linguaggio?). E ogni
scienza lavora necessariamente con generalizzazioni che sono astrazio-
ni, “formalizzazioni”. Pertanto, se Croce ha perfettamente ragione di
situarsi, come filosofo del linguaggio, nella sua realtà concreta, che è la
parole, anche Saussure ha le sue ragioni quando esige che il linguista,
come scienziato, si collochi sul piano dell’astrazione che chiamiamo
langue (pur non ignorando né perdendo di vista il discorso concreto,
sulla cui base fa le sue generalizzazioni). È il piano del sistema lingui-
stico, che anche per Croce è in qualche modo opposto all’espressione
individuale, ma che a suo avviso sarebbe «una costruzione empirica
priva di esistenza concreta». Con quest’ultima affermazione, legger-
mente modificata («un’astrazione senza esistenza concreta»), concorda
la maggior parte dei linguisti, anche se nessuno di loro pensa con ciò
di sminuire la propria ricerca. Questa astrazione, anzi, è l’oggetto di
gran parte della linguistica, astrazioni analoghe sono tutte le cosiddette
“istituzioni sociali” e con astrazioni dello stesso tipo lavora tutta una
serie di scienze, che sono tali appunto perché non si limitano a regi-
strare e a classificare il materiale concreto che hanno davanti. Il fatto è
che Croce, opponendosi giustamente al modo “materialistico” di consi-
derare la lingua una realtà autonoma, un organismo indipendente degli
individui parlanti, esagera in senso contrario, nel considerare cioè il
linguaggio un fenomeno esclusivamente soggettivo e nel negare ogni
oggettività alla lingua come sistema. Ma oggettivismo — come già altri
hanno osservato — non vuol dire affatto “materialismo” (la langue è un
“oggetto” immateriale, astratto) e l’idealismo filosofico può conciliarsi
perfettamente, senz’alcun compromesso teorico, con l’oggettivismo e
perfino con lo strutturalismo linguistico (Nencioni, op. cit.: 110).
Restando sul campo della filosofia del linguaggio, Croce non ha do-
vuto modificare la sua posizione, ma l’avrebbe fatto sicuramente se si
fosse occupato di linguistica storica, come accadde al suo amico e allievo
tedesco Vossler. Vossler infatti ha esordito, nelle sue prime opere, con un
62 Sistema, norma e parola
(37) Vedi ad esempio Battisti 1945, cap. I, p. 5 sgg.; Bottiglioni 1946, pp. 33-34.
64 Sistema, norma e parola
(38) Cfr. Pagliaro 1930; 1942; 1950, I, Questioni teoriche, cap. IV, pp.-57-103, dal
quale citiamo.
(39) «Infatti, nella sua formazione e struttura, la lingua è precisamente l’obiettiva-
zione concreta delle forme in cui si è atteggiata l’attività linguistica di un gruppo umano
nello spazio e nel tempo. Essa è un aspetto, forse il più tipico e importante, di quell’u-
scire da sé e realizzarsi in forme durature, che è appannaggio dell’uomo, per la sua stes-
sa natura». Pagliaro 1950, I, p. 61.
(40) Cfr. Saussure 1916, trad. it., pp. 236-248.
Sistema, norma e parola 65
2.7.3. Ora, dall’analisi critica delle varie teorie esposte deduciamo che
1) in concreto il linguaggio esiste solo ed esclusivamente come discorso,
come attività linguistica; 2) langue e parole non sono realtà autonome e
nettamente separabili, dato che da un lato la parole è realizzazione della
langue e, dall’altro, la langue è condizione della parole, si costituisce sulla
base della parole e si manifesta concretamente soltanto nella parole; 3) è
possibile moltiplicare le etichette sotto le quali si distribuisce la realtà del
linguaggio a seconda dei punti di vista e dei criteri adottati; 4) il più delle
volte le opposizioni fissate non sono che caratterizzazioni e interpretazioni
di un’opposizione fondamentale tra virtuale e reale, astratto e concreto
68 Sistema, norma e parola
2.7.4. Riteniamo dunque che una teoria coerente e realistica sulle di-
stinzioni da fare nel linguaggio dovrà fondarsi sui seguenti principi:
1) le eventuali differenze e opposizioni devono essere stabilite nella
realtà concreta del linguaggio, ossia nel discorso;
2) alla parole come tale non si può opporre come realtà distinta la
langue, essendo questa presente nel discorso medesimo e manifestandosi
concretamente negli atti linguistici; termini come langue e parole non
designano ambiti autonomi né “un modo di rappresentarsi la lingua”, ma
punti di vista diversi, ossia maniere di affrontare il fenomeno linguistico,
gradi diversi di formalizzazione della stessa realtà obiettiva;
3) adottato il criterio dei diversi gradi di astrazione, si dovrà riconosce-
re e dare un nome alle differenze individuate, senza tentare di ridurle ai
modelli della famosa dicotomia;
4) il piano delle distinzioni sarà il piano della “conformazione” del lin-
guaggio, quello in cui si considera il modo in cui il linguaggio come feno-
meno si manifesta, e non il piano della sua essenza, della sua realtà intrin-
seca, che è un piano di unificazione e di sintesi e non di differenziazione
e di analisi. Il punto di vista delle determinazioni esterne del linguaggio
sarà preso in esame in un secondo tempo, come ulteriore caratterizzazione
di quel che si sarà stabilito sul piano indicato: in particolare si terrà conto
della determinazione individuo/collettività (uno/molti) e non delle deter-
minazioni fisiche e psichiche (ambiti nei quali non si stabiliscono relazioni
multiple come quelle che ci interessano, ma relazioni di altro tipo, generali,
rigorosamente binarie, di forma e contenuto: suono/significato, materiale/
immateriale, articolazione/impulso espressivo). Riscontreremo l’elemento
sociale nel discorso individuale stesso, abbandonando ogni opposizione
fittizia tra un “individuo asociale” e una “società extraindividuale”;
5) alcuni concetti di definizione della langue non rientrano nella nostra
riflessione in virtù di quanto stabilito al punto 4. Il concetto di “patrimonio
linguistico”, per esempio, ne è escluso, perché è psicologico e appartiene
dunque alla psicologia del linguaggio più che alla linguistica propriamen-
te detta. Ma anche alcuni concetti propriamente linguistici, come “uso
linguistico di una comunità” e “sistema funzionale”, hanno un piano di
Sistema, norma e parola 69
(43) Cfr. Nencioni, op. cit., pp. 243 sgg.; Bühler, op. cit., pp. 17-20 e 62 sgg.; Pent-
tilä,op. cit., p. 157.
