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riflessi

documenti di lavoro
del centro internazionale di scienze semiotiche
dell’università degli studi di urbino carlo bo
11
Direttore
Gianfranco Marrone
Università degli Studi di Palermo

Comitato scientifico
Roberta Bartoletti
Università degli Studi di Urbino Carlo Bo
Giovanni Boccia Artieri
Università degli Studi di Urbino Carlo Bo
Vincenzo Fano
Università degli Studi di Urbino Carlo Bo
Dario Mangano
Università degli Studi di Palermo
Gianfranco Marrone
Università di Palermo
Tiziana Migliore
Università degli Studi di Urbino Carlo Bo
Isabella Pezzini
Sapienza Università di Roma

Pubblicazione realizzata con il contributo del CiSS, Centro internazionale di Scienze Se-
miotiche Umberto Eco dell’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, Dipartimento di
Scienze della Comunicazione, Studi Umanistici e Internazionali.
riflessi
documenti di lavoro
del centro internazionale di scienze semiotiche
dell’università degli studi di urbino carlo bo

I “Documenti di lavoro” (Working Papers) pubblicano le ricerche del Cen-


tro Internazionale di Scienze Semiotiche dell’Università degli Studi di Ur-
bino Carlo Bo. Il CISS opera nello studio dei rapporti tra semioscienze
nell’ambito delle relazioni tra scienze umane e scienze della natura. Un ap-
proccio interdisciplinare di teoria e di metodo nella ricerca sulle forme e i
processi di significazione da un punto di vista interculturale.

I “Documenti di lavoro” propongono opere di alto livello scientifico nel campo degli
studi di semiotica, anche in lingua straniera per facilitarne la diffusione internazionale.
Quest’opera, approvata dal direttore, è stata anonimamente sottoposta alla valutazione di
due revisori, anch’essi anonimi: uno tratto da un elenco di studiosi italiani e stranieri, de-
liberato dal comitato di direzione; l’altro appartenente allo stesso comitato in funzione
di revisore interno. La revisione paritaria e anonima (peer review) è fondata sui seguen-
ti criteri: significatività del tema nell’ambito disciplinare prescelto e originalità dell’ope-
ra; rilevanza scientifica nel panorama nazionale e internazionale; attenzione adeguata alla
dottrina e all’apparato critico; rigore metodologico; proprietà di linguaggio e fluidità del
testo; uniformità dei criteri redazionali. Quest’opera ha ricevuto una valutazione com-
plessiva superiore a 8/10. Le schede di valutazione sono conservate, in doppia copia, in
appositi archivi.
EUGENIO COSERIU

SISTEMA, NORMA
E PAROLA
traduzione, postfazione e cura di

TIZIANA MIGLIORE

introduzione di
ROSSANA DE ANGELIS
©

isbn
979–12–5994–xxx–x

prima edizione
r o m a 4 novembre 2021

Opera originale:
Eugenio Coseriu
Sistema, norma y habla, 1952, poi in
Teoría del lenguaje y lingüística general. Cinco Estudios
isbn 978-8424905057
Gredos, Madrid 1989.

Si ringrazia RBA per aver concesso gratuitamente la riproduzione del saggio.


Indice

9 Introduzione
Rossana de Angelis

45 Eugenio Coseriu
Sistema, norma e parola

125 Postfazione
Modernità di un classico.
Coseriu per una semiotica delle norme
Tiziana Migliore

141 Bibliografia

7
Introduzione

di Rossana De Angelis (1)

Eugenio Coseriu nasce il 27 luglio 1921 a Mihaileni, in Romania. Dopo


gli studi in Romania e in Italia(2), diventa professore di linguistica generale
e indoeuropea nel 1951 all’Universidad de la República di Montevideo, in
Uruguay. Qui pubblica alcuni dei suoi lavori più importanti come Sistema,
norma y habla (1952), El llamado “latín vulgar” y las primeras diferen-
ciaciones romances. Breve introducción a la lingüística románica (1954),
Determinación y entorno (1957), Sincronía, diacronía e historia (1958).
Il saggio intitolato Sistema, norma y habla nasce come versione am-
pliata di una conferenza letta al Centro Linguistico di Montevideo, il 10
maggio 1952. Di questo saggio vengono pubblicate edizioni di lunghezza
diversa. La prima versione compare nella Revista de la Facultad de Hu-
manidades y Ciencias (9/1952: 113-181), seguita nello stesso anno dall’e-
dizione autonoma che porta lo stesso titolo (Montevideo, Universidad de
la Republica, Facultad de Humanidades y Ciencias, Instituto de Filologia,
Dept. de Lingüistica, 1952, 71 pp.). Questa viene ripubblicata nella rac-
colta Teoría del lenguaje y Lingüística general (Gredos, Madrid 1962),
contenente cinque saggi (Sistema, norma y habla, Forma y substancia en
los sonidos del lenguaje, Logicismo y antilogicismo en la gramática, El

(1)  Université Paris-Est Créteil (UPEC).


(2) Per una ricostruzione del periodo italiano, si veda E. Coseriu, Linguisti-
que et philosophie du langage. Un modèle complexe du fonctionnement langagier, in
“Texto!”, janvier 2008, vol. XIII, n. 1, URL: http://www.revue-texto.net/docannexe/
file/102/bota_coseriu.pdf, versione francese rivisitata dell’introduzione al volume di E.
Coseriu, Il linguaggio e l’uomo attuale. Saggi di filosofia del linguaggio, a cura di C.
Bota, M. Schiavi, con la collaborazione di G. Di Salvatore, L. Gasperoni, prefazione di
T. De Mauro, Edizioni Fondazione Centro Studi Campostrini, Verona 2007, pp. 17-43.

9
10  Introduzione

plural en los nombres propios, Determinación y entorno), riedita nel 1967


e nel 1973.
Un riassunto è inviato al VII Congresso internazionale dei linguisti (Inter-
national Congress of Linguists, Londra, 1-6 settembre 1952), di cui riman-
gono due versioni. La prima è scritta in italiano, pubblicata nel 1969 con il
titolo Sistema, norma e “parola” (Studi linguistici in onore di V. Pisani, I,
Paideia, Brescia 1969: 235-253), parzialmente ripubblicata nel 1971 (in T.
Bolelli, a cura di, Linguistica generale, strutturalismo, linguistica storica,
Pisa 1971: 462-466). La seconda è la traduzione portoghese della versio-
ne italiana, intitolata Sistema, norma e fala, comunicazione inviata al VI
[sic.] Congresso Internacional de Linguístas, pubblicata nella serie Intro-
dução aos Estudos Linguísticos / Textos de Consulta (Coimbra 1959/1960,
30 pp.), prima della versione italiana.
Due versioni italiane esistono di questo saggio:
• una versione lunga, pubblicata in Teoria del linguaggio e linguistica ge-
nerale: sette studi (Laterza, 1971).
• una versione corta, in italiano e portoghese, pubblicata nel 1969.
Per comprendere la portata della riflessione di Coseriu in questo breve
saggio è necessario situare il testo rispetto alle teorie del linguaggio che lui
stesso prende come riferimento. In particolare, bisognerà contestualizzare
le nozioni di sistema, norma e parola rispetto alle nozioni di langue e pa-
role (Saussure), schema, norma e uso (Hjelmslev).

1. Lingua e parola

La tripartizione del linguaggio proposta da Coseriu in sistema, norma e


parola si basa su una riflessione critica sviluppata a partire dalla Conférence
européenne de sémantique (Nice, 26-31 marzo 1951) organizzata da Émile
Benveniste(3) e patrocinata dalla Société de Linguistique de Paris, cui erano
invitati i più illustri linguisti dell’epoca: Ch. E. Bazell (Instanbul), G. Devoto
(Firenze), J. R. Firth (Londra), H. Frei (Ginevra), A. W. De Groot (California),
L. T. Hjelmslev (Copenaghen), J. Kurylowicz (Cracovia, ma non ha potuto
recarvisi), J. Lotz (Amérique), H. J. Pos (Amsterdam), A. Sommerfelt (Oslo),
S. Ullmann (Glasgow), R. S. Wells (America, ma non ha potuto recarvisi).
(3)  La sintesi di questa conferenza è presentata da E. Benveniste alla Société de Lin-
guistique de Paris, il 14 aprile 1951 (cfr. BSL. 47/1951, fasc. 1, n. 134, XXIII, XXIV).
Cfr. M.Dj. Moïnfar, Bibliographie des travaux d’Emile Benveniste, in Mélanges lingui-
stiques offerts à Emile Benveniste, Société de Linguistique de Paris, Paris, 1975, p. XIII.
Introduzione  11

Di questa conferenza rimane traccia negli Actes de la conférence eu-


ropéenne de sémantique(4), nell’Archivio Glottologico Italiano(5) e soprat-
tutto nel fascicolo intitolato Recueil. Conférence européenne de sémant-
ique, Nice, 26-31 mars 1951 presso la Bibliothèque Nationale de France(6).
Le tre nozioni di sistema, norma e parola proposte da Coseriu rievoca-
no le nozioni di schema, norma e parola proposte da Louis T. Hjelmslev
(cfr. infra) nel corso del suo intervento alla Conférence européenne de
sémantique, citato da Coseriu in apertura della prima versione del saggio
Sistema, norma y habla (Coseriu 1952a, 1952b); esse stesse rielaborazione
della celebre coppia langue e parole proposta da Ferdinand de Saussure
(cfr. infra), che si ritrova diversamente declinata in varie lingue (lengua/
habla; language/speech; Sprache/Rede).
Come scrive nella prima parte della versione lunga del saggio Sistema,
norma y habla (Coseriu 1952a, 1952b), passaggio di cui rimane traccia
nella versione corta (Coseriu 1952c), le diverse interpretazioni delle no-
zioni saussuriane, langue e parole, hanno prodotto altrettante accezioni
diverse nelle teorie del linguaggio contemporanee. È quindi necessario ri-
partire da queste per comprendere quale sia stato l’apporto di Coseriu alle
teorie del linguaggio contemporanee attraverso questo saggio.

1.1. “Langue / parole” secondo Saussure

Le nozioni di langue e parole proposte da Ferdinand de Saussure si presen-


tano con accezioni diverse nel Cours de linguistique générale, edito postumo
da Ch. Bally e A. Séchehaye (CLG), costruito a partire dalle note degli stu-
denti che seguirono i corsi di linguistica generale di Saussure a Ginevra, come
mostrano le edizioni critiche di T. De Mauro (CLG/DM) e R. Engler (CLG/E),
e come si legge anche nelle fonti manoscritte del CLG edite da R. Godel (SM)
e negli Écrits de linguistique générale editi da S. Bouquet (ELG).
Come vedremo, queste nozioni sono definite attraverso una serie di di-
cotomie che saranno riprese (non tutte, e non tutte insieme) nelle defini-

(4)  Actes de la conférence européenne de sémantique, in-4, 162 pp., dattilografate


(fuori commercio).
(5)  Archivio Glottologico Italiano, 1951, n. 36, I, pp. 82-84.
(6)  I documenti che riguardano la Conférence européenne de sémantique sono con-
servati nel fascicolo Recueil. Conférence européenne de sémantique, Nice, 26-31 mars
1951, Bibliothèque nationale de France. Département des Manuscrits. Papiers d’orienta-
listes 29 (2).
12  Introduzione

zioni di langue e parole proposte dai linguisti contemporanei che si sono


rivolti a Saussure, citati da Coseriu in apertura del saggio Sistema, norma
e parola (cfr. infra).
Queste dicotomie rappresentano le diverse modalità con cui la langue
e la parole si definiscono reciprocamente: da un punto di vista fenomeno-
logico, rimandano all’esperienza che il parlante ha della lingua e alla rela-
zione che si stabilisce fra i parlanti attraverso di essa; da un punto di vista
ontologico, definiscono la realtà che rappresentano; da un punto di vista
epistemologico, identificano la conoscenza cui danno accesso.
I) La coppia langue/parole è presentata rispetto all’esperienza che ne ha
il parlante attraverso la dicotomia passivo/attivo. La lingua si presenta come
un deposito di forme stabilizzate col tempo (langue), disponibile all’uso in-
dividuale che ne fanno i parlanti (parole)(7). «La lingua esiste nella collettivi-
tà sotto forma d’una somma di impronte depositate in ciascun cervello, a un
di presso come un dizionario del quale tutti gli esemplari, identici, siano ri-
partiti tra gli individui» (CLG/DM: 38). Queste tracce sono le forme (lingui-
stiche) cui attingono i parlanti nel loro uso individuale della lingua, nei loro
atti (linguistici) quotidiani. «Questa è un tesoro depositato nella pratica della
parole dei soggetti appartenenti a una stessa comunità, un sistema gram-
maticale esistente virtualmente in ciascun cervello o, più esattamente, nel
cervello di un insieme di individui, dato che la lingua non è completa in nes-
sun singolo individuo, ma esiste perfettamente soltanto nella massa» (CLG/
DM: 30). Per questa ragione, della lingua (sociale) il parlante fa esperienza
soltanto attraverso la parola (individuale). «La lingua non è una funzione del
soggetto parlante: è il prodotto che l’individuo registra passivamente; […]
La parole, al contrario, è un atto individuale di volontà e di intelligenza»
(CLG/DM: 30). Tuttavia, la langue, nonostante sia collettiva, si manifesta
soltanto nell’esperienza individuale della parole, come memoria da cui at-
tingere le forme linguistiche da utilizzare. «Tutto ciò che viene portato alle
labbra attraverso i bisogni del discorso e attraverso un’operazione mentale
particolare: è la parole. Tutto ciò che è contenuto nel cervello dell’individuo,
il deposito di forme <comprese e> praticate e del loro senso: <è> la langue»
(I R: 65, trad. mia(8)). Siamo allora nel cuore di un paradosso: nonostante la
(7)  CLG/E (note di Riedlinger): «De ces deux sphères, la parole est la plus sociale,
l’autre est la plus complètement individuelle. La langue est le réservoir individuel: tout ce
qui entre dans la langue, c’est-à-dire dans la tête, est individuel» (CLG/E: I R 92).
(8)  «Tout ce qui est amené sur les lèvres par les besoins du discours et par une opérat-
ion particulière: c’est la parole. Tout ce qui est contenu dans le cerveau de l’individu, le
dépôt des formes <entendues et> pratiquées et de leur sens: <c’est> la langue» (I R: 65).
Introduzione  13

lingua sia sociale, i parlanti ne possono fare esperienza soltanto attraverso


la loro memoria individuale. Quel deposito di forme che è la langue risiede
nella memoria di tutti i parlanti e di ciascuno(9). «Questa cosa anche se inte-
riore a ogni individuo è nello stesso tempo un bene collettivo, che è situato
fuori dalla volontà dell’individuo» (III C 208a, trad. mia(10)).
La lingua intesa come tesoro, deposito, riserva(11) di forme disponibili
all’uso (nella memoria individuale: lingua come strumento; nella memoria
collettiva: lingua come istituzione), rappresenta la parte passiva del lin-
guaggio (inteso come fenomeno complesso); l’uso individuale rappresen-
ta, invece, la parte attiva del linguaggio, che si esplica attraverso l’appro-
priazione e la restituzione di queste forme da parte dei parlanti nella loro
attività linguistica quotidiana(12): «l’esecuzione non è mai fatta dalla massa.
L’esecuzione è sempre individuale, l’individuo non è sempre il padrone:
noi la chiameremo la parole» (CLG/DM: 30). L’esecuzione si oppone al-
lora all’istituzione. Si tratta, inoltre, di un’esecuzione libera (CLG: 172), e
perciò variabile, non fissata una volta per tutte(13).

(9)  «De ces deux sphères la sphère parole est la plus sociale, l’autre est la plus com-
plètement individuelle. La langue est le réservoir individuel; tout ce qui entre dans la lan-
gue, c’est-a-dire dans la tête, est individuel. Du côté interne (sphère langue) il n’y a ja-
mais préméditation ni même de méditation, de réflexion sur les formes, en dehors de
l’acte, <de l’occasion> de la parole, sauf une activité inconsciente, presque passive, en
tous cas non creatrice: l’activité de classement. Si tout ce qui se produit de nouveau s’est
crée à l’occasion du discours c’est dire en même temps que c’est du côté social du lan-
gage que tout se passe. D’autre <part> il suffira de prendre la somme des trésors de lan-
gue individuels pour avoir la langue. Tout ce que l’on considère en effet dans la sphère
intérieure de l’individu est toujours social parce que rien n’y a pénétré qui <ne soit> d’a-
bord <consacré par l’usage> de tous dans la sphère extérieure de la parole» (I R: 65-66).
(10)  «Cette chose bien qu’intérieure à chaque individu est en même temps bien col-
lectif, qui est placé hors de la volonté de l’individu» (III C 308a).
(11)  CLG/E (note di Riedlinger): «Tous les faits de langage, les faits évolutifs surtout,
forcent de se placer en face de la parole d’une part et d’autre part du réservoir des formes
pensées ou connues de la pensée» (CLG/E: I R 2.23).
(12)  CLG/E (note di Riedlinger): «Il faut donc se mettre en face de l’acte de la paro-
le pour comprendre une création analogique. La nouvelle forme je trouve ne se crée pas
dans une assemblée de savants discutant sur le dictionnaire. Pour que cette forme pénètre
dans la langue, il faut que 1° quelqu’un l’ait improvisée, et 2° improvisée à l’occasion de
la parole, du discours, […]» (CLG/E: I R 91).
(13)  Ciò si ripercuote sull’organizzazione della linguistica come disciplina. «La lin-
guistique, j’ose le dire, est vaste. Notamment elle comporte deux parties: l’une qui est
plus près de la langue, dépôt passif, et l’autre qui est plus près de la parole, force active
et origine véritable des phénomènes qui s’aperçoivent ensuite peu à peu dans l’autre moi-
tié du langage» (ELG: 273).
14  Introduzione

II) La coppia langue/parole è presentata rispetto alla relazione che si stabi-


lisce tra i parlanti attraverso la dicotomia sociale/individuale. La parole si po-
siziona dalla parte dell’azione individuale, del parlante, della persona, dell’u-
nità; la langue si posiziona dalla parte dell’azione collettiva, della comunità,
della società, dell’insieme. «Tutto ciò che è lingua è implicitamente collettivo.
Invece non c’è parola collettiva» (III C 308a, trad. mia(14)). Come abbiamo
visto, la lingua risiede nel deposito collettivo di forme disponibili all’uso(15), co-
stituendo la langue come un fatto sociale. «Essa è al tempo stesso un prodotto
sociale della facoltà del linguaggio ed un insieme di convenzioni necessarie,
adottate dal corpo sociale per consentire l’esercizio di questa facoltà negli in-
dividui» (CLG/DM: 25). Quando si guarda al linguaggio da un punto di vista
sociale, lo si osserva attraverso la langue; quando si guarda al linguaggio da
un punto di vista individuale, lo si osserva attraverso la parole. «L’atto sociale
non può risiedere che negli individui sommati gli uni agli altri, ma come per
ogni fatto sociale, non può essere considerato al di fuori dell’individuo» (III C
268, trad. mia(16)). Invece, la parole si basa su un’azione individuale che attinge
a questo deposito, costituendosi come un fatto individuale: «[t]utto ciò che
viene portato alle labbra attraverso i bisogni del discorso e attraverso un’ope-
razione mentale particolare: è la parole» (I R: 65, trad. mia(17)). Questa parole
individuale costruisce la relazione sociale fra i singoli parlanti, assicurando
la comunicazione all’interno della comunità linguistica. «L’atto individuale,
quando si tratta di lingua, presuppone due individui» (III C 266, trad. mia(18)).
Ragione per cui il «circuito della parole» (CLG/DM: 27) rappresenta uno
scambio linguistico fra individui. La langue, allora, come qualsiasi altra isti-
tuzione, risiede nel deposito collettivo di forme significanti all’interno di una
comunità, ed è sociale per principio(19).

(14)  «Tout ce qui est langue est implicitement collectif. En revanche il n’y a pas de
parole collective» (III C 308a).
(15)  «Si nous pouvions examiner le dépôt des images verbales dans un individu, con-
servées, placées dans un certain ordre et classement, nous verrions là le lien social qui
constitue la langue» (III C 269).
(16)  «L’acte social ne peut résider que chez les individus additionnés les uns aux autres,
mais comme pour tout fait social, il ne peut être considéré hors de l’individu» (III C 268).
(17)  «Tout ce qui est amené sur les lèvres par les besoins du discours et par une
opération particulière: c’est la parole» (I R: 65).
(18)  «L’acte individuel, quand il s’agit de langue, suppose deux individus» (III C 266).
(19)  «C’est pourquoi à aucun moment, contrairement à l’apparence, le phénomène
sémiologique quel qu’il soit ne laisse hors de lui-même l’élément de la collectivité socia-
le: la collectivité sociale et ses lois est un de ses éléments internes et non externes, tel est
notre point de vue» (ELG: 290).
Introduzione  15

III) La coppia langue/parole è presentata rispetto al suo statuto ontologi-


co attraverso la dicotomia a-storico/storico. La parole si presenta come la
realizzazione della langue, quindi concerne le variazioni contingenti e indi-
viduali di un sistema che resiste alle variazioni. «Separando la lingua dalla
parole, si separa a un sol tempo: 1. ciò che è sociale da ciò che è individuale:
2. ciò che è essenziale da ciò che è accessorio e più o meno accidentale»
(CLG/DM: 30). Affinché una lingua possa stabilizzarsi(20), deve essere già
utilizzata dai parlanti. «Niente entra nella lingua senza essere stato saggia-
to nella parole e tutti i fenomeni evolutivi hanno la loro radice nella sfera
dell’individuo» (CLG/DM: 231). «Se è vero che abbiamo bisogno del tesoro
della langue per parlare, reciprocamente tutto ciò che entra nella langue è
stato dapprima provato nella parole un numero sufficiente di volte per che ne
risulti un’impressione duratura: la langue non è che la consacrazione di ciò
che era stato evocato dalla parole» (I R 65, trad. mia(21)). Inoltre, se non c’è
lingua che resiste alla variazione nel tempo, non c’è possibilità di comuni-
cazione fra i parlanti. La relazione fra langue e parole rispetto al tempo con-
cerne, quindi, 1) la capacità di variazione della seconda rispetto alla prima e
2) l’anteriorità della seconda rispetto alla prima. «[…] la lingua è necessaria
perché la parole sia intelligibile e produca tutti i suoi effetti; ma la parole è
indispensabile perché la lingua si stabilisca; storicamente, il fatto di parole
precede sempre […] è la parole che fa evolvere la lingua» (CLG/DM: 37).
Chiarendo la relazione che sussiste fra langue e parole rispetto al tempo, si
chiarifica anche la relazione fra i due punti di vista attraverso cui si guarda
la lingua, sincronia e diacronia, poiché la langue si presenta come una stabi-
lizzazione momentanea di una parole che si trasforma continuamente: «tutto
quanto nella lingua è diacronico non lo è che per la parole. Nella parole si
trova il germe di tutti i cambiamenti: ciascuno è inizialmente lanciato da un
certo numero di persone prima di entrare nell’uso» (CLG/DM: 138).
IV) La coppia langue/parole è presentata rispetto al suo statuto episte-
mologico attraverso la dicotomia astratto/concreto. Se la parole è ciò che
varia rispetto al tempo, alle circostanze e ai parlanti, la langue è ciò che

(20)  «Il n’y a rien dans la langue qui n’y soit entré <directement ou indirectement>
par la parole, c’est-à-dire par la somme des paroles perçues, et réciproquement il n’y a de
parole possible que lors de l’élaboration du produit qui s’appelle la langue et qui fournit
à l’individu les éléments dont il peut composer sa parole» (Notes Constantin, III C 304).
(21)  «S’il est vrai que l’on a toujours besoin du trésor de la langue pour parler, récip-
roquement tout ce qui entre dans la langue a d’abord été essayé dans la parole un nombre
de fois suffisant pour qu’il en resulte une impression durable: la langue n’est que la con-
sécration de ce qui avait été evoqué <par> la parole» (I R: 65).
16  Introduzione

resiste alla variazione, è l’insieme delle regolarità che si stabilizzano col


tempo, e perciò permette a una collettività di parlanti di intendersi attra-
verso l’uso individuale di una lingua condivisa. «Lo studio del linguaggio
comporta dunque due parti: l’una, essenziale, ha per oggetto la lingua,
che nella sua essenza è sociale e indipendente dall’individuo; […] l’altra,
secondaria, ha per oggetto la parte individuale del linguaggio, vale a dire
la parole, ivi compresa la fonazione […]» (CLG/DM: 37). Da questo pun-
to di vista, possiamo quindi riconoscere un’accezione antropologica della
langue intesa come «un insieme di convenzioni necessarie, adottate dal
corpo sociale» (CLG/DM: 25) coerente rispetto all’accezione di langue
come istituzione, proposta da W. D. Whitney (1875) e ripresa da Saussure.
Inoltre, questa accezione di langue si articola con la precedente (cfr. su-
pra), ossia quella di deposito di forme linguistiche astratte, immagazzinate
nella memoria collettiva e individuale, cui i parlanti attingono a partire
dagli atti linguistici concreti, dalla parole. Si riconoscono, allora, nei fatti
di parole, dei fatti concreti da cui si estraggono i fatti di langue, che sono
astratti.(22)
Per riassumere, ripercorrendo le diverse accezioni proposte da Saussure
che possiamo leggere nelle note autografe manoscritte o nelle testimonian-
ze delle note dei suoi studenti, la coppia langue/parole si presenta come
una dualità(23) da descrivere attraverso una serie di dicotomie:
Langue = Deposito / Passivo / Collettivo / Condizione / A-storica;
Parole = Forza(24) / Attiva / Individuale / Produzione / Storica.
(22)  «Les faits de parole, pris en eux-mêmes, qui seuls certainement sont concrets, se vo-
ient condamnés à ne signifier absolument rien que par leur identité ou leur non-identité. Le fait
par exemple que aka est prononcé par telle personne à un certain endroit et à un certain mo-
ment, ou le fait que mille personnes à mille endroits et à mille moments émettent la succes-
sion de son aka, est absolument le seul fait donné: mais il n’en est pas moins vrai que [seul] le
fait abstrait <de> l’identité acoustique de ces aka, forme seul l’entité acoustique aka: et qu’il
n’y a pas à chercher un objet premier plus tangible, que ce premier objet abstrait» (ELG: 32).
(23)  La relazione fra le nozioni di langue e parole si presenta attraverso la dualità at-
tivo/passivo e individuale/sociale come due delle «cinq ou six dualités ou paires de cho-
ses» attraverso cui si potrebbe descrivere il linguaggio come fenomeno complessivo:
«Dualité:
Parole ⎪ Langue
Volonté individuelle ⎪ passivité sociale» (ELG: 298-299).
(24)  «Aujourd’hui on voit qu’il y a réciprocité permanente et que dans l’acte de lan-
gage, la langue tire à la fois son application et sa source unique et continuelle et que le
langage est à la fois l’application et le générateur continuel de la langue, non-seulement
la reproduction et la production [ (texte interrompu)» (Science du langage n. 153 = ELG
129, Nouveaux documents).
Introduzione  17

Di queste descrizioni Coseriu ritiene tre accezioni diverse delle nozioni


di langue (cfr. infra):
• «la lingua come realtà psichica, come Sprachbesitz, cioè come patri-
monio di forme linguistiche accumulato nella coscienza degli individui
parlanti»;
• «la lingua come istituzione sociale, cioè come sistema comune a cui si
può ricondurre il parlare, infinitamente vario, degli individui apparte-
nenti a una comunità»;
• «la lingua come sistema funzionale, cioè come sistema di differenze e
opposizioni significative».
Poiché le prime due accezioni della langue rappresentano rispettiva-
mente la dimensione individuale e la dimensione collettiva dello stesso fe-
nomeno, Coseriu riterrà della langue le accezioni di istituzione e sistema.
E come leggeremo nelle pagine che seguono, la parole rappresenterà la
dimensione individuale, contingente, concreta, del linguaggio.

1.2. Langue/parole dopo Saussure

Nella versione lunga del saggio Sistema, norma e parola, Coseriu (1952a,
1952b) passa in rassegna diverse interpretazioni delle nozioni di langue e pa-
role. Seguendo il percorso costruito dall’autore, oltre alle riletture proposte
da Charles Bally (1865-1947) e Albert Sechehaye (1860-1946), continuatori
immediati del pensiero saussuriano, Coseriu mette a confronto, direttamente
o indirettamente, le riletture proposte da linguisti diversi: Giacomo Devoto
(1897-1974), Hermann Paul (1864-1940), Otto Jaspersen (1860-1943), Ha-
rold Palmer (1877-1949), Walter Porzig (1895-1961), Louis T. Hjelmslev
(1899-1965), Alan H. Gardiner (1879-1963), Aarni Penttilä (1899-1971),
Viggo Brøndal (1877-1942), Walter von Wartburg (1888-1971), Karl Bühl-
er (1879-1963), Antonino Pagliaro (1898-1973), Nikolaï S. Troubetzkoï
(1890-1938), Betil Mamberg (1913-1994), André Martinet (1908-1999)…
Seguendo questo percorso, e senza soffermarci sulle diverse teorie evo-
cate nella versione lunga del saggio (Coseriu 1952a, 1952b), ci si rende
conto allora che le nozioni di langue e parole sono definite a partire da une
serie di dicotomie più o meno esplicite, ma in ogni caso presupposte dalle
definizioni citate. La coppia langue/parole si presenta come una dualità(25)
che può essere descritta attraverso queste dicotomie senza per questo di-
ventare essa stessa una dicotomia.

(25) Cfr. Kyheng (2005).


18  Introduzione

• Da un punto di vista fenomenologico, più precisamente osservando la


relazione che si stabilisce tra i soggetti, la coppia langue/parole viene pre-
sentata attraverso le dicotomie superindividualità/individualità, società/
persona, comunità/individuo, somma/unità. Sempre da un punto di vista
fenomenologico, ma più precisamente osservando l’azione che i soggetti
compiono per loro tramite, la coppia langue/parole viene presentata at-
traverso le dicotomie patrimonio/appropriazione, istituzione/azione, tra-
dizione/creazione, memoria/invenzione, abitudine/originalità, ripetizione/
innovazione, convenzione/libertà.
• Da un punto di vista ontologico, la coppia langue/parole viene presenta-
ta attraverso le dicotomie condizione/realizzazione, prodotto/produzione,
opera/operazione, sapere/attività, anteriorità/attualità, a-storicità/storicità,
possibilità/realizzazione, proiezione/attestazione, staticità/dinamicità.
• Da un punto di vista epistemologico, la coppia langue/parole viene pre-
sentata attraverso le dicotomie funzione/funzionamento, modello/applica-
zione, formalità/empiricità, idealità/realtà, astrazione/concretezza, genera-
lità/particolarità, descrizione/realizzazione, oggettività/soggettività.
Partendo anch’egli da una rilettura attenta delle nozioni saussuriane,
Coseriu considera il linguaggio (lenguage) come una totalità per descrive-
re la quale usa i concetti di lingua (lengua) e parola (habla). Tuttavia, il suo
concetto di lingua (lengua) non coincide con quello proposto da Saussure
(langue): esso è ulteriore all’analisi del linguaggio inteso come fenomeno
linguistico concreto, appartenendo piuttosto all’ambito della linguistica
storica che a quello della linguistica teorica. Per Coseriu, infatti, la realtà
del linguaggio è movimento, attività, «creazione perpetua». Riprenden-
do i termini di Humboldt, il linguaggio è energeia (Tätigkeit, attività) e
non ergon (Werk, prodotto). Pertanto, ogni sistema sincronico (non nel
senso di simultaneo, ma nel senso di a-storico) si basa «su un equilibro
instabile, è necessariamente un’astrazione» (Coseriu 1952, trad. it.: 48). Il
concetto di parola (habla) corrisponde allora al concetto di attività, non di
atto; al concetto di dinamica, non di prodotto. «In concreto esistono solo
atti linguistici (Sprechakte), esiste il parlare (das wirkliche Sprechen, das
Gaspräch), l’attività linguistica (Sprachtätigkeit); un’attività che è a un
tempo individuale e sociale» (ibidem: 49).
Coseriu riporta allora l’attenzione sulla parole, più precisamente sull’at-
tualizzazione del linguaggio attraverso la parola (Coseriu 1980). Per lui, «la
langue preesiste alla parole dal punto di vista statico e la parole precede la
langue dal punto di vista genetico» (Coseriu 1952, trad. it.: 53). Per questa ra-
Introduzione  19

gione, parafrasando Coseriu, l’atto linguistico è realizzazione di una “lingua”


precedente (sistema degli atti linguistici anteriori presi come modello) ed è,
nello stesso tempo, elemento di una nuova “lingua”, di un nuovo sistema un
po’ diverso, alla cui costituzione contribuisce. Collocandoci sul piano dell’at-
to linguistico, abbiamo, di conseguenza, una doppia prospettiva e possiamo
distinguere due “lingue”: una che riguarda il passato (coacervo linguistico,
sistema anteriore), l’altra l’avvenire (“prodotto”, sistema nuovo) (ibidem : 53).
Ma come si articolano queste due “lingue”? Per rispondere a questa do-
manda Coseriu introduce il concetto di norma.

3. Langue, parole, schema, norma e uso secondo Hjelmslev

La riflessione di Coseriu sulle nozioni di sistema, norma e parola, attra-


verso le quali aggiusta la relazione fra le nozioni di langue e parole, pog-
gia sulla riflessione di Louis T. Hjelmslev sulle nozioni di langue, parole,
schema, norma e uso, presentata alla Conférence européenne de séman-
tique a Nizza nel 1951, come Coseriu stesso scrive nella prima versione di
questo saggio (Coseriu 1952a).
In questa sede, ci soffermeremo sulle rielaborazioni di queste nozio-
ni proposte da Hjelmslev, così come emergono dai Prolegomeni alla te-
oria del linguaggio (Hjelmslev 1943a), si sviluppano nell’articolo Lan-
gue et parole (Hjelmslev 1943b) e si consolidano ne La stratificazione
del linguaggio (Hjelmslev 1954). La sua partecipazione alla Conférence
européenne de sémantique a Nizza nel 1951 si situa nell’arco temporale
racchiuso fra queste pubblicazioni, durante il quale Hjelmslev ripensa la
relazione fra tutte queste nozioni.
Nell’articolo intitolato Langue et parole(26), coevo dei Prolegomeni alla
teoria del linguaggio (1943), Hjelmslev riprende la coppia di nozioni lan-
gue e parole proposta da Saussure, scomponendola in tre nozioni: schema,
norma, uso. La nozione di norma ritorna con accezioni diverse e in fasi
diverse del pensiero di Hjelmslev(27).
Per Saussure, «l’essenziale della lingua […] è estraneo al carattere fo-
nico del segno linguistico» (CLG/DM: 21), così come è estraneo al ca-
(26)  Hjelmslev (1943b). L’articolo si conclude sulla data «marzo 1943», permetten-
do così di constatare la prossimità con la pubblicazione dei Prolegomeni… e di ravvici-
nare le nozioni proposte in queste due pubblicazioni.
(27)  Per una ricostruzione delle definizioni di norma fornite da Hjelmslev, cfr. Sier-
stema (1965, pp. 138-143) e Ricci (2003, 2004).
20  Introduzione

rattere grafico e a qualsiasi materialità che permetta la manifestazione di


qualsiasi forma linguistica. Come scrive De Mauro (CLG/DM: n. 45), su
questo concetto si fonda la rilettura da parte di Hjelmslev della nozione
saussuriana di langue come schema (cfr. infra), come «forma pura» (CLG/
DM: 36, 56, 164). La nozione di langue si presenta anche come forma
materiale (CLG/DM 32, n. 70) e come uso, ossia «insieme di abitudini
verbali» (CLG/DM: 37, 112). Queste accezioni nutrono la sua riflessione.
Infatti, come scrive in Langue et parole (Hjelmslev 1943b: 33), egli con-
sidera la langue a) come forma pura, definita indipendentemente dalla sua
realizzazione sociale e dalla sua manifestazione materiale; b) come forma
materiale, definita in quanto tale dalla sua realizzazione sociale, ma indi-
pendentemente dalla sua manifestazione materiale; c) come un insieme di
abitudini adottate all’interno di una società e definite dalle manifestazioni
materiali osservabili.
A partire da questa rilettura della nozione saussuriana di langue, Hjel-
mslev propone le nozioni di schema, norma e uso – che serviranno da
base alla riflessione di Coseriu – definendole ognuna rispetto a una diversa
definizione di langue:
a) schema, ossia la lingua intesa come forma pura;
b) norma, ossia la lingua intesa come forma materiale;
c) uso, ossia l’insieme delle abitudini linguistiche.
Questa tripartizione consiste principalmente nella scissione della nozio-
ne saussuriana di langue in due componenti, ossia lo schema e la norma
(punto di vista collettivo), mentre la parole (punto di vista individuale) si
ritrova nella nozione di uso.
Ponendo le tre nozioni di schema, norma e uso in relazione alle nozioni
di langue e parole, possiamo trarre le prime definizioni:
• lo schema è l’insieme delle caratteristiche formali di cui si compone
un segno linguistico (ciò che l’identifica come forma all’interno di una
lingua). Lo schema si propone quindi come forma realizzabile, ma non
come forma realizzata: esso può manifestarsi attraverso qualsiasi mate-
ria (sonora, grafica, gestuale, ecc.) senza perciò intaccare l’insieme delle
caratteristiche formali che lo costituisce in quanto tale(28);
(28)  «Elle implique qu’il est un réalisable, non qu’il soit un réalisé. Elle laisse ou-
verte n’importe quelle manifestation: qu’il prenne corps dans une matière phonique ou
graphique, dans un langage par gestes (soit dans l’alphabet dactylologique des sourds­
muets) ou dans un système de signaux par pavillons, qu’il se manifeste par tel ou tel
phonème ou par telle ou telle lettre d’un alphabet (soit l’alphabet latin ou l’alphabet mor-
se), tout cela n’affecterait en rien la définition de notre élément. […] Même si la pro-
Introduzione  21

• la norma identifica le diverse manifestazioni attraverso cui un segno può


realizzarsi all’interno di una lingua data senza per questo dover parlare
di una lingua nuova: mentre le sue caratteristiche formali rimangono, le
sue realizzazioni sociali e materiali mutano(29);
• l’uso concerne, invece, tutte le qualità proprie al modo di manifestazione
particolare che sono possibili all’interno di una stessa lingua. La defini-
zione di queste caratteristiche riguarda, per esempio, tutte le pronunce
possibili di uno stesso suono, purché queste pronunce non intacchino la
forma linguistica, ossia rimangano nei limiti definiti dallo schema senza
cambiarne le caratteristiche formali.
La nozione hjelmsleviana di schema è quella più vicina alla nozione
saussuriana di langue(30): essa rappresenta il valore (differenziale) che de-
finisce i segni linguistici gli uni rispetto agli altri all’interno del sistema,
che Saussure illustra attraverso la metafora degli scacchi e che giustifica la
formula secondo cui la lingua è forma e non sostanza(31).
Come mostra Hjelmslev (1943b), le nozioni di schema, norma e uso
permettono di rileggere la relazione langue/parole sia dal punto di vista
dell’atto collettivo, sia dal punto di vista dell’atto individuale.
Infatti, l’uso implica(32) l’atto, e viceversa: l’uso è un atto contingente,
così come l’atto è un uso contingente. Da un punto di vista individuale, ciò
corrisponde all’interdipendenza fra uso e atto.

nonciation habituelle du français changeait du tout au tout, la langue, considérée comme


schéma, resterait la même, pourvu que les distinctions et les identités préconisées par elle
soient sauvegardées» (Hjelmslev 1943b, p. 34).
(29)  Se così non fosse, «le français écrit serait une autre langue que le français parlé,
le français exécuté au moyen de l’alphabet morse serait une autre langue que le français
exécuté au moyen de l’alphabet latin, et ainsi de suite» (Hjelmslev 1943b, p. 35).
(30)  «On s’aperçoit facilement que, d’entre ces trois acceptions du mot langue celle qui
conçoit la langue comme schéma est la plus proche du sens qu’on a l’habitude d’assigner à ce
mot, lorsqu’il s’agit en pratique d’identifier une langue: le français télégraphié et le français
des sourds­muets est en effet la même “langue” que le français “normal”. Si on veut parvenir à
une définition qui touche l’essentiel du sens attribué dans la vie quotidienne et pratique au mot
c’est évidemment le sens de schéma qu’il faut retenir» (Hjelmslev 1943b, p. 36).
(31)  «Aussi paraît-­il que c’est cette première acception du terme langue que le Cours
de linguistique générale vise surtout à soutenir. C’est elle seule qui dépouille la langue de
tout caractère matériel (phonique par exemple [CLG: 21, 36, 56, 164]) et qui sert a sépar-
er l’essentiel de l’accessoire. C’est elle seule qui justifie la fameuse comparaison avec
le jeu d’échecs, pour lequel le caractère matériel des pièces reste sans importance, tan-
dis que leur position réciproque et leur nombre seuls importent [CLG: 30]» (Hjelmslev
1943, p. 36).
(32)  Hjelmslev identifica fra l’uso e l’atto una relazione di interdipendenza.
22  Introduzione

La reiterazione dell’uso produce quelle «abitudini linguistiche» (CLG:


37) su cui si fonda la norma. Essa presuppone(33) l’uso, quindi l’atto. L’uso e
l’atto precedono, logicamente e praticamente, l’instaurarsi della norma che
nasce dal reiterarsi dell’uso e dell’atto (e non il contrario). Infatti, ci sono atti
che non rispondono a norme (per esempio, il grido spontaneo che esprime
un’emozione negativa) e atti che rispondono a norme (per esempio, il grido
“aaai” che esprime una richiesta di attenzione, interpella l’interlocutore in
seguito a un’emozione negativa). Questi ultimi si reiterano attraverso l’uso,
ossia la realizzazione individuale e contingente della norma.
Infine, lo schema è presupposto(34) dall’atto, quindi dall’uso, e dalla
norma (ma non il contrario). Lo schema costituisce il valore (differen-
ziale) del segno: esso rappresenta la forma ammessa dal sistema, la cui
manifestazione varia senza intaccare il proprio valore rispetto alle altre
forme co-presenti nel sistema. Le manifestazioni costituiscono, invece, le
variabili cui possono attribuirsi diversi valori secondo le circostanze. Così,
come scrive Hjelmslev(35), il valore di una moneta o di un biglietto può
cambiare in relazione alle circostanze dell’uso, senza che questo intacchi il
suo valore (differenziale) rispetto alle altre monete e agli altri biglietti che
costituiscono il sistema. Detto altrimenti, la sua interpretazione (CLG: 37)
varia rispetto allo schema che, invece, resta invariato. Nel sistema lingui-
stico, come in qualsiasi altro sistema semiologico, lo schema costituisce la
costante presupposta dalle variabili (la norma, l’uso, l’atto)(36).
Hjelmslev propone allora di rappresentare la relazione fra schema, nor-
ma e uso nel modo seguente, considerando che ⟺ designa l’interdipenden-
za fra i due termini (costante ⟺ costante); ⟹ la determinazione della va-
riabile sulla costante (variabile ⟹ costante); ⟸ l’essere determinato della
costante attraverso la variabile (costante ⟸ variabile).

