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Michele Cortelazzo

LINGUE SPECIALI
la dimensione verticale

UNIPRESS
{]tudi LinéJuistici Applicati
Michele Cortelazzo

LINGUE SPECIALI
la dimensione verticale

seconda edizione

Studi Linguistici Applicati UNIPRESS


Copyright © 1994 by UNIPRESS s.a.s. - via Cesare Battisti 231 - 35121 Padova
::
Stampato da IMPRIMITUR s.n.c. - via Pietro Canal 13- 35137 Padova
nel mese di novembre 1994
all rights reserved

ISBN 88-8098-095-5
In questo volumetto sono raccolti quattro contributi apparsi anche in
altre sedi con questi titoli:
cap. I: Italienisch: Fachsprachen/Lingue speciali, in Lexikon der Ro­
manistischen Linguistik, IV (ltalienisch, Korsisch, Sardisch), a cura di
Giinter Holtus, Michael Metzeltin, Christian Schmitt, Tiibingen, Niemeyer,
1988, 246-255.
cap. /1: Sprachliche Varietaten und Wissenschaftssprache: Zur Verbrei­
tung wissenschaftlicher Kenntnisse in der Medizin, in Varietatenlinguistik
des Italienischen, a cura di Giinter Holtus e Edgar Radtke, Tiibingen, Narr,
1983, 117-133.
cap. III: Le istruzioni nei manuali per la formazione professionale, in
Testi e macchine, a cura di Carlo Serra Borneto, Milano, Franco Angeli,
1992, 233-262.
cap. IV: Wissenschaftssprache in der Schule. Beispiele aus dem italieni­
schen Schulsystem, in Wissenschaftssprache und Gesellschaft. Aspekte
der wissenschaftlichen Kommunikation und des Wissenstransfers in der
heutigen Zeit, a cura di Theo Bungarten, Hamburg, Akademion, /986,
319-332.
Tutti i contributi hanno subito qualche rimaneggiamento e qualche ag­
giornamento; in particolare molte parti del cap. IV sono state.completamen­
te riscritte. Le bibliografie dei singoli contributi sono state unificate in una
bibliografiafinale.
La presente edizione si differenzia dalla prima (Padova, Unipress, 1990)
per il miglioramento grafico, La correzione di alcuni errori, una piccola
modifica all'introduzione, qualche aggiornamento dei dati bibliografici,
L'aggiunta degli indici.
SOMMARIO

INTRODUZIONE p. 3

I
LE LINGUE SPECIALI
l. Definizione e denominazioni p. 7
2. Livelli di analisi p. 9
3. Livelli sociolinguistici p. 20
4. Storia delle lingue speciali p. 22
5. Lingue speciali e lingua comune p. 24

II
VARIETA' DELLA LINGUA E LINGUA SCIENTIFICA:
LA DIVULGAZIONE DELLE CONOSCENZE
SCIENTIFICHE NEL CAMPO MEDICO
1. Premessa p. 27
2. Variabilità linguistica e divulgazione scientifica p. 28
3. Il livello alto p. 30
4. Le pubblicazioni per operatori sanitari p. 34
5. La stampa di divulgazione p. 36
6. Conclusioni p. 40
Note p. 41

III
LE ISTRUZIONI NEI MANUALI PER LA
FORMAZIONE PROFESSIONALE
1. Là stratificazione sociolinguistica delle lingue p. 45
speciali e il genere istruzione
2. I manuali per la formazione professionale:
situazione d'uso p. 46
3. Contesto, testo, contenuti p. 48
4. La forma del testo p. 64
Note p. 77
IV
LINGUA SCIENTIFICA E SCUOLA. UNA PANORAMICA
l. Lingua scientifica, scuola, società p. 81
2. I programmi p, 82 <

3. Problemi di didattica della lingua scientifica p. 85


4. I libri di testo p. 88
5. Conclusione p. 96
Note 97

BIBLIOGRAFIA p. 101

INDICI
Indice dei nomi p. 109
Indice degli argomenti p. 113
Indice delle parole p. 117
INTRODUZIONE

Da tempo la ricerca sulle lingue speciali ha abbandonato l'iniziale


visione monolitica del proprio oggetto di studio e il correlato interesse
esclusivamente endolinguistico, orientato verso la descrizione delle carat­
teristiche lessicali e morfosintattiche delle lingue speciali nel loro com­
plesso (e verso la definizione del rapporto fra lingue speciali e lingua
comune, con lo spinoso problema della reciproca delimitazione). Ma una
volta che le analisi di produzioni testuali specialistiche hanno evidenziato
che i tratti tipici delle lingue speciali non si riscontrano in maniera unifor­
me in ogni testo tecnico, si è dovuto per forza di cose prendere in conside­
razione la varietà delle lingue speciali. Dapprima si è proceduto a
riconoscere un'articolazione orizzontale, differenziando l'analisi in rela­
zione alla varietà dei contenuti (quindi lingua della fisica vs lingua della
chimica vs lingua dell'economia ... ) e procedendo anche all'individuazione
di sotto-settori (ad es. distinguendo, nel campo della lingua dell'economia,
la lingua delle scienze economiche, quella delle transazioni economiche,
quella della borsa, quella del diritto economico ecc.; oppure, all'interno
della lingua della medicina, una lingua dell'anatomia, una della patologia,
una della farmacologia ecc.). Poi la differenziazione si è estesa in direzio­
ne della stratificazione verticale, sociolinguistica, secondo modelli sempre
più elaborati: da uno schema tripartito come quello di Ischreyt (1965), che
opponeva la wissenschaftliche Fachsprache, la Werkstattssprache, la Ver­
kii.ufersprache, a schemi addirittura a sei livelli quale, ad es., quello di
Anne-Marie Loffler-Laurian (1983), che differenzia il Discours scientifi­
que spécialisé, il Discours de semivulgarisation scientifique, il Discours de
vulgarisation scientifique, il Discours scientifique pédagogique, il Discours

3
de type mémoire, thèse etc. ed infine i Discours scientifiques officiels, solo
per citare due modelli posti a due estremi cronologici della riflessione
sull'argomento (per una rassegna di altri modelli si può far riferimento a
Fluck 19802 e Hoffmann 1985 2). E' importante notare, come ha fatto
Dardano (1987, 137-138), che la "scoperta" di una dimensione verticale
delle lingue speciali è dovuta principalmente all'attenzione riservata a due
forme di uso sociale di tali lingue, e precisamente la divulgazione e l'inse­
gnamento (anche se non va dimenticato che, fin dall'inizio, un peso di
rilievo ha la comunicazione tra "tecnico" e consumatore).
Anche in Italia la ricerca più recente si è rivolta allo studio della
diversificazione verticale delle lingue speciali, soprattutto nel campo della
divulgazione: principalmente ad opera di Maurizio Dardano e della sua
scuola si . sono iniziate a studiare le procedure di riformulazione e di
parafrasi utilizzate dalla stampa di divulgazione (Dardano/Giovanard.i/Pe­
lo 1988), ma anche quelle presenti in testi del passato con finalità divulga­
tive, diretti ad un pubblico più colto di quello cui attualmente si rivolge la
divulgazione, ma pur sempre non specialistico (Giovanardi 1987). Da par­
te sua Rovere (1988), occupandosi anch'egli di discorsi tecnici indirizzati
non esclusivamente ad un pubblico di tecnici, ha indagato la compenetra­
zione di sottocodici e registri diversi in un tipo specifico di questi discorsi,
le. annuali relazioni del Governatore della Banca d'Italia. Con questa
scelta, Rovere ha fatto propria un'altra istanza emersa nello studio della
variabilità verticale delle lingue speciali, e cioè quella di differenziare
l'analisi per tipi di testo. La stessa esigenza sta alla base del lavoro di un
altro gruppo di ricercatori, quello interuniversitario (Roma, Perugia, Pa­
dova) guidato da Carlo Serra Bometo, che ha studiato il genere testuale
delle istruzioni per l'uso: qui l'attenzione è stata rivolta non alla divulga­
zione, bensì ai rapporti tra produttore e consumatore.
Anche i lavori raccolti in questo volume si inseriscono nelle tendenze
della ricerca italiana appena delineate: l'interesse è rivolto alla divulgazio­
ne (nel secondo capitolo) e, quanto meno in forma contrastiva, alla comu­
nicazione produttore-consumatore (nel terzo capitolo, che pure si
riferisce primariamente a forme di istruzioni per l'uso utilizzate nella
scuola). Ma si è anche voluto dare voce ai problemi scolastici relativi alla
trasmissione di nozioni specialistiche o di abilità tecniche, e della relativa

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I
LE LINGUE SPECIALI

1. Definizione e denominazioni
Le varietà della lingua utilizzate in settori specifici della vita sociale e
professionale (secondo la formulazione, che assumo qui come definizione
provvisoria, di Berruto 1977, 14) sono denominate, nei non numerosissimi
studi italiani che le riguardano, con nomi diversi e non sempre sinonimi:
lingue speciali (a partire, almeno, da Devoto 1939a, b), con la variante
linguaggispeciali (soprattutto nelle sottospecificazioni linguaggioscientifi­
co, linguaggio.filosofico, linguaggiosportivo ecc., ma anche linguaggiogior­
nalistico, linguaggio pubblicitario, linguaggio televisivo); linguaggio tecnico
(ad es. Parisi 1962); sottocodice (Dardano 1973; Berruto 1974); linguaggio
settoriale (oggi prevalente nell'uso, anche nella variante linguaggiospecia­
listico-settoriale, da quando è stato utilizzato nel titolo del più noto volu­
me sull'argomento, Beccaria 1973); tecno/etto (Wandruszka/Paccagnella
1974); microlingua (Balboni 1982). A questa ,differenziazione terminologi­
ca non si accompagna sempre una chiara differenziazione definitoria,
anche perché, con poche eccezioni (fra cui Parisi 1962, 313; Berruto 1974,
68), mancano, negli studi sulle varietà della lingua di cui stiamo trattando,
definizioni esplicite delle categorie usate (si veda anche 1'ampia discussio­
ne· di Rovere 1989, 135-138, cl)e si occupa del rapporto, terminologico e
concettuale, tra sottocodice e registro.e rispettivi sinonimi); più spesso si
ricorre a esplicazioni per enumerazione o si fa implicito riferimento a
un'idea intuitiva di lingua speciale, che viene poi corroborata empirica­
mente dalle descrizioni e dalle analisi contenute negli studi stessi.

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Per delimitare l'oggetto di questo volume propongo la seguente defini­
zione (che deve molto a quella di Berruto 1974, 68): «per lingua speciale
si intende una varietà funzionale di una lingua naturale, dipendente da un
settore di conoscenze o da una sfera di attività specialistici, utilizzata,
nella sua interezza, da un gruppo di parlanti più ristretto della totalità dei
parlanti la lingua di cui quella speciale è una varietà, per soddisfare i
bisogni comunicativi (in primo luogo quelli referenziali) di quel settore
specialistico; la lingua speciale è costituita a livello lessicale da una serie di
corrispondenze aggiuntive rispetto a quelle generali e comuni della lingua
e a quello morfosintattico da un insieme di selezioni, ricorrenti con rego­
larità, all'interno dell'inventario di forme disponibili nella lingua».
Tra le denominazioni correnti ho optato per quella meno recente di
lingue speciali che può fra l'altro contare sul prestigioso precedente di
Saussure (1968, 32, con le riserve, tuttavia, del suo editore, De Mauro, in
Saussure 1968, 396, o, indirettamente, De Mauro 1971, 343); rispetto
all'oggi più diffuso linguaggi settoriali mi pare preferibile sia nel determi­
nante, sia nel determinato, sia anche nell'intero sintagma: lingua, rispetto
a linguaggio, limita la considerazione, conformemente alla prospettiva di
ricerca qui adottata, al codice verbale (escludendo altri sistemi di codifica­
zione, che pure si affiancano ad alcune lingue speciali: si pensi al codice
formalizzato della matematica o alle formule - sia quelle gregge sia quelle
°
di struttura - della chimica); speciale avvicina l'etichetta italiana a quelle
correnti in altre lingue (ingl. special languages, fr. langues de specialité, ma
non ted. Fachsprachen); l'intera denominazione risulta più restrittiva di
linguaggisettoriali che, sulla scia dei contenuti di B�ccaria (1973), com­
prende varie entità che ci pàre utile distinguere: le modalità d'uso della
lingua da parte dei mezzi di comunicazione di massa (su cui v. Cortelazzo
1988), quelle che qui vengono considerate lingue speciali, i gerghi.
Già la definizione, tuttavia, contiene gli elementi per distinguere que­
ste entità diverse: l'identificazione delle lingue speciali come varietà della
lingua, quindi come un insieme organico e unitario, permette di tenere
separate modalità d'uso della lingua di tipo eterogeneo, tali cioè che non
sia possibile determinarne proprietà costanti e comuni (ed è il caso della
lingua usata nei giornali, alla televisione, nella pubblicità, nella politica -
tutte forme che Dardano 1987 propone di denominare linguaggi di riuso);

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la focalizzazione primaria sull'ambito, specialistico, di conoscenze e di
attività da cui dipende l'uso delle lingue speciali, distingue queste ultime
dai gerghi, costitutivamente orientati verso i gruppi di parlanti che ne
sono portatori.

2. Livelli di analisi

2.1. Gerarchia di livelli


Per lungo tempo la ricerca sulle lingue speciali è stata ridotta a ricerca
(spesso anche con intenti normativi) sulle terminologie, o comunque sul
lessico; giustamente negli ultimi anni si è insistito sull'impossibilità di
ricondurre le lingue speciali al solo lessico ( «le lingue speciali senza I'in­
clusione della sintassi non sarebbero delle lingue, ma solo un assemblag­
gio di termini», Fluck 1980, 12). La morfosintassi e anche, come si vedrà, il
livello dell'organizzazione testuale sono essenziali a caratterizzare una
lingua speciale. Resta però il fatto che è il lessico a fornire elementi
distintivi che individuano una lingua speciale sia rispetto ad altre lingue
speciali sia rispetto alla lingua comune, trattandosi, nel caso della morfo­
sintassi, di ricorrenze statisticamente significative, ma non esclusive. Inol­
tre, soprattutto nelle lingue speciali più elaborate (per es. lingua
scientifica, lingua giuridica), fatti di registro (quasi sempre formale) e di
variazione diamesica (alcune lingue speciali sono di uso prevalentemente
scritto) si sovrappongono inestricabilmente alle caratteristiche della varie­
tà nel determinare le scelte morfosintattiche.

2.2. Lessico
2.2.J. Il lessico delle lingue speciali è composto, s'è detto (1.), da segni
aggiuntivi rispetto a quelli facenti parte della lingua comune, perché deve
essere in grado di rispondere alle esigenze di denominazione del settore di
attività �ui si riferisce, che sono più estese o più raffinate di quelle rappre­
sentate: per quel settore, dalla lingua comune: in un settore specialistico
di attività o di conoscenza si ha a che fare con oggetti o nozioni estranei
ali' esperienza comune (per es. le denominazioni delle particelle atomiche,
elettrone, protone, neutrone, adrone, bosone,fermione, leptone, muone ecc.,
che sfuggono all'osservazione quotidiana; oppure quelle relative all'infor-

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matica - da software e hardware a microprocessore, circuito integrato, file -
nate assieme al nuovo prodotto tecnologico da cui sono motivate); oppure
a livello specialistico si procede ad un'analisi di tipo più elaborato, rispetto
a quella del senso comune, di una porzione di realtà che pure è di dominio
comune: dalle denominazioni mediche di diverse malattie (per es. trachei­
te,faringite, laringitevs mal di gola; cefalea , emicrania vs mal di testa), alle
denominazioni giuridiche di molti reati - per es. quelle relative alle diverse
forme di omicidio (preterintenzionale, premeditato, volontario, colposo)
che presentano distinzioni non realizzate dalle corrispondenti parole della
lingua comune (uccisione, assassinio) o dai rispettivi verbi, più usuali nel
parlato quotidiano. L'ampiezza dei bisogni lessicali dei settori specialistici
può essere quantitativamente molto elevata, al punto che il lessico di una
lingua spe_ciale può essere più esteso di quello della lingua comune: secon­
do le stime di Migliorini (1961, 9) e di Porep/Steudel 1974 i termini della
chimica e della medicina ammontano, rispettivamente, a 300.000 e a
90.000 (170.000 se teniamo conto anche dei nomi dei medicamenti).
Questo dei bisogni lessicali, nonostante la sua genericità, è l'unico
tratto dotato di sufficiente generalità per distinguere il vocabolario delle
lingue speciali, nel loro insieme, da quello della lingua comune. Criteri
non più quantitativi, ma qualitativi, legati al «modo di significazione»
(cioè al particolare tipo di rapporto fra significato e significante, o fra
segno e referente), possono sì caratterizzare alcune lingue speciali rispet­
to alla lingua comune, ma le differenziano anche da altre lingue speciali.
E' il caso del rapporto biunivoco fra significato e significante che caratte­
rizza quelle lingue speciali formate da termini in senso stretto (De Mauro
1971, 350-351). Certamente le lingue speciali formate da termini si diffe­
renziano in maniera profonda, da diversi punti di vista, dalla lingua comu­
ne: l'esigenza di massima individuazione prevale sulla legge del minimo
sforzo (e questo spiega, tra l'altro, l'enorme espansione quantitativa di cui
si diceva); il rapporto biunivoco fra significato e significante esclude rela­
zioni semantiche essenziali per la lingua comune, e per il suo buon funzio­
namento, come la sinonimia e la polisemia; questo tipo di rapporto (cui si
affianca, sul piano esterno alla lingua, l'omogeneità e la relativa ristrettez­
za della cerchia dei parlanti) da una parte richiede, e dall'altra permette,
l'esistenza di enti deputati a stabilire una norma terminologica unificata,

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che eviti la concorrenza di sinonimi o la formazione di polisemia (sicché le
lingue tecniche e scientifiche sono incommensurabilmente più regolate di
quanto sia, o possa essere, la lingua comune). Ma non tutte le lingue
speciali sono strutturate in questo modo: si pensi alla lingua del calcio,
nella quale la compresenza (storicamente ben spiegabile) di serie di sino­
nimi, denotativamente identici, l'una di base inglese, l'altra di base italiana
(corner vs (calcio d') angolo, goal vs rete, penalty vs (calcio di) rigore e
anche vs tiro degli undici metri, cross vs traversone: cfr. Medici 1965), non
mette in discussione né la sua natura di lingua speciale, né la sua funziona­
lità; così come, nel campo dei cosiddetti beni culturali, l'intrecciarsi (emer­
so come problema nel momento della catalogazione nazionale
computerizzata) di sinonimi (corrispondenti a strati geolinguisticamente e
storico-linguisticamente diversi) o di unità polisemiche, non è sufficiente
per negare al lessico ad es. delle arti minori il carattere di lessico speciale
( cfr. Bemardini 1981/1982; Fileti 1979; Cantini-Guidotti 1981: v. ad es. la
concorrenza di paramento ,fornimento e parato 'insieme dei pezzi di cuoio
che omano una stanza', in inventari toscani e urbinati intorno al XVI sec.
(Scalia 1981, 361), o la polisemia di piattello, come appare dal Battaglia,
che documenta, oltre al generico significato diminutivale, i valori di 'piatto
di portata', 'conca, bacile', 'piatto piano (in opposizione alla scodella, al
piatto fondo)', ma anche proprio 'scodella'). Ma ancora più indicativo è il
caso della lingu-a giuridica, nella qualè la vaghezza di molti termini (legata
all'indeterminatezza del legame tra senso e referente) non solo non mette
in discussione l'esistenza di una lingua giuridica come lingua speciale, ma
è condizione fondamentale di funzionamento dei testi giuridici (testi che
si propongono una durata relativamente lunga nel tempo, superiore a
quella dei mutamenti di costume e di coscienza collettiva che possono far
mutare l'interpretazione dell'ambito di applicabilità della legge - per con­
clusioni analoghe, sviluppate ad ·altri livelli di analisi, cfr. Metzeltin 1987;
sui problemi della costituzione della tenninologia giuridica italiana e
dell'interpretazione, cfr. De Mauro 1963, 424-435, e Lazzaro I 981)_
Infine, non si dimentichi che la stessa rigorosità semantica della lingua
scientifica vale solo con precise restrizioni (vale cioè in ambito stretta­
mente sincronico e all'interno di una stessa scuola di pensiero; o, detto in
termini più linguistici, è verificabile con certezza all'interno di un testo e

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non necessariamente all'interno di un corpus di testi) e che lo stesso
lavoro degli enti di uniformazione terminologica indica che quello della
univocità è un ideale non sempre realizzato nella pratica (per es. cfr. il
permanere di doppioni in ambito medico: Serianni 1985, 283 n. 103; Vitali
1983,187).
Infine: essenziali ad una lingua speciale (al punto che Serianni 1985 li
ha utilizzati per verificare il momento di tecnificazione della lingua medi­
ca) sono i tecnicismi collaterali ( «particòlari espressioni stereotipiche, non
necessarie, a rigore, alle esigenze della denotatività scientifica, ma preferi­
te per la loro connotazione tecnica», Serianni 1985, 270: per es. in medici­
na: «il paziente accusa un dolore», «il farmaco di elezione per l'emicrania
è l'ergotamina», «la parotite può esitare in pancreatite»; nella lingua am­
ministrativa: «il governo ha stanziato una determinata somma», «il sindaco
ha emesso un'ordinanza»). I tecnicismi collaterali non rispondono certo a
quelle esigenze di massima individuazione che stanno alla base della biu­
nivocità del rapporto significato-significante.

2.2.2. Per formare l'inventario di parole che sono loro necessarie, le


lingue speciali non si avvalgono di procedimenti diversi da quelli della
lingua comune: rideterminazione semantica di parole del lessico generale
(o di altre lingue speciali), prestiti o calchi da lingue straniere, neoforrna­
ziÒni derivazionali o composizionali. Neoformazioni assolute, cioè parole
create ex novo, sono rarissime (anche volendo considerare come tali paro­
le che utilizzano come fonte, con consistente mutamento semantico, paro­
le delle lingue classiche: ad e�. clone in biologia 'complesso di cellule o di
organismi omogenei che derivano per riproduzione agamica da una singo­
la cellula od organismo', che trae lo spunto dal gr. KÀIDV 'germoglio'). Si
può dunque concludere che i mezzi a disposizione delle lingue naturali
per l' accrescimento del lessico si dimostrano sufficienti per soddisfare le
necessità denominative, per quanto estese, delle lingue speciali.·
La categoria che pervade di sé tutte le altre è certamente il forestieri­
smo. In tutti i tempi (e oggi ancor più che nel passato) le lingue speciali
sono state caratterizzate da una circolazione internazionale delle termino­
logie sia attraverso l'uso di un'unica lingua di comunicazione (oggi l'ingle­
se, un tempo il latino), sia attraverso le traduzioni. L'influsso delle lingue

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straniere si realizza prima di tutto nei prestiti formali, nei prestiti semanti­
ci e nei calchi, gli ultimi due non sempre distinguibili, né distinti nella
coscienza dei parlanti, da mutamenti semantici e combinazioni sintagmati­
che prodotte all'interno dell'italiano (esemplificando con l'informatica, si
può trattare di prestiti formali come file 'archivio', prestiti semantici come
memoria 'parte del calcolatore che registra e conserva le informazioni',
calchi come banca dati 'archivio'). Ma anche i composti e i derivati (nei
quali gli elementi derivazionali e compositivi, tratti in gran parte dalle
lingue classiche per via dotta, sono comuni alle lingue di cultura), gli
acronimi e le sigle (molte delle quali si possono spiegare solo a partire da
parole o sintagmi stranieri), le denominazioni eponime mostrano in molti
casi l'influsso di una lingua straniera. Questa compenetrazione di forestie­
rismi e di procedimenti di formazione delle parole comuni a molte lingue,
la diffusione delle stesse parole in molte lingue di cultura, tutt'al più con
qualche adattamento alla morfologia della singola lingua, nonché la diffi­
coltà di determinare (sia con criteri formali che con criteri cronologici) la
lingua che ha costituito il tramite per la diffusione delle singole parole,
fanno sì che appaia più adeguato parlare di internazionalismi e considera­
re questa categoria come quella dominante nell'arricchimento lessicale
delle lingue speciali.
Sia che si tratti di internazionalismi, sia che si tratti di parole formatesi
all'interno dell'italiano, i procedimenti su cui si fonda la creazione di
parole tecniche sono i seguenti:

(1) rideterrninazione semantica di unità appartenenti alla lingua comune


(per es. nodo 'unità di misura della velocità in mare' nel lessico della
marina; rete 'goal' in quello del calcio; segno in linguistica; massa, forza,
potenza in fisica); oppure

(la) rideterminazione semantica di unità appartenenti ad altre lingue spe­


ciali (in astrofisica: dall'economia inflazionistico, in riferimento ad una
delle teorie della formazione dell'universo; dalla medicina, collasso 'rapi­
da contrazione di stelle dovuta al prevalere delle forze· di gravità su quelle
di pressione');

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(2) neoformazioni per derivazione o per composizione, che utilizzano sia
morfemi derivativi della lingua comune sia morfemi derivativi ed elementi
compositivi esclusivi delle lingue speciali (cfr. 2.3.);

(3) acronimi, sigle e simboli, che spesso acquistano autonomia rispetto ai


sintagmi di cui sono abbreviazione e si comportano come unità lessicali
(trasferendosi ad es. come prestiti da una lingua all'altra: tipico il caso di
laser, radar, sonar, in italiano non analizzabili come acronimi e semmai
sentiti come forestierismi per la loro struttura fonica);

(4) derivati e sintagmi eponimi, forma particolare della facoltà della lingua
di trasferire unità dalla categoria del nome proprio a quella del nome
comune. �egnaliamo la semplice transcategorizzazione (newton, unità di
misura di forza); la formazione di derivati (in mineralogia: bentonite , men­
delevite ecc.); la costituzione di unità lessicali superiori (teorema di Pitago­
ra, morbo di Parkinson).

I procedimenti qui elencati possono anche concorrere simultaneamen­


te alla formazione di una parola tecnica (si può citare ad es. la già ricorda­
ta unione di eponimia e derivazione in bentonite ecc.).
_Dei mezzi di accrescimento lessicale sopra elencati, solo l'uso di acro­
nimi e sigle e la loro lessicalizzazione (con ulteriore produttività deriva­
zionale) paiono esclusivi delle lingue speciali, dalle quali forme e
procedimento possono poi essersi irradiati nella lingua comune. Nondi­
meno è possibile individuar�, anche in campo lessicale, differenze fra
lingue speciali e lingua comune, e fra le stesse lingue speciali (anche
prescindendo dall'inventario lessicale che risulta dall'utilizzo dei mezzi
descritti, diverso, nel suo complesso, in ogni lingua speciale). I fattori di
differenziazione possono essere la produttività particolarmente alta di
uno dei procedimenti citati; il materiale di base utilizzato; la funzione o la
motivazione cui risponde uno dei mezzi di allargamento del lessico. Così,
se anche nella lingua comune esistono alcuni sintagmi formati da nome
comune e nome proprio (letto di Procuste, spada di Damocle, supplizio di
Tantalo, che hanno acquistato tutti un senso figurato), la presenza di
unità superficialmente analoghe nelle lingue delle scienze, soprattutto

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della medicina, ha rilevanza quantitativa molto superiore (basti rinviare a
un dizionario degli eponimi, come Sterpellone 1976) e risponde a motiva­
zioni che stanno alla base dell'intera costituzione di tali lingue speciali
(riduzionè della possibilità di associare il termine a parole non apparte­
nenti al campo di cui esso viene a far parte, e quindi legame più stretto e
diretto con la definizione convenzionale di cui è sinonimo). Oppure i tipi
di derivazione prefissale e suffissale delle lingue di alcune sèienze utilizza­
no materiale compositivo estraneo alla lingua comune e vengono utilizzati
con la tipica finalità di costituire microsistemi rigidamente regolati, nei
quali i rapporti semantici tra i termini, e tra le loro parti, riflettono i criteri
costitutivi della tassonomia di cui sono espressione linguistica (per es. in
botanica le opposizioni tra -ali, -acee, -idee corrispondono, rispettivamen­
te, alle distinzioni tra ordini, famiglie e sottofamiglie: rosa/i, rosacee, po­
moidee ).

