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UNIVERSITA’ TELEMATICA “e-Campus”

Facoltà di Lingue e Letterature Moderne e Traduzione Interculturale


Corso Di Laurea in Traduzione e Processi Interlinguistici

TITOLO

LA INCLUSIVIDAD DE GÉNERO EN LA COMUNICACIÓN


INSTITUCIONAL: EL CASO DE LA CONSTITUCIÓN ESPAÑOLA
Y DEL COMUNE DI CASTELFRANCO EMILIA

Relatore: Prof.ssa Renata De Rugeriis

Tesi di Laurea di:


Stefania Manna
Matricola numero 293482/2020

Anno Accademico 2021 / 2022


2
INDICE

INDICE 3

ABSTRACT 4

INTRODUZIONE 7

I. IL LINGUAGGIO INCLUSIVO NELLA COMUNICAZIONE ISTITUZIONALE


11

1.1 Il linguaggio nella comunicazione istituzionale in Italia: dal maschile inclusivo


all’uso dello schwa 11

1.2 Linee guida per la comunicazione istituzionale in Italia 16

1.3 Linee guida di comunicazione in UE 22

II. IL LINGUAGGIO INCLUSIVO NELLA COMUNICAZIONE


ISTITUZIONALE IN SPAGNA 27

2.1 Il linguaggio inclusivo nella comunicazione istituzionale in Spagna 27

2.2 Il caso della Costituzione Spagnola 33

2.3 Proposta di traduzione dell’art. 3 della Costituzione Spagnola e commento 41

III. IL LINGUAGGIO INCLUSIVO NELLA COMUNICAZIONE


ISTITUZIONALE IN ITALIA: IL CASO DEL COMUNE DI CASTELFRANCO
EMILIA 44

3.1 Il comune di Castelfranco Emilia e l’uso dello schwa 44

3.2 Mappatura dell'uso dello schwa 46

CONCLUSIONI 48

BIBLIOGRAFIA 50

SITOGRAFIA 53

APPENDICE IMMAGINI 55

3
ABSTRACT

Gli studi effettuati alla base di questa tesi hanno analizzato quello che oggi viene definito
linguaggio inclusivo, cioè l’utilizzo di scelte linguistiche che possano rappresentare
ciascuna persona, a prescindere dalla propria identità di genere, andando quindi incontro
alle esigenze di una fetta sempre più grande della società, sensibile alle attuali tematiche
affrontate dalla comunità LGBTQIA+, e che metta in luce, con l’obiettivo di risolvere,
una problematicità legata allo storico e consolidato espediente linguistico di utilizzare il
genere maschile in un’accezione neutra, risultando sovraesteso ed onnicomprensivo.
Sulla base di tale problematicità, abbiamo ricostruito il percorso che ha portato a parlare
di questo tema, che oggi è al centro di un’accesa diatriba intellettuale, lavorando nel
campo di indagine istituzionale in Italia ed in Spagna, inserendo il discorso in una più
generale panoramica di politiche europee, ed affrontando due casi studio: l’uno riguarda
il caso del Comune italiano di Castelfranco Emilia, il primo organo istituzionale a
dichiarare l’adozione di espedienti di linguaggio inclusivo per la propria comunicazione
ufficiale (ma solo per quella via social network); l’altro è il caso della Costituzione
spagnola, esaminata nei suoi costrutti linguistici, che, secondo alcuni studi, risulterebbero
essere discriminatori. Alla luce di questi studi, abbiamo approcciato al testo della Carta
Magna con un lavoro di analisi e abbiamo prodotto una proposta di traduzione dell’art. 3
della stessa.
in Italia, si parla per la prima volta di problematicità nell’utilizzo del maschile sovraesteso
nel lavoro pionieristico di Alma Sabatini, “Il sessismo nella lingua italiana” del 1987,
pubblicato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, segnando, di fatto, la genesi di una
spinta all’esigenza di rinnovamento linguistico, che ha l’obiettivo di scardinare il
sessismo nella lingua italiana. Il volumetto della Sabatini, infatti, non solo affronta le
tematiche relative ad usi e costrutti discriminatori nell’italiano, ma offre una sezione di
esempi pratici per un linguaggio più egualitario che prediliga parole epicene (cioè prive
di una connotazione di genere) e la declinazione al femminile dei nomi di cariche, titoli e
mestieri relativi alle donne. Vengono così affrontate, per la prima volta, due questioni
cardine che vedono, nel corso della storia, l’attuazione di politiche volte all’uguaglianza
da parte degli organi istituzionali.

4
Ma è negli anni tra il 2019 e il 2021 che abbiamo rilevato empiricamente un’abbondanza
di riferimenti sull’argomento: infatti nel 2019 la linguista Vera Gheno, nella sua opera
“Femminili singolari. Il femminismo è nelle parole” propone una soluzione a detta
problematicità del maschile sovraesteso, attraverso l’utilizzo di un simbolo dell’Alfabeto
Fonetico Internazionale (IPA), detto schwa, che corrisponde al fonema della vocale
centrale media “ə” e che, idealmente, neutralizza il genere nella desinenza dei plurali.
Tale proposta ha incontrato l’opposizione di numerosi italianisti e accademici della lingua
(come anche l’Accademia della Crusca), ritenendola uno stravolgimento immotivato.
Il suggerimento della Gheno è stato, invece, ben accolto dal Comune di Castelfranco
Emilia, che, dal 2021, decide di adottare il simbolo per la propria comunicazione ufficiale
sui social network.
Tale scelta rappresenta uno dei casi studio di questa tesi, a cui abbiamo approcciato con
metodo scientifico, attraverso l’analisi dei post pubblicati dalla pagina Facebook del
Comune, da cui abbiamo prodotto dei risultati, espressi in grafici, delle scelte linguistiche
adottate dall’organo istituzionale.
Per quanto riguarda la lingua spagnola, il lavoro effettuato in questo elaborato ha
analizzato, analogamente a quanto fatto con la lingua italiana, il percorso intrapreso, in
campo istituzionale, per il raggiungimento di un sistema linguistico idealmente non
discriminatorio, partendo dagli studi effettuati dalla dalla ricercatrice argentina Delia
Esther Suardiaz, pubblicati nel 1973, con il titolo Sexism in the Spanish Language, che
denunciano, per la prima volta, un sistema linguistico sessista nello spagnolo. Gli studi
proseguono, in quest’ottica, con la pubblicazione, nel 1977, di Lenguaje y discriminación
sexual dello scrittore e ricercatore, Álvaro García Meseguer, fino ad arrivare alla
pubblicazione di guide che promuovono politiche a favore di una lingua più egualitaria,
da parte di organi istituzionali come il Ministerio de Asuntos Sociales (Instituto de la
Mujer), nato nel 1983.
Ma è soprattutto all'inizio degli anni 2000 che la questione del linguaggio inclusivo
ottiene un forte interesse: la legge organica 3/2007 del 22 marzo, per l'effettiva parità di
uomini e donne, si occupa della necessità di attuazione di un linguaggio egualitario in
ambito amministrativo e della sua promozione in tutte le relazioni sociali, culturali e
artistiche.

5
Nel 2009 viene pubblicata La Nueva gramática de la lengua española, la prima
grammatica accademica, dal 1931, prodotta dalla collaborazione di tutte le accademie
linguistiche spagnole.
Il dibattito accademico sull’inclusività di genere in Spagna si accende maggiormente
quando, nel 2008, viene pubblicato lo studio delle scrittrici Charo Guerrero Martín ed
Eulàlia Lledó Cunill Hablamos de leyes: en femenino y en masculino che mette in
discussione la costruzione linguistica della Costituzione spagnola, tacciata di avere un
linguaggio sessista. Segue a questa pubblicazione, nel 2018, la dichiarazione della
Vicepresidente del Governo e Ministra di Stato, Carmen Calvo di voler richiedere alla
Real Academia Española (RAE) delle modifiche al linguaggio della Costituzione
spagnola, al fine di renderlo più inclusivo.
Tale richiesta viene formalizzata e viene rifiutata dalla RAE attraverso il documento
Informe de la Real Academia Española sobre el uso del lenguaje inclusivo en la
Constitución Española, elaborado a petición de la Vicepresidenta del Gobierno, nel
2022.
Alla luce di questi studi abbiamo effettuato un lavoro di analisi di alcuni articoli della
Costituzione spagnola e abbiamo elaborato una nostra proposta di traduzione, dallo
spagnolo all’italiano, dell’art. 3.
In conclusione a questo lavoro di tesi, abbiamo presentato una riflessione sulla difficoltà
che implica la rivoluzione degli schemi linguistici di italiano e spagnolo, in quanto lingue
neolatine e flessive, e sulla mancanza di una coesione ideologica nel riconoscere come
problematica la configurazione del genere maschile come sovraesteso e, di conseguenza,
di adottare delle strutture linguistiche che permettano a tutti di sentirsi rappresentati dalla
lingua.

6
INTRODUZIONE

Il lavoro di ricerca che abbiamo effettuato e che ha prodotto questa tesi di laurea
magistrale si è concentrato sull’utilizzo del linguaggio inclusivo in ambito istituzionale,
nello specifico analizzando le politiche adottate dall’Italia e dalla Spagna,
contestualizzando queste realtà in una più generale ottica di politiche dell’Unione
Europea.
Gli studi hanno rilevato che la questione dell’inclusività di linguaggio è oggi un
argomento che desta grande fermento, soprattutto nel mondo del web, dove è fortemente
dibattuto nella polemica creatasi tra sostenitori di una rivoluzione linguistica, attivisti
della comunità LGBTQIA+ e linguisti che combattono per proteggere la lingua da un
adeguamento che non ritengono necessario.
Al centro di tale polemica, dunque, vi è una questione cardine: l’utilizzo del maschile
come genere neutro, sovraesteso ed onnicomprensivo. Questa configurazione del genere
maschile, tipica delle lingue flessive neolatine, viene, dunque, considerata come una
problematicità da una grande parte della popolazione di Italia e Spagna, le cui lingue
manifestano in modo spiccato questo fenomeno.
In Italia, i primi studi sulla lingua che evidenziano tale problematicità dell’utilizzo del
maschile come genere neutro sono quelli effettuati da Alma Sabatini, che nel 1987
pubblica “Il sessismo nella lingua italiana”1, un’opera in cui analizza l’italiano dalla
prospettiva del genere, considerandolo strutturato su una base androcentrica insita e
consolidata e scardinabile solo attraverso una riforma linguistica.
In linea con il pensiero della Sabatini, dopo oltre trent’anni, la linguista Vera Gheno offre
una soluzione linguistica che vede l’utilizzo del simbolo “ə” detto schwa, che, avendo
anche una corrispondenza fonetica, risulterebbe una valida alternativa per neutralizzare il
genere delle parole e rendere la lingua italiana una lingua non discriminatoria.
Un’altra questione strettamente connessa al lavoro svolto dalla Sabatini, e ripreso da
numerosi accademici della lingua, è quella dei nomina agentis: i nomi che designano

1
Alma Sabatini, Il sessismo nella lingua italiana, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per
l'informazione e l'editoria, 1987.

7
professioni, titoli e cariche che l’italiano formula in genere maschile, pur riferendosi
anche alle donne.
Per quanto riguarda la questione del genere nel linguaggio in Spagna, i primi studi a
rivelare una discriminazione linguistica sono ad opera della ricercatrice argentina Delia
Esther Suardiaz, che nel 1973 pubblica la propria tesi di master con il titolo Sexism in the
Spanish Language2.
Su questa scia, gli studi proseguono con la pubblicazione, nel 1977, di Lenguaje y
discriminación sexual3 dello scrittore, professore e ricercatore Álvaro García Meseguer,
fino ad arrivare alla pubblicazione di guide che promuovono politiche a favore di una
lingua egualitaria, da parte di organi istituzionali come il Ministerio de Asuntos Sociales
(Instituto de la Mujer), fondato nel 1983.
Infatti, dagli studi effettuati in questo lavoro di tesi, un campo di indagine interessante
risulta essere l’ambito istituzionale: numerose sono le direttive in materia di linguaggio
non discriminatorio da parte dell’apparato delle istituzioni.
In una cornice europea, portiamo all’attenzione la Conferenza Generale dell’UNESCO
(Parigi, 1987) che, approvando la Risoluzione 14.1, si schiera a tutela di un linguaggio
inclusivo da applicare alla redazione di tutti i documenti di lavoro dell'Organizzazione.
Nel 2021 Helena Dalli, Commissaria all’Uguaglianza dell’Unione Europea, pubblica le
European Commission Guidelines for Inclusive Communication4 con l’obiettivo di
fornire esempi pratici per un linguaggio sempre più equanime.
In Italia la Presidenza del Consiglio dei Ministri pubblica, nel 1994, “Il Codice di Stile
delle comunicazioni scritte ad uso delle amministrazioni pubbliche” 5 e “il Manuale di
stile. Strumenti per semplificare il linguaggio delle amministrazioni pubbliche. Proposta
e materiali di studio”6, per arrivare poi alla pubblicazione nel 2012 delle “Linee guida per

2
Delia Esther Suardiaz, Sexism in the Spanish Language, University of Washington, 1973.
3
Álvaro García Meseguer, Lenguaje y discriminación sexual, Cuadernos para el Diálogo, Madrid, 1977.
4
European Commission, European Commission Guidelines for Inclusive Communication, 2021.
5
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per la Funzione Pubblica, Codice di stile delle
comunicazioni scritte ad uso delle amministrazioni pubbliche, Istituto poligrafico e zecca dello stato,
libreria dello stato, 1994.
6
Alfredo Fioritto, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per la Funzione Pubblica, Manuale
di stile. Strumenti per semplificare il linguaggio delle amministrazioni pubbliche. Proposta e materiali di
studio, Edizioni Il Mulino, 1997.

8
l’uso del genere nel linguaggio”7 ad opera della linguista Cecilia Robustelli in
collaborazione con l’Accademia della Crusca.
Il lavoro effettuato in questa tesi ha analizzato l’evoluzione del linguaggio inclusivo in
ambito istituzionale focalizzandosi su due casi particolari: il primo è il caso della
Costituzione spagnola e il secondo quello del Comune italiano di Castelfranco Emilia.
Per quanto concerne il caso studio della Costituzione spagnola, abbiamo esaminato il
testo Hablamos de leyes: en femenino y en masculino8 delle scrittrici Charo Guerrero
Martín ed Eulàlia Lledó Cunill, in cui viene denunciato il sessismo linguistico insito nella
Costituzione spagnola; nello specifico le studiose analizzano diversi articoli della Carta
Magna proponendo la riformulazione di questi con delle versioni alternative, che
prevedono un linguaggio più egualitario. L’analisi degli articoli e le relative proposte di
riformulazione hanno innescato una polemica che ha coinvolto anche delle cariche
politiche, come la Ministra di Stato, Carmen Calvo, che ha richiesto alla Real Academia
Española (RAE) delle modifiche al linguaggio della Costituzione spagnola, ottenendo in
risposta un rifiuto nel 2022, attraverso il documento Informe de la Real Academia
Española sobre el uso del lenguaje inclusivo en la Constitución Española, elaborado a
petición de la Vicepresidenta del Gobierno 9, in cui la RAE dichiara di non ritenere
necessario un cambiamento della lingua, in quanto essa ottempera al proprio scopo
primario di risultare chiara e comprensibile, difendendo l’utilizzo nel maschile nella sua
accezione neutra, ma dichiarandosi disposta ad attenzionare la lingua per ciò che concerne
i nomi di cariche, titoli e professioni riferiti al genere femminile.
Inoltre, in linea con la proposta di riformulazione delle scrittrici Charo Guerrero Martín
ed Eulàlia Lledó Cunill e in linea con il raggiungimento dell’obiettivo prefissato dal
percorso di studi del corso di laurea in traduzione, presentiamo una nostra proposta di
traduzione, dallo spagnolo all’italiano, dell’art. 3 della Costituzione spagnola.

