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Filosofie
Studi – 4
Patrizia Laspia
Studi di fonetica greca
STUDI DI FONETICA
GRECA
Indice
Introduzione 7
10La teoria secondo cui la voce proviene dal cuore è stoica o aristotelica? 191
Bibliografia 235
Introduzione
Gli undici saggi contenuti in questo volume sono il frutto di circa un ven-
tennio di studi sulla fonetica greca. In realtà, la mia esperienza sul campo è
più che trentennale, dato che già nel 1987 sarei stata pronta a pubblicare ‘La
teoria della sillaba in Aristotele’, volume in gran parte ispirato alla mia tesi di
laurea (La fonologia di Aristotele, 1985). Ma per un giovanissimo esordiente
pubblicare un libro non è facile, specialmente se ha molto di nuovo da dire;
così per la pubblicazione del primo di questi saggi ho dovuto aspettare ad-
dirittura il 1995. Nel mondo antico, non è possibile una teoria della sillaba
senza una teoria della voce. ‘Voce’ e ‘sillaba’, che uno dei più grandi esperti
italiani di fonetica greca, Walter Belardi, 1 riteneva, alla luce dello strutturali-
smo saussuriano, concetti così antiquati da essere addirittura ‘preteorici’,
sono invece i grandi protagonisti della fonetica greca. Né potrebbe essere
diversamente: figlia di una cultura orale, la civiltà greca ha una consapevo-
lezza assai maggiore dell’importanza della voce e dei dispositivi prosodici
all’interno del linguaggio. Nella mia esperienza di tesista, ho appreso questo
dato anzitutto da Aristotele: anzi, da un Aristotele letto integralmente in
lingua originale. Nelle più recondite pagine delle opere biologiche come
nelle più note pagine della Metaphysica, Aristotele non si stanca mai di
riflettere sui dispositivi fonetici e sulla loro fenomenologia umana e animale,
così da guadagnarsi il posto – non la fama – di uno dei più grandi fonetisti
della storia. A differenza di quanto avvenga oggi, la fonetica, in Aristotele,
non è tuttavia avulsa da una teoria generale del linguaggio: anzi, è parte
1
Cfr. Belardi (1972).
Studi di fonetica greca
integrante di una visione olistica del mondo e della natura. Dal punto di
vista empirico, i fenomeni fonetici sono infatti osservati a tutto tondo, nel
mondo umano e animale, consegnandoci una messe straordinariamente
ricca di dati osservativi. Da un punto di vista teorico, la sillaba diventa il
modello osservativo di fenomeni ben più reconditi, come i dispositivi che
danno vita alla proposizione significativa e alla stessa vita biologica. È così
che la sillaba, in Metaph. Z ed H, diviene il modello dell’essenza sensibile e
individuale.
Tutto ciò era già a me noto nel lontano 1985, l’anno della mia laurea. Ma
comprendere un autore antico in isolamento non è possibile. Così, dopo
la laurea, ho impiegato i lunghi anni che mi separavano, ahimè, dal primo
impiego studiando a tappeto tutti gli autori della letteratura greca, soprat-
tutto dal punto di vista fonetico. Di questa fase, anteriore alle esperienze
maturate nel Dottorato, sono testimonianza i più antichi fra questi lavori:
Tre modelli di produzione della voce: Ippocrate, Aristotele e Galeno (1995),
il primo dei saggi qui pubblicati, e Cervello, mente e linguaggio: Ippocrate
contro il cognitivismo, frutto di una mia relazione al XXVIII Congresso della
Società di linguistica Italiana, ma pubblicato alcuni anni più tardi (1997),
oltre ad un saggio su ‘voce’ e ‘lingua’ in Erodoto purtroppo oggi ancora
inedito, e che forse non vedrà più la luce. I due studi sopra citati presentano
il modello di produzione della voce aristotelico a confronto con altri prece-
denti e successivi: rispettivamente quelli di Ippocrate e Galeno. Il confronto
con la letteratura medica non deve stupire. Come lui stesso riconosce in
conclusione dei Parva Naturalia, Aristotele fu infatti quel ‘miglior medico
che è anche filosofo’ che a distanza di secoli Galeno doveva teorizzare: infatti
«i migliori e più esperti fra i medici hanno qualcosa da dire a proposito della
natura e si occupano dei suoi principi; mentre fra coloro che si occupano
della natura i più dotati finiscono per occuparsi dei principi della medicina»
(De Iuv. et Sen. 480 b 25-30).
In quanto grande teorico della natura e figlio di medici, Aristotele appar-
tiene dunque di diritto alla tradizione medica. Ciò deve indurci a riflettere
sul fatto che, nel mondo greco, non valgono i nostri abituali cliché a pro-
posito della divisione dei saperi. È dunque perfettamente legittimo, se non
8
Introduzione
2
Cfr. W. Belardi (1975).
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Studi di fonetica greca
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Introduzione
civiltà che si serve dell’epopea orale come unico veicolo di trasmissione della
sua memoria, nulla può essere privo di significato: tantomeno le formule,
ripetute migliaia di volte, ma non per questo da considerare alla stregua
di misere filastrocche. Credo che proprio il caso delle ‘parole alate’ (anzi
‘piumate’: perché emesse, come frecce, dall’interno del petto, e poi plasmate
da lingua e labbra e trasformate in audé) possa dimostrare brillantemente
questo assunto.
Linguistic Pathologies in Ancient Greece: Aristotle on Aphasia è l’ulti-
mo dei saggi che appartengono, idealmente, al periodo precedente alla mia
nomina a Professore Associato. In questo saggio illustro qualcosa che non
era noto nemmeno all’occhiuto Belardi: Aristotele è il primo teorico delle
patologie linguistiche, che ha osservato con occhio non dissimile a quello
di Roman Jakobson. Raccogliendo sparsi dati della tradizione precedente,
Aristotele teorizza infatti tre diverse patologie fonetiche: traulotes, psellotes
e ischnophonia. Mentre le prime due sono difetti specifici, che consistono
nell’incapacità di proferire uno o più fonemi (pare che lo stesso Aristotele
ne fosse affetto, e parlasse con voce blesa), l’ischnophonia è una patologia
linguistica più severa, che rende il discorso incomprensibile, e consiste ‘nel
non sapere rapidamente congiungere una sillaba con l’altra’, rendendo, con
ciò, il discorso incomprensibile. Ne deriva che l’ischnophonia, a differenza
della traulotes e della psellotes, non è un semplice deficit articolatorio, ma
un disturbo dell’organizzazione prosodica del linguaggio. Le regole proso-
diche sono dunque superordinate alle regole fonetiche nell’organizzazione
di una lingua. Questo dato, ignoto fino a pochi decenni fa, è riemerso solo
nella seconda metà del 1900, per merito dei pionieristici studi fonetici di
Philip Lieberman, di cui parlo anche nel volume L’articolazione linguistica.
Anche all’acquisizione del linguaggio infantile Aristotele dedica pagine illu-
minanti nei Problemata, mettendo in relazione le diverse fasi di acquisizione
del linguaggio nei bambini con parallele patologie linguistiche: di qui la
somiglianza con il Roman Jakobson del Farsi e disfarsi del linguaggio.
I saggi successivi sono figli degli anni del mio lavoro di Professore asso-
ciato di Filosofia del Linguaggio prima a Chieti e poi a Palermo. Di questi,
il primo, Principi di classificazione del suono nella Grecia antica. Le origini
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Studi di fonetica greca
della riflessione fonetica fra oralità e scrittura è forse uno dei più complessi. Il
saggio costituisce la rielaborazione scritta di un intervento tenuto al Quarto
Incontro Internazionale di Linguistica Greca (Chieti-Pescara, 30 settembre-
2 ottobre 1999), ed è stato poi pubblicato nel 2001. In esso affronto il tema,
non semplice, delle classificazioni fonetiche in Grecia. Partendo da un esame
sistematico di tutte le fonti letterarie, individuo tre grandi periodi nella clas-
sificazione greca dei suoni del linguaggio. Un primo periodo, rappresentato
dalle fonti letterarie arcaiche, come la tragedia eschilea e poi euripidea, classi-
fica i suoni del linguaggio in due grandi gruppi: ‘vocali’ (phoneenta) e ‘non
vocali’ (aphona). I primi, grosso modo equiparabili alle nostre vocali, sono
suoni autonomamente udibili e producibili. I secondi, che renderemmo
impropriamente con il nostro ‘consonanti’, sono immaginati non autonomi
dal punto di vista della produzione del suono. Si tratta di posizioni articola-
torie di per sé prive di suono, come le occlusive, che diventano udibili solo
se accompagnate dalle vocali. Il problema è che tutti i suoni della lingua
greca sono classificati in questa bipartizione esaustiva ed esclusiva. L’epoca
di Platone e Aristotele, anzi, più precisamente la testualità di questi autori, ci
mette di fronte a una grossa novità. I suoni della lingua sono ora rappresen-
tati mediante una classificazione tripartita; la testualità platonica introduce,
infatti, una classe intermedia, detta appunto dei suoni ‘intermedi’ (mesa) fra
phoneenta e aphona. L’introduzione di questa nuova classe sembra dovuta
alla consapevolezza, testimoniata ad esempio nel Cratilo o nel Filebo, che
esistono suoni che non sono ‘né vocali né non vocali’ (phoneenta men ou,
ou mentoi aphona). Si tratta di posizioni articolatorie autonomamente in
grado di produrre un rumore (psophos), non una voce, come il sibilo che si
produce quando pronunciamo una ‘s’. A questo tipo di suoni il Platone del
Filebo dà, appunto, il nome di mesa. Questa classificazione tripartita sembra
in Platone affiancarsi, non sostituire del tutto, la vecchia bipartizione dei
suoni linguistici in phoneenta e aphona. Il quadro si complica ulteriormente
quando arriviamo ad Aristotele. In tutti i contesti al di fuori della Poetica, il
filosofo sembra infatti tornare all’antica bipartizione. Nella Poetica adotta
invece una classificazione tripartita che prevede, fra phoneenta e aphona,
un’intermedia classe di hemiphona, definiti come posizioni articolatorie
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Introduzione
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Studi di fonetica greca
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Introduzione
17, 1041 b 11-33. Perché la sillaba non è gli elementi? e L’excursus fonologico
del Teeteto e la testualità platonica. A cosa pensiamo quando parliamo di
‘elementi’ e ‘sillabe’? Il primo deriva da una relazione tenuta a Lecce nel
luglio del 2008, il secondo da una relazione tenuta a Palermo per il Conve-
gno Internazionale ‘Platone: la teoria del sogno nel Teeteto’ organizzato dal
mio predecessore Giuseppe Mazzara per festeggiare il suo pensionamento e
successivamente pubblicato dalla prestigiosa casa editrice Akademia Verlag.
I due saggi sono speculari, perché i passi che analizzano sono strettamente
intrecciati: il passo della Metaphysica costituisce infatti la risposta aristote-
lica all’aporia sollevata da Platone in conclusione del Teeteto e introdotta
dalla celebre prolusione (‘ascolta un sogno in cambio di un altro sogno’)
che diede il titolo al convegno. Si tratta di saggi entrambi scritti quando già
insegnavo a Palermo, e mi apprestavo a succedere a Peppino (Giuseppe Maz-
zara, appunto) sulla cattedra di Filosofia antica. L’aporia finale del Teeteto
suona così: se la sillaba è la somma dei suoi elementi, e l’elemento semplice
è inconoscibile e indefinibile, come somma di inconoscibili e indefinibili
la sillaba sarà anch’essa inconoscibile e indefinibile. Se invece la sillaba è
un’unità a sè stante, diversa da una semplice somma di elementi, a maggior
ragione essa sarà inconoscibile e indefinibile perché parteciperà della natura
semplice dell’elemento. Platone non dà soluzione al problema, ma mette
apertamente in ridicolo l’idea che la sillaba sia una semplice somma di ele-
menti. La questione mi dà la possibilità di ritornare al termine stoicheion,
aggiungendo un nuovo tassello. In un passo delle Storie di Erodoto, stoichos
designa il singolo strato nella costruzione di una piramide a terrazze. Divie-
ne così ancor più chiara l’allusione a un ordinamento gerarchico, verticale,
implicito nel termine e suffragato anche da un’isolata attestazione di Aristo-
fane. Implicito in Platone, ma segretamente alla base dell’aporia finale del
Teeteto, il problema troverà la sua definitiva chiarificazione e soluzione nella
conclusione del libro Z della Metaphysica – e passiamo così all’altro saggio.
In Metaph. Z 17 si dice esplicitamente che la sillaba non si riduce alla
somma dei suoi elementi – si tratta, come è evidente, di una ripresa letterale
dell’aporia finale del Teeteto – così come la carne non è solo fuoco e terra, ma
è anche ‘qualche altra cosa’) (alla kai heteron ti), e quest’altra cosa è l’essenza
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Studi di fonetica greca
o forma, che fa essere questa sillaba una sillaba e questo pezzo di carne un
esempio di carne. «Questa natura è l’essenza, che non è elemento (stoicheion)
ma principio (arché)». A cosa allude Aristotele con queste enigmatiche
parole? E perché esse costituiscono una geniale soluzione all’aporia finale del
Teeteto? A mio parere, perché Aristotele, fonetista ben più esperto di Platone,
ha teorizzato la natura non solo fonetica, ma anche e soprattutto prosodica
della sillaba, e ha riconosciuto in essa una struttura gerarchica, che ha alla
base una quantità vocalica espressa nella misura di una sillaba greca (breve
o lunga). L’indicatore di durata non è elemento ma principio della sillaba,
e difatti non è della stessa natura degli elementi. L’indicatore di durata
dunque, e la gerarchia fonetico-prosodica di costruzione del suono cui esso
presiede, sono il quid che rende la sillaba un’essenza e una natura unitaria
(ousia kai physis tis hekaste), diversa da una semplice somma additiva di
elementi. Ciò troverà conferma nel saggio che chiude questa raccolta.
Occorre ora menzionare il penultimo saggio, La teoria secondo cui
la voce proviene dal cuore è stoica o aristotelica? Pubblicato solo nel 2011,
l’articolo è tuttavia basato su una traccia molto più antica, che deriva da una
relazione da me tenuta per un convegno del Centro Interuniversitario per
la storia della tradizione aristotelica, del cui Comitato esecutivo faccio parte,
nel dicembre del 2006. È opinione comune che la teoria secondo cui la voce
proviene dal cuore sia di derivazione stoica. Ci induce a crederlo Galeno,
che contro questa teoria, e contro gli Stoici che l’avrebbero sostenuta, si
scaglia nel De Placitis Hippocratis et Platonis. In realtà, e come a me era
noto già ai tempi della mia tesi di laurea (1984-1985), la teoria secondo cui
la voce proviene dal cuore è in realtà aristotelica. O meglio: Aristotele è
il suo primo e più coerente formulatore, mentre gli Stoici ne sono solo
pallidi epigoni. Eccellente conoscitore delle opere, biologiche e non, di
Aristotele, Galeno non può ignorarlo. Allora perché passa la cosa sotto
silenzio? A questo interrogativo, che rappresenta un vero e proprio giallo
nella storia delle teorie fonetiche, non è facile dare soluzione. Una possibilità
è che Galeno non intenda mettere sotto accusa l’auctoritas di Aristotele,
che idolatra in campo logico, assai meno in campo medico, ma che non
oserebbe comunque mai mettere alla berlina, come fa con gli Stoici. Un’altra
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Introduzione
possibile soluzione passa per il difficile rapporto che unisce, e insieme divide,
Aristotele e Galeno. Galeno conosce a menadito le opere di Aristotele e
ne riconosce, come abbiamo già detto, i meriti logici. Ma nel campo della
medicina preferisce spesso occultarlo, costruendo come propria auctoritas
un mostro bicefalo e inesistente, l’Ippocrate-Platone dei Placitis. Gelosia
per il maestro di color che sanno? Invidia per ‘il miglior medico che è anche
filosofo’ in una misura che Galeno non potrà mai eguagliare? Ai posteri
l’ardua sentenza. A me basta aver restaurato la paternità aristotelica della
teoria.
E andiamo ora, last but not least, al saggio che chiude questa raccol-
ta. Il titolo, semplice, suona così: La teoria della sillaba della Poetica di
Aristotele. Dietro questa semplicità si cela ormai più di un trentennio di
studi, e un libro dattiloscritto (1987) di più di quattrocento pagine. Posso
dunque ben dire di conoscere a fondo l’argomento. Motivo occasionale
dell’articolo è una relazione da me tenuta all’Università di Pescara nell’aprile
del 2013 su invito dell’amico e collega Domenico Russo, che avrebbe anche
dovuto curare un volume di Atti. Il volume, per quanto ne so, non è ancora
uscito. Ringrazio gli amici e colleghi Stefano Gensini e Giovanni Manet-
ti di averne pubblicato una versione rimaneggiata e ampliata nella rivista
«Blityri» (2013). La Poetica di Aristotele è notoriamente un testo difficile; il
suo xx capitolo un testo ai più incomprensibile; le definizioni di ‘sillaba’
(syllabé) e ‘articolazione’ (arthron) i suoi passaggi più ardui. Dell’arthron
aristotelico mi sono occupata a più riprese: nel già citato volume del 1997,
L’articolazione lingustica, e in un volume cui ho lavorato circa dieci anni,
From Biology to Linguistics: The Definition of Arthron in Aristotle’s Poetics,
che uscirà nel 2018 per i tipi della Springer. Della definizione di sillaba della
Poetica mi occupo invece da tutta la vita. Strano che in più di trent’anni
su questo tema monografico sia da me stato pubblicato solo questo breve
articolo. Breve ma denso, devo dire. Credo infatti, in esso, di aver risol-
to, nell’essenziale, non «tutti i problemi», come voleva Wittgenstein, ma
almeno i problemi principali legati alla definzione di sillaba della Poetica.
Come è noto, il suo problema principale, o almeno il più eclatante, è legato
a uno stranissimo esempio: «anche infatti gr è sillaba senza a, ma anche
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Studi di fonetica greca
con a, come in gra». Con buona pace di Walter Belardi, il problema non
si può risolvere attribuendo, semplicemente, ad Aristotele «l’intuizione
del possibile ruolo acrosillabico degli hemiphona». In questo curioso testo
Aristotele non dice infatti solo che gr è sillaba, ma dice che lo è sia con che
senza a, come in gra. Se ne ricava l’impressione che, secondo Aristotele, le
vocali si possono aggiungere e togliere dalla sillaba a piacimento. Com’è
ovvio non è così. Ma allora? Il problema si risolve, a mio avviso, in tre
passaggi: 1. mettendo in stretta relazione la definizione di ‘sillaba’ con quella,
precedente, di ‘elemento’, e con la classificazione tripartita in essa introdotta;
2. dando il giusto valore, in questa tripartizione, al sintagma ‘voce udibile’
(phoné akousté) che non è un semplice sinonimo del termine ‘voce’ (phoné);
3. ipotizzando due distinti valori del termine syllabé, uno (sillaba fonetica)
derivante dall’unione di un aphonon con un termine avente phoné akousté
(gr), e uno (sillaba prosodica) derivante dall’unione di uno o più aphona, o
elementi che come tali si comportano nel contesto della sillaba, con un pho-
neen dotato non solo di voce, ma di una struttura prosodica. Scompare così
ogni stranezza e contraddizione: e la geniale mente di Aristotele definisce la
sillaba come elemento unitario e finito, e al tempo stesso formato in base a
regole ricorsive (gr, gra).
Ho deciso di raccogliere questi saggi in un volume perché alcuni, so-
prattutto i primi, erano diventati di assai difficile reperimento. Spero di aver
reso, con ciò, un servizio alla comunità scientifica, oltre che a molti miei
laureandi, e di invogliare altri studiosi, magari più giovani, a studiare gli
stessi argomenti, oggi un tantino desueti. Certo, molti interrogativi, soprat-
tutto nella mia vita, rimangono aperti. Continuerò a occuparmi di fonetica
greca? Pubblicherò mai il libro sulla sillaba? Il tempo lo dirà. Intanto mi sia
consentito di ringraziare chi mi ha aiutato a scrivere e a pubblicare questo
volume. I Proff. Antonino Giuffrida e Andrea Le Moli, per aver accettato
di pubblicare il libro nella loro collana; il mio collaboratore e amico dott.
Marco Antonio Pignatone per il suo indefesso e preziosissimo lavoro di
revisione; i miei amici filosofi antichi e del linguaggio, come i Proff. Marco
Carapezza e Francesco (Ciccio) La Mantia, per le belle discussioni di questi
anni, gli amici e colleghi Prof. Federico Albano Leoni, Stefano Gensini,
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Introduzione
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Capitolo 1
Il pensiero greco è l’unico ad aver, per così dire, estratto tutti i propri concetti da
un’analisi linguistica 1
La compresenza nel greco λόγος delle idee di linguaggio e di ragione esprime e
condiziona nello stesso tempo una concezione dei rapporti del linguaggio e del
pensiero che ispira più o meno coscientemente tutta la filosofia greca: non è il
linguaggio che è interpretato come espressione del pensiero, ma inversamente il
pensiero è inteso come un sistema analogo al linguaggio 2
1.1
A partire dagli anni Venti di questo secolo, molti dei più penetranti tentativi
di esegesi del mondo greco si incontrano sul seguente punto di vista: la
riflessione filosofica e scientifica nasce in Grecia come analisi linguistica. 3
I principali concetti non solo della cosidetta “filosofia”, ma anche della
1
Lanza (1972: 392).
2
Aubenque (1967: 24).
3
Cfr. Stenzel (1921: 89 sgg.); Snell (1929: 243-260); Hoffmann (1923), Hoffmann (1925).
Solo per fare alcuni esempi autorevoli. La tradizione di studi tedeschi rappresentata dagli
Studi di fonetica greca
fisica, della cosmologia, della medicina debbono molto ad una riflessione sul
significato delle parole in uso, e sugli strumenti sintattici, semantici e lessicali
a disposizione della lingua greca. 4 La considerazione del linguaggio, nella
sua indissolubilità dal pensiero e dalla stessa realtà fisica e fenomenologica,
sembra dunque essere stato il principale Leitmotiv nell’orchestrazione del
pensiero greco. Non resta ora che domandarsi: come nasce, in Grecia,
la riflessione sul linguaggio? Con quali strumenti teorici, e su quali dati
empirici ed induttivi, i Greci hanno costruito la loro visione della lingua?
Una linguistica autonoma, che consideri il linguaggio un oggetto al-
la stregua di altri oggetti, nasce in Grecia sorprendentemente tardi. 5 In
compenso, risulta impossibile parlare di cosmologia, di natura, di essere,
senza parlare di linguaggio. Vano sarà dunque, almeno fino ad epoca tarda,
ricercare equivalenti greci del nostro modo di fare linguistica. E ancor più
vano risulterà il tentativo di ritagliare, all’interno della riflessione greca sul
linguaggio, porzioni di saperi autonomi e tecnicizzati corrispondenti alla
nostra fonologia, lessicologia, sintassi e semantica.