(33)  Hjelmslev identifica fra la norma e l’uso/atto una relazione di determinazione:


la norma determina l’uso/atto.
(34)  Hjelmslev identifica fra lo schema e l’uso/atto una relazione di determinazione:
lo schema è determinato dall’uso/atto.
(35)  «Ainsi une pièce de monnaie et un billet de banque peuvent changer de valeur,
tout comme un son ou un sens peuvent changer de valeur, c.­-à­-d. d’interprétation [CLG:
37] par rapport à différents schémas» (Hjelmslev 1943, p. 39).
(36)  «[…] tout comme une pièce d’argent est en vertu de la valeur et non inverse-
ment, le son et la signification sont en vertu de la forme pure et non inversement. Ici com-
me partout, c’est la variable qui détermine la constante et non inversement. Dans tout sy-
stème sémiologique, le schéma constitue la constante, c’est­-à-­dire la présupposée, tandis
que par rapport au schéma la norme, l’usage et l’acte sont les variables, c’est­-à-­dire les
présupposantes» (Hjelmslev 1943, p. 40).
Introduzione  23

Delle diverse accezioni con cui la nozione di parole viene presentata


nel CLG, Hjelmslev ne riprende tre. La parole è: 1. esecuzione (CLG: 30)
e non istituzione; 2. individuale (CLG: 24, 30 ss., 38) e non sociale; 3. li-
bera (CLG: 172) e non fissa. Ma, secondo Hjelmslev, la parole per essere
tale deve essere tutte queste cose insieme contemporaneamente.
Nella rilettura della relazione langue/parole proposta da Hjelmslev, l’u-
so collettivo o individuale(37), rispetto a cui la norma è un’astrazione e l’atto
una concretizzazione, rappresenta l’equivalente della parole poiché solo
l’uso costituisce un’esecuzione libera. La norma viene astratta dall’uso at-
traverso l’atto. Se la norma è astratta, si posiziona dalla parte della langue;
se l’uso è concreto, allora si posiziona dalla parte della parole.
Le nozioni hjelmsleviane di schema ed uso si sostituiscono quindi alle
nozioni saussuriane di langue e parole. La norma viene presentata, invece,
come «una finzione» poiché si riconosce osservando gli usi e si identifica
per astrazione. Lo schema (astratto) si definisce come forma rispetto alla
langue e l’uso (concreto) lo si definisce come esecuzione rispetto alla pa-
role. La norma rappresenta, invece, un insieme di criteri che determinano
l’uso, ma resta inattingibile in quanto tale.
Hjelmslev ritorna sulla nozione di norma alla fine del saggio La strati-
ficazione del linguaggio (1954). Le nozioni di schema, norma e uso sono
calate all’interno di un modello stratificato della lingua (sistema lingui-
stico), in particolare, e del linguaggio (sistema semiologico), in generale,
(37)  «Tout comme la parole peut être considérée comme un document de la langue,
l’acte peut être considéré comme un document de l’usage individuel, et l’usage indivi-
duel à son tour comme un document de l’usage collectif; il serait même vain et inutile de
les considérer autrement. On répondra que dans ces conditions on ne tiendrait pas suffi-
samment compte du caractère libre et spontané, du rôle créateur de l’acte; mais ce serait
une erreur, puisque l’usage ne saurait être qu’un ensemble de possibilités entre lesquelles
tout acte aurait libre choix; en décrivant l’usage il convient de tenir compte de la latitude
de variation qu’il admet, et cette latitude, pourvu qu’elle soit enregistrée de façon exacte,
ne serait jamais dépassée par [43] l’acte; du moment où elle le serait apparemment, la de-
scription de l’usage serait à remanier. Il paraît donc que par définition il ne peut rien y
avoir dans l’acte qui ne soit pas prévu par l’usage» (Hjelmslev 1943, pp. 42-43).
24  Introduzione

fondato sulle reciproche relazioni degli strati della forma, della sostanza e
della materia.
Allo strato della forma corrisponde l’insieme delle abitudini previste dal si-
stema (schema); allo strato della sostanza corrisponde l’insieme delle abi-
tudini ammesse dal sistema (norma); allo strato della materia corrisponde
l’insieme delle realizzazioni individuali e contingenti (uso). Il passaggio da
uno strato all’altro corrisponde al passaggio da una forma vuota (lo schema:
valore puramente relazionale e differenziale di una forma rispetto alle altre
forme del sistema) a – nei termini di Hjelmslev – una «forma materiale», una
forma piena che prevede una materializzazione (norma).
Questa riflessione si ritrova in germe nelle tracce dell’intervento di Hjel-
mslev contenute nel fascicolo della Conférence européenne de séman-
tique(38). Il fascicolo è composto da un corpus di documenti (ff. 32-185)
che testimoniano della preparazione di questa conferenza: lettere, biglietti,
telegrammi, ricevute, note, ecc., e fra questi anche gli interventi preparati
dai linguisti che vi hanno preso parte. Esso contiene, in particolare, tre
documenti (f. 125[95], f. 126[96], f. 127[97]) che formano un insieme in-
tegrato nel corpus, ma nello stesso tempo distinto per colore e testura del
supporto. Questo insieme è seguito da un quarto documento (f. 128[98])
che sembra una rielaborazione del terzo (f. 127[97]), ma si distingue dai
primi per le stesse ragioni. Poiché questa parte del fascicolo è riservata
agli interventi spediti dai linguisti che hanno preso parte alla Conférence
européenne de sémantique, sembra si tratti dei fogli spediti o portati o uti-
lizzati da Hjelmslev come supporto al suo intervento. Questa supposizione
è dovuta a più ragioni: il posto occupato dai documenti all’interno del fa-
scicolo, la relazione che intrattengono con gli altri documenti, e soprattutto
la concordanza fra i termini utilizzati in questi documenti e l’avanzamento
della riflessione di Hjelmslev sulla relazione fra schema, norma e uso nel
passaggio dall’articolo già pubblicato, Langue e parole (1943), all’articolo
che verrà pubblicato in seguito, La stratification du langage (1954), in cui
queste stesse nozioni vengono affinate.
Nel fascicolo della Conférence européenne de sémantique ritroviamo que-
sta riflessione nel primo documento qui riprodotto (f. 127[97]), seguito dal
secondo documento (f. 128[98]) che sembra essere una rielaborazione del
primo (f. 127[97]).
(38) Émile Benveniste, (1902-1976). Auteur de lettres. Recueil. Conférence eu-
ropéenne de sémantique, Nice, 26-31 mars 1951. 1950-1951. [ff. 32-185]. Source galli-
ca.bnf.fr / Bibliothèque nationale de France. Département des Manuscrits. Papiers d’o-
rientalistes 29 (2).
Introduzione  25
26  Introduzione

Nella prima tabella (f. 127[97]) troviamo tre colonne: quella dello sche-
ma, quella della norma, quella della parole (che prende il posto dell’uso).
Entrambe vengono descritte secondo i piani (del contenuto e dell’espres-
sione) e la funzione.
• Nella prima colonna, lo schema è oggetto della «plèrémique», disciplina
che si occupa dei «plérèmes» come grandezze della forma del contenu-
to (grandezze plerematiche, Hjelmslev 1954, trad. it. 1981: 39), e della
«cénémique», disciplina che si occupa dei «cénèmes» come grandezze
della forma dell’espressione (grandezze cenematiche, Hjelmslev 1954,
trad. it. 1981: 39), e coincidono con ciò che nel modello saussuriano del
segno si chiamano «signifié» e «signifiant». La funzione segnica è la
«signification».
• Nella seconda colonna, la norma è oggetto della «sémémique», disciplina
che si occupa dei «sémèmes» intesi come grandezze della forma del con-
tenuto, e della «phonémique», disciplina che si occupa dei «phonèmes»
intesi come grandezze della forma dell’espressione sonora(39) («graphé-
mique» sarebbe, infatti, la disciplina che si occupa dei «graphèmes» in-
tesi come grandezze della forma dell’espressione grafica), e coincidono
con ciò che nel modello del segno si chiamano «désigné» e «désignant».
La funzione segnica è la «désignation». La norma occupa il posto della
manifestazione, ossia la relazione specifica tra forma e sostanza (Hjel-
mslev 1954, trad. it. 1981: 39): «una certa grandezza all’interno della
forma costituisce il valore che viene attribuito, nel sistema semiotico in
considerazione, alla corrispondente grandezza della sostanza con cui si
manifesta» (Hjelmslev 1954, trad. it. 1981: 39-40). La norma occupa lo
spazio della manifestazione.
• Nella terza colonna, la parole (che occupa il posto dell’uso) è oggetto
della «sémique», disciplina che si occupa dei «sèmes» come unità mini-
me della forma del contenuto, della «phonique», disciplina che si occupa
dei «phones» come unità minime della forma dell’espressione, e posso-
no essere associati a ciò che nel modello del segno si chiamano «référé»
e «référant». La funzione segnica è la «référence».

(39) Nella Stratificazione del linguaggio, Hjelmslev parla di «cenemantema» per la


grandezza fonica o grafica che manifesta un glossema dell’espressione; più in particolare,
di «fonemantema» per la grandezza fonica che manifesta un tassema (l’elemento identi-
ficato al momento in cui termina l’analisi per selezione) dell’espressione; «fonematica»
per la sostanza fonica in generale; «grafemantema» per la grandezza grafica che manife-
sta un tassema (cfr. supra) dell’espressione; «grafematica» per la sostanza grafica in ge-
nerale (Hjelmslev 1954, trad. it. 1981, p. 41).
Introduzione  27

Come possiamo leggere nel saggio su La stratificazione del linguag-


gio, il glossema (invariante irriducibile, Hjelmslev 1954, trad. it. 1981: 39)
si distingue in plerematemi, ossia glossemi del contenuto, e cenematemi,
ossia glossemi dell’espressione. In termini glossematici, la forma vuota,
lo schema come entità puramente relazionale, viene definito cenema, per
quanto riguarda il piano dell’espressione, e plerema, per quanto riguarda
il piano del contenuto; mentre la norma, per esempio, può essere il fonema
(se la materializzazione del cenema si fa attraverso un’espressione foni-
ca) oppure il grafema (se la materializzazione del cenema si fa attraverso
un’espressione grafica): la norma è la realizzazione (possibile) che si rea-
lizza effettivamente soltanto attraverso l’uso, quindi l’atto. «Proprio come
un fonema è realizzato da un suono particolare (uso), ad un livello d’astra-
zione si può dire che un cenema è “realizzato” da un particolare fonema
della lingua. Questo è il modo in cui la norma può essere assunta sotto la
“sostanza” e, nella Stratificazione, sotto la parole» (Sierstema 1965: 138).

4. Lingua, sistema, parola, norma, uso secondo Coseriu

La riflessione di Coseriu (1952a) si apre con le nozioni presentate da


Hjelmslev alla Conférence européenne de sémantique di Nizza del 1951:
schema, norma(40) e parola. Queste nozioni occupano la prima pagina del
saggio, nutrendo fin dall’inizio la sua riflessione. Come scrive Fernando
Lara (1983), nell’opera di Coseriu il concetto di norma proviene da un
lavoro comparativo, interpretativo e prospettico, compiuto a partire da
due opere capitali della storia delle teorie del linguaggio contempora-
nee: il Cours de linguistique générale di Saussure (come abbiamo visto)
e la Sprachtheorie. Die Darstellungsfunktion der Sprache di Karl Bühler
(1938).

Bühler analizza i vari aspetti del linguaggio in modo fenomenologico, a


seconda che sia percepito come un fenomeno o oggetto di studio della lin-
guistica. Come fenomeno, il linguaggio può essere considerato come un’a-
zione verbale (Sprechhandlung) se si tiene conto del fatto che rappresenta
una manifestazione espressiva stimolata dagli stimoli, dai ricordi e dalle
conoscenze del soggetto parlante. In questo caso, la lingua non è affatto
diversa dalle azioni umane in generale (Handlungen) ed è considerata con

(40)  L’espressione “norme établie” lascia il posto alla più semplice “norma” (Hjel-
mslev 1954).
28  Introduzione

un grado inferiore di formalizzazione. Tuttavia, quando un’azione verbale


viene eseguita allo scopo di significare qualcosa, il linguaggio acquisisce
una dimensione completa, distinta da tutte le altre azioni umane e diventa
un atto di parola (Sprechakt), che implica un più alto grado di formalizza-
zione.
Tuttavia, a livello fenomenologico, è possibile analizzare la lingua sen-
za tener conto del suo legame con il soggetto parlante, come nel caso di
qualsiasi studio testuale. Quindi, possiamo studiarlo facendo astrazione del
soggetto ma collegandolo a uno spazio e un tempo specifici; quindi, dob-
biamo tenere conto dei dettagli più piccoli. A questo livello inferiore di for-
malizzazione troviamo la lingua come prodotto linguistico (Sprachwerk).
Infine, possiamo formalizzare il prodotto facendo astrazione immediata-
mente delle sue caratteristiche hic et nunc e cercando in esso la generalità
comune a tutti i prodotti, che non è altro che la sistematicità, la forma lin-
guistica (Sprachgebilde).
Secondo Bühler, questo “schema a quattro campi” non è altro che la siste-
matizzazione di qualcosa che tutti i linguisti hanno in un modo o nell’altro
segnalato nel loro studio della lingua. Pertanto Wilhelm von Humboldt ha
sottolineato l’aspetto energeia del linguaggio (= azione verbale e atti lin-
guistici) rispetto all’ergon (= prodotto e forma), mentre Saussure era inte-
ressato alla langue W= forma), in opposizione alla parole (= azione, atto e
prodotto) (Fernando Lara 1983: § 3.1).

Coseriu parte da una «concezione monista fondata sull’unica realtà


concreta del linguaggio» (cfr. infra) all’interno della quale langue e pa-
role sono solidali, imprescindibilmente imbricate l’una all’altra. La lan-
gue concepita come un sistema di forme linguistiche, «un’entità sistema-
tica-formale-interindividuale» (cfr. infra), si contrappone idealmente alla
parole concepita come un insieme di atti linguistici individuali e collettivi,
un’entità «asistematica-materiale-individuale» (cfr. infra). Questa con-
trapposizione è appunto soltanto ideale perché le due dimensioni, quella
della langue e quella della parole, fluttuano continuamente attraverso la
nozione di norma.
Infatti, la parole non è completamente «asistematica-materiale-indi-
viduale», ma presenta delle regolarità. Queste regolarità sono le norme.
L’insieme delle norme che guidano il parlante attraverso la produzione e/o
l’interpretazione della parole costituisce ciò che Coseriu chiama il sistema
normale. Coseriu scrive, infatti, che «la langue può concepirsi come isti-
tuzione sociale, cioè come sistema normale (Langue I), e, in un senso più
ristretto, come sistema funzionale (Langue II), dato che non tutto ciò che
Introduzione  29

è normale («sociale», costante) è necessariamente, e sullo stesso piano,


funzionale» (cfr. infra). Questa espressione può essere compresa tenendo
presente le distinzioni proposte da Hjelmslev: nelle realizzazioni si deli-
neano delle regolarità (la norma) che non vengono per ciò stesso integrate
nel sistema (lo schema), ma permettono di realizzare e/o interpretare gli
usi all’interno di una certa comunità. Queste regolarità (l’insieme delle
norme che rientrano nella langue I intesa come sistema normale) non rap-
presentano la lingua in quanto tale (l’insieme delle «forme astratte di ca-
ratteristiche pertinenti» che rientrano nella langue II come sistema funzio-
nale). Esse permettono di spiegare tutto ciò che nella lingua intesa come
istituzione non coincide con la lingua intesa come sistema. Gli scarti fra il
sistema e la realizzazione costituiscono, quindi, lo spazio della norma. Il
modo di concepire questo scarto determina il modo in cui si concepisce la
relazione fra langue e parole.(41)
Intese come regolarità, le norme possono identificarsi come «varianti
obbligatorie ma afunzionali» (cfr. infra). Esse rappresentano delle varia-
zioni-tipo (perciò invarianti) che guidano le produzioni e/o le interpre-
tazioni linguistiche, ossia delle «realizzazioni normali» fra le numerose
varianti possibili degli atti linguistici individuali.
Come scrive Coseriu, «l’individuo crea la sua espressione, ma non in
modo totalmente arbitrario, bensì elaborandola sulla base di modelli pre-
cedenti, che i nuovi atti contengono e, nello stesso tempo, superano: vale
a dire che l’individuo realizza concretamente, ricreandoli nel suo parlare,
modelli e strutture correnti nella sua comunità» (cfr. infra). Questi mo-
delli e queste strutture correnti sono specie di varianti (le norme) proprie
al parlare di una certa comunità linguistica (norma collettiva), così come
sono proprie al parlare di un certo individuo (norma individuale). Accanto

(41)  «Selon la théorie de Coseriu, la dichotomie saussurienne s’applique dans la me-


sure où le langage est considéré comme un objet d’étude. Dans une première assimilation
de la théorie de Saussure au modèle de Bühler, le produit correspond à la parole, la for-
me linguistique à la langue. Mais il serait ici important de préciser que: 1) en accord avec
Humboldt, ce que Saussure appelle parole aurait à la fois des traits de l’energeia (action
verbale et actes de parole) et de l’ergon (produit individuel); en revanche, la langue saus-
surienne serait comprise dans l’ergon; 2) en tenant compte de l’orientation moniste de
Coseriu qui proclame la nature d’energeia du langage, la langue et la parole de Saussu-
re font toutes deux partie de l’ergon car elles peuvent être considérées comme un “résult-
at” de l’activité linguistique. En effet, la parole comme produit sans lien avec le sujet et
la langue considérée comme une abstraction créée à partir des données réelles de la pa-
role constituent, selon Coseriu, un ergon purement et simplement. Voilà pourquoi il rejet-
te les concepts proposés par le structuralisme saussurien» (Fernando Lara 1983, § 3.3).
30  Introduzione

a questi due livelli, Coseriu aggiunge anche norme proprie a collettività


ristrette, delle norme sociali, regionali (Coseriu 1952, trad. it.: 93), alle
quali si aggiungono i diversi registri del parlare: familiare, popolare, lette-
rario, sostenuto, volgare, ecc. (Coseriu 2001: 98). E queste differenziazio-
ni risiedono sull’idea che la norma, per sua stessa natura, «è sempre meno
generale del sistema» (Coseriu 1952, trad. it.: 93).
Per riassumere, Coseriu parla di:
• invarianti funzionali per le forme intese come invarianti (langue II: siste-
ma funzionale);
• invarianti normali per le norme intese come specie di varianti (langue I:
sistema normale) proprie a una certa comunità linguistica (norma colletti-
va), ma anche ai parlanti individuali (norma individuale);
• varianti per le realizzazioni (normali e anormali) inerenti agli atti lingui-
stici individuali e collettivi (parole).
La nozione di norma rientra allora in una sorta di spazio intermedio fra
la lingua (sistema) e la parola (realizzazione). Essa ricopre lo spazio delle
regolarità, delle «specie di varianti» che guidano l’uso linguistico, e che si
realizzano diversamente attraverso gli atti linguistici individuali.
Come sappiamo, il termine norma deriva dal latino, interpretabile nel
senso letterale di «squadra» e nel senso figurativo di «regola» che ha ori-
gine nella consuetudine, a sua volta proveniente dal greco gnomon usato
anche nel senso di strumento di conoscenza che rimanda a sua volta alla
«facoltà di conoscere», al «buon senso», alla «giusta ragione» (Blay 2007:
567-568). Ripensando l’etimologia del termine nell’ambito della riflessio-
ne di Coseriu, la norma ricongiunge due aspetti: quello oggettivo dello
strumento di misura della regolarità delle realizzazioni rispetto al siste-
ma(42) e quello soggettivo della consuetudine delle realizzazioni stesse. Si
tratta quindi della «norma oggettivamente verificabile in una lingua» (cfr.
infra), quella che seguiamo necessariamente in quanto parlanti all’interno
di una comunità linguistica e che ci fa parlare coerentemente rispetto al
modo in cui la comunità stessa parla.

[…] la norma include tutto ciò che è [...] tradizionalmente (socialmente)


fissato, che è un uso comune e corrente della comunità linguistica [...].
Come corollario, la norma è un insieme formalizzato di realizzazioni tra-

(42)  «Le système [...] comprend tout ce qui est objectivement fonctionnel (distinctif).
[...] le système est un ensemble de possibilités de réalisation: il comprend aussi ce qui
n’a pas été réalisé, mais qui est virtuellement existant, ce qui est “possible” [...]» (Cose-
riu 2001, pp. 246- 247).
Introduzione  31

dizionali; comprende ciò che “esiste” già, ciò che si trova realizzato nella
tradizione linguistica […] (Coseriu 2001: 246-247, trad. mia(43)).

Coseriu distingue allora tre dimensioni: quella della lingua (sistema fun-
zionale), quella della norma (sistema normale), quella della parole (gli atti
individuali e collettivi). In questo modo, la nozione saussuriana di langue
viene scomposta nelle due nozioni di sistema (sistema funzionale) e norma
(sistema normale), mentre la parole rimane la dimensione degli atti lingui-
stici concreti. «Norma e sistema non sono quindi concetti a priori che noi
applichiamo al parlare concreto, ma forme che si manifestano – o meglio,
che noi distinguiamo – negli stessi atti linguistici individuali» (cfr. infra).
Come scrive nella versione lunga di questo stesso saggio, la linguisti-
ca viene considerata come «scienza della cultura» (Coseriu 1952, trad.
it.: 48). Se si estende la riflessione di Coseriu ai sistemi di segni non lin-
guistici, uno spazio si apre fra il sistema e la sua realizzazione per tutti i
sistemi di segni, e lo spazio è quello della norma: «la norma, infatti, può
considerarsi come sistema di realizzazioni obbligatorie, di “imposizioni”
sociali e culturali, e dipende dall’estensione e dall’indole della comunità
considerata» (cfr. infra).

5. Approfondimento sulla nozione di norma secondo Coseriu

Coseriu sviluppa la nozione di norma anche in altri saggi successivi, in


particolare:
— Sincronía, diocronía e historia. El problema del cambio lingüístico,
Facultad de Humanidades y Ciencias, Montevideo, 1958 (2a ed. 1973;
3a ed. 1978; Editorial Gredos, Madrid);
— Structure lexicale et enseignement du vocabulaire, in Actes du 1er Col-
loque international de linguistique appliquée, Nancy, 1966, pp. 175-
217.
— Sincronía, diacronía y tipología, in XI Congreso Internacional de Lin-
güística y Filología Románica, C.S.I.C., Madrid 1968, pp. 269-284.
Nelle pagine che seguono ripercorreremo le tappe principali di questa
(43)  «La norme comprend tout ce qui [...] est traditionnellement (socialement) fixé,
qui est usage commun et courant de la communauté linguistique [...]. Comme corollai-
re, la norme est un ensemble formalisé de réalisations traditionelles; elle comprend ce qui
“existe” déjà, ce qui se trouve réalisé dans la tradition linguistique [...]» (Coseriu 2001,
pp. 246-247).
32  Introduzione

sua riflessione intorno alla nozione cardine del saggio presente in questa
riedizione.
Scritto maggiormente nel 1955, poi ampliato nel 1956-57, il saggio Sin-
cronía, diocronía e historia. El problema del cambio lingüístico(44) è stato
pubblicato per la prima volta a Montevideo nel 1957, poi indipendente-
mente nel 1958. La genesi di questo scritto è quindi ulteriore rispetto al
saggio qui riedito, e la definizione di norma più complessa.
Il saggio è dedicato al problema del cambio linguistico. Coseriu parte
dall’assunto che nella lingua i fattori “esterni”(45) sono forze di cambiamen-
to da un punto di vista diacronico (lingua intesa come parlare concreto)
mentre i fattori “interni” sono forze di resistenza da un punto di vista sin-
cronico (lingua intesa come sistema astratto). Il cambio linguistico può
concepirsi però da un punto di vista diacronico soltanto considerando due
stati di una lingua: per questa ragione, ad esempio, arcaismi e neologismi
sono tali soltanto da un punto di vista sincronico rispetto a un determinato
stato di lingua. Il carattere a-storico della lingua concerne quindi la sua
descrizione, non la sua natura ineluttabilmente storica.
Coseriu permette di considerare la lingua diversamente: essa è nello
stesso tempo sistema e istituzione, e affinché possa mantenersi come si-
stema deve poter cambiare incessantemente proprio in quanto istituzione.
«La lingua si fa attraverso il cambiamento, e “muore” in quanto tale quan-
do smette di cambiare» (Coseriu 1958/1978: 283, trad. mia). Solo così
possiamo comprendere l’idea di lingua come ἐνέργειᾰ, oggetto storico che
in quanto tale presuppone insieme permanenza e trasformazione.
Nella lingua il cambiamento risiede nell’incessante modificarsi degli
usi, quindi dell’equilibro del sistema in generale che si basa sulle norme
che a loro volta si basano sugli usi. Tuttavia, non tutti i cambiamenti modi-
ficano il sistema: infatti, il sistema, proprio in quanto sistema di possibilità,
presuppone il cambiamento continuo pur permanendo tale fino a quando
si produce una modificazione della norma che viene accettata e integrata
(44)  Sincronía, diocronía e historia. El problema del cambio lingüístico, Facultad
de Humanidades y Ciencias, Montevideo, 1958 (2a ed. 1973; 3a ed. 1978; Editorial Gre-
dos, Madrid).
(45)  «Los hechos que realmente se imponen al individuo le son siempre exteriores
(son sólo “de otros”, y no “también de otros”) y son por excelencia antisociales. En cam-
bio, los hechos sociales no “se toleran” en común, sino que se aceptan como comunes y se
hacen en común. Su característica no es la “obligatoriedad”, en el sentido de imposición
externa, sino lo que — para destacar el sentido etimológico del término — podría llamar-
se “obligatoriedad”: tienen el carácter de empeño o compromiso contraído, de obligación
consentida (que era el sentido de lato obligatio)» (Coseriu 1958/1978, p. 44).
Introduzione  33

nel sistema stesso. «Parafrasando la famosa affermazione di Saussure sul


rapporto tra “langue” e “parole” [cfr. supra], si può affermare che – tran-
ne nel caso delle adozioni interlinguistiche e delle eventuali creazioni ex
nihilo – “nulla appare nel sistema che non esisteva prima nella norma”
e, viceversa, nulla scompare dal sistema funzionale se non per un’ampia
selezione operata dalla norma. D’altra parte, qualsiasi cambiamento nella
norma (lingua realizzata) avviene solo come concrezione storica di qual-
che possibilità già esistente nel sistema» (Coseriu 1958/1978: 128-129,
trad. mia).
La riflessione sulla norma si sviluppa proprio nell’ambito della rifles-
sione sul cambio linguistico. Coseriu mostra come la lingua cambia co-
stantemente per continuare a funzionare come sistema: detto altrimenti,
il cambiamento linguistico non è accessorio, ma necessario affinché una
lingua possa continuare a funzionare come tale. La lingua non è fatta una
volta per tutte, ma si fa continuamente attraverso l’attività concreta dei par-
lanti(46): essa non coincide con le realizzazioni concrete, cioè non è ἔργον;
essa coincide con l’attività linguistica stessa, cioè è ἐνέργειᾰ. E soltanto
poiché si presenta come attività (ἐνέργειᾰ), e non come prodotto di questa
(ἔργον), la lingua può essere descritta in quanto tale attraverso un processo
di astrazione. «Le strutture che costituiscono la lingua sono strutture del
parlare: forme dell’attività linguistica concreta; e non c’è nulla di contrad-
dittorio in un’attività sistematica» (Coseriu 1958/1978: 52, trad. mia).
Effettivamente, cercando le strutture che fanno funzionare la lingua
come sistema, comprendiamo in che senso «la norma di una lingua rap-
presenta il suo equilibrio “esterno” (sociale, regionale), fra le varie rea-
lizzazioni permesse dal sistema» (Coseriu 1958/1978: 54, trad. mia). La
nozione di norma è strettamente legata alla nozione di uso(47) perché è at-
traverso la ripetizione degli usi, e più precisamente degli stessi usi, che si
consolidano le norme: essa deriva dall’uso, e non viceversa. Un esempio
proposto dallo stesso Coseriu permette di spiegare la relazione fra norma e
uso, nonché la natura stessa della norma.

(46)  «Mas esta lengua, determinada constantemente (y no de una vez por todas) por
su función, no está hecha sino que se hace continuamente por la actividad lingüística con-
creta: no es ἔργον, sino ἐνέργειᾰ, mejor dicho, es “forma” y “potencia” de una ἐνέργειᾰ»
(Coseriu 1958/1978, pp. 30-31).
(47)  «Como ya decía Platón [Cratylus, 378b-388d], el hablar es acto (πρᾶξις) que uti-
liza palabras puestas a su disposición por el “uso” (νόμος) y hay que agregar que el acto
manifiesta concretamente el νόμος y, al manifestarlo, lo supera y lo modifica» (Coseriu
1958/1978, p. 32).
34  Introduzione

Nelle strutture che costituiscono il linguaggio, è importante distinguere tra


ciò che è semplicemente normale o comune (norma) e ciò che è opposi-
tivo o funzionale (sistema). Così, ad esempio, in spagnolo, la e di papel è
aperta e quella di queso è chiusa, sebbene il sistema fonologico(48) spagnolo
non conosca l’opposizione distintiva tra e aperta ed e chiusa. La pronuncia
[kεso] e [papel] non influisce sul sistema (poiché due forme non possono
essere distinte in spagnolo solo per l’opposizione ε/e), ma è contraria alla
norma spagnola. Allo stesso modo, [b] e [β], in quanto «varianti combina-
torie» non intercambiabili, sono in spagnolo (e non semplicemente parlan-
do di questo o quell’individuo) invarianti normali che, tuttavia, corrispon-
dono ad un’unica invariante funzionale /b/. L’opposizione tra [b] e [β], pur
non essendo funzionale (distintiva), appartiene quindi alla lingua spagnola,
e precisamente alla sua norma di realizzazione (Coseriu 1958/1978: 53-54,
trad. mia).

Quando usi diversi sono contemporaneamente presenti nella lingua


(per esempio, più modi di esprimere il plurale) siamo in presenza di un
equilibrio del sistema che può essere identificato come norma funziona-
le. Il sistema raccoglie quindi le «forme ideali» (Coseriu 1958/1978: 56)
attraverso cui si realizza una lingua, mentre la norma registra le forme
effettivamente realizzate, ciò che permette di parlare di una «realizzazione
tradizionale» (Coseriu 1958/1978: 138)(49).

In generale, si può dire, quindi, che una lingua funzionale (lingua che può
essere parlata) è un “sistema di opposizioni funzionali e realizzazioni nor-
mali” o, meglio, sistema e norma. Il sistema è un “sistema di possibilità, di
coordinate che indicano le strade aperte e le strade chiuse” di un discorso
“comprensibile” in una comunità; la norma, invece, è un “sistema di re-
alizzazioni obbligate” […], socialmente e culturalmente consacrate: non
corrisponde a ciò che “si può dire”, ma a ciò che è già stato “detto” e tra-
dizionalmente “si dice” nella comunità considerata. (Coseriu 1958/1978:
55, trad. mia).

(48)  Un’applicazione al sistema fonologico dei concetti proposti da Coseriu nel sag-
gio Sistema, norma y habla è stata proposta da Ramírez Quesada (2017).
(49)  « El sistema se aprende mucho antes que la norma: mu- cho antes de cono-
cer las realizaciones tradicionales para cada caso particular, el niño conoce el sistema de
«posi- bilidades», de donde sus frecuentes “creaciones sistemáticas” contrarias a la nor-
ma (como andé y cabí, por anduve y cupe), constantemente corregidas por los mayores»
(Coseriu 1958/1978, p. 138).
Introduzione  35

Poiché le cose non sono così semplici come appaiono, e poiché le nor-
me sono di diversa natura, Coseriu propone una distinzione ulteriore fra
norma funzionale e norma storica. La lingua intesa come sistema (la lin-
gua funzionale) non deve essere confusa con la lingua intesa come istitu-
zione (la lingua storica: il francese, lo spagnolo, l’inglese… ecc.) poiché
quest’ultima può comprendere diversi sistemi. «Così, ad esempio, realiz-
zazioni come [kaθa] e [kasa], per caza, sono ugualmente spagnole, ma
corrispondono a due sistemi diversi: in un sistema si distingue tra casa e
caza, mentre nell’altro tale distinzione non può essere fatta (almeno fo-
nematicamente). Lo “spagnolo” è, quindi, un “archisistema” all’interno
del quale sono inclusi diversi sistemi funzionali. L’equilibrio tra i sistemi
racchiusi da un archisistema può essere definito norma storica» (Coseriu
1958/1978: 56-57, trad. mia). Così una lingua non coincide con un solo si-
stema o una sola norma, ma con tutto ciò che in una lingua è riconoscibile,
nel contempo, come sistematico, sociale, storico, quindi culturale (Cose-
riu 1958/1978: 62). E la norma concerne sempre una comunità linguistica
data: cambiando comunità linguistica, cambia anche la norma.
Queste considerazioni non si applicano esclusivamente al sistema lin-
guistico, ma più generalmente a qualsiasi sistema semiologico. La rifles-
sione di Coseriu oltrepassa la linguistica, permettendoci di ripensare le
dinamiche proprie delle istituzioni.
Questa commistione di sociale, storico, culturale nel concetto di nor-
ma emerge soprattutto nell’analisi lessicale, cui Coseriu consacra il saggio
Structure lexicale et enseignement du vocabulaire pubblicato nel 1966(50).

La norma include nella “tecnica del discorso” tutto ciò che non è necessa-
riamente funzionale (distintivo), ma che è ancora tradizionalmente (social-
mente) fissato, che è uso comune e corrente della comunità linguistica. Il
sistema, invece, include tutto ciò che è oggettivamente funzionale (distin-
tivo). La norma corrisponde grosso modo alla lingua come “istituzione so-
ciale”; il sistema è la lingua come insieme di funzioni distintive (strutture
di opposizione). Come corollario, la norma è un insieme formalizzato di
realizzazioni tradizionali; comprende ciò che “esiste già”, ciò che si trova
realizzato nella tradizione linguistica; il sistema, invece, è un insieme di
possibilità di realizzazione: comprende anche ciò che non è stato realizzato
ma che è virtualmente esistente, ciò che è “possibile”, cioè ciò che può

(50)  Structure lexicale et enseignement du vocabulaire, in Actes du 1er Colloque in-


ternational de linguistique appliquée, Nancy, 1966, pp. 175-217.
36  Introduzione

essere creato secondo le regole funzionali della lingua (Coseriu 1966: 205,
trad. mia).

Per meglio chiarire la differenza fra sistema e norma, Coseriu propone


l’esempio del termine francese notionnel. I dizionari registrano l’uso di
questo termine soltanto a un certo momento: questo non significa che il
termine non potesse esistere prima, ma che non esisteva soltanto dal punto
di vista della norma, pur essendo nelle possibilità funzionali del sistema
(come conceptuel, ad esempio). La norma interviene per delimitare, fissare
e trasmettere la creazione di significanti e significati possibili secondo il
sistema.
Anche la scelta fra due sinonimi risponde a una norma. Per esempio, fra i
termini sentire e udire si preferisce solitamente il primo. E questa scelta rispon-
de a una norma socio-storicamente consolidatasi. Sempre rispetto all’analisi
lessicale, la norma determina anche i «cliché lessicali», ossia le associazioni
abituali, come ad esempio (it.) riso amaro, il bel Paese, spaccarsi la testa, (fr.)
cul de sac, désirer ardemment, boite de nuit, ecc. Sempre alla norma risponde
la selezione di certi tratti semantici in certi contesti poiché riflettono attitudini
sociali, politiche, culturali, religiose… all’interno della comunità linguistica.
E ancora alla norma rispondono le delimitazioni semantiche fra termini egual-
mente presenti in due o più lingue di riferimento. Per esempio, se in francese
troviamo bruler, in italiano troviamo scottare e bruciare che differiscono per
una sfumatura di senso. Come scrive Coseriu, lo stesso vale per le espressioni
come lo spagnolo verdadero che corrisponde al francese vrai e all’italiano
vero, che però non ritroviamo ugualmente nelle tre lingue: le espressioni c’est
vrai (fr.) ed è vero (es.) non corrispondono allo spagnolo *es verdadero, ma
all’espressione es verdad. «In generale, non si può parlare una lingua soltanto
con il sistema: bisogna conoscerne anche le norme d’applicazione, secondo le
situazioni e i contesti» (Coseriu 1966, p. 208).
Saper parlare una lingua è una competenza tecnica storicamente determi-
nata perché condivisa in una comunità linguistica data. Una lingua è dunque
un sapere che si manifesta come attività (ἐνέργειᾰ) attraverso cui si mani-
festa un sistema di forme e pratiche. Osservando i diversi modi attraverso
cui si manifesta questa attività, nel saggio Sincronía, diacronía y tipología
pubblicato nel 1968(51) Coseriu propone di distinguere tre «strati funzionali»:
la norma, il sistema e il tipo.

(51)  Sincronía, diacronía y tipología, in XI Congreso Internacional de Lingüística y


Filología Románica, C.S.I.C., Madrid 1968, pp. 269-284.
Introduzione  37

La “norma” comprende ciò che nel discorso di una comunità linguistica è


una tecnica eseguita storicamente, ciò che in quel discorso è una realizza-
zione comune e tradizionale, anche senza essere necessariamente funzio-
nale (così, ad esempio, le due varianti “obbligatorie” [b] e [β] del fonema
/b/ nello spagnolo esemplare; la realizzazione di /r/ come uvulare in fran-
cese parigino, ecc.). Il “sistema” rappresenta l’insieme delle opposizioni
funzionali (distintive) attestabili nello stesso discorso, le regole distintive
secondo le quali quel discorso si realizza e, di conseguenza, i limiti fun-
zionali della sua variabilità; in quanto tale, il sistema va oltre quanto stori-
camente realizzato, poiché comprende anche ciò che sarebbe realizzabile
secondo le stesse regole esistenti (parzialmente applicate nella norma).
Si consideri, ad esempio, la serie seguente: giocare – giocherellare – *ri-
giocherellare – *rigiocherellamento – *rigiocherellamentista – *rigio-
cherellamentistico. Esistono queste ultime forme? Certamente non nella
norma italiana: non si trovano come storicamente realizzate, non compa-
iono nei dizionari (che di solito sono repertori della norma lessicale). Nel
sistema però esistono: sono forme funzionalmente “possibili”. Infatti, sono
riconosciute come forme “italiane”, e non di qualche altra lingua, poiché
sono costruite secondo le regole funzionali dell’italiano. Non si tratterebbe,
invece, di forme “italiane” per quelle come vidergiocherellare, rigioche-
rellemā, rigiocherellamiento, contrarie non solo alla norma, ma anche al
sistema dell’italiano. Infine, il “tipo” linguistico racchiude i principi fun-
zionali, cioè i tipi di procedure e le categorie di opposizioni del sistema, e
rappresenta quindi la coerenza funzionale che si attesta tra le varie sezio-
ni del sistema stesso. Così interpretato, il tipo è una struttura linguistica
oggettiva, un piano funzionale della lingua: è semplicemente il più alto
livello di strutturazione di una tecnica linguistica. Ad esempio, nelle lingue
romanze, ad eccezione del francese (e, in misura minore, dell’occitano), la
coerenza funzionale a livello del tipo è data [...] da un principio generale
che può essere formulato come segue: determinazioni materiali “interne”
(paradigmatiche), per funzioni “interne”, designative, cioè non relazionali
(come genere e numero); determinazioni materiali “esterne” (sintagma-
tiche), per funzioni “esterne”, relazionali (come le funzioni del caso, il
confronto di aggettivi, ecc.). A livello categoriale, il tipo contiene, come
virtualità, anche procedure che non esistono nel sistema, ma che sarebbero
possibili, in quanto corrispondono a categorie tecniche già date come tali
(Coseriu 1968: 276-277, trad. mia).

Riassumendo, la norma comprende le realizzazioni linguistiche tradi-


zionali, adottate in una determinata comunità linguistica; il sistema com-
prende le “regole” sottese a tali realizzazioni; il tipo comprende i princi-
38  Introduzione

pi sottesi alle “regole” adottate nel sistema. Per questa ragione, la norma
concerne le realizzazioni concrete mentre il sistema quelle possibili e il
tipo quelle concepibili. Un solo sistema può quindi comprendere diverse
norme così come sistemi diversi possono corrispondere a uno stesso tipo
linguistico. Questi tre gradi di generalità si includono l’un l’altro (Coseriu
1968: 278). E la lingua risulta un sapere tecnico di possibilità in parte rea-
lizzate, in parte non realizzate ma realizzabili.