70 Sistema, norma e parola
alla mentalità della sua epoca, rimane a metà della strada da lui stesso aperta.
Forse è proprio per questo che, come osserva Bühler (op. cit.: 17), nel suo
libro si scopre qualcosa di nuovo ogni volta che lo si apre.
3.1.2. Vedremo presto che questa idea del discorso «non collettivo, indi-
viduale, accidentale e momentaneo» risulta, alla luce della teoria stessa di
Saussure, unilaterale e insufficiente. Ma partiamo della sua concezione di
lingua. In realtà, in Saussure, si possono distinguere non uno, ma tre con-
cetti di langue: a) patrimonio linguistico; b) istituzione sociale; c) sistema
funzionale.
a) La langue è una realtà psichica che include significati e immagini acu-
stiche (ibidem: 24-25), è «un sistema grammaticale esistente virtualmente
in ogni cervello o, più esattamente, nei cervelli di un insieme di individui»
(ibid.: 23); è «una somma di impronte depositate in ogni cervello, simile a un
dizionario i cui esemplari, tutti identici, sono ripartiti tra gli individui» (ibid.:
29). La langue «è l’insieme delle abitudini linguistiche che permettono a un
soggetto di comprendere e farsi comprendere» (ibid.: 95) e «le associazioni
ratificate dal consenso collettivo, che nel loro insieme costituiscono la lin-
gua, sono realtà che hanno la loro sede nel cervello» (ibid.: 25).
b) Ma secondo Saussure questa realtà psichica è al contempo una real-
tà sociale, un «prodotto» o «istituzione sociale», come aveva già sostenuto
Whitney, perché la langue non è completa in nessun individuo, «esiste per-
fettamente soltanto nella massa» (ibid.: 23); è «al tempo stesso un prodotto
sociale della facoltà del linguaggio e un insieme di convenzioni necessarie
adottate dal corpo sociale per consentire l’esercizio di questa facoltà negli
individui» (ibid.: 19); è «il prodotto sociale depositato nel cervello di ciascu-
Sistema, norma e parola 71
no» (ibid.: 35) e «la parte sociale del linguaggio, esterna all’individuo, che
da solo non può crearla né modificarla; essa esiste solo in virtù di una sorta
di contratto stretto tra i membri di una comunità» (ibid.: 24).
c) Ma ciò che conta di più è che questa realtà è sistematica e funzionale.
La lingua, indipendentemente dalla sua realtà psichica e dalla sua determi-
nazione sociale, è per Saussure «un sistema di segni distinti corrispondenti
a idee distinte» (ibid.: 20), è un «codice» (ibid.: 24), un sistema in cui «es-
senziale è soltanto l’unione del senso e dell’immagine acustica» (ivi). La
lingua, come realtà psichica, è per Saussure «un oggetto di natura concreta»
(ibid.: 25), ma quest’ultimo concetto, eminentemente funzionale, lo porta
assai lontano da tutto ciò che può chiamarsi concreto. La langue, infatti, così
concepita, «è una forma e non una sostanza» (ibid.: 147-148), è un «gioco di
opposizioni»; «la sola cosa essenziale in essa è che un segno non si confonda
con altri» (ibid.: 145); «nella lingua non vi sono se non differenze» (ivi); «un
sistema linguistico è una serie di differenze di suoni combinate con una serie
di differenze di idee» (ibid.: 146), e «in uno stato di lingua tutto poggia su
rapporti» (ibid.: 149).