7
Cecilia Robustelli, Linee guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo, progetto formativo
Genere e linguaggio, Comitato pari opportunità del comune di Firenze, Accademia della
Crusca, Firenze, 2012.
8
Charo Guerrero Martín, Eulàlia Lledó Cunill, Hablamos de leyes: en femenino y en masculino, “Nombrar
en femenino y en masculino”, : Instituto de la Mujer (Ministerio de Igualdad), Madrid, 2008.
9
Real Academia Española (RAE), Informe de la Real Academia Española sobre el uso del lenguaje
inclusivo en la Constitución Española, elaborado a petición de la Vicepresidenta del Gobierno, Madrid,
2020.

9
Per quanto concerne, invece, il secondo caso studio di questa tesi, presentiamo la
questione del Comune di Castelfranco Emilia, il quale ha annunciato, nell’aprile 2021,
l’intenzione di utilizzare per la propria comunicazione ufficiale (ma esclusivamente per
quella via social) lo schwa, al fine di adeguarsi ad un linguaggio non discriminatorio,
innescando un’accesa polemica fra conservatori della lingua e sostenitori di una riforma
linguistica volta all’equità.
L’approccio del nostro lavoro al caso studio è di tipo scientifico: analizziamo i post del
social network Facebook dell’anno 2021, anno dell’annuncio da parte del Comune
dell’adozione dello schwa, effettuando una statistica, espressa in grafici, dell’utilizzo
effettivo del simbolo, delle altre scelte linguistiche, per una lingua maggiormente volta
all’uguaglianza (raddoppiamento, utilizzo di vocaboli epiceni e dunque neutri) e dei casi
in cui nessuna di queste opzioni viene effettivamente applicata.
In conclusione portiamo all’attenzione la difficoltà che comporta una rivoluzione degli
schemi linguistici in lingue come l’italiano e lo spagnolo, neolatine e di antica
formazione, riflettendo sulla mancata coesione ideologica rispetto all’eziologia che
muove detta rivoluzione: cioè nel riconoscere o meno l’utilizzo del maschile sovraesteso
in una configurazione neutra e, pertanto, non discriminatoria.
Infatti questo passaggio risulta fondamentale e propedeutico, in un senso, a trovare una o
più soluzioni alternative all’espediente del maschile sovraesteso che possano mettere
d’accordo tutti, nell’altro, a emettere sentenza e chiudere la polemica, ma, così facendo,
lasciare che una fetta sempre più grande della popolazione non si senta rappresentata dal
proprio sistema linguistico.
L’argomento, infatti, assume le connotazioni di un passaggio storico verso il futuro.

10
I. IL LINGUAGGIO INCLUSIVO NELLA COMUNICAZIONE
ISTITUZIONALE

1.1 Il linguaggio nella comunicazione istituzionale in Italia: dal maschile


inclusivo all’uso dello schwa
Il linguaggio inclusivo è oggi un argomento estremamente dibattuto.
La forma maschile, utilizzata come genere sovraesteso ed interpretata come neutra, per i
sostantivi al plurale riferiti a gruppi di persone o cose appartenenti a entrambi i generi,
sembra essere oggetto di una forte condanna da parte di una fetta della società liquida,
sempre più aperta verso le tematiche LGBTQIA+.
Come anticipato nell’introduzione di questa tesi, facciamo riferimento al concetto di
problematicità nell’utilizzo del maschile sovraesteso, nell’italiano e nello spagnolo.
Ad individuare tale problematicità fu Alma Sabatini: linguista e attivista politica e per i
diritti umani, che possiamo considerare pioniera del tema di inclusività di genere,
attraverso l’opera del 1987 “Il sessismo nella lingua italiana” 10. In questo volumetto la
Sabatini denuncia un androcentrismo linguistico nell’italiano, che propone di superare
attraverso uno sforzo collettivo e una riforma linguistica, suggerendo l’utilizzo di termini
che si riferiscano in modo specifico alle donne, laddove si parli di categorie in cui esse
sono comprese in modo implicito (ad esempio: le insegnanti e gli insegnanti) o di termini
che possano riferirsi sia a donne che ad uomini, che però non implichino l’utilizzo di una
forma maschile per entrambi (come ad esempio “la specie umana” al posto di “gli
uomini”), proponendo di adottare forme al femminile per i nomi di professioni, mestieri,
titoli e cariche (ad esempio: “la consigliera”), e, ancora, evitando la continua precedenza
del maschile nelle coppie oppositive uomo/donna (ad esempio: “le zie e gli zii” al posto
di “gli zii e le zie”11).
Oltre trent’anni dopo la pubblicazione dell’opera di Alma Sabatini, la questione
dell’inclusività di genere resta un argomento di discussione in divenire.

10
Alma Sabatini, Il sessismo nella lingua italiana, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per
l'informazione e l'editoria, 1987.
11
Cfr. Alma Sabatini, Ibidem, (pp. 24,109).

11
In particolare, abbiamo rilevato empiricamente un’abbondanza di riferimenti,
specialmente nelle piattaforme sociali di comunicazione, negli anni dal 2019 al 2021.
Ci sembra determinante l’intervento della linguista Vera Gheno che propone una
soluzione alla problematicità dell’utilizzo del “maschile inclusivo” 12, prediligendo una
forma neutra per la desinenza del plurale, con l’ausilio di un simbolo dell’Alfabeto
Fonetico Internazionale (IPA), detto schwa, che corrisponde al fonema della vocale
centrale media “ə”, come alternativa al carattere tipografico dell’asterisco (*), tipico del
linguaggio informatico, il cosiddetto “carattere jolly”, già utilizzato dalla comunità
LGBTQIA+ e anche nei testi istituzionali per la segnalazione dell’omissione volontaria
di una parte di testo (ad esempio: “il Signor R*”).
Sebbene l’uso di questo simbolo fonetico schwa, che idealmente neutralizza il genere,
venga attribuito, dal 2019, alla linguista Vera Gheno, nel sito web “italianoinclusivo.it”
riscontriamo che già dal 2015 Luca Boschetto, attivista per i diritti umani e LGBTQIA+,
aveva proposto di superare le limitazioni di una lingua fortemente caratterizzata per
genere attraverso l’utilizzo di tale espediente.
Nel 2015, il Boschetto, attivista per i diritti umani, scrive un articolo13 in cui pone le basi
della proposta, ritenendo lo schwa la migliore desinenza alternativa a: “u”, “@”, “*”, “x”,
in quanto appartenente all’Alfabeto Fonetico Internazionale “IPA”, proponendo, nello
specifico, l’utilizzo dello schwa “breve” (“ə”) per il singolare e dello schwa “lungo”
(“ɜ”) per il plurale.
La Gheno risolve la problematicità del linguaggio cosiddetto non inclusivo attraverso
l'opzione schwa, affermando di aver scoperto solo in un secondo momento della
concretizzazione della proposta da parte del Boschetto14.
Nel 2020 la casa editrice Effequ (che già aveva pubblicato il testo della Gheno “Femminili
singolari. Il femminismo è nelle parole” in cui per la prima volta l’autrice suggerisce
l’utilizzo dello schwa) traduce e pubblica Feminismo em comum: para todas, todes e

12
Cfr. Vera Gheno, Femminili singolari. Il femminismo è nelle parole, Firenze, Effequ, 2019, pp. 184-185.
13
Cfr. Luca Boschetto, “Proposta per l'introduzione della schwa come desinenza per un italiano neutro
rispetto al genere, o italiano inclusivo”, 2015.
https://goo.gl/OxJApV
14
Cfr. Vera Gheno, “Schwa: storia, motivi e obiettivi di una proposta”, Treccani, 21 marzo 2022.
https://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/speciali/Schwa/4_Gheno.html

12
todos15, un libro della scrittrice brasiliana Marcia Tiburi, che nella versione italiana
prende il titolo “Il contrario della solitudine. Manifesto per un femminismo in comune” 16.
La traduzione, curata da Eloisa Del Giudice, ha messo in luce una difficoltà: in alcune
parti del testo, l’autrice utilizza il plurale inclusivo todes, ufficiosamente utilizzato sia in
spagnolo che in portoghese. La casa editrice, dunque, decide di adottare lo schwa,
traducendo todes con “tuttə”.
Dopo questo episodio, la Effequ dichiara di aver deciso di adottare, in via sperimentale,
lo schwa al posto del maschile sovraesteso nella sua collana di saggistica, pubblicando
delle norme redazionali create ad hoc17.
Tuttavia, la comunità di italianisti non ha unanimemente accolto la proposta, tanto che
l’interpellata Accademia della Crusca prende le distanze dal suggerimento della linguista
Gheno, attraverso le parole del vicepresidente Paolo D’Achille, che, all’apice della
polemica accesasi in rete e sulla stampa, si pronuncia per la prima volta sul tema,
attraverso un articolo18 pubblicato sul sito dell’Accademia Della Crusca, definendo il
maschile plurale un genere grammaticale non marcato, invalidando l’utilità dello schwa
per essere «opacizzante»19 della differenza di numero.
Per illustrare meglio questi concetti, basti pensare a espressioni come “Paola e Giovanni
sono arrabbiati”:

Un altro dato da ricordare è che nell’italiano standard il maschile al plurale è da


considerare come genere grammaticale non marcato, per esempio nel caso di
participi o aggettivi in frasi come “Maria e Pietro sono stanchi” o “mamma e papà
sono usciti”. Inoltre, se dico “stasera verranno da me alcuni amici” non significa
affatto che la compagnia sarà di soli maschi (invece se dicessi “alcune amiche”, si
tratterebbe soltanto di donne). Se qualcuno dichiara di avere “tre figli”, sappiamo
con certezza solo che tra loro c’è un maschio (diversamente dal caso di “tre figlie”),
a meno che non aggiunga “maschi”. Se in passato poteva capitare (oggi mi risulta
che avvenga più di rado) che a un alunno indisciplinato si richiedesse di tornare a
scuola il giorno dopo “accompagnato da uno dei genitori”, poteva essere sia il papà
sia la mamma a farlo (e lo stesso valeva nel caso della dicitura al singolare, “da un

15
Marcia Tiburi, Feminismo em comun: para todas, todes e todos, Rosa dos Tempos, 2018.
16
Marcia Tiburi, Il contrario della solitudine. Manifesto per un femminismo in comune, trad. a cura di
Eloisa Del Giudice, Effequ, 2020.
17
Cfr. Francesco Quatraro, Silvia Costantino, “Lo schwa secondo noi”, Effequ Libri che non c’erano, 2021.
https://www.effequ.it/lo-schwa-secondo-noi/.
18
Cfr. Paolo D’Achille, “Un asterisco sul genere”, Accademia della Crusca, sezione Consulenza linguistica,
14 settembre 2021.
19
Paolo D’Achille, Ibidem.

13
genitore”, sebbene questo termine abbia anche il femminile genitrice, di uso peraltro
assai più raro rispetto al maschile) 20.

La polemica ha coinvolto numerosi accademici della lingua italiana, in particolare, a


seguito della comparsa dello schwa nel verbale concorsuale universitario n. 2 del
02/12/2021 (vedi Immagine 1) per l’abilitazione di un professore nel settore delle
discipline economico-giuridiche: il linguista Massimo Arcangeli, dirigente per l’editore
Zanichelli della rubrica online “l’Osservatorio della Lingua Italiana”21, ha lanciato una
petizione sulla nota piattaforma Change.org dal titolo Pro Lingua Nostra22, diretta al
Ministero dell'Università e al Ministero dell'Istruzione, in cui asserisce la pericolosità del
momento storico, identificandolo con una deriva per la lingua italiana, provocata dai
sostenitori dello schwa, che l’Arcangeli ritiene essere incompetenti in materia di lingua.
Sostiene anche la inapplicabilità sistematica di una «e rovesciata» 23 alla lingua italiana,
in quanto inutilizzabile per chi soffre di dislessia e disturbi neuroatipici, dunque
reputando l’idea folle.
La petizione dell’Arcangeli ha raggiunto oltre ventitremila firme, tra le quali compaiono
anche alcuni nomi illustri tra italianisti, linguisti e letterati (Gian Luigi Beccaria,
professore emerito, già Ordinario di Storia della Lingua italiana; Francesco Sabatini,
professore emerito di Linguistica italiana, presidente emerito dell’Accademia della
Crusca; Alessandro; Claudio Marazzini, presidente in carica dell’Accademia della
Crusca; et al.).
Il linguista è anche autore di un pamphlet dal titolo “La lingua scema. Contro lo schwa (e
altri animali)”24, nel quale analizza le diverse ragioni per cui afferma l’inammissibilità
dello schwa, che, oltre alla già citata inutilizzabilità, e dunque conseguente esclusione dei
soggetti affetti da disturbi neuroatipici, vanno dal disorientamento normativo alla
generalizzazione gratuita di chi invece non si riconosce come non binario. Nel libello
viene anche messo in luce un tema che l’Arcangeli ritiene fondamentale: il suo autore,
infatti, riconosce il sessismo della lingua italiana e ritiene che l’utilizzo dello schwa (come

20
Paolo D’Achille, Ibidem.
21
Massimo Arcangeli, “Osservatorio della lingua italiana”, Dizionaripiù.zanichelli.it, sezione Lingua e
scuola, 2011.
22
Massimo Arcangeli, “Lo schwa (ə)? No, grazie. Pro lingua nostra”, Change.org, 2022.
https://www.change.org/p/lo-schwa-ə-no-grazie-pro-lingua-nostra.
23
Cfr. Ibidem.
24
Massimo Arcangeli, La lingua scema. Contro lo schwa (e altri animali), Roma, Castelvecchi, 2022.