2.3. Morfologia lessicale


Fra i tratti citati in 2.2.1. merita una considerazione particolare, per il
livello non solamente lessicale al quale si situa, quello relativo alla deriva­
zione e alla composizione.
Una parte dei derivati appartenenti alle lingue speciali utilizza morfe­
mi derivativi della lingua comune (esempi: nomi deverbali senza suffisso,
specialmente nel lessico amministrativo: inoltro, esubero, scorporo; dever­
bali in -aggioe in -tore/-trice (questi ultimi caratterizzati dalla presenza del
tratto [-umano]) nella lingua della tecnica: rispettivamente alaggio, alesag­
gio, carotaggio, missaggio e trasformatore, amplificatore , sintonizzatore,
trebbiatrice, lavatrice, fresatrice, cfr. Dardano 1978, 44, 46, 51-52 e, per
altri suffissi, 29, 35, 46-47, 52-53, 57, 63, 68, 73, 75, 76, 78): la frequenza di
derivati di questo genere (per la maggior parte nomi) si spiega con l'im­
portanza de1Ia nominalizzazione nelle lingue speciali (cfr. 2.4.). �ncor più
signifi�ativi sono quei derivati che utilizzano suffissi o prefissi esclusivi
delle lingue speciali (come emi- o -orna in medicina: emiparesi, emiplegia;
adenoma, mieloma ecc.; per un più ampio inventario cfr. Dardano 1978,
122-128) o affissi che, pur omofoni di prefissi o suffissi della lingua comu­
ne (e spesso derivati da essi), acquistano, con l'inserimento in un sistema
derivativo rigidamente normato, un valore semantico diverso e rigorosa-

15
mente determinato (per es. -oso in chimica, che designa i composti di un
elemento elettropositivo quando la sua valenza è più bassa, caratterizzan­
dosi per opposizione a -ico, che designa i composti dello stesso elemento
quando la sua valenza è più alta: cloruro ferroso vs cloruroferrico).
A rendere produttiva nelle lingue speciali la neologia per derivazione
stanno diversi fattori: la possibilità dì creare, con un numero limitato di
elementi, un vasto numero di denominazioni; la stretta coerenza del mi­
crosistema che si viene così a creare, tenuto insieme sia dalla rete dei
rapporti semantici, sia dall'inserimento di ogni elemento in una serie para­
digmatica omogenea; l'incremento della motivazione del significante, dal
momento che il significato del termine è prevedibile a partire dalle partì
che lo compongono. Non c'è da stupirsi, quindi, se l'inventario degli affissi
delle lingue speciali è aperto e in costante aumento (in genere attraverso
l'interpretàzione come suffisso della parte finale di una parola: per es.
-trone, da elettrone: betatrone, bevatrone, ciclotrone, sincrotrone; -one da
protone: bosone,fotone, kaone, mesone, pione; -onica da elettronica: agro­
nica, avionica, bionica).
Motivazioni analoghe spiegano il grande sviluppo che nelle lingue spe­
ciali hanno i composti nominali, generalmente a base allogena, nei quali
gli elementi compositivi tendono a comportarsi da elementi derivativi (per
es. elio-: eliofobia, eliosfera, elioterapia, eliotropia ecc.; -ernia: leucemia,
setticemia; cfr. Dardano 1978, 154-169, 177-178, 186-188, 190-193, e Mi­
gliorini 1941). Di tali composti va notata, perché innovativa rispetto alle
regole tradizionali dell'italiano, l'ordine determinante-determinato dei
suoi componenti (al quale contribuisce l'influsso sia del greco, sia dell'in­
glese, modelli di tali composti), la possibilità di far entrare in composizio­
ne più di due elementi (per es. epatocolangioenterostomia, calcosilografia,
otorinolaringoiatra), la mancata grammaticalizzazione del rapporto fra gli
elementi compositivi (eliofobia vs paura ossessiva del sole; elioterapia vs
terapia mediante (?) il sole). Caratteristica, quest'ultima, che i· composti
hanno in comune con unità lessicali superiori o con giustapposti nominali
non (ancora) stabilizzati di cui sono ricche le lingue speciali (per es.
rapporto costi-benefici, requisiti ingresso-uscita, scambio alogeno-metallo ,
resistenza d'attrito scafo-acqua: Altieri Biagi 1974, 77-78, oppure sistema

16
remore-incentivi, rapporto costo-opportunità, spirale prezzi-salari, meccani -
smo profitti-investimenti).

2.4. Morfosintassi
Il tratto sintattico più rilevante delle lingue speciali, e in particolar
modo delle lingue tecnico-scientifiche, è il depotenziamento del ruolo del
verbo e il corrispondente potenziamento del ruolo del nome. Concorrono
in questa direzione fatti semantici e morfosintattici che (principalmente
sulla scia di Altieri Biagi 1974) si possono così sintetizzare:
(1) riduzione dei tempi, modi, persone verbali, con schiacciante preva­
lenza della terza persona dell'indicativo presente (anche al passivo e
all'impersonale);
(2) frequenza di forme nominali del verbo, sia quando queste manten­
gono il loro valore verbale (imprese richiedenti credito, paesi emittenti le
valute, Rovere 1989, 244), sia in usi ormai cristallizzati (come dato + sost.
nelle scienze matematiche: «dati due punti qualsiasi A, A' esiste una
traslazione in cui si corrispondono», o stante + sost. nella lingua della
burocrazia e dell'economia);
(3) uso di una rosa piuttosto ristretta di verbi, ricorrenti con alta fre­
quenza, semanticamente generici o polivalenti (essere, avvenire, compor­
tare, consistere, dipendere, esistere, rappresentare, riferirsi ecc.); tali verbi
ricorrono per Io più in sintagmi formati da un verbo più un sostantivo, nei
quali il nucleo semantico è costituito dalla parte sostantivale: giungere a
ebollizione, sottoporre a pressione, esercitare un 'azione, avere origine, trova­
re applicazione;
(4) frequenza di nominalizzazioni (con nomina actionis che stanno al
posto di frasi verbali: «l'eliminazione del silicio avviene tramite l'introdu­
zione nel bagno liquido di elementi ossidanti»; «dopo l'accensione, verifi­
care per qualche minuto il regolare funzionamento dell'apparecchio») e,
in certi_ tipi di testo (per es. referti medici), frequenza di frasi nominali,
con completa assenza del verbo - un esempio ottocentesco (cit. da Serian­
ni 1985, 279):

Senso forte di dolore, ed eccessivo calore alla regione epigastrica;


insoffribile smania, e gelo all'estremità. Cambiamento marcato de'

17
tratti della fisionomia, color livido della faccia, stimolo a vomitare e
vomito; diarrea acquosa e biancastra, orina soppressa, tensione del
ventre, leggieri crampi alle polpe delle gambe, estremo abbandono
delle forze.

La rilevanza della nominalizzazione nella lingua tecnico-scientifico vie­


ne confermata dalla storia del lessico, dove ci troviamo spesso di fronte a
nomina actionis attestati prima della loro virtuale base derivativa (qualche
esempio scelto a caso: depolimerizz.azione è databile al 1956, depolimeriz­
zare solo al 1970; proletaria.are, del 1922, è attestato più di un decennio
dopo di proletarizzazione, che è anteriore al 1909; ozonizz.are è del 1950,
ma ozonizz.azione del 1908; traslitterare del 1961, ma traslitterazione del
189l;parkerizzaredel 1963, maparkerizzazione del 1942, e così via).
Tutte le caratteristiche mmfosintattiche qui citate rispondono contem­
poraneamente a due esigenze, una semantica e una sintattica, di molte
lingue speciali: la deagentivizzazione e la condensazione. Il primo aspetto
è strettamente legato all'orientamento delle lingue speciali sugli oggetti,
sugli eventi, sui processi, soprattutto nella loro astrattezza, generalizzabi­
lità, atemporalità, e non sull'agente (di qui anche la frequenza di passivi
bipartiti, cioè senza l'indicazione della causa o dell'agente); il secondo,
che si realizza principalmente attraverso l'uso di frasi implicite (cioè col
verbo nelle sue forme nominali) e attraverso la nominalizzazione, è
espressione di quella tendenza all'economia che abbiamo già visto agire
ad altri livelli (ad es. nell'assenza di funzionali subordinanti in composti e
giustapposti nominali).
Su un altro piano, quello dell'ordine delle parole, manchiamo di inda­
gini per trarre delle ipotesi certe; l'impressione è, tuttavia, che si possa
confermare l'osservazione fatta, per il tedesco, da von Hahn (1980, 394),
di una stretta successione di tema e rema. A conferma valga l'accenno di
Altieri Biagi (1974, 86) sul rispetto, nelle lingue delle scienze, delle «nor­
me più frequenti, e quindi più "normali" della lingua italiana» in fatto di
collocazione delle parole nella frase (con la suggestiva interpretazione
che ciò sarebbe dovuto all'esigenza di non turbare, con ordini «speciali»,
la comunicazione assolutamente referenziale richiesta dalle scienze). Da
qui un'ulteriore spiegazione della relativa frequenza di passivi, che per-

18
mettono di tematizzare l'oggetto espresso dal verbo, senza rompere l'ordi­
ne canonico soggetto - verbo - (oggetto) dell'italiano (come avverrebbe,
invece, con equipollenti forme di dislocazione dell'oggetto in frasi attive).

2.5. Organizzazione testuale

Benché studiato poco e frammentariamente, il piano testuale pare


essere, dopo quello lessicale, il livello che più differenzia le 'lingue speciali
sia tra di loro, sia nei confronti della lingua comune, sia anche nei con­
fronti delle lingue speciali straniere. Si è già accennato, a proposito della
nominalizzazione, alla rilevanza del tipo di testo per la presenza di questo
tratto tipico delle lingue speciali; ed è esperienza comune che alcuni testi,
anche in assenza di tratti lessicali o morfosintattici particolari, si caratte­
rizzano come testi speciali (Fachtexte) proprio in virtù della loro organiz­
zazione- testuale, che segue schemi vincolanti e come tali altamente
prevedibili (si veda ad es. una legge come quella riportata in Sabatini
1984, 587-588, sostanzialmente povera di tratti lessicali speciali, che deve
alla codificata organizzazione sintattica e semantica del testo e alla esplici­
ta intertestualità, il riconoscimento quale testo speciale). Elementi de­
scrittivi, ma anche indicazioni metodologiche e teoriche importanti, sono
emersi da una ricerca su un genere testuale specificamente tecnico, quali
le istruzioni per l'uso, per cui si rimanda a Serra Bometo (1992).
La specificità di ogni lingua (e tradizione culturale) nazionale nell' or­
ganizzare la testualità nei testi speciali è dimostrata dall'indagine di Gi­
slimberti (1987) sulle forme di coesione e coerenza testuale che
esprimono i rapporti di causalità in commenti di economia apparsi in
giornali tedeschi e italiani: mentre nei primi prevale l'assenza di segnala­
zione superficiale della causalità (la ricostruzione del rapporto frasale è
lasciato, quindi, alla competenza extratestuale del lettore e alle sue capa­
cità di inferenza), nei testi italiani prevale la segnalazione per mezzo di
operatori frasali. L'estensione di rilevazioni di questo genere a testi di altri
settori disciplinari e a generi testuali più tipici di quanto non lo siano
quelli giornalistici, permetterebbe di dare un sostegno empiricamente
fondato alle differenze che si colgono alla lettura di testi di specialità
diverse, e a testi specialistici scritti in lingue naturali diverse.

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3. Livelli sociolinguistici
Le descrizioni presentate fin qui fanno riferimento alle lingue speciali
in senso stretto o, per meglio dire, al loro livello alto (seguendo le catego­
rie di von Hahn 1980, che si rifà a Ischreyt 1965: Theoriesprache). Le
realizzazioni più tipiche di questo livello si pongono nella comunicazione
tra esperti, in forma scritta (o in un orale altamente formale e prepianifi­
cato, quando non si tratti di semplice lettura di testi scritti). La distanza
dalla lingua comune è massima; spesso la distanziazione è volutamente
cercata, soprattutto nel lessico, per evitare possibili fraintendimenti o
l'introduzione di indesiderate associazioni con tratti di significato presenti
in parole della lingua comune (questo spiega la predilezione per forestie­
rismi, derivati o composti a base allogena, acronimi, eponimi, che riduco­
no al minimo i rapporti semantici con il lessico comune).
Nelle lingue speciali si possono riconoscere almeno altri due livelli:
quelli che si realizzano, rispettivamente, nella comunicazione diretta tra
tecnici e nella divulgazione (comprendendovi anche la didattica).
Il primo di questi livelli (fachliche Umgangssprache) è caratterizzato
dal contatto linguistico diretto tra i parlanti e da una realizzazione preva­
lentemente orale (ma se ne hanno anche forme scritte negli appunti a
circolazione interna, nelle ordinazioni o prescrizioni parimenti ad uso
interno ecc.). La presenza di un contesto situazionale comune, oltre che
di ampie conoscenze enciclopediche comuni, permette una grande econo­
mia verbale. Si riscontrano quindi, oltre alle caratteristiche generali della
comunicazione informale, delle caratteristiche specifiche, relative al lessi­
co speciale: formulazioni linguistiche abbreviate (ad es. i bianchi invece di
globuli bianchi), uso ancora più ampio di sigle, enunciazioni mistilingui (in
genere lessico straniero, morfologia italiana) quando la terminologia sia a
base straniera (per es. nell'informatica). Non mancano tratti almeno origi­
nariamente affettivi o eufemistici: Bruni (1984, 129-130) ha giustamente
segnalato l'uso di diminutivi nella lingua della burocrazia (Letterina, do­
mandina , firmetta), che possono anche lessicalizzarsi (per es. cedolino, o
cedolino-stipendi per la distinta delle competenze mensili oppure patenti -
no 'certificato attestante, in Alto Adige-Siidtirol, la conoscenza sia
dell'italiano sia del tedesco, necessario per ricoprire posti pubblici').

20
Il secondo di questi livelli (Verteilersprache) si realizza, in forme par­
zialmente diverse, nel contatto fra esperto e profano (per es. medico-pa­
ziente, venditore di oggetti tecnici-cliente, burocrate-cittadino ecc.), nella
divulgazione attraverso i mass media, nella didattica; ogni volta, cioè, che
si tratti di comunicare a proposito di argomenti tecnici con parlanti che
non dominano (o dominano parzialmente) la lingua speciale. Nel livello
divulgativo la lingua speciale perde alcune delle proprie caratteristiche, si
avvicina alla lingua comune, utilizza la lingua comune come metalingua:
sul piano lessicale ciò si verifica con la sostituzione di parole dei lessici
speciali con parole del lessico generale o con perifrasi, anche se non
completamente equivalenti alle parole tecniche corrispondenti; con l'ac­
coppiamento della parola tecnica con una glossa o una parafrasi in lingua
comune; con la spiegazione di concetti tecnici per mezzo di metafore o
analogie (su alcuni di questi mezzi v. Dardano/Giovanardi/Pelo 1988); sul
piano sintattico-testuale è stato notato un uso più variegato delle forme
verbali; una minore prevedibilità dell'organizzazione testuale; una mag­
giore presenza di espressioni modali (Pozzo 1983, 100 n. 9). Caratteristi­
che analoghe presentano i testi didattici, nei quali l'allontanamento dai
tratti tipici delle lingue speciali non riguarda tanto il piano lessicale (dal
momento che uno degli obiettivi di un insegnamento specialistico è anche
quello di trasmettere la terminologia relativa) ma piuttosto il piano testua­
le (Pozzo 1983, 102-106 e qui, cap. IV).
In Italia l'assenza di una lunga tradizione divulgativa, cui si contrappo­
ne oggi un'intensa attività, soprattutto giornalistica, di divulgazione dei
più diversi settori specialistici (dalla medicina alla tecnica, dalle scienze
all'economia), fa del livello divulgativo delle lingue speciali e delle sue
manchevolezze uno dei temi più dibattuti (Atti 1982, 1983), anche se non
ancora sufficientemente studiato (ma v. Altieri Biagi 1980 e qui, cap. II).
Si può concludere che, nonostante l'aumentato impegno di diffusione
delle conoscenze specialistiche, le barriere linguistiche inerenti ·a11a ineli­
minabile diversità fra lingue speciali e lingua comune sono ancora ben
lontane dall'essere abbattute. Alcuni esperti continuano a servirsi di tali
barriere per marcare la loro appartenenza ad una categoria specializzata o
per circoscrivere la comprensione dei loro messaggi alla propria categoria.
E' in questi casi che la lingua speciale diventa, a tutti gli effetti, gergo: ma

21
si tratta di una utilizzazione distorta di una varietà di lingua che primaria­
mente ha caratteristiche radicalmente diverse dai gerghi.

4. Storia delle lingue speciali


Nonostante che il polarizzarsi degli studi di storia della lingua italiana
verso la lingua letteraria non .ci permettano di disegnare un profilo com­
plessivo della storia delle lingue speciali, gli studi degli ultimi anni (e corre
l'obbligo di ricordare fin d'ora l'attività di M. L. Altieri Biagi) consentono
tuttavia di accennare ai processi di formazione di alcune di esse. Si deli­
neano storie diverse per le diverse lingue speciali; ma alcuni elementi
sono comuni: il rapporto con il latino, come lingua della comunicazione
specialistica (il suo abbandono è condizione preliminare se non per il
formarsi, certo per l'affermarsi di una lingua speciale autonoma e organi­
ca); il rapporto con le nomenclature di arti e mestieri, generalmente a
base regionale; la ricerca di un serbatoio privilegiato cui attingere per i
bisogni lessicali, individuato di volta in volta nella lingua comune, nelle
lingue regionali, nelle lingue straniere o in quelle classiche; i tempi, che
vedono nel Sei e Settecento il periodo di incubazione e di scelta dei criteri
di costituzione di molte lingue speciali, e al più tardi nell'Ottocento l'epo­
ca del loro stabilizzarsi.
Bastino tre casi diversi. Il più noto, e il più emblematico perché ricco
anche di consapevolezza teorica, è dato dalla costituzione della lingua
della fisica sperimentale da parte di Galileo: maturata la scelta di rinuncia­
re ad una lingua di comunicazione internazionale come il latino, troppo
compromessa con la terminologia scolastico-aristotelica rispetto alla quale
la concezione galileiana si poneva in antitesi, evita anche il pur consolida­
to lessico volgare delle arti meccaniche, inadatto sia ai contenuti (teorici e
non pratici) che doveva esprimere, sia al pubblico colto cui doveva rivol­
gersi; si orienta verso un livello medio-alto di lingua comune, <falla quale
trae, rideterminandolo semanticamente ed eliminandone i sinonimi, il ma­
teriale lessicale per la sua terminologia (forza, resistenza, momento, mac­
chie solari, pendolo), aprendo così una strada che ha differenziato per
lungo tempo la lingua della fisica da quella di altre scienze.

22
Precedente (del Due e Trecento) è la prima istituzionalizzazione di
una lingua della medicina in volgare (Altieri Biagi 1970, 29), ma il proces­
so di affermazione del volgare e di tecnificazione della lingua medica in
Italia è assai lento; anche in questo settore è nel Seicento che si incontra­
no le maggiori personalità dotate di coscienza e maturità linguistica, impe­
gnate a favore del volgare (Malpighi: cfr. Altieri Biagi 1966) e inizia (con
la semplificazione della terminologia anatomica effettuata dal Redi, cfr.
Altieri Biagi 1968) la sistemazione del suo lessico in terminologia istituzio­
nalizzata, per arrivare solo fra Sette e Ottocento a fissarsi in lingua specia­
le, con un lessico stabile e pressoché privo di sinonimi concorrenti
(Serianni 1985).
Nel campo della lingua economica è il Settecento a costituire una
svolta: si sostituisce o ridetermina la vecchia terminologia mercantile e si
costruiscono le basi della lingua economica (in particolare dell'economia
politica), muovendosi nella doppia direzione del francesismo, o dell'euro­
peismo, per quel che riguarda il lessico astratto e teorico, e del regionali­
smo, per quel che riguarda i nomi di merci, istituzioni, consuetudini
giuridiche (per cui se è generale, negli economisti del Settecento, l'uso di
termini come valore o produzione, .più diversificati e regionalmente deter­
minati sono i termini per indicare, ad es., l'imposizione dall'alto dei prezzi,
dove il generale tariffe è in concorrenza con il settentrionale calmiere, il
lombardo meta o i napoletani assisa o voce; cfr. Folena 1983, 39-54 e
67-86).
Di rilievo è anche il ruolo svolto dalle lingue speciali per l'evoluzione
delle strutture dell'italiano. Già Devoto (19�3, 104) aveva notato che la
semplificazione sintattica e il diffondersi di un ordine lineare nel Sette­
cento deve sì molto all'influsso francese, ma si innesta su una tradizione di
chiarezza e di linearità sintattica che da Galileo era proseguita in maniera
ininterrotta nella prosa scientifica dei galileiani. Durante (1981, 188-190)
può retrodatare al Cinque e Seicento e attribuire ancora una volta a
Galileo e ai galileiani alcuni costrutti innovativi, oggi del tutto normali
nella lingua comune, come: nominalizzazione con assunzione da parte del
nome della reggenza sintattica del verbo finito (il ritorno del proietto alla
circonferenza, ma il discostamento del proietto dalla circonferenza); sintag­
mi costituiti da nome più due attributi collegati per asindeto, il secondo

23
dei quali- specifica il significato del primo (il prisma triangolare cristallino);
sintagmi costituiti da nome + nomen agentis in funzione di attributo (lo
strumento percotitore); l'associazione di un avverbio di modo e di un agget­
tivo (una conversione parimente annua). Ma anche in seguito non sono
mancate innovazioni morfosintattiche irradiatesi dalle lingue speciali: il
tratto oggi più sensibile è l'anticipazione del determinante rispetto al
determinato nei composti nominali.

5. Lingue speciali e lingua comune


Il contatto tra lingua comune e lingue speciali è bidirezionale; nei
paragrafi precedenti abbiamo trattato degli apporti che la lingua comune
dà alle lingue speciali e si sono indicati i tratti morfosintattici deU'italiano
d'oggi che trovano la loro origine nelle lingue speciali. L'influsso di queste
sulla lingua comune è però rilevante anche a livello lessicale. A favorire
tale influsso sono i mezzi di comunicazione di massa, in primo luogo
giornale e televisione, vero· e proprio canale di trasferimento nel lessico
comune di parole tecniche (Scotti Morgana 1981, 51); ma il passaggio può
avvenire anche nell'incontro diretto che il parlante ha con settori tecnici e
specialistici (soprattutto nell'ambito della medicina, dell'amministrazione
e della tecnologia dell'auto, degli elettrodomestici, degli elaboratori elet­
tronici).
Nel trasferimento dal subsistema di una lingua speciale al sistema del
lessico comune una parola tecnica può mantenere il suo contenuto se­
mantico o può acquistare un senso metaforico: per questa seconda moda­
lità basti l'esempio di inflazione e derivati, che si possono incontrare, con
il significato di 'sovrabbondanza', in articoli di giornale sulle mete delle
vacanze natalizie («New York... è troppo fredda e troppo inflazionata»,
«Gioia» 23. 12. 1985, 159), come in seri articoli scientifici ( «risalterà
l'inflazione di sinonimi in luogo di una voce corrente», Seria,nni 1985,
265), nonché, istituzionalmente ridefinito (cfr. 2.2.2.), nel lessico di altre
lingue speciali (a riprova dell'estensione del fenomeno già segnalato, con
ricchezza di esemplificazione, da Beccaria 1973, 17-22, e da Porro 1973,
194-199). Ma anche quando mantiene il proprio contenuto semantico,
una parola trasferita dalla lingua speciale alla lingua comune perde in

24
specificità (in quanto perde il contatto con le altre parole tecniche, con le
quali era legata da rapporti semantici), ma acquista in espressività (il fatto
stesso di provenire da un lessico speciale le dà una connotazione, un
margine evocativo che la differenziano dalle altre parole del campo se­
mantico di cui entra a far parte). Sul piano sintagmatico, unioni ridondanti
e verbose da una parte confermano la perdita di specificità semantica e
l'acquisto di connotazione espressiva, dall'altra mostrano i rischi, sul piano
del fraintendimento semantico e cognitivo, che una divulgazione approssi­
mativa può comportare (ad esemplificazione si veda in Porro (1973, 194)
«ho fatto l'elettrocardiogramma al cuore», evidente caso di ridondanza e
in Mattioli (1979, 81-82) l'autodiagnosi, da parte di una paziente, di un
inesistente complesso cardio gastroenterico, che sarebbe una stipsi con
flatulenze con riflessi al cuore). Tutto questo mostra quanto grande sia il
prestigio delle lingue speciali, anche presso parlanti che non sono in grado
di dominare i significati trasmessi dai significanti usati. Questa connessio­
ne di prestigio delle lingue speciali e di impreparazione di molti parlanti a
comprenderle consente a pseudospecialisti e a mass media di adornare
messaggi di contenuto anche banale con termini tecnici e costrutti tipici
delle lingue speciali, per colpire il ricevente e ottenere effetti di persua­
sione (Porro 1973, 200). Anche questo uso mistificatorio delle lingue
speciali (al pari del loro uso come gerghi) rappresenta una utilizzazione
distorta di uno strumento in sé funzionale a scopi comunicativi e conosci­
tivi ben più nobili.

25
II
VARIETA' DELLA LINGUA E LINGUA SCIENTIFICA:
LA DIVULGAZIONE DELLE CONOSCENZE
SCIENTIFICHE NEL CAMPO MEDICO*

Natalia che non puoi sapere cos'è bradicardia


cioè che tutto sta andando a puttane e così sia.
(Enzo Jannacci, Natalia)

1. Premessa
Le parole del chansonnier e medico Enzo Jannacci riportate in epigra­
fe si prestano bene ad introdurre il discorso sulla varietà linguistica all' in­
terno di un campo troppo spesso ritenuto totalmente omogeneo, quale è
quello scientifico. Dalla canzone si possono trarre indizi, sia pure in via
aneddotica, su due livelli di stratificazione linguistica, uno in relazione alla
classe dei parlanti, l'altro alla situazione co�unicativa. Riguardo al primo
aspetto emerge che il paziente, la piccola Natalia della canzone, come
ogni altro parlante non specialista, non conosce il significato del termine
bradicardia ("riduzione di frequenza del battito cardiaco"), come non co­
nosce scientificamente il fenomeno designato dal termine, anche se evi­
dentemente conosce la «cosa», cioè i disturbi causati dalla riduzione del
bàttito. Per il secondo aspetto abbiamo la «traduzione» da parte del chan­
sonnier-medico del termine tecnico (e quindi della concezione scientifica)
in un'espressione del linguaggio colloquiale, con venature volgari (e con­
seguentemente il completo svuotamento del contenuto denotativo di que­
sto termine a favore di una più generica espressione emotiva).

27
Naturalmente questo della canzone è un esempio fittizio, che non può
essere preso come testimonianza totalmente rappresentativa della realtà.
Un esempio più attendibile, anche se ancora limitato, della stratificazione
del lessico scientifico, è dato dalla varietà lessicale (e anche morfologica)
relativa alle denominazioni dei "globuli bianchi", per i quali abbiamo ad un
primo livello il termine scientifico, leucociti; ad un secondo la parola nor­
male nella lingua comune, globuli bianchi; ad un terzo livello l'espressione
abbreviata, i bianchi, usata nella comunicazione tra medici, ad es. durante
un'operazione. 1 Il medico conosce tutte e tre le parole e le userà a secon­
da della situazione comunicativa e delle sue finalità (il primo durante una
comunicazione scientifica, il secondo nel colloquio con il paziente, o an­
che in dialoghi informali con colleghi, il terzo quando opera).2 Il parlante
comune usa (e spesso conosce) solo il secondo. Per questo il medico che
vuole darsi importanza, o che vuole nascondere la verità al paziente, può
usare termini della prima categoria anche nei colloqui con il proprio
paziente. La stratificazione interna della lingua della medicina si tramuta
così in barriera sociolinguistica.
Già da questa prima schematica esemplificazione si deduce quanto sia
importante, in una società moderna, la varietà interna delle lingue specia­
li, e di conseguenza quanto sia utile per chi si occupa delle varietà della
lingua allargare il proprio sguardo dalle varietà geografiche (diatopiche) e
da quelle sociali (diastratiche) a quelle funzionali-contestuali (diafasiche).
Nel campo dell'italianistica, Io studio delle varietà diafasiche è invece
molto più arretrato di quello degli altri due tipi di varietà; per quel che
1iguarda lo studio della lingua scientifica, in particolare, disponiamo solo
di pochi studi3 , concentrati iri genere sul livello alto della lingua scientifi­
ca.