In gran parte questi tre concetti, corrispondenti a tre opposizioni (real-
tà psicofisica/realtà psichica, aspetto individuale/aspetto sociale, concreto/
astratto o realizzazione/sistema), indubbiamente coincidono, ma non sono in
alcun modo identici e, soprattutto, non stanno sullo stesso piano, bensì su tre
piani distinti; rivelano, cioè, l’interferenza di tre punti di vista. Nella teoria di
Saussure essi si presentano intersecati; i loro contorni non appaiono definiti
né sono marcati da differenze necessarie. L’immagine che se ne ricava non
è quella di una vera e propria incoerenza, ma di uno sviluppo insufficiente;
non si tratta di vere definizioni, ma di tentativi di caratterizzare un’intuizione
importante, per quanto ancora molto imprecisa. Ci sembra inoltre evidente,
benché i tre concetti si presentino come simultanei, che Saussure propenda
decisamente per il terzo, che è quello impiegato nella distinzione tra lingui-
stica interna e linguistica esterna (ibid.: 67 e sgg.) e, in generale, nella rifles-
sione sui problemi della linguistica sincronica (ibid.: 123-168).
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(44) Il fatto
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termini che si riferiscono all’aspetto soggettivo, e Sprach- (Sprache, lingua) per quelli
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che si riferiscono
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un’accettazione implicita
8KKF ;@ C@E>L8dell’opposizio-
< 13"$)(&#*-%&
ne di Humboldt,
=FID8C@E>L@JK@:8 nonostante il concetto di langue in Bühler coincida con quello di Saus-
sure (sistema di forme linguistiche). In termini saussuriani bisognerebbe dire piuttosto
Sprechakt (atto di parole) e Sprechwerk (prodotto di parole), Sprachakt (atto di lingua)
e Sprachgebilde (forma linguistica).
74 Sistema, norma e parola
PAROLE
| | |
azione verbale prodotto linguistico
|____________|_____________|
atto verbale forma linguistica
|_____________|______________|
LANGUE
PAROLE
azione prodotto
verbale linguistico
atto forma
verbale linguistica LANGUE
PAROLE
azione prodotto
verbale linguistico
forma
linguistica
LANGUE
Sistema, norma e parola 75
PAROLE C
azione
verbale
A B
forma
linguistica
D LANGUE
e propria di Saussure, è sintomatico che sia la scuola di Praga-Vienna, sia quella di Co-
penaghen (e così anche Baudouin de Courtenay), non conservino nulla del suo psicolo-
gismo e che gli strutturalisti e i funzionalisti si limitino ad inscrivere l’opposizione so-
ciale/individuale nell’enunciazione delle loro tesi iniziali, dedicando poi tutte le loro ri-
cerche alla lingua come sistema.
D’altra parte, se alcune scienze linguistiche non si sono sviluppate in seno alla lin-
guistica postsaussuriana è in parte anche a causa delle insufficienze dello schema di
Saussure. Così, ad esempio, se non è ancora stata fondata una semantica della parole che
abbia oggetto e metodo linguistici rigorosi, ciò dipende, secondo noi, dall’assenza di una
teoria organica dell’“atto verbale”. Sul medesimo concetto di “atto verbale” si potrebbe
costituire una stilistica come quella di Groeber (e di Vossler, agli inizi), tesa a distingue-
re, in un testo, ciò che è originalità, novità, elemento veramente inedito, da quel che è ri-
petizione, uso linguistico della comunità, ecc. Nessuna scienza, invece, può fondarsi sul
concetto di “prodotto linguistico” considerato asistematicamente. Questo ambito è piut-
tosto di pertinenza dell’operazione preliminare di raccolta dei materiali.
Sistema, norma e parola 77
che sta al di fuori del soggetto parlante, anche se i “prodotti”, di per sé,
rappresentano solo il materiale asistematico su cui si costituisce la langue
come norma e sistema. Ma da un lato non si può accettare che si tratti di
fenomeni “extraindividuali” o indipendenti dagli individui parlanti. Bi-
sogna infatti ricordare che questo modo di considerarli è convenziona-
le: i “prodotti” e le “forme” non esistono come tali, ma sono astrazioni
dell’osservatore, elaborate sulla base della realtà linguistica concreta e, in
modo particolare, su quel che nel concreto è ri-creazione, ripetizione di
un modello precedente; e ogni “azione verbale” (Sprechhandbung), con-
tenendo una “forma linguistica” che in essa si concreta (cfr. Wartburg),
è nello stesso tempo Sprechakt (atto verbale) e anche Sprachakt (atto di
lingua). Il che vuol dire che nell’atto linguistico si ritrovano i cosiddetti
“fatti di lingua” (Gardiner: facts of language), e cioè isoglosse comuni
all’atto considerato e agli atti linguistici precedenti, dello stesso individuo
o di altri, presi come modello. Per altro non si deve dimenticare che in
questi modelli che precedono ogni atto linguistico non tutto è “forma lin-
guistica”, non tutto è funzione: i modelli contengono anche qualcosa che
è normale, ripetuto in una comunità e che, tuttavia, non rientra nel relativo
sistema funzionale, non attiene alla “struttura” della lingua.
le; 2) ciò che è essenziale da ciò che è accessorio e più o meno accidentale»
(Saussure, op. cit.: 23). E poi: «La nostra definizione della langue implica
che da essa escludiamo tutto ciò che è estraneo al suo organismo, al suo
sistema» (ibidem: 31). Significa che l’essenziale coincide con il sociale?