Sarebbe tuttavia un errore credere che, prima della Stoa o di Dioni-
sio Trace, la riflessione linguistica in Grecia rimanga un nulla di fatto. La
considerazione teorica del linguaggio, visto come voce capace di significare,
accompagna al contrario il pensiero greco in tutte le sue fasi. Fino a questo
momento ciò è sfuggito all’osservazione per l’abitudine di proiettare su altre
epoche concetti e metodi propri della nostra scienza. Rispetto ad un’op-
zione teorica fondamentale, la riflessione greca e odierna sul linguaggio si
collocano infatti su opposti versanti. Per i padri della linguistica struttu-
rale, i concreti dispositivi di pronuncia della voce sono elementi esterni
autori sopra citati è stata in Italia ripresa da Calogero (1967); Calogero (1968); in Francia
da Aubenque (1962); in Germania da Wieland (1962).
4
Una coerente applicazione di questo principio in Wieland (1962). Il volume di Wieland
può essere considerato la migliore monografia mai dedicata alla Fisica di Aristotele, e
uno dei più penetranti contributi alla comprensione del suo pensiero in generale.
5
Non prima, cioè, della Τέχνη γραμματική di Dionisio Trace, solitamente fatta risalire
al II sec. a. C. e che forse è molto più tarda. Cfr. Di Benedetto (1958: 169-210; 28; 1959,
pp. 87-118); Di Benedetto (1973: 797-814); Di Benedetto (1990: 19-39).
22
Capitolo 1. Tre modelli di produzione della voce
alla lingua, 6 e la voce stessa una tra le tante possibili materie che rendono
manifestabile la forma linguistica. 7 Per autori come Ιppocrate o Aristotele,
il linguaggio è invece in prima istanza voce.
1.2
La riflessione sul linguaggio nasce in Grecia insieme con la definizione di
voce. Nei testi della tradizione scientifica greca, la voce non è tuttavia definita
per sé, ma sempre in relazione alla voce articolata. La voce non è dunque
oggetto di uno studio meramente fisico e fisiologico; essa è vista piuttosto
come via d’accesso al linguaggio considerato nella sua capacità di significare.
Ciò risulterà chiaro osservando le diverse formulazioni greche di “voce”
(φωνή) e “voce articolata” (διάλεκτος). 8
Le principali fonti per la definizione di voce e voce articolata sono quelle
in cui compaiono ipotesi sui dispositivi di produzione dell’una e dell’altra.
Si delineano così tre tappe fondamentali della sua storia: la trattatística
ippocratea, le opere biologiche di Aristotele e la medicina di Galeno.
La prima attestazione del binomio “voce/voce articolata” è nel De carni-
bus, un trattato minore del Corpus hippocraticum 9 databile intorno alla pri-
ma metà del IV sec. a. C.; 10 un confronto approfondito con il più antico De
morbo sacro permette tuttavia di attribuire ai due trattati un nucleo teorico
comune. Aristotele ha certamente presente la definizione ippocratea di voce
6
È la nota opinione di F. de Saussure. Cfr. Saussure (1922: 21, 36, 56, 164 et passim), ed
inoltre Saussure (1922: nn 45, 65, 76, 103 e 234 nella traduzione di De Mauro).
7
Cfr. Hjelmslev (1943: 110-1). Simili suggestioni hanno indubbiamente ispirato il para-
digma chomskiano, che vede nella sintassi un componente linguistico autonomo, in sé
indipendente dalle sue possibili interpretazioni sul piano fonologico e semantico; cfr.
Chomsky (1965: 56, 114 et passim).
8
Ampia documentazione sulla fortuna delle definizioni di “voce” e “voce articolata” nel
mondo greco e latino in Ax (1986).
9
Littré 8, pp. 606-8.
10
Cfr. Deichgräber (1935); Diller (1973); Joly (1978); Spoerri (1983).
23
Studi di fonetica greca
1.3
1. L’autore del De carnibus individua nella lingua il principale operatore di
formazione della voce articolata. I movimenti della lingua non producono
tuttavia autonomamente suono, ma modificano un suono prodotto con
il concorso dell’aria. Questo suono si chiama ‘voce’. Si dice dunque che la
lingua (γλῶσσα) articola la voce (φωνή): e il risultato di questo processo si
chiama “voce articolata” (διάλεκτος).13
11
Hist. an. Δ 535 a 27-536 b 23. Su questa definizione cfr. Ax (1978: 245-71); Zirin (1980:
325-47); Lo Piparo (1988: 83-101).
12
De an. 420 b 5-421 a 5.
13
De carn. § 18 (Littré 8, 608): ῾Η δὲ γλῶσσα ἀρθροῖ προσβάλλουσα· ἐν τῳ φάρυγ-
γι ἀποφράσσουσα καὶ προσβάλλουσα πρὸς τὴν ὑπερώην καὶ πρὸς τὰς ὀδόντας
ποιεῖ σαφηνίζειν· ἢν δὲ μὴ ἡ γλῶσσα ἁρθροῖ προσβάλλουσα ἐκάστωτε, οὐκ ἂν
σαφέως διαλέγοιτο, ἀλλ’ ᾗ ἕκαστα φύσει τὰ μονόφωνα. Τεκμήριον δέ ἐστι του-
τέῳ, οἱ κωφοὶ οἱ ἐκ γενεῆς οὐκ ἐπίστανται διαλέγεσθαι, ἀλλὰ τὰ μονόφωνα μό-
νον φωνέουσιν, οὐδ’ εἴ τις τὸ πνεῦμα ἐκπνεύσας πειρῷτο διαλέγεσθαι... Οὕτως
ἔχει περὶ φωνῆς ἴσως καὶ διαλέξιος. «La lingua articola accostandosi: ritirandosi
verso la gola ed accostandosi contro il palato, contro i denti fa sì che ci si esprima distin-
tamente; se la lingua non articolasse, accostandosi di volta in volta, non si parlerebbe
distintamente, se non per quanto attiene a ciascuno dei suoni di natura esclusivamente
vocale. Prova ne è che i sordi congeniti non imparano a parlare, ma emettono solo vocali;
né (riuscirebbe nel suo intento) chi cercasse di parlare solo espirando il fiato. ...Così
stanno probabilmente le cose a proposito di voce e voce articolata».
24
Capitolo 1. Tre modelli di produzione della voce
14
Hist. an. Δ 535 a 27-535 b 1: Φωνὴ καὶ ψόφος ἕτερόν ἐστι, καὶ τρίτον διάλεκ-
τος. Φωνεῖ μὲν οὖν οὐδενὶ τῶν ἄλλων μορίων πλὴν τῷ φάρυγγι· διο ὅσα μὴ
ἔχει πλεύμονα οὐδὲ φθέγγεται· διάλεκτος δ’ ἡ τῆς φωνῆς ἐστι τῇ γλώττῃ διά-
ρθρωσις. Τὰ μὲν οὖν φωνήεντα ἡ φωνὴ καὶ ὁ λάρυγξ ἀφίησιν, τὰ δ’ ἄφωνα ἡ
γλῶττα καὶ τὰ χείλη· ἐξ ὧν ἡ διάλεκτος ἐστιν. Part. an. Β 660 a 14-25: ῾Υπὸ δὲ
τὸν οὐρανὸν ἐν τῷ στόματι ὴ γλῶττα τοῖς ζῷοις ἐστί ... ῾Ο μὲν οὖν ἄνθρωπος
ἀπολελυμένην τε καὶ μαλακωτάτην ἔχει τὴν γλῶτταν καὶ πλατεῖαν... πρὸς τὴν
τῶν γραμμάτων διάρθρωσις καὶ πρὸς τὸν λόγον ἡ μαλακὴ καὶ πλατεῖα χρήσι-
μος· συστέλλειν γὰρ καὶ προβάλλειν παντοδαπῆ τοιαύτη οὖσα καὶ ἀπολελυμέ-
νη μάλιστ’ ἂν δύναιτο. lb. Γ 661 b 13-5: Μάλιστα δὲ καὶ τούτοις (sc. τοῦ ἀνθρώπου
ὀδόντας) τοιούτοις καὶ τοσούτοις προς τὴν διάλεκτον· πολλὰ γὰρ προς τήν γέ-
νεσιν τῶν γραμμάτων οἱ πρόσθιοι τῶν ὀδόντων συμβάλλονται. «Voce e suono
sono due cose differenti, e una terza è la voce articolata. La voce si produce esclusiva-
mente per mezzo della laringe: per questo chi non ha polmoni non produce voce; la
voce articolata è invece articolazione della voce per mezzo della lingua. Voce e laringe
emettono dunque le vocali, lingua e labbra le non-vocali: e di. queste si compone la. voce
articolata». «Entro la cavità orale, sotto la volta del palato, gli animali hanno la lingua.
..Ora, l’uomo ha la lingua massimamente sciolta e morbida, oltre che piatta. ...La lingua
morbida e piatta è utile per il linguaggio e per l’articolazione delle sue unità minime;
essendo così conformata, ed inoltre sciolta, potrà infatti ritirarsi ed avanzare in tutte le
direzioni». «E anche i denti umani sono così conformati e in tal numero per la voce
articolata; i denti davanti concorrono infatti in larga misura alla produzione delle sue
unità minime».
15
De lociis affectiis (Kühn VIII, 266-7): οὑ ταύτόν ἐστι φωνὴ καὶ διάλεκτος, ἀλλ’ ἡ
μὲν φωνὴ τῶν φωνητικῶν ὀργάνων ἔργον, ἡ διάλεκτος δὲ τῶν διαλεκτικῶν, ὧν
τὸ μὲν κυριώτατόν ἐστι ἡ γλῶττα, συντελεῖ δ’ οὐ σμικρὸν ἥ τε ῥις καὶ τὰ χείλη
καὶ οἱ ὀδόντες. Ib. 272: ἡ δὲ γλῶττα, διαρθροῦσα τὴν φωνήν, εἰς τὸ διαλέγεσθαι
χρήσιμος ὑπάρχει, συντελούντων δ’ εις τοῦτο και τῶν ὀδόντων καὶ τῶν χειλῶν,
ἔτι τε τῶν κατὰ τὴν ῥίνα συντρήσεων. «Voce e voce articolata non sono lo stesso; la
25
Studi di fonetica greca
voce è infatti opera degli organi fonatori, mentre la voce articolata è opera degli organi
della parola, di cui il più importante è la lingua, ma concorrono non poco anche il
naso, le labbra ed i denti». «La lingua, articolando la voce, è utile per il linguaggio; ma
concorrono alla sua produzione anche i denti e le labbra, ed oltre a questi anche le fosse
nasali».
16
Per Aristotele infatti «materia prima del linguaggio è la voce» (Τοῦ δὲ λόγου ὕλην
εἶναι τὴν φωνήν; Gen. an. E 786 b 21).
17
Nel De carnibus sopra citato le vocali sono dette τὰ μονόφωνα. Ciò sembra suggerire
che l’unità minima del suono linguistico possa presentarsi in due varietà: elementi
vocali isolati (sillabe del tipo V); elementi vocali che fungono da supporto per strategie
articolatorie di altro tipo (sillabe di tipo CV, CCV, etc.). Per Platone le vocali differiscono
da tutti gli altri elementi perché costituiscono il presupposto della loro associazione (cfr.
Soph. 253 a). Aristotele infine afferma che, paragonati ai suoni del linguaggio, gli enti si
ridurrebbero a un numero limitato di unità minime (στοιχεῖα), e la loro comune unità
di misura sarebbe una vocale (cfr. Met. Ι 1054 a 1-2).
18
Per Platone, i bambini apprendono i γράμματα «quando percepiscono correttamente
ciascun elemento entro le sillabe più brevi e semplici» (Pol. 277 e). Ancor più categorico
Aristotele, per il quale la sillaba non si riduce agli elementi che la compongono (Met. Z
1041 b 11-32), ed è per questo modello della αἰσθητὴ οὐσία, ossia dell’organismo vivente:
perché solo l’organismo è autosufficiente, non le sue parti (cfr. Met. Ζ 1041 b 11 sgg., Η
1043 b 4-11). Su questo paragone si veda Lo Piparo (1989: 21-26).
26
Capitolo 1. Tre modelli di produzione della voce
Non si può non apprezzare l’acutezza di una simile analisi, che nelle sue
linee fondamentali concorda, tra l’altro, con un modello fonetico che ha
recentemente ricevuto conferme sperimentali. 19 Non si tratta però qui di
andare a caccia di precursori: si tratta piuttosto di comprendere qual è la
logica sottesa ad una simile definizione di voce articolata. Ciò sarà possibile
solo esaminando le corrispondenti definizioni di voce.
1.4
Per Ippocrate, Aristotele e Galeno, la voce è un suono prodotto con il
concorso dell’aria. Assolutamente diverso è tuttavia il modo in cui i tre
autori ricostruiscono la dinamica dei processi respiratori.
1. Per l’autore del De carnibus, la voce è un suono prodotto dall’ur-
to dell’aria inspirata contro le pareti della cavità cranica, che essendo cava
riecheggia; l’aria inspirata è spinta da laringe e polmoni in direzione del-
la testa. 20 Si tratta di una ricostruzione fortemente controintuitiva della
dinamica dei processi respiratori, che riceve una spiegazione soltanto tenen-
do conto dell’encefalocentrismo dominante nel V sec. a. C. Teorizzato da
Alcmeone,21 Anassagora 22 e Diogene di Apollonia,23 l’encefalocentrismo
riceverà la sua più compiuta formulazione nel trattato ippocrateo De morbo
sacro.
Per l’autore del De morbo sacro un organo collocato nell interno della
cavità cranica, l’ἐγκέφαλος, è sede del pensiero perché “primo interprete
19
Cfr. Lieberman (1975), e la bibliografia ivi riportata.
20
De carn. § 18. (Littré 8, 606-8): Διαλέγεται δὲ διὰ τὸ πνεῦμα ἕλκων ἔσω ἐς πᾶν τὸ
σῶμα, τὸ πλεῖστον δέ ἐς τὰ κοῖλα αὐτος ἑωυτῷ· ἡ κεφαλὴ γὰρ ἐπηχεῖ... Οὕτως
ἔχει περὶ φωνῆς ἴσως καὶ διαλέξιος. «Si produce voce articolata attraendo innanzi-
tutto il respiro entro tutto il corpo, ma soprattutto entro le parti cave del corpo stesso: è
la testa infatti che riecheggia ...Così stanno probabilmente le cose a proposito di voce e
voce articolata».
21
Cfr. 24 A 8 e B 4 DK.
22
Cfr. 59 A 92 e 108 DK.
23
Cfr. 64 A 19 e 21 DK.
27
Studi di fonetica greca
24
De morbo sacro § 16 (Littré 6, 392): Κατὰ ταῦτα νομίζω τὸν ἐγκέφαλον δύναμιν
ἔχειν πλείστην ἐν τῷ ἀνθρώπῳ· οὗτος γὰρ ἡμῖν ἐστι, τών ἀπὸ τοῦ ἠέρος γινό-
μενων ἑρμενεύς...τὴν δὲ φρόνησιν αὐτῷ ὁ ἄηρ παρέχεται. Οἱ δὲ ὀφθαλμοὶ καὶ τὰ
οὔατα καὶ ἡ γλῶσσα καὶ αἱ χεῖρες καὶ οἱ πόδες οἶα ἄν ὁ ἐγκέφαλος γινώσκῃ, το-
ιαῦτα πρήσσουσιν· γίνεται γὰρ παντὶ τῷ σώματι φρονήσιος, ὡς ἄν μετέχῃ τοῦ
ἠέρος. ᾿Ες δὲ τὴν ξύνησιν ὁ ἐγκέφαλός ἐστιν ὁ διαγέλλων· ὁκόταν γὰρ σπάσῃ
τὸ πνεῦμα ὥνθρωπος ἐς ἑωυτόν, ἐς τὸν ἐγκέφαλον πρῶτον ἀφικνέεται, καὶ οὕτ-
ως ἐς τὸ λοιπὸν σῶμα σκίδναται ὁ ἀήρ, καταλιπών ἐν τῷ ἐγκεφάλῳ ἑωυτοῦ τὴν
ἀκμὴν καὶ ὅ τι ἄν ᾖ φρόνιμόν τε καὶ γνώμην ἕχον. «Per queste ragioni ritengo che
il cervello abbia nell’uomo il massimo potere: esso è infatti per noi l’interprete di ciò
che proviene dall’aria... l’intelligenza è infatti procurata al cervello dall’aria. Occhi e
orecchie, lingua, mani e piedi, quel che il cervello intende, questo fanno: tutto il corpo
partecipa infatti di intelligenza, in quanto partecipa dell’aria. Ed il cervello è il messaggero
della comprensione: quando infatti l’uomo attira verso di sé il respiro, questo giunge
in primo luogo al cervello, ed è in questo modo che l’aria si indirizza verso le varie altre
parti del corpo, dopo aver lasciato al cervello la sua parte migliore, e quanto in essa vi è di
cognizione e intelletto».
25
De morbo sacro § 7 (Littré 6, 372-3): ὥστε, ἐπειδὰν ἀποκλειστῶσιν αἱ φλέβες τοῦ
ἠέρος ὑπὸ τοῦ φλέγματος καὶ μὴ παραδέχωνται, ἄφωνον καθιστᾶσι και ἄφρονα
τὸν ἄνθρωπον. «Dimodoché, quando a causa del flegma le vene si chiudono all’aria e
non la lasciano più passare, l’uomo cade a terra privo di voce e intelligenza».
26
Cfr. Laspia (1996), (1997).
28
Capitolo 1. Tre modelli di produzione della voce
27
De an. Β 420 b 27-30: ὥστε ἡ πληγὴ τοῦ ἀναπνεουμένου ἀέρος ὑπο τῆς ἐν τού-
τοις τοῖς μορίοις ψυχῆς προς τὴν καλουμένην ἀρτηρίαν φωνή ἐστιν. Ib. 420 b
13-24: φωνὴ δ’ ἐστὶ ζῴου ψόφος, καὶ οὐ τῷ τυχόντι μορίῳ,...ὄργανον δὲ τῇ ἀναπ-
νοῇ ὁ φάρυγξ· οὗ δ’ ἕνεκα τὸ μόριόν ἐστι τοῦτο, πνεύμων. Cfr. Part. an. Γ 664 a
35-664 b 2: ἡ δὲ καλουμένη φάρυγξ καὶ ἀρτηρία συνέστηκεν ἐξ χονδρώδους σώ-
ματος· οὐ γὰρ μόνον ἀναπνοῆς ἕνεκέν ἐστι, ἀλλὰ καὶ φωνῆς, δεῖ δὲ τὸ ψοφήσειν
μέλλον λεῖον εἶναι καὶ στερεότητα ἔχειν. «È dunque voce l’urto dell’aria inspirata
contro la cosiddetta trachea-arteria ad opera del principio vitale sito in quelle parti». «La
voce è suono prodotto da un animale, ma non con una qualunque parte del suo corpo...
Organo della respirazione è la laringe; ciò a cui quest’organo è finalizzato è il polmone».
«La cosiddetta laringe-e-arteria è fatta di materiale cartilaginoso: non è infatti finalizzata
solo alla respirazione, ma anche alla voce, e ciò che è destinato a risuonare dev’essere liscio
ed avere rigidezza».
28
In De an. Β 420 b 23-4 la laringe è detta dipendere dal polmone. I movimenti della laringe
sono dunque subordinati al principio dell’attività respiratoria. Neppure il polmone è
tuttavia capace di movimento autonomo; infatti «organo della respirazione è il polmone,
che riceve il principio di movimento dal cuore» (Τοῦ δ’ ἀναπνεῖν ὁ πλεῦμων ὄργανόν
ἐστι, τὴν μὲν ἀρχὴν τῆς κινήσεως ἔχων ἀπὸ της καρδίας; Part. an. Γ 669 a 13-4).
Il cuore è dunque agente primo di tutti i movimenti respiratori.
29
Cfr. Part. an. Γ 665 b 7-8.
30
Cfr. De resp. 479 b 17-9; Part. an. Γ 664 b 17.
31
Cfr. Gen. an. Δ 776 a 12-3.
32
Cfr. Part. an. Γ666 a 13-6; De motu, 702 b 14-6 et passim.
33
Cfr. Part. an. Γ 665 b 11-3; 666 a 36-666 b 1 et passim.
34
Numerosi sono, come si è visto, i passi che menzionano il cuore come sede del sensorium
commune (κοινὴ αἴσθησις). Ora, «tanto la rappresentazione quanto la sensazione
coincidono localmente con l’intelletto» (καὶ γὰρ ἡ φαντασία καὶ ἡ αἴσθησις τὴν
αὐτὴν τῷ νῷ χώραν ἔχουσιν; De motu 700 a 19-20). Questo passo, da cui risulta
29
Studi di fonetica greca
siero.35 Infine, il cuore è anche l’organo da cui proviene la voce: “lì infatti è
il principio della voce”.36
Questa ricostruzione è ottenuta integrando la definizione del De anima
con dati anatomici e fisiologici esposti in altre opere; alle medesime conclu-
sioni si arriva tuttavia anche da una più attenta rilettura del solo De anima.
Secondo la definizione del De anima, la voce è urto dell’aria inspirata contro
le pareti della trachea-arteria; e l’urto è provocato dall’“anima sita nelle regio-
ni del cuore”.37 Ora, l’anima non è per Aristotele, come per noi, un principio
spirituale, è lo svolgersi dei processi vitali negli esseri viventi: 38 nutrizione,
respirazione, riproduzione, sensazione, movimento locale e pensiero. Ma
l’origine prima di tutti questi processi è il cuore, “principio della natura per
gli esseri dotati di sangue”: 39 “il cuore è infatti come un vivente in coloro
che lo posseggono”.40 L’“anima sita nelle regioni del cuore”, che per il De
anima è il primo agente di formazione della voce, è dunque il principio
vitale insito nel cuore stesso.
30
Capitolo 1. Tre modelli di produzione della voce
1.5
Fino a questo momento ci siamo occupati di modelli biologici monocen-
trici, il primo encefalocentrico, il secondo cardiocentrico. Vediamo ora che
cosa accade nel modello policentrico di Galeno. Secondo Galeno, organo
del pensiero è il cervello, terminazione ultima dei nervi..44 La voce è inve-
41
De an. Β 420 b 29-33: οὐ πᾶς ζῴου ψόφος φωνή, ...ἀλλὰ δεῖ ἔμψυχόν τε εἶναι τὸ
τύπτον καὶ μετὰ φαντασίας τινός· σημαντικὸς γὰρ δή τις ψόφος ἐστὶν ἡ φωνή.
42
Cfr. De motu 700 a 19-20, citato.
43
Il principale responsabile dell’attribuzione di questa teoria agli Stoici è Galeno, che la
discute criticandola nel secondo libro del De Placitis Hippocratis et Platonis (Kühn V,
225 sgg).
44
De usu part. (Kühn III, 243): αἰσθήσεως ἀρχὴ καὶ νευρῶν ἁπάντων ἐν ἐγκεφάλῳ.
Cfr. I 243, V 520 et passim. De usu part. (Kühn III, 700): τὴν λογιστικὴν ψυχὴν
οἰκεῖν ἐν ἐγκεφάλῳ. Cfr. V 288, 521 et passim. «II principio della sensazione e della
totalità dci nervi è nel cervello». «L’anima razionale dimora nel cervello».