14
anche dell’asterisco, della chiocciola, ecc…) non solo non sia la soluzione, che invece il
linguista individua nell’utilizzo di parole epicene e nel raddoppiamento di termini al
maschile e al femminile, ma addirittura segni la morte per tutte quelle parole al femminile
che hanno raggiunto la propria affermazione in secoli di evoluzione linguistica, dal latino
all’italiano.
La discussione circa l’applicabilità dello schwa vede pronunciarsi anche “Fondazione
LIA”, un’organizzazione no profit che promuove la cultura dell’accessibilità nel campo
editoriale, il cui contributo al dibattito si basa su alcuni test effettuati, con diverse
combinazioni di screen reader, browser e sistema operativo, per verificare come viene
letto lo schwa all’interno di un testo, dalle persone affette da disabilità visive, che
accedono ai contenuti attraverso tecnologie assistive. I risultati dei test, pubblicati sul
proprio sito web25 dimostrano che gli screen reader ignorano o leggono in maniera
scorretta lo schwa: risulta che a questo simbolo non corrisponde alcun suono, causando
nella lettura un troncamento delle parole e rendendo potenzialmente complessa la
comprensione del testo. I dispositivi supportati dal sistema operativo iOS leggono lo
schwa “breve” letteralmente come schwa, mentre lo schwa “lungo” viene letto
letteralmente come “???aperta rovesciata”.
Infine, i dispositivi screen reader associati a documenti Microsoft Word, alla lettura dello
schwa, emettono un segnale acustico che avvisa l’utente della presenza di un errore di
ortografia, non essendo in grado di riconoscere le parole che lo contengono come
appartenenti al lessico italiano.
Non manca, in aggiunta, l’intervento26 dell’Istituto Della Enciclopedia Italiana - Treccani
a cura della italianista Cristiana De Santis, che invece sottolinea la necessità di effettuare
una distinzione tra il genere inteso come categoria socio-culturale e il genere inteso come
categoria grammaticale. Sarebbe quest’ultimo, infatti, nella lingua italiana, ad opporsi in
maschile e femminile, nella sua manifestazione di forme pronominali e desinenze
nominali, oltre che nelle concordanze tra il nome e l’articolo che lo determina o
l’aggettivo che ad esso si riferisce. La De Santis, inoltre, pone l’attenzione sul genere

25
Cfr. “Linguaggio inclusivo. Lo schwa è accessibile a tutti?”, Fondazione LIA libri italiani accessibili,
11/10/2022.
https://www.fondazionelia.org/ricerca-e-sviluppo/linguaggio-inclusivo-schwa-accessibilita/
26
Cfr. Cristiana De Santis, “L’emancipazione grammaticale non passa per una e rovesciata”, Treccani,
2022. https://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/articoli/scritto_e_parlato/Schwa.html.

15
neutro e sul suo uso nella lingua latina, dove veniva utilizzato, soprattutto, per distinguere
ciò che è inanimato da ciò che è animato, e sulla sua estinzione nel passaggio dalla lingua
latina a quella italiana, spiegando, così, come il maschile, nell’evoluzione linguistica, si
sia imposto sia nella sua funzione marcata, rispetto al genere, come opposto al femminile,
che, nella sua funzione non marcata, sempre rispetto al genere, diventando maschile
generico o inclusivo.
L’italianista, per giunta, invita ad una riflessione circa la manifestazione complessa della
categoria di genere, che non si limita all’opposizione di desinenze come “-o” ed “-a” nella
flessione, ma spesso anche nella formazione delle parole con alternanza di suffissi (ad
esempio in parole come “imperatore/imperatrice”) e, ancora, sottolinea che talvolta è
l’articolo a definire il genere di un nome, invece che la sua morfologia stessa (ad esempio
“il mendicante”/”la mendicante”).
Il dibattito circa l’utilizzo dello schwa resta un argomento ostico, soprattutto nella sua
applicazione alla comunicazione istituzionale, che si rivela essere costantemente un
interessante campo di indagine nell’investigazione del fenomeno di inclusività di genere
nell’ambito linguistico.

1.2 Linee guida per la comunicazione istituzionale in Italia


La pubblicazione, nel 1987, del volumetto di Alma Sabatini “Il sessismo nella lingua
italiana”, da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri e il patrocinio della
Commissione Nazionale per la realizzazione delle pari opportunità tra uomo e donna, ha
posto le basi per la diffusione di un uso più egualitario della lingua, rappresentando, di
fatto, la prima riflessione sulla necessità di un approccio linguistico più cosciente, che sia
in grado di rispettare l’identità di genere27.
In Italia infatti, anche dopo l’approvazione della legge n. 903 del 9 dicembre 1977, che
decreta la parità tra uomini e donne in materia di lavoro, il linguaggio non contemplava
le professioni e i ruoli istituzionali di prestigio raggiunti dalle donne, che venivano
accorpati nei termini maschili, ma rappresentava mestieri o professioni utilizzando le

27
Cfr. Cecilia Robustelli, “Lingua e identità di genere”, Studi italiani di linguistica teorica e applicata,
2000, (p. 60).

16
forme femminili per indicare quelle mansioni che tradizionalmente le donne
ricoprivano28.
In quegli anni, usare il genere grammaticale maschile in riferimento alle donne era
considerato corretto e pertinente alla prassi, sia nella comunicazione quotidiana che nel
linguaggio istituzionale, corroborando l’androcentrismo nella società italiana 29.
A partire dalla pubblicazione della Sabatini, dunque, l’attenzione ad un uso più cosciente
della lingua, in ambito istituzionale, amministrativo e giuridico, diventa una questione di
Stato: infatti nel 1994 il Dipartimento per la Funzione Pubblica della Presidenza del
Consiglio dei Ministri pubblica “Il Codice di Stile delle comunicazioni scritte ad uso delle
amministrazioni pubbliche” incentrando un paragrafo30 del testo sulla problematicità del
sessismo linguistico e su delle raccomandazioni per promuovere espressioni alternative e
più egualitarie.
Al “Codice” segue “il Manuale di stile. Strumenti per semplificare il linguaggio delle
amministrazioni pubbliche. Proposta e materiali di studio” 31, anch’esso pubblicato dal
Dipartimento della Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri .
Il “Manuale”, denunciando la prevalenza del genere maschile nella lingua italiana, che
riconosce come conseguenza e, al tempo stesso, causa scatenante della predominanza del
ruolo maschile nella società, riprende i suggerimenti del “Codice”, per consentire a chi
scrive testi amministrativi di evitare formulazioni ed espressioni discriminatorie nei
confronti delle donne. Entrambi i testi si prefiggono il compito di revisionare il linguaggio
dell’amministrazione e, più in generale, tutto il linguaggio istituzionale, attuando quella
che viene accolta come una “semplificazione”32.
Ci risulta, dunque, evidente che la necessità di semplificare il linguaggio, superando
l’androcentrismo ad esso intrinseco, sia complementare all’avanzare delle normative in
materia di pari opportunità.

28
Cfr. Cecilia Robustelli, “Introduzione”, Linee guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo
del MIUR, Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, 2018, (p. 10).
29
Cfr. Cecilia Robustelli, Ibidem.
30
Cfr. Sabino Cassese, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per la Funzione Pubblica, “Uso
non sessista e non discriminatorio della lingua”, Codice di stile delle comunicazioni scritte ad uso delle
amministrazioni pubbliche, Istituto poligrafico e zecca dello stato, libreria dello stato, 1994, (p. 49).
31
Alfredo Fioritto, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per la Funzione Pubblica, Manuale
di stile. Strumenti per semplificare il linguaggio delle amministrazioni pubbliche. Proposta e materiali di
studio, Edizioni Il Mulino, 1997.
32
Cfr. Cecilia Robustelli, “Premessa”, Linee guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo del
MIUR, Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, 2018, (pp. 5-6).

17
Ne è un ulteriore esempio la Direttiva emanata il 23 maggio 2007 “Misure per attuare
parità e pari opportunità tra uomini e donne nelle amministrazioni pubbliche”, coerente
con gli obiettivi prefissati dalla Direttiva 2006/54/CE del Parlamento e del Consiglio
europeo, per promozione ed attuazione concreta del principio delle pari opportunità, in
cui si attesta che in ogni documento di lavoro (relazioni, circolari, decreti, regolamenti,
ecc.) le amministrazioni pubbliche devono utilizzare un linguaggio non discriminatorio,
adoperando, ad esempio, sostantivi o nomi collettivi che includano persone dei due
generi33.
In sostanza, tutte le iniziative e normative, citate fino ad ora, puntano ad un rinnovamento
della lingua che, riassumendo, possiamo ritenere barsarsi su due punti fondamentali: la
declinazione dei cosiddetti nomina agentis (“nomi d’agente”: nomi di professioni e di
ruoli), riferiti alle posizioni occupate da donne, al femminile e l’utilizzo della doppia
forma, maschile e femminile (anche con abbreviazione) in sostituzione al maschile
inclusivo.
Sulla questione dei nomina agentis si pronuncia34 anche Francesco Sabatini, presidente
onorario dell'Accademia della Crusca, affermando la validità delle forme femminili per
nomi di professioni e ruoli, in quanto in linea con le regole di formazione delle parole
della lingua italiana, sostenendo, inoltre, che, laddove vi fosse un’imposizione linguistica
che non segue i cambiamenti della società, questa sarebbe destinata a scomparire, ma
quando, come in questo caso, è avvenuto un cambiamento sociale, è dovere della lingua
adeguarsi e registrarlo.
Parallelamente alle direttive dello Stato, rispetto alla questione, sono nate iniziative
individuali adottate da comuni, province e regioni (in seguito alla riforma del Titolo V
della Costituzione nel 2001 che attesta l’esplicito riconoscimento delle autonomie locali
da parte della Repubblica e l’impegno alla loro promozione), come ad esempio il progetto
“Genere&Linguaggio”35, realizzato, nel 2012, in collaborazione con l’Accademia della

33
Cfr. Presidenza del consiglio dei ministri, dipartimento della funzione pubblica, Misure per attuare parità
e pari opportunità tra uomini e donne nelle amministrazioni pubbliche, 2007.
34
Cfr. Francesco Sabatini, “9 buone ragioni per parlare al femminile (e usare sindache)”, Sezione cultura,
Wired.it, 24/06/2016.
https://www.wired.it/play/cultura/2016/06/24/ragioni-parlare-femminile-sindache/
35
Cfr. Accademia della Crusca, Eventi, Convegno genere e linguaggio. Parole e immagini della
comunicazione, 2012.
https://accademiadellacrusca.it/it/contenuti/convegno-genere-e-linguaggio-parole-e-immagini-della-
comunicazione/2629

18
Crusca, ideato dal Comitato Pari Opportunità del Comune di Firenze e finanziato dalla
Regione Toscana, con lo scopo di informare e portare i giovani a riflettere su temi come
linguaggio consapevole e identità di genere.
Nello stesso anno, la linguista Cecilia Robustelli, in collaborazione con l’Accademia della
Crusca, redige il documento “Linee guida per l’uso del genere nel linguaggio” 36, nato
dall’esigenza di agire con azioni positive per rimuovere le discriminazioni di genere nel
linguaggio istituzionale, incoraggiando una comunicazione sia interna che esterna, più
semplice e chiara.
Le “Linee guida” del 2012 rappresentano un punto di riferimento per le istituzioni e sono
la base per svariate altre operazioni di revisione dei testi amministrativi atte
all’adeguamento del linguaggio e ad utilizzare il genere femminile come mezzo per
riconoscere anche la presenza femminile37.
La struttura del documento si presenta costituita da una parte introduttiva, che verte sulla
storia della questione e presenta una riflessione sul rapporto tra linguaggio di genere e
linguaggio istituzionale, ponendo particolare attenzione al linguaggio amministrativo;
segue una sezione contenente: indicazioni per l’uso di un linguaggio non discriminante
nei testi amministrativi, suggerimenti grammaticali utili per lavorare sui testi e, infine, le
strategie di intervento; vi è poi una parte sulle riflessioni conclusive, a cui segue una lista
di nomina agentis femminili e un’appendice con alcuni esempi di revisione di testi
amministrativi.
I contenuti delle “Linee guida per l’uso del genere nel linguaggio” confluiscono, nel 2018,
in un nuovo testo: “Linee Guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo”, che
vede ancora la collaborazione della Robustelli con l’Accademia della Crusca, rivolto
all’attenzione del personale interno all’Amministrazione e di tutti coloro che hanno a che
fare con il MIUR e, quindi, anche all’attenzione di tutte le persone coinvolte nel sistema
scuola.
La linguista Robustelli, per la realizzazione del progetto, che ha portato alla redazione del
testo citato, ha istituito (con i decreti del 19 luglio 2017, n. 508, e del 13 settembre 2017,

36
Cfr. Cecilia Robustelli, Linee guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo, progetto
formativo Genere e linguaggio, Comitato pari opportunità del comune di Firenze, Accademia della
Crusca, Firenze, 2012.
37
Cfr. Cecilia Robustelli, “Introduzione”, Linee guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo
del MIUR, Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, 2018.

19
n. 664 della Ministra Valeria Fedeli, che è anche autrice della Prefazione del testo) un
gruppo di lavoro, costituito da diverse figure interne all’Amministrazione, di cui è
coordinatrice. Tale gruppo di lavoro, basandosi sulle “Linee guida per l’uso del genere
nel linguaggio” del 2012, si concentra su alcuni punti fondamentali38:
a. La necessità di un’attenta ricognizione e di una valutazione funzionale del
tipo di testo sul quale si lavora, evitando dunque un approccio meccanico
all’intervento.
b. L’attenzione alla parte del testo da modificare (intestazione, firma, corpo
del testo), al genere del referente (se esplicitato o meno), alla compresenza
di più referenti, al tipo di destinatario e, chiaramente , allo scopo
comunicativo.
c. La facoltà di ponderare sulla base della funzione e dell’intenzione
comunicativa di ciascun tipo testuale la modalità di intervento più adatta
(ad esempio: esplicitando le forme maschili e femminili con la
lessicalizzazione di queste o con l’utilizzo di marche
desinenziali/suffissali specifiche; utilizzando il maschile inclusivo; e
laddove appropriato, riformulando integralmente il testo).
d. L’intenzione di salvaguardare la chiarezza e l’efficacia comunicativa dei
testi. Nello specifico le Linee Guida analizzano alcuni aspetti della
grammatica dell’italiano39, sebbene per linee generali, dimostrando la
legittimità della declinazione di nomi al femminile che rispondono alle
regole generali di formazione delle parole della lingua italiana, ad
esempio:
● I termini maschili che formano la desinenza in “-o”, “- aio/-ario”
al femminile formano la desinenza in “-a”, “-aia/-aria” dunque
abbiamo “biologo” e “biologa”, “antiquario” e “antiquaria”; per i
termini che formano le desinenze in “-iere” al maschile e “-iera”
al femminile, in pieno rispetto delle regole grammaticali, abbiamo
“cavaliere” e “cavaliera”; per i termini che invece formano le

38
Cfr. Cecilia Robustelli, “Premessa”, Linee guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo del
MIUR, Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, 2018.