2. Variabilità linguistica e divulgazione scientifica

Lo studio della diversificazione interna della lingua delle scienze è


legato al fenomeno della divulgazione delle conoscenze scientifiche. Mol­
to spesso, infatti, la divulgazione presso il grande pubblico delle conoscen­
ze scientifiche si scontra con un problema di fondo, cioè con la radicale
differenza tra la lingua scientifica (in particolare il lessico, che risponde al

28
requisito della massima individuazione e soggiace ad un rapporto biunivo­
co con il referente) e la lingua comune (che a causa del suo carattere
polisemico e vago può essere equivoca). Questo problema assume nelle
diverse scienze una valenza diversa, in relazione al modo in cui si è forma­
ta la relativa terminologia. Nella fisica, ad esempio, la scelta di Galileo di
dare la preferenza a parole di stampo popolare4 ba lasciato molte tracce;
molti termini tecnici sono così comprensibili (almeno in maniera approssi­
mativa e analogica) a tutti: sì pensi a parole come forza, massa, resistenza,
energia, potenza, densità. La stessa procedura si riscontra anche in una
scienza tipicamente moderna, come l'informatica, dove, ad es., per desi­
gnare quegli organi o supporti destinati alla conservazione dei dati e dei
programmi è stato utilizzato il termine memoria che, grazie ali' analogia,
permette ad ogni parlante di farsi un'idea dell'oggetto cui si riferisce5 .
Lo stesso non può dirsi per altre scienze (come la botanica e la zoolo­
gia, la chimica, la medicina). Si tratta di scienze che da una parte, fondan­
dosi su tassonomie, banno bisogno di una terminologia molto più vasta e
differenziata; dall'altra, per distinguere la propria concezione scientifica
dall'osservazione dell'uomo comune e dalle credenze popolari che spesso
ad essa si accompagnano, banno bisogno di termini creati ex-novo, princi­
palmente attingendo al serbatoio delle lingue classiche. Si formano dei
termini che sono completamente diversi dalle denominazioni popolari e
risultano al profano assolutamente nòn trasparenti.
Il caso della medicina si presenta allora esemplare. Da una parte la
distanza tra la lingua scientifica e la lingua comune è tra le più grandi;
dall'altra la necessità di C?municazione fra 19 specialista (il medico) e il
profano (il paziente) è cosa di tutti i giorni. In più il fenomeno della
divulgazione della conoscenza scientifica (proprio perché le scoperte del­
la medicina possono riguardare direttamente ogni uomo) è estremamente
diffuso e viene realizzato in tutti i mezzi di comunicazione di massa (gior­
nali, televisione, radio).
· In questo contributo cercherò allora di verificare, sulla base di testi
scritti 6, come si differenzia linguisticamente la trasmissione delle cono­
scenze mediche a tre diversi livelli:
a) l'elaborazione prima della scienza, in trattati scientifici, comunica­
zioni congressuali, in parte in manuali universitari;

29
b) la diffusione dei risultati della scienza, delle nuove scoperte all'inter­
no del pubblico degli operatori del settore (medici, infermieri ecc.);
c) la divulgazione degli stessi risultati fra il vasto pubblico.

3. Il livello alto
Sintetizziamo, sulla base degli studi disponibili7, le caratteristiche della
lingua medica quale è utilizzata nella comunicazione formale tra addetti ai
lavori.
Sul piano sintattico vi è ampiamente sviluppato, come in tutte le lingue
scientifiche, il fenomeno della nominalizzazione. Per quanto si tratti di un
fenomeno comune alla lingua contemporanea, nella lingua scientifica esso
assume un peso quantitativamente rilevante, al punto che può essere
considerato il tratto di maggiore differenziazione tra la lingua scientifica e
la lingua comune. Non è solo questione statistica; il fatto significativo è
che nei testi scientifici il verbo ha la pura funzione sintattica di unire gli
elementi nominali in frasi: le indicazioni di modo, di tempo e di persona
sono neutralizzate dalla ricorrenza quasi costante della terza persona (sin­
golare o plurale) del presente indicativo, mentre la quantità di informazio­
ne data dal verbo è quasi nulla, dato che vengono usati verbi
semanticamente poveri (come essere, costituire, rappresentare, fungere).
Naturalmente il fenomeno assume una portata diversa nei diversi tipi di
testo; nei manuali universitari cit. alla nota 7, ad es., il fenomeno non è
così marcato come descrizioni ed esempi di Altieri Biagi (1974) potrebbe­
ro far credere8 ; al contrario altri tipi di testo, come i risultati di analisi di
laboratorio o i referti medici; possono comportare la scomparsa completa
del verbo.
Due esempi9 :
a) da una analisi delle urine (esame microscopico del sedimento):

(1) non cristalli né sali amorfi


rarissime cellule epiteliali
rarissimi leucociti ben· conservati

30
non emazie
non cilindri

b) da un referto medico:

(2) Un condiloma. Modeste ectas1e venose del plesso


emorroidario inferiore. Ampolla rettale indenne.

Sono i sostantivi e gli aggettivi, dunque, ad assumersi il carico informa­


tivo preponderante del testo. La preferenza per lo stile nominale nasce da
due esigenze: quella della maggior oggettività e astrazione permessa dal
processo di nominalizzazione (che porta il messaggio su un piano genera­
le, atemporale, proprio del discorso scientifico) e quella della comunica­
zione più economica, attraverso l'eliminazione di elementi ridondanti.
A questa seconda necessità è dovuta una fondamentale caratteristica
morfologica della lingua medica, la vitalità dei composti nominali (con una
frequenza statistica e una espansione sintagmatica nettamente superiori a
quelle de1la lingua comune, ma anche a quelle di molte altre speciali).
Bastano pochi esempi: cutireazione, (area) somato-sensoriale, (fascio) spi­
no-tettale, (tratto) gastro-enterico, (patologia) cranio-encefalica e, per com­
posti sempre più lunghi, (via) paleo-spino-talamica, epatocolangio­
enterostomia. Molto diffuso anche il fenomeno analogo delle giustapposi­
zioni nominali, come ad esempio virus-epatite (in luogo del comune epatite
virale).
Alla necessità di oggettività e astrazione, già ricordata, va ricondotto,
. invece, lo sviluppo della terminologia specifica, regolata (come tutte le
terminologie) da rapporti rigorosi fra significato e significante e modellata
(a differenza di altre terminologie) con materiali linguistici in gran parte
non appartenenti alla lingua comune. In dettaglio si possono individuare
quattro. modelli di formazione dei termini medici:

a) coniazioni dotte, composte artificialmente con materiali greci e


latini, diffuse nel sottocodice medico di tutte le lingue europee (com­
prese, dunque, quelle di ceppo non latino). Queste basi sono alta­
mente produttive e fanno sì che una gran parte del lessico medico si

31
strutturi in serie omogenee, formate mediante determinati procedi­
menti di prefissazione e suffissazione e grazie ad una capacità di
combinazione superiore a quella della lingua comune. A puro titolo
di esempio si veda la serie composta con epato- ("fegato"), così come è
accolta in un dizionario corrente dell'italiano: epatalgia, epatico, epa­
tite, epatizzazione , epatobiliare, epatomegalia, epatopancreas, epatopa­
tia, epatoprotettivo, epatorragia, epatoscopia, epatosi, epatosplenome -
galia, epatotomia, epatotossina.

b) termini stranieri (per lo più inglesi) che oggi tendono a sost1tmre


quelli formati su base latina e greca: ad es. by-pass in chirurgia, pace­
maker in cardiochirurgia, prick test in immunologia, gate contro[ (su
cui è calcato, almeno nel manuale universitario da me esaminato,
controllodell'ingresso) in neurologia. Vanno annoverati in questa ca­
tegoria anche latinismi non adattati, come vas deferens, trichomonas
. t·zs ecc. IO
vagina

c) definizioni eponime, cioè sintagmi formati all'unione di un lessema


con un nome proprio: etichette come organuli di lggo, corpuscoli di
Meissner, dischi tattili di Merkel, corpuscoli di Pacini in anatomia, o
morbo di Basadow, sindrome di Goodpasture in patologia.

d) sigle (o formule) come lgA, lgG, lgM (cioè "immunoglobuline ri­


spettivamente A, G, M"), RAST (nome di un test per la ricerca delle
immunoglobuline nel sangue) ecc. Si pensi anche, in due settori alla
portata di ognuno di noi, ai "nomi" delle vitamine (A, B, C ...) o dei
gruppi sanguigni (A, B, AB, O) o al fattore Rh.
A questi termini specifi.ci, esistenti nel solo sottocodice medico, vanno
poi aggiunte quelle parole della lingua comune che sono utilizzate nelle
scienze in generale o specificamente in medicina, in accezioni particolari
(nei testi da me esaminati: danno, stimolo, reazione, meccanismo· ecc.).
La varietà di lingua usata nelle pubblicazioni mediche presenta, insom­
ma, proprietà che la distinguono in misura notevole dalla lingua comune
(anche lasciando da parte certe aberrazioni stilistiche di alcuni studiosi e
di alcuni medici11 , che non hanno però un carattere sistematico); ne

32
conseguono pesanti conseguenze sul piano della comunicazione quando
questa varietà di lingua viene rivolta a gruppi di parlanti diversi dai suoi
fruitori abituali, gli studiosi di medicina. Proprio i fattori sintattici (nomi­
nalizzazione) e morfologici (utilizzo di composti e di giustapposizioni no­
minali, con soppressione delle preposizioni), oltre a quelli semantici
(rapporto univoco e rigoroso fra significato e significante) impongono di
concentrare l'attenzione sul lessico. Dato poi che una gran parte delle
«parole piene» (sostantivi, verbi, aggettivi, avverbi) presenti nei testi· spe­
cialistici sono termini esclusivamente tecnici (nei manuali universitari esa­
minati, ad es., sono il 25%), la comprensione di un testo medico è
strettamente condizionata dalle possibilità di decodificazione del lessico
specifico, che concentra su di sé la grandissima parte dell'informazione.
La possibilità da parte del non specialista di dedurre il significato di
questi termini, quando gli sono sconosciuti, è diversa per le diverse cate­
gorie di parlanti e per le diverse categorie di termini (in relazione alla
tipologia sopra riportata). Resta fermo, però,. che la riduzione della ridon­
danza e l'assenza di polisemia, diminuiscono fortemente la possibilità di
ricostruire il significato dei termini a partire dal contesto, o in forza dei
fattori di analogia che stanno alla base della polisemia. Tuttavia, il parlan­
te non specialista ma colto, che conosca gli elementi di base della termino­
logia greco-latina e i procedimenti di suffissazione e prefissazione tipici
del lessico medico, può ricostruire il significato di molti termini (per es. il
significato di epatotomia può essere desunto dal confronto della serie
epatico, epatite, epatoprotettivo ecc. per il primo elemento, e della serie
duodenotomia, erniotomia, gastrotomia, laringotomia, tracheotomia per il
secondo) 12.
Questa possibilità è invece esclusa per il parlante non colto, e anche
per lo stesso parlante colto nel caso delle definizioni eponime e delle
sigle. Per queste due categorie la decodificazione è impossibile su basi
esclusiYamente linguistiche; solo il possesso di nozioni mediche· (o alme­
no, in alcuni casi, di storia della medicina) consente di collegare il segno
linguistico al suo referente.

33
4. Le pubblicazioni per operatori sanitari
Si tratta ora di determinare quali modificazioni subisce la lingua medi­
ca quando mutano il pubblico cui il messaggio è diretto e le condizioni
della comunicazione. In altre parole ci interessa identificare i mezzi lingui­
stici attraverso i quali viene resa possibile la divulgazione medica.
Nella stampa di informazione per medici e operatori sanitari (cfr. par.
2, punto b), la varietà di lingua è fortemente debitrice al sottocodice
scientifico ufficiale. Poiché il lettore di questo tipo di stampa possiede
tutti i requisiti (competenza linguistica e competenza nozionale) per de­
codificare correttamente tutti i tipi di termini tecnici, questa parte del
lessico non subisce modifiche. Le differenze rispetto alla lingua scientifica
non sono tanto di sottocodice quanto di registro 13. L'obiettivo di questo
tipo di stampa di essere «un mezzo di informazione scientifica e di aggior­
namento professionale [ ... ] che cerca di non affaticare il lettore» («Tempo
medico» n. 170, marzo 1979, p. 63) induce i redattori ad animare la serietà
della terminologia scientifica inserendola in un contesto linguisticamente
brillante, di derivazione giornalistica. Così nei resoconti di innovazioni
scientifiche si dà spazio alle interviste (che sospetto essere, almeno a
volte, fittizie), con inserimento quindi nel contesto scientifico del discorso
diretto (del tutto inusuale nei testi ufficiali). Ne consegue l'introduzione
di qualche formulazione colloquiale:

(3) «Certo - spiega il professor Zuckerman - per ingabbiare il virus


A ci sono voluti anni di piccoli successi parziali, e certosina
pazienza. All'inizio infatti ogni tentativo di convincerlo a cre­
scere in un ospite diverso dall'uomo sembrava fatica sprecata.
Tutti i comuni animali di laboratorio non sono graditi allo sde­
gnoso virus, e solo nel 1967 il dottor F. Deinhart, del St. Luke's
Hospital and University of Illinois, di Chicago, ebbe la ventura
di identificare la prima vittima non umana dell'infezione: una
scimmietta centroamericana, nota con il nome di Saguinus my­
stax».
( «Tempo medico» n. 179, febbraio 1980, p. 27)

34
o di qualche elemento lessicale della Umgangssprache o addirittura gerga­
le: nella nota Paradiso artificiale antiasma (ibidem, p. 18) si legge:

(4) Lo "spinello" sarà presto in vendita in farmacia quale rimedio


per la cura degli asmatici? E' difficile pensarlo, anche se l'attivi­
tà broncodilatatrice della marijuana è da tempo una certezza
farmacologica

con l'uso alternato del semigergale spinello e del più comune marijuana,
accostati al sintagma tecnico attività broncodilatatrice.
Il rispetto della rigorosità della lingua scientifica, ma contemporanea­
mente il desiderio di mitigarne la pesantezza, danno alla lingua di questo
tipo di stampa un carattere vario, ma non ibrido: in genere il registro
colloquiale è utilizzato in qualche nota della rubrica «ultime notizie» o nei
titoli e nelle parti introduttive degli articoli di informazione scientifica; nel
resto dell'articolo il tono brillante lascia il posto al più compassato stile
scientifico. 14
La lettura di riviste come «Tempo medico» è utile anche per avere
qualche indicazione sulla penetrazione di alcuni tratti della lingua della
medicina nella lingua di tutti i giorni dei medici. Limitandoci allo spoglio
del n. 179 della rivista, si riscontrano nelle lettere dei lettori anche di
argomento non medico, e nelle relative risposte, chiare tracce di questo
fenomeno. Ad es. la descrizione della situazione di un paese dell'Italia
meridionale ha gli stessi caratteri linguistici dei referti medici 15:

(5) Le strade disastrate, l'acqua manca durante il periodo estivo e


le fogne scaricano sulla spiaggia vicino all'abitato, famiglie di
sei, sette, dieci persone vivono in una, due stanze e senza servizi
igienici, fortemente presente l'emigrazione, per chi resta invece
la sottoccupazione, il lavoro saltuario, la pesca, ma senza attrac­
co per le barche, i villeggianti dei paesi vicini, ma senza un lido.
Non redditi bassi, ma povertà, miserie per gran parte della po­
polazione.

35
Oppure in una risposta ci imbattiamo in contesti come «organi di stam­
pa non elettivamente destinati alla discussione di problemi scientifici ed
epistemologici», dove l'avverbio elettivamente riproduce un uso tipico ed
esclusivo del linguaggio medico. Infine nei titoli trova spazio un'estensio­
ne dei processi di prefissazione e suffissazione a contesti nuovi (del tipo
pedolibro per "libro di pediatria"; ma qui ci può essere l'influsso del lin­
guaggio giornalistico). Sono tutte spie interessanti, che ci inducono a
dirigere l'attenzione anche sull'influsso della lingua scientifica sulla lingua
comune 16; ma per ora sono tracce ancora troppo labili per poter trarre
conclusioni generalizzabili.

5. La stampa di divulgazione

La scienza medica è, fra tutte le scienze, quella che dispone del mag­
gior numero di canali di divulgazione presso il grande pubblico: pagine
specializzate nei quotidiani e nei settimanali (in questi ultimi anche con
rubriche di posta dei lettori), trasmissioni televisive, riviste di informazio­
ne medica per non specialisti, guide pratiche, enciclopedie a dispense. Il
problema linguistico che si pone ai produttori di questi mezzi di comuni­
cazione è di permettere la comprensione del testo (ricorrendo, perciò, ad
una lingua di dominio comune), senza sacrificare la rigorosità e l'univocità
dell'enunciato. Si trovano utilizzati i seguenti procedimenti per risolvere il
problema al livello lessicale:

a) sostituzione del termine tecnico con il corrispondente elemento del


lessico comune, quando questo esista e abbia il medesimo valore denotati­
vo del termine tecnico (ad es. globuli bianchi per leucociti, orecchioni per
parotite, in piedi per in ortostasi ecc.).

b) "traduzione" del composto tecnico mediante elementi del lessico


comune, quando ciò sia possibile, con l'integrazione dei tratti di ridondan­
za assenti nel lessico tecnico (ad es. emorragia nel fegato per epatorragia,
(chirurgia) plastica al naso per r"inoplastica, ecc.). Oppure, nel caso di
abbreviazioni o sigle, loro scioglimento (immunoglobuline E, invece di
lgE).

36
c) glossa del termine tecnico, quando non esista il corrispondente nella
lingua comune e non sia possibile procedere ad una sua trasposizione in
elementi del lessico comune (ad es.: <<. •• la cosiddetta antigenicità (cioè la
condizione di estraneità all'individuo dell'organo trapiantato o innesta­
to)», «Il Giornale Nuovo», 6 dicembre 1980).

L'utilizzo sistematico di questi tre criteri (cui va aggiunta, a livello


morfologico e sintattico, la sostituzione delle costruzioni nominali e. dei
composti nominali con espressioni meno economiche, in cui la ridondanza
garantisca il passaggio corretto della comunicazione) potrebbe portare
alla costituzione di un livello di lingua, soprattutto scritta, oggi mancante
in Italia; appropriato per la divulgazione scientifica nel pubblico non spe­
cializzato; un livello che risulterebbe diverso sia dal linguaggio comune
(inadatto a rispondere a tutte le esigenze della comunicazione scientifica)
sia dalla lingua scientifica (che non può diventare patrimonio comune di
tutta la comunità dei parlanti). Altre ipotesi (quale l'utilizzo nell'ambito
della divulgazione del solo lessico di base dell'italiano, e delle parole
definibili a partire da questo) corrono il rischio di essere troppo semplifi­
canti. 17
Nella realtà il comportamento dei mezzi di comunicazione di massa
non segue né quest'ultima ipotesi, né in maniera sistematica i criteri sopra
enunciati. Si delineano due tipi di atteggiamento, quello delle pagine
specializzate dei quotidiani e quello delle riviste illustrate dedicate ai
problemi della salute.
Nei primi scrivono prevalentemente clinic,i e scienziati e la loro lingua
è direttamente dipendente dal sottocodice scientifico (senza d'altra parte
avere quei fenomeni di alleggerimento, dovuti all'uso di un registro bril­
lante, che caratterizzano invece le riviste trattate nel paragrafo preceden­
te). Trova conferma cioè quanto aveva notato De Mauro (in Golino 1971,
81) a proposito della «enorme difficoltà che c'è nel far capire al' professo­
re, il quale già ha capito l'importanza di scrivere sui giornali [ ... ] che non si
può scrivere sull'Espresso o sul Messaggero con lo stesso stile e con le
stesse parole che si usano nella rivista specialistica, e che il libro richiede
ancora un diverso tipo di scrittura».

37
Gli articoli di medicina dei giornali mostrano dunque le stesse caratte­
ristiche linguistiche delle pubblicazioni specialistiche, anche nei loro
aspetti più discutibili e non necessari. Vitali (1983, 195) riferisce, ad es., di
un articolo di un qualificato ricercatore («Corriere della sera» del 3 di­
cembre 1977), nel quale si parla, senza ulteriori spiegazioni, di «aggrega­
zione dei plateleti» (cioè delle piastrine, ingl. platelet). Secondo Vitali si
tratta di «un intervento "divulgativo" del tutto oscuro non soltanto per la
quasi totalità dei lettori ma perfino per una parte dei medici. E' un caso di
assoluta mancanza di empatia, ossia di incapacità a immedesimarsi nel
lettore "laico" e di chiedersi se questo è in grado di recepire un simile
messaggio». Un altro caso emblematico, cui può essere rivolta la stessa
critica, è offerto da un articolo del «Giornale Nuovo» del 7 febbraio 1981
dedicato all'ipertensione arteriosa: l'argomento principale dell'articolista
è che «su 55 milioni di italiani, 11 milioni sono ipertesi e una buona metà
non sa di esserlo» e che «ciò che sembra mancare è un'adeguata informa­
zione della popolazione sull'ipertensione e sulle sue conseguenze». In
nessun punto dell'articolo (nel quale abbondano, del resto, i termini tecni­
ci non spiegati: drop -out, derivato clorosulfamidico. dell'indolina, valori
pressori diastolici e sistolici, diuretici vasodilatatori e simpaticolitici) si ac­
cenna al fatto che l'ipertensione arteriosa è quello stato che nella lingua
comune è designato col sintagma pressione alta («avere la pressione alta»
ecc.). Non c'è poi da meravigliarsi se così tanti italiani sono ipertesi e non
lo sanno!
Un tentativo di discostarsi in parte dalla lingua scientifica si riscontra
invece nelle riviste illustrate dedicate ai problemi della salute (redatte in
gran parte da giornalisti e rion da medici). L'intendimento è realizzato
però in maniera discontinua e mostra i suoi limiti in questioni cruciali
come l'uso di parole del lessico comune corrispondenti a termini tecnici e
in quello delle glosse.
Non viene effettuata una scelta precisa e sistematica a proposito della
sostituzione dei termini tecnici con i corrispondenti elementi del lessico
comune. A volte si ritiene, forse a _ragione, che la parola del lessico comu­
ne non sia sufficientemente precisa (il neurologo della rivista «Starbene»,
ad esempio, ritiene «opportuno sostituire il termine rp.olto usato (ma che
non ha alcun significato clinico) di 'esaurimento nervoso' con quello assai

38
più corretto di 'nevrosi'» 18 ; ma ci si dimentica, a mio parere, che in questi
casi quel che più conta non è la precisione descrittiva, ma l'esatta identifi­
cazione del fenomeno da parte del lettore, che è garantita proprio dall'uso
del lessico più familiare all'uomo comune. Altre volte (e la casistica è
ampia) si usa indifferentemente, per pure ragioni di variatio stilistica, il
termine tecnico e quello non tecnico, senza segnalarne l'equivalenza. Co­
sì, lungi dal garantire chiarezza e rigorosità, si creano disturbi alla comuni­
cazione. Il lettore che in una lettera al giornale aveva chiesto informazioni
sugli orecchioni capirà che sta ottenendo la risposta desiderata, quando il
medico gli dà spiegazioni sulla parotite? («Starbene», 1 gennaio 1981, p.
7). 19 Oppure il lettore dello stesso giornale capirà nell'articolo L'antibioti­
co uccide i globuli bianchi?, che globuli bianchi e leucociti sono perfetta­
mente sinonimi e che granulociti e linfociti sono degli iponimi dei primi
due? Con questi fenomeni di variatio (del tutto assenti nelle pubbHcazioni
scientifiche, anche quando lo stesso termine deve comparire con alta
frequenza in un testo ristretto) si va contro alla caratteristica semantica
fondamentale delle terminologie, cioè la esatta identificazione del refe­
rente; essa esclude sì principalmente la polisemia (perché un termine non
sia ambiguo), ma non ama neppure la sinonimia, altra faccia della plurivo­
cità semantica della lingua comune. 20
Per quel che riguarda l'introduzione dei termini tecnici seguiti da una
glossa esplicativa, si tratta di un procedimento pienamente giustificato
quando il termine tecnico è l'unico mezzo per evitare un lungo giro di
parole la cui ripetuta ricorrenza appesantirebbe il discorso, oppure quan­
do il termine tecnico si riferisce a concetti ad, un grado elevato di astrazio­
ne, o a sostanze e procedimenti ad un grado elevato di raffinatezza
tecnica. In questi casi la barriera linguistica non fa che riflettere la barrie­
ra conoscitiva esistente fra Io specialista e il profano, ineliminabile quando
la scienza raggiunge vette elevate di specializzazione. L'unica via per
tentare di superare questa barriera consiste nell'esplicazione degli ele­
menti essenziali del concetto in questione (il che linguisticamente si tra­
duce e si abbrevia nella glossa). Condizione perché la glossa abbia
efficacia è che le parole usate per esplicare il termine tecnico non siano a
loro volta termini tecnici non noti al lettore non specialista. Non sempre
le glosse rispettano queste due condizioni (necessità del termine speciali-

39
stico e sua spiegazione con parole di uso comune). Nella " guida pratica"
sulle varici pubblicata dall'editore Rizzali (un tipo di pubblicazione para­
gonabile alle riviste fin qui trattate) ci troviamo di fronte a due casi esem­
plari:

(6) E la sclerosi è votata a sicuro insuccesso quando ci si trova


dinanzi, e lo diciamo con un termine medico, a una incontinen­
za della eresse safenica, vale a dire a una insufficienza dei nor­
mali mezzi (valvole) che impediscono al sangue venoso di
rifluire verso il basso della gamba (p. 85).

(7 ) Dopo una flebite, in effetti, c'è sempre una vena profonda che
è trombizzata, vale a dire occlusa (p. 89).

Nel primo brano l'uso dell'espressione tecnica è gratuita (in quanto


non porta informazioni diverse e più rapide della sua traduzione in lingu a
comune), nel secondo il termine usato per la spiegazione (occlusa) è
estraneo al lessico comune quanto il termine glossato (trombizzata). Si
deve allora concludere che in questo testo l'uso della glossa ha lo scopo
non di avvicinare la lingua scientifica alla lingua comune, ma di accentuare
il prestigio della prima, usata anche quando non è necessaria oppure
addirittura per spiegare se stessa.

6. Conclusioni
Riguardo al nostro tema specifico, si possono trarre alcune conclusio­
ni.
Mancano in Italia una tradizione e un linguaggio di divulgazione scien­
tifica sufficientemente codificati e accettati (il che porta alle incertezze
21
nel trattamento dei termini tecnici cui si è appena fatto riferimento ).
Questa situazione si pone in contraddizione con l'esistenza di una produ­
zione editoriale medica stratificata, con un grande sforzo commerciale nel
campo della divulgazione presso if grande pubblico. Proprio la non dispo­
nibilità di un livello linguistico adeguato ci indica che il più delle volte si

40
tratta di operazioni dettate prevalentemente da scopi economici e com­
merciali.
In mancanza di un linguaggio di divulgazione codificato e accettato, il
punto di riferimento d'obbligo resta la lingua medica scientifica. Ciò vale
sia nell'ambito della divulgazione scritta, sia nell'ambito dell'interazione
medico-paziente 22. Tra i due ambiti c'è un certo collegamento. Proprio la
diffusione del tipo di pubblicazioni di cui abbiamo trattato fino ad ora ha
allargato il repertorio di conoscenze di medicina dell'uomo comune (cfr.
Beretta Anguissola 1983, 175-176), nonché il vocabolario tecnico ad esso
noto. Non sempre però, anche per i limiti linguistici sopra documentati, è
garantita la corrispondenza tra le conoscenze linguistiche e il bagaglio di
conoscenze fattuali presupposto dalla terminologia. L'inadeguatezza lin­
guistica di molta divulgazione medica si riverbera allora sul rapporto lin­
guistico tra esperto e non specialista. Tale rapporto resta, nonostante le
apparenze, ineguale e gerarchico (il paziente si adegua al mondo linguisti­
co del medico dominandone solo una parte, e in genere solo superficial­
mente). Non solo. Proprio a causa della parzialità delle conoscenze
terminologiche da parte del paziente la comunicazione, invece che agevo­
lata, può venire disturbata, ad es. perché capita che il paziente attribuisca
la medesima etichetta a fenomeni simili ma non eguali, o che utilizzi
estensivamente modelli di formazione dei nomi di malattie, inventando
denominazioni inesistenti e non sern:pre trasparenti23 .
Si tratta, come si vede, di problematiche rilevanti sia sul piano teorico
sia su quello pratico. Appare dunque evidente l'importanza dello studio
delle varietà funzionali-contestuali e della loro variazione interna. In que­
sto campo la ricerca linguistica italiana mostra un notevole ritardo rispetto
sia ad altri aspetti dello studio della varietà linguistica in Italia, sia allo
stato della ricerca in altri Paesi. 24 Se anche negli ultimi anni la situazione
è migliorata (v. ad es. Atti 1982 e 1983, Dardano 1987, Dardano/Giova­
nardi/felo 1988, Rovere 1989), e' è ancora molto da fare.