31
Studi di fonetica greca
1.6
Dall’esame dei modelli di produzione della voce di Ippocrate, Aristotele e
Galeno si evincono, a nostro giudizio, le seguenti conclusioni. Le defini-
45
Comm. in Hipp. de hum. (Kühn XVI, 175): οὔσης γὰρ τῆς φωνῆς κινήσεως τῶν
ἀναπνευστικῶν ὀργάνων. Cfr. Kühn III, 525 et passim «Essendo il movimento della
voce (opera) degli organi respiratori».
46
De usu part. (Kühn III, 525): οὗτος (scil. ὁ λάρυγξ)...αὑτὸ τὸ πρῶτόν τε καὶ κυ-
ριώτατόν ἐστι τῆς φωνῆς ὄργανον. Cfr. IV 278, V 231 et passim. «Questa (ossia la
laringe), è il primo e di gran lunga il più importante organo della voce».
47
Cfr. Kühn III, 553; VIII, 50. A detta di Galeno, maggiori particolari sul ruolo
dell’epiglottide nei processi di fonazione erano forniti nel perduto De voce.
48
De usu part. (Kühn IV, 277-8): ἡ φωνὴ δὲ ὅτι κυριώτατον ἁπάντων ἐστι τῶν ψυχι-
κῶν ἐνεργειῶν, ἀγγέλλουσα τὰς τοῦ λογισμοῦ νοήσεις, ἐχρῆν δήπου καὶ ταύ-
την δημιουργεῖσθαι δι’ ὀργάνων ἐξ ἐγκεφάλου νεῦρα δεχομένων... ὁ λάρυγξ
ἐστὶ τὸ πρῶτόν τε καὶ κυριώτατον ὄργανον φωνῆς. Comm. In Hipp. de hom.
(Kühn XVI, 204): ἡ μὲν φωνὴ ἔργον ἐστι τῶν φωνήτικὼν ὀργάνων...φωνητικὰ
δὲ ὄργανά ἐστι λάρυγξ καὶ οἱ κινοῦντες αὐτόν μύες καὶ νεῦρα, ὅσα τὴν ἐξ ἐγκε-
φάλου παρακομίσει τούτοις δύναμιν. Cfr. Kuhn VIII, 50 et passim. «La voce, che è
la più importante di tutte le facoltà psichiche perché manifesta i pensieri della facoltà
razionale, era certo necessario che venisse prodotta da organi collegati ai nervi cerebrali...
la laringe è il primo e di gran lunga il più importante organo della voce». «La voce è
opera degli organi fonatori... Organi della voce sono la laringe, i muscoli che la muovono
e i nervi che trasmettono a questi ultimi la potenzialità che procede dal cervello».
32
Capitolo 1. Tre modelli di produzione della voce
49
L’accusa di dürftige Naivität è mossa ad Aristotele da Steinthal (1890: 189).
50
Cfr. per esempio Robins, A Short History of Linguistics, London 1967, tr. it. Storia
della linguistica, Bologna 1971, p. 49.
51
Cfr. Laspia (1993).
33
Studi di fonetica greca
vazione del linguaggio che orienta infatti l’indagine sulla natura: perché “la
natura è causa di ordine, e l’intero ordine è discorso”.52
52
ἡ δὲ φύσις αἰτία πᾶσιν τάξεως... τάξις δὲ πᾶσα λόγος (Arist. Phys. Θ 252 a 13-4).
34
Capitolo 2
1
Secondo V. Di Benedetto l’opera tramandata con il titolo di Τέχνη γραμματική è
spuria, e va datata nel V sec. d.C.: Di Benedetto (1958: 169-210); 28 (1958), pp. 87-118; Di
Benedetto (1973: 797-814); Di Benedetto (1990: 19-39).
Studi di fonetica greca
2
Su voce e voce articolata cfr. Ax (1986).
3
Littré (1839: 576-615 e 606-608).
4
Insieme con il De victu, anch’esso composto tra fine V e inizio IV sec. a.C. (cfr. Fredrich
(1899: 217 ss.), e più recentemente Joly, 1967: XIV), il De carnibus fa parte dei trattati
ippocratei massicciamente influenzati dalla tradizione naturalistica presocratica ed in
particolare da Eraclito.
5
Per la datazione del De carnibus seguiamo Deichgräber (1935). A favore di questa datazio-
ne, e contro la vecchia ipotesi di una redazione tarda, addirittura postaristotelica del De
carnibus (Littré 1839: 384), si esprimono inoltre H. Diller (1973: 377), Joly (1978: 180-183),
e infine, con argomenti assai convincenti, Spoerri (1983: 57-70), al quale rimandiamo per
informazioni più dettagliate.
6
Un’esplicita differenza “voce/voce articolata” può essere attribuita con certezza solo
a Democrito, autore tra l’altro, secondo la tradizione, di un trattato dal titolo Αἰτίαι
περὶ φωνῶν, e di un Περὶ ἀνθρώπου φύσιος ἢ περὶ σαρκός. Cfr. Democrito, 68
B 5 DK, da confrontare con Aristotele, Hist. an. Δ 536 b 8-13, 536 b 19-29; Probl. X
38-39. Una definizione di voce è inoltre formulata da Alcmeone, Parmenide, Empedocle,
Archelao, Cleidemo, Anassagora. Queste definizioni sono pervenute solo per tradizione
indiretta; il loro oggetto sembra inoltre essere non la voce, ma il suono in generale.
Sull’uso controverso di φωνή nella tradizione presocratica si veda Ax (1986: 60-77).
36
Capitolo 2. ‘Voce’ e ‘voce articolata’
7
Hist. an. Δ 535 a 27-536 b 23. Su questa definizione cfr. Ax (1978: 245-771); Zirin (1980:
325-347); Lo Piparo (1988: 83-101).
8
Cfr. Hipp. De carnibus § 8 (Littré 8, 608): ῾Η δὲ γλῶσσα ἀρθροῖ προσβαλλυυσσ’ ἐν
τῷ φάρυγγι ἀποφράσσουσα καὶ προσβάλλουσα πρὸς τὴν ὑπερώην καὶ πρὸς τὰς
ὀδόντας ποιεῖ σαφηνίζειν· ἢν δὲ μὴ ἡ γλῶσσα ἀρθροῖ προσβάλλουσα ἑκάστοτε,
οὐκ ἂν σαφέως διαλέγοιτο, ἀλλ’ ᾗ ἕκαστα φύσει τὰ μονόφωνα. Τεκμήριον δέ
ἐστι τουτέῳ, οἱ κωφοὶ οἱ ἐκ γενεῆς οὐκ ἐπίστανται διαλέγεσθαι, ἀλλὰ τὰ μονό-
φωνα μόνον φωνέουοιν, οὐδ’ εἴ τις τὸ πνεῦμα ἐκπνεύσας πειρῷτο διαλέγεσθαι.
[...] Οὕτως ἔχει περὶ φωνῆς ἴσως καὶ διαλέξιος. Ar. Hist. an. A 535 a 27-535 b 1:
Φωνὴ καὶ ψόφος ἕτερόν ἐστι καὶ τρίτον διάλεκτος. Φωνεῖ μὲν οὖν οὐδενί τῶν
ἄλλων μορίων πλὴν τῷ φάρυγγι· διὸ ὅσα μὴ ἔχει πλεύμονα οὐδὲ φθέγγεται·
διάλεκτος δ’ ἡ τῆς φωνῆς ἐστι τῇ γλώττῃ διάρθρωσις. Τὰ μὲν οὖν φωνήεντα ἡ
φωνὴ καὶ ὁ λάρυγξ ἀφίησιν, τὰ δ’ ἄφωνα ἡ γλῶττα καὶ τὰ χείλη· ἐξ ὧν ἡ διάλεκ-
τός ἐστιν. Part. an. Β 660 a 14-25: ῾Υπὸ δὲ τὸν οὐρανὸν ἐν τῷ στόματι ἡ γλῶττα
τοῖς ζώοις ἐστί [...] ῾Ο μὲν οὖν ἄνθρωπος ἀπολελυμένην τε καὶ μαλακωτάτην
ἔχει τὴν γλῶτταν καὶ πλατεῖαν [...] πρὸς τὴν τῶν γραμμάτων διάρθρωσις καὶ
πρὸς τὸν λόγον ἡ μαλακὴ καὶ πλατεῖα χρήσιμος· συστέλλειν γὰρ καὶ προβάλ-
λειν παντοδαπῇ τοιαύτη οὖσα καὶ ἀπολελυμένη μάλιστ’ ἄν δύναιτο. Gal. De lo-
cis affectis (Kühn VIII, 266-267): οὐ ταὑτόν ἐστι φωνὴ καὶ διάλεκτος, ἀλλ’ ἡ μέν
φωνὴ τῶν φωνητικῶν ὀργάνων ἔργον, ἡ διάλεκτος δὲ τῶν διαλεκτικῶν, ὧν τὸ
μὲν κυριώτατόν ἐστι ἡ γλῶττα, συντελεῖ δ’ οὐ σμικρὸν ἥ τε ῥὶς καὶ τὰ χείλη καὶ
37
Studi di fonetica greca
38
Capitolo 2. ‘Voce’ e ‘voce articolata’
11
Autori delle classificazioni tripartite citate nella nota che segue, tanto Platone quanto
Aristotele riconoscono tuttavia come fondamentale la semplice bipartizione φωνήεν-
τα/ἄφωνα. Ciò è evidente ad esempio in Thaet. 203 b, dove il σ, che secondo le classi-
ficazioni del Cratilo e del Filebo rientrerebbe nei μέσα, è detto ἄφωνον (τό τε σῖγμα
τῶν ἀφώνων ἐστί, ψόφος τις μόνον, οἷον συριττούσης τῆς γλώττης). Salvo che
nel xx cap. della Poetica, anche Aristotele classifica i suoni del linguaggio sempre e solo
in φωνήεντα e ἄφωνα (cfr. Hist. an. Δ 535 a 31-535 b 2, Met. Δ b 22, Ζ 1041 b 16-17).
12
Cfr. Plat. Crat. 424 c, Phil. 18 b-c; Arist. Poet. 1456 b 25-31.
13
Per una diversa interpretazione di queste classificazioni e dei problemi in esse impliciti
cfr. Belardi, (1972: 21-102), ripubblicato con alcune modifiche in Belardi (1985: 20-86).
14
Aristotele dice esplicitamente che la φωνή è materia prima del λόγος (τοῦ δὲ λόγου
ὕλη εἶναι τὴν φωνήν; Gen. an. Ε 786 b 21). Ogni porzione significativa di linguaggio
(nome, verbo, proposizione) è infatti da Aristotele definita innanzitutto φωνή; cfr. Lo
Piparo (1988: 86-87).
39
Studi di fonetica greca
15
Hipp.De carn. § 18 (Littré 8, 606-608): Διαλέγεται δὲ διὰ τὸ πνεῦμα ἕλκων ἔσω
ἐς πᾶν τὸ οῶμα, τὸ πλεῖστον δέ ἐς τὰ κοῖλα αὑτὸς ἑωυτῷ· ἡ κεφαλὴ γὰρ ἐπηχεῖ
[...]. Οὕτως ἔχει περὶ φωνῆς ἴσως καὶ διαλέξιος.
16
Hipp. De morb. Sacr. § 14 (Littré 6, 386-388): Εἰδέναι δὲ χρὴ τοὺς ἀνθρώπους,
ὅτι ἐξ οὐδενὸς ἡμῖν αἱ ἠδοναὶ γίνονται καὶ αἱ εὐφροσύναι καὶ γέλωτες καὶ παι-
διαὶ ἢ ἐντεῦθεν, καὶ λύπαι καὶ ἀνίαι καὶ δυσφροσύναι καὶ κλαυθμοί. Καὶ τούτῳ
φρονεῦμεν μάλιστα καὶ νοεῦμεν καὶ βλέπομεν καὶ ἀκούομεν [...] Τῷ δὲ αὐτῷ
τούτῳ καὶ μαινόμεθα καὶ παραφρονέομεν [...] Καὶ ταῦτα πάσχομεν ἀπὸ τοῦ
ἐγκεφάλου πάντα.
17
Ibid. § 16 (Littré 6, 392): Κατὰ ταῦτα νομίζω τὸν ἐγκέφαλον δύναμιν ἔχειν πλεί-
στην ἐν τῷ ἀνθρώπῳ· οὗτος γὰρ ἡμῖν ἐστι τῶν ἀπὸ τοῦ ἠέρος γινόμενων ἑρμε-
νεύς [...] τὴν δὲ φρόνησιν αὐτῷ ὁ ἀὴρ παρέχεται. Οἱ δὲ ὀφθαλμοὶ καὶ τὰ οὔατα
καὶ ἡ γλῶσσα καί αἱ χεῖρες καὶ οἱ πόδες οἷα ἂν ὀ ἐγκέφαλος γινώσκῃ, τοιαῦτα
πρήσσουσιν· γίνεται γὰρ παντὶ τῷ σώματι φρονήσιος, ὡς ἂν μετέχῃ τοῦ ἠέρος.
᾿Ες δὲ τὴν ξύνησιν ὁ ἐγκέφαλός ἐστιν ὁ διαγέλλων· ὁκόταν γὰρ σπάσῃ τὸ πνεῦ-
μα ὤνθρωπος ἐς ἑωυτόν, ἐς τὸν ἐγκέφαλον πρῶτον ἀφικνέεται, καὶ οὕτως ἐς τὸ
λοιπὸν σῶμα σκίδναται ὁ ἀήρ, καταλιπὼν ἐν τῷ ἐγκεφάλῳ ἑωυτοῦ τήν ἀκμὴν
καὶ ὅ τι ἂν ᾖ φρόνιμόν τε καὶ γνώμην ἔχον.
18
Ibid. § 7 (Littré 6, 372-373): ὥστε, ἐπειδὰν ἀποκλειστῶσιν αἱ φλέβες τοῦ ἠέρος
ὑπὸ τοῦ φλέγματος καὶ μὴ παραδέχωνται, ἄφωνον καθιστᾶσι καὶ ἄφρονα τὸν
ἄνθρωπον.
19
Cfr. Laspia (1994).
40
Capitolo 2. ‘Voce’ e ‘voce articolata’
posti cognitivi. Un identico modello di produzione della voce sta alla base
dei due trattati. Secondo questo modello la voce proviene dall’ἐγκέφαλος,
e l’ἐγκέφαλος è l’organo che pensa.
2. Per Aristotele, che non assegna più all’ἐγκέφαλος alcun primato
cognitivo, la voce è un suono prodotto dall’urto dell’aria inspirata contro
la trachea-arteria.20 Senza entrare in particolari, concludiamo che la voce è
prodotta, in prima istanza, dall’azione congiunta di laringe e polmoni.21 Né
l’una né gli altri sono tuttavia organi capaci di movimento autonomo, ma
entrambi sono messi in movimento dal cuore.22 Il cuore è dunque primo mo-
tore del dispositivo di produzione della voce; «lì infatti è il principio».23 Ma
20
De an. Β 420 b 27-30: ὥστε ἡ πληγὴ τοῦ ἀναπνεουμένου ἀέρος ὑπὸ τῆς ἐν
τούτοις τοῖς μορίοις ψυχῆς πρὸς τήν καλουμένην ἀρτηρίαν φωνή ἐστιν.
21
Ibid. 420 b 13-24: φωνὴ δ’ ἐστὶ ζῴου ψόφος, καί οὐ τῷ τυχόντι μορίῳ [...] ὄργα-
νον δὲ τῇ ἀναπνοῇ ὁ φάρυγξ· οὗ δ’ ἔνεκα τὸ μόριόν ἐστι τοῦτο, πνεύμων. Per la
comprensione del testo è necessario specificare che φάρυγξ ed ἀρτηρία sono rispetti-
vamente la parte superiore ed inferiore del tubo tracheale (Part. an. Γ 664 a 35-664
b 2), e che la parte chiamata φάρυγξ è capace di contrarsi fino a completa occlusione
dell’ἀρτηρία (Part. an. Γ 664 b 25-6, 665 a 4-5).
22
In De an. Β 420 b 23-4 la laringe è detta dipendere dal polmone. I movimenti della
laringe sono dunque subordinati al principio dell’attività respiratoria; organo della respi-
razione è il polmone. Neppure il polmone è tuttavia capace di movimento autonomo,
ma riceve il suo movimento dal cuore (Part. an. Γ 669 a 13-14: Τοῦ δ’ ἀναπνεῖν ὁ
πλεῦμων ὄργανόν ἐστι, τήν μὲν ἀρχὴν τῆς κινήσεως ἔχων ἀπό τῆς καρδίας). Il
cuore, d’altra parte, è «principio della vita e di tutti i movimenti e le sensazioni» (Part.
an. Γ 664 b 13-14 et passim), e in particolare della respirazione (cfr. Part. an. Γ 664 b 17).
23
Gen. an. Δ 776 a 12-7: Τούτου δ’ ἀρχὴ καὶ τῶν φλεβῶν ἡ καρδία [...] ἡ ἀρχὴ τῆς
φωνῆς ἐντεῦθεν. Cfr. Gen. an. Δ 787 b 27-8: [...] ἐκ τῆς φλεβὸς, ἧς ἡ ἀρχὴ ἐκ τῆς
καρδίας πρὸς αὐτῷ τῷ κινοῦντι τὴν φωνήν. Il principio qui esplicitato è sostenuto
anche nel capitolo sulla voce del De anima. Qui infatti si dice: Δεῖται δὲ τῆς ἀναπνοῆς
καὶ ὁ περὶ τὴν καρδίαν τόπος πρῶτος [...] ὥστε ἡ πληγὴ τοῦ ἀναπνεουμένου
ἀέρος ὑπὸ τῆς ἐν τούτοις τοῖς μορίοις ψυχῆς πρὸς τὴν καλουμένην ἀρτερίαν
φωνή ἐστιν (De an. Β 420 b 25-30). A provocare l’urto dell’aria inspirata contro la
trachea-arteria è dunque «l’anima sita nelle regioni del cuore». Ora, l’anima non è per
Aristotele un principio spirituale, è lo svolgersi dei processi vitali negli esseri viventi:
nutrizione, respirazione, riproduzione, sensazione e pensiero (De an. B 412 a 27-8 et
passim). Ma l’origine prima di tutti questi processi è nel cuore, «principio della natura
per gli esseri dotati di sangue» (ἀρχή τῆς φύσεως τοῖς ἐναίμοις οὗσα); Part. an.
41
Studi di fonetica greca
Γ665 b 22. Cfr. De motu 702 b 14: ἡ ἀρχὴ [...] ἐν τῇ καρδίᾳ; il cuore infatti è «come un
vivente in coloro che lo posseggono» (οἷον ζῷόν τι πέφυκεν ἐν τοῖς ἔχουσιν; Part.
an. 666 b 17). L’anima sita nel τόπος del cuore che per De an. Β 421 b 29-30 è principio
della voce, è dunque l’ἀρχὴ τῆς φύσεως insita nel cuore stesso.
24
De resp. 479 b 17-9; Part. an. Γ 664 b 17.
25
De resp. 468 b 30-469 a 7; Part. an. Γ 665 b 5.
26
Gen. an. Δ 776 a 12-3.
27
Part. an. Γ 665 b 11-3; 666 a 36-666 b 1 et passim.
28
Cfr. De motu 700 a 19-20: καὶ γὰρ ἡ φαντασία καὶ ἡ αίσθησις τὴν αὐτὴν τῷ νῷ
χώραν ἔχουσιν. Quando nel capitolo sulla voce del De Anima si dice: οὐ πᾶς ζῴου
ψόφος φωνή, [...] ἀλλὰ δεῖ ἔμψυχόν τε εἶναι τὸ τύπτον καὶ μετὰ φαντασίας τι-
νός· σημαντικός γὰρ δή τις ψόφος ἐστίν ἡ φωνή (De an. Β 420 b 29-33), in primo
piano è, ancora una volta, il cuore. Il cuore è infatti οἶον ζῷον, dunque ἔμψυχον, ed è
tanto il primo motore della voce quanto il principio della cactvutala. Voce e significato
sono così per Aristotele le due risultanti di un unico processo fisiologico.
29
Ciò si desume, oltre che da De motu 700 a 19-20, anche da De an. Γ § 3, ove è detto che
la facoltà del pensare (νοεῖν) e del rappresentare (φαντάζεσθαι) coincide localmente
con la sede della κοινὴ αἴσθησις (De an. Γ 427 a 3-5).
30
Ιl principale responsabile dell’attribuzione di questa teoria agli Stoici è Galeno, che la
discute criticandola nel secondo libro del De Placitis Hippocratis et Platonis (Kühn V, p.
225 sgg). Delle due dunque una: o Galeno non ha capito bene Aristotele, oppure forse
non aveva sotto mano qualcuna delle sue opere. Un fatto è comunque certo. Per Gale-
no l’assioma fondamentale della teoria è il seguente: la voce proviene dal cuore perché
l’origine della voce significativa è il pensiero (ibid. 257: τὸ ὅθεν ἡ φωνὴ ἐκπέμπεται,
ἐκεῖθεν καὶ ἡ σημαίνουσα φωνή, τουτέστιν ὁ λόγος. ἐκ δὲ διανοίας ὁ λόγος ἐκ-
πέμπεται, ἀλλ’ οὐκ ἐκ τοῦ ἐγκεφάλου· οὐκ ἄρα ἐν ἐγκεφάλῳ ἐστὶν ἡ διάνοια).
Al di là del problema concernente l’attribuzione della teoria, il De Placitis Hippocratis
et Piatonis rappresenta pertanto un’importante conferma alla tesi di fondo di queste
pagine.
31
Per il concetto di “monocentrismo biologico” cfr. Manuli-Vegetti (1977).
42
Capitolo 2. ‘Voce’ e ‘voce articolata’
Per Galeno il cervello, terminazione ultima dei nervi,32 è sede del pensiero.33
La voce è invece prodotta dagli organi delegati alla respirazione; 34 partico-
larmente sottolineato è il ruolo della laringe nei processi di fonazione.35 Ora,
una serie di nervi, detti “nervi vocali” congiungono la laringe al cervello; 36 e
poiché la conduzione degli impulsi nervosi è immediata, altrettanto imme-
diata risulta la traduzione del pensiero in stimoli vocali.37 Anche nell’unico
modello fisiologico in cui voce e pensiero siano prodotti da organi differen-
ti, la traduzione dell’uno nell’altra è esplicitamente teorizzata, e postulata
istantanea.
Il confronto tra i modelli di produzione della voce di Ippocrate, Ari-
stotele e Galeno suggerisce, a nostro giudizio, le seguenti conclusioni. La
definizione di ‘voce’ e ‘voce articolata’ non è di pertinenza fonetica in senso
stretto: il suo vero fine è quello di spiegare i rapporti tra voce e significato.
Per ciascuno dei formulatori della definizione, la voce articolata è infatti inse-
parabile dalla voce, e la voce è o emessa dall’organo del pensiero, o prodotta
da un organo (la laringe) direttamente governato dall’organo del pensiero.
La voce è dunque suono immediatamente e naturalmente significativo.
32
De usu part. (Kühn III 243): αἰσθήσεως ἀρκὴ καὶ νευρῶν ἀπάντων ἐν ἐγκεφάλῳ.
Cfr. Ι 243, V 520 et passim.
33
De usu part. (Kühn III 700): τὴν λογιστικὴν ψυχὴν οἰκεῖν ἐν ἐγκεφάλῳ. Cfr. V
288, 521 et passim.