6. Conclusione 

L’opera di Coseriu ha acquisito col tempo una risonanza internaziona-


le(52). Da un lato, per il suo stesso profilo, avendo insegnato in diverse uni-
versità (Coímbra, Bonn, Francoforte, Tübingen, Strasburgo). Da un altro,
per la sua produzione scientifica poliglotta (rumeno, spagnolo, tedesco,
francese, italiano…).
Linguista e filologo(53), Coseriu ha ricevuto riconoscimenti dalle istitu-
zioni più prestigiose (più di quaranta dottorati honoris causa e altri titoli
onorari). Nessun ambito della linguistica viene escluso dalla sua produzio-
ne eterogenea: grammatica, fonetica, fonologia, sintassi, semantica, les-
sicografia, lessicologia, tipologia, dialettologia… Nessun approccio della
lingua gli era estraneo: linguistica generale, linguistica del testo (che ha
contribuito a costituire), etnolinguistica, sociolinguistica, linguistica ro-
manza, filosofia del linguaggio… Alcune sue opere, come Introducción a
la lingüística (México, 1983), sono ormai considerate classici della storia
della linguistica.
In seguito alla sua scomparsa, il 7 settembre 2002 a Tübingen, numerosi
sono stati gli eventi e gli omaggi che gli sono stati dedicati: la raccolta di
saggi tradotti in francese (L’Homme et son langage, 2001, a cura di H.
Dupuy-Engelhardt, J.-P. Dufour e F. Rastier) precede riedizioni importanti
come Textlinguistik(54) (2007) e la sua versione spagnola Lingüística del
texto. Introducción a una hermenéutica del sentido (Oscar Loureda, 2007),
oppure Eugenio Coseriu. Storia della filosofia del linguaggio (Donatella
Di Cesare, 2010). Numerosi convegni internazionali sono dedicati alla sua
(52)  Per una bibliografia completa delle pubblicazioni di Eugenio Coseriu, si veda la
lista disponibile in: http://www.romling.uni-tuebingen.de/cose-riu/indexfr.htm
(53)  Per una breve biografia, si veda il contributo di Renzi (2012).
(54)  Linguistica del testo. Introduzione a una ermeneutica del senso, Roma, Caroc-
ci, 1997.
Introduzione  39

opera(55), diverse raccolte di saggi come Eugenio Coseriu. Il linguaggio


e l’uomo attuale. Saggi di filosofia del linguaggio (a cura di C. Bota e
M. Schiavi, 2007), l’antologia Omul şi limbajul său. Studii de filozofie
a limbajului, teorie a limbii şi lingvistică generală (a cura di D. Fînaru,
2009), volumi collettivi di studi sulla sua opera come Eugenio Coseriu
aujourd’hui. Linguistique et philosophie du langage (a cura di C. Gérard e
R. Missire, 2015). L’insieme di queste riedizioni e di questi studi riapre la
strada verso la sua complessa teoria del linguaggio(56).
Il saggio Sistema, norma e parola fa parte dei contributi più importanti
di Eugenio Coseriu alla linguistica contemporanea. La sua riedizione per-
mette di mostrarne l’invariata attualità. Se si considerano, ad esempio, il
dibattito sulla femminizzazione del lessico o quello sulla scrittura inclusi-
va, diventa evidente l’urgenza di ripensare la natura della norma rispetto
agli usi e al sistema. Le problematiche affrontate da Coseriu, in questo
come in altri saggi, meritano di essere riconsiderate alla luce delle questio-
ni linguistiche attuali.

Edizioni di Sistema, norma e parola

Coseriu E., “Sistema, Norma y Habla”, Revista de la Facultad de Humani-


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a cura di, Linguistica generale, strutturalismo, linguistica storica,
Pisa 1971, pp. 462-466.

(55)  Il Congresso internazionale su Eugenio Coseriu si è svolto a più riprese e in


più luoghi: Aix en Provence, 17-IX-19-IX 2007; Cluj/Rumanía, 23-IX—25-IX-2009;
Almería, Spagna, 5-X-7-X-2011; Udine, Italie, 1-X-2-X-2013; otsdam/Allemagne,
8-X-10-X-2015; Lima/Peru, 2-VIII-4-VIII-2016.
(56)  Per preservare la sua memoria e incoraggiare gli studi sulla sua opera, l’universi-
tà di Tübingen ha creato l’archivio delle opere, dei documenti (grafici e sonori), degli scrit-
ti (editi e inediti), e della biblioteca di Coseriu. Per informazioni: http://www.coseriu.de/
40  Introduzione

––– Sistema, norma e fala (Comunicação enviada ao VI° [sic.] Congres-


so Internacional de Linguístas)*, [Universidade, Faculdade de Le-
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Sistema, norma e parola

di Eugenio Coseriu

I. Possibilità di una tripartizione nella realtà unitaria del linguaggio; II.


Incoerenze e contraddizioni degli enunciati su langue e parole; III. Insuf-
ficienza della dicotomia saussuriana; IV. L’idea di “norma” nell’indagine
empirica e nella linguistica strutturale; V. Fatti di “sistema” e fatti di “nor-
ma”; VI. Abbozzo di una teoria coerente del discorso e della sua formaliz-
zazione; VII. Importanza e utilità della tripartizione sistema/norma/parola.

1. Possibilità di una tripartizione nella realtà unitaria del linguaggio

In una “Conferenza di semantica” che si è tenuta a Nizza a marzo del


1951, su iniziativa di Emile Benveniste, e che ha coinvolto nove linguisti
di vari Paesi europei e degli Stati Uniti, i professori Louis Hjelmslev di
Copenaghen e John Lotz di New York, teorici di semantica puri ed espo-
nenti dell’“orientamento integrale della grammatica generale”, hanno ri-
assunto la loro posizione in una tabella che mostra tre aspetti distinti nel
linguaggio — schema, norma stabilita e “parole” (discorso). Questi tre
aspetti sostituiscono i due tradizionali della linguistica postsaussuriana,
anche di quella che non accetta la teoria del maestro ginevrino: langue e
parole, lingua e parola (Sprache-Rede, language-speech).
A ciascuno di questi aspetti corrispondono, nel campo del tutto pecu-
liare del linguaggio e indipendentemente da una realtà esterna significata,
designata o riferita, particolari discipline e unità: sul piano dell’espres-
sione cenemica, fonemica e fonica (discipline) e cenema, fonema e fono

45
46  Sistema, norma e parola

(unità); sul piano del contenuto pleremica, sememica e semica (discipline)


e plerema, semema e sema (unità).

1.1. Giacomo Devoto, nel suo breve resoconto di questa conferenza


pubblicato nell’Archivio Glottologico Italiano(1), osserva:

Una [...] novità (complicatrice) è la scissione della langue saussuriana in “sche-


ma” e “norma”. Quello che nello schema è l’unità vuota o cenema, nella norma
diventa il fonema; e quello che nello schema è l’unità piena o plerema, nella
norma diventa il semema. Ne consegue che anche l’opposizione relativa fonda-
mentale, secondo Saussure, deve restringere la relazione signifiant/signifié allo
schema e, per quanto riguarda la norma, deve introdurre la coppia parallela “de-
signante”/ “designato”. Questo doppio sistema di distinzioni può lasciarci per-
plessi e giustifica il dubbio se valga la pena di elevarsi a tali astrazioni. La realtà
della lingua è in movimento e, anche quando è considerata sincronicamente, si
fonda su un equilibrio instabile. Il vantaggio di una rappresentazione totalmente
geometrica si paga allo stesso prezzo della contemplazione della struttura ana-
tomica interna di un uomo tanto reale e comodo da descrivere, ma diverso da
quello vivo.

Devoto, che pure dubita dell’utilità delle eccessive astrazioni cui giun-
ge la scuola danese, abbozza in seguito una concezione della parole non
meno astratta:

Tuttavia — scrive — la mia vera obiezione sta nella posizione del problema della
parole, scissa analogamente nelle due unità “fonica” e “semica”. La parole si
distingue a mio avviso dalla langue non solo quantitativamente, ma per la sua
struttura. La parole non può avere legami con lo schema né con la norma di una
lingua perché non è ancora suono né segno, non si sa ancora se si realizzerà in
parole grammaticali o in linee, colori o note musicali.

A questa parole che esiste e non esiste, che — per non essersi ancora
espressa — è solo intuizione o pensiero (e dunque non è un fatto lingui-
stico né estetico ma semplicemente psicologico, come processo psichico
o anche logico per via della sua coerenza intima o del suo rapporto con la
realtà) o che comunque è solo un’intenzione, una virtualità, Devoto de-
dica la sua semantica, intesa come linguistica del discorso. La semantica
si identificherebbe con quest’ultima, benché il discorso implichi solo il
concreto fissarsi di determinate relazioni significative individuali che, in
generale, preesistono nella lingua — nella misura in cui essa preesiste al

(1)  Cfr. Devoto 1951, pp. 82-84.


Sistema, norma e parola  47

discorso — o che in essa si ripercuotono, nella misura in cui la lingua si


costituisce sulla base dei concreti atti di discorso.
Questa parole devotiana si distingue quantitativamente e struttural-
mente dalla lingua, ma non necessariamente dal punto di vista della sua
natura intima, perché se la sua espressione è linguistica, anche la parole
così intesa avrà innegabili vincoli con la langue. Ma diverge dalla parole
per come l’abbiamo intesa finora. Non è la parole in quanto identità di
intuizione ed espressione, cioè come attività creatrice concreta, somma di
atti linguistici concreti e indubbiamente inediti e individuali. Tali intuizio-
ni sono infatti inedite e individuali, ma allo stesso tempo convenzionali e
“fatti di lingua”, esempi e modelli di lingua, in quanto si creano sulla base
di atti linguistici precedenti e servono da base, a loro volta, per atti lingui-
stici successivi. La lingua, infatti, esiste solo come sistema astratto di atti
linguistici comuni, concretamente registrati o accumulati nella memoria
dei parlanti. La parole devotiana non è neanche la parole di Saussure (e di
Hjelmslev, dato che essenzialmente la scuola di Copenaghen mantiene in
questo la teoria saussuriana), che è impiego individuale della lingua (si-
stema sociale) nettamente distinta da essa (che riguarderebbe la società e
non l’individuo), ma con cui è nello stesso tempo in continua e intima re-
lazione. Se da un lato il discorso è realizzazione individuale della lingua,
dall’altro “nulla esiste nella lingua che non sia prima stato nel discorso”.
L’obiezione di Devoto, dunque, più che una critica alle astrazioni e alla
tripartizione di Hjelmslev, è la proposta di una concezione nettamente
diversa della parole, simile a quella sostenuta da Sechehaye.

1.2. Qui però non intendiamo criticare, sulla base di una frase isolata
esposta a varie interpretazioni, la concezione linguistica di Devoto, che
ha solide e innegabili basi teoriche, né intendiamo sviluppare una nostra
teoria personale della parole. Ci preoccupa invece accertare se, dal punto
di vista metodologico, la tripartizione di Hjelmslev, fondata su altre basi
e in termini molto diversi, possa risultare utile, vantaggiosa e anche ne-
cessaria per la linguistica teorica e la linguistica storica, tanto sincronica
quanto diacronica. Si tratta cioè, da un lato, di contribuire a una migliore
comprensione della realtà intima e del modo di essere di quella comples-
sa attività umana che è il linguaggio, dall’altro di comprendere meglio
la natura di quei sistemi storico-culturali che comunemente chiamiamo
lingue e il fattore intrinseco del loro sviluppo: il mutamento linguistico e
il meccanismo della sua produzione e diffusione. Va detto subito che la tri-
48  Sistema, norma e parola

partizione che proponiamo potrebbe essere letta come una scissione della
langue saussuriana. Quest’interpretazione, però, non è necessaria né cor-
retta, perché il nostro concetto di lingua non coincide in alcun modo con
quello di Saussure e dei suoi continuatori. Per noi la langue si colloca in un
momento successivo all’analisi del linguaggio, come fenomeno concreto,
e corrisponde alla linguistica storica più che a quella teorica.
Devoto ha certo ragione quando esprime i suoi dubbi sull’opportunità
delle eccessive astrazioni e sul geometrismo cui approdano alcuni cultori
della linguistica strutturale, in particolare Hjelmslev. Anche altri linguisti,
di orientamento assai diverso da quello di Devoto, come André Martinet
(1942-45), pur riconoscendo la genialità delle costruzioni teoriche del pro-
fessore di Copenaghen, hanno segnalato i rischi impliciti della riduzione
della linguistica a un’algebra di forme vuote e del rifiuto della sostanza
fonica. È certamente vero che la realtà del linguaggio è movimento (cioè
che il linguaggio è attività, “creazione perenne”) e che dunque ogni sistema
sincronico si basa su un equilibrio instabile ed è necessariamente un’astra-
zione; ma un conto è essere al corrente dei rischi che questa astrazione
comporta e un altro è mettere in dubbio la sua ineluttabilità teorica come
condizione necessaria di ogni conoscenza scientifica. Infatti, pur ammetten-
do anche noi che una riflessione puramente strutturale porti spesso lontano
dalla “vita” del linguaggio, cioè dalla sua realtà concreta, non ne deducia-
mo, come corollario, che convenga rifiutare del tutto l’astrazione. Senza
astrazione, infatti, non è possibile accertare verità generali e principi co-
stanti nella molteplicità, frammentarietà e eterogeneità dei fenomeni; ac-
certare cioè nel materiale del linguaggio quegli aspetti ideali o formali che
costituiscono il vero oggetto della linguistica come scienza della cultura(2).

(2) Diciamo, en passant, che non concordiamo con il giudizio un po’ sprezzante della
linguistica attuale sui termini “astratto” e “astrazione”. Tale giudizio è dovuto all’errore
semantico di pensare che “astratto” sia un sinonimo di “fittizio”, “arbitrario”, “non com-
provato dai fatti”, “irreale”, “non vero”, “falso”, ecc... È evidente che se si dà un unico si-
gnificato di “astratto”, opponendolo esclusivamente a “concreto”, il termine non può si-
gnificare “non vero” o “meno vero del concreto”, ma soltanto “più vero”. La frase “tre più
tre è uguale a sei” è più vera della frase, relativamente meno astratta, “tre cavalli più tre
cavalli è uguale a sei cavalli”, perché indica una verità più generale. In linguistica, dun-
que (come in altri campi), l’errore vero è dovuto non all’astrazione in sé, che è un’ope-
razione scientifica indispensabile, ma al fatto di considerare le astrazioni realtà concrete
(vedi le cosiddette Ursprachen) o indipendenti e separate dai fatti concreti (è il caso del-
la langue) e di applicare al linguaggio modelli esterni non dedotti dalla sua realtà concre-
tamente accertata. È ciò che accade in molte filosofie del linguaggio e nella grammatica
generale di tendenza logicista.
Sistema, norma e parola  49

Forse è vero, come osserva Devoto, che con l’analisi della struttura anato-
mica umana ci allontaniamo dalla conoscenza dell’uomo vivo, ma ce ne
allontaniamo solo per avvicinarci di più a essa in seguito. Senza questo mo-
mento di astrazione, la conoscenza stessa dell’uomo vivo non è conoscen-
za effettiva, ma semplice presa di contatto o comunque non è conoscenza
comunicabile né scientifica. Il “movimento” peculiare del linguaggio ri-
sulterebbe incomprensibile se non si astraessero concetti da alcuni ideali
principi sincronici (nel senso non di “simultanei”, ma di “fuori dal tempo”),
che presiedono al medesimo movimento costituendone l’aspetto formale. A
parer nostro la linguistica, più delle altre scienze, deve muoversi costante-
mente, per la natura stessa del suo oggetto, fra i due poli opposti del con-
creto e dell’astratto: deve risalire dall’accertamento empirico dei fenomeni
all’astrazione delle forme ideali e sistematiche, e tornare poi ai fenomeni
concreti arricchita delle conoscenze generali ottenute con il lavoro di astra-
zione. L’importante è che non ci si conformi all’astrazione e non si ristagni
in essa, perché si può comprendere intimamente la realtà del linguaggio
solo nel terzo momento, quando ci si volge al concreto. Il linguista, se ci si
consente quest’immagine, dev’essere insieme botanico e giardiniere: deve
arrivare a costituire tipi astratti e ideali di fiori, ma soltanto per aver meglio
cura della vita capricciosa, complessa e ogni volta nuova e sorprendente dei
fiori vivi e concreti del suo giardino; dev’essere botanico per poter essere
un giardiniere migliore.
Altro punto fondamentale è che il botanico comprenda che i tipi ideali
che ha ottenuto non hanno esistenza autonoma in un mondo a parte, non
esistono al di fuori dei fiori concreti e indipendentemente da essi; e che
le forme astratte riassumono e generalizzano il concreto, ma non gli si
oppongono. Intendiamo dire che è estremamente importante non conside-
rare l’astrazione come un’altra realtà, ma soltanto come un aspetto for-
male e sistematico comprovato, per necessità scientifiche, nei fenomeni
concreti stessi, come un modo di affrontare quella realtà concreta, unica e
indivisibile che è il linguaggio umano.
In concreto esistono solo atti linguistici (Sprechakte), esiste solo il
discorso (das wirkliche Sprechen, das Gespräch), l’attività linguistica
(Sprechtätigkeit). Un’attività che è a un tempo individuale e sociale, che
di per sé è asistematica, essendo perenne creazione di espressioni inedite
corrispondenti a intuizioni inedite, e nella quale distinguere un sistema
più o meno stabile non significa accertare una realtà altra, diversa dagli
atti linguistici. Tale distinzione è infatti soltanto un’astrazione scientifica
50  Sistema, norma e parola

necessaria, fatta in vista di uno studio del linguaggio che vada al di là


della registrazione e dell’analisi degli atti discorsivi e che possa costituire
storia.
Humboldt vide molto bene tutto questo, quando affermò che il lin-
guaggio è enérgeia (Tätigkeit) e non érgon (Werk, prodotto) e lo aveva
visto bene anche il vecchio Hermann Paul, che pure molti considerano
«un tipico esponente teorico della scuola neogrammatica», ma che ha di-
stinto i «processi reali della vita del linguaggio» dalle astrazioni chiamate
«lingue»(3).
Il nostro problema, perciò, è di verificare se, partendo da una concezione
monista del linguaggio e restandovi aderenti, sia possibile giungere a
una tripartizione chiarificatrice a livello teorico e utile a livello metodo-
logico.

2. Incoerenze e contraddizioni degli enunciati su langue e parole

La concezione cui siamo giunti ha i suoi precedenti, in primo luogo


nelle difficoltà che si incontrano nella definizione dei concetti di langue
e parole, introdotti nella scienza linguistica da Saussure(4) e accolti o rie-
laborati da tutta una serie di linguisti, allievi e non del maestro ginevrino.
La non coincidenza estensiva (connotativa) tra le molte definizioni dei
due concetti è stata segnalata da vari autori, tra i quali Otto Jespersen
(1925) e soprattutto Alan Gardiner(5).
(3)  «Wir sind bisher immer darauf aus gewesen die realen Vorgänge des Sprachle-
bens zu erfassen. Von Anfang an haben wir uns klar gemacht, dass wir dabei mit dem, was
die deskriptive Grammatik eine Sprache nennt, mit der Zusammenfassung des Usuellen,
überhaupt gar nicht rechnen dürfen als einer Abstraktion, die keine reale Existenz hat. Die
Gemeinsprache ist natürlich erst recht eine Abstraktion. Sie ist nicht ein Komplex von re-
alen Tatsachen, realen Kräften, sondern nichts als eine ideale Norm, die angibt, wie ge-
sprochen werden soli. Sie verhält sich zu der wirklichen Sprechtätigkeit etwa wie ein Ge-
setzbuch zu der Gesamtheit des Rechtlebens in dem Gebiete, für welches das Rechtsbuch
gilt [...]» Paul 19205, p. 404. Qui Paul usa il termine «lingua comune» (o generale), ma
è evidente che questo passaggio si applica al concetto di lingua nel suo complesso e non
solo in senso normativo.
(4)  Già nei corsi tenuti negli ultimi anni di vita all’Università di Ginevra, ma, per il
pubblico scientifico in generale solo con la pubblicazione postuma del suo Cours (1916).
(5)  «Mi è difficile determinare fino a che punto Saussure sarebbe stato d’accordo
con gli sviluppi che ci sono stati dopo la sua morte e dovuti all’impulso che egli ha dato
alla linguistica. Il modo in cui Bally e Harold Palmer distinguono langue e parole è di-
verso in alcuni aspetti da quello di Saussure. E per altro non posso in tutta coscienza at-
Sistema, norma e parola  51

2.1. Lo stesso Jespersen (1925, pp. 25 sgg.), a dispetto della sua ferma
concezione empirica e unitaria del linguaggio, quando si trova a dover
distinguere i due concetti, dà definizioni, esplicite e implicite, assai di-
vergenti. La langue (language) sarebbe «una specie di plurale del di-
scorso», «linguaggio collettivo», «il concetto comune che si ricava dai
linguaggi individuali»; e la lingua di una nazione sarebbe «il complesso
di abitudini con cui i suoi membri sono soliti comunicare gli uni con gli
altri»(6). Dall’altro lato la «parole» (speech) sarebbe, «nel senso più pro-
prio e stretto», il funzionamento linguistico momentaneo dell’individuo,
più o meno conforme all’uso linguistico delle persone che lo circonda-
no(7); ma, in un senso forse meno stretto, esso si identificherebbe con
il linguaggio individuale. Rispondendo alla comunicazione di Gardiner
al III Congresso internazionale dei linguisti, Jespersen chiarisce che si
tratta della distinzione tra concreto e astratto e che ci sono vari gradi
di astrazione, corrispondenti alle varie comunità considerate (a partire,
però, dalle abitudini linguistiche particolari dell’individuo)(8). Lo studio-
so danese fissa quindi una serie di opposizioni che, anche se non con-
traddittorie, non si possono però considerare in alcun modo identiche:
I) funzionamento linguistico momentaneo dell’individuo/uso linguistico
della comunità; 2) linguaggio individuale/linguaggio collettivo (concet-
to comune che si estrae dai linguaggi individuali, cfr. più avanti Walter
Porzig); 3) complesso di abitudini linguistiche di un individuo/comples-
so di abitudini linguistiche di una comunità; 4) linguaggio concreto/lin-
guaggio astratto (atti linguistici concreti/vari gradi di astrazione, incluso
anche il linguaggio individuale). Con quest’ultima opposizione torniamo
a Paul (nota 59), con la consapevolezza che nella realtà concreta propria
del linguaggio non è possibile distinguere alcunché.

2.2. La differenza tra langue e parole risulta quindi piuttosto impreci-


sa. E l’imprecisione aumenta se confrontiamo le varie concezioni implici-
tamente o esplicitamente dualiste, a prescindere dal rigore con cui questa
differenza si presenta in ciascuna concezione particolare.

tribuire a Saussure tutti i corollari che io stesso ho delineato nel mio recente libro Theory
of Speech and language». Cfr. Gardiner 1935. Traduzione nostra.
(6) Jespersen 1925, pp. 34-35. Cfr. Saussure 1916, trad. it., pp. 95-96.
(7)  Ibidem, pp. 31-23. Cfr. Saussure, op. cit., p. 24.
(8)  Atti del III Congresso internazionale dei linguisti, p. 354.
52  Sistema, norma e parola

2.2.1. Per Harold Palmer (1924) la parole (speech) è il «complesso di


attività fisiche e mentali(9) implicite nell’atto con cui una persona comu-
nica a un’altra un determinato concetto (pensiero, nozione o emozione)»
(cfr. la prima opposizione di Jespersen); la langue (language) è il «com-
plesso di convenzioni adottate e sistematizzate da una massa sociale di
utenti per assicurare l’intelligibilità generale» (cfr. la terza opposizione di
Jespersen); la parole «è un gioco di attività personali», mentre la langue
«è un connubio di convenzioni, una chiave»(10).

2.2.2. Charles Bally(11) interpreta la distinzione saussuriana come op-


posizione tra patrimonio linguistico sociale (lingua) e funzionamento lin-
guistico individuale (discorso), e l’accoglie formalmente così: la parole è
«la lingua in azione, la lingua attualizzata, la “langue” in equilibrio e in
pieno funzionamento». Ma a questa distinzione aggiunge una nuova op-
posizione caratterizzante, di ordine funzionale (intellettuale/affettivo o vi-
tale; oggettivo/soggettivo): la langue, il sistema organizzato, conterrebbe
gli elementi tendenti alla comunicazione e alla comprensione dei pensieri;
la parole, invece, sarebbe lo strumento della vita affettiva, esprimerebbe
sentimento e azione. Tra langue e parole ci sarebbe un’opposizione attiva,
una vera lotta: attraverso il linguaggio affettivo elementi nuovi penetrano
continuamente nella lingua.
Con cìò Bally non restituisce alle parole tutta l’importanza che Saus-
sure le aveva tolto come possibile oggetto di una linguistica-linguistica;
lo stesso linguaggio affettivo, secondo la sua concezione, dovrebbe essere
infatti studiato, nella lingua, dalla cosiddetta stilistica, in opposizione alla
grammatica, che studierebbe l’aspetto normale o intellettuale, di pura co-
municazione. Per lo meno, però, Bally colma in parte l’abisso tra langue
e parole, scavato dal suo maestro, con il ponte del linguaggio affettivo
teso costantemente fra loro. E, cosa che per noi è più importante, egli
trasferisce in un certo qual modo l’opposizione nel discorso concreto, che
includerebbe elementi sia di langue sia di parole.
Un’altra idea molto rilevante di Bally per chiarire il tema che stiamo trat-
tando si trova in due paragrafi contigui del suo libro Linguistica generale e
linguistica francese (1932): la langue sarebbe un’istituzione sociale, ma nel-
lo stesso tempo anche un sistema in un certo senso autonomo: «I mutamenti

(9)  Cit. in Jespersen 1925, pp. 73-74. Cfr. Saussure, op. cit., pp. 29-30.
(10) Saussure, op. cit., pp. 24-25.
(11) Bally 1952, pp. 124 sgg. Cfr. inoltre Bally 1913 e Bally 1950.
Sistema, norma e parola  53

osservabili in un idioma nel corso del tempo sono in parte il risultato di un


orientamento mentale nuovo, ma il sistema linguistico, da solo, avviatosi in
una certa direzione, può svilupparsi in modo autonomo e, per contraccolpo,
può modellare il pensiero collettivo in una nuova forma»(12).
Evidenziamo, infine, la maniera in cui lo studioso ginevrino vede la re-
lazione temporale tra i due aspetti del linguaggio: la langue preesiste alla
parole dal punto di vista statico e la parole precede la langue dal punto di
vista genetico(13).
Apparentemente Bally si riferisce alla genesi originaria del linguag-
gio, ma la stessa concezione può valere per ogni atto linguistico concre-
to, poiché la langue si genera continuamente attraverso il discorso: l’atto
linguistico è realizzazione di una langue precedente (sistema degli atti
linguistici anteriori presi come modello) e, nello stesso tempo, elemento
di una nuova langue, di un nuovo sistema, sia pure di poco diverso, alla
cui costituzione contribuisce. Situandoci sul piano dell’atto linguistico,
abbiamo di conseguenza una doppia prospettiva e possiamo distinguere
due langue: una che appartiene al passato (patrimonio linguistico, sistema
precedente) e una che appartiene al futuro (“prodotto”, sistema nuovo).

2.3. Simile è l’interpretazione di Walter Porzig(14), che traduce il termine


langue con Sprachbesitz (patrimonio linguistico) e parole con Gespräch
(discorso, conversazione), riservando il termine Sprache al linguaggio in
generale. Il Gespräch è il discorso reale, concreto (das wirkliche Spre-
chen); lo Sprachbesitz è una serie di immagini mnemoniche e di abitudini
(eine Reihe von Erinnerungsbildern und eingeübten Gewohnheiten) sedi-
mentate nella coscienza del parlante; tale serie di immagini è la condizione
del discorso. Ma Porzig ha una visione più precisa della doppia prospettiva
possibile sul piano del discorso, perché indica chiaramente la possibilità di
costituire la langue anche sulla base degli atti linguistici concreti(15).
Per Porzig la langue di una comunità sarebbe, quindi, da un lato la
somma degli atti linguistici concreti constatati in essa e, dall’altro, la som-

(12) Bally 1932, trad. it., p. 15. Cfr. Saussure, op. cit., p. 27.
(13) Bally 1932, trad. it., p. 83. Cfr. Saussure, op. cit., p. 29.
(14) Porzig 1950, pp. 106 sgg.. Cfr. Saussure, op. cit., p. 24, pp. 29-30, pp. 95-96.
(15)  «Aber man muss bedenken, dass die Gesamtheit dieser Gewohnheiten ja erst
die Voraussetzunt ist für das wirkliche Sprechen, das heisst für das Gespräch. Das Ge-
spräch ist als tatsächliches Verhalten zwischen wirklichen Menschen zweifellos eine
Wirklichkeit; die Gesamtheit aller Gespräche in einer bestimmten Sprache würde man
also wohl als die Wirklichkeit dieser Sprache ansehen künnen». Porzig 1950, p. 108.
54  Sistema, norma e parola

ma dei vari patrimoni linguistici individuali o, meglio, quella parte che è


comune a questi patrimoni e che costituisce il fondamento della compren-
sione reciproca tra i parlanti. Abbiamo quindi tre concetti di langue ben
distinti: I) somma di atti linguistici concreti; 2) condizione di ogni atto
linguistico, Sprachbesitz individuale; 3) sistema di isoglosse, che riunisce
gli aspetti comuni degli Sprachbesitz individuali dei parlanti di una comu-
nità (cfr. Jespersen, 3).
Osserviamo, tuttavia, che il primo di questi concetti enunciati da Por-
zig corrisponderebbe, secondo altri autori e per lo stesso Saussure (1916,
trad. it.: 30), più alla parole che alla langue. Così, ad esempio, Penttilä
(1938: 157-163) considera parole (Rede) il complesso asistematico di ciò
che chiama «parole di primo tipo», cioè parole concretamente pronuncia-
te o scritte, mentre la langue (Sprache) sarebbe la classe sintatticamente
ordinata di queste stesse parole concrete, un sistema sovraindividuale dal
quale rimarrebbero automaticamente esclusi tutti gli aspetti puramente
personali che sono constatabili nella parole.

2.3.1. La nozione di patrimonio idiomatico è presente, pur con carat-


teristiche un po’ diverse, anche nella concezione di Gardiner, lo studioso
che, dopo Palmer, ha sostenuto con maggiore tenacia nel mondo anglosas-
sone la distinzione tra parole (speech) e langue (language)(16). Per Gardi-
ner l’opposizione fondamentale è tra l’attività linguistica e un sapere che
è, a un tempo, condizione e prodotto di quest’attività(17). Mentre la langue,
evidentemente, ha carattere generale e astratto, la parole è occasionale e
particolare; è la proiezione in una realtà (nelle parole) dei segni astratti
della langue(18). La parole è l’attività del discorso in generale, ma anche
ogni atto particolare del discorso(19). Il carattere sociale o individuale non

(16) Gardiner 1951, in part. le pp. 68-93 e 106 e sgg. Cfr. inoltre la già citata comu-
nicazione The distinction of “Speech” and “Language”, Gardiner 1935.
(17)  «Il discorso (Speech) è dunque un’attività esercitata universalmente, che ha
in primis finalità prettamente utilitaristiche. Descrivendola, scopriremo che consiste
nell’applicazione di una scienza che tutti possediamo, cioè la scienza detta linguaggio»
(Gardiner 1951: 62). «Il linguaggio è un termine collettivo e racchiude nel suo compas-
so tutti quegli elementi di conoscenza che consentono a un parlante di fare un uso effi-
cace dei segni verbali» (ibidem, p. 88). Traduzione nostra.
(18)  Ibidem, p. 87. Cfr. anche Bally 1932, trad. it., cap. III, pp. 77-100.
(19)  «Il discorso (speech), per come lo intendo io, e dubito che anche Saussure non
lo abbia inteso così, è l’attività provvisoria, storicamente unica, di impiego delle parole.
C’è discorso ogni qualvolta un oratore fa un’osservazione o un autore scrive una frase».
Gardiner 1935, p. 347. Traduzione nostra.
Sistema, norma e parola  55

è di per sé determinante, essendo l’atto linguistico sociale e a un tempo


individuale (Gardiner 1951: 64-65). Inoltre, il cosiddetto «linguaggio in-
dividuale» (Jespersen) non è parole, ma langue(20). L’antitesi tra langue e
parole è dunque assoluta. Langue e parole qui sono però interdipendenti
e ancor più intimamente intrecciate; da un lato la parole è «l’unico gene-
ratore del linguaggio»(21), dall’altro in ogni atto di parole interviene la lan-
gue(22). Ad ogni atto linguistico concreto, ad ogni discorso pronunciato par-
tecipano «fatti di lingua», parole e schemi grammaticali (Gardiner 1935:
348). Ma in tal modo l’aspetto di parole del discorso concreto si riduce
alla strutturazione della frase e alla selezione dei segni forniti dalla lan-
gue(23). Siamo qui di fronte a un concetto molto più limitato di parole (facts
of speech), che non include tutto il discorso, ma soltanto il suo aspetto
originale e inedito(24), idea che Bally (1952) rigetta. Questa distinzione giu-
stificherebbe una netta separazione tra la morfologia (parole e loro forme,
categorie verbali) e la sintassi (frasi e loro struttura, funzioni sintattiche).
Ma anche le funzioni sintattiche sono “termini di lingua”, almeno come
schemi non applicati, come “strutture” o modelli linguistici non ancora
legati a parole particolari: «in quanto termini di schemi non applicati, di
pattern linguistici che potrebbero essere espressi con simboli algebrici e
che stanno in un linguaggio non ancora collegati a particolari parole»(25).
(20)  «Confesso di provare una notevole diffidenza nell’affermare esattamente quel
che Saussure può aver pensato, ma di questo almeno sono certo, cioè che avrebbe ri-
conosciuto una grande differenza tra il “linguaggio” di un individuo e il suo “discor-
so”, come ha fatto tra la lingua di una comunità e il discorso di ciascuno dei suoi singo-
li membri [...]. Tutte le varie raccolte di materiale linguistico sono lingue e non discor-
so nel senso che Saussure ha dato al termine [...]. Una langue (language) è la scorta di
materiale linguistico che chiunque possiede quando si imbarca nella parole (speech)».
Ivi, traduzione nostra.
(21) Gardiner 1951, p. 110. Cfr. Saussure 1916, trad. it., p. 29.
(22) Gardiner 1951, pp. 88 e sgg.
(23)  «Quando dico che alcuni fenomeni in un dato testo appartengono alla paro-
le (speech) e non alla langue (language), voglio dire che, se si sottraggono al testo tut-
ti quegli elementi tradizionali detti elementi linguistici, rimane un residuo che è intera-
mente responsabilità del parlante. Questo residuo è ciò che io intendo per “fatti di paro-
le”». Gardiner 1935, p. 349.
(24)  «Una formulazione abbastanza indiscutibile della mia tesi sarebbe che i termi-
ni di linguaggio [qui language significa evidentemente linguaggio in generale, non lan-
gue, N.d.R.] e di grammatica che si riferiscono a fatti di “linguaggio” sono quelli che ri-
guardano la costituzione permanente delle parole, mentre i termini che si riferiscono al
“discorso” sono quelli che riguardano funzioni ad hoc delle parole imposte loro dal ca-
priccio di un particolare parlante» (ibid.).
(25)  Ibidem, p. 349. Cfr. Saussure 1916, trad. it., pp. 150-152.
56  Sistema, norma e parola

Dopo aver constatato che la langue si genera solo a partire dalla paro-
le, che nel discorso coesistono “fatti di lingua” e “fatti di discorso”, che
la langue può essere considerata in astratto, esistente fuori dal discorso e
indipendentemente dalla parole (almeno dal punto di vista statico), mentre
la parole non può essere pensata fuori dalla langue e indipendentemente
da essa, dato che la langue costituisce in sé la sua stessa forma, il suo
“schema”, dopo tutto questo, insomma, è evidente, a voler essere coeren-
ti, che non è possibile mantenere la distinzione proposta inizialmente da
Saussure.
Ma Gardiner, pur portando alle estreme conseguenze la contraddizione
implicita nell’opposizione langue/parole, non giunge a trarne le uniche
conclusioni che ci sembrano coerenti: 1) o la langue è pura astrazione
dedotta a posteriori dal discorso concreto, come sistema degli elementi
costanti che vi si riscontrano, e l’unica realtà linguistica concreta è il di-
scorso che, volendo, può essere chiamato parole; 2) o la langue si identi-
fica con i “fatti di lingua” (facts of language, fatti linguistici sistematici e
convenzionali in una comunità) e la parole con i “fatti di parole” (facts of
speech, aspetto originale e inedito che si constata in ogni atto linguistico),
e allora langue e parole sono due aspetti che si distinguono all’interno
del discorso concreto; 3) oppure, se si considera la langue come qualco-
sa di esterno al discorso, neanche la parole potrà essere identificata con
tutto il discorso (nel quale si riscontrano anche fatti di lingua) ma con un
solo suo aspetto, l’aspetto concreto che ha luogo ogni volta nell’atto lin-
guistico esaminato. Il discorso sarà allora la convergenza di un “virtuale
concretizzato”, la langue, e di un “concreto primario”, la parole. Meglio
ancora sarebbe identificare la parole con qualcosa di esterno al discorso
stesso, con quel fattore psichico o impulso espressivo che si incontra e si
combina con la langue per costituire il discorso.
Dall’acutissima analisi di Gardiner deduciamo una serie di idee e di
prove davvero illuminanti per il nostro problema: 1) la lingua esiste come
“forma” nel discorso medesimo; 2) i “fatti di lingua” si constatano e si
distinguono concretamente soltanto nel discorso; 3) sono “fatti di lingua”
non solo le parole, ma anche le funzioni e i modelli sintattici, in quanto
“schemi non applicati”; 4) il “linguaggio individuale” (sistema degli atti
linguistici di un individuo) ha carattere di langue; 5) il discorso è un’at-
tività che si fonda su un sapere; 6) è possibile e giustificato dare il nome
di parole a un aspetto particolare del discorso; 7) la parole, in quanto
“discorso”, è in qualche misura langue o, se non lo è, non è nemmeno
Sistema, norma e parola  57

discorso, non è attività linguistica propriamente detta, ma qualcosa che la


precede.

2.3.2. Verso quest’ultima direzione si orientano, con perfetto rigore lo-


gico, studiosi come Sechehaye e Brøndal.
Infatti, secondo Sechehaye (1940), se la parole concreta è realizzazio-
ne della langue, se è espressione con mezzi idiomatici, allora essa è già
in qualche modo langue; di qui la distinzione tra la “parole propriamente
detta”, mero impulso espressivo e, di conseguenza, fenomeno “prelingui-
stico” (cfr. Devoto) e la “parole organizzata”, anello indispensabile tra la
lingua come sistema statico e la lingua come “evoluzione”(26).
Viggo Brøndal, in un’opera pubblicata nel 1932, parla dei «due aspet-
ti sotto i quali si presenta il linguaggio» (Sprogets dobbelte Maade at
fremtraede paa): «norma» (Norm) e «discorso» (Tale) o, in altri termini,
«sistema» e «ritmo». La norma o sistema della lingua sarebbe di natura
sociale e ideale o formale; il discorso o ritmo della lingua sarebbe indi-
viduale e reale, ossia funzionale(27). Ma qualche anno dopo, in uno studio
pubblicato per la prima volta nel 1937(28), Brøndal distingue quattro con-
cetti invece dei tre saussuriani (langage=langue/parole): 1) il “linguag-
gio” (langage) o facoltà generale di creare segni; 2) il “discorso” (parole;
N.B. non si tratta della parole = “parola”), cioè l’attività del parlare in cui
si distinguono: la “lingua” (langue), sistema di segni simbolici, «istitu-
zione che si impone agli individui e che, in quanto ideale sistematico, sta
alla base di ogni atto di parole»; e 4) la parole (discours), «totalità ritmica
ordinata nel tempo e dunque irreversibile, un complesso asimmetrico, ca-
ratterizzato dalla finalità cui tende, dal suo senso e orientamento, dalla sua
costante volontà di espressione»; si tratta dunque, fondamentalmente, di
un’intenzione. In questo modo, sviluppando concetti impliciti in Saussu-
re, Brøndal giunge a considerare la lingua come entità puramente astratta,
«norma superiore agli individui, insieme di tipologie essenziali che la pa-
role realizza in modo infinitamente variabile» e la cui struttura sistematica
è un oggetto autonomo e quindi [...] non derivabile dagli elementi di cui

(26)  Vedi lo schema modificato da von Wartburg 1962.


(27)  «Medens Normen eller Sprogets System er social og af rent ideel eller for-
mel Natur, er Talen eller Sprogets Rythme individuel og af reel eller funktionel Natur»
(«mentre la norma, o sistema della lingua, è sociale e di natura puramente ideale o for-
male, il discorso, o ritmo della lingua, è individuale e di natura reale o funzionale»).
Brøndal 1932, p. 6.
(28)  Cfr. soprattutto il capitolo “Formes du langage”, pp. 53-58.
58  Sistema, norma e parola

non è l’aggregato né la somma»(29); essa è, come direbbe Hjelmslev, nulla


più che «una rete di funzioni».

2.3.3. A concetti analoghi giungono, interpretando, sviluppando e su-


perando Saussure o anche per altre vie, tutta una serie di studiosi: psicolo-
gi del linguaggio come Henri Delacroix, secondo il quale la lingua è «un
insieme di convenzioni linguistiche che corrispondono a un livello men-
tale, a un momento dello sviluppo umano e della civilizzazione», «una
forma ideale che si impone a tutti gli individui di un medesimo gruppo
sociale»(30), o Karl Bühler (1934), che ritiene le lingue «sistemi di forme
linguistiche» e le forme specie, «oggetti del tipo delle idee platoniche»,
«classi di classi, come i numeri». A Saussure si richiamano anche lingui-
sti strutturalisti e funzionalisti come i fonologi della scuola di Praga e in
particolare Nikolaj S. Trubeckoj, per il quale la lingua è Sprachbesitz,
patrimonio linguistico esistente nella coscienza dei parlanti. «La langue
esiste solo nella coscienza di tutti i membri di una comunità linguistica ed
è il fondamento di innumerevoli atti di parole concreti» — e, nello stesso
tempo, è un sistema astratto di funzioni o, piuttosto, di norme e regole:
«Nella langue, per contro, il significato è rappresentato da regole astratte
— sintattiche, frastiche, morfologiche e lessicali. Anche i significati delle
parole, infatti, così come esistono nella lingua, non sono altro che regole
astratte o schemi di concetti [...]». «La langue consiste in regole o norme
ed è dunque, in opposizione all’atto di parole, un sistema o, per meglio
dire, un insieme di più sistemi parziali» (Trubeckoj 1939, trad. fr.: 1-3). In
tutti questi autori sussiste però, esplicitamente o implicitamente, l’identi-
ficazione tra “sociale” e “sistematico” (strutturale, funzionale).