39
Cfr. Cecilia Robustelli, Ibidem , pp. 17-18.

20
desinenze maschili in “-sore” e quelle femminili in “-sora”
abbiamo “possessore” e “possessora”; infine i termini che formano
la desinenza in “-tore” al maschile al femminile la formano in “-
trice” come nel caso di “fornitore” e “fornitrice”.
● I termini con desinenza in “-e” e le forme italianizzate dei participi
presenti latini formano il maschile e il femminile mediante
l’articolo: “il contabile” e “la contabile”, “il discente” e “la
discente”.
● I termini composti con “capo-” possono avere due tipi di
formazione del maschile e del femminile in base al rapporto che
lega il prefisso con la seconda parte del composto: quando indicano
“capo di qualcosa” il prefisso e la seconda parte del composto si
considerano unità separate, come in “il capobanda” e “la
capobanda” per il singolare e “i capibanda” e “le capobanda” per
il plurale; quando invece indicano “capo di qualcuno” il prefisso e
la seconda parte del composto formano un’unica parola in cui
“capo-” rimane invariato mentre è il secondo elemento del
composto a variare per genere e numero: “il capocuoco” e “la
capocuoco” al singolare e “i capocuochi” e “le capocuoche”.
Il testo della Robustelli formula, inoltre, delle strategie per un corretto uso del genere
grammaticale: quella della “visibilità”40, in cui il genere grammaticale va reso esplicito,
“visibile”, appunto, ed è valida per i termini che si riferiscono a esseri umani, da applicare
in conformità ai principi grammaticali di assegnazione e accordo del genere (ad esempio:
“la maestra Anna”, “il maestro Marco”); laddove ci si voglia riferire ad un gruppo nel
quale è presente sia una componente maschile che una femminile, la strategia è altrettanto
valida (ad esempio: “le cantanti” e “i cantanti”), inoltre, questo caso mette in evidenza la
questione delle eventuali concordanze di aggettivi, participi e pronomi che, nel voler
evitare un raddoppiamento che potrebbe appesantire il testo, la Robustelli risolve con
«l’ordine “forma femminile+forma maschile, affinché l’aggettivo, il participio o il

40
Cecilia Robustelli, Ibidem, p. 19.

21
pronome al maschile risultino collocati accanto al termine maschile» 41 (ad esempio: “la
maestra Anna ed il maestro Marco sono gentili”).
L’altra strategia, esposta nel testo dalla linguista, è quella dello «oscuramento»42: è volta
ad “oscurare”, appunto, il genere grammaticale di una o più persone a cui ci si vuole
riferire. Tale mezzo funziona attraverso l’utilizzo di «termini o perifrasi che prive di
referenza di genere es. persona, essere, essere umano, individuo, soggetto.»43, attraverso
nomi collettivi per riferirsi ad una carica o professione (ad esempio: “la proprietà” al posto
di “il proprietario” o “la proprietaria”), con l’ausilio di pronomi relativi e indefiniti «es.
chi/chiunque arrivi in ritardo»44.
L’utilizzo dell’una o dell’altra strategia è determinato da diversi elementi: lo scopo
comunicativo, fattori strettamente legati al testo (tipologia, lunghezza, struttura,
destinazione, ecc…).
Talvolta, però, le strategie di visibilità e oscuramento non sono sufficienti alla
restaurazione di un testo: soprattutto quando si tratta di testi burocratici, formulati con
una sintassi pesante non funzionale. In questi casi la strategia più opportuna da seguire,
secondo la Robustelli, è quella della riscrittura.
In conclusione a questo paragrafo, osserviamo che il fenomeno di adeguamento della
lingua ad un uso più egualitario e cosciente è in divenire, perché la lingua si adegua ai
cambiamenti della società in cui viene parlata, come spiega il linguista Tullio De Mauro
in questo suo intervento:
Quando abbiamo iniziato a dire ministra e sindaca molti hanno sobbalzato. Ma le
donne ministro o sindaco non c'erano mai state. Nato il ruolo è giusto che il
vocabolario si adegui. La lingua ci autorizza a usare i femminili. Usiamo i femminili,
con qualche attenzione45.

1.3 Linee guida di comunicazione in UE


L’Unione Europea ritiene il linguaggio una delle componenti fondamentali nel sostegno
e rispetto delle identità di ciascun individuo. Lo afferma attraverso un documento

41
Cecilia Robustelli, Ibidem, p. 20.
42
Cecilia Robustelli, Ibidem, pp. 20-21.
43
Cecilia Robustelli, Ibidem, p. 20.
44
Cfr. Cecilia Robustelli, Ibidem, p. 21.
45
Tullio De Mauro, “De Mauro, l’ultima intervista: torniamo al latino e al greco”, Linkiesta.it, sezione
Cultura, 05/01/2017.

22
pubblicato il 26 ottobre 2021 e promosso dalla Commissaria all’Uguaglianza dell’Unione
Europea Helena Dalli: European Commission Guidelines for Inclusive Communication46.
Queste linee guida, che fanno parte di un piano sostenuto dalla Presidente della
Commissione, Ursula von der Leyen, che ha come fine ultimo l’attuazione della Union
of Equality47, sono state pubblicate con lo scopo di guidare, appunto, il personale che
lavora alla Commissione Europea verso «i valori imprescindibili di uguaglianza e non
discriminazione»48, fissando degli standard collettivi per utilizzare al meglio il
linguaggio, cosiddetto, inclusivo. La pubblicazione delle Guidelines, avvenuta in lingua
inglese, permette la condivisione e l’utilizzo del documento per chiunque, essendo
pubblicato con licenza Creative Commons49 (un'organizzazione senza fini di lucro volta
a condividere contenuti creativi destinati all’utilizzo pubblico in maniera legale). Nella
prefazione50, Helena Dalli spiega chiaramente l’importanza del ruolo della Commissione
Europea: essa ha il dovere di dare l’esempio e di fornire i mezzi per una comunicazione
sempre inclusiva, volta all’uguaglianza, che garantisca ad ogni cittadino dell'Unione
Europea di sentirsi apprezzato e riconosciuto, a prescindere dal proprio genere, origine
etnica, religione e orientamento sessuale.
Secondo la Commissaria, la diversità, non solo, non deve essere condannata, ma è un
elemento chiave dei valori dell’Unione Europea. Dunque, lo scopo delle Guidelines è
quello di offrire un pacchetto di raccomandazioni, per un approccio critico rispetto
all’utilizzo di un linguaggio che permetta di rispettare tutti, che la Commissione Europea
si prefigge di applicare sia alla comunicazione esterna che a quella interna.
Il documento è strutturato in modo da offrire standard comuni e fornire anche degli
esempi pratici per una comunicazione inclusiva, oltre ad offrire una serie di consigli
rivolti ai colleghi della Commissione Europea, marcando l’intento di riferirsi
contemporaneamente alla comunicazione esterna e a quella interna.
Le raccomandazioni contenute nel testo offrono l’opportunità di essere applicate alla
produzione di diversi tipi di comunicazione: dalla scrittura per la stampa a quella per

46
European Commission, European Commission Guidelines for Inclusive Communication, 2021.
47
European Commission, Ibidem.
48
Helena Dalli,”Foreword”, European Commission Guidelines for Inclusive Communication, 2021. (trad.
nostra).
49
Contributori di Wikipedia, Wikipedia, L'enciclopedia libera, “Creative Commons”, 15 dicembre 2022.
http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Creative_Commons&oldid=131001730
50
Cfr. Helena Dalli,”Foreword”, European Commission Guidelines for Inclusive Communication, 2021.

23
schede e infografiche, dalla scrittura di post e immagini, destinate ai social media, al
materiale didattico e ad alcune presentazioni, dalla produzione editoriale alla
comunicazione interna.
Le Guidelines, dunque, contengono consigli e suggerimenti, oltre ad una sezione di vere
e proprie regole da seguire in ogni contesto comunicativo51, come ad esempio: non
utilizzare nomi di professioni al maschile per includere anche le professioni al femminile
e, analogamente, non utilizzare pronomi al maschile che comprendano implicitamente
anche il genere femminile; puntare all’equilibrio di genere, in un situazione di dibattito,
garantendo la presenza di più generi; porre attenzione a non utilizzare stereotipi su genere,
età, gruppi etnici, ecc.; assicurarsi, in generale, di utilizzare un linguaggio che rifletta la
diversità in tutti i suoi sensi; non dare per scontato l’orientamento sessuale di un
individuo; porre attenzione all’autoidentificazione, nel rapportarsi a persone
transgender; considerare sempre la diversità di culture, stili di vita, religioni e contesti
socio-economici, nella composizione di tavole rotonde, test, focus group e dibattiti.
Già nel 2018, il Segretariato Generale del Consiglio dell'Unione Europea pubblica una
brochure, Inclusive Communication in the GSC 52, consultabile sul web, con lo scopo di
aiutare i parlanti di lingua inglese, soprattutto i non nativi fra essi, a non commettere
involontariamente errori linguistici che possano risultare discriminatori.
La pubblicazione delle Guidelines ha dato seguito ad una polemica su scala europea: il
testo, infatti, è stato tacciato di controversie in alcune delle sue parti: nello specifico, la
polemica è nata in Italia a seguito di un articolo53 riportato sul quotidiano “Il Giornale”,
in cui, l’autore, il giornalista Francesco Giubilei, afferma l’intenzione del documento, e
dunque del suo autore, la Commissione Europea, di voler cancellare il genere maschile e
femminile e di voler cambiare la società europea nelle sue usanze e tradizioni 54, facendo
riferimento specifico ai contenuti del capitolo delle Guidelines dedicato a Culture,

51
Cfr. European Commission, European Commission Guidelines for Inclusive Communication, 2021. (p.
6)
52
Segretariato Generale del Consiglio dell'Unione Europea, Inclusive Communication in the GSC, 2018.

53
Francesco Giubilei, “In Europa vietato dire "Natale" e perfino chiamarsi Maria”, Il Giornale, sezione
Politica, 28/11/2021.
https://www.ilgiornale.it/news/cronache/follie-ue-l-inclusivit-vietato-dire-natale-e-chiamarsi-maria-
1992290.html
54
Cfr. Francesco Giubilei, Ibidem.

24
lifestyles or beliefs55 in cui, tra le raccomandazioni, si legge di evitare di dare per scontato
che ogni individuo sia cristiano e che, dunque, non tutti celebrano le festività natalizie e
che, ancora, non tutti le celebrano nelle stesse date, invitando, quindi, ad una maggiore
sensibilità nel rapportarsi agli individui con religioni, tradizioni e calendari diversi;
inoltre, nel capitolo in questione, si legge l’invito ad utilizzare, nella configurazione di un
esempio o di una storia, un ventaglio di nomi non necessariamente appartenenti alla
tradizione e alla religione cristiana, al fine di non escludere nomi appartenenti ad altre
religioni e tradizioni. Successivamente alla pubblicazione del citato articolo su “Il
Giornale” la polemica si è espansa, portando il Segretario di Stato del Vaticano, il
cardinale Pietro Parolin, ad esprimersi riguardo alla questione: egli si dichiara contrario
alla cancellazione di quelle che sono ritenute le radici della dimensione cristiana, come le
feste cristiane, e che, quindi, ritiene essere anche radici dell’Europa cristiana,
sottolineando l’importanza dell’apporto del cristianesimo all’esistenza e all’identità dell’
Europa stessa56.
La polemica si inasprisce ulteriormente, in seguito a quanto riportato dal sito web
“Politico.eu”, circa quelle che parrebbero essere le dichiarazioni di un funzionario della
Commissione Europea, in anonimato, contro la Commissaria Dalli e il documento da lei
pubblicato, ritenendo la pubblicazione di quest’ultimo una mossa volta a sopperire la
mancanza di peso della stessa nel Collegio dei Commissari, portando, così, la
Commissione Europea a vivere una condizione surreale57.
Pertanto, la Commissione Europea ritiene opportuno ritirare le Guidelines, con un
annuncio della Commissaria, Helena Dalli, in cui marca le intenzioni della propria
iniziativa, specificando lo scopo primo del documento: quello di illustrare la diversità
della cultura europea e di mostrare la natura inclusiva della Commissione, dichiarando,
tuttavia, la mancata funzionalità della versione pubblicata delle linee guida rispetto allo
scopo per cui erano state ideate.

55
European Commission, European Commission Guidelines for Inclusive Communication, 2021, (p. 19).
56
Massimiliano Menichetti, “Il Natale "cancellato": la Ue ritira le linee guida”, Vatican News,
14/09/2021.
https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2021-11/parolin-natale-cancellato-persona-discriminazioni-
santa-sede.html
57
Maïa De La Baume, “EU accused of trying to cancel Christmas! Advice on inclusive language dropped
after criticism”, Politico.eu, 30/11/2021.
https://www.politico.eu/article/european-commission-cancel-christmas-inclusive-language-lgbtq/

25
La Dalli ritiene, dunque, il documento non ancora «maturo» e non in linea con gli
standard qualitativi della Commissione Europea, prospettando una riformulazione dello
stesso.

26
II. IL LINGUAGGIO INCLUSIVO NELLA COMUNICAZIONE
ISTITUZIONALE IN SPAGNA

2.1 Il linguaggio inclusivo nella comunicazione istituzionale in Spagna


Negli anni ‘70, la questione linguistica dell’inclusività di genere inizia a farsi strada in
Spagna.
Se, contemporaneamente, negli Stati Uniti, il dibattito accademico sul tema si accende
con la pubblicazione dell’opera Language and Woman's Place58, della linguista Robin
Lakoff, nel 1973, in cui osserva come i rapporti sociali tra uomini e donne si
materializzino nell’uso del linguaggio, la prima vera opera, nell’ambito di ricerca
accademica, sul linguaggio inclusivo nella lingua spagnola, è da attribuirsi alla
ricercatrice argentina Delia Esther Suardiaz, la cui tesi di master, condotta presso
l'Università di Washington, viene pubblicata in inglese nel 1973, con il titolo Sexism in
the Spanish Language59 (che verrà, però, pubblicata in lingua spagnola solo nel 2002, con
il titolo di El sexismo en la lengua española60).
La Suardiaz denuncia il sessismo nella lingua spagnola come diretta conseguenza del
sessismo nella società, un sessismo insito e spesso incosciente, ritenendo la presa di
coscienza, di tale problematicità, un punto di partenza per poterla risolvere. La ricercatrice
analizza, nel suo lavoro, le diverse norme grammaticali e unità lessicali sessiste e,
pionieristicamente, solleva la questione del «masculino no marcado» 61, il cosiddetto
maschile non marcato, che Suardiaz legge come un’onnipresenza dell’uomo che rende la
presenza della donna non percepita, invisibile.
L’analisi porta alla luce un altro nodo cruciale: la disumanizzazione che la società,
attraverso il linguaggio, applica alla donna, che viene riconosciuta attraverso la sua
funzione sessuale, guardando a termini come Doncella, che designa una donna vergine,

58
Robin Lakoff, Language and the Woman’s Place, in: “Language in Society”, Cambridge University
Press, 1973.
59
Delia Esther Suardiaz, Sexism in the Spanish Language, University of Washington, 1973.
60
Idem, El sexismo en la lengua española, a cura di Elvira Burgos, Libros Pórtico, 2002.
61
Cfr. Delia Esther Suardiaz, Ibidem, (p. 38).