Non ci sembra. Crediamo piuttosto che per Saussure «essenziale» voglia
dire “interno”, e «interno è tutto ciò che intacca il sistema a qualsiasi li-
vello» (ibid.: 34). Ora, distinguendo la «linguistica esterna» dalla «lingui-
stica interna», Saussure elimina da quest’ultima tutto ciò che è estraneo al
sistema (ibid.: 31-34), e quindi anche la determinazione sociale; infatti la
«linguistica interna» deve studiare la langue in sé, ed è evidente che a po-
ter essere studiato in sé è soltanto il sistema funzionale e non la norma, che
dipende da vari fattori operanti in una comunità. In un altro punto Saussure
indica che è possibile dare un’idea abbastanza fedele della langue ricor-
rendo a una grammatica e a un dizionario (ibid: 23). Qui, evidentemente,
non si tratta della langue come «sistema linguistico», ma di un concetto
più ampio, dato che la grammatica e il dizionario non contengono solo le
opposizioni sistematiche di una lingua, ma tutto ciò che è normale nelle
espressioni di una comunità.
Saussure, infine, non ignora l’indipendenza del sistema dalla norma:
«la langue è un sistema che conosce solo l’ordine che gli è proprio» (ibid:
33). Chiarisce la sua tesi in un modo ancora più esplicito e significativo:
3.4. Per chiarire meglio la natura della distinzione tra sistema normale
e sistema funzionale (usiamo in questo senso i termini norma e sistema),
possiamo ricorrere alla celebre analogia saussuriana con gli scacchi (ibid:
33-34), anche se noi ci riferiamo alla vera “grammatica” del gioco, cioè
alle sue regole, e non solo al numero dei pezzi. Evidentemente, tra il “co-
dice” del gioco e la sua realizzazione nelle partite, possiamo constatare
alcuni movimenti, alcuni aspetti costanti che non modificano le regole, il
“sistema”, ma che, tuttavia, sono caratteristici del modo di giocare di un
individuo o di un gruppo più o meno ampio di individui; costituiscono trat-
ti normali della realizzazione del “codice” da parte dell’individuo o degli
individui considerati.
Altra analogia è quella che paragona il sistema linguistico a un treno.
È evidente che «l’espresso di Parigi delle 8 e 20», pur conservando certe
caratteristiche funzionali (come quella di partire a una determinata ora, di
arrivare a Parigi a una determinata ora, di fermarsi in alcune stazioni), è
sempre il medesimo treno, anche se cambiano il numero, l’ordine, la forma
e il colore dei vagoni, i vagoni stessi, il personale, ecc. Eppure i suoi utenti
sanno che gli elementi non funzionali non sono tutti indifferenti e occasio-
nali; sanno, ad esempio, che il treno ha sempre dieci vagoni, che i vagoni
D, E, A, B sono disposti sempre in un medesimo ordine, che il secondo e
il quinto vagone, partendo dalla locomotiva, sono sempre di prima classe,
che tutti i sabati cambia il turno del personale, ecc. Gli utenti conoscono,
82 Sistema, norma e parola
cioè, tutta una serie di aspetti che, pur non avendo valore funzionale, con-
traddistinguono l’espresso di Parigi, e troverebbero anormale un treno che
non li presentasse. Anche qui, fra il treno astratto, come funzione, e il treno
concreto che il signor X ha preso ieri o prenderà domani, si frappone una
“realizzazione” normale e più o meno costante del treno medesimo.
La differenza tra aspetto normale e aspetto funzionale è più chiara se si
ricorre all’analogia con la chiave, offerta da André Martinet (1947). Infatti è
vero che, in una serie di chiavi, alcuni aspetti sono funzionali o “pertinenti”
(permettono cioè alle chiavi stesse di aprire determinate porte e determinano
la loro classificazione a seconda delle porte che aprono), altri sono accessori
e “non pertinenti” (forma dell’anello, metallo usato, ecc.) (ibidem: 38). Ma
è anche vero che gli aspetti “non pertinenti” non sono tutti indifferenti e oc-
casionali; così, ad esempio, le chiavi hanno normalmente l’anello, si fanno
normalmente in metallo e non in legno, vetro o diamante, ecc. In tutte queste
analogie è sempre possibile distinguere tre serie di caratteristiche, a secon-
da del grado di astrazione o formalizzazione: 1) le caratteristiche concrete,
infinitamente varie e variabili, degli oggetti osservati; 2) le caratteristiche
normali, comuni e più o meno costanti, indipendenti dalla funzione specifica
degli oggetti (primo grado di astrazione); 3) le caratteristiche indispensabili,
ossia funzionali (secondo grado di astrazione). Si tratta della stessa distin-
zione che si può stabilire fra tutte le sentenze particolari che rappresentano
l’applicazione di una legge, il regolamento che indica come la legge debba
essere applicata (o meglio, l’applicazione normale e abituale della legge), e
la legge medesima, in quanto sistema di disposizioni astratte.
nei “sistemi” linguistici rispettivi; e tuttavia non sono individuali, non sono
momentanee e occasionali, ma normali e costanti nel modo di esprimersi di
gruppi umani più o meno vasti. È vero che, in casi come questi, le caratteristi-
che non sono interamente afunzionali: possono non avere una funzione pro-
priamente fonologica (rappresentativa), ma una espressiva sì. Che dire, però,
dei «suoni normali» che Trubeckoj oppone in generale ai «suoni sostitutivi»
ammessi da una comunità per la realizzazione di alcuni fonemi?