2.4. Walther von Wartburg, infine, ha tentato di risolvere, conciliare e


superare le antinomie del maestro senza scalzarle (specialmente l’antino-
mia sincronia/diacronia), arrivando a un positivo “strutturalismo storico”
o diacronico. Von Wartburg è a nostro avviso uno dei più saussuriani dei
linguisti contemporanei, anche per aver tentato di riformare e far progre-
dire il saussurismo facendolo confluire nelle teorie rivoluzionarie di Gil-
liéron e Schuchardt (storia del sistema/storia delle parole) e negli aspetti
più proficui dell’idealismo linguistico (linguaggio come istituzione socia-
le/linguaggio come creazione individuale). Tutto questo con un risultato

(29) Brøndal 1939, pp. 90-97. Cfr. Saussure 1916, trad. it., pp. 26-27, pp. 33-34, p. 145.
(30) Delacroix 1930, pp. 2-3. Cfr. Saussure 1916, trad. it., pp. 24-25.
Sistema, norma e parola  59

che all’unanimità gli si riconosce: aver risolto anche l’antinomia fonda-


mentale tra langue e parole(31), accentuando l’interdipendenza fra i due
aspetti del linguaggio. Le caratteristiche della ricerca di von Wartburg non
si allontanano molto da quelle degli altri autori citati. La parole è attività
individuale, vera enérgeia, uso occasionale che l’individuo fa della lin-
gua, «sfruttamento e uso individuale del sistema» e, ad un tempo, attività
psichico-fisico-fisiologica che permette questo sfruttamento(32). La langue,
invece, è sociale, comune e sistematica, è «linguaggio sovraindividuale»,
«somma di tutte le immagini di parole e associazioni immagazzinate in
tutti i parlanti»; è un «sistema espressivo totale e compatto che vive vir-
tualmente nella totalità degli individui», è «ergon, un’opera realizzata, un
bene spirituale che tutto abbraccia, in cui tutti i membri di una comunità
linguistica vivono spiritualmente», «un oggetto puramente psichico-spiri-
tuale, indipendente dalle attività fisico-fisiologiche degli organi della fo-
nazione». La langue «è tutto il sistema espressivo che all’interno di una
comunità serve da strumento di comprensione», è «un patrimonio sociale,
o, per meglio dire, una facoltà peculiare a tutti i membri di una comunità
linguistica e che tutti hanno in comune». La parole corrisponderebbe allo
spirito individuale; la langue allo spirito collettivo.
Le contraddizioni insite in questa teoria risultano evidenti soprattutto
quando si tenta di identificare concetti così diversi come somma-sistema,
patrimonio-facoltà. E non è possibile considerare scientificamente valido
il ricorso a opposizioni così ambigue e arbitrarie come “spirito indivi-
duale”/“spirito collettivo”, non molto diverse dalla vecchia e ripudiata
opposizione fra “anima individuale” e “anima collettiva”(33). Si incontrano
tuttavia in von Wartburg alcune affermazioni per noi cruciali: i) l’impulso
verso la parole [la parole di Devoto, la parole propriamente detta di Se-
chehaye, il discours di Brøndal] è in qualche misura extralinguistico; 2)
la parole si produce secondo le regole della langue; e 3) la langue appare,
si constata concretamente nella parole (nel discorso)(34).

(31)  von Wartburg, op. cit., pp. 8-12 e specialmente pp. 341-351.
(32)  Cfr. Saussure 1916, trad. it., p. 24, p. 29, p. 30.
(33)  Cfr. a questo proposito Jespersen, op. cit., pp. 17-18.
(34)  «Solo attraverso la parole possiamo avvicinarci a essa [alla langue]. La langue
appare sempre e soltanto parzialmente. In un certo senso è come se la totalità della lan-
gue si trovasse continuamente avvolta nell’oscurità, ma si rendesse visibile o concreta
quella parte di essa che è illuminata dal fascio di luce della parole. Ecco in che modo è
possibile risolvere la divergenza di opinioni sul carattere concreto o astratto della lin-
gua». Von Wartburg 1942, p. 342, nota.
60  Sistema, norma e parola

2.5. Sfiorano soltanto a latere il nostro problema, perché presentano


contraddizioni di altra natura, le teorie secondo cui a un monismo te-
orico deve corrispondere necessariamente un monismo metodologico,
e la linguistica come scienza (linguistica storica) deve identificarsi ne-
cessariamente con la linguistica come filosofia (teoria del linguaggio).
Ci riferiamo alle teorie idealistiche di Benedetto Croce e di Karl Vos-
sler, che riconoscono nel linguaggio esclusivamente l’aspetto sogget-
tivo, ossia l’aspetto che, in termini saussuriani, chiameremmo parole.
Questa corrente idealistica ha le sue radici più remote in Vico e poi in
Herder, e le sue origini teoriche più recenti nella celebre caratterizza-
zione humboldtiana del linguaggio come enérgeia o Tätigkeit, attività
creatrice dello spirito. Ma Humboldt non è mai approdato a un sogget-
tivismo assoluto né è sfuggito all’esigenza di vedere nel linguaggio
una bipolarità, un movimento dialettico tra il soggettivo e l’oggettivo,
l’individuale e l’interindividuale o sovraindividuale, tra l’enérgeia e
l’érgon (Nencioni 1946: 109-110). Ora, Croce (1902) pensa di poter
superare questa “insufficienza” di Humboldt identificando il linguag-
gio con l’espressione e, quindi, con la poesia; e, con perfetta coerenza
dal suo punto di vista, la linguistica con l’estetica. Ci imbattiamo qui,
come in altri passaggi della teoria di Croce, in semplici convenzioni
semantiche presentate come verità teoriche dimostrate o dimostrabili:
non si tratta del “linguaggio” e della “linguistica” come oggetti, ma
di ciò che Croce chiama “linguaggio” e “linguistica”. I due termini
sono usati dal filosofo italiano in senso restrittivo (Croce non chia-
ma “linguaggio” ma “fatti pratici” o “puro suono” tutto ciò che non è
espressione poetica e non chiama “linguistica”, ma “attività didascali-
ca” quel che non è teoria del linguaggio, del suo “linguaggio” e cioè
l’estetica). Analogamente il termine “espressione” indica in lui quel-
lo che noi chiameremmo invece “esteriorizzazione” (cfr. la Kundgabe
di Bühler), ossia solo una funzione dell’espressione linguistica. Sono,
queste, convenzioni semantiche che funzionano solo all’interno del si-
stema interpretativo e comprensivo del sistema di Croce. Inoltre, Croce
ci dice che la linguistica generale si identifica con l’estetica «in ciò
che ha di riducibile alla filosofia» e «come vera scienza». Ma «aspetto
di una scienza riducibile alla filosofia» = «vera scienza» è una nuova
convenzione semantica che può essere accolta o respinta. Infine, se si
chiama “estetica” la scienza dell’espressione, di tutta l’espressione,
possiamo e dobbiamo convenire che si identifichi con essa la “scienza
Sistema, norma e parola  61

del linguaggio” (di ciò che Croce chiama “linguaggio”) o, meglio, ciò
che Croce chiama “scienza del linguaggio”, ma non necessariamente
che con la stessa “estetica” si identifichi quello che altri, e in primo
luogo i linguisti, chiamano “linguistica”. Quest’ultima scienza, infatti,
presenta aspetti non riducibili alla filosofia. Il problema stesso della
“linguistica” senza aggettivi (come si presenta, come si manifesta il
linguaggio?) è diverso dal problema della “linguistica come filosofia”
o dalla “filosofia del linguaggio” (che cos’è il linguaggio?). E ogni
scienza lavora necessariamente con generalizzazioni che sono astrazio-
ni, “formalizzazioni”. Pertanto, se Croce ha perfettamente ragione di
situarsi, come filosofo del linguaggio, nella sua realtà concreta, che è la
parole, anche Saussure ha le sue ragioni quando esige che il linguista,
come scienziato, si collochi sul piano dell’astrazione che chiamiamo
langue (pur non ignorando né perdendo di vista il discorso concreto,
sulla cui base fa le sue generalizzazioni). È il piano del sistema lingui-
stico, che anche per Croce è in qualche modo opposto all’espressione
individuale, ma che a suo avviso sarebbe «una costruzione empirica
priva di esistenza concreta». Con quest’ultima affermazione, legger-
mente modificata («un’astrazione senza esistenza concreta»), concorda
la maggior parte dei linguisti, anche se nessuno di loro pensa con ciò
di sminuire la propria ricerca. Questa astrazione, anzi, è l’oggetto di
gran parte della linguistica, astrazioni analoghe sono tutte le cosiddette
“istituzioni sociali” e con astrazioni dello stesso tipo lavora tutta una
serie di scienze, che sono tali appunto perché non si limitano a regi-
strare e a classificare il materiale concreto che hanno davanti. Il fatto è
che Croce, opponendosi giustamente al modo “materialistico” di consi-
derare la lingua una realtà autonoma, un organismo indipendente degli
individui parlanti, esagera in senso contrario, nel considerare cioè il
linguaggio un fenomeno esclusivamente soggettivo e nel negare ogni
oggettività alla lingua come sistema. Ma oggettivismo — come già altri
hanno osservato — non vuol dire affatto “materialismo” (la langue è un
“oggetto” immateriale, astratto) e l’idealismo filosofico può conciliarsi
perfettamente, senz’alcun compromesso teorico, con l’oggettivismo e
perfino con lo strutturalismo linguistico (Nencioni, op. cit.: 110).
Restando sul campo della filosofia del linguaggio, Croce non ha do-
vuto modificare la sua posizione, ma l’avrebbe fatto sicuramente se si
fosse occupato di linguistica storica, come accadde al suo amico e allievo
tedesco Vossler. Vossler infatti ha esordito, nelle sue prime opere, con un
62  Sistema, norma e parola

crocianesimo intransigente (Vossler 1904; 1905), per arrivare poi, in vari


saggi successivi (Vossler 1923), a una concezione molto più conciliatrice,
richiesta dal suo stesso lavoro di linguista(35). All’inizio Vossler considera
come unico oggetto della linguistica la parole (e, per la precisione, la pa-
role poetica) ed essenzialmente propende per una convenzione semantica
simile a quella di Croce, identificando la scienza del linguaggio con quella
dello stile (linguistica = stilistica) ed escludendo dalla linguistica (o dalla
«vera linguistica» = estetica) qualsiasi ricerca non estetica, che assegna
alla Kulturgeschichte, alla storia della cultura. In seguito giunge però a
una serie di opposizioni come: aspetto estetico o creativo versus aspetto
storico o evolutivo, unificazione versus differenziazione, individuo ver-
sus ambiente linguistico ecc. (che, in parte, sono ritorni a Humboldt e, in
parte, concessioni non confessate al saussurismo). Arriva perfino ad am-
mettere che la lingua è pensabile «in abstracto come sistema di tramiti»
e rappresentabile come una mediazione o un «medium tra l’individuo e la
sua comunità linguistica» (Vossler 1923, trad. ns.).
Non diremo, parafrasando un’affermazione di Jaberg (Nencioni, op.
cit.: 70), che il merito dell’idealismo sta più nel suo aspetto negativo, in
ciò che ha eliminato dalla linguistica, che nell’aspetto positivo, in quel
che ha apportato alla nostra scienza, perché ci smentirebbero la valorizza-
zione delle lingua letteraria, la fioritura degli studi stilistici, le storie delle
lingue concepite in intima relazione con la storia della cultura e del gusto.
Ma, indubbiamente, la linguistica idealistica ha contribuito ben poco a
chiarire le relazioni tra langue e parole, che non è uno pseudoproblema né
un problema senza importanza, ma il problema stesso della costituzione
della linguistica come scienza perfettamente consapevole del suo oggetto.
Un rilievo ancor minore della teoria idealistica ha la teoria “idealisti-
cheggiante”, sostenuta in varie opere da Giulio Bertoni(36), il quale, alla
dicotomia di Saussure (langage = langue/parole), oppone la concezione,
apparentemente monista, di un’unica realtà — l’“espressione concreta”
— indagabile nella sua totalità, ma anche nel suo momento soggettivo,
creativo o estetico, chiamato “linguaggio”, o nel suo momento oggettivo,
strumentale, chiamato “lingua”. Il “linguaggio” avrebbe luogo nell’atti-
vità del pensiero, sarebbe «il momento estetico stesso del pensiero» e si
manifesterebbe «nell’accento, nel timbro, nella tonalità e nel colore che la
(35)  Cfr. Nencioni, op. cit., passim e in particolare il cap. IV, pp. 45-62, e il cap. V,
pp. 65-79.
(36)  Cfr. Bertoni 1922; 1928, in particolare i capitoli I e II, pp. 9-40; Bertoni 1941.
Cfr. anche la voce Linguaggio nell’Enciclopedia Treccani, XXI, 1934, pp. 199 sgg.
Sistema, norma e parola  63

lingua prende in ogni parlante». Il momento oggettivo sarebbe «pensiero


pensato», «la lingua della cultura, la lingua strumentale, la lingua che sta
a disposizione di tutti e che può essere studiata in vari modi, come fatto
fisico, come fatto sociale o come mezzo di comunicazione, ecc.» (Berto-
ni 1941: 10 sgg.). La «vera lingua» sarebbe il «linguaggio individuale»
e l’astrazione di una «lingua latina» o italiana, ecc., sarebbe giustificata
e legittima da un punto di vista didattico, per pura opportunità pratica o
comodità empirica, ma costituirebbe un errore dal punto di vista scienti-
fico-speculativo. La concezione di Bertoni è stata ritenuta contraddittoria
perché non crociana (o non interamente crociana) da Croce (1941; 1945)
e perché incoerente dal punto di vista linguistico soprattutto da Giovanni
Nencioni (op. cit., cap. 2: 17-26). In effetti, non si riesce a capir bene fino
a che punto il “linguaggio” di Bertoni coincida con quello che, per Croce,
è tutto il linguaggio, fino a che punto si tratterebbe del pensiero stesso in
attività, della parole di Saussure o di alcuni suoi aspetti (tono, accento del
parlante, ecc.). D’altra parte il modo in cui Bertoni giustifica teoricamen-
te la langue risulta insoddisfacente: la linguistica sarebbe davvero una
strana scienza se il suo oggetto fosse il prodotto di un “errore” scientifico.
Questa langue così precariamente costituita sarebbe un oggetto non si sa
come materiale o naturale (“lingua naturale”) da studiare naturalistica-
mente. Ciò detto, ci sembra doveroso mantenere un’idea fondamentale
della concezione di Bertoni, ossia che la realtà primaria del linguaggio è
l’espressione concreta e su di essa la scienza linguistica struttura le astra-
zioni che le sono indispensabili. Per noi, però, questo non significa che
le medesime astrazioni non esistano nella coscienza dei parlanti, come
virtualità pronte ad essere attualizzate.
Le concezioni di Croce e di Bertoni hanno contribuito in modo evi-
dente a rinnovare e rinvigorire gli studi linguistici, soprattutto in Italia, e
hanno lasciato tracce più o meno profonde nelle posture teoriche di mol-
ti linguisti italiani. È addirittura possibile che la teoria di Bertoni abbia
soddisfatto i glottologi più di quella di Croce (essendo che le teorie meno
coerenti non sempre sono le meno fruttuose). Ma, in generale, entrambe
sono state superate e a questo superamento non ha mancato di contribu-
ire il confronto con la teoria saussuriana. Oggi, anche coloro che non si
occupano nello specifico di linguistica teorica e formalmente accettano il
pensiero di Bertoni(37) ricorrono tuttavia anche all’ausilio di altri pensatori
e arrivano a concepire le lingue come “istituzioni sociali”, “sistemi di

(37)  Vedi ad esempio Battisti 1945, cap. I, p. 5 sgg.; Bottiglioni 1946, pp. 33-34.
64  Sistema, norma e parola

fatti”, “determinazioni storiche del linguaggio”, considerando il momento


estetico come “momento iniziale” della lingua e sottolineando «la neces-
sità di integrare la linguistica con una branca che studi la componente
estetica» del linguaggio, in quanto «fattore determinante dello sviluppo
linguistico» (Battisti, op. cit.: 5).

2.6. Il concetto di langue come determinazione storica del linguaggio


è stato sviluppato in modo ammirevole, in vari lavori e corsi universitari,
da Antonino Pagliaro(38), il quale, giustamente, parte dalla realtà concreta
dell’individuo parlante e dalla considerazione del linguaggio come attivi-
tà conoscitiva, per arrivare alla lingua che è «proiezione obiettiva e, nello
stesso tempo, condizione tecnica» del linguaggio (attività linguistica). La
langue appartiene all’individuo e al contempo alla comunità, e nell’in-
dividuo stesso si presenta come alterità, come qualcosa che appartiene
anche ad altri; la langue è «obiettivazione concreta dell’attività linguistica
di un gruppo umano nello spazio e nel tempo»(39); anche nel tempo, perché
l’unità linguistica non è solo sincronica, ma anche diacronica: è conti-
nuità. La lingua è «una delle condizioni più tipiche» della solidarietà dei
sistemi «in cui si realizza la vita storica del genere umano». Come unità,
la langue è un sistema di elementi e relazioni e, in quanto tale, si oppone
ad altre lingue, ma all’interno del sistema rimane «ampia libertà per le
manifestazioni della parole», della creatività individuale, perché soltanto
il sistema limita l’arbitrio. Infine, ogni sistema presenta una fisionomia
particolare per le differenze di discretizzazione e di conoscenza che si
manifestano, all’interno delle lingue, nel sistema fonologico, nel segno
lessicale e morfologico e, correlativamente, nel sistema semantico, in cui
si riflette una particolare classificazione del reale e un grado specifico di
astrazione nella classificazione stessa(40).
Pagliaro è evidentemente vicino allo strutturalismo quando considera
la langue un sistema oggettivo: egli, però, proietta questo sistema nella
storia, come manifestazione dell’unità e solidarietà di un gruppo umano.

(38)  Cfr. Pagliaro 1930; 1942; 1950, I, Questioni teoriche, cap. IV, pp.-57-103, dal
quale citiamo.
(39)  «Infatti, nella sua formazione e struttura, la lingua è precisamente l’obiettiva-
zione concreta delle forme in cui si è atteggiata l’attività linguistica di un gruppo umano
nello spazio e nel tempo. Essa è un aspetto, forse il più tipico e importante, di quell’u-
scire da sé e realizzarsi in forme durature, che è appannaggio dell’uomo, per la sua stes-
sa natura». Pagliaro 1950, I, p. 61.
(40)  Cfr. Saussure 1916, trad. it., pp. 236-248.
Sistema, norma e parola  65

Ma si tratta di un sistema concreto? O esiste solo nella coscienza della


solidarietà linguistica e spirituale constatabile nei parlanti? È evidente in-
fatti che il sistema si concreta, per adoperare l’immagine di von Wartburg,
solo nel «fascio di luce» degli atti linguistici. Pagliaro forse non potrebbe
evitare di ammetterlo, perché, secondo lui, l’atto linguistico individuale
vero e proprio non è soltanto un atto di parole, ma anche di langue; l’in-
dividuo, infatti, «non si contrappone alla collettività, ma è esso stesso
collettività»(41) e «la lingua rappresenta rispetto all’individuo un universale
concreto, storico, in cui egli si realizza come parlante»(42).

2.7. Le concezioni fin qui esposte, tutte postsaussuriane e molte di-


chiaratamente saussuriane (ne mancano alcune), presentano, come abbia-
mo visto, serie ed evidenti divergenze sulla definizione dei due concetti
fondamentali, langue e parole: in esse si fissano una serie di opposizioni,
quasi mai in termini del tutto identici.

2.7.1. A che cosa si devono queste divergenze? In primo luogo, senza


dubbio, alla differenza dei punti di vista, dei piani su cui si stabiliscono le
opposizioni.
Alcuni studiosi considerano il linguaggio anzitutto nelle sue determi-
nazioni esterne, per come esiste nell’individuo e nella comunità, e fissano
di conseguenza opposizioni come: aspetto individuale/aspetto sociale, pa-
trimonio linguistico individuale/patrimonio linguistico sociale, atti lingui-
stici individuali/uso linguistico della comunità, atti individuali/patrimo-
nio o istituzione sociale, atti individuali/prodotto storico collettivo. Altri
considerano il linguaggio dal punto di vista della sua “conformazione” e
pertanto oppongono l’aspetto occasionale all’aspetto generale, l’unicità
alla ripetizione, l’asistematico al sistematico, la realizzazione al sistema,
l’impulso espressivo al sistema funzionale. Altri ancora danno della di-
stinzione saussuriana un’interpretazione identica a quella di Humboldt
(enérgeia/ergon, Tätigkeit/Werk) e quindi oppongono l’attività linguistica
al prodotto linguistico o rovesciano i termini dell’opposizione di Humbol-
dt: sapere/attività, patrimonio linguistico/discorso, patrimonio linguistico/
funzionamento linguistico, strumento/uso. O, meglio, vedono nella parole
(41) Pagliaro 1950, p. 61. A questa visione storico-sistematica della lingua si avvi-
cina, nei punti essenziali, quella di E. Otto, il quale, indipendentemente da Saussure, di-
stingue nel linguaggio l’atto linguistico, tempo individuale e sociale, e la lingua, prodot-
to storico-culturale (Historisch gewordenes Kulturprodukt). Cfr. Gardiner 1935, p. 353.
(42) Pagliaro 1942, cit. da Nencioni, op. cit., p. 79.
66  Sistema, norma e parola

l’anello di congiunzione tra due langue (condizione preliminare/attività


linguistica/prodotto). Alcuni studiosi ritengono che si tratti di un’oppo-
sizione tra concreto e astratto (materiale/formale, reale/ideale, attuale/
virtuale o potenziale); altri oppongono lo psicofisico al meramente psi-
chico (realtà psicofisica individuale/realtà psichica sociale) o il soggettivo
all’oggettivo, la libertà alle regole, all’imposizione sociale o, insistendo
su funzioni particolari del linguaggio, l’espressività alla convenzionalità,
l’aspetto espressivo e volitivo all’aspetto comunicativo. Altre discrepanze
sono dovute al fatto che i gradi di astrazione presi come base per definire
la langue non sono identici (si va infatti dal sistema di parole concrete
di Penttilä alla «rete di funzioni» di Hjelmslev) o che a volte si definisce
la langue rispetto alla parole, altre la parole rispetto alla langue (il che
non è una futile questione di priorità, dato che soprattutto il concetto di
langue cambia necessariamente a seconda del punto di vista assunto) o
dipendono infine da convenzioni semantiche particolari, come quella di
identificare l’“astratto” con l’“irreale” (Croce, Bertoni) o il “concreto”
con l’“oggettivo” (Pagliaro). Può inoltre intervenire una considerazione
storica, come nel caso di Pagliaro, opposta alla concezione generalmente
sincronica della maggior parte degli studiosi, ed è possibile che i vari
punti di vista si intersechino l’uno con l’altro, ragion per cui, nel carat-
terizzare i concetti che si vogliono definire, si oppongono, si combinano
o si associano fra loro fatti non correlativi (es.: attività/sistema). Così, il
carattere sociale interviene in quasi tutte le definizioni; ma, mentre alcuni
studiosi — pochi — lo ritrovano nell’individuo stesso e nei suoi atti (Je-
spersen, Gardiner, Pagliaro, Otto), altri teorizzano un individuo astratto,
asociale, che considerano opposto alla collettività, e non un suo elemento
coordinato con essa.
Si arriva così ad attribuire ai due concetti estensioni diverse, a vol-
te contraddittorie. Per alcuni la parole è l’impulso all’espressione (Se-
chehaye, Brondal), per altri si identifica con l’atto linguistico (Jespersen,
Gardiner) o con la produzione di tale atto (Palmer, Bertoni), include tutti
gli atti linguistici individuali, soprattutto in quanto vitali, affettivo-volitivi
(Bally) o non sistematici (Penttilä); oppure è l’aspetto materiale e psichico
di questi stessi atti. Per altri ancora parole equivale a dire patrimonio o uso
linguistico individuale (Jespersen) o si identifica con l’aspetto ogni volta
inedito e nuovo degli atti linguistici. La langue, dal canto suo, è la con-
dizione che rende possibile la parole, è il prodotto del discorso in quanto
tale o è il prodotto stesso considerato sistematicamente. Per alcuni è il
Sistema, norma e parola  67

patrimonio linguistico individuale, per altri è il cosiddetto patrimonio lin-


guistico sociale; è il sistema astratto che governa il discorso o è l’elemento
spirituale del linguaggio opposto alla sua materialità, il virtuale opposto al
concreto; è la somma, una qualsiasi somma, di atti linguistici (cfr. Porzig,
o le «collezioni di materiale» di cui parla Gardiner) oppure è un sistema
di atti linguistici o il sistema di norme e di convenzioni che governa il
discorso, che viene usato negli atti linguistici concreti. Langue e parole,
dunque, appaiono concetti di estensione variabile: quel che è langue in
una concezione è parole o almeno in parte parole in altre, e viceversa. E in
ciascuna particolare concezione appaiono inevitabilmente incoerenze più
o meno gravi.

2.7.2. Mentre le discrepanze dipendono fondamentalmente dalla di-


versità dei punti di vista adottati, le incoerenze sono dovute a una serie
di ragioni più intrinseche, che riguardano, da un lato, l’impostazione del
problema, dall’altro il suo fondamento stesso e cioè: i) il fatto che le distin-
zioni si stabiliscano in un linguaggio astratto, aprioristicamente concepito
come entità organica che si manifesterebbe su vari piani; 2) la tendenza a
considerare langue e parole come due realtà autonome, due componenti
del linguaggio; 3) l’insufficienza stessa della dicotomia, che o non esau-
risce la complessa realtà del linguaggio o deve necessariamente riunire
aspetti eterogenei sotto una medesima etichetta; 4) l’interferenza fra i vari
punti di vista, con il conseguente stabilirsi di opposizioni fra piani non
correlativi; 5) il considerare equivalenti, dal punto di vista dell’estensione,
concetti come “patrimonio linguistico”, “aspetto sociale del linguaggio”,
“sistema”, “sistema funzionale” (il che costituisce, naturalmente, un co-
rollario di 4).

2.7.3. Ora, dall’analisi critica delle varie teorie esposte deduciamo che
1) in concreto il linguaggio esiste solo ed esclusivamente come discorso,
come attività linguistica; 2) langue e parole non sono realtà autonome e
nettamente separabili, dato che da un lato la parole è realizzazione della
langue e, dall’altro, la langue è condizione della parole, si costituisce sulla
base della parole e si manifesta concretamente soltanto nella parole; 3) è
possibile moltiplicare le etichette sotto le quali si distribuisce la realtà del
linguaggio a seconda dei punti di vista e dei criteri adottati; 4) il più delle
volte le opposizioni fissate non sono che caratterizzazioni e interpretazioni
di un’opposizione fondamentale tra virtuale e reale, astratto e concreto
68  Sistema, norma e parola

(sistema/realizzazione); 5) i vari concetti cui si dà il nome di langue (“pa-


trimonio linguistico”, “uso linguistico di una comunità”, “sistema funzio-
nale”, ecc.) non sono equivalenti, rappresentando tipi e gradi diversi di
astrazione.

2.7.4. Riteniamo dunque che una teoria coerente e realistica sulle di-
stinzioni da fare nel linguaggio dovrà fondarsi sui seguenti principi:
1) le eventuali differenze e opposizioni devono essere stabilite nella
realtà concreta del linguaggio, ossia nel discorso;
2) alla parole come tale non si può opporre come realtà distinta la
langue, essendo questa presente nel discorso medesimo e manifestandosi
concretamente negli atti linguistici; termini come langue e parole non
designano ambiti autonomi né “un modo di rappresentarsi la lingua”, ma
punti di vista diversi, ossia maniere di affrontare il fenomeno linguistico,
gradi diversi di formalizzazione della stessa realtà obiettiva;
3) adottato il criterio dei diversi gradi di astrazione, si dovrà riconosce-
re e dare un nome alle differenze individuate, senza tentare di ridurle ai
modelli della famosa dicotomia;
4) il piano delle distinzioni sarà il piano della “conformazione” del lin-
guaggio, quello in cui si considera il modo in cui il linguaggio come feno-
meno si manifesta, e non il piano della sua essenza, della sua realtà intrin-
seca, che è un piano di unificazione e di sintesi e non di differenziazione
e di analisi. Il punto di vista delle determinazioni esterne del linguaggio
sarà preso in esame in un secondo tempo, come ulteriore caratterizzazione
di quel che si sarà stabilito sul piano indicato: in particolare si terrà conto
della determinazione individuo/collettività (uno/molti) e non delle deter-
minazioni fisiche e psichiche (ambiti nei quali non si stabiliscono relazioni
multiple come quelle che ci interessano, ma relazioni di altro tipo, generali,
rigorosamente binarie, di forma e contenuto: suono/significato, materiale/
immateriale, articolazione/impulso espressivo). Riscontreremo l’elemento
sociale nel discorso individuale stesso, abbandonando ogni opposizione
fittizia tra un “individuo asociale” e una “società extraindividuale”;
5) alcuni concetti di definizione della langue non rientrano nella nostra
riflessione in virtù di quanto stabilito al punto 4. Il concetto di “patrimonio
linguistico”, per esempio, ne è escluso, perché è psicologico e appartiene
dunque alla psicologia del linguaggio più che alla linguistica propriamen-
te detta. Ma anche alcuni concetti propriamente linguistici, come “uso
linguistico di una comunità” e “sistema funzionale”, hanno un piano di
Sistema, norma e parola  69

astrazione nettamente distinto da quello della langue. La differenza che vi


si può riscontrare è la stessa che intendiamo stabilire tra norma e sistema.

3. Insufficienza della dicotomia saussuriana

Una seconda serie di suggerimenti sulla possibilità e la necessità di


distinguere norma e sistema, come anche sul campo di determinazione
della distinzione, ci viene dalla fonte medesima dell’opposizione fonda-
mentale tra langue e parole, e cioè dal Corso di Saussure. Lo straordinario
libro postumo del maestro ginevrino contiene, anche sotto questo aspetto,
idee e intuizioni preziose e suscettibili di sviluppo — in senso positivo o
negativo; e ha inoltre in embrione e in germe tante teorie e attitudini della
linguistica attuale. Infatti, come emerge dalle note, quasi tutte le tesi su
langue e parole rappresentano parafrasi, sviluppi o interpretazioni, spesso
unilaterali, di punti di vista saussuriani. Conviene dunque tornare all’ope-
ra di Saussure per risalire all’origine delle difficoltà, delle contraddizioni
e incoerenze riscontrate in queste tesi, come anche per trovarvi eventuali
indicazioni per una soluzione più accettabile del problema.

3.1. Vari critici — fra cui Schuchardt e Rogger — hanno segnalato


contraddizioni, incoerenze, lacune e punti oscuri nella concezione dello
stesso Saussure(43). Ora, che nel Corso ci sia una quantità di suggerimenti
suscettibili di sviluppi contraddittori è evidente e provato. Ma non ose-
remmo inferirne un’incoerenza di fondo della teoria saussuriana. Infatti,
se è vero che «a molte tesi del maestro ginevrino si possono opporre anti-
tesi dedotte dalla sua stessa opera», è anche vero che alle interpretazioni
unilaterali e contraddittorie è possibile opporre interpretazioni coerenti,
più organiche e obiettivamente più giustificate, come ha dimostrato Henri
Frei (1950) rispondendo ad alcune critiche di Emile Benveniste. Bisogna
ammettere che la concezione di Saussure offre difficoltà di interpretazio-
ne. Per la forma stessa di appunti in cui la sua opera è stata pubblicata,
molti aspetti rimangono oscuri, insufficientemente elaborati o non ben
fondati, alcune soluzioni nel suo libro si trovano soltanto abbozzate o ap-
pena intuite e certe difficoltà si presentano ancora come non perfettamente
risolte. Per molti aspetti, infine, Saussure, in quanto pensatore legato in parte

(43)  Cfr. Nencioni, op. cit., pp. 243 sgg.; Bühler, op. cit., pp. 17-20 e 62 sgg.; Pent-
tilä,op. cit., p. 157.
70  Sistema, norma e parola

alla mentalità della sua epoca, rimane a metà della strada da lui stesso aperta.
Forse è proprio per questo che, come osserva Bühler (op. cit.: 17), nel suo
libro si scopre qualcosa di nuovo ogni volta che lo si apre.

3.1.1. Qual è l’opposizione fondamentale di Saussure? La parole si iden-


tifica evidentemente, per lui, con l’attività linguistica concreta o, almeno,
con gran parte di essa: è «fonazione», «esecuzione delle immagini acusti-
che»; di più: tutta «l’attività del soggetto parlante» è «la parte individuale
del linguaggio», «ciò che è accessorio e più o meno accidentale», una realtà
psicofisica che si oppone alla realtà puramente psichica della lingua; è la
«somma di ciò che la gente dice» e comprende, «combinazioni individuali,
dipendenti dalla volontà di quanti parlano» e «atti di fonazione ugualmente
volontari, necessari per l’esecuzione di tali combinazioni». Non c’è in essa
«nulla di collettivo», «le sue manifestazioni sono individuali e momenta-
nee» (Saussure 1916, trad. it.: 23-25; 28-30).

3.1.2. Vedremo presto che questa idea del discorso «non collettivo, indi-
viduale, accidentale e momentaneo» risulta, alla luce della teoria stessa di
Saussure, unilaterale e insufficiente. Ma partiamo della sua concezione di
lingua. In realtà, in Saussure, si possono distinguere non uno, ma tre con-
cetti di langue: a) patrimonio linguistico; b) istituzione sociale; c) sistema
funzionale.
a) La langue è una realtà psichica che include significati e immagini acu-
stiche (ibidem: 24-25), è «un sistema grammaticale esistente virtualmente
in ogni cervello o, più esattamente, nei cervelli di un insieme di individui»
(ibid.: 23); è «una somma di impronte depositate in ogni cervello, simile a un
dizionario i cui esemplari, tutti identici, sono ripartiti tra gli individui» (ibid.:
29). La langue «è l’insieme delle abitudini linguistiche che permettono a un
soggetto di comprendere e farsi comprendere» (ibid.: 95) e «le associazioni
ratificate dal consenso collettivo, che nel loro insieme costituiscono la lin-
gua, sono realtà che hanno la loro sede nel cervello» (ibid.: 25).
b) Ma secondo Saussure questa realtà psichica è al contempo una real-
tà sociale, un «prodotto» o «istituzione sociale», come aveva già sostenuto
Whitney, perché la langue non è completa in nessun individuo, «esiste per-
fettamente soltanto nella massa» (ibid.: 23); è «al tempo stesso un prodotto
sociale della facoltà del linguaggio e un insieme di convenzioni necessarie
adottate dal corpo sociale per consentire l’esercizio di questa facoltà negli
individui» (ibid.: 19); è «il prodotto sociale depositato nel cervello di ciascu-
Sistema, norma e parola  71

no» (ibid.: 35) e «la parte sociale del linguaggio, esterna all’individuo, che
da solo non può crearla né modificarla; essa esiste solo in virtù di una sorta
di contratto stretto tra i membri di una comunità» (ibid.: 24).
c) Ma ciò che conta di più è che questa realtà è sistematica e funzionale.
La lingua, indipendentemente dalla sua realtà psichica e dalla sua determi-
nazione sociale, è per Saussure «un sistema di segni distinti corrispondenti
a idee distinte» (ibid.: 20), è un «codice» (ibid.: 24), un sistema in cui «es-
senziale è soltanto l’unione del senso e dell’immagine acustica» (ivi). La
lingua, come realtà psichica, è per Saussure «un oggetto di natura concreta»
(ibid.: 25), ma quest’ultimo concetto, eminentemente funzionale, lo porta
assai lontano da tutto ciò che può chiamarsi concreto. La langue, infatti, così
concepita, «è una forma e non una sostanza» (ibid.: 147-148), è un «gioco di
opposizioni»; «la sola cosa essenziale in essa è che un segno non si confonda
con altri» (ibid.: 145); «nella lingua non vi sono se non differenze» (ivi); «un
sistema linguistico è una serie di differenze di suoni combinate con una serie
di differenze di idee» (ibid.: 146), e «in uno stato di lingua tutto poggia su
rapporti» (ibid.: 149).
In gran parte questi tre concetti, corrispondenti a tre opposizioni (real-
tà psicofisica/realtà psichica, aspetto individuale/aspetto sociale, concreto/
astratto o realizzazione/sistema), indubbiamente coincidono, ma non sono in
alcun modo identici e, soprattutto, non stanno sullo stesso piano, bensì su tre
piani distinti; rivelano, cioè, l’interferenza di tre punti di vista. Nella teoria di
Saussure essi si presentano intersecati; i loro contorni non appaiono definiti
né sono marcati da differenze necessarie. L’immagine che se ne ricava non
è quella di una vera e propria incoerenza, ma di uno sviluppo insufficiente;
non si tratta di vere definizioni, ma di tentativi di caratterizzare un’intuizione
importante, per quanto ancora molto imprecisa. Ci sembra inoltre evidente,
benché i tre concetti si presentino come simultanei, che Saussure propenda
decisamente per il terzo, che è quello impiegato nella distinzione tra lingui-
stica interna e linguistica esterna (ibid.: 67 e sgg.) e, in generale, nella rifles-
sione sui problemi della linguistica sincronica (ibid.: 123-168).