NOTE
* La stesura definitiva di questo contributo risente positivamente, oltre che del
dibattito che ha avuto luogo nella sezione «Varietatenlinguistik des Italieni­
schen» del Romanistentag del 1981 (Ratisbona, 23-25 settembre), delle discus-

41
sioni al corso «Wissenschaftssprache und Gesellschaft» tenutosi all'lnter-Uni­
versity Centre of postgraduate studies di Dubrovnik dal 9 al 21 marzo 1981, sotto
la direzione di Theo Bungarten (Amburgo), Wolfgang Steinig (Bangor) e dello
scrivente. Particolarmente utili sono state alcune osservazioni di Bernd Spillner
(Duisburg).
1) Se è attendibile la cronaca di un'operazione riportata nel mensile «Duepiù»
(n. 102, marzo 1977, p. 40). L'uso è del resto documentato anche nei dialoghi
della rubrica «Circuito interno» della rivista per medici «Tempo Medico» (n.
170, marzo 1979, p. 59). Sull'utilizzabilità di tale rubrica come fonte, sia pure a
volte enfatizzata, del registro medico informale, cfr. Altieri Biagi (1974, 75-76).
2) Una tripartizione del tutto analoga fra Wìssenschaftssprache, ii.rztlìche Um­
gangssprache e laìenbezogene Sprache è proposta da Lippert 1978a (v. anche
Lorcher 1983, 21-26, che accenna pure all'espandersi di forme lessicali compren­
sibili solo all'interno di singoli ospedali). Vale la pena di precisare che le varietà
appena citate, condizionate dalla situazione comunicativa, sono dei registri e che
esse si presentano in questa forma principalmente nella lingua orale.
3) Per il linguaggio medico ricordo, in particolare, Altieri Biagi (1974), che
riprende, tra l'altro, alcune osservazioni di Vitali (1967).
4) Cfr. Mig)iorini (1960, 477-478) e, più in generale, Altieri Biagi (1965).
5) La quantità di termini tecnici dell'informatica tratti, nella lingua d'origine,
cioè in inglese, dal lessico comune è tra le più alte in campo tecnico-scientifico;
la scelta attuata in Italia di utilizzare senza alcun adattamento i termini inglesi fa
perdere alla terminologia informatica italiana il carattere di trasparenza, almeno
in forza dell'analogia, che essa ha in origine (cfr. Chiarioni 1983).
6) Difficoltà tecniche, ma anche etiche (legate alla riservatezza del rapporto
medico-paziente), hanno sconsigliato di orientare la ricerca verso l'interazione
orale (per la quale si potrebbe ugualmente operare una strutturazione in tre
livelli analoga a quella delineata per l'ambito scritto: comunicazione medico-me­
dico, medico-infermiere, medico-paziente). Sulla comunicazione medico-pazien­
te si può però vedere, fuori d'Italia, Lorcher (1983).
7) Principalmente Vitali (1967), Altieri Biagi (1974) e Mattioli (1979). Mate­
riale documentario è stato tratto anche da due manuali destinati agli studenti
dell'Università di Padova: V. Meneghelli, G.G. Nussdorfer, Il sistema nervoso
dell'uomo, Padova, CLEUP, 1976 e Ezio Romano (a cura di), Il diabete mellito e
l'ipertensionearteriosa, Padova, CLEUP, 1,969.
8) Bisogna però tener conto che la presenza di una quantità maggiore di verbi,
e di una più ampia distribuzione di ·tempi, modi e persone, è legata principal­
mente al ricorrere di performativi (del tipo dire, ritenere, proporre, presumere,
descrivere ecc.), che evidenziano il tipo di procedimento argomentativo di volta
in volta messo in atto.

42
9) Per evidenti ragioni di discrezione e riservatezza evitiamo di citare la fonte
dei brani riportati, che sono comunque largamente rappresentativi della realtà
in esame.
10) La provenienza dei forestierismi è collegata all'esistenza di una lingua di
comunicazione internazionale: in medicina tale funzione era svolta, almeno fino
al XVIII secolo, dal latino, mentre ora (soprattutto dopo la seconda guerra
mondiale) si è imposto l'inglese. Per ulteriori particolari cfr. Lippert (1978a, 92 e
1978b).
11) Su cui v. le osservazioni di Pandolfi (1971). Anche Vitali (1983, 192-194)
fa riferimento ad alcune «patologie della comunicazione», prima fra tutte quella
che l'autore definisce «magniloquenza vuota». Si tratta, si capisce, di inadegua­
tezze e ridondanze stilistiche. Altri limiti della lingua medica riscontrati da
Vitali consistono invece in incongruenze o contraddizioni della terminologia
medica (ad es. ambiguità semantiche, uso non corretto dei suffissi, mantenimen­
to di arcaismi, ridondanze nella formazione dei composti, incongruenze etimolo­
giche). Su questi aspetti v. anche Vitali (1967).
12) E' di ostacolo a questo tipo di ricostruibilità del significato l'uso non
sempre corretto dei processi di suffissazione (Vitali 1967, 34; Vitali 1983, 194).
13) Anche a questo proposito seguiamo la terminologia di Berruto (1974).
14) Anche i salti stilistici, che potrebbero occorrere frequentemente date que­
ste premesse di doppio registro linguistico, sono scarsi. Se ne può citare uno:
«La sterilità è stata messa in rapporto, in alcuni casi, con un'anormale fase
luteinica del ciclo mestruale, con elevati livelli di prolattina circolante. "Se a
queste pazienti - spiega il dott. Hargrove - si somministra B6 a dosi da 100 a 800
mg al giorno, la possibilità che rimangano incinte è molto elevata: nella nostra
casistica ben 12 delle aspiranti madri hanno visto realizzato il loro desiderio"»
(«Tempo medico» n. 179, febbraio 1980, p. 18), dove la formulazione «che .
rimangano incinte» si situa ad un livello diverso, più colloquiale, del resto della
citazione.
15) Si noti il generale ricorso alla nominalizzazione; anche l'uso di non davanti
al sintagma nominale redditi bassi, che pure non è estraneo alla lingua comune
(soprattutto in quanto è correlato al successivo ma), è certamente influenzato da
costrutti tipici dei referti medici (si veda, nel testo 1, «non emazie / non cilin­
dri»).
. 16) Vedi intanto qualche accenno in Altieri Biagi (1974, 72).
I 7) Cfr. ad es. le critiche di Ceserani (1981) al progetto dei «libri di base» editi
dagli Editori Riuniti.
18) Si noti che invece Pettenati (1953) indicava come corrispondente di esauri­
mento nervoso (usato nelle «cerchie mediche periferiche») nevrastenia acquisita.

43
19) Il titolo dato redazionalmente alla lettera («Gli orecchioni non danneggia­
no le ghiandole») può però ridurre le possibilità di incomprensione.
20) Sull'inopportunità della polisemia e della sinonimia in medicina cfr. Vitali
(1967, 25-26); v. anche Vitali (1983, 187), dove si ricorda l'esistenza di ben 12
sinonimi in inglese, I 3 in tedesco e 31 in francese per la splenomegalia mieloide
idiopatica.
21) Il "parlar difficile" di molti scienziati e medici in trasmissioni televisive o in
articoli di giornale non nasce dunque solo da cattiva volontà o da scarsa sensibi­
lità per i problemi della comunicazione, ma, in maniera più radicale e profonda,
dalla mancanza di un punto di riferimento consolidato in questo campo.
22) Sarebbe interessante una ricerca sull'interazione orale medico-paziente
che analizzasse quali mediazioni avvengono a livello orale tra i moduli linguistici
con cui si descrivono disturbi e malattie nella comunicazione ordinaria e quelli
della comunicazione scientifica.
23) Ricordiamo la testimonianza di Mattioli (1979, 81-82), già citata qui nel
primo capitolo: «altre volte si cade nel ridicolo: una mia paziente si lamentava di
"un complesso cardio gastroenterico" che, nella realtà, era una stipsi con flatu­
lenze con riflessi sul cuore».
24) V. ad es. Bungarten (1981) o la rivista «Fachsprachen» che si pubblica a
Vienna dal 1979. Sul recente stato degli studi nel campo della germanistica, v.
Mohn (1980). Il ritardo nel campo della ricerca è rispecchiato anche dal disinte­
resse in campo pratico per questi problemi; si pensi solo alla totale assenza in
ogni corso universitario di argomento scientifico di qualunque osservazione sul
mezzo linguistico usato e di conseguenza la mancanza nei futuri scienziati (e
soprattutto, per quel che ci interessa, nei futuri medici) di ogni preparazione nel
campo della comunicazione orale e scritta. Poche le eccezioni (ad es. Poli 1965,
29-37). L'opportunità di preparare gli studenti di medicina anche sul piano della
comunicazione è stato segnalato dagli stessi medici: il Presidente del Consiglio
Superiore di Sanità osserva che «la comunicazione medica [ ... ] è anche sul piano
tecnico particolarmente ardua. · E meriterebbe appunto che in qualche modo
fosse oggetto di apprendimento - corretto e rigoroso - nel corso degli studi»
(Beretta Anguissola 1983, 175), mentre, più dettagliatamente, Vitali (1983, 198)
propone di «inserire nei programmi della facoltà di medicina brevi corsi di
"semantica medica" o di "tecnica della comunicazione in medicina", che potrebbe
essere propedeutica alla patologia generale e far parte integrante della sempre
trascurata "metodologia medica"».
Il problema non riguarda, naturalmente, solo lo studente di medicina, ma ogni
studente di facoltà tecnico-scientifica .. Diversa la situazione in altri paesi (a puro
titolo d'esempio si può citare Autorenkollektiv 1980, «als Lehrbuch fiir die
Ausbildung an den Ingenieur- und Fachschulen der DDR anerkannt»).

44
III
LE ISTRUZIONI NEI MANUALI PER LA FORMAZIONE
PROFESSIONALE

1. La stratificazione sociolinguistica delle lingue speciali e il genere


« istruzioni»

Il presente contributo è stato elaborato nell'ambito di una ricerca col­


lettiva sul tipo di testo «istruzione» (Serra Bometo, 1992). La ricerca si è
focalizzata sulla realizzazione più tipica di tale forma testuale, e cioè sulle
istruzioni per l'utilizzo di apparecchiature tecniche e commerciali d'uso
comune.
Esistono però altre realizzazioni del tipo di testo «istruzione» (dalle
spiegazioni per la compilazione della dichiarazione dei redditi alle ricette
culinarie, dai manuali per il fai da te alle istruzioni contenute nei manuali
scolastici di materie tecnico-scientifiche o nei manuali per la formazione
professionale). E' parso quindi utile estenderç l'analisi almeno ad un'altra
realizzazione del genere «istruzioni»; sono state scelte le istruzioni conte­
nute nei manuali per la formazione professionale.
Nel presente contributo ci si occuperà quindi di tale forma di istruzio­
ni. L'obiettivo è quello di verificare la generalizzabilità delle analisi effet­
tuate in Serra Bometo (1992), e prima di tutto di saggiare la vàlidità del
modello di contesto comunicativo ipotizzato per il tipo testuale «istruzio­
ne». 1

45
2. I manuali per la formazione professionale: situazione d'uso

Il manuale per la formazione professionale viene usato in una situazio­


ne e per finalità diverse da quelle che caratterizzano i libretti di istruzione
di apparecchiature d'uso comune. E' essenziale segnalare almeno tre set­
tori di differenziazione: le finalità, l'ambito in cui avviene l'istruzione, la
presenza di altre fonti di istruzione.

Le finalità. E' comune ad ogni forma di istruzione il fatto che l'azione


comunicativa sia direttamente connessa a una forma di agire pratico che
costituisce il fine dell'istruzione stessa. Ma sono proprio le modalità di
questo agire pratico ad essere diverse nelle istruzioni qui esaminate e
nelle istruzioni per l'uso: l'utente di queste ultime ha l'obiettivo di far
effettivamente funzionare un esemplare di una macchina specifica; nella
formazione professionale, invece, si tratta di operare in un contesto che
s i m u 1 a una situazione di lavoro reale, con il fine di imparare a compie­
re delle operazioni che permettono di far funzionare una determinata
classe di macchine o di utensili. In più l'istruzione. mira a creare abilità
potenziali, da acquisire per un'utilizzazione futura (l'utilizzazione imme­
diata avviene solo nell'ambito di quella simulazione del lavoro di cui s'è
appena detto, nell'ambito cioè di una esercitazione).
Questi due aspetti di simulazione e di potenziale utilizzabilità futura
delle procedure apprese sono fondamentali; da ciò discende, fra l'altro, la
più rilevante differenza rispetto alle istruzioni per l'uso, e cioè il fatto (su
cui torneremo in 3.1) che non sempre l'utilizzo di un'istruzione didattica è
connesso ad una immediata interazione con la macchina.

Ambito in cui avviene l'istruzione. Il processo di apprendere a fare, che è


dunque l'obiettivo della formazione professionale, si realizza sempre in un
ambito istituzionale, qualunque sia l'istituzione in cui avviene la .formazio­
ne. 2 Ciò significa, tra l'altro, che il processo di apprendimento non si basa
su un atto volontario dell'apprendente, legato al bisogno di ottenere un
qualcosa attraverso l'uso di una macchina, ma risponde ad un obbligo ad
imparare, quale è tipico dell'istituzione scolastica. Rispetto alle forme di
comunicazione tipicamente scolastiche l'istruzione didattica presenta, pe-

46
rò, un marcato orientamento all'agire pratico e assegna ali' azione lingui­
stica un carattere cooperativo; sono queste caratteristiche ad attribuire
anche all'istruzione didattica i tratti essenziali del genere istruzione tout
court. 3

Presenza di altre fonti di istruzione. Ultimo elemento di differenziazione


tra le modalità di utilizzazione delle istruzioni didattiche .e quelle delle
istruzioni per l'uso di apparecchi domestici riguarda la disponibilità di
altre fonti di istruzione. Se nel caso delle istruzioni per l'uso siamo di
fronte ad un utente che, in via di principio con il solo ausilio del libretto di
istruzioni offerto dalla casa costruttrice, si trova a manipolare la macchina
per farla funzionare, nel caso dell'istruzione didattica abbiamo a che fare
con una situazione molto più complessa.
L'utente, cioè l'allievo, non agisce solo sulla base delle indicazioni del
manuale, ma anche, se non soprattutto, sulla base delle istruzioni verbali
di un istruttore, l'insegnante, che di norma non coincide con quello che
nello schema riportato al paragrafo 3.1 è indicato come y (cioè l'autore
del manuale). Inoltre, nel caso che !'istruendo agisca direttamente sulla
macchina, si può (o talvolta si deve) servire anche delle istruzioni per l'uso
della singola macchina. Non ne deriva solo una particolare complessità
della comunicazione (l'istruendo deve utilizzare tre diverse fonti di istru­
zione, il manuale, il libretto di istruzioni della macchina, le istruzioni orali
dell'insegnante); a subire un cambiamento sono le stesse modalità di veri­
fica della comprensione dell'istruzione. Se nel caso dell'istruzione per
l'uso è la macchina stessa, ma solo alla fine_ dell'esecuzione della proce­
dura, a segnalare, con il suo mancato o difettoso funzionamento, la cattiva
comprensione o la cattiva esecuzione (è difficile distinguere le due possi­
bilità) dell'istruzione, nel caso dell'istruzione didattica può essere lo stesso
insegnante a correggere, nel corso stesso dell'esecuzione della procedura,
l'allievo che sta eseguendo in modo non corretto l'istruzione. Ciò permet­
te; almeno in via di principio, di ovviare ad eventuali inadeguatezze del
manuale; ma tutta la situazione può comportare anche il verificarsi di
nuove inadeguatezze, assolutamente non prevedibili al momento della
produzione del testo di istruzioni: quelle che derivano da infelicità nei
rapporti intertestuali tra le diverse istruzioni.

47
3. Contesto, testo, contenuti
3.1. Contesto comunicativo
Nonostante le particolarità appena citate, il modello del contesto co­
municativo del genere istruzione presentato nel contributo con il quale si
è aperto il nostro volume è adeguato a rappresentare il contesto anche
dell'istruzione didattica: vi è un x (l'allievo) che vuole ottenere un obietti­
vo ro eseguendo una procedura adeguata a far funzionare un oggetto
(macchina, attrezzo); vi è inoltre un y (l'autore del manuale) che enuncia
tale procedura. I tratti fondamentali restano, dunque, immutati; ma, diver­
samente da quel che accade nelle istruzioni per l'uso, l'obiettivo primario
dell'istruzione didattica non è quello di consentire il funzionamento di
una macchina, bensì quello di sviluppare l'abilità a svolgere determinati
compiti (fresare, misurare la pressione, filettare ecc.). Tra gli obiettivi
dell'istruzione vi è, quindi, ancor prima dell'insegnare ad adoperare una
macchina, quello di mettere in grado l'istruendo di individuare quale mac­
china, o quale tipo di macchina, risulti più adatta ad eseguire un determi­
nato compito in determinate condizioni. Inoltre l'istruzione didattica
punta a far acquisire non solo una capacità meccanica a compiere deter­
minate azioni, ma anche una consapevolezza delle connessioni tra
un'azione e l'altra, del perché si deve procedere in un modo o in un altro,
del cosa succede mentre si compie una determinata azione. Infine, come
conseguenza di entrambe le osservazioni precedenti, l'istruzione didattica
non può insegnare il funzionamento di una macchina specifica (la fresatri­
ce della ditta X, modello WZ), ma quello di qualsiasi macchina di quella
classe (quindi di qualsiasi fresatrice).
Queste caratteristiche hanno delle conseguenze sia sul piano della
costituzione del modello del contesto comunicativo soggiacente al testo di
istruzione, sia su quello della sua organizzazione testuale, sia infine su
quello dei contenuti.
Rispetto al modello di contesto comunicativo proposto in Serra Bome­
to (1992) per il tipo «istruzioni», le caratteristiche specifiche dell'istruzio­
ne didattica comportano variazioni se non nella architettura globale del
modello, certo nella etichettatura di alcuni elementi e nella gerarchia
istituibile fra di essi.

48
Il fatto che l'obiettivo dell'istruzione sia l'acquisizione della capacità di
far funzionare un tipo di macchina (o di utensile), comporta che l'elemen­
to z del modello (cioè l'oggetto a cui fa riferimento l'istruzione) vada
riscritto come classe di macchine e non semplicemente come macchina .
Per il resto il modello non deve essere variato; si deve però tenere presen­
te che ilfocus dell'istruzione non è orientato sulla fascia bassa dello sche­
ma (cioè sull'«(agire) sulla macchina per ottenerne il funzionamento»),
bensì sulla fascia alta (cioè sul «(compiere appropriate) azioni»). Infatti,
l'interazione con la macchina non è sempre prevista come contempora­
nea, o immediatamente successiva, alla fruizione dell'istruzione; ci può·
essere, cioè, una distinzione, certamente assente dalle istruzioni per l'uso,
tra un momento teorico e uno pratico. La distinzione tra i due momenti è
implicata dall'esistenza, come tratto costitutivo dell'istruzione didattica,
della presentazione dei diversi tipi di macchina che possono servire al
raggiungimento dello scopo prefissato (il che prevede quanto meno un
momento di riflessione, per la scelta dell'attrezzo adatto, tra la lettura di
questa parte dell'istruzione e l'avviamento dell'operazione vera e propria
con l'attrezzo giudicato appropriato); anche l'inserzione di spiegazioni sul
perché una determinata azione deve essere svolta, o del cosa succede
mentre si svolge tale azione, costituisce una rottura del flusso informativo
relativo alle operazioni da svolgere, cui spesso non può materialmente
corrispondere una pausa nell'esecuzione della sequenza di azioni necessa­
rie per giungere al fine prefissato.
Di conseguenza, il modello di contesto comunicativo dell'istruzione,
adattato all'istruzione didattica, è il seguente (il grassetto indica la foca­
lizzazione):

PROCEDURA

(x esegue) _ AZIONI (ottenere CO)


I per
su

z = CLASSE DI JACCHINE-- per ---- ottenere

49
3.2. Testo
Se il testo dei manuali di istruzione per l'uso è caratterizzato da etero­
geneità, ancor più eterogenei sono i manuali per l'istruzione professiona­
le. Converrà, quindi, anticipare la descrizione della veste formale di questi
manuali rispetto all'analisi dei contenuti in essi compresi.
Già nella configurazione materiale i manuali per l'istruzione professio­
nale presentano un'ampiezza e una complessità non paragonabili con
nessun libretto di istruzioni, per quanto ampio e articolato sia (li si con­
fronti pure con l'esempio più complesso di libretto di istruzioni per l'uso,
il manuale per persona/ computer). Non è solo questione di enorme am­
pliamento dei componenti non operazionali (su cui si tornerà in 3.3): è
l'intera struttura del libro ad essere diversa, proprio per motivi deducibili
da quanto. esposto nel paragrafo precedente: la focalizzazione sulle azio­
ni, e non sul funzionamento di una macchina, permette di inserire in uno
stesso capitolo istruzioni per l'uso di diverse macchine atte ad ottenere lo
stesso scopo (di norma, quindi, uno stesso capitolo è suddivisibile in più
istruzioni indipendenti, o parzialmente indipendenti, l'una dall'altra); la
necessità, poi, di fornire all'istruendo una formazione polivalente, fa sì
che uno stesso manuale comprenda istruzioni a svolgere una certa gam­
ma, anche piuttosto ampia, di compiti diversi, accomunati solo dall'ambito
generale di riferimento (per es. tecnologia meccanica, elettrotecnica ...).
In altre parole, in un manuale per l'istruzione professionale sono con­
tenute più unità comunicative, in gran parte autonome l'una dall'altra,
aventi ognuna uno scopo specifico (operazione da svolgere) e/o un refe­
rente diverso (classe di maccl)ine da far funzionare), mentre in un libretto
di istruzioni per l'uso si può assumere che l'unità comunicativa coincida
con il libretto stesso, che . rinvia ad un solo referente (il tipo specifico di
macchina da far funzionare) e spesso ad un solo scopo.
Inoltre, nei manuali per l'istruzione professionale vi possono essere
intere unità comunicative (in concreto,_ interi capitoli) privi di uria finalità,
anche indirettamente, operativa e tali da presentare nozioni di base che
costituiscono il background conoscitivo necessario per comprendere non
solo le istruzioni successive, ma le stesse componenti non operazionali
delle istruzioni successive.

50
Questa articolazione si evidenzia al massimo grado di tipicità in quei
manuali che inseriscono le parti applicative in una trattazione sistematica
anche teorica.
Possiamo esemplificare quanto detto fino ad ora, analizzando la strut­
tura del terzo volume del manuale Tecnologia (T). E' costituito da 14
capitoli o sezioni (non denominate nel testo come tali, ma riconoscibili
dall'articolazione data all'indice e dal ripetersi in ogni pagina della parola
chiave che la contraddistingue): l. Struttura della materia; 2. Analisi ter­
mica e diagrammi di stato; 3. Le leghe ferrocarbonio; 4. Gli acciai e i loro
trattamenti termici; 5. Acciai speciali; 6. Le ghise e i loro trattamenti
termici; 7. Complementi di fonderia; 8. Le leghe non ferrose e i loro
trattamenti termici; 9. Procedimenti speciali di saldatura; 10. Prove mec­
caniche; 11. Prove tecnologiche; 12. Controlli non distruttivi; 13. Analisi
metallografica; 14. Organizzazione aziendale. A parte l'ultima sezione,
che dà informazioni di tipo del tutto diverso da quelle che ci si attende di
trovare in un manuale di istruzioni, almeno tre sezioni (la prima, la terza e
l'ottava) sono totalmente prive di parti contenenti procedure (sono illu­
strate le caratteristiche chimico-fisiche delle sostanze trattate); altre (ad
es. la nona) sono costituite quasi e�clusivamente da istruzioni; ma la nor­
ma è che in ogni sezione si alternino parti descrittive sulle caratteristiche
dei materiali esaminati e parti operative relative ai procedimenti effettua­
bili su tali materiali.
In questi testi è proprio la presentazione delle nozioni di base della
materia trattata a costituire il focus del manuale, mentre le unità comuni­
cative di tipo istruttivo assumono spesso i co?torni della descrizione di un
processo, sia pure un processo avviato da un operatore sulla base di una
determinata procedura enunciata nel manuale.
Si veda l'unità relativa alla cementazione, qui riprodotta. Essa è prece­
duta da un paragrafo che illustra i trattamenti termochimici, uno dei quali
è, per _l' appunto, la cementazione.

51
Acciai
Trattamenti termochimici

Trattamenti termochimici

L'unione di elemen1i diversi per formare La formazione di leghe ferro-carbonio è ca­ Di tu11i questi trat1amenti. fondamentale è
una lega è realizzabile anche per diffusione ratteristica della cementazione: quella del­ lo studio della cementazione e della nitru­
allo stato solido. le leghe ferro-azoto della nitrurazione: quel· razione.
Nella zona (di solito di piccolo spessore) in la delle leghe ferro-zolfo-azoto della solfoni--
cui si forma la lega si ha una modificazione 1,urazione; Quella delle leghe ferro-allumi·
della composizione chimica. nio della cak>rizzazione: quella delle leghe
Si può desiderare questa atterazione per ferro-cromo della cromizzazione: quella
dare al pezzo parlicolari proprietà superfì· delle leghe ferro-zinco della sherardizza­
ciali Quali ad esempio: durezza. resistenza zione.
all'usura e alla ossidazione, ecc.

Cementazione
Con il trattamento di cementazione un ac- • Le caratteristiche importan1i della cemen• Queste caratteristìche vengono ottenute in
ciaio dolce (a basso contenuto dì carbonio}, tazione sono: la profondità di penetrazione funzione di:
ad alta temperatura (sopra Ac 3). a contat10 e la percentuale di carbonio alle varie pro- compasizione dell'acciaio di partenza
con sostanze çontenenti carbonio, assorbe 1ondità. temperatura a cui avviene la dìtfusione
una parte di questo carbonio per diffusio­ tempo di cementazione
ne. Si forma così uno strato superficiale tipo di sostanza cementante uliliuata.
sottile con un conIenuto più alto di cart,o .
nio.

Prolondità di cementazione in funzione


della composizione dell'acciaio e,.

La profondità di cementazione viene rileva­ La profondità di penetrazione dipende dalla


ta sperimentalmente e riportata in un grafi­ composizione dell'acciaio di par1enza. per­
co come Quello in figura. in funzione della ché il tenore di carbonio influisce sulla ve­
percentuale di carbonio. locM di assorbimento.
Oltre al tenore di carbonio influiscono sul Infatti. il carbonio si diffonde tanto più tacil·
processo anche gli altri elementi in lega: il mente. nell'austenite quanto più piccola è la
croino. il tungsteno,.il molibdeno favorisco­ percentuale di .carbonio nell'acciaio sotto­ composizione
no il processo di diffusione, mentre nickel, posto a cementazione (in genere C < acciaiodipartenz:a
silicio e alluminio l'ostacolano. 0.2%). A mano a mano che il carbonio si
Nella tabella Qui sotto i principali acciai da dittonc1e. la velocità di diffusione dìminul·
cementazione. sce, dato che la percentuale di carbonio
nello strato cementato aumenta.

· ·
uIametn Lmn:1J min, meo10. max �
! .. ComPosizione chimica ,:nedia. · . ·.
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·· con 70%"di martensite
· a cuore {le�pra)n olio)

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32
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0.20
1.20
1.20
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1.10
17
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----
34

•• ,.
. ..
34
JM2012 0.20 1.20 1.10 21
----
CM20B
CD18 18 CrMo 4
0.20
0.18
1.20
0.70
1.10
1.00 0.20
B
17
·�J ----
32

33
JDt812 0.18 0.70 1.00 0.20 2L2l.,__!4

,.
...
CN07 12 NiCr 3· 0.12 0.50 0.60 0.70
CN27 (16 NiCr 11) 0.16 o.so 0.80 2.65 11 10 32

P10fond1tè di cementazione in funzione


2
.... ""'
......
.....
1.7$
della temperatura e della durata ...... 000

.,...
1.50
del trattamento
us ;., :--
, .....
La temperatura alla quale avviene il pro­
cesso di cementazione deve essere supe.
Come si vede dal grafico, anche la durata
della cementazione influisce sulla profondi• .,.
/
....