34
Comm. in Hipp. de hum. (Kühn XVI 175): οὔσης γὰρ τῆς φωνῆς κινήσεως τῶν
ἀναπνευστικῶν ὀργάνων. Cfr. Kühn III 525 et passim.
35
De usu part. (Kühn III 525): οὗτος (scil. ὁ λάρυγξ) [...] αὐτὸ τό πρῶτόν τε καὶ
κυριώτατόν ἐστι τῆς φωνῆς ὄργανον. Cfr. IV 278, V 231 et passim.
36
Comm. in Hipp. de hum. (Kühn XVI 204): ἡ μὲν φωνὴ ἔργον ἐστι τῶν φωνητικῶν
ὀργάνων [...] φωνητικὰ δὲ ὄργανά ἐστι λάρυγξ καὶ οἱ κινοῦντες αὐτὸν μύες καὶ
νεῦρα, ὅσα τὴν ἐξ ἐγκεφάλου παρακομίσει τούτοις δύναμιν. Cfr. Kühn VIII 50
et passim.
37
De usu part. (Kühn IV 277-8): ἡ φωνὴ δὲ ὅτι κυριώτατον ἁπάντων ἐστὶ τῶν ψυχι-
κῶν ἐνεργειῶν, ἀγγέλλουσα τὰς τοῦ λογισμοῦ νοήσεις, ἐχρῆν δήπου καί ταύ-
την δημιουργεῖσθαι δι’ ὀργάνων ἐξ ἐγκεφάλου νεῦρα δεχομένων [...] ὁ λάρυ-
γξ ἐστὶ τὸ πρῶτόν τε καὶ κυριώτατον ὄργανον φωνῆς, ἐκ τριῶν μὲν συγκείμε-
νον χόνδρων, ἔχον δ’ ἐν αὐτῷ μέσῳ τὴν ἐπιγλωττίδα, καὶ μῦς εἴκοσί που σχε-
δὸν ὑπερετοῦντας εἰς τοῦτο, πάρεστί σοι σκοπεῖν, ὅπως αὐτοῖς ἅπασιν ἠ φύσις
ἔνειμεν ἐξ ἐγκεφάλου νεῦρα.
43
Studi di fonetica greca
38
Per la storia di questo concetto cfr. Gernet (1983).
39
Cfr. Cornford (1912) e, dello stesso autore, Cornford (1958). Questa soluzione è stata di
recente e con più equilibrio riproposta da von Fritz (1971: 1-326).
40
Havelock (1973: 30).
44
Capitolo 2. ‘Voce’ e ‘voce articolata’
41
Il ruolo di Omero nei confronti della tradizione scientifica greca è tuttavia innegabi-
le; cfr. Mugler (1963). L’autore dimostra che molti dei principali concetti della fisica e
della cosmologia posteriori hanno la loro origine in Omero: «on peut donc dire que
la pensée cosmologique et physique des grecs a été determinée pendant des siècles par
des aptitudes et des représentations relatives à la nature qui étaient pré-sentes déjà dans
l’humanité homérique et qui se sont conservées avec une singulière fidélité à travers l’hi-
stoire» (Mugler, 1963: 232). Sulla stessa linea, ma con ben diversa attendibilità critica e
filologica, si muove Onians (1954).
42
Ampia documentazione in Buffière (1956); Lo Schiavo (1983).
43
Cfr. Arist. Hist. an. Γ 513 b 24-28. Nel De anima Aristotele citerà Omero come
precursore di Empedocle (404 a 27-30) e di Democrito (427 a 19-26).
44
Cfr. Plat. Resp. Ι 599 c.
45
Studi di fonetica greca
45
Hdt. Hist. 1, 85; 2, 57. Particolarmente interessante dal nostro punto di vista è 2, 57,
ove αὐδάω indica il parlare degli ‘uomini’ (cioè delle popolazioni grecofone), in con-
trapposizione al parlare dei barbari, indicato da φθέγγομαι e paragonato per la sua
incomprensibilità al cinguettio degli uccelli.
46
«Le système des noms-racines à suffixe zero apparaît en grec comme une survivance en
voie de disparition», Chantraine (1933: 5).
47
Questa accezione di φθέγγομαι è comune a partire dal V sec. a. C., in poesia (Soph.
Oed. Col. 1609, Eur. Iph. Aul. 9, Ar. Av. 1198), ma soprattutto in prosa (Plat. Phil.
18 b-c; il confronto con Thaet. 203 prova che Platone usa già φθόγγος nel senso di
ψόφος, et passim). A partire dall’Inno ad Ermes (484), i derivati di φθέγγομαι sono
usati per indicare il suono degli strumenti musicali. Questa accezione diverrà tecnica
con Aristosseno, che chiama φθόγγος la nota musicale ( El. Harm. A 15). Φθέγγο-
μαι è inoltre regolarmente usato a proposito della voce non significativa, o considerata
facendo astrazione dai suoi contenuti significativi (cfr. Hdt. 2, 57; Plat. Crat. 434 ,e
Soph. 238 b; Arist. Met. Γ 1008 a 9-10; et passim).
46
Capitolo 2. ‘Voce’ e ‘voce articolata’
48
ἐκαλέσσατο φωνῇ (Il. Γ 161).
49
ἀοιδιάουσ’ ὀπὶ καλῇ (Od. ε 61; cfr. ibid. κ 221, ω 60, Il. Α 604).
50
Cfr. Fournier (1946a: 46).
47
Studi di fonetica greca
2.3 αὐδή
Ad αὐδή appartiene una controversa storia interpretativa. Secondo la mag-
gior parte degli scoliasti, αὐδή significherebbe “voce umana”, in esplicita
51
ἔπος ηὔδα: Il. Ζ 54, Κ 337, 461 et passim; ἔπεα πτερόεντα προσηύδα: Il. Α 201, Β 7,
Δ 312, 369 et passim.
48
Capitolo 2. ‘Voce’ e ‘voce articolata’
52
Si tratta di un’ipotesi sorta soprattutto in relazione all’aggettivo ἀυδήεις. In quattro
delle sette occorrenze totali (Od. κ 136, λ 8, μ 150, 449) ἀυδήεις è infatti attestato nella
clausola δεινὴ θεὸς αὐδήεσσα (con la variante βροτὸς αὐδήεσσα in Od. ε 334). Si è
così ipotizzato che θεὸς αὐδήεσσα indichi “une déesse posséedant le langage hurnaine
par opposition à celui des dieux” (Chantraine, 1968, s.v. αὐδή). Tale formula è tuttavia
usata solo in relazione a Circe e Calipso, che non sono divinità olimpiche ma ninfe; e
in una ninfa delle acque, Leucotea, verrà trasformata Ino, la βροτὸς αὐδήεσσα di cui
in Od. ε 334. Ora, in Od. ζ 125 il genere degli uomini dotati di parola (ἀνθρώπων
αὐδήεντων) viene contrapposto al popolo delle Ninfe, che si esprimono solo per mezzo
di grida inarticolate (ibid., 122-123). L’opposizione marcata da ἀυδήεις (αὐδήεσσα) non
è dunque tra voce umana e voce divina, ma tra uomini dotati di linguaggio e ninfe che
ne sono generalmente prive. La conclusione è che ἀυδήεις non significa “dotato di voce
umana” ma “dotato di voce articolata”.
53
Cfr. Clay (1974: 129-134), seguita da Hainsworth (1982: 175).
54
Questa interpretazione è invece rifiutata da H. Ebeling (“deorum vox non differt ab
humana nisi gradibus”; Ebeling, 1885, s.v. ἀυδή), e da H. Schmidt, che la definisce
“phantastische Erklärung der Scholiasten” (Schmidt, H., 1886: 46).
55
θεῷ (θεοῖς) ἐναλίγκιος αὐδῇ: Il. Τ 250, Od. α 371, ι 4.
49
Studi di fonetica greca
, 56 sono “simili agli dei per αὐδή”, è evidente che αὐδή non può significare
“voce umana” in esplicita contrapposizione alla voce divina.
Infine: l’interpretazione di “voce umana” è proponibile solo a patto che
αὐδή non venga mai usato in situazioni di colloquio tra due divinità. Ma
nel quarto libro dell’Odissea Penelope supplica Atena di rivelarle le sorti di
Odisseo dicendo: «se sei dea, e ascolti (meglio: comprendi) l’αὐδή degli dei,
dimmi almeno la sorte di quel misero».57 A questo punto nessun dubbio:
αὐδή non significa “voce umana”.
Resta ora da stabilire quale sia il reale significato di αὐδή. La prima
cosa da osservare è che tanto il sostantivo quanto i suoi derivati indicano
esclusivamente il linguaggio 58 (di dei, uomini, animali parlanti). “Voce
linguistica” sembra dunque la più plausibile tra le interpretazioni finora
proposta per αὐδή. 59 Cercheremo ora di dimostrare che αὐδή significa, più
in particolare, voce articolata.
56
La formula è riferita in Il. Τ 250 all’araldo Taltibio, in Od. α 371, ι 4 a Fernio e De-
modoco, aedi di professione. Messaggeri, oratori, consiglieri e aedi sono in più luoghi e
formule detti “divini”. Sul ruolo del κῆρυξ nella società greca arcaica cfr. Mondi (1968).
Può essere interessante osservare che κῆρυξ, in greco ‘araldo’, deriva da una radice in-
doeuropea che ha dato in altre lingue esiti con il significato di ‘cantore’ (cfr. Chantraine,
1968, s.v. κῆρυξ).
57
εἰ μὲν δὴ θεὸς ἐσσι, θεοῖό τε ἔκλυες αὐδῆς / εἰ δ’ ἄγε μοι καὶ κεῖνον ὀϊζυρὸν
κατάλεξον, / ἤ που ἔτι ζώει καὶ ὀρᾷ φάος ἠελίοιο, / ἦ ἤδη τέθνηκε καὶ εἰν ᾿Αΐδαο
δόμοισι. (Od. δ 831-834).
58
Salvo che in Od. φ 411, in cui αὐδή indica la voce di un uccello, la rondine (χελιδών).
Questo apparente controesempio è in realtà la miglior prova che αὐδή significa “voce
articolata”, e che Omero è maestro della tradizione scientifica posteriore. Erodoto (2,
2) paragona infatti la voce articolata ma incomprensibile dei barbari al cinguettio degli
uccelli; e proprio alla rondine Eschilo paragona la straniera Cassandra (χελιδόνος δί-
κην / ἀγνῶτα φωνὴν βάρβαρον κεκτημένη; Agam. 1050-1). La tradizionale metafora
del linguaggio degli uccelli troverà infine la sua giustificazione scientifica con Aristotele,
che attribuisce voce articolata (διάλεκτος) non solo all’uomo, ma anche ad alcuni uc-
celli (cfr. Hist. an. Δ 536 a 20-32, Pan. an. Β 660 a 29-36). Αὐδή è pertanto usato in
Omero in tutte le accezioni che saranno poi proprie di διάλεκτος.
59
«αὐδή. Loquendi facultas quae inest in corpore [...] sermo, oratio» (Ebeling, 1885, s.
v.); «Rede, Fähigkeit zu sprechen» (Snell, 1955, s. v.). «αὐδή est aussi la parole articulée,
la voix douée de sens, le langage» (Fournier, 1946a: 29).
50
Capitolo 2. ‘Voce’ e ‘voce articolata’
60
Per l’equivalenza funzionale di queste tre denominazioni del cuore cfr. Böhme
(1929: 6, 63-65). Alle medesime conclusioni giunge Jahn (1987), che osserva tuttavia
correttamente come l’ἦτορ sia la parte più interna del cuore (pp. 16-18).
61
Cfr. Gli organi della vita secondo Omero, in Laspia (1993: 178-182).
51
Studi di fonetica greca
62
Questa deduzione è confortata dalla funzionalità dei verbi appartenenti alla famiglia di
αὐδή, in particolare da ἐξαυδάω. Cfr. la formula ἐξαύδα, μὴ κεῦθε νόῳ, ἵνα εἴδωμεν
ἄμφω (Il. Α 363, Ρ 19).
63
Questa conclusione è appoggiata da Od. ε 456, ove si descrive Odisseo, che dopo un
naufragio giace sulla riva ἄπνευστος καὶ ἄναυδος: l’αὐδή viene pertanto associata ai
processi respiratori. Primo responsabile di questi processi è, in Omero come in Aristo-
tele, il cuore. Odisseo si trova infatti in questo stato perché “il suo cuore era vinto dal
mare” (ἀλὶ γὰρ δέδμητο φίλον κῆρ; Od. ε 454).
64
φρένες ἔρχαται ἀμφ’ ἀδινὸν κῆρ (Il. Π 481).
65
ἐν δέ τέ οἱ κραδίῃ στένει ἄλκιμον ἦτορ. (Il. Y 169).
52
Capitolo 2. ‘Voce’ e ‘voce articolata’
2.4 φωνή
Tra tutte le denominazioni omeriche della voce, φωνή è quella più marcata-
mente fisiologica. Φωνή è infatti l’unico tra i termini qui studiati che non
indichi mai la voce come percetto acustico. Al confronto con analoghi passi
formulari che utilizzano αὐδή o φθογγή, le formule con φωνή sembrano
porre il possesso di voce sullo stesso piano di quello di una parte del corpo.66
Gli attributi che si accompagnano più spesso a φωνή sono infine del tipo
di θαλερή,67 ἄρρεκτος 68 e ἀτειρής.69 Di questi, il primo ha un’esplicita
connotazione corporea, come indica il suo uso in ambito sessuale,70 mentre
gli altri due mettono l’accento sulla continuità della voce, proprietà che
dipende dall’organo delegato alla sua produzione.71
Già gli elementi fin qui esaminati inducono a sospettare una forte conti-
nuità di significato tra la φωνή omerica e la φωνή della tradizione scientifica
posteriore. La φωνή delle epoche successive non è tuttavia mai definita per
sé, ma sempre e solo in relazione alla διάλεκτος. Ora, in un passo formu-
lare che è anche l’atto di nascita del moderno termine ‘afasia’, l’ἀμφασίη
ἐπέων (“incapacità di proferir parola”) è messa in diretta dipendenza con
66
Si tratta delle formule in cui una divinità si finge un certo personaggio. Mentre le for-
mule con φθογγή non contengono menzione dell’aspetto visivo (Il. Β 791, Ν 216) ed
è pertanto presumibile che il personaggio venga identificato solo tramite il suono della
voce, le formule con αὐδή contengono δέμας (Od. β 268, 401, χ 206, ω 503, 548), ma
riguardano esclusivamente Atena che si finge Mentore, consigliere di Telemaco: esse ri-
guardano dunque non la voce ma le capacità linguistiche. Le formule con φωνή infine
sono le più numerose (Il. Ν 45, Ρ 555, Υ 81, Χ 227, Ψ 65-7, Od. τ 381), e contengono,
oltre a δέμας, nomi di parti del corpo come ὄμματα (Ψ 66) o πόδας (τ 381).
67
Solo nella formula θαλερή οἱ ἔσχετο φωνή (Il. Ρ 696, Ψ 397, Od. δ 705, τ 472).
Anche in questa formula φωνή è accompagnato dalla menzione di organi e processi
fisiologici (τὼ δέ οἱ ὄσσε δακρύοφι πλῆσθεν).
68
Il. Β 490.
69
Ν 45, Ρ 555, Χ 227.
70
“Il fiorente sposo”, “la fiorente sposa” (Il. Γ 53, Ζ 430 et passim). Θαλερός è anche
attributo di parti del corpo, come una chioma (Il. Ρ 439), il grasso (Od. θ 476), o le
cosce di Ares (Il.Ο 113), ed è formulare a proposito delle lacrime (Il. Β 266, Ζ 469 et
passim).
71
Cfr. Il. Β 490.
53
Studi di fonetica greca
72
δὴν δέ μιν ἀμφασίη ἐπέων λάβε, τὼ δέ οἱ ὄσσε / δακρύοφι πλῆσθεν, θαλερή οἱ
ἔσχετο φωνή (Il. Ρ 695-696).
73
῞Ως φάτο, τῆς δ’αὐτοῦ λύτο γούνατα καὶ φίλον ἦτορ, / δὴν δέ ἀμφασίη ἐπέων
λάβε, τὼ δέ οἱ ὄσσε / δακρύοφι πλῆσθεν, θαλερή οἱ ἔσχετο φωνή (Od. δ 703-705).
Queste formule sono ampliamenti del nucleo formulare τὼ δέ οἱ ὄσσε / δακρύοφι
πλῆσθεν, θαλερή οἱ ἔσχετο φωνή (Od. τ 472).
74
Questo valore di φωνή è confermato dalla funzionalità dei verbi appartenenti alla fa-
miglia, e in particolare dalla formula οὐδὲ τί μιν προσεφώνεον οὐδ’ ἐρέοντο (Il. Α
333, Θ 445).
54
Capitolo 2. ‘Voce’ e ‘voce articolata’
55
Studi di fonetica greca
2.5 *ὄψ
La più evidente differenza di *ὄψ rispetto ad αὐδή e φωνή consiste nell’enor-
me varietà dei suoi usi, che includono la voce animale e umana, linguistica
e inarticolata. È pertanto difficile delimitare il preciso ambito di significa-
to di questa parola: secondo la maggior parte degli studiosi, esso sarebbe
comunque da individuare in una particolare valenza emotiva di *ὄψ. 75
La tesi che fa di *ὄψ la voce degli affetti non è implausibile, ma andrebbe
forse più precisamente riformulata. Più che come intima espressione del
sé, la *ὄψ sembra infatti in Omero rappresentata come una forza che agisce
sull’animo dell’ascoltatore.76 La natura e i mezzi di quest’azione appaiono
tuttavia notevolmente diversi da caso a caso. Si va dal turbamento prodotto
da gemiti e grida inarticolate 77 alla comprensione del linguaggio, rappresen-
tata come un “tener dietro alla voce”.78 Da riguardare attentamente è infine
la gamma di attributi che si accompagnano ad *ὄψ. Tra di essi il più notevole
è καλή, formulare nella clausola ἀειδούσης (ἀοιδιάουσ’) ὀπὶ καλῇ.79 *῎Οψ
è dunque la “bella voce” per antonomasia: ed è la “voce che canta”. La voce
75
«*ὄψ, in eigentümlicher und wohl ursprünglichster Bedeutung, ist die (menschliche)
Stimme, die den inneren Affekt offenbart» (Schmidt, 1886: 41). Anche Fournier rende
*ὄψ con “voix émouvante” e ne sottolinea le “nuances affectives” (1886: 228).
76
Cfr. p. es. Il. Ξ 150-152 (τόσση ἐκ στήθεσφιν ὄπα κρείων ἐνοσίχθων / ἧκεν· ᾿Αχα-
ιοῖσιν δὲ μέγα σθένος ἔμβαλ’ ἑκάστῳ / καρδίῃ, ἄλληκτον πολεμίζειν ἠδὲ μάχε-
σθαι), Σ 222-223 (οἱ δ’ ὡς οὖν ἄϊον ὄπα χάλκεον Αἰακίδαο / πᾶσιν ὀρίνθη θυμός),
Χ 451-452 (αἰδοίης ἑκυρῆς ὀπὸς ἔκλυον, ἐν δ’ ἐμοὶ αὐτῇ / στήθεσι πάλλεται ἦτορ
ἀνὰ στόμα, νέρθε δὲ γοῦνα / πήγγυται· ἐγγὺς δή τι κακὸν Πριάμοιο τέκεσσιν).
77
Cfr. Il. Χ 451, Od. λ 421 et passim.
78
Nella formula ῞Ως φαθ’ ὁ δὲ ξυνέκε θεᾶς ὄπα φωνησάσης (Il. Β 182, Κ 512, Υ 380).
Cfr. Snell (1922: 40-46); e, dello stesso autore, Snell (1978a: 35-36).
79
Od. ε 61, κ 221.
56
Capitolo 2. ‘Voce’ e ‘voce articolata’
delle Muse è infine in Omero sempre e solo indicata con *ὄψ.80 Occorre ora
interrogarsi sul reale significato dell’espressione “bella voce”.
Una “bella voce” non è per Omero tale solo perché gradevole all’orec-
chio: è bella per quello che dice. La voce delle Muse non è infatti espressione
di un piacere fine a se stesso, ma rappresenta l’istruzione e l’eternarsi della
memoria collettiva.81 Un simile riferimento ai contenuti comunicativi della
voce è presente anche in altri attributi di *ὄψ. Così è descritto ad esempio un
tentativo inutile di persuasione: «dissero con parole di miele; ma udirono
(in risposta) una *ὄψ senza miele».82
Tra tutte le parole omeriche qui studiate, *ὄψ è dunque quella che più
da vicino rappresenta la voce nella sua capacità di significare. Questa capacità
è rappresentata come un’azione della voce sull’animo dell’ascoltatore, 83 i cui
effetti spaziano tra turbamento emotivo e rappresentazione linguistica, così
come *ὄψ indica senza alcuna distinzione voce e linguaggio. *῎Οψ rappre-
senta pertanto un sincretismo dei valori veicolati dalla coppia φωνή/αὐδή .
Un’ipotesi plausibile è che in questa antichissima parola si esprima la prima
intuizione greca del concetto di “voce significativa”, anteriore alla distinzio-
ne “voce/voce articolata”. Questa ipotesi andrà ora verificata sul terreno
delle descrizioni articolatorie.
La produzione fisiologica di *ὄψ è descritta con un’espressione non for-
mulare in senso stretto, ma nondimeno ricorrente. Prescindendo da modi,
80
Il. Α 604, Od. ω 60.
81
Cfr. Havelock, Preface (1963: 90-94, 101 e note relative).
82
῞Ως τὼ γε κλαίοντε προσαυδήτην βασιλῆα / μελιχίοις ἐπέεσσιν- ἀμείλικτον δ’
ὄπ’ ἄκουσαν (Il. Λ 136-137); λισσόμενος ἐπέεσσιν, ἀμείλικτον δ’ ὄπ’ ἄκουσε (Il.
Φ 98).
83
Questa valenza di *ὄψ è alla base dei concetti greci di “persuasione” e “retorica”. Cfr.
Gorgia, Encomio di Elena (82 B 11 DK): λόγος γὰρ ψυκὴν ὁ πείσας, ἠνάγκασε καὶ
πιθέσθαι τοῖς λεγομένοις καὶ συναινέσαι τοῖς ποιουμένοις (II, 292). Ancor più
interessante ai nostri fini Aristotele, secondo cui la retorica si serve, per persuadere, pro-
prio dei tratti interni della voce: ἔστιν δὲ αὕτη (sc. ἡ ῥητορική) μὲν ἐν τῇ φωνῇ, πῶς
αὐτῇ δεῖ χρῆσθαι πρὸς ἕκαστον πάθος, οἷον πότε μεγάλῃ καὶ πότε μικρᾷ καὶ
μέσῃ, καὶ πῶς τοῖς τόνοις, οἷον ὀξείᾳ καὶ βαρείᾳ καὶ μέσῃ, καὶ ῥυθμοῖς τίσι πρὸς
ἕκαστα (Rhet. Γ 1403 b 26-30), e in particolare del ritmo e della prosodia (Rhet. Γ 1408
b 21-1409 a 21).