27
e il suo corrispettivo maschile, Doncel, che designa, invece, un giovane aristocratico,
avente una qualche funzione nella vita di corte62.
Nel 1977 lo scrittore, professore e ricercatore presso il Consiglio Superiore della Ricerca
Scientifica (CSIC), Álvaro García Meseguer, pubblica Lenguaje y discriminación
sexual63 un libro in cui dichiara la lingua spagnola profondamente sessista.
Nello specifico, l’autore, ritiene sessista la società spagnola e di conseguenza la lingua
spagnola, in quanto riflesso della società; infatti lo spagnolo, come diverse altre lingue,
attua l’identificazione del genere grammaticale con il sesso.
Pertanto il García Meseguer ritiene che finchè la lingua sarà sessista, lo sarà, certamente,
anche la società e che, dunque, adeguare la lingua ad un uso più cosciente, sia un passo
in avanti per una società più equa64.
Il García Meseguer, nella sua opera, classifica i problemi di discriminazione delle donne
in due gruppi: quelli che hanno origine a livello conscio e quelli che hanno origine a
livello subconscio, ritenendo il gruppo subconscio responsabile della mentalità sessista,
in cui è proprio il linguaggio a giocare un ruolo fondamentale, poichè, esso, veicola una
forma sessista nel profondo della personalità di ciascun parlante.
Dunque, considerando che il linguaggio è necessario per pensare, laddove esso abbia una
struttura androcentrica, porterà ad un pensiero androcentrico che, fin dall'infanzia,
formerà la mente e gli schemi di valori degli individui.
Pertanto, l’autore, ritiene che, anche quando non ci si rende conto e alla base vi è un
meccanismo incosciente, la lingua sia una determinante ultima del comportamento 65.
Durante le decadi degli anni '80 e ‘90, sono state emanate diverse normative
internazionali, che raccomandano l'uso paritario della lingua a livello istituzionale e che
hanno adottato anche diverse organizzazioni pubbliche e private, iniziando, così, a
pubblicare guide che promuovono la visibilità della donna nel linguaggio.
In Spagna vengono promosse politiche a favore di una lingua egualitaria, da parte del
Ministerio de Asuntos Sociales (Instituto de la Mujer), creato nel 1983.
Dalla sua fondazione, l’istituito, ha mantenuto una stretta collaborazione con il Ministero
dell'Istruzione e della Scienza, il Ministero per le Pubbliche Amministrazioni e Ministero

62
Cfr. Delia Esther Suardiaz, Ibidem.
63
Álvaro García Meseguer, Lenguaje y discriminación sexual, Cuadernos para el Diálogo, Madrid, 1977.
64
Cfr. Álvaro García Meseguer, Ibidem.
65
Cfr. Álvaro García Meseguer, Ibidem.

28
degli Affari Sociali, promuovendo attività che favorissero l’uguaglianza, comprese quelle
relative all'uso non sessista del linguaggio.
Ricordiamo la Conferenza Generale dell’UNESCO, avvenuta a Parigi nel 1987, dove fu
approvata la Risoluzione 14.1, che determina l’impegno ad adottare nella redazione di
tutti i documenti di lavoro dell'Organizzazione, un linguaggio che eviti, per quanto
possibile, l'uso di termini che si riferiscono ad un solo sesso, e, ancora, l’approvazione
della risoluzione 109, due anni dopo la precedente, che ha incoraggiato a continuare lo
sviluppo di linee guida sull'uso di un vocabolario di riferimento, esplicito per le donne,
ribadendo la necessità di assicurarsi il rispetto di queste linee guida in tutte le
comunicazioni, pubblicazioni e documenti dell'Organizzazione.
Il 21 febbraio 1990 il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa, riconoscendo nel
sessismo linguistico un ostacolo al raggiungimento della parità fra i sessi, approva la
raccomandazione n. R (90) 4, per l’eliminazione del sessismo nel linguaggio dei
documenti istituzionali, indicando, agli Stati membri, di promuovere l'uso di un
linguaggio che rispecchi il principio della parità fra i sessi, con la facoltà di adottare tutte
le misure necessarie al fine di rendere la terminologia, usata nei testi giuridici, nella
pubblica amministrazione e nell'istruzione, in linea con il principio di parità.
Nello stesso anno il Ministerio para las Administraciones Públicas ed il Ministerio de
Asuntos Sociales (Instituto de la Mujer) pubblicano il Manual de estilo del lenguaje
administrativo66, che dedica una sezione all'uso non sessista del linguaggio
nell'Amministrazione, al fine di incoraggiare l'applicazione delle raccomandazioni in
tutte le pubbliche amministrazioni.
Nel 1996 il Ministerio de Asuntos Sociales (Instituto de la Mujer) pubblica lo studio di
Elulàlia Lledo Cunill, “Las profesiones de la A a la Z. En femenino y en masculino” 67,
un vocabolario che contiene nomi di mestieri, cariche e professioni sia al maschile che al
femminile.
Successivamente, nel 1999, l’UNESCO emana le proprie linee guida per un linguaggio
costituito dalla neutralità del genere, invitando all’abolizione di termini che risultino non

66
Ministerio para las Administraciones Públicas, Ministerio de Asuntos Sociales, Manual de estilo del
lenguaje administrativo, Madrid, 1990.
67
Elulàlia Lledo Cunill, Las profesiones de la A a la Z. En femenino y en masculino, Instituto de la Mujer,
Ministerio del Trabajo y Asuntos Sociales, Madrid, 1996.

29
considerare in modo appropriato le donne, che le escludano, che diano una visione
stereotipata dei ruoli di genere.
Ma è soprattutto all'inizio degli anni 2000 che la validità e la rilevanza del linguaggio
inclusivo, in Spagna, acquisiscono un forte interesse: la legge organica 3/2007 del 22
marzo, per l'effettiva parità di uomini e donne, si occupa della necessità di attuazione di
un linguaggio egualitario in ambito amministrativo e della sua promozione in tutte le
relazioni sociali, culturali e artistiche.
Nel 2009 viene pubblicata La Nueva gramática de la lengua española68, la prima
grammatica accademica, dal 1931, prodotta dalla collaborazione di tutte le accademie
linguistiche.
Questa versione, rinnovata ed aggiornata, della “Gramática” si esprime anche sulla
questione del genere dei nomi di professioni, cariche ed attività svolte da donne,
sostenendo che la presenza di segni di genere, in questi nomi, ha subito qualche
variazione: la lingua infatti ha accolto alcune parole come bedela (bidella), coronela
(colonnella), edila (consigliera), fiscala (fiscalista), jueza (giudice), médica (medica) o
plomera (fabbra), specificando che, queste e altre parole simili, hanno avuto
un'accoglienza disomogenea, generalmente basata su fattori geografici e sociali, oltre che
morfologici69.
Nel 2012, la Real Academia Española pubblica una relazione firmata da Ignacio Bosque
ed altri 25 accademici ed accademiche della lingua: Sexismo lingüístico y visibilidad de
la mujer70. Il documento si prefigge il compito di fare chiarezza circa il linguaggio
inclusivo, un compito necessario per confutare il grande numero di guide al linguaggio
non sessista pubblicate fino a quel momento. La maggior parte di queste guide, pubblicate
da università, comunità autonome, sindacati, comuni e altri enti, secondo quanto ritiene
il Bosque, non sono state scritte da linguisti e l’analisi degli aspetti morfologici, lessicali
e sintattici, volta ad identificare il sessismo nel linguaggio, viene affidata alla coscienza
sociale delle donne e di tutti i cittadini contrari alla discriminazione 71.

68
Real Academia Española y Asociación de Academias de la Lengua Española. Nueva gramática de la
lengua española, Espasa, Madrid, 2009.
69
Cfr. Real Academia Española y Asociación de Academias de la Lengua Española. Ibidem, (p. 24).
70
Ignacio Bosque, Real Academia Española, Sexismo lingüístico y visibilidad de la mujer, 2012.
71
Cfr. Ignacio Bosque, Real Academia Española, Ibidem, (p. 1).

30
La relazione prende in analisi nove guide al linguaggio non sessista: otto di queste
rifiutano l’utilizzo del maschile sovraesteso, fa eccezione, invece, MAL72, che approva
questa forma, nella sua accezione di maschile non marcato o generico, laddove non risulti,
comunque e sempre, l’unica alternativa, proponendo talvolta, infatti, il raddoppiamento
(ad esempio: los jugadores y las jugadoras).
Il lavoro riportato nella guida MAL, trova in accordo il Bosque e la RAE: questa, infatti,
pur denunciando l’esistenza di comportamenti verbali sessisti, non ritiene valide le
soluzioni proposte, invece, dalla maggior parte delle altre guide linguistiche.
Nella relazione il Bosque riprende anche alcuni esempi riportati da Álvaro García
Meseguer nella sua opera ¿Es sexista la lengua española? : una investigación sobre el
género gramatical73 (un'indagine sul genere grammaticale, datata 1994, in cui, l’autore,
riformula la tesi precedentemente esposta in Lenguaje y discriminación sexual,
sostenendo che lo spagnolo non è una lingua sessista e il sessismo non è insito nel suo
sistema linguistico, ma sarebbe, invece, ricercabile nei fruitori della lingua: parlanti e
ascoltatori), analizzando frasi che utilizzano il maschile sovraesteso che risultano essere
discriminatorie ed altre in cui il maschile, nella sua configurazione di genere non marcato,
viene visto come inclusivo e pertanto non discriminatorio74.
Nel 2018, la pubblicazione del Libro de estilo de la lengua española según la norma
panhispánica75 vede la presa di posizione della RAE e della Asociación de Academias de
la Lengua Española (ASALE), autori dell’opera, riguardo all’utilizzo del linguaggio
inclusivo nell’esposizione delle regole grammaticali relative al genere76:
● il maschile viene considerato come non marcante nel genere ed utilizzabile per
entrambi i sessi, dunque da un punto di vista linguistico, questa accezione neutra
non esclude il genere femminile.

72
Antonia M. Medina Guerra, Manual de lenguaje administrativo no sexista (Mal), Asociación
de estudios históricos sobre la mujer de la Universidad de Málaga y Área de la mujer del
Ayuntamiento de Málaga, 2002.
73
Álvaro García Meseguer, Es sexista la lengua española?: una investigación sobre el género gramatical,
Grupo Planeta (GBS), 1994.
74
Cfr. Ignacio Bosque, Real Academia Española, Sexismo lingüístico y visibilidad de la mujer, 2012, (pp.
5-6).
75
Real Academia Española (RAE) Asociación de Academias de la Lengua Española (ASALE), Libro de
estilo de la lengua española según la norma panhispánica, Espasa, Madrid, 2018.
76
Cfr. Real Academia Española (RAE) Asociación de Academias de la Lengua Española (ASALE),
Ibidem, (pp. 20-24).

31
● Il raddoppiamento non risulta necessario, proprio per la natura neutra del
maschile, nella maggior parte dei casi, ma valido per alcune forme di cortesia
all’inizio di un discorso, di una corrispondenza scritta o virtuale e anche quando
la costruzione della fase pone in dubbio le persone alle quali si fa riferimento.
● Inoltre non sono ritenute valide tutte le varianti proposte dagli attivisti delle
comunità LGBTQIA+ come: la arroba, “@” (ad esempio: chic@s), la “e” (ad
esempio: todes), la “x” (ad esempio: lxs trabajadxres), ma non rifiutano, tuttavia,
l’uso della barra e delle parentesi nel raddoppiamento (ad esempio: chicos/as,
chicos(as)), ritenendolo indispensabile in alcuni contesti.
● Per quanto concerne i nomi di professioni, cariche e titoli la formazione del
genere dipende da diversi fattori:
a) i nomi che terminano in “-o” al maschile, si formano con la desinenza in “-
a” al femminile (ad esempio: sindaco/sindaca), ad eccezione dei nomi
riferiti a gradi della sfera militare, dove viene preposto l’articolo femminile
al nome maschile (ad esempio: la sargento);
b) quando i nomi al maschile terminano in “-or”, il femminile si forma
aggiungendo la desinenza “-a” (ad esempio: investigador/investigadora), ad
eccezione di alcuni casi in cui il femminile si forma con la desinenza “-triz”
(ad esempio: actor/actriz);
c) i nomi che terminano in “-n” e “-s” al maschile, formano il femminile
aggiungendo la desinenza “-a” (ad esempio: bailarín/bailarina e
dios/diosa), ma ci sono alcune eccezioni (come barón/baronesa e el/la
barman);
d) invece i nomi che al maschile terminano in “-e”, la al femminile possono
mantenere la forma invariata e declinare solo l’articolo (ad esempio: el/la
conserje) o variare in diverse forme (come conde/condesa e héroe/heroína);
e) i nomi che terminano al maschile in “-nte” tendenzialmente non variano nella
forma al femminile, che declina solo l’articolo (ad esempio: el/la
adolescente);
f) quando i nomi maschili terminano in “-l” e “-z” il femminile si può formare
declinando solo l’articolo (ad esempio: el/la juez), oppure adottare forme
più moderne e ormai frequenti (ad esempio: el juez/la jueza);

32
g) i nomi che terminano al maschile in “-a” normalmente non variano al
femminile se non nell’articolo (ad esempio: el/la artista), ma in alcuni casi
il femminile si forma con le desinenze “-isa/-esa” (ad esempio: el papa/la
papisa), invece per il nome maschile poeta, la forma femminile tradizionale
è poetisa, ma è sempre più frequente e ritenuta altrettanto valida la poeta;
h) quando un nome maschile termina in altre vocali come la “y” vocalica o la
“i”, il femminile si forma in modo invariato e declina l’articolo (come el/la
maniquí) ad eccezione del nome maschile rey, che al femminile diventa
reina;
i) i nomi che al maschile hanno desinenza in “-r” preceduta da vocali differenti
da “o”, o in altre consonanti, al femminile rimangono invariati e declinano
l’articolo, ad eccezione di casi particolari (come nella forma antica
huésped/huéspeda e líder/lideresa, oggi meno usate rispetto alle forme
el/la huésped e el/la líder).
j) i nomi composti rimangono invariati nelle forme maschili e femminili,
declinando solo gli articoli (come el/la portavoz).