.••
riore ad Ac3, perché il carbonio è facilmen· tà, ma non in maniera lineare dato che la .....
= "'
V,,
te solubile nel ferro-, (austenite). A tempe· velocità dì diffusione diminuisce alraumen·
ratura superiore corrisponde una maggiore tare del tenore di carbonio nello strato ce­
profondità di diflusione del carbonio. mentato. 1 2 3 1 • t 'O t1 12 t

52
Acciai
Trattamenti termochimici

Tiai di cementazione
11 trattamento dipende anche dal tipo di so­ Si distìnguono:
stanza cemen1an1e utilizzata. sostanze solide {carbone di legna).
sostanze gassose (osskjo di carbonio).
sostanze liquide (cianuro di sodio).
Cemenrazione solida
Per la cementazione solida si usano come La velocità dì penetrazione è compresa tra La temperatura del forno è portata sul 900-
elementi cementanti polvere di carbone di 0, 1 e 0,2 mm per ogni ora di permanenza ìn 950 0 C per mantenere la struttura dell"ac·
tegna miscelata con carbonato di bario forno, secondo il tipo di acci�io. ciaio austenitica.
{Baeaj. La profondità di cementazione va da 0.3 a l'austenite, intatti, ha la possibilità di as­
La polvere di carbone ha la funzione di ce­ 2mm. sorbire più facilmente il carbonio.
dere il carbonio. producendO ossido di car­ La permanenza in forno dipende dallo
bonio {CO). mentre il carbonato di bario �pessore di cemantazione che si vuote ot­
funge da acceleratore del processo de­ tenere.
componendosi e liberando diossido di car•
oonio (C02).
EsecuzlJne del trattamento
L'operazione di cementazione avviene in
due fasi:
!ase di prepararione
fase di cementazione e controllo

Fase di preparazione
eer lacilitare l'assorbimento del carbonio I pezzi da cementare vengono disposti en·
da pane dell'acciaio si esegue un tratta· tro speciali cassette per cementazione. in
mento termico preliminare di ricottura. mQOo da as$icurare un ottimo contatto con
la polvere cementante.
Il coperchio è sigillato con argilla. per impe­
dire l'entrata di aria.
Una volta disposti i peu1 a strati alterni con
la polvere cementante la cassetta è messa
in forno.
Fase di cementazione e controllo
Una delle pa'reli della cassetta è provvista Queste provette. che sporgono dalla cas­ Per controllare la profondità di penetrazio­
di alcuni fori, nei quali vengono introdotte setta e hanno l'altra estremita immersa ne del carbonio si estraggono successiva•
le provette, costituite da tondini di acciaio nella polvere cementante. verranno estrai· mente i vari provini. si temprano. si spezza•
di 5 mm di diametro. te durante il trattamento per controllare la no ad una estremità e si esaminano al m;.
profondità di cementazione. croscopio.
Se lo spessore cementato ha raggiunto il
valore richiesto si interrompe il trattamen­
to.
C-:-:nentaz1or:e hquida (cianurazione)
La cementazione liquida viene eseguita im· La cementazione per via liquida è molto più Il processo è pericolosissimo. perché i sali
mergendo i peui in un bagno cementante veloce di quella per via solida. di cianuro e i gas che si sprigionano duran­
uscaldato ad alta temperatura (900 "' C cir­ In genere si impiegano tre ore per avere 1 te l'operazione di cementazione sono mol­
ca) e costituito da sali a base di cianuro (il mm di profondità di cementazione. to velenosi.
cianuro è un composto chimico ricco di La cementazione liquida è indicata per pez­
caroonio) e azoto. zi di piccole dimensioni e per piccole pr<r
duzioni.
L"azoto, che si dirroncie ne1racciaio. ne au­
menta la tragilità.
Esecuzione del trattamento
La cianurazione viene eseguita in un forno Trascorso il tempo necessario per ottenere
a bagno di sali. lo spessore voluto di cementazione. lacil­
Il sale è mantenuto allo stato di fusione a mente controllabile per mezzo di provini
OOo•c. immersi nel bagno. i pezzi vengono estratti
I pezzi contenuti entro i cestelli a maglie e lasciati sgocciolare.
larghe vengono immersi nei sali.

Cementazione gassosa
�a cementazione gassosa viene eseguila Le pareti del forno sono munite di numerosi La cementazione gassosa è adatta per
in torni speciali a chiusura ermetica. in un ugelli che. in aggiunta ad uno o più ventila• pezzi di grosse dimensioni o per grosse
am biente costituito da gas capaci di cede­ tori, distribuiscono uniformemente il gas in produzioni.
re carbonio. tutta la camera del torno. Il processo è rapido, come quello della ce•
L'ambiente carburante può essere prodot­ men1azione liquida, ma molto meno perico­
to bruciando in assenza di aria: loso.
�as metano, propano o gas di città:
rarocarburi liquidi (gasolio, nafta).

53
Proviamo a descrivere la complessa organizzazione interna di questa
istruzione.
Possiamo riconoscere le seguenti parti:

Al: Enunciazione del processo e delle sue caratteristiche fondamen­


tali [nel paragrafo intitolato Cementazione ].

A2: Illustrazione teorica delle sue caratteristiche fondamentali [para­


grafi Profondità di cementazione in funzione della composizione
dell'acciaio e Profondità di cementazione in funzione della temperatura
e della durata del trattamento].

A3: Indicazione dei diversi tipi del processo esaminato [Tipi di cemen­
tazione].
al: Enunciazione del primo tipo di processo e delle sue caratteri­
stiche generali [Cementazione solida].
a2: Descrizione della procedura (suddivisa in tre fasi, una di prepa­
razione, una di esecuzione, una di controllo - ma il testo ne tema­
tizza, con i titoletti, solo due, unendo in un'unica sottounità
esecuzione e controllo) [Esecuzione del trattamento; Fase di prepa­
razione; Fase di cementazione e di controllo].
b I : Enunciazione del secondo tipo di processo [ Cementazione li­
quida].
b2: Descrizione della procedura [Esecuzione del trattamento].
c 1: Enunciazione del terzo tipo di processo [ Cementazione gasso­
sa].

Un aspetto in parte diverso e più simile a quello dei libretti di istruzio­


ne presentano i manuali applicativi, finalizzati esclusivamente aq esercita­
zioni su materiali e su macchine. Pu.r con le differenziazioni di fondo
segnalate nei paragrafi precedenti (focalizzazione sulla procedura e non
sulla macchina, ampia presenza riel testo di parti non operazionali che
rompono il flusso delle informazioni operative, e soprattutto presenza
nello stesso manuale di istruzioni indipendenti l'una dall'altra), la struttu-

54
ra del testo risulta più omogenea, avendo come criterio ordinatore la serie
di procedure da imparare.
Esemplifichiamo con il sommario del volume Complementi tecnici per
le esercitazioni nei reparti di lavorazione (CTE). E' suddiviso in 10 sezioni:

1. Materiali;
2. Metrologia;
3. Tolleranze;
4. Lavorazioni al banco;
5. Giunzioni e collegamenti;
6. Lavorazioni plastiche;
7. Lavorazioni con asportazioni di truciolo;
8. Lavorazioni dei fori;
9. Lavorazioni alla limatrice;
10. Tornitura.

Nessuna di queste sezioni e priva di unità di istruzione, neppure la


prima che pure è quella di argomento più generale e introduttivo; di
norma ogni sezione contiene una premessa nella quale sono richiamati i
principi relativi alle operazioni che costituiscono l'oggetto della sezione
oppure le proprietà dei materiali o degli oggetti che vengono sottopostì
alle lavorazioni descritte e un'ampia sequenza di istruzioni.
L'articolazione interna delle singole istruzioni (a parte l'impianto più
esplicitamente e nettamente regolativo) può però non discostarsi di molto
da quella dei manuali «teorici» sopra citati'. Si veda l'unità relativa ai
controlli di planarità.

55
Controllo degll errori di planarllà

I conttolli di planarità consistono nel In figura sono illustrate ad esempio


verificare gli scostamenti tra una su­ due tra le infinite possibilità di distri­
perficie piana reale e la superficie pia­ buzione delle rette lungo le quali ese­
na ideale prevista dal disegno. guire una serie di controlli di rettilinei­
Poiché ogni piano è formato da una tà per verificare la planarità di un3
infinità di rette che giacciono su di es­ superficie.
so, i controlli di planarità possono es­ Si assume come errore di planarità il
sere condotti facendo una serie di massimo errore di rettilineità riscontra­
controlli di rettilineità lungo dùe o più to lungo una qualsiasi delle rette esa­
rette giacenti nel piano in esame, orien­ minate.
tate in modo che il controllo venga
eftettuato su tutta la superficie e non Oltre ai controlli di planarìtà eseguìbi­
soltanto su una parte di essa. li con i gvardapiani e con il compa­
ratore, di cui si è parlato a proposito
del controlli di rettllineìtà, la planarità
delle superfici, a seconda delle carat­
teristiche e dell'estensione del pezzo,
può essere verificata
con la livella
con il sistema del colore
con l'autocollimatore
con i vetri interferometrici

Controllo della planarità con la livella


Viene eseguito quando si devono esa­
minare superfici estese come ad esem­
pio quelle delle guide e dei bancali
delle macchine utensili.
©' Il procedimento consiste nel disporre
la livella in vari punti del piano in esa­
me e secondo diversi orientamenti e
nel registrare gli spostamenti della bol­
la rispetto a una posizione inìziale di
riferimento.
� Prima di effettuare il controllo di pla­
narità è necessario procedere alla ve­
rifica dell'orizzontalilà del plano, che
può essere eseguita con la stessa li­
vella, cosi da eliminare le possibili so­
vrapposizioni tra gli errori di planarità
e quelli di inclinazione rispetto al pia­
no oriuontale.
In figura è illustrato un esempio di con­
trollo dell'orizzontalità della tavola di
una limatrice.

Esempio di controllo della planarità


della tavola portapezzi di una limatrice
(o' Verificata l'orizzontalità media della ta­ Esempio
vola. si posiziona la livella in vari pun­
Dalle varie letture della livella si è
ti della tavola e ci si accerta del mas­
determinato che il punto più alto é:
simo dislive:10 esistente tra due pun­
X ( = + 0,02 mm) e quello più basso é
ti, se ne misura la distanza e si rap­
Y (= - 0,04 mm}.
porta l"errore a 1000 mm.
Se la distanza XY è di 1500 mm rer­
La precisione di questo tipo di control­ rore di planarità su tale distanza è:
lo dipende dalla sensibilità det:a livel­ 0,02 - (- 0,04) = 0,06 mm
la utilizzata.
che. rapportato a 1000 mm. eQuivale a
0,06 • .1QQQ
1500
= 0,04 mm,

56
CT

Controllo della planarità con il sistema


del colore e piano di riscontro
Viene eseguito in part;colare Quando si
devono controllare si.;per1ici finite a
mano. ad esempio con operazione di
raschiettatura.
Il controllo è basato sul confronto tra
la superficie in lavorazione e una su­
perficie che già possiede le caratteri­
stiche di planarit� richieste, come ad
esempio il piano di riscontro.
Il confronto consente non solo di met­
tere in rilievo irregolarità anche picco­
lissime, ma assicura il controllo del­
l'intera superficie, localizzando le zone
più o meno sporgenti.
@ Sul piano di riscontro accuratamente
pulito si stende con un apposito tampo­
ne uno strato sottilissimo di colore (blu
di Prussia o minio) affinandolo in modo
da ottenere un velo uniforme. Si fa
quindi strisciare sullo strato di colore.
con leggera e costante pressione e in
varie direzioni, la superficie da con­
trollare.

$ i:>aseivàndo a questo punto la distrl• C>


· buzione del colore sulla superficie da
controllare si notano in generale tre
·zone con colorazioni diverse,

A., Zona leggermente colorata


Sono state a contatto con il piano di
riscontro e quindi il colore. durante lo
strofinamento, è stato spinto lateral­
mente.
Sono le z:one più alte e pertanto vanno
raschiettate per prime.
8 Zone intensamente colorate
Sono localizzate intorno alle preceden­
ti e vanno lavorate in fase di finitura.
C Zone non colorate
Sono le più basse e quindi non rag­

*
giunte dal colore. Ovviamente queste
zone non vanno raschiettate.
Tanto più numerose sono le macchie e(>{:>
più regolare è la loro distribuzione
sull'intera superficie. tanto più elevato
è il grado di finitura e di p:anarità rag­
giunto con la raschiettatura.

Controllo dei piani di riscontro


Con il s:stema del colore viene con­ (5\ Oopo aver piallato, rettificato o limato
lrotiata la planarità deg.i ste$$i piani i tre piani A-8-C, SI controlla la loro
di riscontro realizzati con il metodo di planarità secondo quest'ordine.
lavorazione detto dei tre piani e con @ Si contro:la A con B e si lavorano i
finitura delle superfici eseguita a mano due piani fino a farli combaciare. otte­
mediante raschiettatura. nendo ad esempio il risultato 1 (in fi­
gura la concavità è volutamente esage­
rata).
@Si ,controlla· A con C e si lavora C sino
a farlo combaciare con A (2).
(ò' Si provano quindi B e C fra loro: non
è detto che combacino perché posso­
no essere entrambi concavi (come in
ligura 3) o entrambi convessi. In tal
caso la lavorazione prosegue.
@ Si provano e lavorano A e e e ancora
A e 8, e cosi via.
(o\ Seguitando a tare c�nfr�nti e a l':'- VO-:
rare volta a volta i piani controllati. s1
può arrivare alla precisione richiesta.

58
CT 46.4

Controllo della planarità con i vetri


interlerometrici
Questo tipo di controllo consente di $ Il controllo con vetro interferometrico
apprezzare errori di planarità dell'or­ viene applicato soltanto quando le su­
dine del decimo di micrometro (0,1 µm) perfici sono abbastanza ristrette e han­
ed è quindi il più preciso tra quelli de­ no un grado di finitura molto elevato
scritti. (superfici lappate o superfinite), come
Il vetro interferometrico è un vetro ot• le superfici piane di strumenti e attrez­
tico (quarzo), In genere a forma di di­ zature di grande precisione.
sco, con facce opposte perfettamente
(5' Con i vetri Interferometrici si control­
piane e parallele.
lano ad esempio le superfici piane dei
Osservando la superficie in esame at­
traverso Il vetro ottico si notano delle
tasti misuratori dei micrometri (1), quel­
. le dei blocchetti piano-paralleli {2),
zone alternativamente chiare o scure,
ecc.
chiamato !rango di lntorforonza. eho �i
rormano per un fenomeno ottico.
In base al numero e alla. forma delle
frange osservate attraverso il vetro ot­
tico è possibile stabilire Il grado di pla­
narità della superficie esaminata ed e­
videnziare anche le più piccole irrego-
larità.

__ d!j

59
Se ne può così schematizzare il contenuto:

Al Enunciazione dell'operazione da svolgere [Controllo degli erroridi


planarità].

A2 Illustrazione teorica delle sue caratteristiche fondamentali [stesso


paragrafo].

A3 Enunciazione dei diversi modi di esecuzione dell'operazione [stes­


so paragrafo].
al Istruzione di un primo modo di eseguire l'operazione trattata
[Controllo della planarità con la livella].
a2 Esempio di esecuzione di tale modo [Esempio di controllo della
planarità della tavola portapezzi di una limatrice].
bi Enunciazione, istruzione ed esempio di un secondo modo di
eseguire l'operazione trattata [Controllo della rettilineità e della
planarità di una guida piana].
cl Descrizione della macchina da utilizzare per un terzo modo di
eseguire l'operazione trattata [Controllo della planarità con l'auto­
collimatore].
c2 Enunciazione delle caratteristiche di tale tipo di operazione
[Principio di controllo con autocollimatoreJ.
di Enunciazione delle caratteristiche di un quarto modo per ese­
guire l'operazione [Controllo della planarità con il sistema del colo­
re e piano di riscontro].
d2 Istruzione ad eseguire tale operazione [stesso paragrafo].
d3 Enunciazione di un sottotipo dell'operazione trattata [ Control­
lo dei piani di riscontro].
d4 Istruzione ad eseguire tale operazione [stesso paragrafo].
el Enunciazione di un quinto modo di eseguire l'operazione trat­
tata [Controllo della planarità con i vetri interlerometrici].

60
Leggendo le due serie di istruzioni riportate, tratte una da un manuale
«teorico» e una da un manuale «pratico», e soprattutto confrontando le
due schematizzazioni, colpisce, oltre all'inclusione (in entrambe) di parti
di illustrazione teorica del processo esaminato, la disomogeneità di orga­
nizzazione testuale delle istruzioni e, in particolare, la mancanza in alcune
di esse di parti esplicitamente operazionali. Su tutto questo si tornerà nel
cap. 4; quel che importa qui notare è che la diversità di organizzazione
strutturale dei manuali ( orientata verso la teoria vs orientata verso la
pratica) non implica una diversità di organizzazione delle singole sequen­
ze di istruzioni. Se ne conclude che si può riconoscere una modalità di
strutturazione testuale delle istruzioni caratteristica di tutti i manuali di
formazione professionale.

3.3. Contenuti
In Serra Bometo (1992) si sono suddivisi i contenuti dei manuali di
istruzioni per l'uso in due componenti principali, il componente proce­
durale e il componente non procedurale. Il componente procedurale inclu­
de le informazioni che riguardano in maniera diretta o indiretta il
funzionamento della macchina; di . queste, quelle che richiedono un'inte­
razione dell'utente con la macchina costituiscono il sottocomponente ope­
razionale, mentre quelle che non richiedono tale interazione (per es.
descrizioni della macchina, dati sullè sue caratteristiche ecc.) costituisco­
no il sottocomponente non operazionale. Il componente non procedurale
comprende, invece, tutte le informazioni che non riguardano il funziona­
mento della macchina (ad es. modalità di garanzia e assistenza, avvertenze
sui possibili danneggiamenti della macchina ecc.).
Anche nei nostri manuali appare basilare la distinzione tra un compo­
nente procedurale (con i due sottocomponenti operazionale e non opera­
zionale) e un componente non procedurale.4
Non vi sono dubbi sulla identificazione del sottocomponente· operazio­
nàle: ad esso possiamo ricondurre tutte le informazioni che riguardano la
preparazione della macchina, o degli oggetti su cui si deve operare con la
macchina o con l'utensile; l'esecuzione delle operazioni tematizzate
nell'unità; le eventuali informazioni sulla manutenzione della macchina.
Esempi:

61
(1) Spostando la base di appoggio dello specchio lungo la superfi­
cie in esame si rilevano così le varie posizioni angolari assunte
dallo specchio e quindi i dislivelli della superficie (C1E, 46.2).
(2) I pezzi da cementare vengono disposti entro speciali cassette
per cementazione, in modo da assicurare un ottimo contatto
con la polvere cementante.
Il coperchio è sigillato con argilla, per impedire l'entrata di aria.
Una volta disposti i pezzi a strati alterni con la polvere cemen­
tante la cassetta è messa in forno (T3, 131).5

Al sottocomponente non operazionale vanno ascritte le parti che ri­


guardano la scelta della macchina più adatta per eseguire nelle diverse
condizioni l'operazione tematizzata, le figure che rappresentano la mac­
china, grafici e schemi che ne illustrano il funzionamento, esempi che
illustrano, spesso con il corredo di quantificazioni, le modalità d'uso della
macchina, tabelle riportanti i valori standard di funzionamento. In sostan­
za, lo stesso tipo di informazioni presenti nei corrispondenti componenti
delle istruzioni per l'uso.6 Riteniamo, poi, che vadano fatti ricadere nel
sottocomponente non operazionale (e appartengano, quindi, al compo­
nente procedurale) tutte quelle parti che, all'interno delle istruzioni, illu­
strano i principi che regolano i processi messi in atto con le procedure
eseguite, le condizioni che rendono necessario procedere ali'operazione
che costituisce l'oggetto dell'istruzione ecc.7: infatti sono informazioni
che, anche se non implicano un'interazione diretta con la macchina, né
danno indicazioni indirette su come operare sulla macchina, mirano pur
sempre, nel contesto del proèesso di istruzione come l'abbiamo delineato
in particolare in 2., a rendere consapevole, e quindi più produttivo, l'ope­
rare dell'istruendo con la ·macchina. Ci paiono, cioè, informazioni analo­
ghe alle seguenti, tratte dal sottocomponente non operazionale delle
istruzioni per l'uso di una telecamera:

(3) L'uso della funzione m�cro consente alla telecamera di avvici­


nare il più possibile il soggetto all'obiettivo, in modo che anche
piccoli oggetti possono letteralmente riempire il quadrante per

62
efficaci primi piani. Questo vi consente di scoprire aspetti del
soggetto che diversamente sarebbe impossibile notare.

Definito in questo modo il componente procedurale, sono ben poche


le informazioni dei manuali per la formazione professionale che possono
essere incluse nel componente non procedurale. Mancano completamen­
te, è ovvio, parti come l'illustrazione delle modalità di garanzia e assisten­
za o l'elogio del prodotto. Si trovano, invece, avvertenze di carattere
sa.'1itario e antinfortunistico. Vanno altresì ascritte a questo componente
le tabelle che riportano dati relativi alle caratteristiche chimico-fisiche dei
materiali adoperati (ad es. la tabella relativa ai principali acciai da cemen­
tazione riportata nell'unità «Acciai. Trattamenti termochimici»).
E' facile concludere che l'estensione (assoluta e relativa) dei tre com­
ponenti nei nostri testi è radicalmente diversa rispetto alle istruzioni per
l'uso. Mentre il sottocomponente operazionale ha un'estensione parago­
nabile a quella che caratterizza i libretti di istruzioni per l'uso, il sottocom­
ponente non operazionale assume un'ampiezza e un rilievo
assolutamente preponderanti. A livello di contenuti è proprio l'espansio­
ne di questo componente a caratterizzare le istruzioni analizzate nel pre­
sente contributo.8 A sua volta il componente non procedurale viene ad
assumere una pura funzione di contorno, assolutamente marginale.

3.4. Conclusioni sul modello


La verifica della tenuta del modello e delle categorie elaborata dal
gruppo di ricerca sulle istruzioni per l'uso si è conclusa in modo positivo:
modello e categorie si rivelano applicabili anche a testi diversi da quelli
per cui sono stati concepiti. La loro pertinenza e la loro potenza è confer­
mata dal fatto che proprio gli elementi concettuali che stanno alla base
della modellizzazione e delle categorizzazioni di riferimento permettono
di individuare le caratteristiche identificative di un altro genere di istruzio­
ni, quelle contenute nei manuali per la formazione professionale.

63
4. La, forma del testo
Differenze molto più accentuate tra le istruzioni per l'uso di apparec­
chi domestici e quelle contenute nei manuali per la formazione professio­
nale sono riconoscibili al livello della forma del testo.
La prima impressione suscitata da molte delle istruzioni presenti nei
manuali da noi esaminati, è che non si tratti tanto di testi che indicano ad
un possibile utente le operazioni da svolgere su una macchina, quanto testi
che descrivono il processo che avviene in una macchina opportunamente
manipolata da un agente per ottenere il fine prefissato. La descrizione del
processo, non avendo una prospettiva immediatamente operativa, può
essere integrata da commenti e spiegazioni sulla natura del processo, sulle
condizioni che ne agevolano l'esecuzione ecc. L'impressione generale so­
pra abbozzata può essere verificata e documentata con dati di fatto con­
frontando la forma che assume l'istruzione nei manuali scolastici con la
forma che essa assume nei manuali d'uso. Decisivi appaiono due aspetti,
che verranno trattati nei prossimi paragrafi: da una parte il rapporto tra
successione delle operazioni e sequenza delle istruzioni, dall'altra i pro­
cessi di deagentivizzazione.

4.1. Successione delle operazioni e sequenza delle istruzioni


Un testo di istruzioni è normalmente costituito da una sequenza di
paragrafi (che possono essere formati anche da una sola frase), ognuno
dei quali è associato a una o più operazioni da effettuare sulla macchina.
Generalmente l'articolazione del testo viene evidenziata con espedienti
grafici di varia natura (titolatùre, simboli, uso di particolari caratteri ecc.)
in maniera più marcata di quanto avvenga in altri tipi di testo.
Possiamo assumere che la disposizione non marcata della sequenza di
istruzioni sia quella che rispecchia l'ordine naturale delle azioni, soprat­
tutto in quelle istruzioni per l'uso che presuppongono una lettura frazio­
nata (cioè lettura di un'istruzione ed· esecuzione del relativo comando;
lettura dell'istruzione successiva ed esecuzione del relativo comando e
così via).9

64
Si tratta di verificare innanzi tutto se e in quale misura tale disposizio­
ne si realizza nei testi di istruzione per la formazione professionale, e
quali siano le più significative violazioni a tale ordine.
Nei testi esaminati accade di incontrare istruzioni I o che rispecchiano
l'ordine naturale degli accadimenti:

(4) Si riscalda la ghisa fino a 500 ° C, per il tempo necessario ad


avere uniformità di temperatura in ogni punto.
°
Si porta la temperatura fino a 840 C, per avere la completa
austenitizzazione della perlite.
Si raffredda la lega in acqua o in olio, allo scopo di ottenere
strutture martensitiche che conferiscono durezza Brinell HB =
600 + 850 daN/mm.
°
Dopo la tempra si esegue il rinvenimento a 300 C, per trasfor­
mare parzialmente la martensite e ottenere strutture meno fra­
gili (TI, 170).

Questa istruzione è caratterizzata da un assoluto isomorfismo tra il


piano delle azioni e quello del testò: non solo l'ordine del testo rispetta la
successione delle azioni, ma ad ogni paragrafo è associata una azione.
Non è però la situazione più frequente. La norma è che si verifichino
rotture, più o meno profonde, della disposizione non marcata.
Alcuni tipi di violazione di tale disposizione rispondono ad esigenze •
comuni ad ogni tipo di istruzione. E' quel che accade quando vengono
create gerarchie fra operazioni di sfondo, generiche, e operazioni princi­
pali, specifiche, o, per meglio dire, fra operazioni note, che l'istruttore
ritiene cioè comprese nelle conoscenze del mondo o nelle preconoscenze
tecniche dell'istruendo, e operazioni nuove, quelle per le quali si ricorre
ali'istruzione:

(5) Per fare ciò [asportare i depositi carboniosi dallo stantuffo],


portare gli stantuffi al punto morto superiore (dopo aver tolto
la testata), coprire le parti non interessate all'operazione (in-

65
tercapedini e fori vari), riempire con del grasso il gioco esisten­
te tra lo stantuffo ed il cilindro (TA, E-10/1).

In questa istruzione, l'operazione «togliere la testata» è considerata


un'operazione ovvia, conosciuta dall'istruendo (alla stessa stregua dell' in­
serimento della spina in un'istruzione del tipo «dopo aver inserito la
spina, premere l'interruttore posto sul lato sinistro dell'apparecchio»).
Segnali sintattici (l'enunciazione dell'operazione in una subordinata)11 e
grafici (la messa tra parentesi) evidenziano lo status diverso di questa
operazione, rispetto alle altre dell'istruzione. E' proprio lo status partico­
lare di questa operazione, a permettere la sua collocazione in un ordine
diverso rispetto a quello degli accadimenti (che è invece l'ordine che
regola la sequenza delle altre operazioni).
Ugualmente non presentano modalità o funzioni sensibilmente diverse
da quelle riscontrabili generalmente nelle istruzioni, la presentazione di
operazioni alternative, che corrispondono ad un biforcarsi della sequenza
fondamentale 12:

(6) Agire opportunamente sulla ghiera godronata 16. Nel caso che
non si riesca ad ottenere l'azzeramento il liquido manometrico
è in eccesso o in difetto. Se è in eccesso, si deve soffiare legger­
mente nel bocchello 17 in modo da far uscire nel bocchello 8 la
quantità di liquido in eccesso ed azzerare la ghiera (16). Nel
secondo caso, dopo aver tolta la vite 18 ed il bocchello 17, con
l'uso di un piccolo imbuto, immettere la quantità di liquido in
difetto ed azzerare con la ghiera (16) (P, 12.1).