57
Studi di fonetica greca
tempi e persone verbali, essa suona così: ὄπα ἱέναι ἐκ στήθεος.84 Vediamo
ora più precisamente che cosa significa questa espressione. Frequentissimo
in Omero, ἵημι all’attivo ha significato transitivo, e significa ‘mandare’, ‘fare
andare’, e di qui ‘lanciare’, ‘scagliare’: 85 : questo verbo è formulare nelle
espressioni che descrivono la traiettoria delle frecce. 86 La *ὄψ viene dunque
scagliata, come una freccia, dall’interno del petto (ἐκ στήθεος); l’organo
produttore di *ὄψ deve essere pertanto in grado di esercitare una forza. Ma
nel petto è posto, come sappiamo, il principio stesso della forza vitale, così
come del linguaggio e del pensiero. Tale principio ha sede nell’ἦτορ. Dal
punto di vista fisiologico, *ὄψ è dunque la stessa cosa di φωνή.
Una sinonimia tra *ὄψ e φωνή è sostenibile anche sul piano puramente
lessicale. In Il. Σ 219-223 i due termini vengono liberamente sostituiti l’uno
all’altro; 87 mentre in Il. Γ 221-223 la descrizione delle abilità oratorie di
Odisseo, che scaglia dal petto “una voce possente, e parole fitte come fiocchi
di neve invernale”,88 richiama da vicino Il. Β 489-490.
Viene così ad evidenziarsi la principale aporia implicita nell’uso di *ὄψ.
In alcuni contesti *ὄψ è usato come αὐδή, in altri come φωνή; ma gli impie-
ghi di φωνή e di αὐδή non hanno nulla in comune fra loro.89 Una possibile
soluzione del problema è indicata dall’evidente arcaicità di *ὄψ. Certamen-
te più antico di αὐδή e di φωνή, *ὄψ potrebbe esprimere una primitiva
84
Il. Γ 152, 221, Ξ 150-151, Od. μ 192.
85
Usato in relazione a φωνή, (ἀφ)ιημι indicherà dopo Omero l’atto fisiologico di produ-
zione della voce, in sede tecnica (cfr. Ar. Hist. an. Δ 535 a 31-32, 535 a 20, et passim), e
nel linguaggio informale (cfr. Hdt. 2, 2; Aesch. Coeph. 563, et passim). *῎Οψ ricopre
dunque in Omero valenze che saranno poi proprie di φωνή.
86
Cfr. Il. Α 48, 382 et passim.
87
ὡς δ’ ὅτ’ ἀριζήλη φωνή, ὅτε τ’ἴαχε σάλπιξ / ἄστυ περιπλομένων δηΐων ὕπο θυ-
μοραϊστέων / ὡς τότ’ ἀριζήλη φωνὴ γένετ’ Αἰκίδαο. / οἱ δ’ὡς οὖν ἄϊον ὄπα
χαλκέον Αἰκίδαο, / πᾶσιν ὀρίνθη θυμός.
88
ἀλλ’ ὄτε δὴ ὄπα τε μεγάλη ἐκ στήθεος εἴη / καὶ ἔπεα νιφάδεσσιν ἐοικότα
χειμερίῃσιν / οὐκ ἂν ἔπειτ’ ᾿Οδυσῆΐ γ’ ἐρίσσειε βροτὸς ἄλλος.
89
La sinonimia tra αὐδή e φωνή è sostenuta in Bartonek (1959: 67-76). Più che dimostra-
ta, la tesi sembra dall’autore assunta a priori. Le uniche prove a suo favore riguardano le
formule apparentemente equivalenti con alternanza di αὐδή e φωνή; ma si è visto che
in esse i due sostantivi ricoprono valori diversi.
58
Capitolo 2. ‘Voce’ e ‘voce articolata’
90
Cfr. Il. Ω 169-170, Od. Ξ 492.
91
Cfr. Il. Λ 602-603, Φ 212-213 et passim.
92
Cfr. Od. ι 256-257. Su questo passo si veda Kaimio (1977: 42).
59
Studi di fonetica greca
93
Una simile accezione, mantenuta da φθέγγομαι in epoca classica, è attestata anche
per ψόφος, termine postomerico che a partire da Aristotele diventerà la designazione
tecnica del suono non-vocale (cfr. Ar. Ran. 492: ψόφος ῥημάτων; Plat. Crat. 434 e).
Ciò fa supporre che in Grecia il concetto di ‘suono’ si sia originato da quello di ‘voce’, e
non viceversa. Quest’ipotesi è suffragata dalla mancanza di una denominazione unitaria
del suono in Omero; cfr. Laspia, Il vocabolario del suono in Omero, in Laspia (1993:
189-251).
94
ἐξ ὕπνου ἀνέγειρε Γερήνιος ἱππότα Νέστωρ / φθεγξάμενος (Il. Κ 138-149).
95
ἀνέγειρε [. . .] ποσὶ κινήσας (ibid. 157-158).
96
μηδὲ πρὶν ἀπόπαυε τεὸν μένος, ἀλλ’ ὁποτ’ ἂν δὴ / φθέγξομ’ ἐγὼν ἰάχουσα, τότε
σχεῖν ἀκάματον πῦρ (Il. Φ 340-341).
97
Od. μ 39-54; 181-200; ψ 326 (narrazione dell’episodio a Penelope).
98
Od. μ 52, 160, 185, 187.
99
Od. μ 41, 159; ψ 326.
100
Od. μ 198. Φθογγή indica in questo passo la voce delle Sirene divenuta inudibile a
causa della distanza; si tratta dunque, come di consueto, di una descrizione degli aspetti
acustici della voce.
60
Capitolo 2. ‘Voce’ e ‘voce articolata’
invece φθόγγος. Per far ciò occorre tener conto di un elemento importante:
l’episodio delle Sirene è prima preannunciato da Circe, poi vissuto in prima
persona da Odisseo, ed infine narrato da Odisseo a Penelope.
Quando le Sirene parlano in prima persona della loro voce, il sostantivo
usato è soltanto *ὄψ. Esse invitano Odisseo ad avvicinarsi, promettendo
che, dopo aver ascoltato la loro *ὄψ, egli si allontanerà «avendo goduto,
e sapendo più cose» (τερψάμενος καὶ πλείονα εἰδώς); 101 le Sirene infatti,
come le Muse, «vedono/sanno tutto ciò che accade sulla terra nutrice di
molti» (ἴδμεν δ’ ὅσσα γένηται ἐπὶ χθονὶ πολυβοτείρῃ). 102 Le Sirene pro-
mettono dunque ad Odisseo non soltanto piacere, ma anche e soprattutto
sapere. Circe invece chiama la voce delle Sirene di preferenza φθόγγος,103
e mette in guardia Odisseo circa i suoi effetti, chiamandoli ‘incantamento’
e ‘inganno’.104 Di eventuali contenuti conoscitivi della voce delle Sirene,
Circe non fa menzione; e nello stesso modo si comporta Odisseo nella sua
narrazione a Penelope.
Vero e proprio controcanto negativo delle Muse,105 le Sirene rappresen-
tano dunque il primo germe di quella sfiducia nei valori conoscitivi della
poesia che troverà compiuta espressione in Esiodo.106 Quel che le Sirene
vogliono far credere chiamando la propria voce *ὄψ, è che esse sono in grado
di dilettare e di istruire come le Muse. Nel ribattezzarla φθόγγος, Circe
rappresenta invece questa voce come un suono privo di significato. Tra *ὄψ
e φθόγγος sussiste pertanto un’opposizione basata sul tratto “voce signifi-
101
Od. μ 188.
102
Od. μ 191; cfr. Il. Β 485-486: “ ῎Εσπετε νῦν ποι, Μοῦσαι, ᾿Ολύμπια δώματ’ ἔχουσαι
/ ὑμεῖς γὰρ θεαί ἐστε, πάρεστέ τε ἴστέ τε πάντα”.
103
Circe usa *ὄψ solo in μ 52, dove la voce è descritta dal punto di vista dei suoi effetti
sull’ascoltatore (ὄφρα κε τερπόμενος ὄπ’ ἀκούσῃς Σειρήνοιϊν): e raccomanda ad
Odisseo di farsi legare alla nave, se non vuole che il fascino sprigionato dalla voce delle
Sirene porti alla perdizione lui e i suoi compagni.
104
Questi significati si esprimono in θέλγω, reso nell’Etymologicum Magnum (152, 40)
con ἀπατῶ καὶ σκοτίζω. Sul valore di questo verbo si veda più ampiamente Marsh
(1979).
105
Cfr. J. Pollard, Muses and Sirens, in «Classical Review», LXVI (1952), pp. 60-63.
106
ἴδμεν ψεύδεα πολλὰ λέγειν ἐτύμοισιν ὁμοῖα / ἴδμεν δ’ εὖτ’ ἐθέλωμεν ἀληθέα
γηρύσασθαι dicono le Muse a Esiodo in Theog. 28-29.
61
Studi di fonetica greca
2.7 Conclusioni
Un capitolo importante della riflessione greca sul linguaggio nasce insieme
al binomio “voce/voce articolata” (φωνή/διάλεκτος). Le principali tappe
della sua storia sono state individuate nei modelli biologici di Ippocrate,
Aristotele e Galeno. Per ciascuno di questi tre autori, la διάλεκτος è φωνή
articolata per mezzo della lingua. La διάλεκτος è dunque rappresentata
come un insieme di operazioni articolatorie il cui supporto necessario è la
φωνή. La φωνή è invece in diretta relazione con l’organo del pensiero: il
cervello (Ippocrate, Galeno) o il cuore (Aristotele). Poiché la voce proviene
dall’organo del pensiero, su di essa si fonda la possibilità del significare. La
distinzione “voce/voce articolata” non è dunque, strictu sensu, fonetica, ma
linguistica in senso lato.
La distinzione “voce/voce articolata” ha la sua origine in Omero. Una
prima ricognizione del lessico dei poemi omerici stabilisce infatti la presenza
di parole che: 1. individuano un ambito vasto, o addirittura potenzialmente
illimitato di fenomeni vocali; 2. sono usate in descrizioni acustiche e/o
articolatorie della voce e del linguaggio. Simili proprietà sono possedute in
Omero unicamente dalle famiglie di αὐδή, *ὄψ, φωνή e φθέγγομαι. Qui
sono dunque da cercare gli eventuali antenati dei concetti di “voce” e “voce
articolata”.
Un’analisi delle descrizioni articolatorie di αὐδή e φωνή permette di
evidenziare un perfetto parallelismo tra Omero e le posteriori definizioni di
voce e voce articolata. Αὐδή indica solo prodotti vocali articolati, e “scorre
dalla lingua”; la sua sede prima è tuttavia nel petto, che racchiude cuore
(ἦτορ-καρδία) e φρένες, organi in Omero delegati alle funzioni cognitive.
La φωνή è prodotta direttamente dall’ἦτορ; ma presuppone dopo di sé,
62
Capitolo 2. ‘Voce’ e ‘voce articolata’
107
ἐξ ἀρχῆς καθ’ ῞Ομερον ἐπεὶ μεμαθήκασι πάντες (Senofane, 21 B 10 DK).
63
Capitolo 3
3.1
«Le parole e la melodia Alcmane trovò dopo aver ascoltato l’articolato canto
delle pernici».1 Con queste parole inizia la storia ufficiale di un fortunato
topos letterario greco: quello del linguaggio degli uccelli, accomunati agli
uomini per le loro speciali abilità fonatorie. L’atto di nascita di questo sin-
golare gemellaggio è in realtà ancor più antico. Già Omero infatti attribuiva
voce articolata non solo alle divinità e all’uomo, ma anche ad alcuni uccelli.2
La voce articolata è, in particolare, attribuita da Omero all’usignolo, ossia a
Procne, trasformata da Zeus in uccello dopo aver ucciso il figlio Itilo.3 E nel
canto dell’usignolo gli antichi, da Omero in poi, credettero di riconoscere
1
Alcm. 92 D: ἔπη δὲ γε καὶ μὲλος ᾿Αλκμάν/εὗρε γεγλωσσαμένον/κακκαβίζων
στόμα συνθέμενος. Sul passo si veda Lanata (1963: 41-2), la cui traduzione riportiamo.
Insostenibile ci sembra invece la posizione contraria di Marzullo 1955.
2
Cfr. Laspia 1996b.
3
Per un’analisi del mito cfr. Schroeder 1926 e Loraux 1990: 57-66.
Studi di fonetica greca
4
Od. τ 518-22: ὡς δ’ ὅτε Πανδαρέου κούρη, χλωρηῒς ἁηδών/καλὸν ἁείδῃσιν ἔαρος
νέον ἱσταμένοιο/δένδρεον ἐν πεταλοῖσι καθεζομένη πυκινοῖσι/ἥ τε θαμὰ τρω-
πῶσα χέει πολυηχέα φωνήν,/παῖδ’ ὀλοφυρομένη ῎Ιτυλον φίλον [...]. Cfr. Aesch.
Agam. 1142-5: οἷά τις ξουοὰ/ἀκόρετος βοᾶς, φεῦ, φιλοίκτοις φρεσὶν/῎Ιτυν ῎Ιτυν
στένουσ’ ἀμφιθαλῆ κακοῖς/ἀηδὼν βίον . Soph. El. 147-9: ᾿Αλλ’ ἐμέ γ’ ἁ στο-
νόεσσ’ ἄραρεν φρένας,/ᾶ ῎Ιτυν, αἰὲν ῎Ιτυν ὁλοφύρεται,/ὅρνις ἀτυζόμενα, Διὸς
ἄγγελλος. Eur. fr. 773, 23-6 Nauck: μέλπει δ’ ἐν δένδρεσι λεπτὰν/ἀηδὼν ἁρμο-
νὶαν/ὀρθρευομένα γόοις/᾿Ιτυν ῎Ιτυν πολύθρηνον. Per un resoconto più completo
sulla tradizione postomerica rimandiamo a Spatafora 1995.
5
Cfr. De Martino 1975: 195-235 e Alexiou 1974.
6
Plut. De sollert. anim. 20 p. 974 A (68, 13, 154 DK): γελοῖοι δ’ ἰσως ἐσμὲν ἐπὶ τῶι
μανθάνειν τὰ ζῶια σεμνύνοντες, ὧν ὁ Δημόκριτος ἀποφαίνει μαθητὰς ἐν τοῖς
μεγίστοις γεγονότας ἡμᾶς· ἀράχνης ἐν ὑφαντικῆι καὶ ἀκεστικῆι, χελιδόνος ἐν
οἰκοδομίαι, καὶ λιγυρῶν, κύκνου καὶ ἀηδόνος, ἐν ὠιδῆι κατὰ μίμησιν.
7
Her. IΙ, 57: πελειάδες δέ μοι δοκέοσι κληθῆναι πρὸς Δωδωναίων ἐπὶ τοῦδε αἱ
γυναῖκες, διότι βάρβαροι ἦσαν, ἐδόκεων δέ σψι ὁμοίως ὄρνισι φθέγγεσθαι, με-
τὰ δὲ χρόνον τὴν πελειάδα ἀνθρωπίνῃ φωνῇ αὐδάξασθαι λέγουσι, ἐπείτε συνε-
τά σφι ηὔδα ἡ γυνή· ἕως δὲ ἐβαρβάριζε, ὄρνιθος τρόπον ἐδόκεέ σφι φθέγγεσθαι
. «Credo che le donne siano state chiamate dai Dodonei colombe, perché non greco-
fone, e sembrava loro che facessero udire voci simili a quelle degli uccelli. Dicono poi
che dopo un certo tempo la colomba parlasse con voce umana, per il fatto che la donna
parlò loro in maniera comprensibile; finché infatti parlava una lingua straniera, la sua
voce sembrava loro quella di un uccello».
8
Aesch. Agam. 1050-1: ἀλλ’ εἵπερ ἐστὶ μή χελιδόνος δίκην/ἀγνῶτα φωνὴν
βάρβαρον κεκτημένη .
66
Capitolo 3. Il linguaggio degli uccelli
3.2
L’attribuzione di voce articolata agli uccelli diviene tema centrale di dibat-
tito quando si tratta di individuare lo specifico del linguaggio umano e la
sua differenza dai sistemi di comunicazione animale. Una delle possibili
chiavi di lettura di questo assunto è infatti che il linguaggio umano non
sia essenzialmente contraddistinto dalla sua organizzazione fonetica, ma
da caratteristiche operanti ad altri livelli del sistema. Così è stata, in effetti,
quasi unanimemente interpretata la posizione di Aristotele; ed il primo
ad avvalersi di una simile interpretazione è stato Walter Belardi. Dopo
aver sottolineato che la voce articolata (διάλεκτος) non è propria solo della
specie umana, «trovandosi anche sul versante ferino, sia pure in misura
minoritaria», lo studioso conclude: «dunque, nella teoria biopsicologica di
Aristotele, viene negato alla voce umana ogni carattere di specificità assoluta
e tolto ogni privilegio esclusivistico, in quanto lo specifico del linguaggio
umano va cercato altrove che nella voce: non nella fonazione e nemmeno
nell’articolazione, ma nella funzione simbolica» (Belardi 1975: 49 e 51).
Quasi con le medesime parole si esprime, pochi anni dopo, Wolfram
Ax: «Artikulation wäre nichts ausschließlich Menschliches und könnte
daher auch nicht den menschlichen λόγος differenzieren [.. . ]. Nicht, daß
das ὄνομα artikuliert ist, sondern, daß es ein σύμβολον ist, macht hier den
67
Studi di fonetica greca
9
Per spiegare la natura dei rapporti fra voce e significato in Aristotele, Ax (1978: 264)
rimanda all’alquanto invecchiata autorità di Steinthal (1890: 187): «jener (Aristoteles)
behauptet [. . .] daß die Laute nicht schon von sich selbst die Bedeutung, die Vorstel-
lung, in sich tragen, sondern dass erst das Denken sich die Laute als Zeichen anzueignen
hat. Ein Laut ist nicht durch sich selbst Wort, sondern wird es erst, wenn er von Men-
schen als Zeichen verwendet wird [...]. Dass aber und wie ein Laut zum Zeichen wird,
ist etwas ganz Subjektives, für den Laut Zufälliges».
10
«Since the function of the nervous system was not recognized in antiquity, the higher
cerebral functions could be thought as non physiological. It is in these features then that
we find man’s linguistic distinctiveness, a distinctiveness which goes beyond physiolo-
gical considerations and which, despite Aristotle’s view of a continuum among species,
separates man absolutely from the lower animals».
68
Capitolo 3. Il linguaggio degli uccelli
3.3
Il contributo degli Stoici al dibattito concernente i tratti distintivi del lin-
guaggio umano si riassume nella seguente testimonianza di Sesto Empirico:
E dicono che l’uomo non differisce dagli animali alinguistici per il lin-
guaggio esteriormente proferito (anche i corvi, e i pappagalli, e le gazze
proferiscono infatti voci articolate), ma per il linguaggio interiore; e non
per la sola capacità rappresentativa, ma per la rappresentazione transitiva
e compositiva. 11
Tramite questa testimonianza, la posizione stoica in merito al problema
che ci interessa è delineata in maniera chiara. L’uomo non differisce dagli ani-
11
Sextus, Adv. math. VIII, 275 (SVF II, 43): φασὶν ὅτι ἄνθρωπος οὐχὶ τῷ προφορικῷ
λόγῳ διαφέρει τῶν ἀλόγων ζῷων (καὶ γὰρ κόρακες καὶ ψιττακοὶ καὶ κίτται ἐνά-
ρθρους προφέρονται φωνάς) ἀλλὰ τῷ ἐνδιαθέτῳ, οὐδὲ τῇ ἁπλῇ μόνον φαντασίᾳ
(...) ἀλλὰ τῇ μεταβατικῇ καὶ συνθετικῇ.
69
Studi di fonetica greca
3.4
Aristotele definisce voce e voce articolata nel quarto libro dell’Historia ani-
malium; altre osservazioni sul tema sono contenute nel De anima, nel De
partibus animalium, nei Problemata, e qua e là altrove. Di queste definizio-
ni ci siamo già occupati in altra sede (Laspia 1995); ci limiteremo dunque
12
Per il valore concettuale della coppia - λόγος ἐνδιάθετος/λόγος προφορικός, e per
le sue successive riformulazioni nel mondo latino-cristiano, cfr. Lo Piparo 1988: 83-85.
13
Cfr. Diocles Magnes apud Diog. Laert. VII, 56 (SVF III, 213): λέξις δέ ἐστι κατὰ
τοὺς Στοϊκούς, ὥς φησιν ὁ Διογένες, φωνὴ ἐγγράμματος, οἷον ἡμέρα (...) δια-
φέρει δὲ φωνὴ καὶ λέξις, ὅτι φωνὴ καὶ ὁ ἦχός ἐστι, λέξις δὲ τὸ ἔναρθρον μόνον
(...) λέξις δὲ λόγου διαφέρει, ὅτι λόγος ἀεὶ σημαντικός ἐστι, λέξις δὲ καὶ ἀσή-
μαντος, οἷον ἡ βλίτυρι, λόγος δὲ οὐδαμῶς. διαφέρει δὲ καὶ τὸ λέγειν τοῦ προφέ-
ρεσθαι· προφέρονται μὲν γὰρ αἱ φωναί, λέγεται δὲ τὰ πράγματα, ἃ δὴ καὶ λεκτὰ
τυγκάνει.
70
Capitolo 3. Il linguaggio degli uccelli
14
Hist. an. 535 a 28-30: Φωνεῖ μὲν οὖν οὐδενὶ τῶν ἄλλων μορίων οὐδὲν πλὴν τῷ
φάρυγγι· διὸ ὅσα μὴ ἔχει πλεύμονα οὐδὲ φθέγγεται. Cfr. De an. B §8, 420 b 16
sgg.
15
Part. an. Γ 669 a 13-4: Τοῦ δ’ ἀναπνεῖν ὁ πλεῦμων ὄργανόν ἐστι, τὴν μὲν ἀρχὴν
τῆς κινήσεως ἔχων ἀπὸ τῆς καρδίας .
16
Cfr. De resp. 479 b 17-9: Τρία δ’ ἐστὶ τὰ συμβαίνοντα περὶ τὴν καρδίαν (...)
πήδησις καὶ σφυγμὸς καὶ ἀναπνοή.
17
Cfr. Gen. an. Δ 776 a 12-7: Τούτου δ’ ἀρχὴ καὶ τῶν φλεβῶν ἡ καρδία (...) ἡ ἀρχὴ
τῆς φωνῆς ἐντεῦθεν. ib. 787 b 27-8: (...) ἐκ τῆς φλεβὸς, ἧς ἡ ἀρχὴ ἐκ τῆς καρδίας
πρὸς αὐτῷ τῷ κινοῦντι τὴν φωνήν.
18
Cfr. Part. an. Γ 665 b 7-8 et passim.
19
Cfr. Part. an. Γ 665 b 11-3; 666 a 36-666 b 1 et passim.
20
Cfr. De motu 700 a 19-20: καὶ γὰρ ἡ φαντασία καὶ ἡ αἴσθησις τὴν αὐτὴν τῷ νῷ
χώραν ἔχουσιν.
21
Cfr. De an. Β 420 b 29-33: οὐ πᾶς ζῴου ψόφος φωνή, (...) ἀλλὰ δεῖ ἔμψυχόν τε
εἶναι τὸ τύπτον καὶ μετὰ φαντασίας τινός· σημαντικὸς γὰρ δή τις ψόφος ἐστὶν
ἡ φωνή.