3.1.3. L’insufficienza e l’imprecisione della dicotomia saussuriana ap-


paiono più chiari se si applica loro il nuovo schema proposto da Bühler
(op. cit.: 67 e sgg.). Per Bühler le distinzioni nel linguaggio, perché acqui-
stino precisione e una base più solida, devono essere formulate da tre punti
di vista: 1) del rapporto con il soggetto parlante (I — fenomeni riferiti al
soggetto; II — fenomeni svincolati dal soggetto); e 2) del piano di astra-
72  Sistema, norma e parola

zione considerato (a. — fenomeni con un grado inferiore di formalizzazio-


ne, praticamente fenomeni concreti, e b. — fenomeni con un grado supe-
riore di formalizzazione, entità astratte). Combinando i due punti di vista
(individuale/extraindividuale o, meglio, interindividuale o intersoggettivo;
concreto/astratto), si distinguono i quattro concetti seguenti:
1) l’azione verbale (Sprechhandlung), che è l’azione stessa del parlare, con-
siderata in sé e nel momento della sua produzione (individuale concreto, Ia);
2) l’atto verbale (Sprechakt), che è l’attribuzione di una significazione a un
mezzo linguistico (individuale/formale, Ib);
3) il prodotto linguistico (Sprachwerk), che è il risultato dell’azione ver-
bale, considerato al di fuori della sua produzione e del suo rapporto con le
esperienze dell’individuo produttore (interindividuale/concreto, IIa);
4) la forma linguistica (Sprachgebilde), il prodotto stesso considerato
astrattamente, come specie o «classe di classi», cioè nel suo valore funzio-
nale, separato dalle circostanze della situazione verbale concreta (interin-
dividuale/formale, IIb).
Abbiamo di conseguenza:
— dal punto di vista del rapporto con il parlante: 1) sul piano concreto:
azione verbale, A (fenomeno soggettivo) e prodotto linguistico, P (feno-
meno intersoggettivo); 2) sul piano formale: atto verbale, Ao (fenomeno
soggettivo) e forma linguistica, F (fenomeno intersoggettivo);
— dal punto di vista del grado di formalizzazione: 1) sul piano individua-
le: azione verbale (fenomeno concreto) e atto verbale (entità formale);
2) sul piano interindividuale: prodotto linguistico (fenomeno concreto) e
forma linguistica (entità formale).
Se ne ricava lo schema:
I
II
a A P
b Ao F

In realtà qui Bühler non supera la dicotomia saussuriana, ma semplice-


mente la combina — il che risulta estremamente vantaggioso — con l’al-
tra famosa dicotomia, quella di Humboldt: enérgeia (Tätigkeit) ed érgon
(Werk). Saussure, come abbiamo visto, stabilisce infatti una distinzione fon-
damentale (terzo concetto di langue) fra concreto e astratto o formale (idea-
le, funzionale), a dispetto dell’affermazione per cui anche la langue sarebbe
#!$'  
 Sistema, norma e parola  73

A@MH<UDJI@ K@M >PD <I>C@ G< :/<5C3 N<M@==@ t>JI>M@O<u AJMN@ ?J


QM@HHJ
“concreta” ?DM@ tM@<G@u 
(forse dovremmo-@M 0<PNNPM@
 ?PILP@

dire “reale”). ] >/@=:3 O<IOJ
Per Saussure, dunque,G<UDJI@
è parole
DI?DQD?P<G@HJH@IO<I@<'>@3166/<2:C<5LP<IOJDGKMJ?JOOJ<NDNO@
tanto l’azione individuale momentanea (Sprechhandlung) quanto il prodotto
H<OD>J?DPI<N@MD@?DO<GD<UDJID>AM G<AJMHPG<N<PNNPMD<I<?@GG<>/
asistematico di una serie di tali azioni (cfr. la formula saussuriana della paro-
le: 1 +1’ +
@=:3 1”  +    
1”’...) 0<PNNPM@

(Saussure, op. cit.:=>
30),17B 
e cioè

quel@che
>DJ] LP@G chiama
Bühler >C@
hCG@M >CD<H<
Sprachwerk; langue ]
'>@/16E3@9
è invece il DIQ@>@
sistema:/<5C3
di forme DGlinguistiche
NDNO@H< ?D AJMH@ GDI
(Sprachgebil-
BPDNOD>C@'>@/165307:23>AM G<NP<AJMHPG<   
de; cfr. la sua formula 1 + 1 + 1 + 1 = I) (ibid.), ed è un fatto di lingua, per  &7072 

@?]PIA<OOJ?DGDIBP<
K@MDGNPJ><M<OO@M@AJMH<G@
LP@G>C@hCG@M
il suo carattere formale, quel che Bühler chiama Sprechakt. L’opposizione
>CD<H<
di Saussure'>@316/9B 
si stabilisce)JKKJNDUDJI@ ?D 0<PNNPM@ NDnel
dunque fondamentalmente NO<=DGDN>@
senso della ?PILP@
sezione
AJI?<H@IO<GH@IO@I@GN@INJ?@GG<N@UDJI@JMDUUJIO<G@?@GGJN>C@H<?D
orizzontale dello schema di Bühler.
hCG@M 
Humboldt distingue invece individuale e interindividuale, attività e
%PH=JG?O?DNODIBP@DIQ@>@ 7<27D72C/:3@7<B3@7<27D72C/:3
/BB7D7BL
prodotto. Per lui è enérgeia (qui diremmo parole) quel che Bühler chia-
@>@=2=BB= -@MGPD]3<P@537/LPD?DM@HHJ>/@=:3LP@G>C@hCG@M
ma Sprechhandlung e Sprechakt; ed érgon (langue) lo Sprachwerk e lo
>CD<H< '>@3166/<2:C<5 @(44)'>@316/9B @? P@5=< :/<5C3 GJ '>@/16
Sprachgebilde di Bühler . L’opposizione
E3@9@GJ'>@/165307:23?DhCG@M  humboldtiana si stabilisce
)JKKJNDUDJI@CPH=JG?OD<I<ND
cioè, fondamentalmente,
NO<=DGDN>@ >DJ]
 AJI?<H@IO<GH@IO@
nel senso I@G
dellaN@INJ
sezione verticale
?@GG< N@UDJI@dello schema
Q@MOD><G@
di Bühler.
?@GGJN>C@H<?DhCG@M 
Le due opposizioni possono quindi essere rappresentate così:
)@?P@JKKJNDUDJIDKJNNJIJLPDI?D@NN@M@M<KKM@N@IO<O@>JN_

 7<27D72C/:3  3EB@/7<27D72C/:3
A=553BB7D= 7<B3@A=553BB7D=

;/B3@7/:3 /F7=<3 >@=2=BB= $&# 
  D3@0/:3 :7<5C7AB71= '/CAAC@3
 4=@;/:3 /BB= 4=@;/ ")
  D3@0/:3
 :7<5C7AB71/

"H& H&#"
   C;0=:2B

-@MhCG@MG<>/@=:3DI0<PNNPM@>JMMDNKJI?@NJGO<IOJ<GG/H7=<3D3@0/:3
Per Bühler la parole in Saussure corrisponde soltanto all’azione verbale
>AM GDIO@MKM@O<UDJI@?D'@NK@MN@IH<G<NO@NN<AJMHPG<N<PNNPMD<I<?D>/
(cfr. l’interpretazione di Jespersen); ma la stessa formula saussuriana di
parole indica che essa contiene  anche il prodotto linguistico. Lo schema
dell’opposizione saussuriana dovrebbe dunque essere il seguente:
 #C=8KKF:?<d?C<I8;FG<I@@CGI<=@JJF@;<13&$);813&$)&/G8IC8I<G<I@K<ID@E@


:?<J@I@=<I@J:FEF8CC8JG<KKFJF>><KK@MF<13"$)13"$)&C@E>L8G<IHL<CC@:?<J@I@=<I@
J:FEF8CC8JG<KKF@EK<IJF>><KK@MFXLE8::<KK8Q@FE<@DGC@:@K8;<CCFGGFJ@Q@FE<;@"LD9FC;K
(44)  Il fatto
EFEFJK8EK< che Bühler
@C :FE:<KKF adoperi
;@ -"/(6& @E il prefissoide
d?C<I Sprech-
:F@E:@;8 (da Sprechen,
:FE HL<CCF parlare)
;@ -8LJJLI< per i ;@
J@JK<D8
termini che si riferiscono all’aspetto soggettivo, e Sprach- (Sprache, lingua) per quelli
=FID< C@E>L@JK@:?<  #E K<ID@E@ J8LJJLI@8E@ 9@JF>E<I<99< ;@I< G@LKKFJKF 13&$)",5 8KKF ;@
che si riferiscono
1"30-& all’aspetto
< 13&$)8&3, intersoggettivo
GIF;FKKF ;@ 1"30-&è13"$)",5
un’accettazione implicita
8KKF ;@ C@E>L8dell’opposizio-
< 13"$)(&#*-%&
ne di Humboldt,
=FID8C@E>L@JK@:8  nonostante il concetto di langue in Bühler coincida con quello di Saus-
sure (sistema di forme linguistiche). In termini saussuriani bisognerebbe dire piuttosto
Sprechakt (atto di parole) e Sprechwerk (prodotto di parole), Sprachakt (atto di lingua)
e Sprachgebilde (forma linguistica).
74  Sistema, norma e parola

PAROLE

| | |
azione verbale prodotto linguistico
|____________|_____________|
atto verbale forma linguistica
|_____________|______________|
LANGUE

Ma Saussure aggiunge alla sua opposizione fondamentale concreto/


astratto la distinzione secondaria individuale/sociale (cioè individuale/in-
terindividuale), eliminando dalla langue tutto quel che non è “forma lin-
guistica” (entità astratta, funzionale, intersoggettiva), ossia tanto ciò che è
azione individuale, concreta e momentanea (azione verbale), con il rispet-
tivo risultato asistematico (prodotto linguistico), quanto ciò che è formale,
ma, ad un tempo, soggettivo (atto verbale). In tal modo il suo schema
diventa:

PAROLE
azione prodotto
verbale linguistico
atto forma
verbale linguistica LANGUE

Saussure, inoltre, ignora quasi sempre quel che nell’attività linguistica


individuale è formale (atto verbale), opponendo pertanto azione verba-
le-prodotto linguistico (parole) a sistema di forme linguistiche (langue):

PAROLE
azione prodotto
verbale linguistico
forma
linguistica
LANGUE
Sistema, norma e parola  75

Infine Saussure, dopo aver formulato la teoria della parole, la lascia da


parte come prodotto linguistico e oppone normalmente la forma linguistica
all’azione verbale. La sua concezione, dunque, potrebbe essere schematiz-
zata così:

PAROLE C
azione
verbale
A B
forma
linguistica
D LANGUE

Ora, è evidente che in quest’ultimo schema la distinzione si stabili-


sce sia nel senso della linea fondamentale A-B (concreto/astratto), sia nel
senso della linea secondaria C-D (individuale/sociale, enérgeia/érgon).
Questo ci spiega sia perché, nella concezione saussuriana, la langue appa-
ia tanto svincolata dalla parole, a dispetto dell’affermata interdipenden-
za(45) (il rapporto si stabilisce attraverso l’“atto verbale”, che nello schema
manca), sia perché Saussure identifichi il concreto e l’asistematico con
l’individuale e il formale e il sistematico con il sociale, e perché molti
studiosi abbiano considerato l’opposizione saussuriana identica a quella
di Humboldt (in realtà, lo è soltanto nel senso della linea C-D)(46).
(45) Saussure, op. cit., p. 29.
(46) Nonostante tutto, la distinzione langue/parole è stata, com’è noto, estrema-
mente feconda: pur non avendo basi teoriche solide, la sua importanza è dimostrata,
pragmaticamente, dai risultati di spicco che ha prodotto nella scienza glottologica. In ge-
nerale, la teoria saussuriana ha dato un nuovo e straordinario impulso agli studi sincro-
nici; sui suoi aspetti particolari si sono fondati alcuni degli orientamenti più vitali della
linguistica attuale. La scuola ginevrina, partendo dalla distinzione langue/parole, ha svi-
luppato proprio quella linguistica della parole la cui costituzione il maestro aveva indi-
cato solo come possibile (Bally, Sechehaye, Frei). La scuola di Parigi, seguendo sugge-
rimenti anche precedenti, specialmente di Bréal, ha preso come base l’opposizione indi-
viduale/sociale, occupandosi della langue come istituzione sociale (Meillet). I linguisti
più strettamente saussuriani, infine — i fonologi di Praga e la scuola di Copenaghen —
hanno preso come base la distinzione fondamentale tra materiale e formale, sviluppan-
do la nuova linguistica strutturale e funzionale. In fonologia si è realizzato inoltre, con
la mediazione di Trubeckoj, l’incontro fra la teoria saussuriana e la teoria psicologica di
Jan Baudouin de Courtenay. Per quel che riguarda la valorizzazione dell’originalità vera
76  Sistema, norma e parola

3.1.4. L’ultimo schema mostra la coerenza delle idee più costanti in


Saussure: evidentemente, alla langue concepita come entità generale, ide-
ale, astratta, extraindividuale, è possibile opporre diametralmente soltanto
una parole concepita come momentanea e occasionale, materiale, concre-
ta, individuale. Ma lo schema stesso indica, contemporaneamente, i difetti
di una dicotomia così netta e rigida, lontana dall’abbracciare ed esaurire
tutta la realtà del linguaggio.

3.2. La prima insufficienza sta nell’identificazione iniziale tra indivi-


duale e concreto, sociale e formale (funzionale). Lo schema più completo
immaginato da Bühler evidenzia infatti che l’opposizione non è così netta,
perché i fenomeni concreti possono anche essere sganciati dal soggetto
o intersoggettivi, cioè “sociali” nella terminologia saussuriana (prodotto
linguistico), così come, d’altra parte, i fenomeni soggettivi possono stare
su un piano superiore di formalizzazione (atti verbali).
Perciò, se si afferma che langue è ciò che è sganciato dal soggetto,
bisogna ammettere che il “prodotto linguistico” è altrettanto “extraindivi-
duale” della “forma linguistica”. Infatti la serie i + i + i... procede signifi-
cando atto individuale + atto individuale + atto individuale...; non è, cioè,
qualcosa di “più sociale” del semplice prodotto linguistico (i + i’ + i’’);
soltanto che, al posto di fatto concreto + fatto concreto + fatto concreto,
abbiamo forma + forma + forma, ossia aspetto comune + aspetto comune +
aspetto comune, cioè isoglossa. Emerge qui un conflitto tra il punto di vista
sociale e il punto di vista formale perché, se quel che è “sociale” è langue,
allora il “prodotto linguistico” non può rientrare nella parole; e se, invece,

e propria di Saussure, è sintomatico che sia la scuola di Praga-Vienna, sia quella di Co-
penaghen (e così anche Baudouin de Courtenay), non conservino nulla del suo psicolo-
gismo e che gli strutturalisti e i funzionalisti si limitino ad inscrivere l’opposizione so-
ciale/individuale nell’enunciazione delle loro tesi iniziali, dedicando poi tutte le loro ri-
cerche alla lingua come sistema.
D’altra parte, se alcune scienze linguistiche non si sono sviluppate in seno alla lin-
guistica postsaussuriana è in parte anche a causa delle insufficienze dello schema di
Saussure. Così, ad esempio, se non è ancora stata fondata una semantica della parole che
abbia oggetto e metodo linguistici rigorosi, ciò dipende, secondo noi, dall’assenza di una
teoria organica dell’“atto verbale”. Sul medesimo concetto di “atto verbale” si potrebbe
costituire una stilistica come quella di Groeber (e di Vossler, agli inizi), tesa a distingue-
re, in un testo, ciò che è originalità, novità, elemento veramente inedito, da quel che è ri-
petizione, uso linguistico della comunità, ecc. Nessuna scienza, invece, può fondarsi sul
concetto di “prodotto linguistico” considerato asistematicamente. Questo ambito è piut-
tosto di pertinenza dell’operazione preliminare di raccolta dei materiali.
Sistema, norma e parola  77

il “prodotto linguistico” è parole, allora la parole non si identifica con l’a-


spetto esclusivamente individuale del linguaggio. Infatti l’opposizione tra
“prodotto linguistico” e “forma linguistica” non si basa sull’antitesi indivi-
duale/sociale, ma sull’antitesi asistematico/sistematico, concreto/astratto.
Per altro verso, se langue è il formale, allora non è possibile escludere
da questo concetto l’“atto verbale”, che è formalizzazione di un’azione
verbale concreta; se, invece, l’“atto verbale” è parole, allora questa non
è interamente concreta, ma contiene anche elementi formali. Ci troviamo
quindi nuovamente di fronte al conflitto di prima, perché qui Saussure di-
stingue langue e parole non secondo l’opposizione concreto/astratto, ma
secondo quella individuale/sociale.
Di conseguenza, si parte, con Saussure, dall’opposizione bilaterale tra
concreto e astratto, asistematico e sistematico, per arrivare, attraverso l’e-
laborazione del concetto di sistema, all’opposizione multipla “individuale
asistematico + sociale asistematico + individuale formale” (parole), da un
lato, e “sociale/formale” (langue) dall’altro, anche se gli aspetti sociale-a-
sistematico e individuale-formale della parole rimangono in ombra. Ma,
se langue è solo quel che è al contempo sociale e formale, vuol dire che,
secondo lo stesso Saussure, ci sono nel linguaggio elementi sociali e for-
mali che non sono langue, non sono sistema (sistema funzionale). Quindi
o si respinge l’opposizione fondamentale tra concreto e astratto, o bisogna
abbandonare l’identificazione tra sociale e formale.

3.2.1. La seconda insufficienza della dicotomia saussuriana, nella sua


forma estrema, è di essere eccessivamente rigida, cioè di ignorare il punto
in cui langue e parole si incontrano e si combinano, vale a dire l’“atto ver-
bale”. Accade perché Saussure non si è collocato nel campo concreto del
linguaggio, cioè nel primo polo della dicotomia di Humboldt, nell’enérgeia
o atto linguistico. Infatti, solo situandoci sul piano dell’atto linguistico pos-
siamo distinguere quel che in un discorso è “azione verbale” da quel che
è invece “atto verbale”, ossia in qualche modo fatto di lingua. È merito di
Gardiner l’aver evidenziato che nel discorso concreto non bisogna vedere
soltanto fatti di parole, facts of speech, ma anche fatti di langue, facts of lan-
guage, fatti che appartengono al sistema (cfr. anche von Wartburg, Bally); e
Gardiner adotta proprio il punto di vista dell’atto linguistico. Indubbiamen-
te l’astrazione ci porterà alla “forma linguistica”, ma non si dimentichi che
questa è nello stesso tempo “atto verbale”, sganciato dal soggetto. E il fatto
che già alcuni interpreti di Saussure abbiano visto nella parole (discorso)
78  Sistema, norma e parola

qualcosa che appartiene alla langue (sistema) ci sembra assai importante,


perché costituisce il terreno su cui le concezioni dualiste e moniste (cfr.
Jespersen) si incontrano. Il punto di partenza per una concezione unitaria
e coerente dovrà essere, dunque, quell’aspetto di langue che esiste nella
parole, nell’atto linguistico, e che è nello stesso tempo Sprechhandlung e
Sprechakt o, meglio, Sprachakt.
D’altra parte, situandoci nel campo del fenomeno linguistico conside-
rato indipendentemente dal soggetto (prodotto linguistico + forma lingui-
stica), scopriremo che esistono elementi che non sono unici o occasionali,
ma sociali, vale a dire normali e ripetuti nei discorsi di una comunità, e
che, tuttavia, non appartengono al sistema funzionale delle forme linguisti-
che; ciò vuol dire che già sulla base del cosiddetto “prodotto linguistico” è
possibile stabilire un sistema normale, diverso dal sistema funzionale, su
un piano superiore di astrazione, quello delle “forme linguistiche”.

3.2.2. In terzo luogo, la dicotomia saussuriana risulta eccessivamen-


te rigida anche a causa della concezione che Saussure ha dell’individuo,
completamente separato dalla collettività e che in sé non sarebbe “collet-
tività” (cfr. Gardiner, Jespersen, Otto, Pagliaro): nella parole individuale,
secondo Saussure, non ci sarebbe nulla di “collettivo”. Ma, se le cose
stessero così, se veramente ci fosse quest’abisso tra società e individuo,
come potrebbe sussistere quell’intima interdipendenza tra langue e parole
che lo stesso Saussure riconosce? Come potrebbe il sistema sociale essere
realizzato dall’individuo? Se invece è evidente che il sistema sociale si
realizza nell’attività individuale, non ci sarà nulla di sociale, nulla di in-
tersoggettivo in quest’attività? Saussure fa una distinzione eccessivamen-
te rigida tra “individuale” e “sociale” o, meglio, identifica “sociale” con
“interindividuale”, “intersoggettivo”, mentre, se si considera un individuo
reale, che è sempre sociale, “sociale” è un concetto più ampio, compren-
dente sia l’individuale sia l’interindividuale.
Bisogna ritrovare, dunque, il sociale nell’individuale, negli atti lingui-
stici del soggetto. E poiché il sociale è, come abbiamo già visto, sistema
normale e sistema funzionale, i due aspetti potranno ritrovarsi negli atti
individuali, oltre naturalmente all’aspetto che pertiene esclusivamente
all’individuo.

3.2.3. Bühler non farebbe mai un’osservazione del genere. Concordia-


mo infatti con lui che langue (Sprachwerk e Sprachgebilde) è tutto ciò
Sistema, norma e parola  79

che sta al di fuori del soggetto parlante, anche se i “prodotti”, di per sé,
rappresentano solo il materiale asistematico su cui si costituisce la langue
come norma e sistema. Ma da un lato non si può accettare che si tratti di
fenomeni “extraindividuali” o indipendenti dagli individui parlanti. Bi-
sogna infatti ricordare che questo modo di considerarli è convenziona-
le: i “prodotti” e le “forme” non esistono come tali, ma sono astrazioni
dell’osservatore, elaborate sulla base della realtà linguistica concreta e, in
modo particolare, su quel che nel concreto è ri-creazione, ripetizione di
un modello precedente; e ogni “azione verbale” (Sprechhandbung), con-
tenendo una “forma linguistica” che in essa si concreta (cfr. Wartburg),
è nello stesso tempo Sprechakt (atto verbale) e anche Sprachakt (atto di
lingua). Il che vuol dire che nell’atto linguistico si ritrovano i cosiddetti
“fatti di lingua” (Gardiner: facts of language), e cioè isoglosse comuni
all’atto considerato e agli atti linguistici precedenti, dello stesso individuo
o di altri, presi come modello. Per altro non si deve dimenticare che in
questi modelli che precedono ogni atto linguistico non tutto è “forma lin-
guistica”, non tutto è funzione: i modelli contengono anche qualcosa che
è normale, ripetuto in una comunità e che, tuttavia, non rientra nel relativo
sistema funzionale, non attiene alla “struttura” della lingua.

3.3. Chiediamoci ora se Saussure abbia realmente ignorato tutto que-


sto. Se è vero infatti che il Corso non dice nulla di esplicito a riguardo,
alcune affermazioni sono però estremamente significative.
In primo luogo perché Saussure (op. cit.: 25) afferma che la lingua è
concreta, se dice poi che è un sistema di pure opposizioni formali? È un
semplice errore di espressione o uno «sviamento funesto», un attacco alla
propria tesi dell’«idealità dell’oggetto lingua», come sembra a Bühler (op.
cit.: 72)? Oppure questa asserzione racchiude una di quelle verità solo ac-
cennate che il Corso non sviluppa?
Apriamo nuovamente il Corso: Saussure (op. cit.: 24) ci dice che la
lingua «si situa nella parte determinata del circuito in cui un’immagine
acustica si associa a un concetto». Ma, trattandosi del circuito dell’atto
linguistico, esso dev’essere per Saussure parte della parole, perché se-
condo lui tutta l’“esecuzione” della langue è parole. Vuol dire allora che
la langue, in quanto oggetto concreto, “si situa” nella parole, ossia che si
concreta e quindi si constata nella parole.
Saussure dice inoltre che, «separando la langue [come sistema] dalla
parole, si separa a un sol tempo: 1) ciò che è sociale da ciò che è individua-
80  Sistema, norma e parola

le; 2) ciò che è essenziale da ciò che è accessorio e più o meno accidentale»
(Saussure, op. cit.: 23). E poi: «La nostra definizione della langue implica
che da essa escludiamo tutto ciò che è estraneo al suo organismo, al suo
sistema» (ibidem: 31). Significa che l’essenziale coincide con il sociale?
Non ci sembra. Crediamo piuttosto che per Saussure «essenziale» voglia
dire “interno”, e «interno è tutto ciò che intacca il sistema a qualsiasi li-
vello» (ibid.: 34). Ora, distinguendo la «linguistica esterna» dalla «lingui-
stica interna», Saussure elimina da quest’ultima tutto ciò che è estraneo al
sistema (ibid.: 31-34), e quindi anche la determinazione sociale; infatti la
«linguistica interna» deve studiare la langue in sé, ed è evidente che a po-
ter essere studiato in sé è soltanto il sistema funzionale e non la norma, che
dipende da vari fattori operanti in una comunità. In un altro punto Saussure
indica che è possibile dare un’idea abbastanza fedele della langue ricor-
rendo a una grammatica e a un dizionario (ibid: 23). Qui, evidentemente,
non si tratta della langue come «sistema linguistico», ma di un concetto
più ampio, dato che la grammatica e il dizionario non contengono solo le
opposizioni sistematiche di una lingua, ma tutto ciò che è normale nelle
espressioni di una comunità.
Saussure, infine, non ignora l’indipendenza del sistema dalla norma:
«la langue è un sistema che conosce solo l’ordine che gli è proprio» (ibid:
33). Chiarisce la sua tesi in un modo ancora più esplicito e significativo:

benché si sappia che il segno dev’essere studiato socialmente, si bada


soltanto ai tratti della langue che la ricollegano ad altre istituzioni,
a quelli che dipendono più o meno dalla nostra volontà. E in questo
modo si manca l’obiettivo, perché si perdono di vista i caratteri che
appartengono soltanto ai sistemi semiologici in generale e alla lingua
in particolare. Il fatto che il segno sfugga sempre in qualche misura
alla volontà individuale o sociale, questo è il suo carattere essen-
ziale; ma è proprio questo carattere che a prima vista si scorge meno
(ibid: 27, sottolineatura nostra).

Riconosciamo dunque in Saussure, anche se appena accennata, un’op-


posizione tra le due concezioni di langue, che nella sua teoria si sovrap-
pongono quasi sempre: la langue come “istituzione sociale”, legata ad al-
tre istituzioni sociali, e contenente anche elementi non funzionali (norma),
e la langue come sistema astratto di opposizioni funzionali (sistema).
3.3.1. Ma c’è di più: perché Saussure dice che l’individuo non può cam-
biare la langue, che la langue gli si impone, per affermare poi che nonostante
Sistema, norma e parola  81

ciò la cambia? Si tratta di una semplice contraddizione, di un semplice para-


dosso o del fatto che nella langue (in senso lato) c’è qualcosa che si impone
all’individuo e qualcosa che invece è libero? Noi crediamo che Saussure ab-
bia intuito la flessibilità, la libertà relativa del sistema: si veda, ad esempio,
quel che dice delle leggi sincroniche (ibid: 112 e sgg.), il cui ordine «è preca-
rio proprio perché non è imperativo» (ibid: 112). Se la nostra interpretazione
è esatta, Saussure in proposito sarebbe andato oltre i suoi continuatori che
ritengono che il sistema si imponga all’individuo in modo totalmente rigido.
Analogamente, Saussure non ignora il concetto di langue come sistema
a posteriori di isoglosse, opposto alla langue che precederebbe la parole
(norma o sistema di opposizioni funzionali): si vedano, a riguardo, le pa-
gine sui dialetti e le lingue dal punto di vista geografico (ibid: 245-247). Si
esce così dalla sincronia pura ed è possibile concepire, come fa Pagliaro,
una langue come entità storica obiettiva, la cui unità è definita da due di-
mensioni, spaziale e temporale.

3.4. Per chiarire meglio la natura della distinzione tra sistema normale
e sistema funzionale (usiamo in questo senso i termini norma e sistema),
possiamo ricorrere alla celebre analogia saussuriana con gli scacchi (ibid:
33-34), anche se noi ci riferiamo alla vera “grammatica” del gioco, cioè
alle sue regole, e non solo al numero dei pezzi. Evidentemente, tra il “co-
dice” del gioco e la sua realizzazione nelle partite, possiamo constatare
alcuni movimenti, alcuni aspetti costanti che non modificano le regole, il
“sistema”, ma che, tuttavia, sono caratteristici del modo di giocare di un
individuo o di un gruppo più o meno ampio di individui; costituiscono trat-
ti normali della realizzazione del “codice” da parte dell’individuo o degli
individui considerati.
Altra analogia è quella che paragona il sistema linguistico a un treno.
È evidente che «l’espresso di Parigi delle 8 e 20», pur conservando certe
caratteristiche funzionali (come quella di partire a una determinata ora, di
arrivare a Parigi a una determinata ora, di fermarsi in alcune stazioni), è
sempre il medesimo treno, anche se cambiano il numero, l’ordine, la forma
e il colore dei vagoni, i vagoni stessi, il personale, ecc. Eppure i suoi utenti
sanno che gli elementi non funzionali non sono tutti indifferenti e occasio-
nali; sanno, ad esempio, che il treno ha sempre dieci vagoni, che i vagoni
D, E, A, B sono disposti sempre in un medesimo ordine, che il secondo e
il quinto vagone, partendo dalla locomotiva, sono sempre di prima classe,
che tutti i sabati cambia il turno del personale, ecc. Gli utenti conoscono,
82  Sistema, norma e parola

cioè, tutta una serie di aspetti che, pur non avendo valore funzionale, con-
traddistinguono l’espresso di Parigi, e troverebbero anormale un treno che
non li presentasse. Anche qui, fra il treno astratto, come funzione, e il treno
concreto che il signor X ha preso ieri o prenderà domani, si frappone una
“realizzazione” normale e più o meno costante del treno medesimo.
La differenza tra aspetto normale e aspetto funzionale è più chiara se si
ricorre all’analogia con la chiave, offerta da André Martinet (1947). Infatti è
vero che, in una serie di chiavi, alcuni aspetti sono funzionali o “pertinenti”
(permettono cioè alle chiavi stesse di aprire determinate porte e determinano
la loro classificazione a seconda delle porte che aprono), altri sono accessori
e “non pertinenti” (forma dell’anello, metallo usato, ecc.) (ibidem: 38). Ma
è anche vero che gli aspetti “non pertinenti” non sono tutti indifferenti e oc-
casionali; così, ad esempio, le chiavi hanno normalmente l’anello, si fanno
normalmente in metallo e non in legno, vetro o diamante, ecc. In tutte queste
analogie è sempre possibile distinguere tre serie di caratteristiche, a secon-
da del grado di astrazione o formalizzazione: 1) le caratteristiche concrete,
infinitamente varie e variabili, degli oggetti osservati; 2) le caratteristiche
normali, comuni e più o meno costanti, indipendenti dalla funzione specifica
degli oggetti (primo grado di astrazione); 3) le caratteristiche indispensabili,
ossia funzionali (secondo grado di astrazione). Si tratta della stessa distin-
zione che si può stabilire fra tutte le sentenze particolari che rappresentano
l’applicazione di una legge, il regolamento che indica come la legge debba
essere applicata (o meglio, l’applicazione normale e abituale della legge), e
la legge medesima, in quanto sistema di disposizioni astratte.

3.4.1. Naturalmente, non pretendiamo di incontrare già in Saussure e


nella linguistica strettamente saussuriana l’opposizione tra il concetto di
norma e quello di sistema. Ci sembra soltanto che il concetto di langue
come sistema astratto di opposizioni funzionali implichi lo sviluppo del
concetto di norma (astrazione intermedia), e che sia possibile trovare nel-
lo stesso Saussure le premesse per la strutturazione di tale concetto, oltre
a notevoli suggerimenti sulla sua natura.

4. L’idea di “norma” nell’indagine empirica e nella linguistica strutturale

Ma l’impulso decisivo alla costituzione dei due concetti di norma e si-


stema nasce dall’indagine empirica stessa del fatto linguistico e, in modo
Sistema, norma e parola  83

particolare, dai progressi della fonologia e in generale della linguistica


strutturale.
Già alcuni anni fa, studiando la lingua di un poeta romeno, osservava-
mo in una comunicazione letta a dicembre del 1948 al Sodalizio glotto-
logico milanese (Coseriu 1949) che le innovazioni, soprattutto sintattiche
e semantiche, constatate nell’universo di questo poeta, anche se assolu-
tamente inedite, audaci e sorprendenti e, in qualche modo, “anormali”,
non risultano aberranti dal punto di vista del sistema, non sono percepite
come “errori”, non urtano il “senso linguistico” dei lettori omoglotti. «Il
procedimento di Barbu — annotavamo — è sempre identico: consiste
nell’estensione di usi particolari ad altri casi, logicamente simili, ma nei
quali la convenzione normale è diversa» (ibidem: 49). Ciò significa che,
anche se in termini un po’ imprecisi (soprattutto per quel che riguarda il
cosiddetto “senso linguistico”, che consideravamo di natura causale e non
come effetto del sistema), facevamo la distinzione tra sistema funzionale
e convenzione (realizzazione) normale. D’altronde, non sono di questo
tipo le innovazioni poetiche? Non sono quasi sempre violazioni o amplia-
menti della norma, permessi dal sistema? Vediamo quanto si può evincere
a riguardo dalle ricerche strutturali.

4.1. Bertil Malmberg, ricordando un dibattito al Circolo linguistico di


Copenaghen e un intervento di Hjelmslev sul problema del sostrato (se il
sostrato tocchi effettivamente il “sistema” di una langue «nel senso rigo-
roso del termine»), osserva che «nello spagnolo paraguaiano la realizza-
zione fonetica risulta alterata, mentre il sistema funzionale rimane intatto»
(Malmberg 1948: 74, nota). Evidentemente Malmberg non si riferisce qui
alla realizzazione fonetica individuale e occasionale, a “fatti di parole”
non indagabili sistematicamente, ma ad una realizzazione normale, che
caratterizza il discorso di tutta una regione ed è diversa dalle realizzazioni
normali del sistema spagnolo in altre regioni. Essa non intaccherebbe tut-
tavia la struttura della lingua dal punto di vista funzionale.

4.1.1. Suggerimenti assai importanti, nello stesso senso, si trovano in vari


punti dei Princìpi di Trubeckoj. Nel capitolo su “Fonologia e fonostilistica”
(Trubeckoj 1971: 16-29), ad esempio, si dice che esistono nelle lingue parti-
colari realizzazioni acustiche di alcuni fonemi, che sono caratteristiche del di-
scorso di generazioni diverse o dei due sessi o di alcuni contesti professionali e
culturali. Tali realizzazioni diverse, evidentemente, non implicano distinzioni
84  Sistema, norma e parola

nei “sistemi” linguistici rispettivi; e tuttavia non sono individuali, non sono
momentanee e occasionali, ma normali e costanti nel modo di esprimersi di
gruppi umani più o meno vasti. È vero che, in casi come questi, le caratteristi-
che non sono interamente afunzionali: possono non avere una funzione pro-
priamente fonologica (rappresentativa), ma una espressiva sì. Che dire, però,
dei «suoni normali» che Trubeckoj oppone in generale ai «suoni sostitutivi»
ammessi da una comunità per la realizzazione di alcuni fonemi?
Più avanti, nel capitolo sul concetto di fonema (ibidem: 36-41), dopo
aver definito il fonema la «somma di caratteristiche fonologicamente per-
tinenti che un’immagine fonica comporta» (ibid.: 40), Trubeckoj osser-
va che un medesimo fonema può essere realizzato da una molteplicità
di suoni, designati con il nome di varianti o di varianti fonetiche. Dagli
esempi forniti ricava però che nell’infinità delle realizzazioni possibili di
un fonema si può distinguere un numero limitato di varianti-tipo normali
e costanti, in determinate posizioni delle parole, ad esempio.
Ma il capitolo più importante per il nostro problema è quello in cui si
parla della differenza tra fonemi e varianti (ibid.: 47-53). Qui Trubeckoj os-
serva infatti che, fra le varianti facoltative (generali e individuali), una è la
variante normale in una data lingua; così, ad esempio, per il fonema /r/ la re-
alizzazione (variante) normale in francese e in tedesco è la r uvulare, mentre
in spagnolo, italiano, ecc., è normale la r linguale (apico-dentale). Di altro
tipo sono le varianti combinatorie, che dipendono dai fonemi contigui (così,
in giapponese, il fonema /h/ si realizza sempre come f davanti a u). Alcune
varianti facoltative hanno indubbiamente valore stilistico, mentre le varianti
combinatorie presentano di solito una funzione che Trubeckoj chiama as-
sociativa o associativa ausiliaria: indicano cioè i limiti di una parola o il
morfema o fonema contiguo (in rioplatense, ad esempio, la realizzazione g
del fonema /g/ dopo /s/ indica che in quest’ultimo fonema la realizzazione è
ridotta al minimo). Molte varianti linguistiche, tuttavia, sono semplicemente
normali, pur essendo del tutto afunzionali (lo stesso Trubeckoj usa varie
volte i termini norma e normale nel dibattito sulle varianti).
Si fa un passo avanti nella stessa direzione se si considerano i capitoli
sulla neutralizzazione dell’opposizione fonologica distintiva (ibid.: 246-
261), cioè sul fenomeno in virtù del quale due fonemi, che sono correlati
in determinate posizioni e diversi in altre, risultano intercambiabili, senza
che ciò comporti un cambiamento di significato(47). Nel caso della neutra-

(47)  In caso di neutralizzazione, la realizzazione acustica non corrisponde a uno


dei fonemi intercambiabili, ma ad un arcifonema, che li include entrambi. Così in spa-
Sistema, norma e parola  85

lizzazione si constata appunto, con tutta evidenza, che la realizzazione è


“indifferente” — e i fonemi correlativi intercambiabili — solo dal punto
di vista del sistema funzionale, mentre assai raramente essa lo è dal punto
di vista della norma della langue. Di più: la neutralizzazione esiste pro-
prio perché esiste una determinata realizzazione normale, che fa sì che
un fonema si confonda con il suo correlativo (o, in caso di correlazione
multipla, con più correlativi); fa sì, cioè, che un’opposizione fonologica
diventi inoperante. Così, ad esempio, nel sistema fonologico russo l’op-
posizione distintiva tra sorda e sonora si presenta neutralizzata in posizio-
ne finale o davanti a sorda, ma la realizzazione dei fonemi correlativi in
questione (/b/-/p/, /d/-/t, ecc.) non è affatto indifferente dal punto di vista
della norma, perché essi si realizzano sempre come sordi.
Trubeckoj sottolinea che la fonologia, come scienza del sistema lin-
guistico, si occupa dei fatti fonici solo nella misura in cui essi adempiono
nella lingua una determinata funzione (Trubeckoj, op. cit.: 12); ma è evi-
dente che una lingua è caratterizzata anche da fatti fonici non funzionali.
Nel discutere i princìpi della fonometria di Eberhard Zwirner, lo stesso
Trubeckoj (ibidem: 7-9) riconosce l’esistenza di norme di realizzazione,
ma identificando la langue con il «sistema funzionale» e la «realizzazio-
ne» con la parole, afferma che si tratta di norme della parole e non della
langue. Davvero, però, si possono considerare fatti di parole dei fenomeni
normali e costanti in una langue?(48)

4.1.2. Martinet (1949: 7-9) osserva, in proposito, che nella descrizione


fonologica di una lingua non è possibile trascurare le varianti (in tal modo
si attribuiscono alla langue — intesa evidentemente nel senso più ampio
di «sistema funzionale» — le norme di realizzazione che Trubeckoj attri-
buisce alla parole). Sempre Martinet accetta con reticenza l’opinione di
Trubeckoj sulla funzione associativa delle varianti combinatorie. Ritiene
invece significativa la conclusione di Malmberg (1944) che alcune varianti
costituiscono tratti caratteristici di determinate strutture linguistiche. E, dal
canto suo, indica come esempio la norma della brevità delle vocali finali in

gnolo l’opposizione tra /r/ e /rr/ si neutralizza in posizione finale, per cui una realizza-
zione r o rr (indifferente, in questa posizione, dal punto di vista del significato) corri-
sponde a un arcifonema /R/. Su altre neutralizzazioni in spagnolo cfr. Alonso 1951.
(48)  Il fatto che l’opposizione di Trubeckoj tra fonologia e fonetica non corrispon-
da esattamente all’antinomia saussuriana langue/parole è stato già segnalato al III Con-
gresso di scienze fonetiche (Gand, luglio 1938), soprattutto da Nicolaas van Wijk e Ju-
lius von Laziczius. Cfr. van Wijk (1939) e Laziczius 1939.
86  Sistema, norma e parola

francese (che è una caratteristica della lingua francese, benché in essa non
esista l’opposizione fonologica distintiva tra vocali lunghe e brevi).

4.1.3. Hjelmslev (1943, trad. it., pp. 66 e sgg.), applicando un metodo


rigorosamente strutturale e funzionale non soltanto al piano dell’espres-
sione o fonico, ma anche al piano del contenuto o semantico, constata
l’esistenza, nei due piani, di varianti libere o individuali (variazioni; cfr.
le varianti facoltative della fonologia) e di varianti condizionate o com-
binatorie (varietà)(49), e osserva che le variazioni possono essere studiate
con mezzi statistici (fonometrici). In entrambi i piani riscontra, inoltre, un
fenomeno che chiama sincretismo, corrispondente alla neutralizzazione
della fonologia. Ogni variante è realizzazione di un’invariante e il sistema
linguistico è precisamente un sistema di invarianti.

4.2. Se identifichiamo la langue con quest’ultimo concetto, ne seguirà


come corollario che le varianti non appartengono alla langue. Se invece
diamo a questo termine lo stesso senso che ha comunemente in locuzioni
come “lingua spagnola”, “lingua francese”, bisognerà riconoscere, sulla
base delle osservazioni fatte, che nella langue non si constatano solo in-
varianti, ma anche “tipi di varianti” o “varianti-tipo” (classi delle varianti
puramente momentanee e occasionali). Le varianti normali, e non soltanto
le invarianti, esistono in numero limitato in ogni lingua, e caratterizzano
la lingua stessa. Significa che esistono in ogni lingua opposizioni costanti
e peculiari sia tra le invarianti sia tra le varianti normali, con la differenza
che le opposizioni tra invarianti sono funzionali, le opposizioni tra varian-
ti no, pur non essendo né indifferenti né arbitrarie nella lingua. Esistono
cioè aspetti extrafonologici e, in generale, extrastrutturali, afunzionali, non
appartenenti al sistema e che, tuttavia, non hanno un’esistenza puramente
casuale, ma caratterizzano una lingua: la lingua, nel senso ampio del ter-
mine, non è soltanto sistema funzionale, ma anche realizzazione normale.
Così, ad esempio, dal punto di vista funzionale il fonema italiano /š/
(rappresentato nell’ortografia normale con sc o sci: scena, scialbo) è defi-
nito sufficientemente dai tratti fricativo e palato-alveolare, non essendoci
alcun altro fonema italiano che riunisca tali caratteristiche; il fatto invece
che si tratti di una consonante sorda non è pertinente dal punto di vista

(49)  Vedi il fonema /n/, ad esempio, che in spagnolo si realizza come apico-denta-
le, bilabiale, labiodentale, dentale, palatale implosivo e velare, rispettivamente in erano,
un padre, ninfa, anda, ancho, tango.
Sistema, norma e parola  87

fonologico, perché non esiste nell’italiano (letterario) un fonema che si


opponga a /š/ per la sola sonorità. È tuttavia indubitabile che in italiano,
nella lingua italiana (letteraria) — e non soltanto in questo o quell’atto
linguistico di questo o quell’individuo — /š/ è non solo fricativo e pala-
to-alveolare, ma anche, per la sua realizzazione costante, sordo, e che,
malgrado esista nel sistema una casella vuota, tale fonema non si realizza
mai come il suo correlativo */ž/.

4.2.1. Ma dove bisogna situare, nel linguaggio, questi elementi normali


e costanti della lingua e tuttavia non pertinenti dal punto di vista funzio-
nale, dato che non è possibile classificarli nel sistema? Ebbene, proprio
in quell’altra astrazione, anteriore al sistema, che abbiamo chiamato nor-
ma. Una teoria strutturale del linguaggio non può non condurre a questo
concetto, se non si vuole eliminare del tutto la sostanza fonica dal no-
stro studio. Si arriva cioè necessariamente a una riforma dell’opposizione
langue/parole, come ha già intravisto con sufficiente chiarezza Martinet
(1947: 57, sottolineato nostro):

sarebbe stato interessante segnalare e discutere il tentativo di Malm-


berg di distinguere i fatti extrafonologici universali da quelli che ca-
ratterizzano una data lingua. Ciò ci avrebbe portato a riesaminare i
capitoli di Grundzüge [di Trubeckoj] dedicati alla variante e quello
sulla questione ancora malamente risolta della pertinenza fonologi-
ca e della distinzione saussuriana fondamentale tra langue e parole.

Probabilmente, dato il senso che attribuisce al termine langue, Marti-


net avrebbe definito la norma un aspetto della lingua, coordinato al siste-
ma. Verso una soluzione diversa, almeno formalmente, ci spinge invece
Brøndal, con il suo concetto di “uso linguistico” (usage):

A proposito della differenza fra langue e parole ci si domanda spes-


so qual è il ruolo dell’uso. Si può ammettere che questa nozione sia
in qualche misura mediatrice tra langue e parole, a condizione di
intendere l’uso come una specie di norma secondaria, permessa dal
sistema astratto e superiore della langue senza però la possibilità di
sopprimerla o modificarla (Brøndal 1939: 96, corsivo nostro).

Ed è naturale che Brøndal arrivi a questa concezione, perché per lui la


langue è appunto, e unicamente, il sistema astratto, ideale. Ciò significa
88  Sistema, norma e parola

che, in un modo o nell’altro (e se non si attribuisce la totalità della realiz-


zazione alla parole), si arriva a uno dei due schemi seguenti (a seconda che
si prenda il concetto di langue in senso saussuriano ampio — tutto quel
che è costante e sistematico nel linguaggio di una comunità — o in senso
saussuriano stretto, di sistema funzionale):

I PAROLE norma
sistema
(fatti extrafunzionali costanti)

LANGUE

II PAROLE USO LANGUE


(norma intermedia o secondaria) (sistema funzionale)

Vediamo già che nessuno dei due schemi è soddisfacente dal punto di
vista di una concezione unitaria, che consideri il linguaggio nella sua realtà
primaria e intrinseca di attività; la verità che i due schemi racchiudono è
però innegabile.

5. Fatti di “sistema” e fatti di “norma”

Gli esempi che dimostrano l’opportunità della tripartizione risultano


evidenti soprattutto in campo fonico, forse perché esiste appunto per il
campo fonico una teoria delle opposizioni pertinenti pienamente svilup-
pata. È anche possibile però darne esempi molto chiari negli ambiti della
morfologia propriamente detta, della derivazione e della composizione,
della sintassi e del lessico.