Anche qui sono esclusivamente segnali linguistici ( «Se è in eccesso»,


«Nel secondo caso») ad indicare il biforcarsi della procedura, mentre
mancano segnali grafico-testuali anche di tipo semplice, quali la paragra­
fatura.
Ben più significative sono quel�e violazioni dell'ordine reale delle ope­
razioni che si possono far derivare dalle peculiarità commentate nel capi­
tolo precedente e che si possono sintetizzare nell'obiettivo dell'istruzione
didattica, che non è esclusivamente operativo, ma mira a trasmettere

66
all'allievo anche conoscenze sulla natura e sulle condizioni del processo
che viene innescato dalla manipolazione della macchina.
Esamineremo tre tipi di violazione della successione delle operazioni.

I tipo
O

Nell'istruzione (7) viene enunciata sia l'azione da compiere ( «eseguire


un trattamento preliminare di ricottura»), sia le operazioni con cui tale
azione viene realizzata ( «disporre i pezzi in speciali cassette», «sigillare il
coperchio con argilla», «disporre i pezzi a strati alterni con la polvere
cementante», «mettere la cassetta in forno»):

(7) Per facilitare l'assorbimento I pezzi da cementare vengo­


del carbonio da parte dell'ac­ no disposti entro speciali cas­
ciaio si esegue un trattamen­ sette per cementazione, in
to termico preliminare di modo da assicurare un ottimo
ricottura. contatto con la polvere ce­
mentante.
Il coperchio è sigillato con ar­
gilla, per impedire l'entrata di
aria.
Una volta disposti i pezzi a
strati alterni con la polvere
cementante la cassetta è mes­
sa in forno (TI, 131).

La relazione logica (da sovraordinato a sottoordinato) che regola il


rapporto tra azione e operazioni viene ad affiancarsi all'ordine cronologi­
co che domina invece (pur non essendo pienamente rispecchiato a livello
testuale) lo svolgimento delle operazioni. La distinzione tra i due piani,
essenziale per assegnare al criterio della successione cronologica un valo­
re rilevante solo per la sequenza delle operazioni, e non per l'intera
sequenza del testo, viene evidenziata dalla collocazione delle due catego­
rie di istruzioni (quella più generale relativa alle azioni, e quella più
specifica relativa alle operazioni) in due colonne diverse.

67
Il motivo per cui la sequenza delle operazioni viene preceduta
dall'enunciazione dell'azione, è certamente quella di trasmettere
all'istruendo nozioni più generali di quelle semplicemente operative
(l'istruendo deve sapere come deve eseguire una procedura, ma anche
cosa fa mentre esegue tale procedura). L'obiettivo è evidente in istruzioni
interamente giocate sul doppio piano dell'indicazione su una colonna di
un'intera sequenza di azioni (in ordine cronologico di esecuzione) e su
un'altra colonna, azione per azione, delle operazioni corrispondenti
(anch'esse in ordine cronologico).13 Ne risulta così una doppia possibilità
di lettura: una relativa all'intero testo, che può essere condotta in intera­
zione con la macchina e che sarà comunque focalizzata sulla colonna delle
operazioni (è in questa colonna che vengono date le istruzioni concrete su
come manipolare la macchina); 14 una relativa alla sola prima colonna, che
enuncia le azioni da compiere per ottenere lo scopo dell'istruzione e
permette di comporre, ed eventualmente memorizzare, il piano generale
della procedura da effettuare.

2 • tipo
La focalizzazione sul processo fa sì che la sequenza di istruzioni sia
spesso intercalata dalla descrizione di cambiamenti di stato della macchina
dipendenti dalle operazioni effettuate dall'utente o dalle condizioni in cui
la macchina agisce in seguito a tali operazioni. Si tratta, cioè, di quelle
attività che sono state definite "eventi-macchina".
L'inserimento di unità di testo relative ad eventi-macchina può avere la
medesima funzione espletata nelle istruzioni per l'uso di apparecchiature
domestiche: quella cioè di ·segnalare l'effetto ottenuto sulla macchina
dall'operazione dell'utente (permettendo così a questi di verificare l'effi­
cacia dell'operazione eseguita e/o di passare all'operazione successiva):

(8) La staffa viene rovesciata.


La miscela aderisce sulla · superficie del modello formandovi
una sorta di guscio, spesso qualche millimetro.
La resina riscaldata, infatti, indurisce per polimerizzazione.
Proseguendo il riscaldamento in un forno di cottura a circa 400

68
il guscio diventa duro, indeformabile, infusibile.
Il guscio viene quindi distaccato dalla placca modello (TI, 226).

o quella di portare nella superficie del testo un anello della procedura che
si ritiene necessario menzionare, anche se viene eseguito automatica­
mente dalla macchina, senza l'intervento diretto dell'utente. E' quanto
avviene nella seguente istruzione, nella quale all'operazione. che può esse­
re esplicitata come «far ruotare lentamente lo strumento di controllo con
il mandrino» fa seguito l'evento-macchina «il tastatore trasmette le sue
oscillazioni al comparatore». Un'istruzione che si fermasse all'operazione
consistente nel far ruotare lo strumento di controllo apparirebbe certa­
mente incompleta.

(9) Quando si debbono eseguire operazioni di fresatura su pezzi


che sono stati precedentemente forati o alesati e s1 richiede la
centratura del mandrino rispetto a questi fori, si impiegano
strumenti di contrbllo forniti di comparatore.
Questi strumenti vengono fissati con accoppiamento conico al
mandrino della macchina e fatti ruotare lentamente insieme al
mandrino.
Un tastatore a contatto con le superfici del foro trasmette le
sue oscillazioni ad un normale comparatore.
Questi strumenti possono differire nei particolari costruttivi a
seconda che si tratti di centrare il mandrino su fori di piccole o
grandi dimensioni, ma si basano sull'identico principio di fun­
zionamento (MU, 13.6).

Ma l'inserimento nell'istruzione di eventi-macchina risponde a volte ad


esigenze collegate non alla completezza dello schema istruttivo, ma all'o­
biettivo presente nelle istruzioni didattiche di fornire all'istruendo la con­
sapevolezza del processo avviato nella macchina dall'azione dell'utente:

(10) Per contrastare gli urti che si ripercuotono sugli organi di tra­
smissione della macchina quando un dente della fresa si stacca
dal materiale e quando il successivo inizia la sua azione si appli-

69
ca sul mandrino una massa V che funge da volano.
In questo modo la rotazione del mandrino e della fresa risulta
molto più uniforme ottenendo una finitura del pezzo esente da
vibrazioni (F, 11.2).
In questo caso l'informazione data nell'ultimo paragrafo è un'informa­
zione aggiuntiva, non necessaria per l'esecuzione dell'operazione, di cui
sono già state indicate le finalità e le modalità di esecuzione.15

3 ° tipo
Il terzo tipo di violazione è dato dall'inserimento, all'interno di una
istruzione, di osservazioni, richiami che si rifanno al sottocomponente non
operazionale.

(11) ·Esempio di controllo di rettilineità di una guida a V di un


bancale di macchina utensile.

Questo controllo si esegue con una riga campione A, orientata


sugli appoggi B, in modo che il comparatore C sia azzerato alle
estremità della guida stessa.
Questa operazione preliminare è indispensabile per evitare la
possibile sovrapposizione degli errori di parallelismo con quelli
di rettilineità.

Facendo scorrere il comparatore mediante il relativo supporto


D nella guida a V, si possono effettuare una serie di letture
intermedie e rilevare l'errore di rettilineità della guida.

Le letture possono essere diagrammate per avere un'immagine


visiva del profilo fortemente ingrandito in verticale.
Le deviazioni sono espresse in mm. (CTE, 45.2).

In questa istruzione tra l'indicazione della prima operazione, relativa al


corretto posizionamento degli strumenti da adoperare, e le successive
( «far scorrere il comparatore» e «effettuare una serie di letture») è inseri-

70
ta la spiegazione del motivo per cui deve essere effettuata la prima opera­
zione. Tra le informazioni non procedurali inserite all'interno della proce­
dura spiegazioni di questo tipo sono le più frequenti; altri esempi di
questo tipo riguardano l'indicazione di operazioni da non compiere, in
genere accompagnate dalla spiegazione del motivo per cui si tratta di
operazioni controindicate (del tipo: «Non usare il martello, perché il ma­
nico si può spaccare o scheggiare») o dalla rappresentazione delle conse­
guenze di una non corretta esecuzione dell'operazione, o dell'intera
procedura.

Credo di aver fornito sufficienti prove per poter concludere che l'orga­
nizzazione delle informazioni trasmesse dalle istruzioni nei manuali per la
formazione professionale è molto più complessa di quella delle istruzioni
per l'Uso di apparecchiature domestiche. Queste hanno un fine esclusiva­
mente operativo, mentre le prime hanno fini più ampi, quelli di trasmette­
re conoscenze tecniche e di sviluppare abilità pratiche utilizzabili in
diverse situazioni concrete, oltre che di promuovere capacità operative.
Questa complessità di organizzazione testuale è permessa da una caratte­
ristica di fondo delle istruzioni d_i cui stiamo trattando, e cioè la non
immediata interazione con la macchina. Nelle istruzioni per l'uso è la
macchina che regola anche le condizioni di fruizione dell'istruzione, nel
senso che può rendere necessario il ricorso al libretto di istruzioni ad ogni
singola operazione di cui consiste la procedura; il legame non stretto con
la macchina, e l'utilizzazione anche a lungo termine delle abilità acquisite
attraverso l'istruzione, rende possibile nei m�uali per la formazione pro­
fessionale una costruzione meno vincolata del testo.
Va sottolineato che le rotture rispetto all'ordine non marcato della
sequenza sono segnalate da fattori di marcatezza meno evidenti: per lo
più segnali linguistici (che l'istruendo deve individuare e interpretare),
non sempre paragrafatura, raramente segnali grafici più macroscopici
(collocazione in parti diverse della pagina, simboli convenzionali ecc.).
Tutto questo rende necessariamente laboriosa e impegnativa la com­
prensione dei testi di istruzione per la formazione professionale, al di là
delle difficoltà intrinseche dei contenuti. Dal punto di vista della verifica
della comprensione (o, dalla prospettiva dell'autore, della funzionalità del

71
testo) una verifica basata sulla usabilità del testo in relazione ad una
macchina, che si rivela adeguata nel caso delle istruzioni per l'uso, risulte­
rebbe insufficiente nel caso delle istruzioni per la formazione professiona­
le.

4.2. La forma del testo: la deagentivizzazione


Dall'esame dei procedimenti di deagentivizzazione emergono dati an­
cora più evidenti e, per la loro natura, facilmente evidenziabili, in grado di
precisare la differenziazione tra istruzioni per l'uso e istruzioni per la
formazione professionale.
Che i testi in lingua speciale siano caratterizzati dall'oscuramento delle
indicazioni relative all'agente, è noto (cfr. ad es. von Polenz 1981); Ber­
rettoni (1992) ha mostrato quanto questo fenomeno sia riscontrabile an­
che nelle· istruzioni per l'uso, nonostante il carattere intrinsecamente
agentivo dei processi che costituiscono l'oggetto dei testi esaminati: a
fronte di tratti, riguardanti la semantica del verbo, che marcano il menzio­
nato carattere agentivo, emergono tratti, di natura piuttosto morfosintat­
tica, che presentano il processo sotto forma eventiva.
Abbiamo sottoposto un campione di istruzioni tratte dai nostri manuali
per la formazione professionale 16 allo stesso tipo di prove applicate da
Berrettoni ad un testo di istruzioni per l'uso; i dati che ne sono risultati
presentano un quadro quantitativo sensibilmente diverso da quello emer­
so a proposito di quel testo e mostrano coerentemente come il processo di
deagentivizzazione, e quindi di orientamento verso il processo o il pazien­
te (la macchina), sia sensibilmente più accentuato nelle nostre istruzioni.
Il dato più significativo riguarda la diatesi, che presenta il seguente
quadro:
attivi 195 (67,66%)
passivi 77 (26,78%)
medi . 16 (5,55%)
La quantità di verbi non attivi, che già nel campione di istruzioni per
l'uso di apparecchi domestici appariva intuitivamente superiore a quella di
altri tipi di testo, risulta qui molto elevata. Le forme passive, per di più,
non presentano mai l'espressione dell'agente.

72
Il dato acquista ancora maggior rilevanza se letto in unione con il dato
relativo al tratto di transitività, che presenta i seguenti valori:
transitivi 207 (72,45%)
intransitivi 81 (28,35%)
Lo scarto rispetto alle istruzioni per l'uso (nelle quali i transitivi rag­
giungono il 93,09%) è altissimo. Naturalmente non si tratta di una prova
decisiva: se infatti la presenza di un verbo transitivo può essere considera­
to, con buona approssimazione, indice anche di transitività nozionale,
l'intransitività non è indice altrettanto plausibile del contrario (un costrut­
to intransitivo come «agire sul bottone posto a destra» trasmette un'infor­
mazione che risponde pienamente alla nozione di transitività, intesa come
«agire di qualcuno su qualcuno o qualcosa»); ma il confronto con le
istruzioni per l'uso, nelle quali la preponderanza dei verbi transitivi è uno
dei tratti che portano a marcare il carattere agentivo del testo, rende
significativo il nostro dato. La distribuzione del tratto di transitività, quin­
di, riduce ulteriormente il tasso di agentività collegato alla diatesi attiva:
più di un terzo dei verbi attivi è costituito da verbi intransitivi.
Il panorama che emerge dall'esame dei verbi viene confermato
dall'analisi dei soggetti. Innanzi tu_tto, il numero delle forme verbali che
presentano il soggetto esplicito è pressoché pari a quello delle forme
senza soggetto esplicito: 142 le prime, 146 le seconde. 17 Già questi valori
indicano come l'orientamento verso ìl processo da eseguire (o gli oggetti
da manipolare) sia più marcato rispetto alle istruzioni per l'uso. 18 Ma
anche la semantica dei soggetti mostra una polarizzazione più definita
verso il processo o gli oggetti: i soggetti defipibili come «altri», in quanto
non riportabili ad un'unica categoria semantica, sono il 42,23% (che si
riducono al 33,08% se scorporiamo un gruppo ben individuabile, quello
dei nomi delle sostanze sottoposte alle manipolazioni che costituiscono
l'oggetto dell'istruzione, o che vengono prodotte da tali manipolazioni);
seguono, con il 32,38%, i nomi di macchine o di parti di macchine e, con il
23,23%, le nominalizzazioni. Il restante 2,11% è dato da anafore.
Schematizzando:
nominalizzazioni 23,23%
macchine o parti
di macchine 32,38%

73
sostanze 9,15%
altri 33,08% 42,23%
anafore 2,11%

Viene insomma confermata la graduatoria emersa a proposito delle


istruzioni per l'uso, ma con una minore dispersione: si restringe notevol­
mente, anche a non voler scorporare il gruppo costituito dai nomi di
sostanze, la classe più eterogenea, quella costituita dai soggetti non ascri­
vibili ad un'unica categoria semantica specifica, mentre aumenta quello
dei soggetti costituiti da macchine, o parti di macchine, e soprattutto
quello delle nominalizzazioni, cioè dei nomi dei processi (con una percen­
tuale più che doppia rispetto alle istruzioni per l'uso). Viene altresì con­
fermato che nessun soggetto rinvia ad un agente: questo dato, che si
aggiunge a quello sull'assenza di passivi tripartiti, ci indica con assoluta
certezza che nei nostri testi non viene mai dato un nome all'agente, o alla
classe di agenti, delle procedure che costituiscono l'oggetto dell'istruzio­
ne. 19
Non occorre soffermarsi ulteriormente sui dati, che conducono univo­
camente alla conclusione già più volte anticipata di un assoluto orienta­
mento delle nostre istruzioni verso il processo, od eventualmente verso il
paziente, e non certo verso l'agente.
Viene piuttosto da chiedersi se tali conclusioni, e soprattutto le diffe­
renze quantitative riscontrate rispetto alle istruzioni per l'uso, siano in
qualche modo condizionate dal modo con cui è stato isolato il campione.
Il criterio di costituzione dei due campioni è stato infatti diverso: nel caso
delle istruzioni per l'uso, è- stato analizzato un intero manualetto per
l'utente, comprensivo delle parti che rispecchiavano il sottocomponente
non operazionale e il componente non procedurale; nel caso delle istru­
zioni per la formazione professionale sono state invece ritagliate, all'inter­
no dei manuali, solo quelle unità che rispecchiavano al massimo grado il
componente operazionale.
Possiamo rispondere che la validità dei risultati presentati non è messa
in discussione dai diversi criteri di costituzione del corpus. Vista la confor­
mazione del campione qui analizzato, ci saremmo semmai attesi risultati
contrari, decisamente caratterizzati da valenze agentive: un testo forte-

74
mente orientato verso il componente operazionale avrebbe spiegato prn
facilmente un forte carico di forme imperativali (e quindi di forme senza
soggetto esplicito), o una prevalenza di verbi attivi e transitivi. Le conclu­
sioni vanno quindi decisamente attribuite alle caratteristiche del tipo di
testi esaminati, e non alle modalità di scelta del campione.
Ci si può anche chiedere se non sia possibile effettuare, ali' interno del
campione, ulteriori differenziazioni. Certamente i dati che abbiamo espo­
sto rappresentano delle medie e rispetto ad essi alcune delle unità esami­
nate presentano forti scarti, ma non tali da poter istituire correlazioni fra
particolari (sotto)categorie di testi e specifiche configurazioni del testo.
Alcuni casi-limite potrebbero indurre a cercare una tipologia più raffinata
all'interno del campione: ad es. l'unità che presenta il più grande tasso di
forme imperativali è un'unità tratta da un manuale applicativo, mentre
quella che presenta il maggior numero di nominalizzazioni che fungono
da soggetto è un'unità tratta da un manuale teorico20 (e si potrebbe
quindi intravedere una propensione per la agentività nel primo tipo di
manuali e invece un deciso orientamento verso il processo nel secondo
tipo); ma sono dati non generalizzabili, perché contraddetti dalle risposte
di altre unità appartenenti, rispettivamente, allo stesso tipo di manuali.
Anche da questo punto di vista si può confermare quanto asserito nel par.
3.2, e cioè che il tipo di impianto generale dei manuali (focalizzazione
verso la teoria vs focalizzazione verso· la pratica) non comporta la scelta di
schemi testuali specifici.

4.3. Forma del testo e appartenenza al genere «istruzioni»


L'analisi del testo ha confermato che le istruzioni contenute nei ma­
nuali per la formazione professionale presentano forme di organizzazione
del testo diverse da quelle per le istruzioni per l'uso: dal punto di vista
della successione delle informazioni, la sequenza delle operazioni viene
frequentemente interrotta, o sovvertita, dall'inserimento di informazioni
di tipo diverso, o che si collocano gerarchicamente su un piano diverso
rispetto a quello delle operazioni; dal punto di vista della forma linguisti­
ca, l'orientamento sul processo, che pure si presenta anche nelle istruzioni
per l'uso di apparecchiature domestiche, è nettamente prevalente e ridu-

75
ce, rendendoli marginali, i segnali di orientamento sull'agente, che ci sa­
remmo attesi numerosi in un testo di istruzioni.
Ed è proprio questo il problema che ci si può porre: le unità di testo da
noi esaminate sono davvero istruzioni?
Se il criterio di giudizio si basasse su di una tipologia testuale impernia­
ta sulle caratteristiche formali del testo, la risposta sarebbe, per la maggior
parte delle unità esaminate, negativa: si pensi ad es. alla totale mancanza,
in molte istruzioni, di atti linguistici di tipo direttivo, che potrebbero
essere considerati degli indici piuttosto evidenti di appartenenza di un
testo al genere istruttivo.
Utilizzando invece il criterio adottato in questa ricerca, costituito da un
modello in grado di rappresentare il contesto comunicativo del genere
istruzione, possiamo attribuire senza ombra di dubbio anche i testi tratti
dai manuàli per la formazione professionale a tale genere, per le ragioni
illustrate nel paragrafo 3. La successiva analisi linguistica ci dice solò che
le istruzioni contenute nei manuali per la formazione professionale rap­
presentano una forma diversa, rispetto alle istruzioni per l'uso, dello stes­
so genere.
Desidero concludere con due annotazioni sulle prospettive per ulterio­
ri ricerche o riflessioni che i dati qui presentati possono sollecitare.
Si è visto che il metodo usato si rivela particolarmente indicato per
distinguere forme diverse di uno stesso genere testuale; sarebbe possibile
estendere il confronto ad altri tipi di istruzioni, che si collocano in situa­
zioni d'uso diverse sia da quelle delle istruzioni per l'.uso sia da quelle per
la formazione professionale, in modo da avere un quadro tipologico com­
plessivo del genere testuale èsarninato (penso ad esempio ai manuali per
il fai da te o quelli per la manutenzione o la riparazione di apparecchiatu­
re, rivolti ai tecnici del settore).
I dati empirici raccolti (soprattutto quelli riportati nel par. 4.2) posso­
no infine essere utilizzati anche �ul piano teorico; in particolare possono
portare ulteriori elementi di discussione in merito al quesito se una norma
tecnica non sia altro, almeno a liv�llo profondo, che una descrizione.21

76
NOTE
1) E' stato utilizzato un corpus formato dai seguenti manuali:
Complementi tecnici per le esercitazioni nei reparti di lavorazione, Milano-Firenze,
ME/DI Sviluppo-Giunti/Marzocco, 1984 (abbr. CTE).
Esercitazioni di misure e regolazioni. Pressione, Firenze, Vallecchi, 1973 (abbr. P).
Fresatrici/I. Le macchine, Firenze, Vallecchi, s.a. (abbr. F).
Macchine utensili. Fresatura, Milano, ME/DI Sviluppo, 1977 3 (abbr. MU).
Tecnica d'auto, 2 voli., Roma, Casa editrice formazione e lavoro, s.a. (abbr. TA).
Tecnologia. Manuale di tecnologia meccanica e laboratorio tecnologico, 3 voll.,
Milano-Firenze, ME/DI Sviluppo-Giunti/Marzocco, 1983-84 (abbr. T).
I testi citati sono accompagnati dalla sigla del manuale e dall'indicazione della
pagina o dell'unità didattica.
2) La formazione professionale può avvenire nelle scuole professionali (l'isti­
tuzione alla quale fanno riferimento i manuali esaminati in questo contributo, e
di conseguenza il contributo stesso) o nei corsi di formazione organizzati diretta­
mente dalle aziende al proprio interno. Un'ulteriore modalità di formazione
(permanente) può attuarsi nei luoghi di lavoro nel corso dell'esecuzione stessa
del lavoro; ma, a differenza delle due precedenti, si tratta di una modalità non
istituzionalizzata (cfr. Briinner 1987, 29).
3) Considerazioni analoghe sono svolte da Brtinner (1987, 35-39, spec. 37).
4) Una riprova esterna dell'articolazione in diverse aree delle informazioni
contenute nei manuali ci è data, in aléuni di essi, dalla evidenziazione, mediante
simboli convenzionali, delle diverse parti di cui si compone il testo. Benché
l'articolazione proposta sia in parte diversa dalla nostra (vengono segnalate le
istruzioni vere e proprie, le avvertenze per un miglior utilizzo della macchina o
suggerimenti per il controllo del lavoro eseguito, le avvertenze di carattere sani­
tario e antinfortunistico), il criterio che sta alla base della segnalazione è analo­
go al nostro, consistendo principalmente nella distinzione tra una p arte
direttamente legata alle operazioni da svolgere, con/sulla macchina, una parte
indirettamente legata ad esse e una parte, infine, non qualificabile come «istru­
zione», e in quanto tale non segnalata.
Il fatto che poi, ad una attenta verifica, il sistema di segnalazione non si riveli
correttamente o conseguentemente applicato, può indicare una non chiara co­
scienza da parte dell'istruttore dell'organizzazione testuale delle proprie istru­
zioni, oppure può essere dovuto alla discrepanza fra organizzazione �<profonda»
e organizzazione «superficiale» del testo, per cui in una stessa porzione di testo
possono occorrere informazioni attribuibili a componenti diverse: si tratta, in
entrambi i casi, di discrepanze che proprio la nostra griglia di analisi riesce ad
evidenziare e che possono essere eliminate, giungendo così ad una ottimizzazio­
ne del testo.

77
5) Si rammenti che l'organizzazione dei contenuti non sempre coincide con
l'organizzazione del testo. Nel caso dell'esempio riportato, la parte di testo che
attualizza il sottocomponente operazionale è inserita in un paragrafo che inizia
con una parte di testo che offre informazioni di tipo non operazionali: «Per
facilitare l'assorbimento del carbonio da parte dell'acciaio si esegue un tratta­
mento termico preliminare di ricottura». In altri casi, le informazioni relative ad
un componente possono addirittura essere inframezzate alle informazioni relati­
ve ad un altro componente.
6) Per l'esemplificazione, rinviamo al paragrafo «Profondità di cementazione
in funzione della composizione della temperatura e della durata del trattamen­
to» dell'unità «Acciai. Trattamenti termochimici» riportata in 3.2.
7) Ad es. nell'unità «Acciai. Trattamenti termochimici» riportata in 3.2, il
paragrafo «Cementazione».
8) Questa osservazione coincide con quanto si è notato nel paragrafo prece­
dente a proposito dell'esistenza di intere unità comunicative prive di una finali­
tà, anche indirettamente, operativa.
9) Un esempio di descrizione, ancora approssimativa, delle relazioni tra il
piano della procedura materiale e quello dell'articolazione testuale delle relative
istruzioni è in Serra Borneto/Cortelazzo (1988). Per un'analisi teorica del rap­
porto tra successione delle operazioni e sequenza testuale e per la definizione
dei concetti di azione, operazione, evento-macchina, che verranno utilizzati nel
corso del paragrafo, rinvio a Serra Bometo (1992b, 54-63).
10) D'ora in poi faremo riferimento a quelle parti dei testi per la formazione
professionale che contengono istruzioni in senso stretto, cioè a quelle parti che
riflettono al più alto grado il componente operazionale.
11) Lo stesso criterio sintattico distingue nello stesso testo l'enunciazione
dell'azione («asportare i depositi carboniosi dallo stantuffo», rappresentata ana­
foricamente da «fare ciò») da quella delle operazioni («portare gli stantuffi al
punto morto superiore», «coprire le parti», «riempire con del grasso»).
12) Cfr. l'analisi che ne fa Serra Bometo (1992b, 74-81).
13) Ad es. le istruzioni relative alle prove preliminari di misurazione della
pressione (in P, 12.1) sono date da una colonna che indica sei azioni («Porre lo
strumento nella posizione verticale», «Azzerare le due indicazioni», «Ottenere
l'azzeramento», «Eseguire i collegamenti», «Predisporre lo strumento per la
misura») e da una seconda colonna che specifica le operazioni (quelle relative
all'azione «ottenere l'azzeramento» sono rappresentate dal testo sopra riportato
per esemplificare la presentazione di. operazioni alternative).
14) In questo caso la segnalazione delle azioni sovraordinate ai singoli blocchi
di operazioni ha la stessa funzione di esplicitazione dell'organizzazione in para­
grafi del testo che può avere la titolatura.

78
15) Bisogna aggiungere che spesso le istruzioni sono esplicitamente sost.J.tmte
da descrizioni del funzionamento di una macchina, nelle quali ad essere tematiz­
zati sono i processi che avvengono nella macchina, indipendentemente dalle
modalità con cui essi sono avviati. In questa sezione, che analizza esclusivamente
le parti che riflettono il sottocomponente operazionale, non abbiamo tenuto
conto di unità di questo genere.
16) Abbiamo sottoposto ad analisi 9 unità di istruzioni, tratte da volumi diversi
del nostro campione, per un totale (del tutto analogo a quello del campione di
Berrettoni) di 288 verbi. Le istruzioni sono tratte da: P, 11.4; MU, 13.l; MU,
13.3; MU, 24.2; P, 12.4; Tl, 226; T3, 171; TAI. E-10/1; TA2, E-24/14-15.
17) Includiamo qui le forme impersonali del tipo «è necessario», «è consiglia­
bile», i verbi con si impersonale e con si passivante, gli infiniti imperativali, gli
imperativi di II persona, le forme nominali del verbo. Questa la distribuzione
interna: forme nominali: 34,2%; forme con si: 32,8%; infiniti imperativali 30,1%;
forme impersonali: 0,68%; imperativi di II persona: 0,68% (cioè una sola occor­
renza).
18) Nelle istruzioni per l'uso le forme verbali con soggetto esplicito sono 126
contro le 140 forme senza un soggetto esplicito (Berrettoni 1992, 159).
19) Si noti anche che tra le forme imperativali, dotate certamente di una forte
valenza agentiva, si incontrano esclusivamente (con un'unica eccezione) quelle
infinitivali, quelle cioè che non presentano l'indicazione morfologica della per­
sona.
20) Rinvio al par. 3.2 per la distinzione tra questi due tipi di manuali.
21) V. Ross (1968), cit. da Berrettoni (1992).