22
Le descrizioni fonetiche di Aristotele presentano una singolare somiglianza con i prin-
cipi della cosiddetta ‘teoria sorgente-filtro sulla produzione del linguaggio’, la cui termi-
nologia ci sentiamo dunque qui giustificati ad utilizzare. Per un’esposizione di questa
teoria, cfr. Lieberman 1975: 66-77.
71
Studi di fonetica greca
23
Cfr. Probl. Χ, 39: τὰ δὲ γράμματα πάθη ἐστὶ τῆς φωνῆς.
24
Cfr. Hist. an. Δ 535 a 31-535 b 1: τὰ μὲν οὖν φωνήεντα ἡ φωνὴ καὶ ὁ λάρυγξ ἀφίησιν,
τὰ δ’ἄφωνα ἡ γλῶττα καὶ τὰ χείλη· ἐξ ὧν ἡ διάλεκτός ἐστιν.
25
Cfr. Poet. 1456 b 28-31: ἄφωνον δὲ τὸ μετὰ προσβολῆς καθ’ αὑτὸ μὲν οὐδεμίαν
ἔχον φωνήν, μετὰ δὲ τῶν ἐχόντων τινὰ φωνὴν γιγνόμενον ἀκουστόν, οἷον τὸ
Γ καὶ τὸ Δ.
26
Cfr. Phys. A 188 a 6: τὰ γὰρ πάθη ἀχώριστα.
27
«Instead of teeth and lips, birds have a beak: this is a very rigid organ, which permits no
articulatory movernent at all [...]. Therefore, articulatory poverty of the διάλεκτος in
birds with respect so what the adult and not deaf-mute human being is able to produce,
has its correlate in the material anatomical organization of the respectives bodies» (Lo
Piparo 1988: 97).
28
Cfr. Part. an. 659 a 36-b 27: Οἱ δ’ ὄρνιθες (...) μυκτῆρας, εἰ μὴ διὰ τὸ ἔργον, οὐκ
ἔχουσι φανερὼς διηρθρωμένους· ἀλλ’ ἥ γε ὄρνις ὥστε μηθέν’ ἂν εἰπεῖν ἔχειν
72
Capitolo 3. Il linguaggio degli uccelli
31
Secondo Zirin (1980: 342), recentemente seguito da Sadun Bordoni (1994: 21), «the
indefiniteness of potential optative and ὥσπερ» avrebbero la funzione di distingue-
re «between διάλεκτος as ἐν ἄρθροις φωνή and διάλεκτος in ordinary meaning of
conversation». Una simile ipotesi non sembra in alcun modo giustificata. Nei passi so-
pra citati, e soprattutto nel libro Δ dell’Historia animalium, che contiene la più esplicita
definizione di διάλεκτος, il termine è infatti usato esclusivamente nell’accezione tecnica
di ‘voce articolata’.
32
Διαφέρουσι δὲ κατὰ τοὺς τοποὺς καὶ αἱ φωναὶ καὶ αἱ διάλεκτοι. ῾Η μὲν οὖν
φωνὴ ὀξύτητι καὶ βαρύτητι μάλιστα ἐπίδηλος, τὸ δ’ εἶδος οὐδὲν διαφέρει τῶν
αὐτῶν γενῶν· ἡ δ’ ἐν τοῖς ἄρθροις, ἣν ἄν τις ὥσπερ διάλεκτον εἴπειεν, καὶ τῶν
ἄλλων ζῴων διαφέρει καὶ τῶν ἐν ταὐτῷ γένει ζῴων κατὰ τοὺς τόπους, οἷον τῶν
περδίκων οἱ μὲν κακκαβίζουσιν οἱ δὲ τρίζουσιν.
33
τὰ δὲ ζῳοτόκα καὶ τετράποδα ζῷα ἄλλο ἄλλην φωνὴν ἀφίησι, διάλεκτον δ’
οὐδὲν ἔχει, ἀλλ’ ἴδιον τοῦτ’ ἀνθρώπου ἐστίν.
34
Ciò è suggerito già dalla forma geminata della radice, con valore onomatopeico conte
nell’italiano lallazione: cfr. Chantraine 1968: 615-6.
35
Cfr. Thphr. Ch. 4.1: μεγάλῃ τῇ φωνῇ λαλεῖν. Antiph. 171 Koch: καινὴν διάλεκτον
λαλεῖν. Plat. Ax. 366 d: λαλῆσαι οὔπω δυνάμενος ἃ πάσχει.
74
Capitolo 3. Il linguaggio degli uccelli
3.5
Il tema della specificità fonico-articolatoria del linguaggio umano, in sé e
in relazione ai sistemi di comunicazione animale, è da Aristotele affrontato
soprattutto nei Problemata: 38
Perché l’uomo soprattutto emette molte voci, gli altri animali invece una,
invariabile per qualità fonica? O anche l’uomo ha un’unica voce, ma molte
articolazioni? Perché proprio quella umana presenta differenze, mentre
le altre no? O non è forse perché gli uomini sono capaci di pronunciare
molti suoni articolati, gli altri animali invece o nessuno, o al massimo due
o tre fra le non vocali? Queste infatti, insieme con le vocali, producono la
voce articolata. Ed è linguaggio (λόγος) il significare non con la voce, ma
mediante le sue alterazioni qualitative; e non semplicemente che si gode o
si soffre. I suoni articolati sono alterazioni qualitative della voce (Probl. X,
38-9). 39
36
Cfr. Eup. 116 Koch: λαλεῖν ἄριστος, ἀδυνατώτατος λέγειν. Plat. Euthyd. 287 d: λα-
λεῖς ἀμελήσας ἀποκρίνασθαι.. Ar. Eccl. 1058: ῞Επου (...) καὶ μὴ λάλει, et passim. So-
lo nel greco postclassico λαλέω verrà banalizzato a semplice sinonimo di λέγω; manten-
dendo tuttavia sempre una traccia dell’originario valore articolatorio (ποιεῖ ἀλάλους
λαλεῖν, riferito ai muti in NT, Mar. 7.37).
37
Come è noto, la presenza di uno specifico semantico proprio delle lingue naturali uma-
ne, e in grado di differenziarle dai sistemi di comunicazione animale, risulta da tutti gli
usi aristotelici di λόγος, e in particolare da Pol. Α 1253 a 6-18. Quel che si vuol qui rico-
noscere ad Aristotele è tuttavia altro: cioè, una specificità linguistica operante già a livello
di organizzazione del suono, e una sua diretta incidenza sulla dimensione significativa
del linguaggio.
38
Per la sostanziale autenticità della maggior parte dei Problemata physica, cfr. Moraux
(1951: 116-117) e Flaschar (1962: 306). Per la paternità aristolelica del X e XI libro in
particolare cfr. Marenghi 1962: 9-22 e Marenghi 1981.
39
Διὰ τί μᾶλλον ἄνθρωπος πολλὰς φωνὰς ἀφίησιν, τὰ δὲ ἄλλα μίαν, ἀδιάφορα ὄν-
τα τῷ εἴδει; ἢ καὶ τοῦ ἀνθρώπου μία φωνή, ἀλλὰ διάλεκτοι πολλαί; Διὰ τὶ δὲ αὕτη
75
Studi di fonetica greca
ἄλλη, τοῖς δὲ ἄλλοι οὑ; ἢ ὅτι οἱ μὲν ἄνθρωποι γράμματα πολλὰ φθέγγονται, τῶν
δὲ ἄλλων τὰ μὲν οὐδέν, ἔνια δὲ δύο ἢ τρία τῶν ἁφώνων; ταῦτα δὲ ποιεῖ μετὰ τῶν
φωνηέντων τὴν διάλεκτον, ἔστι δ’ ὁ λόγος οὐ τὸ τῇ φωνῇ σημαίνειν, ἀλλὰ τοῖς
πάθεσιν αὐτῆς, καὶ μὴ ὅτι ἀλγεῖ ἢ χαίρει. τὰ δὲ γράμματα πάθη ἐστὶ τῆς φωνῆς.
40
Διὰ τί ἡ φωνὴ ὕστατον τελειοῦται τοῖς ἀνθρώποις τῶν φθεγγομένων; ἢ διότι
πλείστας ἔχει διαφορὰς καὶ εἴδη; τὰ γὰρ ἄλλα ζῷα ἢ οὐθὲν γράμμα ἢ ὁλίγα δια-
λέγονται. τὸ δὲ ποικιλώτατον καὶ πλείστας ἔχον διαφορὰς ἀνάγκη ἐν πλείστῳ
χρόνῳ ἀποτελεῖσθαι.
41
Cfr. Poet. 1456 b 25-31.
42
ταῦτα δὲ διαφέρει σχήμασὶν τε τοῦ στόματος καὶ τόποις (ib. 3 1-2).
76
Capitolo 3. Il linguaggio degli uccelli
3.6
Nel capitolo delle Categorie dedicato alla quantità, viene, a un certo punto,
introdotta la distinzione fra quanti continui e discreti. Quanti continui
sono quelli in cui sussiste un contatto fra le parti, quanti discreti quelli in cui
un simile contatto non sussiste. Esempi di quantità continue sono la linea,
la superficie, il corpo; esempi di quantità discrete, il numero e il discorso.
Ed ecco le considerazioni che giustificano l’inserimento del discorso fra i
quanti:
Che il discorso sia una quantità, è evidente: esso è infatti misurato dalla
sillaba lunga e breve: dico tale il discorso realizzato con la voce. Ora, nel
discorso non vi è alcun limite comune rispetto a cui le parti si congiungono
(συνάπτειν): non vi è, infatti, un limite comune rispetto al quale le sillabe
si congiungono, ma ciascuna è delimitata in sé e per sé (Cat. 4 b 32-7). 45
43
In rapporto a simili fenomeni sarebbero, secondo noi, da spiegare molte oscurità della
definizione di sillaba della Poetica (1456 b 34-8).
44
Una simile ipotesi è suggerita da Lo Piparo 1988: 98.
45
ὅτι μὲν γάρ ποσόν ἐστιν ὁ λόγος φανερόν· καταμετρεῖται γὰρ συλλαβῇ μακρᾷ
καὶ βραχείᾳ· λέγω δὲ αὑτὸν τὸν μετὰ φωνῆς λόγον γιγνόμενον· πρὸς οὐδένα
γὰρ κοινὸν ὅρον αὑτοῦ τὰ μόρια συνάπτει· οὐ γὰρ ἔστι κοινὸς ὅρος πρὸς ὃν αἱ
συλλαβαὶ συνάπτουσιν, ἀλλ’ ἑκάστη διώρισται αὐτὴ καθ’ αὑτήν.
77
Studi di fonetica greca
46
Sulla sillaba in Aristotele, e sui suoi rapporti con il λόγος cfr. Lo Piparo 1989.
47
λεκτικὴ ἁρμονία Cfr. Rhet. Γ 1408 b 33 sgg.
48
ἡ μὲν οὖν τραυλότης τῷ γράμματὸς τινος μὴ κρατεῖν, καὶ τοῦτο οὺ τὸ τυχόν,
ἡ δὲ ψελλότης τῷ ἐξαιρεῖν τι, ἢ γράμμα ἢ συλλαβή, ἡ δὲ ἱσχνοῴωνία ἀπὸ τοῦ μὴ
δύνασθαι ταχὺ συνάψαι τὴν ἑτέραν συλλαβὴν πρὸς τὴν ἑτέραν. ἅπαντα δὲ δι’
ἀδυναμίαν· τῇ γὰρ διανοίᾳ οὐχ ὑπηρετεῖ ἡ γλῶττα.
78
Capitolo 3. Il linguaggio degli uccelli
49
È l’ottima traduzione inglese di W. S. Ηett in Aristotle. Problems I (Books I-xxI),
London & Cambridge Mass., 1970, p. 275.
50
Per una trattazione attuale dell’afasia si veda, oltre al classico Jakobson 1968, anche
Pizzamiglio 1968 e Gainotti 1983.
51
A differenza della τραυλότης, che non è ulteriormente trattata, e della ψελλότης,
menzionata di sfuggita in Probl. XI, 1, l’ ἰσχνοφωνία costituisce un vero e proprio Leit-
motiv nell’XI libro dei Problemata. Ad essa sono infatti dedicate ben sette (cfr. Probl.
XI 30, 35, 36, 38, 54, 55, 60) delle sessantadue questioni dibattutte nel libro.
52
Cfr. Hett, op. cit. p. 275 (stammer, stammering); Marenghi 1981: 55-7 (balbettare,
balbettamento).
53
Per il concetto di ‘codificazione’ applicato al versante fonico della lingua cfr. Lieberman
1975: 19-20.
79
Studi di fonetica greca
54
«Alla base della percezione deve esservi un principio organizzatore; e così pure alla ba-
se della complessa coordinazione cronologica della produzione del linguaggio. Qual è
questo principio organizzatore generale? [...] Un fenomeno ritmico. [...] Possiamo eli-
minare variazioni relative al tono, all’intensità e al timbro, ma se alteriamo le relazioni
temporali interne [...] la melodia diventa immediatamente irriconoscibile. [...] L’es-
senza del linguaggio sono la sua struttura e la sua forma, e non qualche dettaglio fisico
studiabile isolatamente. Le dimensioni della forma del linguaggio sono tutte di natura
temporale» (Lenneberg 1982: 126-8 e 245).
55
Διὰ τί μόνον τῶν ἄλλων ζῴων ἄνθρωπος γίνεται ἰσχνόφωνον; ἢ ὅτι λόγου
κοινωνεῖ μόνον, τὰ δὲ ἄλλα φωνῆς; οἱ δὲ ἰσχνόφωνοι φωνοῦσι μέν, λόγον δὲ
οὐ δύνανται συνείρειν.
56
Una simile ipotesi oggi in Lieberman 1967; per una recente e aggiornata applicazione
all’italiano cfr. Voghera 1992, cui rimandiamo per ulteriore bibliografia sull’argomento.
80
Capitolo 3. Il linguaggio degli uccelli
57
Cfr. Plat. Phdr. 265 d-266 c.
58
Cfr. De an. Γ § 6, Met. Γ 1004 b 33-4, Ι 1054 a 20 sgg, et passim.
59
«Il primo stadio del linguaggio infantile comincia con una netta distinzione e delimi-
tazione fra consonante e vocale, e lo stesso contrasto può venire ancora riconosciuto
negli afasici quando sono state abbandonate le altre distinzioni foniche. Dal punto di
vista motorio queste due classi fondamentali di suoni linguistici sono messe in oppo-
sizione come chiusura e apertura. Si potrebbe postulare che proprio questa opposi-
zione massima e semplicissima sia destinata a inaugurare la distinzione fra vocalismo e
consonantismo, e in effetti l’ipotesi è confermata dall’esperienza» (Jakobson 1968: 70-1).
60
Per uno studio della nozione greca di ‘ritmo’ (ῥυθμός), e per la sua equivalenza con
quella di ‘struttura’ e di ‘forma’, cfr. Benveniste 1951: 376-400.
81
Studi di fonetica greca
ralmente insita nella materia vocale: «la voce è infatti materia prima del
linguaggio».61
61
De gen. an. 786 b 19-22: μάλιστα γὰρ τούτοις (sc. τοῖς ἀνθρώποις) ταύτην τὴν
δύναμιν ἀποδέδωκεν ἡ φύσις διὰ τῷ λόγῳ χρῆσθαι μόνους τῶν ζῴων, τοῦ δὲ
λόγου ὕλην εἶναι τὴν φωνήν.
82
Capitolo 4
1
Cfr. Neisser (1967: 10), e prima ancora Newell, Shaw e Simon (1958).
2
«Prendiamo in considerazione, in primo luogo, il parallelo che si suole istituire tra l’uo-
mo e il computer... Il compito di uno psicologo che cerca di comprendere i processi
cognitivi dell’uomo è analogo a quello di un tecnico che tenti di scoprire come è stato
programmato un computer» (Neisser 1967: 7).
3
«A questo punto, a lui non interesserà affatto se quel particolare computer immagaz-
zina l’informazione su nuclei magnetici o su sottili pellicole: egli cercherà di capire il
Studi di fonetica greca
programma, non l’hardware [la struttura materiale del calcolatore]. ...Bisogna stare at-
tenti a non confondere il programma con il computer che lo applica. ...Un programma
non è una macchina: esso è una serie di istruzioni per trattare i seguenti simboli: «se
l’imput ha certe caratteristiche... allora esegue certe operazioni.., altrimenti esegue altre
operazioni ...». Lo psicologo cognitivista vorrebbe dare una spiegazione di questo ti-
po per tutti i modi in cui l’informazione viene elaborata all’interno dei sistema uomo»
(Neisser 1967: 7-10).
4
La validità euristica di questa metafora è stata con buoni argomenti messa in dubbio,
per esempio, da Lo Piparo (1989a).
5
«Per il linguista, come per il bambino che impara la lingua il problema consiste nel
determinare, partendo dai dati di esecuzione, il sistema sottostante di regole di cui il
parlante-ascoltatore sì è impadronito e che mette in uso nell’esecuzione effettiva. Quin-
di, in senso tecnico, la teoria linguistica è mentalistica, poiché il suo scopo è di scoprire
una realtà mentale sottostante ad un comportamento effettivo» (Chomsky 1965: 45).
6
«Il compito dello psicologo, quindi, si suddivide in parecchi compiti minori. Il primo
consiste nello scoprire lo schema innato che caratterizza la classe delle lingue potenzia-
li – cioè, che definisce l’essenza del linguaggio umano. Questo sottocompito rientra
in quella branca della psicologia umana conosciuta come linguistica» (Chomsky 1968:
233).
7
«Penso che ci siano sani fermenti in psicologia cognitiva – e in quella branca particolare
della psicologia cognitiva nota come linguistica – più di quanto non ce ne siano stati per
molti anni» (Chomsky 1968: 133). «Considererei piuttosto la linguistica come quella
parte delle psicologia che focalizza la propria attenzione su una specifica sfera cognitiva
e su di una facoltà della mente, la facoltà di linguaggio» (Chomsky 1980: 14). L’insen-
satezza di ogni sostanziale distinzione tra linguistica e psicologia è ribadita nella stessa
opera più avanti, pp. 190-1, e più recentemente anche in Chomsky (1985: 44-5).
84
Capitolo 4. Cervello mente e linguaggio
8
Περὶ μὲν τῆς ἱερῆς νούσου καλεομένης ὧδ’ ἔχει· οὐδέν τί μοι δοκέει τῶν ἄλλ-
ων θειοτέρη εἶναι νούσων οὐδὲ ἱερωτέρη, ἀλλὰ φύσιν μὲν ἔχει ἣν καὶ τὰ λοιπὰ
νουσήματα, ὅθεν γίγνεται (De Morb. Sacr. § 1, Littré VI, 352). Αὕτη δὲ ἡ νοῦσος
ἡ ἱερὴ καλεομένη ἐκ τῶν αὐτῶν προφασίων γίνεται ἀφ’ ὧν καὶ αἱ λοιπαὶ, ἀπὸ
τῶν προσιόντων καὶ ἀπιόντων, καὶ ψύχεος, ἡλίου, πνευμάτων μεταβαλλομέν-
ων τε καὶ μηδέποτε ἀτρεμιζόντων. Ταῦτα δ’ ἐστὶ θεῖα, ὥστε μηδὲν διακρίνοντα
τὸ νοῦσημα θειότερον τῶν λοιπῶν νουσημάτων νομίζειν, ἀλλὰ πάντα θεῖα καὶ
ἀνθρωπίνα πάντα (ib. § 18, Littré VI, 394).
85
Studi di fonetica greca
nella tradizione della biologia monocentrica del V-IV sec. a. C.,9 esso giunge
alla conclusione secondo cui l’egemonia nell’organismo umano spetta al
cervello.10 L’analisi dell’epilessia conduce alla formulazione di ipotesi generali
sulla natura della vita e del pensiero, perché la sua sintomatologia consiste
in una improvvisa e radicale perdita della coscienza. Risalire alle cause di
una simile disfunzione equivale dunque, implicitamente, a stabilire quali
siano le condizioni dei processi biologici e cognitivi.
L’epilessia insorge quando esalazioni umide (φλέγμα) 11 si annidano
nell’interno della testa (ἐγκέφαλος) e nei condotti (φλέβες): 12 ad esso di-
rettamente collegati.13 Funzione precipua delle vene è infatti la conduzione
dell’aria dall’apparato respiratorio all’encefalo, e di lì alle varie parti del cor-
po.14 Quando nel sangue e nella cavità cefalica si insinuano esalazioni umide,
il sangue si raffredda e si condensa,15 ostruendo così il passaggio dell’aria in
direzione della cavità cefalica, che la distribuisce poi alle varie parti del corpo.
9
Per il concetto di “biologia monocentrica”, così come esso è inteso nella medicina greca,
cfr. Manuli e Vegetti (1977).
10
Εἰδέναι δὲ χρὴ τοὺς ἀνθρώπους, ὅτι ἑξ οὐδενὸς ἡμῖν αἱ ἡδοναὶ γίνονται καὶ αἱ
εὐφροσύναι καὶ γέλωτες καὶ παιδιαὶ ἢ ἐντεῦθεν, καὶ λῦπαι καὶ ἀνίαι καὶ δυσφρο-
σύναι καὶ κλαυθμοί. Καὶ τούτῳ φρονεῦμεν μάλιστα καὶ νοεῦμεν καὶ βλέπομεν
καὶ ἀκούομεν καὶ γινώσκομεν... Τῷ δὲ αὐτῷ τούτῳ καὶ μαινόμεθα καὶ παραφρο-
νέομεν... Καὶ ταῦτα πάσχομεν ἀπὸ τοῦ ἐγκεφάλου πάντα (ib. § 14, Littré VI, 386-
8). Κατὰ ταῦτα νομίζω τὸν ἐγκέφαλον δύναμιν πλείστην ἔχειν ἐν τῷ ἀνθρώπῳ
(ib. § 16, Littré VI, 390).
11
῾Η δὲ νοῦσος αὕτη γίνεται τοῖσι μὲν φλεγματίῃσι, τοῖσι δὲ χολώδεσιν οὕ (ib. §
5, Littré VI, 368).
12
Cfr. De Μorb. Sacr. § 3, 4 e 5 (Littré VI, 366-70).
13
Καὶ φλέβες δ’ ἐς αὐτὸν (sc. τὸν ἐγκέφαλον) τείνουσιν ἐξ ἅπαντος τοῦ σώματος,
πολλαὶ καὶ λεπταί, δύο δὲ παχεῖαι καὶ τὸ μὲν παχύτατον καὶ μέγιστον καὶ κοιλό-
τατον ἐς τὸν ἐγκέφαλον τελευτᾷ... Κατὰ ταύτας δὲ τὰς φλέβας καὶ ἐσαγόμεθα
τὸ πουλὺ τοῦ πνεύματος (ib. § 3-4, Littré VI, 366-8).
14
ὅταν γὰρ λάβῃ ἄνθρωπος κατὰ τὸ στόμα καὶ τοὺς μυκτῆρας τὸ πνεῦμα, πρῶτον
μὲν ἐς τὸν ἐγκέφαλον ἔρχεται, ἔπειτα δὲ ἐς τὴν κοιλίην τὸ πλεῖστον μέρος, τὸ
δὲ ἐπὶ τὸν πλεύμονα, τὸ δὲ ἐπὶ τὰς φλέβας, ᾿Εκ τουτέων δὲ σκίδναται ἐς τὰ λοιπὰ
μέρεα κατὰ τὰς φλέβας ..καὶ οὔτω τήν φρόνησιν καὶ τήν κίνησιν τοῖς μέλεσι
παρέχει (ib. § 7, Littré VI, 372).