5.1. Cominciamo con il campo fonico:


1) in spagnolo non esiste opposizione distintiva tra vocali lunghe e brevi
(sistema); le vocali finali, tuttavia, appaiono normalmente lunghe (norma).
2) In lingue come lo spagnolo, l’italiano, il francese, ecc. non esistono
opposizioni distintive nel registro della voce: non è possibile cioè stabilire
opposizioni significative tra parole soltanto in virtù dell’altezza musicale
(sistema). I limiti del registro non sono tuttavia indifferenti, ma, al contra-
rio, ben determinati, e rendono specifica ogni lingua: l’italiano ha un cam-
Sistema, norma e parola  89

po d’intonazione di due ottave; lo spagnolo “è un idioma grave”, proprio


perché ha un campo d’intonazione di una sola ottava (norma). Perciò, alle
orecchie di uno spagnolo, gli italiani “cantano” parlando; uno spagnolo,
infatti, sente come anormali le realizzazioni acustiche che superano i limiti
del campo di intonazione normale nella sua lingua.
3) Il fonema /x/ (nell’ortografia corrente j o g, davanti a e, i) è un
elemento abituale del sistema fonologico spagnolo, e tuttavia una frase
come Artajo trajo la valija abajo (“Artajo portò giù la valigia”) produce
uno strano effetto “stilistico”, essendo la frequenza relativa del fonema
assai minore nella norma spagnola. Noi riteniamo appunto che tutto quel
che si riferisce alla frequenza dei fonemi in una lingua(50), tutti i fatti di
statistica fonologica (Trubeckoj, op. cit.: 276-289) riguardano la norma,
e non il sistema; si tratta in realtà di fatti che caratterizzano una lingua,
ma non appartengono al complesso delle sue opposizioni intrinseche
fondamentali.
4) In spagnolo, al contrario dell’italiano, del francese o del porto-
ghese, non esiste opposizione distintiva tra vocali aperte e chiuse. «La
e dello sp. ver, “vedere”, è foneticamente altrettanto aperta (o può es-
serlo) di quella del fr. chantais, e la e dello sp. ves, “vedi”, è altrettanto
chiusa di quella del fr. chanter» (Alonso, op. cit.: 289), ma la cosa non
ha importanza nel sistema fonologico dello spagnolo, perché i due suoni
non funzionano «come valori differenti»: sono realizzazioni di un unico
fonema /e/. Questo è del tutto esatto per quel che riguarda il sistema: le
cose non stanno così, invece, nella norma, perché la realizzazione nor-
male è chiusa in queso, “formaggio”, cabeza, “testa”, sello, “bollo”, ma
è aperta in papel, “carta”, afecto, “soggetto a, affetto da”, peine, “petti-
ne”; così come la realizzazione di /o/ è chiusa in llamó, “chiamò”, boda,
“nozze”, esposa, “moglie” e aperta in rosa, hoja, “foglio”, dogma; la
pronuncia [kęso], [papẹl], [espǫsa], [rrợsa] non intacca il sistema, ma
risulta insolita, anormale. Abbiamo dunque un unico fonema /o/ nel si-
stema, due varianti tipiche, due tipi di o nella norma e, infine, un’infinità
di realizzazioni diverse (varianti individuali e occasionali) nel discorso
concreto, negli atti linguistici:

(50)  Cosi, ad esempio, in spagnolo la vocale a è più frequente di e (rispettivamen-


te del 12 e del 10, 15%), mentre in francese e in italiano accade il contrario. Cfr. Navar-
ro Tomás 1935.
90  Sistema, norma e parola

Nel sistema o si oppone come unità fonologica distintiva a e, i, u, a,


distinguendo ad esempio ojo, “occhio”, da ajo, “aglio”, ma non c’è alcuna
differenza funzionale tra [ǫ] e [ợ]; nella norma si aggiunge la distinzione
tra la o chiusa e la o aperta, tra la realizzazione normale della o di rosa e la
realizzazione normale della o di esposa; e nel discorso la o aperta pronun-
ciata in questo momento da Juan si oppone alla realizzazione della stessa
variante normale pronunciata da Pedro, Pablo, Diego, ecc., nonché alle o
aperte pronunciate in altri momenti da Juan.
5) In spagnolo l’opposizione fonologica tra consonante semplice e con-
sonante intensa (sistema) esiste soltanto per la r; alcune consonanti, tutta-
via, si pronunciano normalmente in modo intenso in determinate posizioni
(norma). Così è ad esempio per l’affricata /č/ (ch) davanti ad a, o, u: un
italiano, abituato a un sistema fonologico che contempla un’opposizione
del genere, interpreterà la / č/ dello spagn. chivo, “caprone”, come identica
a quella dell’it. ciarla e la / č/ dello spagn. tacha, “macchia”, come identi-
ca a quella dell’it. caccia.
6) L’opposizione fonologica tra la monovibrante e la polivibrante
(r-rr) esiste in spagnolo solo in posizione intervocalica (pero, “ma”,
perro, “cane”, caro-carro) e si neutralizza invece in tutte le altre po-
sizioni, nelle quali le varianti relative sono realizzazioni di un arcifo-
nema. Così, ad esempio, in posizione iniziale, conta solo, dal punto di
vista del sistema, che si tratti di una vibrante, cioè che non si confonda
raro con paro, “cincia”, rey, “re”, con ley, “legge”, e ruso, “russo” con
puso “pose”. Le cose vanno diversamente nella norma: la realizzazione
normale dell’arcifonema, infatti, è una polivibrante (rr) in posizione
Sistema, norma e parola  91

iniziale e dopo l, s, n; è una monovibrante (r) dopo un’occlusiva (creo,


“credo”, presa); ed è realmente facoltativa soltanto in posizione finale
e davanti a consonante (puerta, ver). Pertanto, pronunciando rey con
monovibrante anziché con polivibrante non si intacca il sistema (questa
parola non può essere confusa con nessun’altra, come accadrebbe nel
caso di parra, “vite” e para, “per”, né diventa irriconoscibile), ma la
realizzazione è anormale in spagnolo. Inoltre, la realizzazione normale
dei due fonemi e dell’arcifonema è una vibrante alveolare e non uvula-
re, come lo è ad esempio in francese.
Situazione identica dal punto di vista del sistema, ma non del tutto dal
punto di vista della norma, si riscontra nell’opposizione monovibrante-po-
livibrante (o vibrante alveolare/vibrante uvulare) in portoghese.
7) Per la s castigliana, il fatto di essere dorsale o coronale è di perti-
nenza della norma e non del sistema funzionale della lingua. Dal punto
di vista del sistema, infatti, il fonema /s/ potrebbe essere realizzato come
ss, š, z, non essendoci in spagnolo i fonemi ss, š, z che stiano con esso in
opposizione (il che invece non sarebbe possibile in francese o in italiano,
dove ci sono opposizioni come chat-sa; casa-cassa, sala-sciala, ecc.); tali
realizzazioni però non sono normali. In rioplatense, in cui neanche il fone-
ma /q/ gli si oppone, s potrebbe avere un numero di realizzazioni ancora
maggiore, ma le varianti normali sono la dentale e, in posizione finale e so-
prattutto davanti a consonante, l’aspirazione h (pasto, pronunciato pahto).
Allo stesso modo, in francese, r può realizzarsi in vari modi, dalla vi-
brante alveolare dei dialetti meridionali fino alla vibrante uvulare del fran-
cese letterario di Parigi, e la sua realizzazione può arrivare a includere [x],
dato che non c’è un fonema /x/ che gli si oppone (come invece accade in
spagnolo e in tedesco). Fra tutte le varianti possibili, tuttavia, la più nor-
male e generale è la vibrante uvulare. In portoghese la /s/ finale, per effetto
di due neutralizzazioni simultanee, conserva come tratto pertinente solo
l’essere fricativa e il non essere né interdentale né velare né laringale (può
essere cioè dentale o alveolare: s, z, o palato-alveolare: š, ž). Il sistema non
esige oltre o, meglio, offre una serie di possibilità. La norma invece (e si
tratta di una norma combinatoria) è assai più imperativa: la norma di San
Paolo ammette soltanto le realizzazioni s e z e quella di Rio š, z, ž — non
facoltative, ma obbligatorie — a seconda del fonema che segue la /s/. Così,
in un caso come os olhos, la norma di Rio, per la s di os, esige non soltanto
che la realizzazione dia luogo a una variante acustica di un determinato
arcifonema, ma anche che la variante sia dentale e sonora (z).
92  Sistema, norma e parola

8) Gli esempi si possono moltiplicare all’infinito. Così, nel latino clas-


sico, c’era un unico fonema /u/, ma la sua realizzazione normale era con-
sonantica o vocalica a seconda delle posizioni, cosa che portò alla sua
scissione in due fonemi distinti; nel sistema del francese, la u di puis o di
suite è una variante dello stesso fonema realizzato dalla u di pur, étude,
ma nella norma la u di puis e di suite è una consonante, mentre la u di pur
e di étude è una vocale, e una realizzazione vocalica della u di puis o di
suite suonerebbe anormale alle orecchie della maggior parte dei francesi.
In russo e in rumeno il fonema /e/ si realizza obbligatoriamente come je in
determinate posizioni; la seconda l dell’ingl. little e la l del fr. peuple sono
diverse, nella norma, dalla prima l di little e dalla l di lac, essendo sorde
e non sonore, mentre, dal punto di vista del sistema, sono varianti dello
stesso fonema.

5.2. Riguardo alla distinzione tra norma e sistema nel campo della mor-
fologia, ma anche al fine di chiarire il carattere socio-culturale della nor-
ma, si troveranno i casi più lampanti negli errori di flessione fatti dai bam-
bini o in generale dalle persone che non conoscono a sufficienza la norma.
Tali errori, infatti, derivano quasi sempre da un’applicazione delle oppo-
sizioni funzionali del sistema contraria all’applicazione consacrata come
normale nella comunità linguistica. Derivano cioè dall’impiego anormale
dei mezzi che il sistema fornisce come forme ideali, svincolate dall’uso
concreto, ma che la norma ha fissato, codificato e classificato in modelli
tradizionali di realizzazione. Se un bambino inglese dice sing. ox, pl. oxes
(anziché oxen) e un bambino francese sing. carnaval, pl. carnavaux (an-
ziché carnavals), è perché il sistema legittima comunque tali opposizioni;
nella norma, però, esse in questi casi non si realizzano, mentre in altri sì
(ass-asses, cheval-chevaux). Esiste dunque in morfologia, sul piano della
norma, la stessa opposizione tra le “varianti obbligatorie” che abbiamo
incontrato in fonologia: dal punto di vista funzionale oxes e oxen sono in-
tercambiabili, perché entrambe le forme sono intese come plurali di ox, ma
la norma ammette soltanto oxen. Allo stesso modo sono intercambiabili,
sul piano funzionale, esteas ed esté, “che io stia”, andé e anduve, “andai”
(nel sistema di virtualità della lingua estea si oppone a estoy, “sto”, come
sea, “che io sia” a soy, “io sono”; e andé si oppone a andar come canté,
“cantai”, a cantar), ma la norma spagnola ammette soltanto esté e anduve.
Le nostre grammatiche latine parlano di sostantivi della terza declina-
zione che “ammettono” all’accusativo la desinenza -em o -im e all’ablativo
Sistema, norma e parola  93

-e o -i (febris, pelvis, securis, ecc.), e di altri nomi che possono seguire il


paradigma della seconda declinazione e, in gran parte, anche quello della
quarta (cupressus, fagus, ficus, laurus, ecc.). Ora, senza dubbio c’è stata
un’epoca nella storia del latino in cui le possibilità menzionate sopra co-
esistevano; la norma, però, non è mai stata totalmente indifferente, ma ha
preferito sempre l’una o l’altra delle forme indicate: si è verificato un con-
tinuo spostamento della norma in favore, rispettivamente, delle desinenze
-em, -e e del paradigma della seconda declinazione.

5.3. Fenomeni analoghi si possono osservare, in divenire, nel rumeno


attuale. In rumeno, infatti, i nomi con due generi (maschile al singolare e
femminile al plurale) che non finiscono in -e o -iu possono avere il plurale
in -e (scaun, “sedia”, pl. scaune) o in -uri (cer, cielo, pl. ceruri). In genere,
hanno il plurale in -e i polisillabi e in -uri i monosillabi; molti nomi tut-
tavia ammettono entrambe le desinenze (chibrit, “fosforo”, pl. chibrite o
chibrituri). Ma la norma non è mai indifferente e predilige sempre una del-
le due forme (sembra spostarsi sempre più a favore della desinenza -uri).
Una serie di diminutivi rumeni presenta al singolare i suffissi intercam-
biabili -ică o -ea (rîndunică, rîndunea, “rondinella”; floricică, floricea,
“fiorellino”) e ha il plurale, rispettivamente, in -ici o -ele (rîndunici, rînd-
unele); le due opposizioni sono intercambiabili nel sistema, ma la norma
preferisce -ică al singolare e -ele al plurale (rîndunică- rîndunele, florici-
că-floricele), ragion per cui sta sorgendo nel sistema una nuova opposizio-
ne: -ică-ele, che incrocia le due precedenti.
Ma il caso più interessante è quello dei femminili in -ă. Tali femminili
possono avere il plurale in -e, senza metafonia, (casă -case), o il plurale
in -i, con metafonia (tară, “paese”, tări). Nel sistema i plurali sono equi-
valenti, tanto che praticamente tutti i nomi in questione possono avere en-
trambe le forme; accade tuttavia che in ciascun caso la norma selezioni
nettamente l’una o l’altra forma, con la tendenza generale a preferire, a
quanto pare, le forme in -i con metafonia (il plurale normale di şcoală,
“scuola”, è attualmente şcoli, ma la norma antica, şcoale, si conserva nel
nome di un’istituzione creata nel secolo scorso: Casa Şcoalelor).

5.4. Naturalmente, nel passaggio da una norma all’altra, c’è un mo-


mento di incertezza, soprattutto se vogliamo estenderla a un intero idio-
ma: in realtà esistono varie norme parziali (sociali, regionali), perché
la norma, per sua stessa natura, è sempre meno generale del sistema. Si
94  Sistema, norma e parola

consideri, ad esempio, il caso del dativo e dell’accusativo del pronome


personale di terza persona, per il quale il sistema offre tutta una serie di
possibilità: 1. le-lo; 2. le-le; 3. lo-lo; 4. le-la; 5. la-la. In rioplatense sono
normali le possibilità 1 e 4, rispettivamente per il maschile e il femminile.
In Spagna la norma vigente è le-lo per gli oggetti di genere maschile, le-la
per il femminile e oscilla tra le-lo e le-le (con prevalenza di queste ultime)
per le persone di sesso maschile; la-la è popolare; lo-lo è plebeo (Lapesa
1950: 291).

5.4.1. Riguardo alla formazione, alla derivazione e alla composizione


delle parole, la distinzione tra norma e sistema dipende dalle necessità
espressive quotidiane dei parlanti. Se considerassimo inesistenti parole che
non si trovano nel Diccionario de la Academia (codice della norma), non
sarebbe possibile dire planteo, “impianto”, concretamiento, ocultamiento,
sincronización, sacapuntas, “temperamatite”. Potremmo usare papal solo
nel senso di “appartenente o relativo al papa” e non in quello di “piantagio-
ne di patate”; potremmo dire palatizar e labializar, ma non palatización e
labialización; diremmo nasalidad, nasalizar, nasalización, ma non vela-
ridad, velarizar, velarización. Molte di queste parole possono non esistere
nella norma, ma esistono in qualche modo nel sistema, nel complesso di
strutture, possibilità e opposizioni funzionali della lingua spagnola. Nel
sistema esistono allo stato virtuale, indipendentemente dalla loro consa-
crazione nella norma, tutti i possibili deverbativi in -miento e -ción, tutti i
verbi possibili in -izar, gli astratti in -idad, ecc.: il sistema è un complesso
di vie aperte e chiuse, di coordinate prolungabili e non prolungabili. Sono
prolungabili le linee dei verbi in -ear, -izar, -ecer, ma non quelle dei verbi
in -er, -ir; è possibile allungare all’infinito le linee dei derivati in -ción,
-miento, ma non quella dei derivati in -iego. Da carta, “lettera”, non pos-
siamo ottenere un accrescitivo in -ón, perché cartón, “cartone”, ci sbarra
la strada; e per il contrario del termine fonologico pertinente ci asteniamo
dall’usare il prefisso negativo -in, perché troviamo il cammino sbarrato
da impertinente; così come in italiano gli abitanti del Nord si chiamano
nordici, ma quelli del Sud non si chiamano sudici, bensì meridionali. Ma
sacapuntas è perfettamente legittimo dal punto di vista del sistema (cfr. sa-
camuelas, “cavadenti”, sacabotas, “cavastivali”, sacacorchos, “cavatap-
pi”, ecc.) e sacaclavos, “tenaglie”, è un “americanismo” soltanto perché
in questo senso nella norma spagnola c’è già il termine specifico descla-
vador. Papal come “piantagione di patate” è un “americanismo” solo dal
Sistema, norma e parola  95

punto di vista della norma vigente in Spagna, mentre dal punto di vista
del sistema è una delle formazioni più genuine. In realtà si coniano parole
genuinamente spagnole non solo in Spagna, ma anche in America, perché
anche in America funziona il sistema linguistico dello spagnolo. E se le
parole nuove rappresentano realizzazioni di possibilità del sistema, che
nascano a Madrid o a Montevideo non ha alcuna importanza.

5.4.2. La norma sceglie, fissa e oppone le varianti anche rispetto alla


derivazione. Così, ad esempio, per il femminile dei nomina agentis in
-tor, il sistema fornisce le possibilità -tora e -triz, ma nella realizzazione
normale questi modelli si oppongono e diversificano: la norma preferisce
acritz e directora, riservando actora al linguaggio giuridico e directriz
alla geometria (così due varianti intercambiabili diventano unità distinte).
Allo stesso modo la norma ammette l’opposizione maestro/maestra, ma
non l’opposizione ministro/ministra; preferisce oyente a oidor, “uditore”,
navegante a navegador; e la stessa norma che permette estudiante/estu-
dianta, presidente/presidenta non ammette né navegante/naveganta né
amante/amanta: essa cioè realizza il sistema solo in parte.

5.5. A prima vista distinguere norma e sistema è più difficile in campo


sintattico. Crediamo tuttavia che ciò sia possibile, perché non riteniamo
— come invece fanno vari autori (Gardiner, Bühler, Brøndal) — che que-
sto campo appartenga alla parole più che alla langue.

5.5.1. Come al solito, ci imbattiamo qui nello sviluppo, a nostro avviso


unilaterale, di un’idea saussuriana. Saussure afferma infatti che apparten-
gono alla parole «le combinazioni con cui il soggetto parlante utilizza il
codice della lingua in vista dell’espressione del proprio pensiero persona-
le» (Saussure, op. cit.: 24).
In un altro passo Saussure si chiede: «fino a che punto la frase appar-
tiene alla langue?» (ibidem: 129) e nota la varietà infinita delle frasi; in
un altro capitolo, infine, risponde alla domanda affermando che la frase
«appartiene alla parole, non alla langue» (ibid.: 151). Quest’ultima af-
fermazione si ripete come un dogma nella linguistica postsaussuriana.
Ma che cosa intende qui Saussure? Semplicemente che la frase è l’unità
espressiva, il che è innegabile; questo però non significa che non abbia
una struttura linguistica determinata. Se invece allude al carattere inedito
di ogni frase e alla varietà infinita delle frasi, bisogna allora osservare che
96  Sistema, norma e parola

gli elementi dell’espressione (parole concrete, suoni che compongono le


parole) sono inediti, nel discorso concreto, tanto quanto la frase stessa, e
che l’affermazione della varietà delle frasi non riguarda la linguistica in
sé, ma l’infinita varietà dei sentimenti e dei pensieri umani espressi nel
linguaggio (la stessa osservazione si può fare per i suoni, per la varietà
dei significati che si attribuiscono a un segno, ecc.). Non ci sembra vali-
do neanche l’argomento contrario, addotto da Brøndal (1932: 5), per cui
i tipi di frasi sarebbero generali e non caratteristici di una specifica lin-
gua: in tal modo si afferma soltanto la mirabile universalità e omogeneità
della mente umana, pur nella sua varietà e molteplicità (e non è un pa-
radosso). Ciò significa che la frase è infinitamente variabile e universale
riguardo a ciò che esprime, ma non riguardo al modo in cui lo esprime:
in ciò che ha di linguistico, la frase “appartiene alla langue” tanto quan-
to gli altri fatti linguistici; appartiene cioè alla langue in virtù della sua
struttura ideale e della norma della sua realizzazione. Lo stesso Saussure,
d’altra parte, ritiene che la frase appartenga alla parole solo fino a un
certo punto, perché il sintagma (che può essere parte di una frase o an-
che una frase intera) rimane all’interno della langue (Saussure, op. cit.:
150-151) e si realizza secondo le regole della langue. Gardiner, come
abbiamo visto, riconosce che le funzioni sintattiche si trovano nella lan-
gue allo stato di schemi, strutture, modelli non applicati. Ma gli altri fatti
linguistici hanno forse un altro genere di esistenza nel sistema? I suoni,
i vocaboli, non esistono forse anch’essi come schemi, come strutture
ideali nel medesimo sistema astratto? In che modo, se non come strut-
tura associata e opposta ad altre strutture, esiste nella langue una parola
come il lat. lupus-lupi-lupo-lupum(51) o lo spagn. veo-vemos-veia-viendo,
“vedo-vediamo-vedevo-vedendo”? Se la langue, come dice Gardiner, è
un «sapere», tale sapere include anche gli schemi sintattici che, secondo
noi, non si distinguono essenzialmente dagli schemi delle unità foniche
e significative(52). Possiamo infatti studiare il sistema della sintassi latina
e costruire, oggi, frasi latine che realizzino tale sistema. Si dirà che la
sintassi latina, come la sintassi di qualsiasi lingua, si studia sulla base di
fatti di parole, sulla base cioè di frasi effettivamente documentate. Ma
ciò non accade soltanto con la frase: tutti i fatti di lingua devono essere
stati una volta parole. Così, ad esempio, noi non riconosciamo per il la-
(51)  Cfr. Meillet 1936, pp. 9 sgg. Vedi anche Bally 1950, pp. 289-290.
(52)  Vedi in proposito la relazione presentata da Bohumil Trnka al VI Congresso In-
ternazionale di Linguistica sul problema della definizione della morfologia e della sintas-
si (Actes du Sixième Congrès International de Linguistes, Rapports, Paris 1948, pp. 19-30).
Sistema, norma e parola  97

tino classico una forma *dee, vocativo regolare di deus, semplicemente


perché non la troviamo documentata(53).
Allora, fino a che punto la frase appartiene alla parole? Abbiamo già visto
la risposta implicita di Saussure, il quale attribuisce alla langue i modelli
di sintagmi fissi e tradizionali (Saussure, op. cit.: 150-152), non soltanto le
formule, «i giri di frase che non è possibile improvvisare», ma anche «tutti i
tipi di sintagmi costruiti su forme regolari», le combinazioni corrispondenti
a tipi generali che «hanno [...] il loro supporto nella langue sotto forma di
ricordi concreti». Ma esiste forse nella langue, intendendola come un “patri-
monio idiomatico”, qualcosa che non si basi su ricordi concreti, che non sia
astrazione strutturata sulla base di ricordi concreti? Di astrazione dunque si
tratta (se per astrazione si intende “formalizzazione”, “idealizzazione”) per-
ché, affermando l’esistenza di “tipi generali”, si afferma esattamente il con-
trario della concretezza della lingua (benché, per Saussure, proprio questo
dimostri che in essa «non c’è nulla di astratto»). Infatti, se sul piano concreto
del discorso la frase è l’espressione unitaria e indivisibile del rapporto che si
stabilisce tra un segno e una situazione o tra una serie di segni, da un lato, e
la stessa serie (presa come complesso, come unità) e una situazione, dall’al-
tro, è evidente che, sul piano astratto del sistema, la frase può essere soltanto
modello generale, schema ideale di queste relazioni. La frase, dunque, come
ogni fatto linguistico, appartiene alla langue in quanto struttura, in quanto
forma ideale, e appartiene invece alla parole in quanto realizzazione, uso
concreto, individuale, di una struttura ideale; appartiene esclusivamente alla
parole soltanto quel che è espressione informe, carenza di struttura: l’anaco-
luto, i lapsus, le interruzioni (Vossler 1923: 184-185).
La difficoltà vera, secondo noi, nasce dal fatto che già nel discorso con-
creto la funzione sintattica è una funzione di tipo speciale: una funzione
di rapporto. Può essere espressa mediante morfemi, però non risiede nei
morfemi stessi — i quali in sé si trovano sul piano paradigmatico — ma
nel rapporto (reggenza, concordanza) che si stabilisce tra i segni in virtù
dei morfemi che essi presentano (e tra i morfemi includiamo anche l’or-
dine dei segni), e, contemporaneamente, tra il complesso dei segni e la
situazione. Questo rapporto — l’unico che si trovi sul piano propriamente
sintagmatico — è in sé totalmente immateriale: materialmente può solo
essere caratterizzato dalla sua unità melodica che, appunto per questo, è

(53)  Potremmo postularla, trattandosi di una forma del tutto plausibile dal punto di
vista del sistema; la lingua, però, non è soltanto sistema, ma anche norma e, quando lo
incontriamo nella norma, il vocativo di deus non è dee, ma deus.
98  Sistema, norma e parola

stata ritenuta da alcuni studiosi, e soprattutto da Julio Stenzel, la base per la


definizione della frase (Stenzel 1934, trad. sp.: 67-71; 75-78). Ma se il discor-
so consiste proprio nello stabilire questo rapporto, è evidente che quel che ci
mette in condizione di parlare — il sapere linguistico, il patrimonio idiomatico
— deve contenere non solo i segni isolati (conoscere tutto il vocabolario di una
lingua non significa ancora conoscere la lingua stessa), ma anche il modo di
attualizzarli, di metterli in relazione reciproca e con una situazione (Porzig, op.
cit.: 106-107). E se il sistema linguistico è il sistema astratto delle opposizioni
che si stabiliscono nel discorso concreto e delle funzioni che esse adempiono,
è evidente che bisogna postulare l’esistenza, nel sistema medesimo, di tutte le
funzioni linguistiche: a) le funzioni fonologiche o distintive, che individuano,
separano e distinguono i segni (la f. culminativa, la f. delimitativa e la f. distin-
tiva propriamente detta); b) le funzioni stilistiche o orientatrici, che determina-
no il valore specifico del segno nell’atto verbale, orientandolo verso il parlan-
te, l’ascoltatore o la cosa (f. espressiva, f. appellativa, f. dittica), c) le funzioni
morfologiche, e cioè la funzione classificatrice che classifica il segno come
strumento particolare di conoscenza (categoria verbale o “parte del discorso”)
e la funzione attualizzatrice, che rende il segno idoneo a un uso concreto in
un dato atto verbale (lo introduce cioè in una categoria grammaticale: genere,
numero, caso, tempo, modo, aspetto, persona, ecc.); d) la funzione sintattica o
relazionatrice, che mette i segni in relazione reciproca, li costituisce in unità
espressive e li riferisce a una situazione; e) le funzioni simboliche, e cioè la
funzione rappresentativa, che appartiene in modo immediato al segno come
mezzo di conoscenza, indipendentemente dalla sua attualizzazione e dalle sue
relazioni, e la funzione associativa(54), che, sulla base della forma o del contenu-
to, associa i segni in quanto fattori di conoscenza. Tutte queste funzioni sono
semantiche, riferendosi ai segni e al loro uso. E in questo senso, crediamo,
bisogna intendere la famosa affermazione di Schuchardt (1922: 127): «esiste
una sola grammatica e si chiama semantica o, meglio ancora, scienza della
designazione».

5.5.2. In campo sintattico la distinzione tra norma e sistema si presenta in


primo luogo come distinzione tra i “tipi generali” o “regolari” di costruzione e
le formule fisse di cui parla Saussure: mentre i primi appartengono al sistema,
le seconde rappresentano realizzazioni tradizionali di schemi contenuti nel si-
stema stesso: sono cioè fatti di norma.

(54)  Non la si confonda con la f. associativa della fonologia, che è soltanto una fun-
zione distintiva secondaria.
Sistema, norma e parola  99

In secondo luogo, anche in questo caso, tra le varianti di uno schema sintat-
tico permesse dal sistema, una può essere considerata la realizzazione normale
nella lingua data, mentre le altre o sono anormali o diventano normali soltan-
to in una determinata convenzione stilistica. Così, ad esempio, in spagnolo è
normale la frase se me ha dado, ma non lo è la frase me se ha dado, che man-
tiene tuttavia tutte le distinzioni richieste dal sistema e che invece è normale
in italiano (“mi si è dato”). In spagnolo bisogna dire no voy más, e così pure
in italiano (“non vado più”), mentre in rumeno si dice nu mai merg (“non più
vado”) e in tedesco ich gehe nicht mehr (“io vado non più”); questo significa
che, ancora una volta, le realizzazioni normali caratterizzano una lingua assai
al di là delle opposizioni funzionali. Allo stesso modo è vero che in latino il
sistema permetteva, per dire “Pietro ama Paolo”, una qualsiasi espressione tra
quelle che seguono: Petrus Paulum amat, Paulum Petrus amat, Petrus amat
Paulum, Paulum amat Petrus, Amat Petrus Paulum, Amat Paulum Petrus.
Ma è anche vero che la prima era la costruzione normale, mentre le altre o non
erano normali o avevano valori stilistici particolari: l’ordine delle parole nella
frase latina era molto meno arbitrario e facoltativo di quanto dicano i nostri
manuali. Anche in campo sintattico, infine, due varianti, intercambiabili dal
punto di vista del sistema, possono opporsi nella norma. Così, ad esempio, il
sistema dello spagnolo permette, in determinati casi, la costruzione del com-
plemento oggetto personale con la preposizione o senza; ma è evidente che,
nella norma, querer a un criado, “amare un servo”, si oppone nettamente a
querer un criado, “volere un servo” (Vossler 1941: 68). Si confronti, nello
stesso senso, il significativo esempio francese studiato da Bally (1935: 9-15):
croire en Dieu-croire au diable.

5.6. Le difficoltà maggiori sulla distinzione tra norma e sistema si incontra-


no tuttavia nel lessico propriamente detto, cioè nel campo in cui si attuano le
funzioni che chiamiamo rappresentativa e associativa. Si tratta però di diffi-
coltà dovute non a questa distinzione in sé, ma all’enorme complessità e all’in-
finita varietà delle opposizioni che si stabiliscono in questo campo e che ren-
dono così arduo lo studio sistematico del vocabolario. Infatti, nonostante gli
enormi sforzi compiuti, anche i grandi monumenti lessicografici rimangono in
massima parte semplici repertori, in cui le parole risultano essere entità isolate
e non elementi di un sistema, organicamente opposti ed associati. Anche in
questo campo sarà forse possibile distinguere le opposizioni fondamentali e
ridurle a tipi costanti (abbandonando naturalmente l’arbitrario ordine alfabeti-
co), ma il loro numero risulterà senza dubbio molto più elevato di quello delle
100  Sistema, norma e parola

opposizioni constatate nel campo fonico, nella morfologia, nella formazione


delle parole e nella sintassi.

5.6.1. Ora, nel lessico corrisponde al sistema la particolare classificazione


concettuale del mondo che ogni lingua rappresenta (funzione rappresentativa),
nonché il modo peculiare in cui tale classificazione si realizza formalmente in
ogni idioma, sia nel momento della creazione del segno che nella sua ripetizio-
ne (funzione associativa). Si consideri, ad esempio, il caso del persiano khor-
dăn, cui corrispondono in spagnolo due verbi, comer, “mangiare”, e beber,
“bere” (e al nostro comer corrispondono in tedesco essen e fressen, adoperati
rispettivamente per gli esseri umani e per gli animali, e in tamanaco, lingua
indigena del Brasile, jucurú, jemeri, janeri, rispettivamente “mangiare pane”,
“mangiare frutta o miele”, “mangiare carne” (Pagliaro 1950: 89), o il caso del
latino esse, cui corrispondono in spagnolo ser ed estar (e anche existir, “esi-
stere”, hallarse, “trovarsi”, haber, “avere”). Sono differenze di sistema, diffe-
renze dal punto di vista della rappresentazione, nelle quali si imbatte chiunque
abbia consultato qualche volta un dizionario bilingue o tradotto da una lingua
in un’altra. Quanto alle differenze sistematiche associative, si osservi che per i
latini il termine luna (luna <*lucsna < *loucsna) significa in origine “la splen-
dente”, essendo in relazione con luceo, mentre per i greci (mέiV, mὴn) stava in
relazione — come per gli slavi — con l’idea di “misurare (il tempo)”; o che a
nomi come l’ingl. bat, it. “pipistrello”, fr. chauve-souris, sp. murciélago cor-
rispondono associazioni diverse nei rispettivi idiomi; la stessa cosa si verifica
anche in esempi banali: lo sp. sobretodo (“soprattutto”, ingl. overall, di cui è la
traduzione) rispetto all’it. “soprabito”, fr. par-dessus o lo sp. agujero, “buco”,
che sta in relazione con aguja, “ago”, ma non con il fr. trou, it. “buco” oppure
lo sp. tenedor, “forchetta” in relazione con tener, “tenere”, mentre l’it. “for-
chetta” e il fr. fourchette stanno in relazione con “forca”, fourche, ecc.

5.6.2. Anche per quanto riguarda la norma — ossia la realizzazione norma-


le del sistema — si constata che, tra le varianti ammesse dal sistema, tanto dal
punto di vista del significato quanto dal punto di vista formale, una in genere
è la variante normale, mentre le altre o risultano anormali o hanno un valore
stilistico determinato. Così, è evidente che nei casi più comuni come brazo,
“braccio”, arbol, “albero”, casa, “casa”, mar, “mare”, un determinato signifi-
cato è “nucleare” o principale, mentre gli altri, all’interno della sfera di possi-
bili significati di questi nomi, sono “laterali”; come è anche evidente che, tra
perro, “cane”, e can, “cane”, la prima è la variante normale in spagnolo. Ma
Sistema, norma e parola  101

il fatto che esistano i significati “laterali” o secondari (permessi dal sistema,


ma non comuni né complementari né fissati in determinati usi tradizionali nel-
la norma) spiega il meccanismo di molti mutamenti semantici (Pisani 1947:
158 e sgg.): appunto in virtù dei significati “laterali”, le sfere significative dei
vari segni si sovrappongono ed entrano in rapporto (cfr. ad esempio cándido,
“bianco” → “senza macchia” → “senza colpa” → inocente e quindi cándido:
“innocente, puro, ingenuo”)(55).
Anche qui si riscontra l’opposizione, nella norma, di varianti che corri-
spondono a un’unica invariante del sistema. L’esempio più chiaro, in questo
senso, è quello dei sinonimi, il cui uso non è quasi mai indifferente nella norma
(perciò si dice che nella lingua non ci sono sinonimi): terco, “caparbio”, infatti,
non è lo stesso che obstinato, ligar, “legare”, non è lo stesso che atar, “anno-
dare”, permanecer, “rimanere”, non è esattamente quedar, “restare”, tomo non
ha gli stessi stessi usi di volumen. Analogamente, si dice perro rastrero, “cane
da ferma”, e non can rastrero, mentre in astronomia si dice Can mayor, “Cane
maggiore” e non Perro mayor. Anche queste opposizioni nella norma caratte-
rizzano le lingue, come dimostra benissimo la traduzione. Così, ad esempio,
è rilevante, e meriterebbe uno studio particolare, il caso delle coppie di verbi
spagnoli, derivati rispettivamente dall’infinito e dal supino del latino, ai qua-
li corrisponde sempre, in francese e in italiano, un unico verbo (cfr. concur-
rir-concursar, diferir-dilatar, transferir-trasladar per il fr. concourir, différer,
transférer o l’it. “concorrere”, “differire”, “trasferire”).
Parimenti, è evidente che non tutte le associazioni possibili nel sistema,
dal lato del contenuto o da quello della forma (Saussure, op. cit.: 152-153),
esistono anche nella norma. Pensiamo all’attività creatrice nel linguaggio, e
in particolare al lavoro poetico, che consiste in gran parte nello scoprire ogni
volta nuove associazioni significative (immagini) o formali (rima, assonan-
za, allitterazione, armonia imitativa, ecc.) possibili nel sistema (cioè esisten-
ti virtualmente), ma inedite nella norma. Esempi interessanti in questo senso
sono offerti dai termini simili e dagli antonimi, che non hanno nella norma usi
analoghi o esattamente contrari, come sarebbe possibile dal punto di vista del
sistema; così una sala dove si mangia si chiama comedor, ma una sala dove si
beve non si chiama bebedor; a origen oscuro, “origine oscura”, corrisponde
origen ilustre, “origine illustre”, più che origen claro, “origine chiara”. I con-
trari normali di implacable, imperturbable, impasible non sono placable, per-

(55)  Nella nostra analisi della lingua di Ion Barbu avevamo indicato una serie di cam-
biamenti semantici di questo tipo effettuati dal poeta: cambiamenti legittimi e intellegibili
dal punto di vista del sistema, ma insoliti dal punto di vista della norma. Cfr. Coseriu 1949.
102  Sistema, norma e parola

turbable, pasible; il contrario di una muchacha imposible, “una ragazza im-


possibile”, non è una muchacha posible, “una ragazza possibile”; a un hombre
bien, “un uomo perbene”, non corrisponde un hombre mal e a una domanda
come Vamos?, “Andiamo?” si può rispondere Bien “Bene” (sì), ma non Mal,
“Male” (no).
Viceversa, al pan blanco, “pane bianco”, si oppone il pan negro, “pane
nero”, che non è nero, e ad agua salada, “acqua salata”, l’agua dulce, l’“ac-
qua dolce”, che semplicemente è non salata (Pisani, op. cit.: 178). Si tratta
sempre di opposizioni nella norma, che sono caratteristiche degli idiomi cui
appartengono; così il nostro vino tinto è rosso in italiano (vino rosso) e nero in
serbo-croato (crno vino).

5.7. Ne risulta dunque che in tutti i campi, in tutte le funzioni rinvenibili


nel linguaggio, è possibile e necessario, per ottenere una più profonda com-
prensione dei fatti linguistici, distinguere due aspetti: la norma e il sistema; si
è visto che, accanto al sistema funzionale, occorre distinguere la realizzazione
normale, ossia un grado inferiore di astrazione, che è anch’esso tipico delle
lingue. Infatti, se è vero che al sistema fonologico di una lingua corrisponde,
grosso modo, quella che Sweet chiamava broad transcription (trascrizione fo-
netica larga), è indubitabile che essa non esaurisce la descrizione fonica della
lingua, la quale presenta sempre — come caratteristiche generali, e non acces-
sorie e sporadiche — anche fatti constatabili soltanto in una narrow transcrip-
tion (trascrizione stretta). Si può notare inoltre che le forme ideali attribuite al
sistema si realizzano nello stesso modo anche quando non hanno valore fun-
zionale (in una lingua come il latino, ad esempio, i casi desinenziali persistono
anche laddove la funzione è già indicata a sufficienza dalle preposizioni). Va
osservato poi: I) che le varianti facoltative di realizzazione non sono tali dal
punto di vista della norma, la quale esige realizzazioni determinate; II) che le
varianti combinatorie normali, anche nel campo fonico (dove hanno apparen-
temente aspetto di “necessità” fisica e organica) sono molto lontane dall’essere
identiche nelle varie lingue; e infine III) che nel campo della norma nascono
opposizioni secondarie “obbligatorie”, le quali, pur non corrispondendo a op-
posizioni funzionali del sistema, costituiscono però tratti generali e indispen-
sabili della lingua considerata.
La norma può apparentemente coincidere con il sistema (quando il sistema
offre un’unica possibilità), così come la realizzazione individuale può coin-
cidere con la norma, ma ciò non significa che i due concetti, riferibili a piani
diversi di astrazione, non vadano distinti. La differenza diventa però evidente
Sistema, norma e parola  103

soprattutto laddove il sistema ammette una serie di varianti di realizzazione in


apparenza facoltative, come nel caso delle vocali e ed o in spagnolo, del plu-
rale dei nomi femminili in rumeno o della duplicazione e ripetizione media-
ta, fenomeni che hanno grande importanza nella struttura delle lingue turche
(Deny 1949).
Chiariamo inoltre che non si tratta della norma nel senso corrente del termi-
ne, fissata o imposta secondo criteri di correttezza o di valutazione soggettiva
di ciò che viene espresso, bensì della norma constatabile obiettivamente in una
lingua, la norma che seguiamo necessariamente se vogliamo esser membri di
una comunità linguistica, e non quella con la quale si riconosce, nella stessa
comunità, se “parliamo bene” o in modo esemplare. Constatando questo tipo
di norma, constatiamo come si dice e non come si deve dire: i concetti che,
a riguardo, si oppongono fra loro sono normale e anormale, non corretto e
scorretto. Il fatto che le due norme possano coincidere qui non ci interessa.
Occorre segnalare però che molto spesso ciò non accade: la “norma normale”,
infatti, precede la “norma corretta” perché è sempre anteriore alla sua propria
codificazione.

6. Abbozzo di una teoria coerente del discorso e della sua formalizzazione

Proviamo ora a situare i concetti individuati in una visione coerente e uni-


taria del linguaggio come attività creatrice.