Il dibattito accademico sull’inclusività di genere, in Spagna, si accende maggiormente


quando la Vicepresidente del Governo e Ministra di Stato, Carmen Calvo, nel 2018,
annuncia di voler richiedere alla RAE delle modifiche al linguaggio della Costituzione
spagnola, al fine di renderlo più inclusivo. Tale richiesta viene formalizzata nel 2022 e
rifiutata, nello stesso anno, dalla Real Academia Española.

2.2 Il caso della Costituzione Spagnola


Il dibattito, che pone in analisi il linguaggio della Costituzione Spagnola, viene aperto,
per la prima volta, dal lavoro Hablamos de leyes: en femenino y en masculino77 di Charo
Guerrero Martín ed Eulàlia Lledó Cunill.
La pubblicazione ha lo scopo di contribuire al lavoro di rilevazione ed analisi di quelle
che ritiene essere le insufficienze, in un’ottica di uguaglianza di genere applicata al
linguaggio, che mostrano i diversi testi istituzionali: tra questi vi è anche la Costituzione

77
Charo Guerrero Martín, Eulàlia Lledó Cunill, Hablamos de leyes: en femenino y en masculino, “Nombrar
en femenino y en masculino”, : Instituto de la Mujer (Ministerio de Igualdad), Madrid, 2008.

33
Spagnola del 1978, norma fondamentale per le cittadine ed i cittadini spagnoli, e che,
dunque, secondo le autrici Guerrero Martín e Lledó Cunill, andrebbe modificata.
Per illustrare meglio questi concetti, basti osservare quanto affermato nell’articolo 14
della Costituzione: «Gli spagnoli sono uguali davanti alla legge, senza alcuna
discriminazione fondata sul [...] sesso [...] o su qualsiasi altra condizione o circostanza
personale o sociale prevalente»78. L’articolo, pertanto, sostiene l’uguaglianza dei cittadini
spagnoli davanti alla legge, includendo in questa definizione anche le cittadine spagnole,
mancando, però, secondo le Guerrero Martín e Lledó Cunill, di utilizzare un linguaggio
volto all’uguaglianza, sottolineando, dunque, che se uomini e donne sono uguali davanti
alla legge, il linguaggio debba riflettere tale uguaglianza79.
Oltre a denunciare l’inadeguatezza di alcune parti del codice normativo, vengono
proposte forme di utilizzo di un linguaggio più rappresentativo per le donne: ad esempio,
rispetto all’articolo 14 della Costituzione, la riformulazione proposta dalle autrici del testo
è:

Tutte le persone di nazionalità spagnola/gli spagnoli e le spagnole/le spagnole e gli


spagnoli/tutti gli uomini e le donne spagnole sono uguali davanti alla legge, senza
che possa prevalere alcuna discriminazione per motivi di nascita, razza, sesso,
religione, opinione o qualsiasi altra condizione o circostanza personale o sociale 80.

Riguardo alle obiezioni sull’uso del maschile non marcato, e pertanto non
discriminatorio, le Guerrero Martín e Lledó Cunill sostengono che il maschile
onnicomprensivo viene messo in discussione, ad esempio, nei punti 1. e 2. dell'articolo
30, quando si afferma che:

1. Gli spagnoli hanno il diritto e il dovere di difendere la Spagna.


2. La legge fisserà gli obblighi militari degli spagnoli e regolerà, con le dovute
garanzie, l'obiezione di coscienza, così come le altre cause di esenzione dal servizio
militare obbligatorio, potendo imporre, in tal caso, una prestazione sociale
sostitutiva.81

78
Art. 14, Constitución Española, 29/12/1978, (trad. nostra).
79
Cfr. Charo Guerrero Martín, Eulàlia Lledó Cunill, Hablamos de leyes: en femenino y en masculino,
“Nombrar en femenino y en masculino”, Instituto de la Mujer (Ministerio de Igualdad), Madrid, 2008, (pp.
11-12).
80
Cfr. Charo Guerrero Martín, Eulàlia Lledó Cunill, Ibidem, (p. 12), (trad. nostra).
81
Art. 30, commi 1-2, Constitución Española, 29/12/1978, (trad. nostra).

34
Le formule, utilizzate in questi due punti dell’articolo, fanno chiaro riferimento agli
uomini, in quanto la Costituzione spagnola è stata redatta nel 1979 e le donne sono state
ammesse nelle forze armate solo dal 1988, di conseguenza non erano ammesse al servizio
militare, né, tanto meno, legittimate ad esercitare il diritto di obiezione di coscienza a cui
fa riferimento l’articolo.
Mentre, al punto 4. del medesimo articolo, si dichiara che: «Mediante legge potranno
regolarsi i doveri dei cittadini nei casi di grave pericolo, catastrofe o calamità pubblica» 82,
in questo caso, «cittadini» fa riferimento al genere maschile e a quello femminile,
ritornando alla funzione sovraestesa del maschile e mostrando, dunque, una
contraddizione nel funzionamento di questa formula che, secondo le autrici, potrebbe
efficacemente essere evitata attraverso la seguente proposta di riformulazione:
«Mediante legge potranno regolarsi i doveri delle cittadine e dei cittadini/dei cittadini e
delle cittadine/della popolazione spagnola/della cittadinanza nei casi di grave pericolo,
catastrofe o calamità pubblica»83.
Considerando la presenza di numerose espressioni formulate con il maschile
onnicomprensivo, si potrebbe pensare che la Costituzione sia scritta interamente con
questa configurazione del genere grammaticale maschile, tuttavia vi sono due occasioni
in cui la Costituzione nomina le donne, dimostrando l’insufficienza dell’utilizzo del
maschile sovraesteso: l’articolo 32, che norma il matrimonio e l’articolo 57, che fa
riferimento alla regolamentazione della Corona.
L’articolo 32 dichiara che:
1. L'uomo e la donna hanno il diritto di contrarre matrimonio in piena uguaglianza
giuridica.
2. La legge regolerà le modalità del matrimonio, l'età e la capacità per contrarlo, i
diritti e i doveri dei coniugi, le cause di separazione e scioglimento e i loro effetti 84.

Al primo punto dell’articolo viene menzionata la donna, così come l’uomo, mentre, al
secondo, viene utilizzato di nuovo un vocabolo al maschile onnicomprensivo.
L’articolo 57, ai punti 1. e 2., dichiara che:

82
Art. 30, comma 4, Constitución Española, 29/12/1978, (trad. nostra).
83
Cfr. Charo Guerrero Martín, Eulàlia Lledó Cunill, Hablamos de leyes: en femenino y en masculino,
“Nombrar en femenino y en masculino”, : Instituto de la Mujer (Ministerio de Igualdad), Madrid, 2008, (p.
14), (trad. nostra)
84
Art. 32, commi 1-2 , Constitución Española, 29/12/1978, (trad. nostra).

35
1. La Corona di Spagna è ereditaria per i successori di S.M. Don Juan Carlos I di
Borbone, legittimo erede della dinastia storica. La successione al trono seguirà
l'ordine regolare della primogenitura e rappresentanza, essendo preferita sempre la
linea anteriore alle posteriori; nella stessa linea il grado più prossimo al più remoto;
nello stesso grado, il maschio alla femmina, e nello stesso sesso la persona più
anziana a quella più giovane.
2. Il Principe ereditario, dalla sua nascita o dal momento in cui si verifichi
l’avvenimento che origina la sua nomina, avrà la dignità di Principe delle Asturie e
gli ulteriori titoli tradizionalmente legati al successore della Corona di Spagna 85.

In questo caso, le espressioni linguistiche utilizzate non risultano incongrue, nell’intento


di riferirsi a tutta la cittadinanza spagnola, bensì riflettono una realtà in cui la legislazione,
con una forma linguistica esplicita, mette gli uomini davanti alle donne.
A tal proposito, la proposta di riformulazione suggerita dalle Guerrero Martín e Lledó
Cunill è:

1. La Corona di Spagna è ereditaria per i successori di S. M. Don Juan Carlos I de


Borbón, legittimo erede della dinastia storica. La successione al trono seguirà
l'ordine regolare di primogenitura e rappresentanza, essendo preferita sempre la linea
anteriore alle posteriori; nella stessa linea, il grado più prossimo al più remoto, e
nello stesso grado, la persona di più anziana a quella più giovane.
2. La principessa ereditaria o il principe, dalla nascita o dal momento in cui si
verifichi l’avvenimento che origina la sua nomina, avrà la dignità di Principessa o
Principe delle Asturie e il resto titoli tradizionalmente legati al successore o alla
successora di/a chi eredita / alla persona che eredita la Corona di Spagna86.

Alla luce di questo articolo, bisogna considerare che la Spagna ha formulato una riserva
nell'applicazione della Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione
nei confronti delle donne, adottata e aperta alla firma e alla ratifica da parte
dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nella sua risoluzione 34/180, del 18
dicembre 1979, entrata in vigore il 3 settembre 1981.
Questa riserva è stata ratificata dalla Spagna, attraverso lo strumento di ratifica del 16
dicembre 1983 (BOE n. 69, del 21 marzo 1984). Con la suddetta, la Spagna non è
obbligata a far rispettare le disposizioni della Convenzione per eliminare tutte le forme di
discriminazione contro le donne alla Corona. Se questa discriminazione, che viola i diritti
fondamentali stabiliti dall’articolo 14 della Costituzione, fosse eliminata, questa riserva

85
Art. 57, commi 1-2 , Constitución Española, 29/12/1978, (trad. nostra).
86
Cfr. Charo Guerrero Martín, Eulàlia Lledó Cunill, Hablamos de leyes: en femenino y en masculino,
“Nombrar en femenino y en masculino”, : Instituto de la Mujer (Ministerio de Igualdad), Madrid, 2008, (p.
18), (trad. nostra).

36
nell'applicazione della Convenzione, che riguarda i diritti delle donne, relativi alla
successione, non sarebbe più necessaria e, inoltre, la Corona si libererebbe di un peso
storico di discriminazione nei confronti delle donne87.
Le Guerrero Martín e Lledó Cunill considerano, inoltre, che, in seguito alla Legge
Organica 3/2007, del 22 Marzo, per l'Effettiva Parità di Donne e Uomini, la norma statale
prevede il fermo impegno ad elaborare un linguaggio non sessista, in ambito
amministrativo, oltre alla promozione di questo in tutti gli ambiti delle relazioni sociali,
culturali e artistiche; risulta evidente il cambiamento negli usi del linguaggio negli ultimi
anni, in tutti gli ambiti, e, di questo cambiamento, numerose indagini ne danno conto. La
sua origine, ritengono le autrici, è da ricercare anche nel lavoro rigoroso e tenace del
movimento delle donne in tutto il mondo, nei movimenti femministi, che sono riusciti a
mettere in evidenza il patriarcato in tutti gli ambiti della vita 88.
Quasi un decennio dopo il lavoro delle Guerrero Martín e Lledó Cunill, il professore di
diritto costituzionale, Antonio Torres del Moral, pubblica Redacción de la Constitución
en clave no masculina89, dove propone la riscrittura del Preambolo e dei primi 29 articoli,
utilizzando vari accorgimenti appresi nelle guide per l'uso non sessista del linguaggio,
quindi non solo il raddoppiamento, il cui ricorso è sconsigliato nelle guide, se non
eccezionalmente, ma soprattutto l’utilizzo di termini generici, pronomi indefiniti e
l’utilizzo di organi, cariche ed istituzioni al posto dei titolari di queste, laddove possa
risultare discriminatorio90.
Successivamente, nel 2017, María Luisa Calero Vaquera, Octavio Salazar Benítez, Ana
I. Marrades Puig, Julia Sevilla Merino, un gruppo di linguisti e giuristi, pubblicano
Estudios sobre la reforma de la Constitución de 1978 en su cuarenta aniversario 91, in cui
affermano che l’esigenza di un linguaggio giuridico non sessista è da considerarsi una
conseguenza logica dell’uguaglianza di uomini e donne, principio alla base di uno stato
democratico, pur considerando, sempre, l’importanza della chiarezza del messaggio

87
Cfr. Charo Guerrero Martín, Eulàlia Lledó Cunill, Hablamos de leyes: en femenino y en masculino,
“Nombrar en femenino y en masculino”, : Instituto de la Mujer (Ministerio de Igualdad), Madrid, 2008,
(pp. 18-20).
88
Cfr. Charo Guerrero Martín, Eulàlia Lledó Cunill, Ibidem, (pp. 60-62).
89
Antonio Torres del Moral, Redacción de la Constitución en clave no masculina, Revista De Derecho
Político, 2017.
90
Cfr. Antonio Torres del Moral, Ibidem, (p. 187).
91
María Luisa Calero Vaquera, Octavio Salazar Benítez, Ana I. Marrades Puig, Julia Sevilla Merino,
Estudios sobre la reforma de la Constitución de 1978 en su cuarenta aniversario, 2018.

37
normativo, affinchè possa essere recepito facilmente dai destinatari e le destinatarie dello
stesso. E proprio perché la chiarezza deve essere il fine ultimo, il linguaggio del
messaggio normativo deve rispecchiare la realtà. La chiarezza, dunque, deve essere
prioritaria in tutta la fase di gestazione del diritto: elaborazione normativa, applicazione,
interpretazione, e, per questo, deve essere adottata da tutti i poteri pubblici (legislativo,
esecutivo, giudiziario) e da tutti i soggetti che affrontano queste materie92.
Gli stessi autori (María Luisa Calero Vaquera, Octavio Salazar Benítez, Ana I. Marrades
Puig, Julia Sevilla Merino) pubblicano, nel 2019, un lavoro di proposte di correzione,
sulla base del precedente, ma modernizzato, della Costituzione, dal titolo El lenguaje
jurídico con perspectiva de género. Algunas reflexiones para la reforma constitucional 93,
in cui sostengono l’importanza del linguaggio in quanto strumento del pensiero, oltre che
mezzo d’espressione, sottolineando che, questo, rappresenta e costruisce la realtà, è il
significato e il mezzo centrale attraverso il quale comprendiamo il mondo e costruiamo
la cultura.
Il linguaggio, dunque, non è neutro e asettico, ma è un atto che produce effetti sociali. Di
fatto, esso, è il mezzo attraverso cui interpretiamo l'esperienza, costruiamo e
rappresentiamo l’identità delle cose e delle persone e organizziamo le relazioni sociali.
Inoltre, il linguaggio non è statico e immutabile, si evolve e si adatta a nuovi contesti: in
quanto costruzione sociale, è soggetto a cambiamenti storici, sociali e culturali. Per tutti
questi motivi il linguaggio può essere responsabile di manifestazioni di disuguaglianza 94.
Il tema del linguaggio sessista della Costituzione spagnola riceve una maggiore spinta in
seguito alla richiesta della Ministra dell’Uguaglianza, Carmen Calvo, alla RAE di
riformulare le parti della Carta Magna che utilizzano un linguaggio discriminatorio. La
richiesta, preannunciata nel 2018 e formalizzata nel 2020, ha portato la RAE a rispondere
attraverso la pubblicazione di un documento, noto come Informe de la Real Academia
Española sobre el uso del lenguaje inclusivo en la Constitución Española, elaborado a

92
Cfr. María Luisa Calero Vaquera, Octavio Salazar Benítez, Ana I. Marrades Puig, Julia Sevilla Merino,
Ibidem, (pp. 41-44).
93
María Luisa Calero Vaquera, Octavio Salazar Benítez, Ana I. Marrades Puig, Julia Sevilla Merino, El
lenguaje jurídico con perspectiva de género. Algunas reflexiones para la reforma constitucional, “Revista
de Derecho Político”, N.º 105, UNED, 2019.
94
Cfr. María Luisa Calero Vaquera, Octavio Salazar Benítez, Ana I. Marrades Puig, Julia Sevilla Merino,
Ibidem, (pp. 129-130).