Più avanti, nel capitolo sul concetto di fonema (ibidem: 36-41), dopo
aver definito il fonema la «somma di caratteristiche fonologicamente per-
tinenti che un’immagine fonica comporta» (ibid.: 40), Trubeckoj osser-
va che un medesimo fonema può essere realizzato da una molteplicità
di suoni, designati con il nome di varianti o di varianti fonetiche. Dagli
esempi forniti ricava però che nell’infinità delle realizzazioni possibili di
un fonema si può distinguere un numero limitato di varianti-tipo normali
e costanti, in determinate posizioni delle parole, ad esempio.
Ma il capitolo più importante per il nostro problema è quello in cui si
parla della differenza tra fonemi e varianti (ibid.: 47-53). Qui Trubeckoj os-
serva infatti che, fra le varianti facoltative (generali e individuali), una è la
variante normale in una data lingua; così, ad esempio, per il fonema /r/ la re-
alizzazione (variante) normale in francese e in tedesco è la r uvulare, mentre
in spagnolo, italiano, ecc., è normale la r linguale (apico-dentale). Di altro
tipo sono le varianti combinatorie, che dipendono dai fonemi contigui (così,
in giapponese, il fonema /h/ si realizza sempre come f davanti a u). Alcune
varianti facoltative hanno indubbiamente valore stilistico, mentre le varianti
combinatorie presentano di solito una funzione che Trubeckoj chiama as-
sociativa o associativa ausiliaria: indicano cioè i limiti di una parola o il
morfema o fonema contiguo (in rioplatense, ad esempio, la realizzazione g
del fonema /g/ dopo /s/ indica che in quest’ultimo fonema la realizzazione è
ridotta al minimo). Molte varianti linguistiche, tuttavia, sono semplicemente
normali, pur essendo del tutto afunzionali (lo stesso Trubeckoj usa varie
volte i termini norma e normale nel dibattito sulle varianti).
Si fa un passo avanti nella stessa direzione se si considerano i capitoli
sulla neutralizzazione dell’opposizione fonologica distintiva (ibid.: 246-
261), cioè sul fenomeno in virtù del quale due fonemi, che sono correlati
in determinate posizioni e diversi in altre, risultano intercambiabili, senza
che ciò comporti un cambiamento di significato(47). Nel caso della neutra-
gnolo l’opposizione tra /r/ e /rr/ si neutralizza in posizione finale, per cui una realizza-
zione r o rr (indifferente, in questa posizione, dal punto di vista del significato) corri-
sponde a un arcifonema /R/. Su altre neutralizzazioni in spagnolo cfr. Alonso 1951.
(48) Il fatto che l’opposizione di Trubeckoj tra fonologia e fonetica non corrispon-
da esattamente all’antinomia saussuriana langue/parole è stato già segnalato al III Con-
gresso di scienze fonetiche (Gand, luglio 1938), soprattutto da Nicolaas van Wijk e Ju-
lius von Laziczius. Cfr. van Wijk (1939) e Laziczius 1939.
86 Sistema, norma e parola
francese (che è una caratteristica della lingua francese, benché in essa non
esista l’opposizione fonologica distintiva tra vocali lunghe e brevi).
(49) Vedi il fonema /n/, ad esempio, che in spagnolo si realizza come apico-denta-
le, bilabiale, labiodentale, dentale, palatale implosivo e velare, rispettivamente in erano,
un padre, ninfa, anda, ancho, tango.
Sistema, norma e parola 87
I PAROLE norma
sistema
(fatti extrafunzionali costanti)
LANGUE
Vediamo già che nessuno dei due schemi è soddisfacente dal punto di
vista di una concezione unitaria, che consideri il linguaggio nella sua realtà
primaria e intrinseca di attività; la verità che i due schemi racchiudono è
però innegabile.
5.2. Riguardo alla distinzione tra norma e sistema nel campo della mor-
fologia, ma anche al fine di chiarire il carattere socio-culturale della nor-
ma, si troveranno i casi più lampanti negli errori di flessione fatti dai bam-
bini o in generale dalle persone che non conoscono a sufficienza la norma.
Tali errori, infatti, derivano quasi sempre da un’applicazione delle oppo-
sizioni funzionali del sistema contraria all’applicazione consacrata come
normale nella comunità linguistica. Derivano cioè dall’impiego anormale
dei mezzi che il sistema fornisce come forme ideali, svincolate dall’uso
concreto, ma che la norma ha fissato, codificato e classificato in modelli
tradizionali di realizzazione. Se un bambino inglese dice sing. ox, pl. oxes
(anziché oxen) e un bambino francese sing. carnaval, pl. carnavaux (an-
ziché carnavals), è perché il sistema legittima comunque tali opposizioni;
nella norma, però, esse in questi casi non si realizzano, mentre in altri sì
(ass-asses, cheval-chevaux). Esiste dunque in morfologia, sul piano della
norma, la stessa opposizione tra le “varianti obbligatorie” che abbiamo
incontrato in fonologia: dal punto di vista funzionale oxes e oxen sono in-
tercambiabili, perché entrambe le forme sono intese come plurali di ox, ma
la norma ammette soltanto oxen. Allo stesso modo sono intercambiabili,
sul piano funzionale, esteas ed esté, “che io stia”, andé e anduve, “andai”
(nel sistema di virtualità della lingua estea si oppone a estoy, “sto”, come
sea, “che io sia” a soy, “io sono”; e andé si oppone a andar come canté,
“cantai”, a cantar), ma la norma spagnola ammette soltanto esté e anduve.