6.1. Nel linguaggio come attività — includendo i fattori che lo condizio-


nano necessariamente, ma escludendo l’aspetto puramente fisico-fisiologico
e, al momento, anche le determinazioni sociali — distinguiamo anzitutto un
aspetto psichico (linguaggio virtuale) e un aspetto propriamente linguistico
(linguaggio attuale, linguaggio realizzato).
Nell’aspetto psichico, anteriore all’atto linguistico concretamente registra-
bile, distinguiamo il sapere che è condizione del discorso, vale a dire il pa-
trimonio linguistico (Sprachbesitz), e l’impulso espressivo, ossia l’intuizione
particolare che esige l’espressione concreta, materiale (cfr. la parole di Se-
chehaye, Devoto, Brøndal). Quest’ultimo non è in sé un concetto propriamente
linguistico — anche se interessa la linguistica e diventa un concetto tramite la
linguistica — ma psicologico: appartiene alla psicologia, non solo del linguag-
gio, ma dell’espressione in genere. Alla psicologia del linguaggio appartiene
invece lo Sprachbesitz, che è sempre sociale e individuale a un tempo (costi-
GJBD>J<KK<MOD@I@<GG<KND>JGJBD<
IJINJGJ?@GGDIBP<BBDJ
H<?@GG@
NKM@NNDJI@DIB@I@M@ GG<KND>JGJBD<?@GGDIBP<BBDJ<KK<MOD@I@DIQ@>@
104  Sistema, norma e parola
GJ'>@/1603A7BH
>C@]N@HKM@NJ>D<G@@DI?DQD?P<G@<PIO@HKJ>JNOD
OP@I?JNDI@GGDI?DQD?PJNPGG<=<N@?@GMD>JM?J?@BGD<OODGDIBPDNOD>DQDN
NPODI@GG<>JHPIDOX
ND<>JH@GJ>POJM@ND<>JH@P?DOJM@@>C@KPd@N
tuendosi nell’individuo sulla base del ricordo degli atti linguistici sperimentati
nella comunità, siaDI
N@M@ >JINO<O<OJ PI DI?DQD?PJ
come locutore sia'>@/1603A7BH
come uditore) 7<27D72C/:3

e che può essere >AM constata-
DG N@
>JI?J >JI>@OOJ ?D :/<5C3 DI -JMUDB J DI PI BMPKKJ
to in un individuo (Sprachbesitz individuale, cfr. il secondo concetto di langue ?D DI?DQD?PD
in'>@/1603A7BHA=17/:3 )J'>@/1603A7BHA=17/:3KPd@NN@M@>JIND?@M<
Porzig) o in un gruppo di individui (Sprachbesitz sociale). Lo Sprachbesitz
OJG<NJHH<?@DK<OMDHJIDGDIBPDNOD>DDI?DQD?P<GDJ
H@BGDJ
DGNDNO@H<
sociale può essere considerato la somma dei patrimoni linguistici individuali
?@BGD <NK@OOD >JHPID >JINO<O<=DGD DI O<GD K<OMDHJID >AM  G< :/<5C3 NJ
o, meglio, il sistema degli aspetti comuni constatabili in tali patrimoni (cfr. la
>D<G@>C@KM@>@?@G<K<MJG@7<27D72C/:3I@GG<>JI>@UDJI@?D0<PNNPM@

langue sociale che precede la parole individuale nella concezione di Saussure,
$<M?DI@M
-JMUDB@<I>C@'@NK@MN@I
 
Gardiner, Porzig e anche Jespersen, 3).
NP<QJGO<DG?DN>JMNJ>JI>M@OJKPd@NN@M@>JIND?@M<OJ
I@GG<NP<
A sua volta il discorso concreto può essere considerato, nella sua realtà
M@<GOXDHH@?D<O<
>JH@<OOJGDIBPDNOD>JJ>JH@NJHH<?D<OODGDIBPD
immediata, come>AM 
NOD>D M@BDNOM<OD atto G<
linguistico
>/@=:3 @oG<
come somma
GDIBP< di atti linguistici
?D -@IOODGY
 G< >/@=:3registrati
?@GG<
(cfr. la parole e la lingua di Penttilä, la parole della formula i + i + i... di Saus-
AJMHPG<     ?D0<PNNPM@
DGtKMJ?JOOJGDIBPDNOD>Ju?DhCG@M
DG
sure,
KMDHJil “prodotto
>JI>@OOJlinguistico” di Bühler,
?D :/<5C3 ?D -JMUDBil primo
>CD<H@M@HJ di langue
concettoO<G@ NJHH< di ;/B3
Porzig);
chiameremo tale somma materiale linguistico. Sulla base degli
@7/:3:7<5C7AB71= 0PGG<=<N@?@BGD<OODGDIBPDNOD>D>JI>M@ODND>JNODOPDN>@ atti linguistici
concreti si costituisce
>JH@ <NOM<UDJI@ come
>AM  astrazione-<PG

%PH=JG?O
 (cfr. Humboldt,
'@NK@MN@I
Paul, Jespersen,
MJ>@
 Croce,
@MOJID J
Bertoni) o come sistema di isoglosse (aspetti comuni constatati negli atti con-
>JH@NDNO@H<?DDNJBGJNN@<NK@OOD>JHPID>JINO<O<ODI@BGD<OOD>JIND
siderati) l’oggetto ideale langue, di cui Vittore Pisani (1939) ha offerto a nostro
?@M<ODGJBB@OOJD?@<G@:/<5C3
?D>PD3DOOJM@-DN<IDC<JAA@MOJ
avviso la formulazione
< IJNOMJ concettuale più
<QQDNJ G< AJMHPG<UDJI@ chiara e coerente
>JI>@OOP<G@ in questa
KDg >CD<M< direzione.
@ >J@M@IO@ DI
SeLP@NO<?DM@UDJI@ 0@I@MD><Q<GJN>C@H<
ne ricava lo schema:

7<5C/557=D7@BC/:3    7<5C/557=@3/:7FF/B=
/A>3BB=>A71671=    /A>3BB=:7<5C7AB71=

     
/;;/AA=:7<5A=17/:3 /BB=:7<5C7AB71=


 /;;/AA=:7<57<27D72C/:3
     ;/B3@7/:3:7<5C7AB71=


7;>C:A=3A>@3AA7D=  :7<5C/A7AB3;/277A=5:=AA3
      


&GO@MHDI@:7<5C/557=?@NDBI<?PILP@PI>JI>@OOJ>C@
K@MIJD
NDD?@IOD
Il termine linguaggio designa dunque un concetto che, per noi, si
AD><>JIDG?DN>JMNJ>JI>M@OJ
>DJ]>JIG<OODQDOXGDIBPDNOD><
KJD>C]G<NK@OOJ
identifica con il discorso concreto, cioè con l’attività linguistica, poiché
KND>CD>J>C@>JHK<M@I@GGJN>C@H<]PIGDIBP<BBDJtQDMOP<G@u
JNND<?<PI
l’aspetto psichico che compare nello schema è un linguaggio “virtuale”,
ossia da un lato ricordo stratificato, generalizzato e formalizzato di atti
linguistici reali, dall’altro condizione e possibilità di un nuovo discorso
concreto. Ma non vediamo alcun ostacolo all’uso del linguaggio come
termine generale per indicare il complesso di concetti discorso-patrimo-
Sistema, norma e parola  105

nio linguistico-lingua, purché si tenga sempre presente che si tratta in ulti-


ma analisi dello stesso fenomeno considerato da tre punti di vista distinti:
1) nella sua realtà concreta; 2) nella sua virtualità e come condizione,
come “sostrato” del discorso concreto; 3) come astrazione che si struttura
sulla base degli atti linguistici concreti; e si tenga presente inoltre che è
possibile constatare la lingua soltanto nel discorso(56).
Ora, adottando il punto di vista di un atto linguistico concreto, possiamo
prendere in esame una lingua che comprenda in un’isoglossa questo stesso
atto; ma possiamo anche considerare una “lingua anteriore”, un sistema sta-
bilito nella stessa comunità, sulla base degli atti linguistici precedenti l’atto
in esame: possiamo cioè considerare il sistema in cui si trovano i modelli di
quest’atto o il sistema in cui l’atto si presenta come innovazione. Il concetto
di “lingua anteriore” è importante perché corrisponde appunto a una realtà
storica continuata dal nuovo atto in questione, al quadro in cui una nuova intu-
izione individuale e inedita si realizza come discorso. È un concetto linguistico
perché si costituisce da un punto di vista strettamente linguistico, ma, per il
suo contenuto, coincide praticamente (almeno in gran parte) con l’individuo
o il gruppo di individui considerati, con il concetto psicologico o socio-psi-
cologico di “sapere” o di “patrimonio linguistico”. Anche in questo caso si
tratta di modi diversi di affrontare gli stessi oggetti, più che di oggetti diversi:
da un lato, si elabora una generalizzazione sulla base di fenomeni concreti;
dall’altro, si considera la stessa generalizzazione come sapere depositato nella
memoria di uno o più individui. Ma, per questa stessa ragione, il concetto
di “patrimonio linguistico” risulta esterno alla linguistica, che struttura le sue
astrazioni esclusivamente sulla base di fatti concretamente registrati e non su
virtualità o complessi di rappresentazione non indagabili con mezzi linguistici.

6.2. I concetti di norma e sistema devono essere elaborati, secondo noi,


sempre sulla base del discorso concreto, unica realtà indagabile del linguag-
gio, mediante una visione retrospettiva che tenga conto delle relazioni tra
gli atti linguistici considerati e i loro modelli. Infatti gli atti linguistici, corri-
spondendo a intuizioni inedite, sono atti di creazione inedita, ma ad un tempo
— per la natura essenziale stessa del linguaggio, che è la comunicazione —
sono atti di ri-creazione; non sono invenzioni ex novo e totalmente arbitrarie
(56)  Va segnalato, tuttavia, che è possibile distinguere in questo senso lingua e lin-
guaggio in italiano, come anche in francese (langue-langage), in spagnolo (lengua-len-
guaje), in portoghese (lingua-linguagem) o in romeno (limbă-limbaj), mentre non è pos-
sibile farlo così nettamente in inglese o in tedesco, dove un unico termine (language,
Sprache) corrisponde a entrambi i concetti.
106  Sistema, norma e parola

dell’individuo parlante, ma si strutturano su modelli precedenti, che i nuovi


atti contengono e insieme superano. Ciò significa che il parlante utilizza, per
l’espressione delle sue intuizioni inedite, modelli, forme ideali che trova in
quel che chiamiamo “lingua anteriore” (sistema precedente di atti linguisti-
ci). L’individuo, cioè, crea la sua espressione in una lingua, parla una lingua,
realizza concretamente nel suo discorso modelli, strutture della lingua della
sua comunità. In un primo grado di formalizzazione, queste strutture sono
semplicemente normali e tradizionali nella comunità, costituiscono ciò che
chiamiamo norma; ma, su un piano di astrazione più alto, si distaccano da
esse una serie di elementi funzionali e indispensabili, che chiamiamo siste-
ma. Norma e sistema, però, non sono concetti arbitrari che applichiamo al
discorso, ma forme che si manifestano nel discorso stesso. E il cammino che
conduce a essi è il cammino che parte dal discorso concreto e procede per
mezzo di astrazioni successive, mettendo in relazione il discorso, gli atti lin-
guistici concreti, con i loro modelli, cioè con un discorso precedente, costitu-
ito, attraverso un altro processo di formalizzazione, in sistema di isoglosse.
Il sistema e la norma non sono cioè realtà autonome e opposte al discorso e
neanche “aspetti del discorso”, il quale è una realtà unitaria e omogenea, ma
forme constatate nel discorso stesso, astrazioni elaborate sulla base dell’atti-
 /530%6;*0/&
vità concreta in relazione ai modelli che essa utilizza.

6.2.1. Lo schema che segue illustra la nostra concezione:
   )JN>C@H<>C@N@BP@DGGPNOM<G<IJNOM<>JI>@UDJI@














&G LP<?M<OJ KDg BM<I?@  M<KKM@N@IO< DG 27A1=@A= @AA@OODQ<H@IO@
Il quadrato più grande A-B-C-D rappresenta il discorso effettivamente
>JINO<O<OJE7@9:7163A'>@3163<
3A>@M16
>DJ]BGD<OODGDIBPDNOD>D>JI>M@
constatato (wirkliches Sprechen, Gespräch), cioè gli atti linguistici concre-
O<H@IO@M@BDNOM<ODI@GHJH@IOJNO@NNJ?@GG<GJMJKMJ?PUDJI@ 
&GLP<?M<OJDIO@MH@?DJ/012M<KKM@N@IO<DGKMDHJBM<?J?D<NOM<UDJI@

JNND< G< <=@;/ '>@/16<=@;
 >C@ >JIOD@I@ NJGO<IOJ >Dd >C@
 I@G ?DN>JMNJ
>JI>M@OJ
]@7>3B7H7=<327;=23::7>@31323<B7 .P@NOJNDBIDAD><>C@DGKMJ>@N
NJ?D<NOM<UDJI@>JHKDPOJK<NN<I?J?<<?/012DHKGD><G@GDHD
Sistema, norma e parola  107

tamente registrati nel momento stesso della loro produzione.


Il quadrato intermedio a-b-c-d rappresenta il primo grado di astrazione,
ossia la norma (Sprachnorm), che contiene soltanto ciò che, nel discorso con-
creto, è ripetizione di modelli precedenti. Questo significa che il processo di
astrazione compiuto passando da A-B-C-D ad a-b-c-d implica l’eliminazio-
ne di tutto quel che nel discorso si presenta come totalmente inedito, come
variante individuale, occasionale o momentanea: si conservano soltanto gli
aspetti comuni costanti negli atti linguistici in questione e nei loro modelli.
Il quadrato più piccolo a’-b’-c’-d’ rappresenta il secondo grado di astra-
zione o formalizzazione, cioè il sistema (Sprachsystem), il quale contiene
soltanto ciò che nella norma è forma indispensabile, opposizione funzio-
nale, eliminando dal nuovo processo di astrazione tutto ciò che nella nor-
ma è semplice abitudine, tradizione costante, elemento comune a tutti i
discorsi della comunità considerata, ma senza valore funzionale; ossia, in
ultima analisi, quel che è una sorta di “accompagnamento”, sempre pre-
sente nel discorso, ma inessenziale per le opposizioni significative fonda-
mentali che ne assicurano il funzionamento in quanto strumento di cono-
scenza e comunicazione. Passando dalla norma al sistema, cioè, si elimina
tutto ciò che è “variante facoltativa” normale o “variante combinatoria”, e
si conserva soltanto ciò che è “funzionalmente pertinente”.
Fissando il concetto di norma, si effettua dunque una doppia astrazione,
perché, da un lato, si elimina tutto quel che è puramente soggettivo, origi-
nalità espressiva dell’individuo (in generale e nello specifico) e, dall’altro,
si astrae una norma unica, generale nelle comunità: la norma varia infatti
a seconda dei confini e della natura della comunità in esame. Se si consi-
derano gli atti linguistici di un solo individuo, inoltre, bisogna introdurre
nello schema, tra il confine del discorso e quello della norma sociale, un
campo intermedio corrispondente alla norma individuale, un campo cioè
che includa tutto ciò che è ripetizione, elemento costante nel discorso di
uno stesso individuo, eliminando soltanto quel che è puramente occasiona-
le e momentaneo, quel che, dal punto di vista dell’individuo considerato, è
originalità espressiva assoluta, elemento totalmente inedito.
Se identifichiamo il discorso con la parole (Rede), tutto il linguaggio,
considerato come attività concreta, è parole; ma, in un senso ristretto,
possiamo chiamare fatti di parole quanto viene eliminato con l’astrazione
compiuta passando dagli atti linguistici concreti alla norma individuale, e
rispettivamente fatti di norma individuale e fatti di norma sociale quel che
viene eliminato nelle due successive formalizzazioni.
108  Sistema, norma e parola

6.2.2. Situandoci a livello degli atti linguistici concreti, diremo che il


discorso contiene tutti questi fatti e, in più, il sistema, la norma individuale
e la norma sociale, che non sono che gradi diversi di formalizzazione del
discorso stesso; analogamente, la norma individuale contiene la norma
sociale e il sistema e la norma sociale contiene il sistema.
Situandoci invece a livello del sistema, possiamo considerare le due
norme e il discorso concreto gradi successivi della sua realizzazione. Il
sistema si presenta infatti, da questo punto di vista, come un’entità astrat-
ta, una “rete di funzioni” che si realizza in forme sociali determinate e più
o meno costanti, che costituiscono un sistema di realizzazioni normali,
anch’esso astratto (norma), il quale a sua volta si realizza in norme indi-
viduali, nello stesso modo in cui esse si realizzano nell’infinita varietà e
molteplicità dell’attività linguistica concreta. E poiché i concetti di nor-
ma sociale e norma individuale non sono necessariamente in progressione
(possiamo infatti fin dall’inizio prendere in considerazione atti linguistici
di vari individui), si può dire che il sistema è un complesso di opposizio-
ni funzionali; la norma è la realizzazione “collettiva” del sistema: essa
contiene il sistema medesimo e, in più, gli elementi funzionalmente “non
pertinenti” e tuttavia normali nel discorso di una comunità; il discorso (o,
se si vuole, la parole) è la realizzazione individuale-concreta della norma:
contiene la norma medesima e, in più, l’originalità espressiva degli indi-
vidui parlanti.

6.2.3. Il sistema è un sistema di possibilità, di coordinate che indicano


vie aperte e vie chiuse: può essere considerato un complesso di “imposi-
zioni”, ma anche, e forse meglio, un complesso di libertà, che ammette
infinite realizzazioni ed esige soltanto che non si intacchino le condizioni
funzionali dello strumento linguistico: la sua natura è consultiva più che
“imperativa”. Se ci è permessa un’analogia, il sistema non si impone al
parlante più di quanto la tela e i colori si impongano al pittore: il pittore
non può, dipingendo, uscir fuori dalla tela e usare colori che non ha; ma,
entro i limiti della tela e nei colori che possiede, la sua libertà espressiva
è assoluta. Diremmo dunque che il sistema, più che imporsi all’individuo,
gli si offre, fornendogli i mezzi per la sua espressione, che è inedita ma
nello stesso tempo comprensibile per coloro che usano lo stesso sistema.
In realtà, a imporsi all’individuo, limitandone la libertà espressiva e
comprimendo le possibilità offerte dal sistema nella cornice fissata dalle
realizzazioni tradizionali, è la norma. La norma, infatti, è un sistema di re-
Sistema, norma e parola  109

alizzazioni obbligatorie, di imposizioni sociali e culturali, e varia a secon-


da delle comunità. All’interno di una stessa comunità linguistica e nazio-
nale e di uno stesso sistema funzionale è possibile constatare varie norme
(linguaggio familiare, linguaggio popolare, lingua letteraria, linguaggio
elevato, linguaggio ordinario, ecc.), diverse soprattutto per il vocabolario,
ma spesso anche nelle forme grammaticali e nella pronuncia: lo svedese
ha una pronuncia letteraria ed elevata e una usuale e corrente; e nel Rio
della Plata c’è perfino chi considera ancora come norma del parlare elevato
(discorsi solenni, lezioni universitarie, ecc.) la pronuncia castigliana di ce,
ci, z, ll, y.
Il sistema, invece, pur costituendo la forma ideale raggiunta dall’attività
linguistica di una comunità nel corso della sua storia, è in qualche misura
autonomo (cfr. Saussure, Bally) e separato dal suo uso: ad essere impie-
gato nel discorso, infatti, non è propriamente e direttamente il sistema, ma
forme ogni volta nuove che nel sistema trovano soltanto la loro condizio-
ne, il loro modello ideale.
Il lavoro cognitivo dell’individuo parlante consiste appunto nell’appli-
cazione originale del sistema, all’interno e fuori da ciò che è permesso
dalla norma, e il lavoro cognitivo di una comunità si manifesta nella nor-
ma stessa, mentre il sistema è qualcosa di simile al luogo in cui prendono
campo la norma e il discorso concreto.
Nella sua attività linguistica l’individuo può conoscere la norma o no e
avere una maggiore o minore consapevolezza del sistema. Se non conosce
la norma, si fa guidare dal sistema e può condividere o no la norma (crea-
zione analogica); se la conosce, può ripeterla entro limiti più o meno mo-
desti di espressività o rifiutarla deliberatamente e andare oltre, sfruttando
le possibilità messe a disposizione dal sistema. I grandi creatori di lingua
—Dante, Quevedo, Cervantes, Góngora, Shakespeare, Puškin — violano
coscientemente la norma (che è qualcosa di simile al “gusto dell’epoca”
nelle arti) e, soprattutto, utilizzano e realizzano nel più alto grado il siste-
ma; non è un paradosso né una frase fatta dire che un grande poeta “ha
utilizzato tutte le possibilità che la lingua gli offriva”. In questo senso pos-
siamo ripetere con Humboldt e Croce che, in realtà, non impariamo una
lingua, ma impariamo a creare in una lingua, cioè impariamo le norme che
guidano la creazione in una lingua, impariamo a conoscere le direttrici, le
frecce indicatrici del sistema e gli elementi che il sistema ci fornisce come
modelli per le nostre espressioni inedite.
110  Sistema, norma e parola

6.3. Nella differenza stabilita tra sistema e norma abbiamo sempre mante-
nuto il rapporto con il discorso concreto, con la sostanza fonica del linguag-
gio presente in qualche modo perfino nelle funzioni più direttamente formali,
quelle sintattiche per esempio. È tuttavia possibile giungere a un’astrazione
che vada al di là del sistema, ignorando totalmente la sostanza fonica: un’a-
strazione che potremmo chiamare, con un termine hjelmsleviano, schema:
nello schema rimarrebbero soltanto le funzioni pure, le relazioni algebriche tra
“quantità vuote”; ci disinteresseremmo del tutto del modo in cui tali funzioni si
manifestano fonematicamente e morfematicamente, cioè degli elementi fonici
che la lingua in questione utilizza per esprimere le opposizioni costituenti il
suo sistema. Non ignoriamo l’importanza teorica che questo concetto può ave-
re, anche per una comprensione più intima dei fenomeni linguistici generali.
Ma è molto probabile che la sincronia pura e integrale ci porti completamente
fuori dalla storia e così anche fuori dal campo del linguaggio (e della linguisti-
ca), trasformando la nostra ricerca in uno studio della “mentalità dei popoli”,
di una “forma interna” logica più che glottologica. L’astrazione non ha forse
ragion d’essere nella linguistica storica, che non può ignorare né la sostanza
fonica né il rapporto tra i segni linguistici e le cose designate. Servirebbe inve-
ce nella cosiddetta “grammatica generale” e nella comparazione strutturale tra
le lingue, dato che i suoi modelli possono essere applicati a più di una lingua
(così una grammatica schematica dell’ungherese coinciderebbe in gran parte
con una grammatica schematica turca e una grammatica rumena in molti punti
con una grammatica albanese).

6.3.1. Ma, mettendo da parte il concetto di schema, come si possono


risolvere, alla luce delle differenze stabilite, le difficoltà dell’opposizione
tra langue e parole? Ci sembra che la distinzione tra sistema, norma e di-
scorso le risolva in toto, rendendo evidente la convenzionalità dei criteri
sui quali si basa questa tanto discussa opposizione.
Abbiamo infatti quattro concetti fondamentali: 1) sistema — 2) norma
— 3) norma individuale — 4) discorso concreto. Ai passaggi tra i vari
piani di astrazione corrispondono, inoltre, tre concetti secondari: a) fatti
di parole; b) fatti di norma individuale; c) fatti di norma sociale. Di con-
seguenza:
1) Se l’opposizione langue/parole si stabilisce tra sistema e realizza-
zione, la langue include soltanto il sistema e la parole tutti gli altri concet-
ti, abbracciando così vari gradi di astrazione (norme sociali e individuali)
e il piano concreto del discorso.
Sistema, norma e parola  111

2) Se l’opposizione riguarda concreto e astratto, la parole coincide con


il discorso, e la langue include tutti gli altri concetti principali, abbrac-
ciando vari gradi di astrazione (norme e sistema), che però si manifestano
concretamente nel discorso.
3) Se l’opposizione è tra sociale e individuale, la langue include il si-
stema e la norma e la parole abbraccia la norma individuale e il discorso
concreto, contenendo però anche gli altri due concetti.
4) Se l’opposizione è tra novità o originalità espressiva e ripetizione,
la parole include esclusivamente i fatti di parole (a) e la langue tutti gli
altri concetti, inclusi gli aspetti sistematici e normali del discorso(57).

6.3.2. Tutto ciò, se da un lato chiarisce le divergenze tra i vari concetti


di langue, dall’altro ci consiglia di evitare (o almeno di adoperare con
circospezione), nell’analisi del discorso, un termine così ambiguo e che si
presta a tanta confusione. Infatti il concetto di langue trova giustificazione
non nella visione retrospettiva dall’atto linguistico e nella sua formalizza-
zione “in profondità”, ma nella generalizzazione stabilita “in estensione”
sulla base di una serie di atti linguistici, abbracciando gli aspetti comuni
che in essi si constatano. Nell’analisi in profondità emerge quel che in un
atto linguistico è soltanto normale e quel che è funzionale rispetto ai suoi
modelli; nell’analisi in estensione si constata quel che è comune, quel che
è isoglossa in una serie di atti linguistici considerati, senza preoccuparci
che alcuni siano modelli di altri. In altri termini, il concetto di langue
non è analitico, ma descrittivo e sintetico, costituendosi come sistema di
aspetti comuni, come sistema di isoglosse sulla base del cosiddetto mate-
riale linguistico (somma di atti linguistici). Perciò diciamo che il concetto
di langue corrisponde, più che alla linguistica teorica, alla linguistica sto-
rica: ne è anzi il fondamento stesso.
I confini di una langue variano a seconda del materiale linguistico con-
siderato, ad esempio della comunità o del territorio abbracciato (“lingua
di Montevideo”, “lingua del Rio della Plata”, “lingua spagnola”); anche
anteriormente alla comunità possiamo prendere in esame un sistema di
isoglosse corrispondente a un solo individuo (“lingua di Cervantes”, “lin-
gua di Rodó”). Il concetto corrente di langue si stabilisce, però, con cri-
teri non esclusivamente linguistici, ma culturali (esistenza di una “lingua

(57)  Qualsiasi opposizione tra langue e parole che non sia di pertinenza di uno di
questi tipi non esaurisce la realtà del linguaggio, confonde criteri distinti o prende in
considerazione anche fatti non appartenenti al linguaggio propriamente detto.
112  Sistema, norma e parola

comune” o “letteraria”, Pisani 1949: 5-6) e infatti una langue comprende


tutta una serie di sistemi minori: dialetti, “lingue” speciali, sistemi distinti
socialmente o culturalmente: lingua dotta, lingua letteraria, lingua popo-
lare, lingua familiare, con confini variabili e spesso convenzionali(58).

6.3.3. Pur essendo strutturati in modo diverso, i concetti di sistema e


norma e il concetto di langue non sono antitetici. Gli aspetti comuni di
una serie di atti linguistici sono infatti necessariamente normali e, su un
piano superiore di formalizzazione, funzionali: possiamo quindi parlare
di norma e sistema riferendoci a una langue (sistema di isoglosse), an-
ziché esclusivamente alla parole. La langue, però, non si estende solo
nella comunità e nello spazio, ma anche nel tempo: si tratta di un concet-
to storico (es., la lingua spagnola dalle origini ai nostri giorni), mentre
sistema e norma sono concetti strutturali e dunque sincronici (anche se
possono essere considerati diacronicamente, nella loro evoluzione, che
consiste nel passaggio da un sistema a un altro, da una norma a un’al-
tra). Ciò significa che la langue è continua, mentre il sistema e la norma
sono statici: si tratta di concetti che si riferiscono all’“essere” e non al
“divenire” (in qualsiasi momento della storia di una lingua, ci troviamo
di fronte a un sistema e a una norma che non sono gli stessi del momento
precedente). In questo senso diciamo che sistema e norma corrispondono
a uno stato di lingua (Saussure, op. cit.: 124), cioè a un momento che si
colloca fuori dal tempo, isolato — mediante una necessaria benché di-
scutibile astrazione scientifica — dal perpetuo movimento della langue.

7. Importanza e utilità della tripartizione

Quanto esposto finora dovrebbe giustificare a sufficienza l’importanza


teorica e metodologica di distinguere norma e sistema.
Tale differenza — che non è arbitraria né convenzionale, ma si mani-
festa negli aspetti formali del discorso concreto — ci permette di vedere
chiaramente l’assoluta convenzionalità dell’opposizione langue/parole, ci
mostra quali siano i criteri usati per fissare questa convenzione e ci indica
al contempo la necessità imprescindibile di definire di volta in volta la
(58)  In spagnolo il termine idioma ci permette di distinguere un sistema di isoglos-
se culturalmente determinato, strumento e veicolo della cultura di uno o più popoli (idio-
ma francés, idioma italiano, ecc.), da un sistema qualsiasi di isoglosse (lengua). Ma si
tratta di una distinzione rara.
Sistema, norma e parola  113

convenzione che è stata adottata.


In secondo luogo questa differenza ci porta necessariamente a situare
con precisione il concetto di langue, nella cornice descrittiva e storica, e
non analitica o interpretativa, del linguaggio.
La differenza tra norma e sistema chiarisce meglio inoltre il funziona-
mento del linguaggio, l’attività linguistica, che è creazione e insieme ripe-
tizione (ri-creazione) in seno e secondo le coordinate del sistema funziona-
le (il che è imprescindibile perché il linguaggio adempia la sua funzione).
Un movimento obbligatorio e libero entro le possibilità offerte dal sistema.

7.1. Distinguere norma e sistema giustifica e chiarisce poi i fondamenti


dei vari aspetti, tendenze e orientamenti della linguistica. Infatti la lingui-
stica può dedicarsi soprattutto all’analisi del discorso, ed è allora teoria
del linguaggio o linguistica generale in senso stretto; può orientarsi allo
studio delle lingue, ed è allora linguistica storica (nel senso dato a questo
termine da Meillet). Per altro verso, nel considerare il linguaggio, la lin-
guistica può studiare e mettere in particolare risalto l’originalità espres-
siva del parlante, ed è allora estetica; può studiare la norma, l’aspetto del
discorso che è tradizione sociale e culturale, ed è allora storia della cultura;
può studiare il sistema o adottare in primis il punto di vista del sistema,
ed è allora grammatica pura. Ciascuno di questi orientamenti è legittimo
come visione parziale, ma nessuno di essi esaurisce da solo quel fenomeno
multiforme e complesso che è il linguaggio umano.
La medesima distinzione giustifica inoltre le varie scienze linguistiche,
attribuendo a ciascuna il posto che le spetta nello studio del linguaggio.
Sono ben note le difficoltà che presenta, ad esempio, la costituzione della
stilistica della lingua(59): ebbene, questa scienza non può essere altro che
lo studio delle varianti normali aventi valore espressivo-affettivo, studio
dell’impiego stilistico normale delle possibilità, offerte da un sistema, in-
site in quegli elementi che, nella lingua di una comunità, sono normal-
mente portatori di un particolare valore espressivo (Migliorini 1943: 60).
È cioè una scienza della norma, mentre la stilistica, che studia il valore
particolare che un qualsiasi elemento della lingua può avere in un testo,
come originalità espressiva individuale, è stilistica del discorso(60).
Tra le scienze che si occupano dell’aspetto fonico del linguaggio, la
fonologia, intesa come studio strutturale e funzionale, non può essere una

(59)  In proposito cfr. soprattutto Mattoso Càmara 1952, p. 12.


(60)  Si confronti, in questo senso, la stilistica di Bally con quella di Vossler.
114  Sistema, norma e parola

scienza della lingua, di tutta la lingua (sistema-norma), ma soltanto del si-


stema. È necessario dunque individuare in questo ambito una scienza del-
le realizzazioni normali del sistema fonologico di una lingua(61), già rap-
presentata, in parte, dai buoni manuali di “dizione”. Una scienza di questo
tipo potrebbe essere la fonometria di Zwirner, che, al pari di ogni studio
statistico, si presenta effettivamente come una scienza della norma(62). La
fonetica, infine, è una scienza già intesa dalla maggior parte degli studiosi
come studio dei suoni concreti, cioè come scienza del discorso.
Rispetto alla grammatica propriamente detta, la grammatica struttura-
le è scienza del sistema, mentre la grammatica descrittiva è scienza della
norma. Più come una scienza del discorso si presenta invece la cosiddetta
“grammatica degli errori” (cfr. per il francese la Grammaire des fautes, di
Henri Frei, o il saggio dello stesso genere che Iorgu Iordan ha pubblicato
per il rumeno), sebbene essa studi in modo particolare quei cambiamenti
della norma che si diffondono e che già costituiscono, in un certo senso,
una “norma parziale”. Di certo si potrebbe fare una distinzione della stes-
sa natura anche per lo studio del lessico.

7.2. Ma la distinzione tra norma e sistema è importante soprattutto


perché ci aiuta a chiarire e a comprendere il meccanismo intimo del cam-
biamento linguistico. Abbiamo visto infatti che al parlante si impone non
il sistema (che invece “gli si offre”), ma la norma. Ora, il parlante ha co-
scienza del sistema e lo impiega; e, d’altro canto, può conoscere e obbe-
dire alla norma come può non farlo, pur mantenendosi entro le possibilità
del sistema. Ma l’originalità espressiva dell’individuo che non conosce o
non obbedisce alla norma può esser presa a modello da un altro individuo,
può essere imitata e di qui diventare norma. L’individuo dunque cambia la
norma, rimanendo nei limiti consentiti dal sistema; la norma riflette però
l’equilibrio del sistema in un determinato momento, e, mutando la norma,
muta anche questo equilibrio, fino a ribaltarsi totalmente in un verso o

(61)  Proponiamo il termine fonologia per la scienza generale dell’aspetto fonico


della lingua (sistema funzionale e varianti normali, facoltative o combinatorie) e i termi-
ni fonematica e fonemica, rispettivamente, per le scienze foniche del sistema e della nor-
ma. I termini usati sono in ogni caso convenzionali: l’importante è distinguere una fono-
logia del sistema e una fonologia della norma.
(62)  Lo studio statistico, quantitativo, della norma acquista sempre più importan-
za, perché la norma rappresenta l’equilibrio di un sistema in un momento dato, e i cam-
biamenti quantitativi conducono di solito a cambiamenti qualitativi. I cambiamenti nel-
la norma conducono a cambiamenti nel sistema. Cfr. Cohen 1949.
Sistema, norma e parola  115

nell’altro. In tal modo, l’individuo parlante si presenta come punto di par-


tenza anche per il cambiamento nel sistema, cambiamento che comincia
con il disconoscimento o la non accettazione della norma.
Riguardo al cambiamento semantico, per Vittore Pisani è regola fonda-
mentale che «il nuovo significato che una parola assume sia stato presen-
te, come significato secondario, nell’uso precedente della parola stessa»
(Pisani 1947: 158). Ciò significa che, in qualsiasi momento, un determi-
nato significato è normale mentre altri sono “laterali”, latenti, possibili dal
punto di vista del sistema. Ma la stessa cosa accade in tutti gli altri tipi di
cambiamento linguistico: al di là della norma fissata, esistono sempre le
possibilità del sistema (si dovrebbe interpretare in questo senso la teoria
di Meillet sulle “tendenze latenti” delle lingue). In ogni momento la nor-
ma riflette un equilibrio instabile del sistema.
Così, ad esempio, in latino classico la declinazione desinenziale era
normale, ma in molti casi si adoperavano anche preposizioni che già da
sole bastavano a indicare la funzione: la norma ha virato sempre più verso
l’uso delle preposizioni, tanto che l’equilibrio del sistema si è ribaltato e
dell’antica declinazione rimane appena, nella maggior parte delle lingue
romanze attuali, l’opposizione tra singolare e plurale. Allo stesso modo
i sostantivi della quarta declinazione sono passati gradualmente nella se-
conda (tribu e espiritu in spagnolo sono imprestiti dotti dal latino): varie
loro forme, infatti, coincidevano già con le forme della seconda e alcuni
nomi ammettevano entrambi i paradigmi. I nomi della quinta declinazione
sono passati nella terza, con cui avevano varie desinenze in comune, o nel-
la prima, perché avevano varianti appartenenti a quest’ultima declinazione
(più di un vero “passaggio”, si è trattato cioè semplicemente dell’elimi-
nazione delle forme della quinta, come pigrities, luxuries, avarities, con
l’esclusiva conservazione di quelle della prima: pigritia, luxuria, avaritia).
L’applicazione, in senso contrario, del sistema alla norma si manifesta a
sua volta nella creazione analogica e nella comparsa di una forma “anorma-
le” (inizialmente), che trova però il suo posto nella simmetria del sistema.
Ad esempio, lo spagnolo del Rio della Plata ha una serie di consonanti sorde
(p, t, k) e, per questi fonemi, conosce effettivamente l’opposizione realizza-
ta tra sorda e sonora (cala, “assaggio”; gala, “ornamento”; tienta, “prova”;
tienda, “tenda”; impele, “spinge”; imbele, “imbelle”). Non ha invece la sor-
da corrispondente della ž di žorar (llorar), “piangere”, e cioè il fonema /š/. Il
sistema fonologico rioplatense ha dunque una “casella vuota”, quella corri-
spondente a /š/, che può essere riempita (ed effettivamente in certi casi si ode
116  Sistema, norma e parola

š, per il momento come variante di /ž/; ma il nuovo suono potrà acquisire col
tempo valore distintivo e diventare così un fonema nuovo).
Il cambiamento fonetico è anche, in primo luogo, spostamento della nor-
ma verso una realizzazione acustica di un fonema consentita dal sistema: [j]
è in Spagna (se si considerano insieme i vari livelli della lingua, cosa discu-
tibile) una variante acustica di /ļ/ (ll), e [ž] è una variante sia di /j/ (y) che di
/ļ/ (ll), ma nel Rio della Plata ž è diventato la realizzazione normale di y e di
ll a tutti i livelli: si è arrivati così alla fusione dei due fonemi.
Nella recensione dei Princìpi di Trubeckoj Pisani obietta che il pas-
saggio dal lat. ke, ki all’it. če, či è dovuto durare un tempo abbastanza
lungo durante il quale una stessa comunità, una famiglia e perfino un sin-
golo individuo pronunciavano sia ke, ki, sia če, či. Quest’osservazione,
indubbiamente esatta, non intacca, ma conferma la teoria di Trubeckoj.
Nel periodo in cui si usavano sia ke, ki, sia če, či, il fonema rispettivo non
era /k/ né /č/, bensì un altro, che conteneva soltanto tratti in comune con
questi, e ammetteva le due realizzazioni acustiche. In seguito la norma si è
spostata sempre più verso la realizzazione č, finché questa è diventata l’u-
nica normale, permettendo così la comparsa di un nuovo fonema /k/ con
valore distintivo (essenzialmente, non c’è grande differenza tra quest’in-
terpretazione fonologica e ciò che Pisani stesso afferma del cambiamento
semantico, che si verifica attraverso lo spostamento del centro di gravità
della significazione verso un “significato secondo”).
Per altro verso l’opposizione tra varianti nella norma può condurre a
uno sdoppiamento fonematico, cioè a un’opposizione nel sistema. È quan-
to si è verificato con la u latina rappresentata nelle lingue romanze moder-
ne da u e da v; e in particolare in spagnolo è ciò che è accaduto con l’oppo-
sizione o-ue. In passato quest’opposizione era più che normale, essendo ue
una realizzazione particolare di una certa o tonica; ma poi, con la perdita
della differenza fonologica tra la o chiusa e la o aperta, essa è diventata si-
gnificativa, cosicché oggi distinguiamo, ad esempio, foro, “foro”, da fuero,
“giurisdizione”, coro, “coro”, da cuero, “cuoio”, bono, “buono (del teso-
ro)” da bueno, “buono”. Al contempo, come contropartita, si va perdendo
consapevolezza dell’alternanza ue-o: Santa Teresa applicava ancora rigi-
damente la regola antica, dicendo fuente (“fonte”)-fontecica (Menendez
Pidal 1942), mentre noi oggi diciamo fuente-fuentecita e si arriva anche
a dire nuevo-nuevísimo, bueno-buenísimo, anziché novísimo, bonísimo(63).

(63)  Allo stesso modo le opposizioni normali a-ă o-oa, che un tempo erano sempli-
ci opposizioni di varianti combinatorie, hanno acquisito in rumeno valore fonematico,
Sistema, norma e parola  117

7.3. Naturalmente, alcuni di questi cambiamenti non si generano all’in-


terno del sistema, ma sono provocati dall’ingresso di parole appartenenti
ad altri sistemi (stranieri o anche solo regionali), che trasformano un’op-
posizione normale in opposizione funzionale (così, ad esempio, l’ingresso
di un maggior numero di parole italiane in rioplatense potrebbe dare valore
funzionale all’opposizione fra ž e ž, che attualmente sono soltanto varianti
di realizzazione del medesimo fonema). In questo senso è opportuno ri-
cordare la distinzione di Sechehaye tra “cambiamenti organici” e “cambia-
menti contingenti”, benché per il modo in cui si verificano — se si esclude
il momento iniziale del prestito — tutti i cambiamenti appaiono organici.
Si pensi, in rioplatense, al caso dell’opposizione singolare/plurale, del tut-
to nuova, clu-clubes. Si tratta di una parola straniera, entrata nel sistema
con le sue forme originali per il singolare e il plurale (club-clubs); ora, club
avrebbe potuto seguire la strada di tique-tiques (ticket), cheque-cheques e
avere un plurale del tipo clus, clues o anche cluses (secondo il modello di
maravedí-s, -es, -ses). Ma il fatto è che, mentre si diceva ancora club come
Fremdwort (neologismo non assimilato), il suo plurale è stato assimilato al
sistema dello spagnolo sotto la forma clubes; poi, una volta che la parola è
divenuta consueta, si è assimilato anche il suo singolare sotto la forma clu
e tale forma si è opposta al plurale già assimilato clubes. Il cambiamento
consiste appunto in quest’associazione, che si verifica tra parole già ap-
partenenti al sistema. Lo stesso accade con il plurale di ómnibus: dicendo
ómnibus-ómnibus o ómnibus-omnibuses, non s’intacca il sistema; ma nel
momento in cui la norma preferisce un elemento di ciascuna coppia (om-
nibus-omnibuses), abbiamo un cambiamento nel sistema. E si prepara già
la strada a opposizioni quali tesis-tesises, síntesis-sintesises(64).