38
petición de la Vicepresidenta del Gobierno95, costituito da tre parti: la prima è Informe de
la Real Academia Española sobre el uso del lenguaje inclusivo en la Constitución
española, la seconda Sobre sexismo lingüístico, femeninos de profesión y masculino
genérico. Posición de la RAE e, infine, la terza è composta da due allegati, un campione
delle risposte fornite sulle questioni di genere dal dipartimento @RAEinforma, attraverso
il social network Twitter; ed un elenco di emendamenti del Diccionario de la lengua
española (DLE), inerenti al linguaggio non sessista e all'immagine delle donne.
La Nota introductoria96 del documento ne afferma lo scopo: analizzare il corretto uso del
linguaggio nella Carta Magna esaminato dalla Royal Spanish Academy, partendo
dall'assunto che la Costituzione è la norma superiore che regola la convivenza tra i
cittadini dello Stato, regola l'organizzazione dello Stato e dichiara diritti e doveri dei
cittadini.
Per questa condizione di prima norma dell’ordinamento spagnolo, il testo ha il dovere di
essere modello per l'uso comune dello spagnolo e che, nella sua espressione, rifletta
adeguatamente l'eguaglianza effettiva in tutti gli ambiti della società 97.
La stessa Nota introductoria preannuncia la conclusione, affermando, fin da subito, che
la lingua in cui è stata redatta la Carta Magna è «chiara e intelligibile»98, e che l'antichità
del testo non presenta difficoltà di interpretazione e adeguamento al contesto sociale
attuale, pur riconoscendo la possibilità di adattare alcuni sostantivi che si riferiscono a
posizioni, cariche e mestieri.
In seguito viene fornita una doppia definizione di linguaggio inclusivo:

Il linguaggio inclusivo è talvolta inteso come quello in cui vengono fatti espliciti
riferimenti alle donne, solo attraverso parole di genere femminile, come avviene nei
gruppi nominali, coordinati con sostantivi di entrambi i sessi. Da questo punto di
vista, l'espressione “los españoles y las españolas” sarebbe inclusiva, ma non lo
sarebbe, invece, l'espressione “los españoles”, nonostante il contesto renda
sufficientemente chiaro che comprende anche il riferimento alle donne spagnole. È
considerata "inclusiva”, in questa stessa interpretazione del termine, anche la
strategia di utilizzo di sostantivi collettivi di persona, siano essi femminili (la
población española) o maschili (el pueblo español), così come l'uso di termini

95
Real Academia Española (RAE), Informe de la Real Academia Española sobre el uso del lenguaje
inclusivo en la Constitución Española, elaborado a petición de la Vicepresidenta del Gobierno, Madrid,
2020.
96
Real Academia Española (RAE), Ibidem, (p. 2).
97
Cfr. Real Academia Española (RAE), Ibidem.
98
Cfr. Real Academia Española (RAE), Ibidem, (trad. nostra).

39
nominali che includono entrambi i sessi nella loro designazione (come in toda
persona española, al posto di todo español).
Nella seconda interpretazione, l'espressione linguaggio inclusivo si applica anche ai
termini maschili che chiaramente includono nel loro riferimento uomini e donne,
quando il contesto lo rende sufficientemente chiaro, in accordo con la coscienza
linguistica degli ispanofoni e con la struttura grammaticale e lessicale delle lingue
romanze. Questo è ciò che accade, ad esempio, in espressioni come el nivel de vida
de los españoles o Todos los españoles son iguales ante la ley99.

In questa Informe, la Real Academia Española ridefinisce il termine inclusivo, e, inoltre,


chiarisce la posizione del maschile generico, o non marcato, attestando che: «il maschile
è il termine non contrassegnato per tutti parlanti spagnoli in un gran numero di contesti,
specialmente se associati al plurale»100, pertanto, utilizzare il maschile nella sua
configurazione sovraestesa, all’interno della Carta Magna, non risulta essere
discriminatorio, né rende invisibili le donne, oltre a non provocare conseguenze
sintattiche che potrebbero ostacolare la resa di una frase, renderla inutilmente più lunga
e, per questo, non rispettare il principio fondamentale di chiarezza, che il testo della
Costituzione ha l’obbligo di avere.
Ci sono, tuttavia, alcuni casi in cui effettivamente l’utilizzo del maschile non risulta essere
inclusivo: infatti è raro, ad esempio, che il termine los enfermeros (gli infermieri)
comprenda anche las enfermeras (le infermiere), ed ancora più raro che il termine los
monjes (i monaci) comprenda anche las monjas (le monache), così come los brujos (i
maghi) certamente non comprende las brujas (le streghe).
Nel caso di los enfermeros non si può parlare di interpretazione inclusiva, perché questa
professione, per lungo tempo, è stata esercitata in prevalenza dalle donne e questo ne ha
influenzato l’accezione; per quanto riguarda los monjes e los brujos, vi è una specifica
distinzione lessicale, con il conseguente allontanamento semantico di ciascuno dei due
elementi dalle corrispondenti coppie. Ne consegue, in questi casi, che, se ci si vuole
riferire alle donne, bisogna utilizzare i termini specifici che si riferiscono ad esse101.
La stessa cosa accade in certe occasioni, quando si usano i termini riferiti a persone al
plurale, poiché potrebbe dar luogo ad ambiguità, come nel caso della domanda ¿Cuántos

99
Cfr. Real Academia Española (RAE), Ibidem, (p. 5), (trad. nostra).
100
Cfr. Real Academia Española (RAE), Ibidem, (p.6), (trad. nostra).

101
Cfr. Real Academia Española (RAE), Ibidem, (p. 8), (trad. nostra).

40
hermanos tienes? (Quanti fratelli hai?), in cui sarebbe necessaria una precisazione del
tipo: entre hombres y mujeres (tra maschi e femmine)102.
La RAE, quindi, riconosce che, negli articoli 39.2, 39.3, le espressioni los hijos, los niños,
non risultano inclusive.
Lo stesso vale per los padres, nell’articolo 39.4, dove, però, il termine si contrappone a
las madres del punto 2. dello stesso articolo.
Pertanto, la Informe suggerisce una formula più esplicita all'inizio dell'articolo 39.3, come
tanto los padres como las madres (sia i padri che le madri) o qualche altra formula, che
non ponga incertezza sull’inclusività della frase 103.
Il dossier si sofferma anche sull'evoluzione della società spagnola, dalla stesura del testo
costituzionale all’ affermazione dei diritti della comunità LGBTQIA+, sostenendo,
inoltre, che, in futuro, si potrebbe intraprendere una modifica della Carta Magna per
renderla più rispettosa nei confronti di questa fetta di popolazione104.
Inoltre, la RAE afferma che, per quanto concerne la proposta di femminilizzazione di
alcuni sostantivi, che si riferiscono a posizioni o cariche di singole persone, come la fiscal
general (la procuratrice generale), la presidenta del Gobierno (la presidente del
Governo), non vi sono ragioni, legali o linguistiche, per attuare un tale adeguamento, ma
solo motivi di natura politica e sociologica105.

2.3 Proposta di traduzione dell’art. 3 della Costituzione Spagnola e


commento
In questa sezione nel nostro lavoro di ricerca, portiamo all’attenzione una proposta di
traduzione dell’articolo 3 della Costituzione spagnola, da ascriversi al raggiungimento
dell’obiettivo prefissato dal percorso di studi del corso di laurea in traduzione,
mantenendo lo scopo di indagine, di questa tesi, nel campo del linguaggio inclusivo in
ambito istituzionale.
L’articolo 3 della Carta Magna spagnola cita:

102
Cfr. Real Academia Española (RAE), Ibidem, (p. 8), (trad. nostra).
103
Cfr. Real Academia Española (RAE), Ibidem, (p. 12), (trad. nostra).
104
Cfr. Real Academia Española (RAE), Ibidem, (p. 12), (trad. nostra).
105
Cfr. Real Academia Española (RAE), Ibidem, (pp. 12-13), (trad. nostra).

41
1. El castellano es la lengua española oficial del Estado. Todos los españoles tienen
el deber de conocerla y el derecho a usarla.
2. Las demás lenguas españolas serán también oficiales en las respectivas
Comunidades Autónomas de acuerdo con sus Estatutos.
3. La riqueza de las distintas modalidades lingüísticas de España es un patrimonio
cultural que será objeto de especial respeto y protección 106.

La nostra proposta di traduzione è la seguente:

1. Il castigliano è la lingua spagnola ufficiale dello Stato.Tutta la popolazione


spagnola ha il dovere di conoscerla e il diritto di utilizzarla.
2. Le altre lingue spagnole saranno altrettanto ufficiali nelle rispettive Comunità
Autonome in accordo con i propri Statuti.
3. La ricchezza delle differenti modalità linguistiche della Spagna è un patrimonio
culturale che sarà oggetto di speciale rispetto e protezione107.

Presentiamo, di seguito, un commento alla proposta di traduzione:


L’articolo 3 della Costituzione spagnola norma la lingua ufficiale dello Stato, il
castigliano, che, in quanto tale, deve essere conosciuto da ciascun individuo della
comunità spagnola che, al tempo stesso, ha il pieno diritto di esercitarne l’utilizzo.
Ed è proprio in questa facoltà il nodo cruciale della questione linguistica affrontata in
questa tesi: la lingua è sì strumento di espressione del pensiero, ma, contemporaneamente,
essa è in grado di plasmare il pensiero stesso, e in una dimensione individuale e in una
dimensione collettiva.
Pertanto, la scelta delle parole che si utilizzano implica una responsabilità morale e
sociale.
Riteniamo, dunque, in quest’ottica, una scelta responsabile tradurre la formula Todos los
españoles, al punto 1. dell’articolo, con “Tutta la popolazione spagnola”.
Al punto 2. l’articolo 3 fa riferimento alle altre lingue spagnole ufficiali che le Comunità
Autonome hanno il diritto e il dovere di utilizzare, a loro volta normate dai propri Statuti.
Questa facoltà denota maggiormente l’importanza della lingua per la Costituzione
spagnola, e della identità e della sua storia, che viene poi esplicitata al punto 3.
dell’articolo: le differenti modalità linguistiche, e, per esteso, dunque, identità, appaiono
alla legge stessa come una ricchezza da tutelare ed incentivare.

106
Art.3, commi 1-2-3 , Constitución Española, 29/12/1978.
107
Cfr. Art.3, commi 1-2-3 , Constitución Española, 29/12/1978, (trad. nostra).

42
Deduciamo, insomma, che la Costituzione si assuma l’impegno di proteggere la varietà
linguistica.
Il linguaggio utilizzato dall’articolo risulta semplice e diretto, privo di ambiguità, ad
eccezione della già citata formula Todos los españoles, che, a nostra percezione, risulta
essere in contraddizione con l’impegno alla tutela della diversità linguistica, espresso
dall’articolo in oggetto.

43
III. IL LINGUAGGIO INCLUSIVO NELLA COMUNICAZIONE
ISTITUZIONALE IN ITALIA: IL CASO DEL COMUNE DI
CASTELFRANCO EMILIA

3.1 Il comune di Castelfranco Emilia e l’uso dello schwa


Nel 2021 un caso di grande attenzione mediatica è quello del Comune di Castelfranco
Emilia, in provincia di Modena, la cui amministrazione, attraverso un post del 12 aprile108
(vedi immagine 2.) sul social network Facebook, ha comunicato la propria intenzione di
adottare lo schwa nella comunicazione ufficiale, seppur esclusivamente per quella via
social.
Come lo stesso post dichiara, già dal periodo immediatamente precedente alla
dichiarazione del Comune, il simbolo era stato già utilizzato in un contenuto del 5 aprile 109
(vedi immagine 3.) su Facebook, creando, di fatto, un precedente unico in Italia.
L’impatto mediatico della notizia è stato tale da creare fazioni di pro e contro e,
addirittura, innescare una serie di minacce di morte rivolte al sindaco, Giovanni Gargano,
e all’assessore alla comunicazione, Leonardo Pastore, verso cui tutte le forze politiche, e
favorevoli e contrarie alla scelta del Comune, hanno espresso solidarietà110.
Il Comune, nel post in questione, fornisce una breve spiegazione del simbolo oggetto di
discussione, dichiarandosi sostenitore del rispetto e della valorizzazione delle diversità,
afferma l’importanza del linguaggio, che ha la responsabilità di rappresentare tali
principi, in quanto strumento di comunicazione, ma anche di dare forma al pensiero stesso
e dunque di influenzarlo. Per queste ragioni, l’amministrazione della cittadina di
Castelfranco Emilia, sottolinea la necessità di attenzionare il modo in cui ci si esprime,
adottando lo schwa al posto del maschile universale, ma, al tempo stesso, rassicurando i

108
Comune di Castelfranco Emilia, “aggiornamento di stato”, Facebook, 12/04/2021.
https://www.facebook.com/cittadicastelfrancoemilia/posts/pfbid0bPHSLhPbvnniKFeek9ri78mE3jp6Ays
T5Q6pxTPLrm1RBwEiAkfVS3SASc6Bg4pnl
109
Comune di Castelfranco Emilia, “aggiornamento di stato”, Facebook, 05/04/2021.
https://www.facebook.com/cittadicastelfrancoemilia/posts/3307828542650508
110
Marco Pederzoli, “Il Comune ribalta una vocale e a Castelfranco Emilia scoppia il finimondo: bufera
social e minacce di morte al sindaco”, Luce. La nazione, 17/04/2021.
https://luce.lanazione.it/scienze-e-culture/il-comune-ribalta-una-vocale-e-a-castelfranco-emilia-scoppia-
il-finimondo-bufera-social-e-minacce-di-morte-al-sindaco/