Le nostre grammatiche latine parlano di sostantivi della terza declina-
zione che “ammettono” all’accusativo la desinenza -em o -im e all’ablativo
Sistema, norma e parola 93
punto di vista della norma vigente in Spagna, mentre dal punto di vista
del sistema è una delle formazioni più genuine. In realtà si coniano parole
genuinamente spagnole non solo in Spagna, ma anche in America, perché
anche in America funziona il sistema linguistico dello spagnolo. E se le
parole nuove rappresentano realizzazioni di possibilità del sistema, che
nascano a Madrid o a Montevideo non ha alcuna importanza.
(53) Potremmo postularla, trattandosi di una forma del tutto plausibile dal punto di
vista del sistema; la lingua, però, non è soltanto sistema, ma anche norma e, quando lo
incontriamo nella norma, il vocativo di deus non è dee, ma deus.
98 Sistema, norma e parola
(54) Non la si confonda con la f. associativa della fonologia, che è soltanto una fun-
zione distintiva secondaria.
Sistema, norma e parola 99
In secondo luogo, anche in questo caso, tra le varianti di uno schema sintat-
tico permesse dal sistema, una può essere considerata la realizzazione normale
nella lingua data, mentre le altre o sono anormali o diventano normali soltan-
to in una determinata convenzione stilistica. Così, ad esempio, in spagnolo è
normale la frase se me ha dado, ma non lo è la frase me se ha dado, che man-
tiene tuttavia tutte le distinzioni richieste dal sistema e che invece è normale
in italiano (“mi si è dato”). In spagnolo bisogna dire no voy más, e così pure
in italiano (“non vado più”), mentre in rumeno si dice nu mai merg (“non più
vado”) e in tedesco ich gehe nicht mehr (“io vado non più”); questo significa
che, ancora una volta, le realizzazioni normali caratterizzano una lingua assai
al di là delle opposizioni funzionali. Allo stesso modo è vero che in latino il
sistema permetteva, per dire “Pietro ama Paolo”, una qualsiasi espressione tra
quelle che seguono: Petrus Paulum amat, Paulum Petrus amat, Petrus amat
Paulum, Paulum amat Petrus, Amat Petrus Paulum, Amat Paulum Petrus.
Ma è anche vero che la prima era la costruzione normale, mentre le altre o non
erano normali o avevano valori stilistici particolari: l’ordine delle parole nella
frase latina era molto meno arbitrario e facoltativo di quanto dicano i nostri
manuali. Anche in campo sintattico, infine, due varianti, intercambiabili dal
punto di vista del sistema, possono opporsi nella norma. Così, ad esempio, il
sistema dello spagnolo permette, in determinati casi, la costruzione del com-
plemento oggetto personale con la preposizione o senza; ma è evidente che,
nella norma, querer a un criado, “amare un servo”, si oppone nettamente a
querer un criado, “volere un servo” (Vossler 1941: 68). Si confronti, nello
stesso senso, il significativo esempio francese studiato da Bally (1935: 9-15):
croire en Dieu-croire au diable.
(55) Nella nostra analisi della lingua di Ion Barbu avevamo indicato una serie di cam-
biamenti semantici di questo tipo effettuati dal poeta: cambiamenti legittimi e intellegibili
dal punto di vista del sistema, ma insoliti dal punto di vista della norma. Cfr. Coseriu 1949.
102 Sistema, norma e parola
6.3. Nella differenza stabilita tra sistema e norma abbiamo sempre mante-
nuto il rapporto con il discorso concreto, con la sostanza fonica del linguag-
gio presente in qualche modo perfino nelle funzioni più direttamente formali,
quelle sintattiche per esempio. È tuttavia possibile giungere a un’astrazione
che vada al di là del sistema, ignorando totalmente la sostanza fonica: un’a-
strazione che potremmo chiamare, con un termine hjelmsleviano, schema:
nello schema rimarrebbero soltanto le funzioni pure, le relazioni algebriche tra
“quantità vuote”; ci disinteresseremmo del tutto del modo in cui tali funzioni si
manifestano fonematicamente e morfematicamente, cioè degli elementi fonici
che la lingua in questione utilizza per esprimere le opposizioni costituenti il
suo sistema. Non ignoriamo l’importanza teorica che questo concetto può ave-
re, anche per una comprensione più intima dei fenomeni linguistici generali.