79
IV
LINGUA SCIENTIFICA E SCUOLA.
UNA PANORAMICA

I. Lingua scientifica, scuola, società

I.I. Nell'ampio quadro dei rapporti fra lingua scientifica e società, ha


un peso notevole il rapporto tra lingua scientifica e scuola. E' nella scuola
che avviene il primo incontro sistematico tra il parlante e la lingua delle
scienze (che non entra normalmente a far parte dell'apprendimento pri­
mario che si attua nella famiglia); dall'addestramento che viene fatto nella
scuola possono dipendere molte delle successive possibilità del parlante di
superare le barriere linguistiche legate alle specificità della lingua scienti­
fica (Bungarten 1981b, 19-22). Da un punto di vista strettamente scolasti­
co, poi, lo sviluppo di abilità di comprensione e, in parte, di produzione di
testi scientifici è un obiettivo irrinunciabile dell'insegnamento delle mate­
rie scientifiche, se si vuole che la trasmissi9ne delle nozioni scientifiche
avvenga senza intoppi (cfr. Amati etalii 1981, 7).

J.2. Il problema della lingua tocca, a diversi gradi di complessità, tutto


l'arco scolastico, proprio come l'insegnamento delle scienze riguarda, a
diversi gradi di complessità, l'intero arco scolastico. Parole coìne acqua
potabi le, ghiandola , attrito, moto ,flu sso, ma anche triangol o, quadrato ecc.,
che non comportano difficoltà per un adulto scolarizzato, rappresentano
invece per uno scolaro delle scuole elementari il primo impatto con un

81
lessico scientifico, diverso da quello comune, con il quale non ha avuto
alcun contatto precedente 1 .
Il contatto dello scolaro con la lingua scientifica si fa più sistematico
nella scuola media, dove il nostro argomento entra espressamente a far
parte dei programmi di due delle aree fondamentali in cui è articolato
questo livello scolastico, l'«educazione linguistica» e l' «educazione mate­
matica, scientifica (e sanitaria)».
Nella scuola superiore, infine, l'insegnamento delle scienze è svolto ad
un livello tale che presuppone che l'introduzione e l'addestramento alla
lingua scientifica siano già stati effettuati con successo (anche se in realtà
ciò avviene raramente).

1.3. Nei prossimi paragrafi intendiamo offrire una prima ricognizione


critica sulla posizione che la scuola italiana mostra di avere nei confronti
della lingua scientifica e del suo apprendimento. Esamineremo: (2.) i
programmi attualmente in vigore nella scuola dell'obbligo; (3.) i punti
cruciali della didattica della lingua scientifica quali appaiono da alcuni
esercizi proposti per l'addestramento degli studenti a tale varietà di lin­
gua; (4.) la strutturazione testuale di alcuni manuali.
Faremo riferimento alla scuola elementare e (soprattutto) alla scuola
media, tralasciando la scuola superiore. A questa preferenza ci orienta
principalmente la ragionevole supposizione che la società offra gli stru­
menti di base per il superamento delle barriere linguistiche proprio nella
scuola dell'obbligo, quella frequentata da tutti i cittadini.
Nei livelli scolastici qui considerati l'educazione scientifica comprende
discipline diverse per status metodologico e, conseguentemente, per ca­
ratteristiche linguistiche (matematica, fisica, chimica, biologia, botanica,
zoologia). In alcuni casi sarà specificato a quale disciplina particolare si fa
riferimento; ma nella maggior parte del contributo verranno presentate
considerazioni valide per tutte le discipline scientifiche.

2. I programmi

2.1. L'impostazione data al problema nei programmi per la scuola me­


dia (DM 9 febbraio 1979) è ben sintetizzata in un passo dell'introduzione

82
dedicata ali'interdisciplinarità, dove si menziona «il contributo che l' edu­
cazione linguistica può dare alla comprensione dei termini scientifici e del
linguaggio matematico; o, viceversa, il contributo che il metodo scientifico
e le operazioni tecniche possono dare al chiarimento dell'espressione
verbale» 2. Nel resto del programma (in particolare nella parte riguardante
la matematica e le scienze) si sottolinea soprattutto il secondo aspetto, e
cioè le caratteristiche di «chiarezza, concisione e proprietà» che avrebbe
la lingua scientifica e l'aiuto che l'uso della lingua scientifica darebbe allo
sviluppo delle capacità linguistiche di base. Molto più succinte e apoditti­
che le indicazioni sull'apprendimento della lingua scientifica (fra gli obiet­
tivi del programma di educazione scientifica vi è quello di «comprendere
la terminologia scientifica corrente ed esprimersi in modo chiaro, rigoroso
e sintetico»; nel programma di scienze naturali si aggiunge che «sarà
comunque opportuno evitare la pura memorizzazione di definizioni
standardizzate e di termini specialistici fini a se stessi»).

2.2. Nei nuovi programmi della scuola elementare (DPR 12 febbraio


1985, n. 104) i riferimenti alla lingua scientifica sono ancora più succinti e
sono concentrati nella parte dei programmi dedicati alla matematica; nella
parte riguardante le scienze la presa in considerazione della lingua è solo
incidentale («queste osservazioni contribuiranno ad arricchire il linguag­
gio, a promuovere esercizi di misura, ·ad avviare all'uso di semplici tabelle
ed altre rappresentazioni») o implicita («l'insegnante stimolerà e guiderà
gli alunni ad osservare, descrivere,, e confrontare gli elementi della realtà
circostante»; «l'insegnante curerà che raccol� e registrazione di dati risul­
tino una pratica regolare e costante che si conclude con una relazione,
orale o scritta» 3 ).
Nella parte relativa alla matematica, come s'è detto, il problema della
lingua trova invece qualche formulazione più esplicita, con accenti simili a
quelli già rilevati a proposito dei programmi della media inferiore. Anche
qui vi è un duplice interesse, da una parte per la precisione linguistica
( «particolare cura sarà rivolta alla conquista della precisione e della com­
pletezza del linguaggio, tenendo conto che, soprattutto nei primi anni di
scuola, il linguaggio naturale ha ricchezza espressiva e potenzialità logica
adeguate alle necessità di apprendimento»), dall'altra per l'acquisizione di

83
un bagaglio lessicale adeguato (nel primo ciclo il bambino dovrà «in situa­
zioni problematiche tratte dalla vita reale e dal gioco, usare in modo
significativo e coerente le espressioni: forse, è possibile, è sicuro, non so, è
impossibile, ecc.», e anche «denominare correttamente i più semplici tipi
di figure geometriche, piane e solide»; nel secondo ciclo dovrà «usare
correttamente espressioni come: retta verticale, orizzontale, rette paralle­
le, incidenti, perpendicolari», con l'avvertenza però che «sarebbe [ ... ] ol­
tremodo riduttivo limitare l'insegnamento di questo settore [la geometria]
alla semplice memorizzazione della nomenclatura tradizionale»).

2.3. Le conclusioni da trarre dalla lettura di questi programmi sono le


seguenti:
a) il problema dell'apprendimento della lingua delle scienze è posto tra
gli obiettivi dell'educazione scientifica, ma mancano indicazioni che vada­
no al di là della semplice enunciazione di questa prescrizione. Solo nei
programmi di matematica per la scuola elementare si indica almeno un
bagaglio minimo di forme lessicali che il bambino deve conoscere e saper
usare.
L'assenza di più dettagliate indicazioni didattiche, soprattutto nei pro­
grammi della scuola media, pare indicativo di. un atteggiamento diffuso
nella scuola, e cioè la supposizione che l'apprendimento della lingua
scientifica si attui automaticamente di pari passo con l'apprendimento
delle nozioni scientifiche4;
b) le innovazioni più importanti riguardano la proposta di usare la
lingua scientifica come uno dei modelli su cui formare le capacità linguisti­
che dello scolaro. Si sottolinèa di più, quindi, l'integrazione che la lingu a
scientifica può offrire alla lingu a comune, che non l'aiuto che la lingua
comune dà per introdurre· e spiegare (come metalingua) la lingua scienti­
fica5 . Anche a questo proposito i programmi delle scuole elementari mo­
strano comunque una più lucida concezione della lingua, in quanto
riconoscono l'adeguatezza della lingua comune alle necessità di apprendi­
mento di quel livello scolastico;
e) anche in questi programmi recenti e avanzati, la lingua scientifica è
considerata in un'ottica tutta interna alla scuola e solo indirettamente in
vista del contatto che lo scolaro avrà con la lingua scientifica nella società.

84
In particolare è del tutto assente la tematica delle barriere linguistiche
relative alle lingue speciali. Se ne ricava che la scuola, invece di fornire gli
strumenti per il superamento di queste barriere, rischia - forse solo per
neghgenza e per dimenticanza - di frapporre essa stessa delle barriere
linguistiche ali' acquisizione delle nozioni scientifiche.

3. Problemi di didattica della lingua scientifica

3.1. Negli ultimi anni diversi operatori scolastici si sono impegnati


nell'elaborazione di proposte didattiche in grado di rispondere alle pre­
scrizioni dei programmi e anche di andare oltre, al fine di permettere allo
scolaro di acquisire gli strumenti necessari per riuscire a leggere testi
scientifici anche fuori della scuola. Un censimento di queste esercitazioni
permette di individuare quali, tra i fenomeni caratteristici della lingua
scientifica identificati dagli studiosi (v. qui il cap. I), risultano si gnificativi
in una prospettiva didattica.6

3.2. Non sono certo solo i fattori lessicali, le terminologie in particola­


re, a contraddistinguere i testi scientifici; ma rimangono pur sempre il
primo ostacolo che si frappone alla loro comprensione.7 L' apprendimento
delle terminologie non è in sé un problema didattico particolarmente
complesso, perché in questo settore. c'è il massimo di correlazione fra
apprendimento di concetti e operazioni scientifiche e apprendimento les­
sicale. Le indicazioni pedagogiche da tener presenti sono legate e subor­
dinate alla metodologia dell'insegnamento scientifico: dalla preminenza
del metodo sperimentale, ad es., discende, 'oltre al consiglio di evitare
l'apprendimento fine a se stesso di termini e definizioni (cfr. le indicazioni
programmatiche riportate in 2.1. e 2.2.), la necessità di privilegiare, fintan­
to sia possibile, definizioni anaforiche (del tipo «... quello che abbiamo
trovato/scoperto si chiama A») invece di quelle cataforiche ( «chiamiamo
A ...»).
Diverso è il problema se lo consideriamo in vista dell'attività linguistica
dello scolaro fuori della scuola; allora l'obiettivo è quello di essere in
grado di capire il maggior numero possibile di parole nuove. Non è certo
questione di memorizzazione, sia perché si incontrano continuamente

85
parole mai lette in precedenza, sia perché l'inventario delle parole scienti­
fiche è nettamente più ampio del lessico comune (e come tale difficilmen­
te memorizzabile). E' certo questione di competenza nozionale, ma può
anche essere questione di preparazione linguistica, se si è imparato a
conoscere i procedimenti di derivazione e composizione che stanno alla
base, e rendono possibile, l'enorme proliferazione delle parole scientifi­
che. 8

3.3.. Più complesso, e generalmente trascurato, è il campo delle parole


del linguaggio comune che, attraverso una convenzione, sono diventate
termini. La complessità didattica di questa categoria deriva da molti fatto­
ri:
a) in questo settore l'allievo sperimenta, più che a proposito dei termi­
ni solamente scientifici, la differenza fra lessico comune (polisemico) e
lessico scientifico (tendenzialmente univoco);
b) l'allievo ha già una pratica d'uso, a volte lunga, di queste parole nel
significato corrente. Questa familiarità, invece di agevolare la compren­
sione e l'uso corretto del termine, rischia di portare a incomprensioni e
fraintendimenti, perché possono essere trasferiti nel concetto scientifico
tratti di significato che sono propri del solo uso comune. Un esempio
molto significativo è quello di massa, che nel linguaggio comune significa
'grande (anche eccessiva) quantità di materia' (massa di terra, massa d'ac­
qua, massa d'aria calda e anche, in senso figurato, massa di persone e
massa di sciocchezze), mentre nella lingua scientifica manca il tratto di
significato 'grande' o 'eccessivo', in quanto si riferisce a qualunque quanti­
tà di materia, anche a quella- di piccole particelle (Amati et alii 1981, 27
segg.).
c) molte di queste paròle sono comuni, con significati diversi, a più di
una scienza. Si veda il caso di potenza, presente, con sensi diversi, in
matematica ( «La potenza con esponente zero di qualsiasi numero vale
uno»), in fisica («N e Q hanno la stessa potenza»), meccanica («La poten­
za di un motore è di 25 HP»), ottica ( «La potenza delle lenti ... ») (Marani­
ni et a/ii 1978, 199).

86
Per di più queste parole rappresentano spesso i concetti base delle
scienze (quelli generalmente trattati a scuola), mentre è per i concetti più
sofisticati e specializzati che si fa più facilmente ricorso a neologismi.
Vanno segnalati anche altri aspetti che differenziano l'uso scientifico e
quello ordinario delle stesse parole: l'uso assoluto nel linguaggio comune
di parole che nella lingua scientifica esprimono solo relazioni di confronto
o dati misurabili (lungo, pesante, grande, uguale ecc.), oppure l'uso impro­
prio o banalizzato di parole scientifiche («Ha spremuto ogni atomo di
potenza dal suo motore»).
Solo un'attenta ed esplicita riflessione su tutti questi aspetti, che gene­
ralmente nella scuola passano inosservati o sono dati per scontati, può
impedire che l'apprendimento scolastico sia influenzato da considerazioni
intuitive implicite nell'uso corrente della parola e che il successivo contat­
to dell'adulto con i testi scientifici crei l'illusione di una completa com­
prensione del testo, mentre questa è solo approssimativa e intuitiva.9 Si
avverta tuttavia che, se è necessario distinguere l'uso scientifico da quello
non scientifico, è anche necessario evitare di indurre nel ragazzo l'idea
che vi sia un uso linguistico corretto, quello delle scienze, e uno scorretto,
quello della lingua comune (e non,_ semplicemente, che vi siano usi diver­
si). E' lo stesso rischio che si intravede in alcune parti dei programmi citati
in 2.1., quando si qualifica la lingua scientifica come chiara, precisa, conci­
sa, come se chiarezza, concisione, precisione fossero del tutto assenti dalla
lingua comune. Un risvolto linguistico, insomma, del predominio che la
tecnologia e le scienze tendono ad avere nel mondo moderno.

3.4. Uscendo dal lessico, il settore che ha attirato maggiormente l'at­


tenzione di chi si interessa di ricerca educativa è stato il livello testuale.
Il testo scientifico si distingue da altri tipi di testo per la sua costruzio­
ne argomentativa, che traduce sul piano linguistico le fasi del processo
scientifico (osservazione, ipotesi, verifica, risultato) e rispetta quindi un
definito ordine logico-concettuale. Di conseguenza sono evidenziati i rap­
porti di successione (prima-poi-infine), quelli di seriazione (in primo luo­
go, in secondo luogo, in terzo luogo), di causalità (poiché, a causa di, di
conseguenza, perciò), nonché le eventuali relazioni ipotetiche, limitative,
conclusive. IO Proprio la rigorosità dell'ordine argomentativo e l'esplicitez-

87
za dei nessi relazionali fanno del testo scientifico una delle categorie di
testi linguisticamente più semplici, in quanto più prevedibili; la capacità di
lettura del testo scientifico comporta quindi, dal punto di vista dell'orga­
nizzazione testuale, difficoltà minori rispetto a quella di altri tipi di testo
(Banfi 1982).
E' importante, però, che l'allievo sappia riconoscere le caratteristiche
testuali sopra citate. Il raggiungimento di questa meta, da un punto di
vista didattico agevola e rende più consapevole la lettura del testo scienti­
fico, evitando una lettura banalizzata, che sottovaluta la rigorosità der ·
processo argomentativo; da un punto di vista più ampio, rende possibile lo
smascheramento di quei testi pseudo-scientifici che spesso si presentano
nelle comunicazioni di massa, soprattutto nella pubblicità (cfr. Bungarten
1981b, 47-49). Quest'uso mistificante della lingua scientifica, infatti, si
basa sul livello lessicale e morfosintattico, ma difficilmente riesce a esten­
dersi in maniera conseguente al livello della costruzione del testo. 11

4. I libri di testo
4.1. L'analisi dei libri di testo si rivela sempre un'ottima via per com­
porre un quadro delle tendenze didattiche in atto nella scuola, da una
parte perché ogni insegnante cerca di adottare un manuale che corrispon­
da alle proprie concezioni didattiche (e all'inverso il libro di testo è allora
un indice attendibile di tali concezioni), dall'altra perché spesso gli inse­
gnanti si fanno guidare dal manuale nella conduzione del programma
scolastico.
I libri di testo di materie scientifiche paiono essere, al momento attua­
le, quelli più frequentemente analizzati dal punto di vista linguistico. 12 Di
essi è stato studiato, soprattutto, il modo in cui si organizza l'informazione
(in termini di dato/nuovo, o di omogeneità e ricorrenza degli argomenti:
Bonetta Attanasio 1988 e GISCEL Lombardia 1988), i legaqii testuali
(Pozzo 1982 e 1983, Bonetta Attanasio 1988), il grado di leggibilità (GI­
SCEL Lombardia 1988). Con Amati et alii (1981) riteniamo fondamenta­
le, e specifica per i manuali di scienze, un'analisi dell'organizzazione
dell'argomentazione, per verificare la rispondenza dello schema espositi-

88
vo dei manuali allo schema tipico del procedimento scientifico (osserva­
zione, ipotesi, verifica, risultato).
Come giustamente nota GISCEL Sardegna (1988, 269) di fronte ai
libri di testo di materie scientifiche ci imbattiamo in una contraddizione di
fondo: «i libri di testo hanno una strutturazione fondamentalmente espo­
sitiva, piuttosto che argomentativa. Una testualità argomentativa, invece,
è intimamente connessa ad un discorso scientifico che sia fondato sulla
ricerca e la discussione e presentazione critica dei dati. La natura espositi­
va dei manuali scolastici può apparire giustificata da ragioni didattiche, ma
ci sembra rinvii piuttosto ad una concezione della scienza che la scuola
continua erroneamente a perpetuare, considerando la scienza come pro­
duttrice di certezze e leggi stabilite una volta per tutte e il progresso
scientifico come dovuto a un semplice e lineare accumulo di conoscenze».
Una tipologia dei libri di testo basata sull'organizzazione dell'argomenta­
zione risulta quindi altamente significativa.
Nei libri per la scuola non ci si potrà attendere una riproposizione
completa della costruzione standard del testo scientifico, sia perché alcu­
ne fasi di determinati processi scientifici (soprattutto relativi alla verifi­
ca/falsificazione delle ipotesi) sono troppo complesse per essere
presentate a ragazzi di 11/14 anni, sia perché il libro di testo, come ogni
altro tipo di testo didattico, presenta istituzionalmente dei tratti estranei
al testo scientifico "puro": ad es. riferimenti diretti al lettore e ad avveni­
menti particolari:

(1) Se vi è capitato talvolta di osservare un muratore al lavoro


avrete certo notato, tra i suoi arnesi, anche una cordicella che
porta a una estremità un piccolo peso...
(Luigi Cedrina/Elena Camino, Guida alla ricerca scientifica.
Corso interdisciplinare di scienze chimiche, fisiche e naturali
per la scuola media con elementi di educazione sanitaria secon­
do i nuovi programmi, voi. I, Milano, APE-Mursia, 1979 - d'ora
in poi CC - p. 193)

89
oppure similitudini che paragonano i fenomeni fisici o biologici a fatti o
oggetti della vita di tutti i giorni:

(2) Vuole piuttosto dire che, come per fare una casa serve un'unità
fondamentale che è il mattone, così per formare una sostanza
qualsiasi servono gli atomi. E, come per la casa, più l'edificio è
grande e più sono i mattoni utilizzati, così per la materia, più
l'oggetto è grande e più sono gli atomi che lo compongono.
( Corso di scienze fisiche, chimiche e naturali coordinato da Giu­
lio Forconi. 1. Maria Giovanna Fortuzzi, La materia, Bologna,
Zanichelli, 1978 - d'ora in poi F - p. 133)

(3) La forza di gravità è come una enorme mano che la Terra


· utilizza per tirare verso il suo centro tutti gli oggetti esistenti,
siano essi solidi, liquidi o gassosi, viventi o non viventi (F, 138).

Di per sé la presenza di questi elementi estranei al testo scientifico non


costituisce un elemento di giudizio decisivo per un Hbro di testo. Quando
però la maggior parte dell'esposizione è fondata su similitudini, ci trovia­
mo di fronte a libri che hanno ben poco in comune con un testo scientifico
e che non danno alcuna possibilità allo scolaro di familiarizzarsi con il
discorso scientifico (è secondario se in essi sono presenti o no termini
tecnici). 13

4.2. Tra i libri attualmente in uso nella scuola media, mancano manuali
che presentano un'organizzazione della materia del tipo di quella esem­
plificata alla nota precedente. Ma sono anche pochi i libri che si collocano
sul versante opposto, che cercano, cioè, di rispettare il più possibile la
sequenza logico-concettuale dell'argomentazione scientifica. In questi te­
sti, quando i fenomeni trattati sono semplici, il rispetto della costruzione
del testo scientifico è completo, come per es. in F, 133-134:

(4) osservazione: due oggetti (A e B) hanno la stessa forma e sono


della stessa sostanza, ma sono l'uno il doppio dell'altro;

90
ipotesi: i due oggetti hanno lo stesso numero di atomi?;
falsificazione: no, perché uno ha il doppio di materia dell'altro.

Per i fenomeni più complessi si giunge a strutture di compromesso, del


tipo: osservazione, ipotesi, riferimento (più o meno esplicito) ad esperi­
menti di verifica effettuati da scienziati, conclusioni. Si veda, come esem­
pio, F, 139:

(S) osservazione: la Terra esercita una forza d'attrazione.


ipotesi: dentro la Terra c'è qualcosa che produce questa forzà;
riferimento ad esperimenti di verifica: «possiamo utilizzare i ri­
sultati di persone che hanno studiato a lungo questo problema»
e hanno dimostrato che la Terra è formata da una quantità
elevata di materia;
conclusione: la forza di gravità è prodotta dalla massa della
Terra.

Oppure F, 140-141:

(6) ipotesi: due masse si attirano a vicenda anche se sono piccole;


verifica: descrizione dell'esperimento di lord Cavendish;
conclusione: conferma dell'ipotesi.

Un indicatore abbastanza attendibile dell� categoria cui appartiene un


libro di testo è costituito dal modo in cui vengono date le definizioni. Nei
testi che presentano l'organizzazione argomentativa appena descritta, le
definizioni vengono coerentemente date alla fine del procedimento argo­
mentativo. Così in F, 140, dopo che è stato mostrato che peso e massa
aumentano o diminuiscono allo stesso modo, si conclude: «in un caso
come questo, si dice che le due grandezze sono direttamente proporziona­
li».

4.3. La maggior parte dei libri di testo si serve, invece, di procedimenti


argomentativi accorciati (fino a giungere alla presentazione pura e sem-

91
plice di risultati sperimentali) o che non rispettano l'ordine tipico del testo
scientifico. Due esempi di queste procedure:

(a) Ordine non rispettato (osservazione, risultati della verifica delle


ipotesi, descrizione degli esperimenti di verifica):

(7) osservazione: esistono muffe verdi;


ipotesi (non esplicitata nel testo): questo non contraddice I' af­
fermazione appena fatta che le muffe non contengono clorofil­
la;
conclusione: il verde è dovuto a sostanze diverse dalla clorofilla;
esperimenti di verifica: lo dimostrano l'analisi al microscopio e la
constatazione che il colore non dipende dall'illuminazione (CC,
80).

(b) Procedimento accorciato (osservazione, ipotesi, conclusione non


dimostrata):

(8) osservazioni: piante e animali, per mantenere l'equilibrio, devo­


no essere verticali; gli oggetti cadono in verticale; è faticoso
sollevare pesi;
ipotesi: c'è qualcosa che causa tutto questo;
conclusione non dimostrata: questo qualcosa è la forza di gravi­
tà.

Di conseguenza le definizioni sono per lo più apodittiche o implicite


(del tipo «la quantità di materia che un corpo possiede cioè la sua massa»,
CC, 195; oppure «esiste qualcosa che tende a far cadere gli oggetti lungo
la verticale[ ... ]: è la forza di gravità, che agisce in ogni punto della superfi­
cie terrestre attirando tutti i corpi [...] verso il centro del pianeta», CC,
193).

4.4. Si può discutere su quale delle due categorie di testi descritte nei
paragrafi precedenti sia preferibile sul piano didattico. Certamente i ma-

92
nuali trattati in 4.3. facilitano la memorizzazione dei concetti scientifici
fondamentali, ma non danno un'introduzione coerente al metodo e all'ar­
gomentare scientifico. D'altro canto, con i manuali trattati in 4.2. ci trovia­
mo di fronte ad un bilanciamento di esigenze didattiche ed esigenze
scientifiche, che salvaguardia le caratteristiche fondamentali del testo
scientifico. Però solo Qna riflessione esplicita sui meccanismi linguistici del
testo può evitare una banalizzazione del testo stesso da parte dello stu­
dente (cfr. 3.4), che finisce per annullare i pregi della strutturazione argo­
mentativa, rendendo così più difficile l'utilizzazione di questi libri.
In entrambi i casi ci troviamo comunque di fronte ad un miglioramento
rispetto alla precedente generazione di manuali di scienze, quella che
rispondeva ai programmi antecedenti al 1979. Di norma in tali testi si
riscontra l'assoluta mancanza di un impianto argomentativo.
Nelle parti riguardanti la biologia (zoologia e botanica) lo schema di
organizzazione del testo è di tipo descrittivo. Alla descrizione minuziosa
dei diversi tipi di animali e di piante fa riscontro, sul piano linguistico, una
grande concentrazione di termini tecnici; molto spesso la descrizione si
riduce anzi ad una elencazione (con spiegazione) di parole tecniche anche
molto particolari:

(9) Il rumine è la parte nella quale il bovino insacca l'erba e dove


avviene una prima digestiòne; il reticolo è un sacchetto con le
pareti a rete dove il cibo fermentato passa [ ... ] per ritornare poi,
attraverso l'esofago, alla bocca [... Poi l'erba] scenderà
nell'òmaso e infine nell'abòmaso, ,vero stomaco ghiandolare.
(A. Boglione, L. Maino, L. Pizzomi, La natura ci insegna, voi. I,
Milano, Fabbri, 1965 - d'ora in poi BMP - pp. 99-100).

Nelle parti che fanno riferimento ad un'insegnamento delle scienze


fondato prevalentemente su piccole osservazioni sperimentali, 'è ricono­
scibile un altro modello testuale, quello regolativo, con l'uso della seconda
persona plurale dell'imperativo e con la sottolineatura della sequenza
cronologica come struttura base del testo.

93
(10) Riempite una tazza di vetro pirex di acqua pura (acqua distilla­
ta); quindi versate nell'acqua un po' di sale, agitando continua­
mente; il sale si dissolverà gradualmente e l'acqua diventerà
salata (foto sotto) (BMP, 41).

Lo scolaro viene così messo a contatto solo con un modello testuale


particolare dell'operare scientifico (corrispondente ad un livello tecnico e
non ad un livello di ricerca scientifica); le parti di commento degli esperi­
menti hanno, infatti, quasi sempre quelle caratteristiche di elencazione
tenninologica che sono state descritte nel paragrafo precedente:

(11) Il sale è il soluto, l'acqua il solvente, il liquido salato che avete


ottenuto è una soluzione (BMP, 41).