15
Ταῦτα δὲ πάσχει πάντα, ὁκόταν τὸ φλέγμα ψυχρὸν παραῤῥυῇ ἐς τὸ αἷμα
θερμὸν ἐόν ἁποψύχει γὰρ καὶ ἵστησι τὸ αἷμα (ib. § 7, Littré VI, 374).
86
Capitolo 4. Cervello mente e linguaggio
16
ὥστε, ἐπειδὰν ἀποκλεισθῶσιν αἱ φλέβες τοῦ ἠέρος ὑπὸ τοῦ φλέγματος καὶ μὴ
παραδέγωονται, ἄφωνον καθιστᾶσι καὶ ἄφρονα τὸν ἄνθρωπον (ib. § 7, Littré VI,
372-4).
17
Αἱ δὲ χεῖρες ἀκρατέες γίνονται καὶ σπῶνται, τοῦ αἵματος ἀτρεμίσαντος καὶ
οὐ διαχευομένου ὥσπερ εἰώθει. Καὶ οἱ οφθαλμοὶ διαστρέφονται, τῶν φλεβί-
ων ἀποκλειομένων τοῦ ἠέρος καὶ σφυζόντων. ᾿Αφρὸς δὲ ἐκ τοῦ στώματος
προέρχεται... ὥσπερ ἀποθνήσκων (ib. § 7, Littré VI, 374).
18
οὐ γὰρ οἷόν τε τὸ πνεῦμα στῆναι, ἀλλὰ χωρέεν ἄνω καὶ κάτω· ἢν γὰρ στῇ που
καὶ ἀποληφθῇ, ἀκρατὲς γίνεται ἐκεῖνο τὸ μέρος ὅπου ἂν στῇ (ib. § 4, Littré VI,
368).
19
καὶ οὕτω παραδέχονται αἱ φλέβες τὸν ἠέρα, καὶ τὸ φρόνημα ἐγγίνεται (ib. § 9).
In questo passo abbiamo ritenuto più plausibile la lezione riportata da Jones (1923, 64).
Littré (VI, 376) legge invece γίνεται al posto di ἐγγίγνεται.
20
I medesimi effetti prodotti nell’organismo umano dall’epilessia sarebbero prodotti nel-
l’ambiente dai venti di mezzogiorno, che contengono un’alta concentrazione di umidi-
tà. Il mare, i fiumi, le fonti, i pozzi e tutte le cose vie e umide percepiscono questi venti
(ἅπαντα δὲ ταῦτα αἰσθάνεται τοῦ πνεύματος τούτου); la medesima espressione è
usata, conte vedremo, a proposito del cervello, ricettivo dell’“intelligenza dell’aria”). Al
loro soffio i vasi di creta seppelliti o conservati nelle case si sformano, gli astri si appanna-
no, e negli organismi viventi si producono epilessia, flussioni ed ogni sorta di affezioni
maligne: (cfr. Littré VI, § 13, 384-6).
21
γίνεται γάρ παντὴ τῷ σώματι τῆς φρονήσιως, ὡς ἂν μετέχῃ τοῦ ἠέρος (ib. § 16,
Littre VI, 390).
22
ὁ δ’ ές τὸν πλεύμονά τε καὶ τὰς φλέβας ἀὴρ ξυμβάλλεται ἐς τὰς κοιλίας ἐσιὼν
καὶ ἐς τὸν ἐγκέφαλον, καὶ οὕτω τὴν φρόνησιν καὶ τὴν κίνησιν τοῖς μέλεσι
παρέχει (ib. § 7, Littré VI, 372).
23
᾿Ες δέ τὴν ξύνεσιν ὁ ἐγκέφαλός ἐστιν ὁ διαγγέλλων· ὁκόταν γάρ σπάσῃ τὸ
πνεῦμα ὥνθρωπος ἐς ἑωυτόν, ἐς τὸν ἐγκέφαλον πρῶτον ἀφικνέεται, καὶ οὕτως
87
Studi di fonetica greca
88
Capitolo 4. Cervello mente e linguaggio
27
Secondo l’autore del De morbo sacro, nell’epilessia la voce viene a mancare perché il fleg-
ma intercetta l’aria inspirata e ne impedisce l’affluenza alle cavità e al cervello (ἄφωνος
μέν ἐστιν ὁκόταν ἐξαίφνης τὸ φλέγμα ἐπικατελθὸν ἐς τὰς φλέβας ἀποκλείσῃ
τὸν ἠέρα καὶ μὴ παραδέχηται μήτε ἐς τὸν ἐγκέφαλον μήτε ἐς τὰς φλέβας τὰς
κοίλας μήτε ἐς τὰς κοιλίας, ἀλλ’ ἐπιλάβῃ τὴν ἀναπονοήν) (ib. § 7, Littré VI, 372).
89
Studi di fonetica greca
paradigmi della scienza, e sul loro mutamento, che non può essere adegua-
tamente svolto in questa sede, il modello dei processi linguistici e cognitivi
rappresentato nel De morbo sacro può e deve farci riflettere. All’interno del
pensiero occidentale – e l’odierno approccio cognitivo alle scienze umane
ne è un esempio – vige la legge non scritta che una cosa sia il corpo, un’altra
lo spirito e l’intelligenza. Molta parte della nostra filosofia, ed ancor più
del nostro senso comune, sono basati sul presupposto di una radicale e
fondamentale eterogenetità di res cogitans e res extensa, e sul primato della
prima sulla seconda.28
Dal confronto con il modo di pensare di altre epoche e culture può veni-
re un contributo all’esplicitazione, ed eventualmente alla revisione critica, di
questo presupposto, con immediate conseguenze positive sulla definizione
teorica e sullo studio empirico ed applicato delle nozioni stesse di “pensiero”
e “linguaggio”.
28
È doveroso, a questo punto, sottolineare che almeno una corrente del pensiero con-
temporaneo si pronuncia vigorosamente contro questa dicotomia, ripercorrendo così
inconsapevolmente il cammino della scienza greca. Si tratta dell’epistemologia genetica
che, fondata alcuni decenni or sono da J. Piaget, ha oggi i suoi più acuti ed intelligenti
continuatori in H. Maturana e F. Varela. Sul superamento del dualismo mente-corpo,
e sull’identità tra vita biologica e cognizione cfr. Piaget (1967), Jacob (1970), Maturana
e Varela (1985). Un utile quadro riassuntivo, con ampia bibliografia, in Ceruti (1989).
90
Capitolo 5
As has been recently observed (Pennisi 1994), the interest for aphasia
as a linguistic problem begins with Ferdinand de Saussure (1857-1913), who
may be taken as the starting point of Jakobson’s discussion of linguistic
disorders. More specifically, Jakobson’s dependence on Saussure consists in
an implicit assumption: aphasic disorders affect the whole linguistic form
(i. e. the ability to distinguish functionally significant sounds), not only
the phonic utterance of phonemes, syllables and sentences, that according
to Saussure is not central in linguistic competence.2 As for the phonic
perspective, linguistic form is represented firstly by the pattern of distinctive
features embodied in each phoneme. The material phonic substance does
not therefore participate in the definition of the linguistic system.
Now, it is precisely on this points that modern linguistic research has
embarked on a different route. There is increasing evidence that the phone-
tic manifestation of human language is not planned atomistically, starting
up from phonemes, but holistically, starting down from sentences. At the
basis of this production lie prosodic features, such as intonation, tone, stress
and rhythm, which directly involve respiration, and are therefore inscribed,
or “codified”, in the laryngeal voice.3
Another discovery of the last decades is that linguistic units are not per-
ceived in the same way as other acoustic signals. Every effort to reproduce
the linguistic voice artificially is bound to fail if phonematic qualities are
1
“Aphasias’ regressions have proved to be a mirror of the child’s acquisition of speech
sounds; it shows the child’s developement in reverse” (Jakobson 1971a: 231).
2
“The reduction in the ability to pronounce or to perceive sounds [...] is not essential
to the unlearning of the aphasic: only the ability to distinguish functionally significant
sounds is important” (Jakobson 1968: 32). “Les organes vocaux sont aussi extérieurs
à la langue que les appareils électriques qui servent à transcrire l’alphabet Morse sont
étrangers à cet alphabet; et la phonation [...] n’affecte en rien le systeme lui méme”
(Saussure 1922: 36).
3
See Lieberman (1967, 1975).
92
Capitolo 5. Linguistic Pathologies in Ancient Greece
4
See Lieberman (1975: 8-9).
5
See Mehler et al., (1978); Bertoncini et al. (1988); Mehler/Dupoux (1990).
6
Lieberman (1991: 53-77); see also Lieberman (1975).
7
See Lo Piparo (1991), Pennisi (1994): reservations on this thesis are voiced by Tullio De
Mauro in his introduction to Pennisi (1994).
93
Studi di fonetica greca
voice, instead, “flows from the tongue” (Il. A, 249), but its true seat is
in the breast, where is also, according to Homer, the origin of life and
of cognition (Il. XVII, 419-420). As naturally significant sound, because
produced in combination with thought, voice is at the core of all following
Greek theories of language (Laspia 1995).
In the Iliad and the Odissey, many cases of aphasia are described. Among
them, it will suffice to examine one, which inaugurates the use of the term
“aphasia”, which has survived to the present day:
So he spoke, and her knees were loosened where she sat, and her heart
melted. Long time she was speechless [dé min amphasìe epéon làbe], and
both her eyes were filled with tears, and the flow of her voice was checked
(Od. IV, 703-705; transl. Murray 1919, 1: 159).
[...] and Dolon, stood still, seized with terror, stammering (bambáidon)
and pale with fear, and the teeth clattered in his mouth (Il. X, 374-375;
transl. Murray 1924, 1: 463).
This is the first description of a form of aphasia that does not entail the
total loss of phonation. Now, if, as it seems, the disorder is to be identified
with stammering, it concerns the global rhythmic pattern of sentences, i.
e. a prosodic competence, rather than a purely phonemic one. Prosodic
94
Capitolo 5. Linguistic Pathologies in Ancient Greece
In this passage, phoné stands for the entire set of linguistic aspects,8 and
the word used for “dumb” is áphonos. Let us now consider other forms of
aphasia besides dumbness. In Herodotus IV, 155 there is mention of Battus,
son of Polydamantis, who “weak and stammering in speech” (ischnóphonos
kái traulós) “went to Delphi to enquire concerning his voice” (phoné transl.
Godley 1920, 11: 359). In fact, Herodotus does not say exactly what ails
Battus of the various disorders, which shall later on be extensively discussed
by Aristotle; it seems, however, that it must be stammering.9 Once again,
the disorders dealt with in this very early age are those affecting rhythm. It
is also true, however, that Battus, suffering from elocution disorders, goes
to the Pythian priestess to enquire after his voice. Thus we are left with
two alternatives: either Herodotus does not distinguish between “voice”
and “language” – yet, this is unlikely, insofar as the two concepts are already
clearly distinct in Homer – or voice is considered an essential feature of
language.
The same situation is found in the treatises belonging to the Corpus
hippocraticum, where áphonos is used, like ánaudos, to describe a complete
8
In the same direction goes the use of phoné for language, “idiom”, that occurs in Homer
only in the derived forms agrióphonos, barbaróphonos, and seems to be stabilized in
Herodotus; see Gambarara (1984).
9
The name Battus is connected to the verb battarízein “to stammer”; see Plato Theaetetus
175 d.
95
Studi di fonetica greca
10
See Gourevič (1983).
11
See Epid. II, 5, 1 (ischnophonìa);Epid. I, 3, 19; II, 5, 1; Pror. II, 10 (ischnóphonos); I, 3,
19; II, 5, 1; II, 6, I; Aphor. 6, 32 (traulós);Epid. IL 6, 14; VII, 8; VII, 105 (psellós). We
refraine from examining the letters traditionally attribued to Hippocrates, but actually
spurious.
12
In other cases, who is traulós is also said to be ischnóphonos; see Epid. I, 3, 19; II, 5, 1.
13
See Ax (1978), Zirin (1980). Lo Piparo (1988).
96
Capitolo 5. Linguistic Pathologies in Ancient Greece
14
See Gen. an. IV, 776 b 13-17: a detailed discussion is found in Laspia (1995; 1996a).
15
See Poet. 1456 b 26-31.
16
Tá dé grámmata páthe estì tês phonés, Probl. X, 39, 895 a 13-14; transl. Hett 1936, 1: 229.
17
See Marenghi (1981).
97
Studi di fonetica greca
Why those who suffer from birth from any defective sense mostly have
bad hearing? It is because both hearing and the voice may be held to arise
from the same source? Now language (diálektos), which is a kind of voice
(phoné), seems the easiest thing to destroy and the most difficult to bring
to perfection. There is evidence for this in the fact that after birth we are
unable to speak (eneói) for a long time, for at first we cannot talk at all,
and then later for a time we falter in speech (psellízomen). But because
language is easily destroyed, and the source is the same both of language
(for it is a kind of voice) and of hearing, hearing is therefore the most easily
destroyed of all the senses, not of itself but incidentally (ek symbebekótos).
We can find proof of this also from the other animals, that the origin of
the language is quite easily destroyed, for none of the other animals except
man speaks, and man only does so atter a time, as we have said (Aristotle,
Probl. XI, 1; transl. Hett 1936, I: 253).
18
See Probl. XI, 57.
19
“Children and beasts show their meanings in the same way, for children cannot yet
pronounce the letters” (Probl. X, 39, 895 a 15).
20
See Hist. an. IV, 536 a 20 ff.; Part. an. II, 660 a 29 ff., etc., see also Lo Piparo (1988),
Laspia (1996b).
98
Capitolo 5. Linguistic Pathologies in Ancient Greece
21
“The organ of hearing is intellectually superior not in itself or for itself [...] buy only
if the capacity of hearing is exercised upon language” (Lo Piparo 1988: 101).
99
Studi di fonetica greca
Children, just as they have not proper control over their limbs in general,
so cannot at first control their tongue, which is imperfect and attains
complete freedom of motion later on; until they mumble (psellízousi) and
lisp (traulízousi) the most part (Hist. an. IV, 536 b 5 ff.; transl. Peck 1970,
11: 81-83)
Now, the verbs used in the above passage to describe imprecise phonetic
acquisitions denote in fact specific disorders in the articulatory production
of language. This is attested by Probl. XI, 30, which contains the most
ancient classification of the various types of aphasia:
100
Capitolo 5. Linguistic Pathologies in Ancient Greece
The less harmful disorder is undoubtedly the one described by the word
traulótes, which consists in the inability to articulate a specific phoneme. The
damage causated to the intelligibility of discourse by this pathology is very
little, and so is the portion of linguistic competence that is compromised.
This disorder is tied to the last phases of linguistic acquisition, since, in
all languages, certain continuous consonant phonems, for example the
so-called “liquids”, are only acquired at the end of the development process.
Psellótes, instead, consists in a systematic omission of syllables or sounds
during the phonic utterance of a sentence. This disorder affects the entire
phonetic organization, and can be considered a true form of aphasia, similar
perhaps to the “phonetic disintegration syndrome” described by Alajouani-
ne/Ombredane/Durand in 1939.22 A similar phenomenon is found in the
first phases of linguistic acquisition, when the articulatory strategies that
the child is able to consistingly enact are still very limited.
The third and last pathology discussed by Aristotle is the only one
that does not have an equivalent in a specific phase in the development of
infantile language. Ischnophonía is truly a crucial issue in the eleventh book
of the Problemata: out of sixty-two quons debated in this book, no less than
seven are dedicated to it.23 We are also forced to admit that, for Aristotle,
this is the main and the most severe pathology of language. Unlike traulótes
and psellótes, ischnophonía is not a disorder of the phonic production: both
individual phonems as well as their grouping are correctly uttered. What is
undetermined is rather the global prosodic pattern of the sentence: thus
ischnophonía “is an inability of adding quickly one syllable to the other”.
Let us now examine what Aristotle observes in the Categories concer-
ning the structural characteristics of spoken language (ho metà phonês lógos
gignómenos):
The same may be said about speech, if by speech the spoken word is
intended. Being measured in long and short syllables, speech is an evident
22
See the description in Pizzamiglio (1983: 53-71), who points out how “a speech riddled
with phonologie errors, with frequent halting in the beginnings of words” necessarily
leads to a “disprosodic intonation”; the same conclusion is reached by Lenneberg (1982).
23
See Probl. XI, 30, 35, 36, 38, 54, 55, 60.
101
Studi di fonetica greca
This passage proves that, according to Aristotle, the basic phonetic units
of discourse are syllables rather than individual phonerns (see Lo Piparo
1989). As self-contained phonetic unit, the sillable is the unit of measure
of the lógos, the phonetic structure of which is scanned by the alternation
between long and short syllable. This alternation constitues the rhythm,
that is, according to Aristotle, the internal “melody of the speech” (lektikè
harmonía, Rhetorica III, 1408 b 33 ff.). Thanks to its internal principle of
temporal scanning, each syllable is clearly distinguished from the other: “no
common limit exists, where syllables join. Each, indeed, is distinct from the
rest”.
Yet, in Probl. XI, 30, the most serious disorder of linguistic production,
ischnophonía, is presented as the inability of rapidly connecting one syllable
to the other, which is precisely what Cat. 4 b 32-37 would seem to exclude.
This apparent contradiction, in our opinion, leads to an extremely alluring
hypothesis on the internal organization of language. Even as a self-contained
phonetic unit, which as such should be distinct from the context, the syllable
is completely recast when produced within a sentence, thus becoming part
of a new prosodic configuration. Not only, then, are individual phonemes
produced and perceived inside the syllabic unit: syllables, too, are recast in a
new, unitarian rhythmic and intonative configuration, within sentences. It
is on this hierarchy of prosodic operations that the structural organization of
human language is based. It is also on this that its intellegibility is founded.
A similar conclusion is advanced in Problemata:
Why is man the only living creature which stammers? Is it because he alone
has a share of speech, but the other animals of voice? But stammerers
produce voice but cannot connect their words (lógos dè ou dynantai
suneírein) (Probl. XI, 55; transl. Hett 1936, 1: 289).
102
Capitolo 5. Linguistic Pathologies in Ancient Greece
24
The same conclusion has been reached by the current research on stammering; see
Massa/Lucchin (1968).
25
See De an. III, § 6, Met. IV, 1004 b 33-34; XI, 1054 a 20 ff., etc.
26
See Phaedrus 265 d-266 c.
103
Studi di fonetica greca
104
Capitolo 6
6.1
Nella storia del pensiero linguistico occidentale, un capitolo centrale è rap-
presentato dai principi di classificazione fonetica. L’argomento ha una storia
illustre, che si snoda attraverso le fasi più significative della filosofia greca.
Nella letteratura a noi tramandata, le prime classificazioni sistematiche del
suono linguistico si trovano in Platone e Aristotele; in Platone la travaglia-
ta evoluzione della dottrina delle idee, in Aristotele lo statuto ontologico
della sostanza sensibile, sono costantemente illustrati sulla base di esem-
pi fonologici.1 La struttura del suono linguistico diventa così strumento
privilegiato di conoscenza del reale; e si evidenzia, al contempo, una forte
vocazione teorica della fonetica greca. Proprio per questo loro forte spessore
teoretico le classificazioni fonetiche greche non risultano immediatamente
comprensibili allo studioso di oggi; ed il senso stesso dei termini impiegati
1
Sulla sillaba come modello della sostanza sensibile (αἰσθητὴ οὐσία) e della definizione
(λόγος ὁρισμός) si veda il notevole studio di Lo Piparo (1989).
Studi di fonetica greca
2
Una più articolata periodizzazione in cinque fasi, con ulteriori sottodivisioni interme-
die, si trova in Belardi (1972: 97-9), (1985: 85-8). Le ragioni che spingono lo studio-
so a congetturare due momenti distinti all’interno della fase documentata dai dialoghi
platonici, dipendono dalla sua interpretazione della fase aristotelica, di cui si dirà oltre.
106
Capitolo 6. Principi della classificazione del suono nella Grecia antica
6.2
Il testo più antico che prenderemo in esame non contiene ancora una classi-
ficazione dei suoni del linguaggio, ma descrive implicitamente la loro orga-
nizzazione. Il passo è per noi di fondamentale importanza, perché qui per
la prima volta γράμμα presenta una possibile accezione fonetica. In Eschilo,
Sette contro Tebe 465 ss., si descrive uno scudo effigiato con didascalia; è
l’immagine di un oplita in atto di espugnare una fortificazione. Vediamo
ora più da vicino cosa dice il personaggio:
3
Per inquadrare la nozione di ‘scrittura alfabetica’, in sé e per differenza da altri sistemi di
scrittura, fondamentale è ancora Gelb (1952); per le implicazioni teoriche, sociologiche
e cognitive legate all’adozione dell’alfabeto cfr. Havelock (1963), (1973), (1986).
4
Il passaggio dall’oralità all’alfabetizzazione è uno dei temi emergenti del dibattito cultu-
rale contemporaneo. Due riferimenti ormai classici sono Ong (1982) e, fra le numerose
opere dallo studioso dedicate all’argomento, Havelock (1982); per ulteriore bibliografia
cfr. Gentili (1983); aggiornamenti in Olson, Torrance (1991).
5
Sul valore originario di γράφω, e sulle sue implicazioni. cfr. Gelb (1952: 8-9), Rapallo
(1994: 161), Harris (1998: 33, 37, 97 ss.).
6
Tale posizione, sostenuta con vigore, ad esempio, da Robins (1951: 13-4), (1967: 43), è an-
cor oggi diffusa: cfr. ad esempio Harris (1998); per una diversa prospettiva cfr. Havelock
(1976), di cui più avanti.
107
Studi di fonetica greca
7
Si tratta di un espediente retorico non nuovo all’autore, e che ricorre altre volte nella
stessa opera; cfr. Sept. 434: χρυσοῖς δὲ φωνεῖ γράμμασιν πρήσω πόλιν. Qui il pas-
saggio metaforico da scrittura (didascalia) a oralità (viva voce) è operato da φωνέω, per
il cui valore, in sé e per differenza dai veri e propri verbi di ‘dire’, cfr. Laspia (1996: 65-72).
8
La centralità della sillaba, e non del fonema, nei meccanismi di produzione e ricezione
del linguaggio è oggi dimostrata fin dai primi mesi di vita; cfr. Bertoncini, Mehler (1981),
Fernald (1984), Hawkins (1999), per una visione d’insieme degli studi contemporanei
sulla sillaba; cfr. van der Hulst, Ritter (1999) cui rimandiamo per ulteriore bibliografia.
Ciò ha provocato una rivoluzione nel campo degli studi fonetici, segnando il passag-
gio dalla fonologia segmentale, incentrata sul fonema, alla fonologia autosegmentale,
incentrata sull’organizzazione prosodica; cfr. Nespor (1993: 103-128).
9
Per l’eteronomia di organizzazione fra il parlato e la sua rappresentazione alfabetica cfr.
Albano Leoni, Maturi (1995: 16-22).