Ma è molto probabile che la sincronia pura e integrale ci porti completamente
fuori dalla storia e così anche fuori dal campo del linguaggio (e della linguisti-
ca), trasformando la nostra ricerca in uno studio della “mentalità dei popoli”,
di una “forma interna” logica più che glottologica. L’astrazione non ha forse
ragion d’essere nella linguistica storica, che non può ignorare né la sostanza
fonica né il rapporto tra i segni linguistici e le cose designate. Servirebbe inve-
ce nella cosiddetta “grammatica generale” e nella comparazione strutturale tra
le lingue, dato che i suoi modelli possono essere applicati a più di una lingua
(così una grammatica schematica dell’ungherese coinciderebbe in gran parte
con una grammatica schematica turca e una grammatica rumena in molti punti
con una grammatica albanese).
(57) Qualsiasi opposizione tra langue e parole che non sia di pertinenza di uno di
questi tipi non esaurisce la realtà del linguaggio, confonde criteri distinti o prende in
considerazione anche fatti non appartenenti al linguaggio propriamente detto.
112 Sistema, norma e parola
š, per il momento come variante di /ž/; ma il nuovo suono potrà acquisire col
tempo valore distintivo e diventare così un fonema nuovo).
Il cambiamento fonetico è anche, in primo luogo, spostamento della nor-
ma verso una realizzazione acustica di un fonema consentita dal sistema: [j]
è in Spagna (se si considerano insieme i vari livelli della lingua, cosa discu-
tibile) una variante acustica di /ļ/ (ll), e [ž] è una variante sia di /j/ (y) che di
/ļ/ (ll), ma nel Rio della Plata ž è diventato la realizzazione normale di y e di
ll a tutti i livelli: si è arrivati così alla fusione dei due fonemi.
Nella recensione dei Princìpi di Trubeckoj Pisani obietta che il pas-
saggio dal lat. ke, ki all’it. če, či è dovuto durare un tempo abbastanza
lungo durante il quale una stessa comunità, una famiglia e perfino un sin-
golo individuo pronunciavano sia ke, ki, sia če, či. Quest’osservazione,
indubbiamente esatta, non intacca, ma conferma la teoria di Trubeckoj.
Nel periodo in cui si usavano sia ke, ki, sia če, či, il fonema rispettivo non
era /k/ né /č/, bensì un altro, che conteneva soltanto tratti in comune con
questi, e ammetteva le due realizzazioni acustiche. In seguito la norma si è
spostata sempre più verso la realizzazione č, finché questa è diventata l’u-
nica normale, permettendo così la comparsa di un nuovo fonema /k/ con
valore distintivo (essenzialmente, non c’è grande differenza tra quest’in-
terpretazione fonologica e ciò che Pisani stesso afferma del cambiamento
semantico, che si verifica attraverso lo spostamento del centro di gravità
della significazione verso un “significato secondo”).
Per altro verso l’opposizione tra varianti nella norma può condurre a
uno sdoppiamento fonematico, cioè a un’opposizione nel sistema. È quan-
to si è verificato con la u latina rappresentata nelle lingue romanze moder-
ne da u e da v; e in particolare in spagnolo è ciò che è accaduto con l’oppo-
sizione o-ue. In passato quest’opposizione era più che normale, essendo ue
una realizzazione particolare di una certa o tonica; ma poi, con la perdita
della differenza fonologica tra la o chiusa e la o aperta, essa è diventata si-
gnificativa, cosicché oggi distinguiamo, ad esempio, foro, “foro”, da fuero,
“giurisdizione”, coro, “coro”, da cuero, “cuoio”, bono, “buono (del teso-
ro)” da bueno, “buono”. Al contempo, come contropartita, si va perdendo
consapevolezza dell’alternanza ue-o: Santa Teresa applicava ancora rigi-
damente la regola antica, dicendo fuente (“fonte”)-fontecica (Menendez
Pidal 1942), mentre noi oggi diciamo fuente-fuentecita e si arriva anche
a dire nuevo-nuevísimo, bueno-buenísimo, anziché novísimo, bonísimo(63).
(63) Allo stesso modo le opposizioni normali a-ă o-oa, che un tempo erano sempli-
ci opposizioni di varianti combinatorie, hanno acquisito in rumeno valore fonematico,
Sistema, norma e parola 117
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zione sociale e la langue come sistema di valori. Ma la soluzione data al problema dallo
studioso ginevrino è nettamente diversa da quella che si propone qui: Frei considera in-
fatti i due concetti saussuriani di langue coestensivi e non contraddittori, e attribuisce le
incoerenze soltanto agli sviluppi strutturalisti della celebre antinomia. Giunge a questa
conclusione con l’analisi “sub-linguistica” delle varianti combinatorie, osservando che
appartengono alla langue perché essa contiene i “subelementi” distintivi operanti all’u-
nisono nel suo ambito. Ci sembra tuttavia che tale analisi funzioni solo con le varianti
combinatorie; essa non spiega le varianti facoltative normali, che caratterizzano una lin-
gua pur non avendo alcun valore distintivo.
120 Sistema, norma e parola
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122 Sistema, norma e parola
125
126 Postfazione
nella Grecia classica con Policleto in quanto insieme di misure matematiche per il
rispetto della proporzione armonica, e consolidato da quelle grammatiche potenti
che sono state i Trattati, vale oggi solo nelle Accademie. Lo hanno sostituito, dopo
che le avanguardie ne hanno fatto piazza pulita e all’indomani della “destituzione
filosofica dell’arte” (Danto), regole di savoir faire che poco riguardano competen-
ze artistiche (Migliore 2021a).