4.5. I problemi segnalati nei paragrafi 3.1 e 3.2 non vengono in genere
trattati nei libri di testo di scienze. Solo raramente le definizioni di parole
scientifiche che hanno un uso anche nella lingua comune sono costruite in
maniera contrastiva ( «Quindi, quello che si chiama peso, più che una
misura del peso dell'oggetto, è una misura dell'attrazione che la Terra
esercita sull'oggetto stesso», F, 139) oppure l'espressione scientifica è ac­
compagnata dal suo corrispondente della lingua comune (con o senza
cioè: «la posizione consueta dell'uomo è lo "stare in piedi", la stazione
eretta», CC, 205). Ma si tratta sempre di osservazioni isolate e non di un
interesse sistematico per i problemi linguistici.
Un'eccezione è data da CC, che in appendice contiene una «scheda
interdisciplinare» sui mezzi di formazione delle parole scientifiche (ma gli
esercizi ricordati alla not� 8 sembrano didatticamente più interessanti) e
che (a p. 202), trattando delle forze che deformano i corpi, propone utili
osservazioni ed esercizi sull'uso di aggettivi della lingua comµne come
duro, elastico,fragile, malleabile, plastico, tenace.

4.6. Nei libri per le elementari è naturalmente assente un rispecchia­


mento rigoroso della costruzione del testo scientifico; nei libri migliori è
solo presente una versione ancor più semplificata dei procedimenti de-

94
scritti in 4.3 (a volte addirittura solo il tipo domanda/risposta, collegato
alla nota curiosità dei bambini per i «perché?»), oppure elementari istru­
zioni per esperimenti (cfr. 4.4). Prevalgono modelli descrittivi (cfr. ancora
4.4) o narrativi (questi ultimi nelle frequenti esposizioni della storia delle
scoperte scientifiche). I riferimenti diretti allo scolaro/lettore e alla sua
esperienza sono molto più numerosi che nei libri per la scuola media (cfr.
anche Del Buono/Sanson 1988, 236-237).
Vanno segnalati tre aspetti che caratterizzano in maniera particolare i
libri per le elementari:
a) qualunque sia il modello espositivo prescelto, vengono inseriti con
grande frequenza termini tecnici (considerabili tali in rapporto alle cono­
scenze precedenti degli scolari), spesso non spiegati.

(i2) Parlando dei Fenici, abbiamo detto che avevano trovato il mo­
do di colorare la stoffa. Per tale operazione, essi usavano la
porpora ricavata dal murice.
( Conoscere per capire, Torino, SEI, 1981, 139).

Ciò è dovuto ad una discutibile. concezione dell'arricchimento lessicale


come acquisizione del maggior numero possibile di parole, indipendente­
mente dalla loro frequenza d'uso e dalla loro disponibilità nella comunica­
zione quotidiana.
b) Per mezzo di sostantivi e aggettivi enfatici, le scoperte scientifiche
vengono presentate come fatti magici e meravigliosi e non come processi
razionali:

(13) Noi sappiamo produrla [l'elettricità], sappiamo adoperarla nel­


le più svariate e meravigliose applicazioni, ma ... non sappiamo
che cosa sia. Essa resta sempre, anche per noi, una forza miste­
riosa[ ...] chi per primo riuscì a compiere un simile prodigio, cioè
a produrre una corrente elettrica, fu Alessandro Volta
(Nuovo ieri, oggi, domani, Brescia, La Scuola, 1982, vol. per la
classe V, p. 181).14

95
(14) In quella mirabile macchina che è la dinamo ha luogo la tra­
sformazione dell'energia meccanica, favorita dalla turbina, m
energia elettrica, di potenza spesso assai elevata (ib., 182).

(15) Quella misteriosa forza che illumina case e strade [...] è l'elettri­
cità.
(Il nuovo perché delle cose, Milano, Edizioni Didattiche Italia­
ne, 1982, vol. per la classe V, p. 172).

c) Alla fine della presentazione di informazioni scientifiche vengono


proposte, con formule imperative, norme di comportamento (riguardanti
l'igiene, la salvaguardia della natura, l'uso non pericoloso dell'elettricità
ecc.; cfr. anche Del Buono/Sanson 1988, 237).
Da queste osservazioni si ricava che le pagine dedicate alle scienze nei
libri per le scuole elementari si prefiggono obiettivi in gran parte diversi
dalla trasmissione di elementari concetti scientifici (e cioè obiettivi ideolo­
gici, normativi o puramente lessicali). Questo spiega l'assenza della mag­
gior parte dei tratti della lingua scientifica, sia pure in forma semplificata.
Questo significa anche che l'esperienza della lingua scientifica con cui lo
scolaro giunge nella scuola media, è molto ridotta.

5. Conclusione
Tracciando un breve bilancio conclusivo, possiamo affermare che la
funzione della scuola è determinante per il superamento da parte del
parlante delle barriere linguistiche che limitano la diffusione nella società
del sapere scientifico. Perciò è necessario che la scuola sia consapevole di
questi problemi sin dai primi livelli scolastici e di conseguenza che i lingui­
sti che si occupano di educazione linguistica non dimentichino questo
aspetto dello sviluppo delle capacità linguistiche. Ma è anche necessario
che i linguisti che si occupano di lingue speciali, in particolare in chiave
sociolinguistica, non trascurino l'istituzione scolastica.
L'esame dei programmi e dei libri di testo mostra che nella scuola il
problema non è ancora trattato in maniera pienamente soddisfacente,
soprattutto per quel che riguarda i bisogni sociali del parlante, ma che lo

96
stato attuale mostra alcuni segni di miglioramento, sia per quel che riguar­
da le indicazioni dei programmi, sia per quel che riguarda la qualità lingui­
stica dei libri di testo più recenti. Resta invece totalmente insoddisfacente
lo stato degli strumenti a disposizione degli insegnanti consapevoli dei
presupposti linguistici che possono condizionare l'apprendimento delle
materie scientifiche.

NOTE
1) La letteratura pedagogica si è molto interessata, negli ultimi anni, del
passaggio dall'esperienza comune, e dalla sua verbalizzazione, al ragionamento
scientifico (v. ad es. Pontecorvo/Castiglia/Zucchermaglio 1983 o, in Guerriero
1988, gli interventi di Guidoni, Arcà, Pontecorvo, Gagliardi). L'interesse è stato
rivolto soprattutto ai fondamentali problemi di formazione del pensiero scienti­
fico (cioè la capacità di confrontare esperienze diverse nelle quali si realizza lo
stesso processo, e quindi la capacità di generalizzare) e a quelli relativi allo
sviluppo del pensiero scientifico attraverso la discussione in classe. Restano però
in ombra le modalità di acquisizione del lessico scientifico, o del lessico comune
in accezione scientifica (si intende, ovviamente, un'acquisizione non delle sole
parole, ma anche delle relazioni fra le parole da una parte e i fatti e le interpreta­
zioni scientifiche dall'altra: giustamente, riferendosi ai termini scientifici, Arcà
(1988, 44) osserva che «i bambini, che [... ] li usano, non sempre immaginano
quale significato essi acquistino nell'ambito rigoroso del discorso specialistico»).
Sulla priorità di un corretto ragionamento scientifico rispetto all'acquisizione
del lessico v. in particolare Gagliardi (1988).
2) La collocazione di queste indicazioni nella parte dei programmi dedicati
all'interdisciplinarità è quanto mai opportuna: l'intera problematica della lingua
scientifica a scuola può essere affrontata correttamente solo in base alla collabo­
razione tra insegnanti di lingua e insegnanti di materie scientifiche. Che la realtà
sia invece diversa, è un dato di fatto; e sorprende' che nessuno degli insegnanti di
scienze intervistati da GISCEL Sardegna (1988) abbia «dichiarato di sentire
l'esigenza di un lavoro interdisciplinare con il collega di lettere (o con altri)» (p.
271).
Sulla necessità di una cooperazione fra i due insegnamenti, quando questi sono
impartiti da diverse persone, si vedano anche le proposte fatte da. Feinaugle
(1979, 60-61) per la Grundschule (scuola elementare) tedesca.
3) I corsivi sono miei.
4) Cfr. invece Sabatini (1979, 50): «Con rapide inchieste tra i nostri scolari
possiamo accertare, ad esempio, che la stragrande maggioranza di essi non riesce
a capire veramente il significato del per che si pronuncia nella moltiplicazione o
di termini come radice quadrata, angoli complementari, potenza ecc. ».

97
5) Cfr. su questo Porro (1973, 188) e Sabatini (1979, 50).
6) In nota verranno segnalate, sia pure in forma succinta, le esercitazioni
proposte a proposito di ogni problema di didattica della lingua scientifica citato
nel testo. Un tale censimento risulta utile se si pensa alla povertà degli interventi
sulla lingua generalmente attuati dagli insegnanti di materie scientifiche: dall'in­
dagine di Fusetti/Randi Luginbuhl (1988, 113) si ricava che, se pure più della
metà degli insegnanti intervistati dichiara di attuare interventi di tipo linguistico,
quasi tutti si limitano alla ricerca nel dizionario dei termini tecnici.
7) Non è un caso che, rispondendo ad un'indagine del GISCEL Sardegna
(1988, 274-275), la maggior parte degli studenti di scuola media intervistati (il
74%) individui nella presenza di «alcuni termini» la maggiore difficoltà che si
frappone alla comprensione dei testi scientifici; ugualmente un buon numero di
studenti (39,6%) ritiene che il maggior ostacolo alla produzione di testi di argo­
mento scientifico sia rappresentato dalla difficoltà di reperire i termini esatti
(ma il 25,5% segnala le difficoltà legate all'esposizione dell'argomento seguendo
un certo ordine).
8) Esercizi in questo senso (suggeriti in Maranini et alii 1978, 200-201) posso­
no essere:
1. scoperta, mediante il vocabolario, del significato dei prefissi e suffissi più
diffusi;
2. formazione, con questi mezzi, di termini non ancora conosciuti;
3. scoperta, senza l'ausilio di strumenti, del significato dì termini mai incontrati
in precedenza.
9) Anche a questo proposito Maranini et alii (1978, 199-200) esemplificano
esercizi appropriati sui seguenti temi:
1. riconoscimento delle discipline a cui appartengono diverse frasi contenenti
tutte una stessa parola scientifica (cfr. ad es. quanto esemplificato nel testo a
proposito di potenza);
2. Critica all'uso scorretto di parole scientifiche nella lingua comune;
3. Critica all'uso assoluto nella lingua comune di parole o termini indicanti
relazioni.
10) Cfr. Amati et alii (1981, 43 segg.), ripreso da Banfi (1982).
11) Nonostante che quasi tutti gli interventi più recenti sulla lingua scientifica
si siano concentrati, od almeno abbiano preso in esame, il livello testuale, man­
cano esempi di esercizi mirati al testo scientifico in lingua materna: ad es. Pozzo
(1982, 85-86) propone attività per la riflessione linguistica relativa ai connettivi,
ma si tratta di attività riferibili a qualunque tipo di testo espositivo o argomenta­
tivo; in Pozzo (1983) le esercitazioni proposte esulano dal nostro interesse in
quanto si riferiscono a testi in L2.
12) Ma si veda pure l'analisi dei libri di storia di Deon (1986), la cui metodolo­
gia può essere proficuamente utilizzata anche per i libri di scienze.

98
13) V. il cap. 6 («L'uomo: un corpo, una civiltà») del testo, oggi non più in uso,
di Luigi Milano-Liliana Pizzorni, Osservazioni scienti.fiche, vol. I, Milano, Fabbri,
1973. In questo capitolo (di otto pagine, di cui solo tre di descrizione scientifica)
il corpo dell'uomo viene paragonato ad una macchina, le cellule ai mattoni di
una casa (una similitudine molto diffusa, dunque; cfr. il testo 2), i tessuti ad un
muro, gli organi ad un motore, il nutrimento alla benzina di un'automobile,
l'apparato scheletrico al telaio di un'automobile, l'apparato circolatorio ai tubi
che portano la benzina dal serbatoio ai cilindri, il cervello alla torre di controllo
di un aeroporto. Una serie ampia di paragoni, che oltretutto fanno riferimento a
settori non omogenei (casa, automobile, traffico aereo).
14) In questo esempio, e nei successivi, i corsivi sono miei.

99
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107
INDICE DEI NOMI

Althaus, Hans Peter 104 Ciliberti,Anna 102


Altieri Biagi, Maria Luisa 16, 17, 18, 21, Colmelet, G. Franca 103
22,23,30,42,43,101 Cortelazzo, Michele A. 8, 78, 102, 104,
Amati, Anna 81, 86, 88,98,101 106
Antola, A. 101
Arcà, Maria 97,101 Dardano,Maurizio 4,7,8,15, 16,21, 41,
103
Balboni, Paolo E. 7, 102 De Mauro, Tullio 8, 10, 11, 37, 103
Banfi, Emanuele 88, 98, 102 Del Buono,Maria Rosa 95, 96, 103
Beccaria, Gian Luigi 5, 7, 8, 24, 102 Delfino, Ugo 103
Beretta Anguissola, Alessandro 41, 44, Deon, Valter 98, 103
102 Devoto,Giacomo 7,23, 103
Bemardini, Carla 11, 102 Dressler,Wolfgang U. 103
Berretta, Monica 102 Durante, Marcello 23, 103
Berrettoni, Pierangiolo 72, 79, 102
Berruto, Gaetano 7, 8, 43, 102 Feinaugle, Norbert 97, 103
Bertocchi, Daniela 102 Fileti,Miriam 11,103
Boglione, A. 93 Fluck, Hans-Riidiger 4, 9,103
Bonetta Attanasio, Ray 88, 102 Folena, Gianfranco 23, 103
Bruni, Francesco 20, 102 Forconi, Giulio 90
Brilnner, Gisela 77, 102 Fortuzzi,Maria Giovanna 90
Bungarten, Theo 42,44,81, 88, 102, 106 Fusetti; Marina 98,104

Camino, Elena 89 Gagliardi, Marta 97, 104


Cantini Guidotti, Gabriella 11, 102 Galilei, Galileo 22, 29
Cargnel, Silvia 103 Gensini, Stefano 103
Casiraghi, Laura 101 Giordano,Enrica 101
Castiglia, Delia 97, 105 Giovanardi, Claudio 4, 21, 41, 103, 104
Cavendish, Henry 91 GISCEL Lombardia 88, 104
Cedrino, Luigi 89 GISCEL Sardegna 88, 89,97, 98,104
Ceserani, Remo 43,102 Gislimberti, Silvio 19,104
Chiarioni, Tullio 42, 102 Golino, Enzo 37, 104

109
Grassi, Corrado 103 Pallotta,Gino 105
Guerriero,Anna Rosa 97, 104 Pandolfi, Maurizio 43,105
Guidoni, Paolo 97 Parisi, Domenico 7, 105
Pelo, Adriana 4, 21, 41, 103
Hahn,Walther von 18, 20, 104 Pettenati, Gastone 43, I 05
Renne, Helmut 104 Phal, André 105
Hoffmann, Lothar 4,104 Piemontese Maria Emanuela 103
Holtus, Giinter 102 Pizzorni, Liliana 93, 99
Poggi Salani, Teresa 105
Ischreyt, Heinz 3, 20,104 Polenz, Peter von 72, 105
Poli, Enrico 44, 105
Jannacci, Enzo 27 Pontecorvo,Clotilde 97, 105
Porep,Riidiger 10, 105
Lazzaro, Giorgio 11, I 04 Porro, Marzio 24, 25, 98, 105
Leonardi, Paolo 5, 104 Pozzo,Graziella 21,88, 98, 106
Lippert, Herbert 42, 43, 104
Loffler-Laurian, Anne-Marie 3, 104 Randi Luginbuhl, Flavia 98, 104
Lorcher,Helgard 42, 105 Redi, Francesco 23
Lugarini, Edoardo 102 Regent,O. 106
Rindler Schjervè, Rosita 103
Maino, Luigi 93, 99 Romano, Ezio 42
Malpighi, Marcello 23 Ross, Alf79, 106
Maranini, Letizia 86, 98, 105 Rossi Dell'Acqua, Alba 105
Matarese Perazzo, Maria Vittoria 106 Rovere, Giovanni 4, 7, 17,41, 106
Mattioli, Mario 25, 42, 44, 105 Sabatini, Francesco 19, 97,98, 106
Medici, Mario li, 105 Sacco,Piera 105
Meneghelli, V. 42 Sanson, Silvana 95,96, 103
Mentrup, Wolfgang 104 Saussure, Ferdinand de 8, 106
Metzeltin, Michael 11, 102, 105 Scalia,Fiorenza 11, 106
Migliorini, Bruno 10, 16, 42, 105 Scarduelli,Tomasina 101
Mioni,Alberto 104 Schefe, Peter 106
Mohn, Dieter 44, 104, 105 Schmitt Christian I 02
Murò, Carlo 105 Scotti Morgana, Silvia 24, 106
Serianni, Luca 12, 17, 23, 24,106
Nussdorfer, G.G. 42 Serra Borneto, Carlo 4, 19, 45, 48, 61,
78,106
Paccagnella, Ivano 7, 107 Spillner, Bemd 42

110
Stegu, Martin 103 Wandruszka, Mario 7, 107
Steinig, Wolfgang 42 Weinrich, Harald 104
Sterpellone, Luciano 15, 106 Wiegand, Herbert Ernst 104
Steudel, Wolf-Ingo 10, 105
Zolli, Paolo I 07
Vertecchi, Benedetto 106 Zucchermaglio, Cristina 97, 105
Vitali, Emanuele Dialma 12, 38, 42, 43,
44, 106

111
INDICE DEGLI ARGOMENTI

acronimi 14, 32 educazione linguistica del medico 44


affissi 16 enfasi 95
analogia 33,90 eponimia 14,15,32
argomentazione 88-92
forestierismi v. internazionalismi
barriere sociolinguistiche 28, 39,81, 85 formazione delle parole 12, 13, 14, 15-
brillante (registro -) 34-35, 37 16,18,31-32,86,94,98
formule 8,32
causalità (rapporti di -) 19,87
colloquiale (registro -) 34-35 gergo 8,21-22,35
composti nominali 16, 31, 33 giustapposti nominali 16-17, 31, 33
comprensibilità (da parte del non esper- glosse 21, 37, 39-40
to) 33
comunicazione esperto-profano 5,21, 29 impersonale v. verbo
comunicazione medico-paziente 5,41 inglese come lingua internazionale 43
condensazione sintattica 18 insegnamento v. educazione linguistica
internazionalismi 12-13, 23,32
deagentivizzazione 18, 72-75
definizioni 85,91, 92,94 latinismi 32
descrizione 76 latino come lingua internazionale 22, 43
deverbali a suffisso zero 15 lessico 9-17, 31-33, 85-86 (v. anche tec-
diafasia 7,9,34 nici'smi)
diamesia 5,9,20-21 lingua comune 9-10,14,29, 98
diatesi v. verbo influsso della lingua comune 13,22,
differenziazione orizzontale (per mate­ 24-25, 29, 86-87
rie) 3 influsso sulla lingua COII1Une 35-36,
differenziazione verticale (sociolingui- 84
stica) 3-4,20-22 trasposizione in lingua comune 36-
diminutivi 20 37, 38-39
divulgazione scientifica 4, 21,27-44 linguaggi di riuso 8
linguaggio settoriale 7, 8
educazione linguistica 4,21,81-99 linguaggio speciale 7

113
linguaggio tecnico 7 regionalismi 23
lingua speciale: definizione 7-8 registro 7, 9, 27-28, 34
lingue speciali: registro (salti di -) 43
scienze 11, 22 rideterminazione semantica 13, 22, 29
economia 23 ridondanza 37
medicina 23, 27-44 rigorosità 11-12, 35, 36

mass-media 8, 24-25 scuola v. educazione linguistica


microlingua 7 seriazione (rapporti di-) 87
mistificatorio (uso - delle lingue speciali) sigle 14, 32, 36
25 simboli 14, 64
morfologia lessicale 15-17 similitudine 90, 99
morfosintassi 17-19 sinonimia 10-11, 39, 44
neoformazioni 12 sintagmi 22-23
sintassi 17-19
nome (prevalenza del-) 17, 30-31 sociolinguistica v. diversificazione ver-
nominalizzazione 17-18, 23, 30-31, 33, ticale; barriere sociolinguistiche
43, 73-74 sottocodice 7
storia della lingua 22-24
oggetto (orientamento sull' -) 18, 74 successione (rapporti di -) 87
oralità v. diamesia
ordine delle parole 18-19, 23 tecnicismi 33, 36, 40, 93, 95
ordine determinante-determinato (nei beni culturali 11
composti) 16 calcio 11
ordine naturale e ordine del testo nelle chimica 10
istruzioni didattiche 64-72 diritto 10, li
ordine tema-rema 18 fisica 29
organizzazione testuale 50-61, 64-72, fisica atomica 9
88-92 informatica 9-10, 29, 42
medicina 10, 12
parafrasi 21 tecnicismi collaterali 12, 17
passivo v. verbo tecnoletto 7
paziente (orientamento sul -) 74 terminologia 10-11, 12
polisemia 10-11, 33, 39, 44 testi speciali (Fachtexte) 19
processo (orientamento sul -) 18, 74 v. tipi di testo.
programmi scolastici 82-85 testualità 19, 87-88

114
tipi di testo vaghezza 11
istruzioni didattiche 45-79, 93-94 variatio 39
istruzioni per l'uso 4, 45-79 verbo 17, 30, 42
leggi 19 diatesi 18-19, 72
libri di testo 81-99 frequenza di forme nominali 17
referti medici 17-18,30-3 I imperativo 79
relazione del Governatore della Ban­ impersonale 17, 79
ca d'Italia 4 passivo senza indicazione dell'agente
transcategorizzazione 14 74
prevalenza dell'indicativo presente
unità lessicali superiori 16-17 17,30
univocità 10,33 transitivo/intransitivo 72

115
INDICE DELLE PAROLE

accusare (un dolore) 12 by-pass 32


-acee 15
acqua potabile 81 calcio d'angolo 11
adenoma 15 calcio di rigore 11
adrone 9 calcosilografia 16
-aggio 15 calmiere 23
agronica 16 carotaggio 15
alaggio 15 causa (a- di) 87
alesaggio 15 cedolino 20
-ali 15 cedolino-stipendi 20
amplificatore 15 cefalea 10
angoli complementari 97 ciclotrone 16
angolo (calcio d' -) 11 circuito integrato 10
antigenicità 37 clone 12
applicazione (trovare-) 17 clorosulfamidico 38
assassinio 10 cloruro ferrico 16
assisa 23 cloruro ferroso 16
attrito 81 collasso 13
avere origine 17 colposo (omicidio-) 10
avionica 16 comportare 17
avvenire 17 conseguenza (di -) 87
azione (esercitarè un'-) 17 consistére 17
controllo dell'ingresso 32
banca dati 13 corner 11
bentonite 14 corpuscoli di Meissner 32
betatrone 16 corpuscoli di Pacini 32
bevatrone 16 costituire 30
bianchi 20, 28 cranio-encefalica (patologia -) 31
bionica 16 cross 11
bosone 9, 16 cutireazione 31
bradicardia 27
broncodilatatrice (attività -) 35 danno 32

117
dato 17 epatite virale 31
densità 29 epatiz.zazione 32
depolimeriz.zare 18 epato- 32
depolimerizzazione 18 epatobiliare 32
descrivere 42 epatocolangioenterostomia 16, 31
diastolico 38 epatomegalia 32
dipendere 17 epatopancreas 32
dire 42 epatopatia 32
dischi tattili di Merkel 32 epatoprotettivo 32, 33
diuretico 38 epatorragia 32, 36
domandina 20 epatoscopia 32
drop-out 38 epatosi 32
duodenotomia 33 epatosplenomegalia 32
duro 94 epatotomia 32, 33
epatotossina 32
ebollizione (giungere a -) 17. erniotomia 33
elastico 94 esaurimento nervoso 39, 43
elettivamente 36 esercitare un'azione 17
elettrone 9, 16 esistere 17
elettronica 16 esitare 12
elezione 12 essere 17, 30
elio- 16 esubero 15
eliofobia 16
eliosfera 16 faringite 10
elioterapia 16 fermione 9
eliotropia 16 ferrico 16
emettere 12 ferroso 16
emi- 15 file IO, 13
-emìa 16 firmetta 20
emicrania l O flusso 81
emiparesi 15 fornimento I 1
emiplegia 15 forza 13, 22, 29
emorragia nel fegato 36 fotone 16
energia 29 fragile 94
epatalgia 32 fresatrice 15
epatico 32, 33 fungere 30
epatite 32, 33

118
gastro-enterico (tratto -) 31 leucociti 28, 36, 39
gastrotomia 33 linfociti 39
gate control 32 lungo 87
ghiandola 81 luogo (in primo -; in secondo in
giungere a ebollizione 17 terzo-) 87
globuli bianchi 20, 28, 36, 39
goal 11 macchie solari 22
grande 87 mal di gola 10
granulociti 39 mal di testa 10
gruppo (A, B, AB, O) 32 malleabile 94
marijuana 35
hardware 10 massa 13, 29, 86
massa d'acqua 86
-ico 16 massa d'aria calda 86
-idee 15 massa di persone 86
lgA 32 massa di sciocchezze 86
IgE 32, 36 massa di terra 86
IgG 32 meccanismo 32
lgM32 meccanismo profitti-investimenti 17
immunoglobuline E 36 memoria 13, 29
indolina 38 mendelevite 14
infine 87 mesone 16
i> inflazione 24 meta 23
inflazionistico 13 microprocessore 10
inoltro 15 mieloma 15
integrato (circuito-) 10 missaggio 15
momento22
kaone 16 morbo di Basadow 32
morbo di Parkinson 14
laringite 10 moto 81
laringotomia 33 muone 9
laser 14
lavatrice 15 neutrone 9
leptone 9 nevrastenia acquisita 43
letterina 20 nevrosi 39
letto di Procuste 14 newton 14
leucemia 16 nodo 13

119
occluso 40 poiché 87
-oma 15 pomoidee 15
omicidio 10 potenza 13, 29, 86, 97, 98
-one 16 premeditato (omicidio-) 10
-onica 16 pressione (sottoporre a -) 17
orecchioni 36 pressione alta 38
organuli di /ggo 32 presumere 42
origine (avere-) 17 preterintenzionale (omicidio -) 10
ortostasi (in -) 36 prick test 32
-oso 16 prima 87
otorinolaringoiatra 16 produzione 23
ozanizzare 18 proletarizzare 18
ozonizzazione 18 proletarizzazione 18
proporre 42
pace-maker·32 protone 16
paleo-spino-talamica (via-) 31
paramento 11 quadrato 81
parato 11
parkerizzare 18 radar 14
parkerizzazione 18 radice quadrata 97
parotite 36, 39 rapporto costi-benefici 16
patentino 20 rapporto costo-opportunità 17
pedolibro 36 rappresentare 17, 30
penalty 11 RAST32
pendolo 22 reazione 32
per97 redditi bassi 43
perciò 87 requisiti ingresso-uscita 16
pesante 87 resistenza 22, 29
piastrine 38 resistenza d'attrito scafo-acqua 16
piattello 11 rete 11, 13
piedi (in -) 36 Rh32
pione 16 riferirsi 17
plastica (chirurgia -) 36 rigore ( calcio di -) 11
plastico 94 rinoplastica 36
platelet 38 ritenere 42
plateleti 38 rosacee 15
poi87 rasali 15

120
scambio alogeno-metallo 16 tiro degli undici metri 11
scorporo 15 -tore 15
segno 13 tracheite 10
setticemia 16 tracheotomia 33
simpaticolitico 38 trasformatore 15
sincrotrone 16 traslitterare 18
sindrome di Goodpasture 16, 32 traslitterazione 18
sintoniu.atore 15 traversone 11
sistema remore-incentivi 17 trebbiatrice 15
sistolico 38 triangolo 81
software IO -trice 15
somalo-sensoriale (area -) 31 trichomonas vaginalis 32
sonar 14 trombiu.ato 40
sottoporre a pressione 17 -trone 16
spada di Damocle 14 trovare applicazione 17
spinello 35
spino-tettale (fascio -) 31 uccisione 10
spirale preu.i-salari 17 uguale 87
splenomegalia mieloide idiopatica 44
stante 11 valore 23
stanziare 12 valori pressori 38
stimolo 32 vas deferens 32
supplizio di Tantalo 14 vasodil.atatore 38
virus-epatite 31
tariffa 23 vitamina (A, B, C) 32
tenace 94 voce 23
teorema di Pitagora 14 volontario (omicidio -) 10

121

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