7.4. I cambiamenti si producono soprattutto nei “punti deboli” del sistema,


laddove l’opposizione non ha molta importanza e può quindi essere ignorata
nel discorso, e in seguito anche nella norma. In questo senso appunto, per
arrivando così a distinguere delle parole. Cfr. Graur 1948. Analogamente chaise e chai-
re in francese sono state in una data epoca varianti normali (dialettali), mentre oggi sono
parole distinte (significano, rispettivamente, “sedia” e “cattedra”); e la realizzazione di
y come ž ha consentito al rioplatense un’opposizione significativa tra yerba, “mate”, e
hierba, “foraggio”, che in Spagna si manifesta soltanto graficamente.
(64)  Si confronti ciò che si è verificato in italiano con i plurali in -s adottati dall’inglese
e dal francese (nel secondo caso semplicemente per la grafia): la -s come segno del plurale
è entrata in uso anche per parole che nella lingua d’origine non l’avevano (Führer-Führers,
Quisling-Quislings, mugik-mugiks, cnut-cnuts), tanto che oggi la -s è un elemento funziona-
le appartenente al sistema italiano come segno riservato ai plurali dei Fremdwörter.
118  Sistema, norma e parola

comprendere e forse prevedere i cambiamenti, bisogna tener conto dell’impor-


tanza relativa delle opposizioni sistematiche, del “rendimento funzionale delle
opposizioni”, come dice Martinet(65). Così, ad esempio, è assai difficile che si
arrivi in spagnolo a una fusione tra l e r, tenendo conto dell’elevato numero di
parole che si distinguono in virtù di quest’opposizione, come lana/rana. L’op-
posizione tra s e q (z; c in ce, ci), invece, ha una resa scarsa: non c’è pericolo
di confondere parole come sueco, “svedese”, e zueco, “zoccolo”, che difficil-
mente si incontrerebbero nel medesimo contesto, e neppure che divengano
irriconoscibili parole come movedizo, “mobile”, enfermizo, “malaticcio”, zur-
cir, “rammendare” (cfr. invece lago-*rago). Lo stesso può dirsi dell’opposi-
zione ll-y, che funziona in pochi casi, come llanto, “pianto”, yanto, “mangio”,
halla, “trova”, haya, “abbia”. Ma, una volta che si sia prodotta confusione in
casi in cui il rendimento funzionale è nullo, essa si estende e intacca, come
si è appunto verificato in rioplatense, anche i casi in cui l’opposizione sareb-
be necessaria, come in casa, “casa”, caza, “caccia”, cocer, “cuocere”, coser,
“cucire”, ciervo, “cervo”, siervo, “schiavo”. Ci troviamo allora di fronte all’e-
sigenza di evitare la confusione, eliminando una delle parole indicate (yantar
non si usa in rioplatense e siervo si adopera poco) o chiarendo la differenza per
mezzo della sintassi, del contesto (come nel caso di casa-caza: una ragazza se
casa, “si sposa” senza bisogno di ulteriori specificazioni, mentre un puma se
caza con el fusil, “si caccia col fucile”), ovvero ricostituendo in qualche modo
il sistema, come nel caso di cocer-coser (le padrone di casa uruguaiane infatti
dicono cocinar “cucinare”, anziché cocer, e perfino il pane è cocinado).

7.5. Crediamo che ulteriori sviluppi potranno dimostrare in modo più


completo l’importanza e l’utilità della distinzione stabilita. A nostro avvi-
so questa distinzione aiuterà a risolvere vari problemi linguistici, univer-
salmente ritenuti complessi. Tra questi, forse, l’arduo problema delle parti
del discorso, come appunto osservava il professor Luis Juan Piccardo in
una comunicazione letta al Centro linguistico di Montevideo nel 1952.
Pensiamo, infatti, che anche la funzione classificatrice si manifesta: come
possibilità, nel sistema; come tradizione e realizzazione determinata, nel-
la norma; e come movimento dialettico tra creazione e ripetizione, tra
libertà e imposizione, nel discorso concreto(66).
(65)  «Nel linguaggio, ovunque non si rischi la confusione, si possono produrre slit-
tamenti che modificano, se non il quadro dei fonemi, almeno le loro possibilità combina-
torie». Martinet 1947, p. 55.
(66)  Henri Frei segnala le medesime contraddizioni nello sviluppo della teoria saus-
suriana e individua in essa l’esistenza di due concetti di langue: la langue come istitu-
Sistema, norma e parola  119

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fatti i due concetti saussuriani di langue coestensivi e non contraddittori, e attribuisce le
incoerenze soltanto agli sviluppi strutturalisti della celebre antinomia. Giunge a questa
conclusione con l’analisi “sub-linguistica” delle varianti combinatorie, osservando che
appartengono alla langue perché essa contiene i “subelementi” distintivi operanti all’u-
nisono nel suo ambito. Ci sembra tuttavia che tale analisi funzioni solo con le varianti
combinatorie; essa non spiega le varianti facoltative normali, che caratterizzano una lin-
gua pur non avendo alcun valore distintivo.
120  Sistema, norma e parola

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Postfazione
Modernità di un classico.
Coseriu per una semiotica delle norme

di Tiziana Migliore (1)

Sistema, norma e “parole” di Eugenio Coseriu, pubblicato nel 1952 e ripre-


so più volte fino a quest’ultima edizione del 1989, ha un merito in particola-
re: aver inglobato il dibattito saussuriano su langue e parole nella più ampia
e complessa sfera dell’etica nei sistemi e nei processi sociosemiotici.

1. “Langue” e “parole” nella società

Indubbiamente la lingua, per Saussure, è sempre un fatto sociale: istitu-


zione(2), da un lato, coscienza collettiva(3) dall’altro. E i linguaggi sarebbero
snaturati se non fossero colti in seno alla vita nella quale stanno. Ma il
gesto di Coseriu di discernere nella langue due strutture, una costituita da
opposizioni grammaticali funzionali – il sistema – una che invece è il ri-
flesso di etiche ed etichette, usanze e regole di comportamento comunitarie
– la norma – permette di indagare dinamiche di emergenza, stabilizzazio-
ne, rimaneggiamento, usura, declino che vanno al di là degli status e dei

(1)  Università di Urbino Carlo Bo.


(2)  «La facoltà di linguaggio si manifesta attraverso la lingua, che è un’“istituzio-
ne zero” o “(storico)naturale”, condizione e strumento per la costruzione di altre istituzio-
ni». Saussure 2002, pp. 262-263.
(3)  «La linguistica sincronica si occuperà dei rapporti logici e psicologici colle-
ganti termini coesistenti e formanti sistema, così come sono concepiti dalla stessa co-
scienza collettiva». Saussure 1916, trad. it., p. 120.

125
126  Postfazione

motus linguistici(4). «Prassi enunciative» (Fontanille, Zilberberg 1998) in-


telligibili sullo sfondo di un piano di consistenza intersoggettivo ed etico(5).
A essere tipici, inediti, inconsueti, familiari, stereotipati, obsoleti, démodé
non sono solo segni linguistici ed entrate di dizionari.
Attraverso le indicazioni sugli aspetti normativi riscontrabili nella pa-
role, Coseriu rende la lingua un “sistema modellizzante primario” (Lot-
man) di fenomeni di dispiegamento del senso nelle culture. La lingua di-
viene cioè un modello per comprendere sia le tipologie di classificazione
vigenti in una società, cioè le grammatiche proprie di ogni ambito o domi-
nio condiviso (sistema), sia gli accordi, taciti o giuridicamente stipulati, di
cui è zeppa la quotidianità (norma).

1.1. La langue “un prodotto sociale” fra altri


È dunque nella prospettiva di una comprensione più limpida dei rap-
porti semiotici fra la norma, in quanto insieme implicito di vincoli sociali,
più o meno estesi e coercitivi, e la parole attualizzazione di questi vincoli,
che si è deciso di rivisitare Coseriu(6).
Intendiamoci: il fatto che langue/parole nel linguaggio verbale sia un modello
da esaminare per capire come ci si regola nella vita pubblica non vuol dire che
leggi e convenzioni sociali, da un lato, e loro esercizio individuale e collettivo,
dall’altro, rispecchino, duplicandolo, il funzionamento langue/parole o, peggio,
ne discendano. Il mondo naturale e sociale è piuttosto una macrosemiotica den-
tro la quale i vari ambiti, del linguaggio verbale, del diritto, della politica, dello
sport, della moda, della religione, dell’arte, della gastronomia..., elaborano i livelli
del sistema, della norma e dell’atto ciascuno a suo modo, con tempistiche e gradi
di tensione, adesione e osservanza molto differenti. Semplicemente, il linguaggio
verbale è stato teorizzato di più e con maggior impegno. Ma la sua langue rimane
un “prodotto sociale della facoltà del linguaggio” (Saussure 1916, trad. it.: 19) fra
altri prodotti della società da esplorare nelle specifiche dinamiche che li costituisco-
no. L’equivalente della langue in ambito artistico, per esempio, il “Canone”, sorto
(4)  O, come si augura Raffaele Simone, “Estesa su altri livelli di analisi, la dis-
tinzione sistema/norma diventa un’eccellente base di indagini socio-linguistiche”. Cfr. Si-
mone 1971, IX.
(5)  «Coseriu nota con grande lucidità che una scienza della langue come istituzio-
ne sociale “non può limitarsi allo studio delle opposizioni funzionali, ma deve necessa-
riamente studiare anche il loro attuarsi costante nella comunità”, studiando anche “le op-
posizioni costanti ma non funzionali” che si situano in una zona intermedia tra lo schema
e la parole». Paolucci 2020, pp. 84-85.
(6)  Il progetto iniziale di pubblicazione del saggio è di Paolo Fabbri. Lo abbiamo
realizzato tentando di rimanere fedeli al suo proposito.
Postfazione  127

nella Grecia classica con Policleto in quanto insieme di misure matematiche per il
rispetto della proporzione armonica, e consolidato da quelle grammatiche potenti
che sono state i Trattati, vale oggi solo nelle Accademie. Lo hanno sostituito, dopo
che le avanguardie ne hanno fatto piazza pulita e all’indomani della “destituzione
filosofica dell’arte” (Danto), regole di savoir faire che poco riguardano competen-
ze artistiche (Migliore 2021a).

1.2. Il problema della normalità


Come studiare, dunque, i nessi fra l’ordito di un sistema e le trame che lo
tessono? Fuori da una visione statica e ontologica del sistema, della norma e
della parole, in che modo, nelle culture, coesistono codici espliciti di compor-
tamento, regole non scritte di etichetta(7) e usi imprevisti? Con che frequenza
convenzioni e abitudini assurgono al ruolo di norme o al contrario decreti leg-
ge cominciano a essere lasciati alla discrezionalità delle persone? Giochi di
potere e conflitti fra eteronomia e autonomia, fra chi decide dei mandati e chi
dovrebbe eseguirli riformulano altrimenti le funzioni narrative dei destinanti e
dei destinatari nelle comunità(8). Sistema, norma e parola di Coseriu è appunto
un lavoro seminale per i semiologi che non si accontentano dell’opposizione fra
regolare e singolare, ma vogliono indagarne le interdipendenze, non solo per
rafforzare la metodologia descrittiva, ma per addentrarsi in questioni epistemo-
logiche nelle quali “ne va di noi”.
Infatti, consideriamo l’anelito alla “normalità” e i vari interrogativi sul
suo statuto espressi a livello globale con la crisi sanitaria (Fig. 1).

(7)  Al Linguaggio dell’etichetta il CiSS, Centro Internazionale di Scienze Semio-


tiche Umberto Eco dell’Università di Urbino, ha dedicato nel 1991 un convegno di quat-
tro giorni, 11-14 luglio, coordinato da Paolo Fabbri e Alain Montandon. Gli Atti sono sta-
ti pubblicati, cfr. Montandon, a cura di, 1992. Nell’Archivio del Centro e on line sono
consultabili tre Documenti di Lavoro del convegno e i materiali audio. Vedi https://semio-
tica.uniurb.it/attivita/attivita-della-memoria/
(8)  Anna Maria Lorusso, che ha condotto una riflessione sulle norme, si chiede
come possiamo pensare l’istanza che fissa questa «dimensione strutturante della cultura»:
c’è un soggetto impersonale, collettivo, di potere o istituzionale dietro l’etichetta che ri-
chiede certi comportamenti, dietro un rito che prevede una certa grammatica, l’Occiden-
te che fissa certi modelli, il codice civile che prescrive determinate sanzioni? (Lorusso
2018: 90). Per chiarire la domanda, la studiosa tira in ballo la categoria di “destinante”,
istanza attanziale di condizionamento e regolazione del fare dei soggetti. Nota che, so-
prattutto nel caso della norma, l’attante destinante è ricoperto da attori di taglia ed esten-
sione anche molto diverse; può trattarsi di un solo individuo o di un sistema di valori (ibi-
dem: 90).
128  Postfazione

Fig. 1. “La normalitat era el problema”.

La pandemia, che è il risultato di abusi nella prossemica umani-animali


mischiandosi con carni incommestibili, ha d’improvviso portato a galla, impe-
dendoli, comportamenti ovvi quasi come respirare, che stanno alla base della
socializzazione: il bacio, l’abbraccio, la carezza, il saluto con la stretta di mano
(Arcangeli 2020). Chi nei primi mesi del Covid non si è trovato nella situa-
zione imbarazzante di ritirare di scatto la destra dopo averla tesa automatica-
mente all’interlocutore? L’obbligo da un giorno all’altro di stare in casa, della
distanza di un metro dagli altri, della mascherina, di ristoranti chiusi la sera ha
messo in risalto quanto siamo affezionati alle abitudini, alla «persistenza dei
nostri motivi» (Gombrich 1979). Ci ha portato in difetto di relazioni sociali,
le ha praticamente escluse con i lockdown, senza offrire vie di mezzo, ma
privandoci di colpo di convenzioni preziosissime, per bloccare la misura non
ecosostenibile che si stava imponendo come “normale”. La punizione plane-
taria per queste cause di forza maggiore è che le forme di contatto con gli
altri stanno cambiando (Migliore 2021b). E se i discorsi storici sulle pandemie
dimostrano che l’esperienza insegna pochissimo, qualche ricerca sulla pre-
supposizione reciproca fra comportamenti e norme servirà forse ad acquisire
maggiore autocoscienza. «Non ci sono solo ricadute sociali dei testi, ma una
socialità intrinseca della semiosi» (Marrone 2010: 118).
Postfazione  129

2. Il colpo d’occhio di Hjelmslev

Coseriu non ha certo estratto da un cilindro magico i concetti di sistema


e norma. Nel saggio che ripubblichiamo, ne racconta in maniera dettaglia-
ta la genealogia. Prima di lui, Louis Hjelmslev (1942) ha spacchettato la
coppia langue/parole, generando un paradigma a quattro termini: schema,
norma, uso e atto(9). Un colpo d’occhio favorito dalle riflessioni di alcuni
colleghi: Brøndal (fra i primi ad aver messo l’accento sull’incidenza della
norma), Humboldt, Paul, Jespersen, Bally e Gardiner in particolare. Con la
stessa genialità euristica con cui riformula la categoria saussuriana signifi-
cante/significato in chiave di espressione/contenuto, Hjelmslev è penetrato
nelle forme compatte che avevano langue e parole. E ha scisso nella lan-
gue lo schema, che è il sistema astratto, virtuale, di rapporti differenziali di
tipo semio-linguistico, la norma, che ne è la realizzazione sociale, e l’uso,
sua manifestazione materiale in quanto insieme di abitudini adottate. L’u-
so, posto a livello della langue, permette, insieme alla norma, di conside-
rare le relazioni tra la lingua e le altre istituzioni sociali.
Presupposto fondamentale della svolta di Hjelmslev, dalla coppia lan-
gue/parole a un modello quadripartito, è il carattere partecipativo e non
più esclusivo della coppia, incentrato su come, nel discorso, si fa prendere
parola alla langue: «Ogni lingua gode, per ogni particolare parola, di una
libertà di scegliere fra più regole comuni» (Hjelmslev 1963, trad. it.: 48).
Se l’atto convoca le strutture sovraindividuali dello schema, della nor-
ma e dell’uso, per Hjelmslev è però “la norma a costituire l’oggetto della
linguistica, né la parole né l’uso” (Hjelmslev 1935, trad. it.: 135). L’ago
della bilancia pende qui a favore della langue.

3. Originalità dell’approccio di Coseriu

Con una mossa che ricorda Saussure (1916), Coseriu assume il modello
quadripartito schema-norma-uso-atto di Hjelmslev, ma scinde l’oggetto della
linguistica, che è la langue (schema-norma-uso) dal punto di partenza dell’a-
nalisi, che è la parole (atto). Pur tenendo sullo sfondo i modi di esistenza
virtuali e potenziali propri della langue e marcando il modo realizzato della
norma rispetto al modo virtuale del sistema, Coseriu dà un ruolo cruciale e

(9) Per una disamina aggiornata dei dibattiti riportati da Coseriu sulla categoria
langue/parole vedi l’introduzione di Rossana De Angelis a questa edizione.
130  Postfazione

centrale agli atti di discorso. Con un assunto: che «tutti i fatti di lingua devono
essere stati una volta parole» (Coseriu 1952, trad. it.: 96). Ma distinguiamo
con attenzione le novità principali introdotte dallo studioso rumeno.

3.1. Norma e sistema. Il peso delle tradizioni


Anzitutto, come già detto, Coseriu sgancia schema-norma-uso da una
cornice esclusivamente linguistica e ne mostra la pregnanza culturale –
«la norma, infatti, è un sistema di realizzazioni obbligatorie, di imposi-
zioni sociali e culturali, e varia a seconda delle comunità» (ivi: 108-109).
I vari concetti cui si dà il nome di langue – “patrimonio linguistico”, “uso
linguistico di una comunità”, “sistema funzionale”, ecc. – non sono equi-
valenti, rappresentando tipi e gradi diversi di astrazione. Coseriu enuclea
perciò nella langue sistema e norma, che divergono secondo questa con-
cezione: il parlante utilizza, per esprimersi, modelli che trova nel sistema,
inteso come “lingua anteriore” di atti linguistici. La norma fa da filtro fra
la sua parole e il sistema, in quanto insieme di opposizioni costanti, ma
non funzionali. La norma ha un potere di mediazione e di selezione degli
elementi del discorso affidato alle strutture tradizionali presenti nelle co-
munità. Rispetto a un piano di astrazione più alto, cioè allo sfondo virtuale
del sistema, la norma indica le tradizioni proprie di una cultura. E accade
spesso che non tutto ciò che è normale (sociale, costante) sia necessaria-
mente funzionale, conforme al sistema. Anzi. Diamo alcuni esempi.

3.1.1. Prendersi la licenza


Il più semplice riguarda le licenze poetiche: la creazione di associazioni
inedite nella norma, virtualmente esistenti nel sistema. Coseriu si pone il
problema dell’estensione di una licenza a tutta una cultura e quindi della
stabilizzazione dell’infrazione. Segnala qui l’influenza di «varie norme
parziali (sociali, regionali)» che possono giustificarla, «perché la norma,
per sua stessa natura, è sempre meno generale del sistema» (ivi: 93). Vie-
ne in mente in Italia la controversia sull’aggettivo “petaloso”, che poi è
stato approvato e lessicalizzato dall’Accademia della Crusca non sulla
base di una riflessione interna al sistema, ma per il rinvenimento di usi
dello stesso termine in altri contesti e culture che hanno finito per legitti-
marlo(10). Scovare precedenti analogici ha fermato l’effetto esplosivo.

(10)  “Petaloso” è già attestato in Panorama, febbraio 1991, p. 117 (Michele Serra):
«I fiori di Sanremo sono iperrealisti: troppo petalosi e colorati, sono fiori di rappresentan-
Postfazione  131

3.1.2. Convenzioni culturali e abitudini


Paese che vai, usanza che trovi, convincere un siciliano che il vegetale
a infiorescenza, definito genericamente “broccolo” nell’isola (Fig. 2), sia
solo il “cavolfiore” nel sistema di classificazione scientifica, è un’impresa.
«Il sistema si offre, ma non si impone al parlante più di quanto la tela e i
colori si impongano al pittore» (ivi: 108).

Fig. 2. Il broccolo in Sicilia.

Emerge qui la differenza fra norma e convenzione, che è un “senso


comune” culturale, valido per una comunità, non regolamentato ma che
ha preso a fissarsi nel tempo, tanto da essere scambiato internamente per
la norma e diventare cognitivamente naturale. Ci si abitua a credere che le
cose siano in un certo modo(11); e, alla faccia delle nomenclature tecniche,

za e dunque la mettono giù dura». Ed è stato usato nel 1695 dal celebre botanico inglese
James Petiver in un libro di falsificazioni botaniche. Petiver, nella sua farmacia di Lon-
dra, riceveva diversi campioni di piante che arrivavano dall’India e, per descrivere una di
queste piante esotiche, scrisse “flore petaloso”.
(11)  Per uno dei più esimi studiosi dell’argomento, il filosofo e archeologo Félix Ra-
vaisson, l’abitudine è un’idea trasformatasi in realtà e capace di agire come tale. Non un
132  Postfazione

l’intesa comunicativa funziona in loco solo e soltanto secondo la conven-


zione. Il credere neutralizza il sapere o, meglio, ne costruisce uno proprio,
collante fra gli autoctoni e che drammatizza l’asimmetria del forestiero.
L’abitudine è il risvolto comportamentale di questi non detti territoria-
li, influente in maniera massiccia sugli schemi interpretativi. È una forza
le cui sopravvivenze sono spesso capricciose. Così, in Italia, alla ricerca
della spiaggia dei sogni lungo la litorale in auto d’estate(12), il fatto di scor-
gere, all’improvviso, una serie di auto mal parcheggiate e tutte concen-
trate in un punto, ci porta a inferire, dall’esperienza che abbiamo della
disordinata circolazione stradale nelle nostre città, che lì ci sarà l’accesso
al mare agognato. Uno svedese in Svezia, di fronte a una scena analoga,
non arriverebbe mai alle stesse conclusioni. Penserebbe, data per lui l’ec-
cezionalità della situazione, a un evento funesto: un terremoto o un inci-
dente. Non consapevolmente, però. Come nota Bourdieu (1980), l’habitus
è un’incorporazione inconscia, nell’individuo, della struttura sociale alla
quale appartiene e del suo posto all’interno di questa struttura. Un prin-
cipio spontaneo, duraturo e trasmissibile, che si apprende guardando i
propri simili fare altrettanto e che non presuppone la padronanza piena ed
esplicita delle operazioni necessarie a generare e organizzare pratiche(13).

3.1.3. Diversi di fronte alla legge


Coseriu, per spiegare meglio parola, norma e sistema, ricorre all’esem-
pio giuridico della distinzione fra tutte le sentenze particolari che rap-
presentano l’applicazione di una legge, l’applicazione normale e abituale
della legge e la legge in quanto sistema di disposizioni astratte. Il peso
che ciascuna di queste tre componenti ha all’interno di ogni cultura va-
ria e, come si sa (Lotman, Uspenskij 1973), è possibile opporre cultu-
re testualizzate, che si rappresentano come un insieme di testi, e culture
grammaticalizzate, che si rappresentano invece come sistemi di regole. Per
dirla con Eco (1975: 194), la Common Law anglosassone, che si ispira a
sentenze precedenti per risolvere casi analoghi, diverge dal diritto romano,

meccanismo, quindi, ma, qualcosa che testimonia il prevalere della causa finale sulla cau-
sa efficiente. Cfr. Ravaisson 1838.
(12)  Questo esempio è tratto da Marrone 2018.
(13)  Peirce, che ha teorizzato la fissazione dell’habit, cioè della disposizione ad
agire e reagire, sottolinea il paradosso della capacità di predizione che si acquisisce
quando l’habit non è più coscienza attiva, ma habitus che agisce automaticamente nel
soggetto, in una temporalità che va al di là della contingenza individuale, per collegare
passato e futuro. Cfr. Lorusso 2014, p. 276.
Postfazione  133

che fa riferimento a codici unitari, cioè a corpora di legge sistematici. Ma


sicuramente sentenze, applicazione e legge non prescindono l’una dell’al-
tra. Memorabile la vicenda degli ukàzy russi (Lotman, Uspenskij, op. cit.),
editti emanati dei governi del Settecento contro la diffusione delle “busta-
relle” (ukàzy), ma inapplicabili perché non c’erano norme a monte che li
autorizzassero.
Viceversa, più di recente, i DPCM di Giuseppe Conte in Italia per far
fronte all’emergenza sanitaria e modificare i comportamenti delle per-
sone avevano sì le autorizzazioni necessarie. Però, da un lato, regioni
come la Val d’Aosta li hanno applicati liberamente, prorogando l’orario
di apertura dei negozi; dall’altro il rito di comunicazione ufficiale dei de-
creti si è riverberato a tal punto sulla leadership del premier da scatenare
invidie e gelosie determinanti per la caduta del governo. I dispositivi
metadescrittivi a cui le culture ricorrono o che di esse si disimplicano
dall’esterno aiutano a ridurre le eterogeneità e a rafforzare le uniformità
strutturanti. Si propongono come forme di autocoscienza ideale e con-
flittuale.

3.1.4. Revisioni della f|norma


Nell’era del politically correct normale e funzionale sono sempre più
spesso convocati insieme, come quando si tratta di usare i titoli profes-
sionali al femminile per le donne o di esprimere la parità di gender con
asterischi o cancelletti. Al politicamente corretto in senso anticolonialista
si ispirano molte manifestazioni pubbliche a partire dal Black Lives Matter
negli Stati Uniti a giugno del 2020, allorché cominciarono ad essere dan-
neggiate statue del sistema artistico, fra cui quelle di Cristoforo Colombo
e Jefferson Davis, per contestare e ribaltare la norma che li aveva resi
miti e icone positivi. Un’immagine giusta per risemantizzarle è quella che
suggerisce non di demolirle, ma di ridicolizzarle, di rovesciarle di segno,
macchiandole o esponendole cadute dal piedistallo (Lowe 2021). Va nella
stessa direzione, indicata da Coseriu, di intendere norma e sistema non
come concetti arbitrari che si applicano al discorso, ma come forme che
si manifestano nel discorso stesso. «E il cammino che conduce a essi è il
cammino che parte dal discorso concreto e procede per mezzo di astrazioni
successive, mettendo in relazione il discorso, gli atti linguistici concreti,
con i loro modelli, cioè con un discorso anteriore» (Coseriu 1952, trad. it.:
106). Solo lo studio del monumento, calato in un’epoca che non è più la
sua, può istruire sulle trasformazioni da apportare.
134  Postfazione

3.2. Attività diacronica e storica della lingua


Per Coseriu, sulla scia di Gardiner (1935), norma e sistema emanano
dalla parole, nella quale occorre riconoscere fatti del discorso concreto,
ma anche fatti che sono di pertinenza di universi più ampi, anche in senso
storico: «per noi la langue si colloca in un momento successivo all’analisi
del linguaggio, come fenomeno concreto, e corrisponde alla linguistica
storica più che a quella teorica» (Coseriu 1952, trad. it.: 48).
Indagare la parole significa cogliere «gli atti di creazione inedita», ma
ad un tempo, con una visione retrospettiva, «gli atti di ri-creazione» della
norma e del sistema che essa contiene (ivi: 105). Le regolarità della nor-
ma, infatti, non si presentano nella parole ossificate. I parlanti le arran-
giano e trasformano con «intuizioni» – così le chiama Coseriu – inedite e
individuali solo perché scavano e sgombrano il campo da convenzioni e
contratti collettivi di cui è pieno, come agendo su tele che non sono mai
bianche. La parole ha una natura «eteroclita», «estesa» (Barthes 1964):
nella moda il vestito fotografato ha sempre uno stato semisistematico, è
per metà portamento individuale, per metà fatti di fabbricazione anomica
o normata; nelle portate della gastronomia pulsano tabù alimentari, regole
d’associazione, protocolli d’uso, variazione personali o familiari di prepa-
razione (Marrone 2016). Insomma, «ad esprimersi, nella parole, è tutta la
persona sociale» (Bourdieu 1977: 23).
Coseriu si preoccupa di osservare non i rapporti fra langue e parole
(Saussure) né i passaggi fra gli schemi linguistici, le norme, gli usi e gli
atti (Hjelmslev), ma l’energeia (Humboldt: Tätigkeit, “attività”) con cui si
attuano nella comunità le opposizioni che derivano tanto dalla lingua come
sistema funzionale quanto dalle codificazioni prodotte da norme socializ-
zate. In quest’ottica il modello di Coseriu fornisce una base solida per
impostare l’analisi della prassi enunciativa, evitando letture che vadano
dall’immanenza alla manifestazione o da stati potenzializzati di tipo inde-
terminato a determinazioni che l’interpretazione realizza, e tenendo conto
invece dello spessore culturale, della stratificazione di forme realizzate,
attuali, potenziali e virtuali di cui la parole è già dotata.
In altri termini, Coseriu ci ricorda che oggetto di analisi della prassi
enunciativa, ammesso che la semiotica non voglia rinunciare alla voca-
zione empirica e fenomenica, non sono le pratiche di produzione, ma è la
parole. È il discorso a orientare sui blocchi pre-condizionati che contiene,
sulle norme che infrange o a cui si adegua, sulle istanze eterogenee che
riunisce. Le pratiche di produzione, se non sono a regime, delimitate da
Postfazione  135

un qualunque testo o discorso, non possono essere scientificamente lette.


Così Lotman (1975) si basa su documenti tangibili per descrivere il com-
portamento dei decabristi russi, rivoluzionari di estrazione nobiliare che,
dopo la morte dello zar Alessandro I nel 1825, aderendo ai moti insurrezio-
nali, cominciarono a vivere, a parlare, atteggiarsi e vestirsi come personag-
gi teatrali di Byron, Puškin, Tolstoj. E veniamo a conoscenza dell’usura
di un motivo classico della storia dell’arte qual è la finestra, metafora per
eccellenza del quadro come rappresentazione del mondo, non con teorie
sui massimi sistemi delle prassi artistiche in Occidente nel Novecento, ma
attraverso opere come Fresh widow (1920) di Duchamp (Migliore 2013).
Fresh widow realizza l’obsolescenza del motivo della finestra e della
norma che vuole la pittura come arte mimetica del mondo, nello stesso
momento in cui attualizza la sua figura, richiama virtualmente schema
e regole secondo le quali eravamo abituati a pensarla e rende potenziali
alternative fuori-norma per la sua riapertura. Senza dubbio «ogni ritaglio
locale attiva l’interpretazione in base a regolarità stabilizzate» (Paolucci
2020: 134), ma il piano del discorso, in una semiotica a vocazione empiri-
ca, deve continuare ad avere un primato sugli altri piani enciclopedici del
linguaggio e della semiosi. Preferire al «teatro che mette in scena il senso
leggendolo nei testi (un simulacro)» la prospettiva di «una fabbrica che
produce senso (un atto)» (ibidem: 207), con un «dispiegamento del sensi-
bile» che mostra come «un substrato materiale si fa espressione» (ibidem:
199), rischia di trasformare la semiotica in una genetica delle pratiche. La
parole guida l’indagine sugli schemi e le norme proprio perché li convoca
all’interno di discorsi o testi. Meno male, infatti, che esistono “simulacri”
del senso, come nella foto del “broccolo” in Sicilia. Altrimenti molte no-
stre abitudini passerebbero inosservate. «È solo a partire dai testi e dalla
loro carica estetica interna che si producono, e soprattutto sussistono, gli
orizzonti socio-culturali stessi» (Marrone 2010b: 102).

3.3. La dimensione sovraindividuale


Un terzo aspetto vantaggioso del modello di Coseriu(14) è che l’analisi
del discorso, nell’interfaccia con la norma e il sistema, considera sempre
l’individuo come un sinolo di individuale e interindividuale. Non c’è un
(14)  In Sincronia, diacronia e storia (1958) Coseriu riprenderà Platone (Cratilo,
378b-388d), parafrasandolo: il parlare è un atto (praxis) che utilizza parole poste a sua
disposizione attraverso l’uso (nomos) e l’atto manifesta concretamente il nomos e, mani-
festandolo, lo supera e modifica. Il linguista arriverà a dire che “una norma culturale rig-
orosa può mantenere stabile indefinitamente anche un sistema”.
136  Postfazione

soggetto e poi il mondo della cultura che egli produce, né la parole è opera
di un soggetto come singola istanza enunciante, con le derive metafisiche
e psicanalitiche che potrebbero conseguirne. Prioritaria invece è la col-
lettività, il livello sovraindividuale e culturale istitutivo che garantisce la
circolazione dei valori e rispetto al quale il soggetto è un derivato. Come
nell’esperienza gustativa del vino, le sensazioni somatiche del singolo si
confrontano fin da subito con abiti interpretativi e categorizzazioni social-
mente stabilite, si coniugano cioè con un sistema che è socialmente nor-
mato (Paolucci 2020: 196). Perfino l’idioletto, da questo punto di vista,
non è «una lingua personale», ma «un uso personale caratteristico di una
lingua e di uno o più socioletti» (Rastier 2008: 11, trad. ns.). La possibilità
stessa dell’intuizione, della creazione inedita, dell’erosione della norma
risiede e avviene nel solco di una dimensione comune presupposta, delle
reti di rapporti in cui i soggetti sono presi. Internamente e reciprocamente,
per contrasto: Coseriu nota che «è alle orecchie di uno spagnolo che gli
italiani “cantano” parlando» (op. cit: 95). I popoli si dotano di modelli di
autodescrizione, ma sono culture diverse dalla loro a riconoscere e a me-
glio definire la norme che li caratterizzano.

4. L’anello mancante tra “langue” e “parole”. Per una semiotica delle


norme

François Rastier (2008), attingendo a Hjelmslev e a Coseriu, ha ab-


bozzato un programma di ricerca sulle norme che impegna ad articolare
semantica e pragmatica in maniera stretta. In semiotica questo percorso è
ancora tutto da intraprendere, a nostro avviso tesaurizzando il lascito di
Coseriu – la differenza fra norma e sistema; la parole come punto di par-
tenza; l’impersonalità dell’istanza di discorso.

4.1. Il valore dei segni


Il livello di pertinenza di una linguistica e, aggiungiamo noi, di una
semiotica delle norme, è per Rastier quello «retorico-ermeneutico», foca-
lizzato sulla «forza attiva della parole, vera origine dei fenomeni» (ibidem:
6), più che sulla langue. E parole e langue restano uniti grazie allo «spazio
delle norme», che campi discorsivi e generi fanno funzionare strategi-
camente all’interno dei testi (ibidem: 10). Questo spazio – parafrasando
Rastier – è come un continuum con soglie di tipo diverso. Richiede le
categorie della tensività, perché alcune norme sono imperative e si basano
Postfazione  137

su una logica deontica; altre sono condizioni meno perentorie e vincolanti,


prescrizioni negative oppure positive, regole anziché norme; altre ancora
sono permessi, concessioni, che implicano margini di manovra maggiori;
altre, infine, sono forme di influenza esplicita o celata.
Le norme che apprendiamo da bambini non sono automatismi privi di
significato. Benché le introiettiamo inconsapevolmente nell’entourage fa-
miliare, anche prima della scolarizzazione, esse fungono da strumenti di
vaglio del valore dei segni e delle rispettive valenze: veicolano valori e si
gerarchizzano in funzione di questi valori (ibidem: 17). A volte continuano
ad essere seguite anche quando il valore di riferimento è ormai tramon-
tato. La forza dell’abitudine sociale rende infatti una norma più o meno
inveterata. «La diacronia lenta la fa credere invariabile» (ibidem: 6). Lo
statuto epistemico che ha va allora messo in luce perché il suo potere, oltre
a essere costrittivo, è uniformante: agisce da mezzo di condizionamento
per modellare appartenenze, identità e prassi individuali. Secondo Rastier,
lo «spazio delle norme», insomma, è «l’anello mancante tra la langue e
la parole» (ibidem: 7), con una posta in gioco che è la traduzione a poter
sottolineare. Nella traduzione interlinguistica e intersemiotica si traspone
un sistema di norme in un altro, che non si conosce ancora e con cui si è
costretti a cimentarsi (ibidem: 13).
Alla dialettica scarto/norma, tipica della concezione informazionale
del discorso, subentra una visione dinamica, tensiva, nella quale calco-
lare i movimenti enunciativi collettivi e i gradi di presenza della norma,
se ascendente, come grandezza che emerge (dalla virtualizzazione all’at-
tualizzazione) o appare (dall’attualizzazione alla realizzazione), oppure
discendente, come grandezza in declino (dalla realizzazione alla poten-
zializzazione) o già scomparsa (dalla potenzializzazione alla virtualizza-
zione). Aderendo all’ipotesi di Fontanille e Zilberberg (1998: 138-139)
che nessuna di queste operazioni si presenta isolata, riproponiamo la loro
combinatoria. Quando un’apparizione si associa a una scomparsa si ha una
rivoluzione, ossia la sostituzione di una grandezza con un’altra; pensiamo,
in ambito artistico, alla commutazione dell’arte mimetica con l’arte astrat-
ta. Quando un’apparizione si associa a un declino c’è una fluttuazione,
ossia la compresenza di innovazione e tradizione, per esempio la nascita,
nel XX secolo, dei generi artistici dell’installazione, della performance,
della videoarte rispetto alla pittura. Quando un’emergenza si associa a un
declino c’è una distorsione, ossia l’affermazione di una grandezza mentre
un’altra va a scemare, come nel caso della statua senza o con piedistallo.
138  Postfazione

Quando un’emergenza si associa a una scomparsa c’è un rimaneggiamen-


to, ossia l’affermazione di una grandezza che si sovrappone gradualmente
a un’altra; qui si può citare il successo della postproduzione e dei ritocchi
digitali sulle riprese filmiche dal vivo.

Fig. 3. Operazioni della prassi enunciativa. Fontanille, Zilberberg (1998).

4.2. Il sentimento della norma


Una fruttuosa prospettiva di ricerca per la semiotica sta nella disami-
na delle implicazioni e modulazioni timiche, foriche e patemiche di cui
sono intrise le norme e le loro trasformazioni. Generalmente, nell’opinio-
ne comune e in estetica, la norma passa come disforica versus l’infrazio-
ne, che sarebbe euforica. Ma già Mukařovský ricordava che la norma è
invece «energia viva che, grazie alla multiformità delle sue espressioni,
organizza la sfera dei fenomeni estetici e fornisce la direzione di svilup-
po» (Mukařovský 1936, trad. it. 94). Un «senso dell’ordine» di cui si può
andare politicamente fieri e che dà «agio nello sconfermare», perché «la
proprietà di alcune forme di scatenare creazioni percettive è senz’altro
connessa alla nostra abitudine culturale a esse» (Gombrich 1979: 171).
L’innovazione, dal lato suo, se pensiamo ai vari ambiti della ricerca, è
la regola più che l’eccezione. Certo, ci sono periodi storici di esplosione
culturale, caratterizzati da una convergenza di invenzioni e di scoperte, da
fenomeni di imprevedibilità, alternati a momenti di assestamento cultura-
le, di prevedibile metabolizzazione e maturazione delle novità precedente-
mente introdotte (Lotman 1993). E in una medesima semiosfera la spinta
all’originalità può coabitare con la lotta alla stabilizzazione (ivi). Ma il
design, per esempio, o qualsiasi cultura del progetto, consistono nell’in-
novare, non creando ex nihilo, bensì prendendo spunto da pratiche d’uso
“dal basso”, per reinventarle, codificarle, istituzionalizzarle. Marrone e
Mangano (2010: 2) ricordano ad esempio il “cambio di passo” effettuato
nei percorsi di Giancarlo De Carlo ai Collegi studenteschi di Urbino: balla-
Postfazione  139

toi, scale, vialetti, corridoi labirintici che molti utilizzatori hanno preferito
evitare, calpestando le aiuole per trovare varchi alternativi, risparmiando
qualche metro e rompendo così schemi di comportamento più o meno co-
scienti. Progressivamente l’erba è sparita e si sono formati dei sentieri in
terra battuta che hanno incoraggiato questa tendenza, finché l’amministra-
zione non ha deciso di ammattonare quei sentieri, facilitando il cammino
ma indirettamente autorizzando il calpestio delle aiuole (ivi).
Si vede bene qui come una nuova pertinenza, che viene poi normata,
sia il frutto di un «apprezzamento collettivo», cioè di «alcune qualità attri-
buite di preferenza all’oggetto incontrato» (Hjelmslev 1954, trad. it.: 97)
e di un campo di forze nel quale la predilezione si scontra con quello che
potremmo chiamare un “vizio dell’identità” alla routine, e lo supera. Le
«intuizioni inedite» di cui parla Coseriu sono allora preziose, perché mo-
strano nelle prassi enunciative l’insussistenza dell’antinomia natura/cul-
tura, fra norme che attecchiscono e moti del corpo che le scalzano. Senza
regole non c’è gioco.
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riflessi
RIFLESSI
documenti di lavoro del centro internazionale
di scienze semiotiche dell’università degli studi di urbino carlo bo
DOCUMENTI DI LAVORO DEL CISS
NUOVA SERIE

. Dario M, Alvise M (a cura di)


La ricerca semiotica. Interventi dal II Simposio interdottorale del CISISM
Contributi di Tatsuma Padoan e Arpita Roy
 ----, formato  x  cm,  pagine,  euro

. Dario M, Alvise M (a cura di)


La ricerca semiotica. Interventi dal III Simposio interdottorale del CISISM
Contributi di Massimiliano Coviello e Giacomo Festi
 ----, formato  x  cm,  pagine,  euro

. Jacques G
Il logos del formato
Traduzione e postfazione di Tiziana Migliore
 ----, formato  x  cm,  pagine,  euro

. Algirdas Julien G


L’attualità del saussurismo
Prefazione di Paolo Fabbri, traduzione di Gianfranco Marrone
 ----, formato  x  cm,  pagine,  euro

. René T
Salienza e pregnanza
Nota introduttiva di Paolo Fabbri, postfazione di Giuseppe Bomprezzi, Vincenzo Fano, traduzione di
Luigi Zuccaro
 ----, formato  x  cm,  pagine,  euro

. Luis Jorge P


Il mito dell’originale
Introduzione di Paolo Fabbri
 ----, formato  x  cm,  pagine,  euro

. Paolo F (a cura di)


Fenomenologie del linguaggio. Omaggio a Émile Benveniste
Introduzione di Paolo Fabbri, postfazione di Francesco Marsciani
 ----, formato  x  cm,  pagine,  euro
. Bruno L
Piccola filosofia dell’enunciazione. Con una nota di Jacques Fontanille
 ----, formato  x  cm,  pagine,  euro

. Algirdas Julien G


Mitologiche. La semiosfera lituana
Postfazione e cura di Paolo Fabbri
 ----, formato  x  cm,  pagine,  euro

. Claude Z


Giardini e altri terreni sensibili. Sulle tracce delle forme di vita
a cura di Pierluigi Basso Fossali, postfazione di Paolo Fabbri
 ----, formato  x  cm,  pagine,  euro

11. Eugenio Coseriu


. Eugenio C
Sistema, norma ee parola
Sistema, norma parola
traduzione,postfazione
traduzione, postfazioneeacura
curadidiTiziana
TizianaMigliore,
Migliore,introduzione
introduzionedidiRossana
Rossanade
deAngelis
Angelis
isbn 979-12-5594-xxx-x, formato 17 x 24 cm, 152 pagine, 12 euro
 ---xxx-x, formato  x  cm,  pagine,  euro
Finito di stampare nel mese di novembre del 2021
dalla tipografia «System Graphic S.r.l.»
via di Torre Sant’Anastasia, 61 – 00134 Roma

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