Con una mossa che ricorda Saussure (1916), Coseriu assume il modello
quadripartito schema-norma-uso-atto di Hjelmslev, ma scinde l’oggetto della
linguistica, che è la langue (schema-norma-uso) dal punto di partenza dell’a-
nalisi, che è la parole (atto). Pur tenendo sullo sfondo i modi di esistenza
virtuali e potenziali propri della langue e marcando il modo realizzato della
norma rispetto al modo virtuale del sistema, Coseriu dà un ruolo cruciale e
(9) Per una disamina aggiornata dei dibattiti riportati da Coseriu sulla categoria
langue/parole vedi l’introduzione di Rossana De Angelis a questa edizione.
130 Postfazione
centrale agli atti di discorso. Con un assunto: che «tutti i fatti di lingua devono
essere stati una volta parole» (Coseriu 1952, trad. it.: 96). Ma distinguiamo
con attenzione le novità principali introdotte dallo studioso rumeno.
(10) “Petaloso” è già attestato in Panorama, febbraio 1991, p. 117 (Michele Serra):
«I fiori di Sanremo sono iperrealisti: troppo petalosi e colorati, sono fiori di rappresentan-
Postfazione 131
za e dunque la mettono giù dura». Ed è stato usato nel 1695 dal celebre botanico inglese
James Petiver in un libro di falsificazioni botaniche. Petiver, nella sua farmacia di Lon-
dra, riceveva diversi campioni di piante che arrivavano dall’India e, per descrivere una di
queste piante esotiche, scrisse “flore petaloso”.
(11) Per uno dei più esimi studiosi dell’argomento, il filosofo e archeologo Félix Ra-
vaisson, l’abitudine è un’idea trasformatasi in realtà e capace di agire come tale. Non un
132 Postfazione
meccanismo, quindi, ma, qualcosa che testimonia il prevalere della causa finale sulla cau-
sa efficiente. Cfr. Ravaisson 1838.
(12) Questo esempio è tratto da Marrone 2018.
(13) Peirce, che ha teorizzato la fissazione dell’habit, cioè della disposizione ad
agire e reagire, sottolinea il paradosso della capacità di predizione che si acquisisce
quando l’habit non è più coscienza attiva, ma habitus che agisce automaticamente nel
soggetto, in una temporalità che va al di là della contingenza individuale, per collegare
passato e futuro. Cfr. Lorusso 2014, p. 276.
Postfazione 133
soggetto e poi il mondo della cultura che egli produce, né la parole è opera
di un soggetto come singola istanza enunciante, con le derive metafisiche
e psicanalitiche che potrebbero conseguirne. Prioritaria invece è la col-
lettività, il livello sovraindividuale e culturale istitutivo che garantisce la
circolazione dei valori e rispetto al quale il soggetto è un derivato. Come
nell’esperienza gustativa del vino, le sensazioni somatiche del singolo si
confrontano fin da subito con abiti interpretativi e categorizzazioni social-
mente stabilite, si coniugano cioè con un sistema che è socialmente nor-
mato (Paolucci 2020: 196). Perfino l’idioletto, da questo punto di vista,
non è «una lingua personale», ma «un uso personale caratteristico di una
lingua e di uno o più socioletti» (Rastier 2008: 11, trad. ns.). La possibilità
stessa dell’intuizione, della creazione inedita, dell’erosione della norma
risiede e avviene nel solco di una dimensione comune presupposta, delle
reti di rapporti in cui i soggetti sono presi. Internamente e reciprocamente,
per contrasto: Coseriu nota che «è alle orecchie di uno spagnolo che gli
italiani “cantano” parlando» (op. cit: 95). I popoli si dotano di modelli di
autodescrizione, ma sono culture diverse dalla loro a riconoscere e a me-
glio definire la norme che li caratterizzano.
toi, scale, vialetti, corridoi labirintici che molti utilizzatori hanno preferito
evitare, calpestando le aiuole per trovare varchi alternativi, risparmiando
qualche metro e rompendo così schemi di comportamento più o meno co-
scienti. Progressivamente l’erba è sparita e si sono formati dei sentieri in
terra battuta che hanno incoraggiato questa tendenza, finché l’amministra-
zione non ha deciso di ammattonare quei sentieri, facilitando il cammino
ma indirettamente autorizzando il calpestio delle aiuole (ivi).
Si vede bene qui come una nuova pertinenza, che viene poi normata,
sia il frutto di un «apprezzamento collettivo», cioè di «alcune qualità attri-
buite di preferenza all’oggetto incontrato» (Hjelmslev 1954, trad. it.: 97)
e di un campo di forze nel quale la predilezione si scontra con quello che
potremmo chiamare un “vizio dell’identità” alla routine, e lo supera. Le
«intuizioni inedite» di cui parla Coseriu sono allora preziose, perché mo-
strano nelle prassi enunciative l’insussistenza dell’antinomia natura/cul-
tura, fra norme che attecchiscono e moti del corpo che le scalzano. Senza
regole non c’è gioco.
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