44
lettori del fatto che questa scelta non rappresenti, in alcun modo, uno stravolgimento della
lingua, bensì un esercizio all’uguaglianza che permetta a tutti di sentirsi rappresentati,
nell’obiettivo di rendere la propria comunità più inclusiva.
Segue a questo post una rapida diffusione della notizia, soprattutto in rete, diventando
oggetto di interesse delle principali testate giornalistiche on line: “bologna.repubblica.it”
cita il contenuto Facebook del 12 aprile 2021 e fornisce un esempio pratico dell’utilizzo
dello schwa, a cui segue una breve definizione del simbolo111; “corriere.it” parla di
«fonetica inclusiva» e «rivoluzione linguistica»112; mentre “Linkiesta.it” pubblica un
articolo dal titolo «Rompere le filə. Ogni mattina uno schwa del villaggio si sveglia per
imporci la sua neolingua»113, scritto da Guia Soncini, in cui l’autrice esprime un chiaro
disappunto circa la scelta del Comune di Castelfranco Emilia, sostenendo che la genesi
dello schwa si fosse resa necessaria per inventare una forma neutra, che nella lingua
italiana, normalmente, non esiste, al fine di accontentare una minoranza che non si
riconosce nelle diverse formulazioni al maschile onnicomprensivo, sentendosi così
privata dei propri diritti114.
L’articolo della Soncini viene ripreso da Paolo Flores d’Arcais, scrittore e direttore della
rivista “MicroMega”115, una rivista italiana di cultura, politica, scienza e filosofia, che
pubblica, a sua volta, un articolo dal titolo «L’articolo che volevo scrivere ma che era già
stato scritto116», in cui il Flores d’Arcais ringrazia la scrittrice Soncini e il direttore di
“Linkiesta.it”, Christian Rocca, per avergli permesso la riproduzione dell’articolo, che,
come il titolo stesso dice, avrebbe scritto di sua penna, commentando la scelta del sindaco

111
Cfr. Caterina Giusberti, “Castelfranco Emilia, il Comune adotta lo "schwa" nei post ufficiali: una 'e
rovesciata' per l'inclusione”, Bologna Repubblica, 15/04/2021.
https://bologna.repubblica.it/cronaca/2021/04/14/news/castelfranco_emilia_uso_schwa_e_rovesciata_incl
usione-296445030/
112
Cfr. Redazione Tecnologia, “A Castelfranco Emilia ora si usa lo schwa: il comune emiliano che ha
adottato la fonetica inclusiva”, Corriere Della Sera, 14/04/2021.
https://www.corriere.it/tecnologia/scuola-dad-didattica-in-presenza-futuro/notizie/a-castelfranco-emilia-
ora-si-usa-schwa-comune-emiliano-che-ha-adottato-fonetica-inclusiva-5b679b58-9d0f-11eb-85f1-
679fe940a2d0.shtml
113
Cfr. Guia Soncini, “Rompere le filə. Ogni mattina uno schwa del villaggio si sveglia per imporci la sua
neolingua”, Linkiesta, 15/04/2021.
https://www.linkiesta.it/2021/04/neutro-italiano-schwa-castelfranco-emilia/
114
Cfr. Guia Soncini, Ibidem.
115
Contributori di Wikipedia, Wikipedia, L'enciclopedia libera, “MicroMega”, 02/01/2023.
https://it.wikipedia.org/wiki/MicroMega_(periodico)
116
Cfr. Paolo Flores d'Arcais, “L’articolo che volevo scrivere ma che era già stato scritto”, MicroMega,
19/04/2021.
https://www.micromega.net/larticolo-che-volevo-scrivere-ma-che-era-gia-stato-scritto/

45
Gargano e dell’assessore alla comunicazione Pastore, come una «ennesima idiozia
spacciata per progressista»117.
L’impatto della faccenda ha avuto una eco internazionale, tanto da essere menzionata
dall’articolo scientifico dell’International Journal of Academic Research in Business and
Social Sciences dal titolo The “Schwa” and its Impact on Italian Language and
Society118, in cui gli autori, Piermauro Catarinella, Mohd Ridzuan Abdul Malek, Suhardi
Kram, Muhammad Usamah Mohd Ridzuan, spiegano la problematicità della lingua
italiana nel configurare il genere nelle sue diverse declinazioni, da cui deriva l’esigenza
di coniare una forma neutra nelle desinenze delle forme flessive, che ha generato lo
schwa.
Nella disamina del dibattito aperto, circa l’utilizzo dello schwa, viene citato il Comune di
Castelfranco Emilia, ritenuto zelante nell’essere stato pioniere nel contesto istituzionale
di un cambiamento verso l’inclusività119.

3.2 Mappatura dell'uso dello schwa


In seguito alla comunicazione del Comune di Castelfranco Emilia di volere adottare lo
schwa per la propria comunicazione ufficiale, via social network, abbiamo effettuato un
lavoro di analisi dei post del Comune su Facebook dell’anno 2021 (anno in cui, nel mese
di aprile, viene pubblicata la comunicazione in oggetto).
Dai dati raccolti in analisi, abbiamo prodotto dei grafici per illustrare le scelte linguistiche
applicate alla comunicazione della pagina e, dunque, l’utilizzo o meno dello schwa e delle
altre opzioni contemplate dal linguaggio inclusivo, e, infine, la combinazione di questi
parametri, nei mesi che vanno da gennaio 2021 a dicembre 2021.
Come risulta dai grafici (vedi immagini 4. e 5.), i parametri utilizzati nella ricerca, legati
all’utilizzo delle scelte linguistiche applicate alle comunicazioni, sono: l’utilizzo del
maschile sovraesteso, l’utilizzo dello schwa, l’utilizzo del raddoppiamento, l’utilizzo del
raddoppiamento e del maschile sovraesteso all’interno dello stesso post, l’utilizzo di nomi

117
Cfr. Paolo Flores d'Arcais, Ibidem.
118
Piermauro Catarinella, Mohd Ridzuan Abdul Malek, Suhardi Kram, Muhammad Usamah Mohd
Ridzuan,, The “Schwa” and its Impact on Italian Language and Society.,“International Journal of
Academic Research in Business and Social Sciences”, M. U. M., 2022.
119
Cfr. Piermauro Catarinella, Mohd Ridzuan Abdul Malek, Suhardi Kram, Muhammad Usamah Mohd
Ridzuan,, Ibidem.

46
epiceni (nomi collettivi con accezione neutra) e del maschile sovraesteso all’interno dello
stesso post. Abbiamo esaminato un totale di 58 post di Facebook, ottenendo i risultati
visibili nei due grafici: nel grafico n. 1 (vedi immagine 4.), possiamo notare come il
parametro dell’utilizzo del maschile sovraesteso sia predominante rispetto agli altri, su
tutta l’estensione temporale dell’anno, e come il parametro schwa sia evidentemente
utilizzato solo nell’arco temporale dei mesi di marzo ed aprile.
Per quanto riguarda il parametro “raddoppiamento”, osserviamo che questo sia ben
frequente sull’asse temporale, ma che, comunque, risulti adoperato in misura minore
rispetto al “maschile sovraesteso”.
E’ evidenziabile anche l’assenza dell’espediente “raddoppiamento” nei mesi di marzo e
aprile, dove è stato utilizzato invece lo schwa, ma dove risulta presente anche l’utilizzo
del parametro “raddoppiamento + maschile sovraesteso”.
Osserviamo, inoltre, che nel mese di aprile, i parametri utilizzati sono in maggioranza lo
schwa, a cui segue il “raddoppiamento + maschile sovraesteso” e, infine, quello dei “nomi
epiceni + maschile sovraesteso”.
Per quanto riguarda il grafico numero 2 (vedi immagine 5.), possiamo notare, attraverso
lo schema a torta, che il “maschile sovraesteso” sia la parte nettamente più grande (60%),
seguita, per grandezza, dal “raddoppiamento” (17%), dal “raddoppiamento + maschile
sovraesteso” (10%), da “post con schwa” (9%) ed, infine, da “nomi epiceni + maschile
sovraesteso” (4%).
Alla luce di quanto riportato dai grafici, possiamo asserire che la scelta comunicativa del
Comune di Castelfranco Emilia è improntata, per la maggioranza, sull’utilizzo del
maschile sovraesteso e che il proposito dichiarato nella comunicazione del 12 aprile 2021,
su facebook, è stato parzialmente rispettato per un breve periodo di tempo, per lasciare
più spazio, nell’ottica di utilizzare espedienti di linguaggio inclusivo, poi alla scelta del
raddoppiamento, che, però, frequentemente nell’arco temporale, è accompagnato, nello
stesso post, dall’utilizzo del maschile sovraesteso e, talvolta, anche l’espediente di
utilizzare nomi epiceni, e quindi volti alla linearità con i propositi, ma combinati,
comunque, con l’utilizzo del maschile sovraesteso.

47
CONCLUSIONI

In conclusione agli studi effettuati in questa tesi, possiamo stabilire che la lingua è, a tutti
gli effetti, un attore nella società moderna e che per questo non è possibile separarla da
essa e concepirla come un effetto collaterale.
La lingua, infatti, ha il potere di dare forma al pensiero, non solo quando questo viene
articolato ed espresso in parole, ma anche nella sua stessa gestazione.
Pertanto, una società in divenire, aperta al cambiamento, che è inevitabile, esige una
lingua duttile, capace, non solo di seguire, ma anche di innescare il cambiamento.
Risulta chiaro, tuttavia, che modificare dei sistemi linguistici articolati e complessi come
quelli delle lingue flessive neolatine, italiana e spagnola, sia un’impresa difficile e che,
certamente, richiede tempo e collaborazione collettiva.
Dal lavoro di ricerca che ha prodotto questa tesi, abbiamo riscontrato che, nonostante ci
sia una buona predisposizione collettiva al cambiamento, quantomeno di alcuni aspetti
delle lingue italiana e spagnola, come nel caso dei nomina agentis, su cui, come abbiamo
illustrato in questo elaborato, si sono espressi diversi elementi degli organi istituzionali,
risulta che l’argomento sia tutt’ora in una fase di processo, da cui derivano i continui
dibattiti tra quelle che possiamo considerare fazioni di riformisti, innovatori e
conservatori, tradizionalisti della lingua.
Il tema più spinoso, che accomuna l’italiano e lo spagnolo, quello della problematicità
del maschile sovraesteso, trova ancora, come abbiamo visto, un’accesa polemica tra le
due fazioni menzionate, che, non solo riguarda le opzioni (dallo schwa per l’italiano alla
“e” nella desinenza dei plurali nello spagnolo) vagliate come soluzione, ma, ancor prima,
la considerazione di questa abitudine linguistica come una problematicità.
Abbiamo, inoltre, appurato che l’arena di scontro su questi temi è principalmente il web,
dove ognuno, dall’istituzione (come nel caso del Comune di Castelfranco Emilia)
all’attivista per i diritti umani, ha la possibilità di esprimersi sulla questione e di far
arrivare il proprio messaggio in tutto il mondo, incrementando l’attenzione sul tema e
dando la spinta a continuare questa battaglia ideologica su fronti giuridici, dagli organi
istituzionali competenti (come nel caso della Costituzione spagnola, delle “Linee guida

48
per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo del MIUR” in Italia, e delle European
Commission Guidelines for Inclusive Communication della Commissione Europea, ecc.).
Abbiamo riscontrato, per giunta, che anche laddove ci sia una chiarezza di intenti rispetto
alla scelta ideologica di adottare un linguaggio più inclusivo, come nel caso studio della
comunicazione social del Comune di Castelfranco Emilia, l’attuazione stessa di questa
scelta ideologica risulta essere di difficile applicazione e di parziale riuscita, come
dimostra lo studio statistico effettuato sui post pubblicati dalla pagina Facebook del
Comune.
In chiusura, sosteniamo che un cambiamento linguistico richieda tempi storici, oltre che
cooperazione, e che il tema affrontato sia ogni giorno in divenire.
Dunque: «ai posteri l’ardua sentenza»120.

120
Alessandro Manzoni, Il cinque maggio, (vv. 31-32), in “Opere varie”, Fratelli Rechiedei, Milano, 1881.

49
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Guia Soncini, “Rompere le filə. Ogni mattina uno schwa del villaggio si sveglia per
imporci la sua neolingua”, Linkiesta, 15/04/2021.
https://www.linkiesta.it/2021/04/neutro-italiano-schwa-castelfranco-emilia/

“Linguaggio inclusivo. Lo schwa è accessibile a tutti?”, Fondazione LIA libri italiani


accessibili, 11/10/2022.https://www.fondazionelia.org/ricerca-e-sviluppo/linguaggio-
inclusivo-schwa-accessibilita/

53
Maïa De La Baume, “EU accused of trying to cancel Christmas! Advice on inclusive
language dropped after criticism”, Politico.eu, 30/11/2021.
https://www.politico.eu/article/uropean-commission-cancel-christmas-inclusive-
language-lgbtq/

Marco Pederzoli, “Il Comune ribalta una vocale e a Castelfranco Emilia scoppia il
finimondo: bufera social e minacce di morte al sindaco”, Luce. La nazione, 17/04/2021.
https://luce.lanazione.it/scienze-e-culture/il-comune-ribalta-una-vocale-e-a-castelfranco-
emilia-scoppia-il-finimondo-bufera-social-e-minacce-di-morte-al-sindaco/

Massimo Arcangeli, “Lo schwa (ə)? No, grazie. Pro lingua nostra”, Change.org, 2022.
https://www.change.org/p/lo-schwa-ə-no-grazie-pro-lingua-nostra.

Massimo Arcangeli, “Osservatorio della lingua italiana”, Dizionaripiù.zanichelli.it,


sezione Lingua e scuola, 2011.

Massimiliano Menichetti, “Il Natale “cancellato”: la Ue ritira le linee guida”, Vatican


News, 14/09/2021. https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2021-11/parolin-natale-
cancellato-persona-discriminazioni-santa-sede.html

Paolo Flores d'Arcais, “L’articolo che volevo scrivere ma che era già stato scritto”,
MicroMega, 19/04/2021. https://www.micromega.net/larticolo-che-volevo-scrivere-ma-
che-era-gia-stato-scritto/

Redazione Tecnologia, “A Castelfranco Emilia ora si usa lo schwa: il comune emiliano


che ha adottato la fonetica inclusiva”, Corriere Della Sera, 14/04/2021.
https://www.corriere.it/tecnologia/scuola-dad-didattica-in-presenza-futuro/notizie/a-
castelfranco-emilia-ora-si-usa-schwa-comune-emiliano-che-ha-adottato-fonetica-
inclusiva-5b679b58-9d0f-11eb-85f1-679fe940a2d0.shtml

Vera Gheno, “Schwa: storia, motivi e obiettivi di una proposta”, Treccani, 21 marzo 2022.
https://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/speciali/Schwa/4_Gheno.html

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APPENDICE IMMAGINI

Figura 1) Verbale concorsuale universitario n. 2 del 02/12/2021

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Figura 2) Post facebook del 12/04/2021 del Comune di Castelfranco Emilia

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Figura 3) Post facebook del 05/04/2021 del Comune di Castelfranco Emilia

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Figura 4) Grafico analisi linguaggio post facebook del Comune di Castelfranco Emilia

Figura 5) Grafico analisi linguaggio post facebook del Comune di Castelfranco Emilia

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