108
Capitolo 6. Principi della classificazione del suono nella Grecia antica
10
Sul valore di nomina actionis dei femminili in -a cfr. Chantraine (1933: 18-26).
11
In Liddell, Scott (1940: 1672), si elencano invece due distinte accezioni di συλλαβή,
l’una attiva (“that which holds together”), propria del senso letterale (ad esempio Suppl.
456), e l’altra passiva (“that which is held together, esp. of several letters taken together
as to form one sound”), propria specificamente del valore fonetico (ad esempio Sept.
468); una simile ipotesi si rivelerà, come vedremo, insostenibile.
12
Cfr. Ryle (1960), di cui oltre. Tale interpretazione è suffragata anche dalle altre accezioni
di συλλαβή, che sono quella musicale di “accordo (di ottava)”, inaugurata da Filolao
(44 B 6 DK), e quella biologica di “concepimento” (cfr. Men. fr. 939 h Koerte: ἄνευ
μητρὸς οὐκ ἔστι συλλαβὴ τέκνου); quest’ultima rappresenta un trait d’union fra
linguaggio e vita caratteristico del pensiero greco; cfr. Laspia (1997).
109
Studi di fonetica greca
6.3
In un frammento (578 Nauck) di tragedia a noi purtroppo non pervenuta
nella sua interezza, il Palamede, Euripide mette in bocca al suo protagonista:
13
Cfr. Morais et al. (1979): soggetti portoghesi illetterati, e bambini in età prescolare,
dividono il parlato in sillabe, non in fonemi; per ulteriori e più recenti approfondimenti
cfr. Albano Leoni, Cutugno, Laudanna (1999).
14
Il primo a dimostrare, in epoca moderna, consapevolezza del ruolo essenziale dell’alfa-
beto per l’individuazione dei fonemi, è, strano a dirsi, Giacomo Leopardi, che si rivela in
ciò un linguista sorprendentemente attuale. Cfr. Gensini (1998: 48-54) in cui sono pub-
blicate le straordinarie osservazioni fonetiche contenute nello Zibaldone. Devo questa
informazione a Federico Albano Leoni, che ringrazio.
110
Capitolo 6. Principi della classificazione del suono nella Grecia antica
15
Nauck giustifica così il suo intervento: “Statt φωνοῦντα v. 2 hat Hemsterhuys φω-
νήεντα vermutet, dem Sinne nach richtig da es sich um Konsonanten und Vokale han-
delt, nicht um Sprachloses und Redendes; nur halte ich es für undenkbar, daß eine con-
trahirte Form wie φωνήεντα im tragischen oder komischen Trimeter jemals gebraucht
worden sei. Dann möchte Ich ἄφωνα φωνήεντα verziehen mit einem Asyndeton wie
es sich bei entgegengesetzen Begriffe nicht schen findet” (1884: 214-5). È comunque
da osservare che Nauck riconosce quale sia l’interpretazione letterale del testo, quando
sottolinea che si tratta qui di concetti fonetici, e non “di muti e di parlanti”.
16
Cfr. Hipp, De Victu, di cui oltre al paragrafo 4.
111
Studi di fonetica greca
17
Cfr. Lo Piparo (1988). Laspia (1995), (1996), (1997).
18
In quanto prodotta dall’organo del pensiero la voce è, per i Greci, ricettacolo della
potenza del significare; cfr. Laspia (1995), (1996), (1997: 54-6, 67-8), (1997b).
19
Cfr. Laspia (1996: 53-72).
20
Questi dati sono tratti da una mia ricerca, ancora in fieri, su γλῶσσα e φωνή in
Erodoto.
21
Cfr. Laspia (1999: 19-20).
22
Cfr. Beare (1906: 101), Kaimio (1977: 218-26), Ax (1986: 45-50).
112
Capitolo 6. Principi della classificazione del suono nella Grecia antica
Crat. 424 b-c: ἀρα οὖν ἐπείπερ συλλαβαῖς τε καὶ γράμμασιν ἡ μίμησις
τυγχάνει οὖσα τῆς οὐσίας. ὀρθότατόν ἐστι διελέσθαι τὰ στοιχεῖα
πρώτων, ὥσπερ οἱ ἐπιχειροῦντες τοῖς ῥυθμοῖς τών στοιχείων πρῶ-
τον τὰς δυνάμεις διείλοντο, ἔπειτα τῶν συλλαβῶν, καὶ οὓτως ἤδη
ἔρχονται ἐπὶ τοὺς ῥυθμοὺς σκεψόμενοι, πρότερον δ’ οὔ (...) ἆρ’ οὖν
καί ἡμᾶς οὔτω δεῖ πρῶτον μὲν τὰ φωνήεντα διελέσθαι, ἔπειτα τῶν
ἑτέρων κατὰ εἴδη τά τε ἄφωνα καὶ ἄφθογγα – οὑτωσὶ γάρ που λέ-
γουσι οἱ δεινοὶ περὶ τούτων – καὶ τὰ αὖ φωνήεντα μὲν οὗ, οὐ μέν-
τοι γε ἄφθογγα; καὶ αὐτῶν τῶν φωνηέντων ὅσα διάφορα εἴδη ἔχει
ἁλλήλων;
E dunque, dato che l’imitazione della realtà avviene per mezzo di lettere
e di sillabe la cosa più corretta non sarà distinguere prima gli elementi
(στοιχεῖα), come chi si occupa di ritmi distingue in primo luogo le pro-
prietà degli elementi, poi delle sillabe, e in questo modo giunge infine
a considerare i ritmi, prima no? (...) Così dunque anche noi dobbiamo
distinguere prima gli elementi vocali, poi (...) gli elementi non vocali e
non sonori – così infatti, credo, dicono gli esperti di queste cose – ed
infine quelli che vocali non sono, ma neppur privi di suono? E le vocali
stesse, quali siano le loro differenti specie?
Phil. 18 b-c: ἐπειδὴ φωνὴν ἅπειρον κατενόησεν εἴτε τις θεὸς εἴτε
καὶ θεῖος ἂνθρωπος – ὡς λόγος ἐν Αἰγύπτῳ Θεῦθ τινα τοῦτον γε-
νέσθαι λέγων, ὅς πρώτως τὰ φωνήεντα ἐν τῷ ἀπείρῳ κατενόησεν
οὐχ ‘ἐν ὂντα ἀλλὰ πλείω, καὶ πάλιν ἕτερα φωνῆς μὲν οὗ, φθόγγου
δὲ μέτεχοντά τινος, ἀριθμὸν δὲ τινα καὶ τούτων εἶναι, τρίτον δὲ εἶ-
δος γραμμάτων διεστήσατο τὰ νῦν λεγόμενα ἄφωνα ἡμῖν· τὸ μετὰ
τοῦτο διῄρει τά τε ἄφθογγα καὶ ἄφωνα μέχρι ἑνὸς ἐκάστου, καὶ τὰ
113
Studi di fonetica greca
φωνήεντα καὶ τὰ μέσα κατὰ τὸν αὐτὸν τρόπον, ἕως ἀριθμὸν αὐτῶν
λαβὼν ἐνὶ τε ἑκάστῳ καὶ σύμπασι στοιχεῖον ἐπωνόμασε· καθορῶν
δὲ ὡς οὐδεὶς ἡμῶν οὐδ ἂν ἓν αὐτὸ καθ’ αὐτὸ ἄνευ πάντων αὐτῶν μά-
θοι, τοῦτον τὸν δεσμὸν αὖ λογισάμενος ὡς ὄντα ἕνα καὶ πάντα ταῦ-
τα ἓν πως ποιοῦντα μίαν ἐπ’αὐτοῖς ὡς οὖσαν γραμματικήν τέχνην
ἐφθέγξατο προσειπών.
Poiché o un dio, o anche un uomo divino, scoprì che la voce è infinitamen-
te molteplice – e una leggenda in Egitto narra che fosse un certo Theuth
colui che, per primo, nell’infinitamente molteplice individuò le vocali
come non una ma molte, e ancora altri (elementi) partecipi di voce no,
ma di un certo qual suono, anche questi esistenti in numero determinato,
e come terza specie di lettere differenziò quelle da noi oggi chiamate “non
vocali (mute)” (ἄφωνα): e dopo ciò distinse le non vocali e non sonore
fino alle singole unità, e allo stesso modo le vocali e le intermedie fino a
quando, avendo afferrato il loro numero complessivo, dette a ciascuna e a
tutte il nome di “elemento” (στοιχεῖον): e rendendosi conto che nessu-
no di noi potrebbe imparare neppure uno (di questi elementi) preso per
sé solo, senza tutti gli altri, stimando questo legame come uno, e come
facente di tutti in qualche modo un’unità, una dichiarò essere l’arte che li
governa, e la chiamò ‘grammatica’.
23
Questo problema era già stato sollevato da Steinthal (1890: 255-9), che proprio per ciò
giudicava il complesso della terminologia fonetica greca come un groviglio di insana-
bili aporie. Da questo esempio si può giudicare quanto fuorviante risulti una lettura
degli antichi condotta secondo criteri allotri, come appunto fa Steinthal, pesantemente
influenzato dai dogmi della linguistica ottocentesca.
114
Capitolo 6. Principi della classificazione del suono nella Grecia antica
115
Studi di fonetica greca
24
Cfr. Laspia (1997: 55-8, 60-9).
25
Questa dualità è spiegata molto bene da Havelock: “Se fissiamo dinanzi alla nostra
mente il fatto che una lingua è composta di suoni e non di simboli o di lettere, e poi
riflettiamo sul modo in cui questi suoni sono realmente emessi, possiamo osservare che
gli elementi di base del linguaggio, così come viene articolato (...) sono formati dalla
combinazione di due operazioni fisiche. C’è, per un verso, la vibrazione di una colonna
d’aria nella laringe (...); e ci sono le interruzioni, le limitazioni e le aperture imposte a
questa vibrazione dall’azione congiunta della lingua, dei denti, del palato, delle labbra
e del naso. La vibrazione da sola può produrre un suono continuo che è suscettibi-
le di essere modificato con il semplice mutamento della forma della bocca. A queste
vibrazioni modificate diamo il nome di vocali. Il resto dell’apparato può essere utiliz-
zato per introdurre la vibrazione, per bloccarla o per compiere entrambe le operazioni.
Quando questo avviene, diamo alla rappresentazione dell’avvio o del blocco il nome di
consonante” (1976: 32-3).
26
Per un’interpretazione della coppia φωνήεντα/ἄφωνα in linea con la nostra cfr. Ha-
velock (1976: 33, 48-9), che non sembra però consapevole delle difficoltà legate all’inse-
116
Capitolo 6. Principi della classificazione del suono nella Grecia antica
rimento degli ἡμίφωνα in questo schema; la sua traduzione di ἡμίφωνον come “semi-
pronunziabile” è infatti incompatibile con la definizione di Aristotele (cfr. Poet. 1456 b
27-8); su questa definizione, e sui problemi da essa posti, cfr. oltre, § 6.
27
Formulata per la prima volta nel secolo scorso da Johannes Müller (1848), ma già im-
plicita nei principi di costruzione della macchina parlante di Wolfgang von Kempe-
len (1791: cfr. Pennisi 1994: 100-19), e ripresa in questo secolo da Chiba e Kajiyama
(1958), Fant (1960), e soprattutto da Philip Lieberman (1967), (1975), (1991) etc., la “teo-
ria sorgente-filtro” rappresenta la produzione del linguaggio come sinergia di due fatto-
ri. In primo luogo viene attivata una sorgente di energia acustica, che è l’aria proveniente
dai polmoni, successivamente messa in vibrazione dalla laringe. La vibrazione laringea
viene poi sottoposta all’azione di filtri rappresentati dalle varie configurazioni assunte
dalla cavità orale durante la fonazione. Tali configurazioni non producono di per sé
suono, ma diversificano la vibrazione laringea trasformandola prima di tutto in voce, e
successivamente in una sequenza di sillabe con nucleo vocalico diversificato, e con at-
tacco e/o coda consonantica. Per un’esposizione divulgativa di questi principi cfr. Lie-
berman (1975: 66-77, 101-24); maggiori dettagli tecnici in Lieberman, Blumtstein (1981);
per i medesimi principi in atto nella fonetica greca cfr. Laspia (1997: 51-69).
117
Studi di fonetica greca
6.4
È qui che si inaugura la forte vocazione teorica della fonetica greca, che si
intreccia con la nota dicotomia fra “occhi del corpo” e “occhi della mente”.
L’alternativa φωνῆεν/ἄφωνον, e la loro sinergia all’interno della συλλαβή,
permette di vedere con gli occhi della mente la struttura fonica del linguag-
gio: la fonetica si salda così, alle sue radici, con la filosofia. Ampiamente
documentato in Platone ed Arislotele, questo singolare matrimonio co-
mincia già con Eraclito, se è da considerare fededegna la testimonianza di
Aristotele nel De mundo, che nell’edizione Diels-Kranz costituisce l’intro-
duzione al frammento 10 della stessa raccolta. Ecco come Aristotele enuncia,
ed illustra, il celebre principio eraclitico della contrarietà come origine della
vita e della natura:
Arist. De mundo 5, 396 b 7 sgg. (22 B 10 DK): ἴσως δὲ τῶν ἐναντίων
ἡ φύσις γλίχεται καὶ ἐκ τούτων ἀποτελεῖ τὸ σύμφωνον, οὐκ ἐκ τῶν
ὁμοίων (. .. ) ἔοικε δὲ καὶ ἡ τέχωη τὴν φύσιν μιμουμένη τοῦτο ποιεῖν
(...) γραμματικὴ δὲ ἐκ φωνηέντων καὶ ἀφώνων γραμμάτων κρᾶσιν
ποιησαμένη τὴν ὅλην τέχνην ἀπ’ αὐτῶν συνηστήσατο. Certo la na-
tura tende verso i contrari, e da questi produce il consonante, non dai
simili (...) e anche l’arte, imitando la natura, sembra far questo (...) e la
grammatica producendo una mescolanza fra lettere vocali e non vocali,
compone l’intera arte a partire da queste.
28
Simili posizioni sono state sostenute, limitatamente a Platone, da Ryle: “ ‘Syllable’ is
regularly used as a phonetic term by Plato, Aristotle and Sestus Empiricus as the mini-
mum pronounceable. (...) Most separately inscribable characters of the written alpha-
bet do not stand for separately proununceable noises, and these were known to Plato
by the technical terms aphona and aphthogga, that is, mutes. (...) We cannot speak of the
vowel as linking some components that could exist without that linkage. A spoken mo-
nosyllable is not a phonetic molecule or which its consonants and vowels are the atoms.
In short, while characters are graphic atoms, phonems are not phonetic atoms” (1960:
433-5).
118
Capitolo 6. Principi della classificazione del suono nella Grecia antica
È difficile non riconoscere, dietro la sinergia dei contrari (ἐκ τῶν ἐναν-
τίων) che genera il “consonante” (σύμφωνον), la diade ἄφωνα/φωνήεντα
come principio generativo della συλλαβή. Il modo in cui dall’originaria
contarietà fonetica vocale/non vocale si origina il consonante corrisponde
al principio base di formazione della sillaba, che combina l’emissione di
voce con una o più restrizioni a livello dell’apparato vocale sopralaringeo.
Il passo è altresì significativo perché permette di svolgere alcune considera-
zioni sul significato originario del termine “grammatica” (γραμματική). È
stato giustamente osservato che il termine non ha, in origine, il significato
odierno, ma si identifica piuttosto con la capacità di leggere e scrivere.29
Occorre però anche rilevare che l’“arte di leggere e scrivere” implica, di fat-
to, una trasposizione dalle modalità sequenziali dello scritto alle modalità
simultanee del parlato che, per chi ne sia consapevole, si identifica con un
vero e proprio sapere teorico. Ancora legato a questa consapevolezza, che si
perde totalmente solo in epoca alessandrina, Aristotele chiamerà per questo
la γραμματική non “arte” (τέχνη) ma “scienza” (ἐπιστήμη), e descriverà
il suo rapporto con l’oggetto come un “vedere con gli occhi della mente”
(θεωρεῖν).30
Questa nostra interpretazione del termine γραμματική è confermata
da quanto leggiamo nel primo libro del De Victu, un trattato ippocratico,
anch’esso di ispirazione eraclitea, databile fra la fine del V e l’inizio del IV
sec, a.C.: 31
29
Cfr. ad esempio Joly (1960: 60), Pecorella (1962: 59), Matthews (1990: 187-8). Sza-
bò (1973: 327), osserva invece, e meglio: “Unter ‘Grammatik’ verstand man jedoch oft
(und zwar auch schon im 5. Jh. v.u.Z.) auch die wissenschaftliche Betrachtung der Laute,
die sowohl die physiologische Seite der Sprache wie auch die Akzentlehre – im Zusam-
menhang mit Metrik und Musik – umfaßte”. Sulla rilevanza di metrica e musica per le
origini della fonetica greca cfr. oltre, § 6.
30
Cfr. Met. Γ 2, 1003 b 19-21: ἅπαντος δὲ γένους καὶ αἴσθησις μία ἐνὸς καὶ ἐπιστή-
μη. οἷον ἡ γραμματικὴ μία οὐσα πάσας θεωρεῖ τὰς φωνάς. Cfr. anche Top. A 5, 126
a 19-20 (per γραμματική come ἐπιστήμη), Met. Μ 10, 1087 a 20 (per θεωρεῖν come
sua attività propria).
31
Cfr. Joly (1960: 203-9), (1967: 14-6): “tout le désigne comme une oeuvre éclectique de
la fin du V siècle”.
119
Studi di fonetica greca
32
Cfr. Joly (1960: 60), Jones (1979: 259). Qui l’anonimo autore del trattato si rivela a sua
volta, in qualche modo, dipendente dalla scrittura. Non ci sarebbe altrimenti ragione
di classificare le vocali del greco come sette: cfr. Lejeune (1955: 183-4).
120
Capitolo 6. Principi della classificazione del suono nella Grecia antica
l’analisi fonetica riconosce infatti nel parlato la sinergia di due tipi di strategie
articolatorie: le une autonomamente udibili e producibili (φωνήεντα), e
le altre che per produrre un risultato percepibile debbono essere prodotte
in “vincolo” (συλλαβή) con le vocali, e che sono pertanto dette “mute”
(ἄφωνα). Le posizioni articolatorie non vocaliche possono dunque essere
prodotte solo nel contesto della sillaba. Da ciò consegue che i γράμματα
– termine che individua prima le unità della lingua scritta, poi le singole
posizioni articolatorie derivate dall’analisi del nesso – svolgono il loro ruolo
solo all’interno delle συλλαβαί.
Questo modello teorico è perfettamente bilanciato come principio di
spiegazione della genesi del suono linguistico. Ai primordi della scienza
greca, le vocali sono viste come soli possibili nuclei di sillaba, perché sono
ritenute le uniche posizioni articolatorie autonomamente udibili e produci-
bili. L’individuazione e la descrizione, da parte dei metricisti contemporanei
o poco precedenti a Platone, di posizioni articolatorie non vocaliche, e
nondimeno in grado di produrre suono (si tratta delle nostre consonanti
continue, la cui tenuta può essere arbitrariamente prolungata: Platone chia-
mava questo tipo di articolazioni μέσα, Aristotele ἡμίφωνα) rappresenterà
un gravissimo problema teorico per questo paradigma. Tale rivoluzionaria
scoperta mostra che le regole di formazione della sillaba sono molto più
complesse di quanto può essere previsto in base a un modello che oppone
le posizioni articolatorie vocaliche alle posizioni articolatorie non vocaliche
(consonanti occlusive), e genera la sillaba in base a questa semplice alternati-
va. Non a caso, è proprio nel momento dell’inaugurarsi delle classificazioni
tripartite che γράμμα è affiancato, e in parte sostituito, da un nuovo e ben
più controverso conio lessicale: στοιχεῖον.33
33
Il dibattito intorno all’etimologia e al significato primo di στοιχεῖον è uno dei più vi-
vaci svolti in questo secolo intorno a un termine teorico dell’antichità. Per ricapitolare le
sue tappe fondamentali cfr. Diels (1899), Lagercrantz (1911), Dornseiff (1922), Vollgraff
(1949), Koller (1955), Burkert (1959), Lumpe (1962), Balasz (1965), Lohmann (1970), Sch-
wabe (1980), e, per quanto concerne specificamente Platone, cfr. Ryle (1960), Gallop
(1963), Druart (1968), (1975).
121
Studi di fonetica greca
6.5
Attestato non prima dell’inizio del IV sec. a.C., στοιχεῖον non è, a diffe-
renza di γράμμα, un termine specificamente legato alla voce umana e/o alla
sua rappresentazione grafica, ma presenta fin dall’origine un’ampia gamma
di accezioni. La più antica attestazione è in Aristofane, e indica l’ombra,
crescente o decrescente, proiettata da un corpo nelle varie ore del giorno e
assunta come rudimentale sistema di misurazione del tempo: 34 si tratta di
un’accezione marginale, strettamente circoscritta al teatro comico. La vera
storia di στοιχεῖον si inaugura con Platone ed Aristotele, ove il termine
presenta le seguenti principali accezioni: 1. suono linguistico elementare; 2.
principio materiale ed elementare di costruzione del cosmo (come fuoco,
acqua, terra ed aria, che dai Presocratici non sono comunque mai denomi-
nati στοιχεῖα); 3. nota musicale, come principio materiale ed elementare
della progressione costituita dalle note della scala musicale; 4. proporzione
matematica, come costituente semplice della sequenza progressiva dei vari
passaggi nella dimostrazione di un teorema, procedura che proprio in quel
periodo veniva messa a punto in geometria, e di lì trasferita ad altri campi
del sapere.35
Non resta a questo punto che domandarsi: qual è il minimo comun
denominatore che lega tutte queste accezioni? E quale l’accezione prima
e fondamentale di στοιχεῖον? Intorno a questi argomenti è in atto una
controversia che, inaugurata con un fortunato lavoro di H. Diels alla fine del
secolo scorso, non è giunta ancora ad una conclusione definitiva, nonostante
che chiari appaiano ormai i dati relativi all’etimologia. Dal punto di vista
etimologico, στοιχεῖον è derivato dal grado forte di στείχω, verbo omerico
successivamente limitato al linguaggio della poesia, riferito all’incedere delle
34
Cfr. Aristoph. Eccl., 650-1. Per un elenco completo delle occorrenze di questa accezione
di στοιχεῖον nella commedia antica e nuova, e per la letteratura critica al riguardo, cfr.
Diels (1899: 60).
35
La storia di στοιχεῖον come proposizione matematica è molto ben ricostruita in
Burkert (1959), che non a caso considera questa l’accezione prima e fondamentale del
termine.
122
Capitolo 6. Principi della classificazione del suono nella Grecia antica
36
Cfr. Conon. Melampodis seu Diomedis in art. Dion § 6 (Hilgard 35, 24 ss.): Καὶ ἐτυ-
μολογεῖ αὐτὰ ἀπὸ τοὺς στείχω, ὅ ἐστι μετὰ τάξεως πορεύομαι· οὐ γὰρ ἀτάκτως
καὶ ὡς ἔτυχεν ἐπιπλέκεται ἀλλήλοις τὰ στοιχεῖα. Cfr. ancora Schol. More. in arr.
Dion. § 6 (Hilgard 318, 8 ss.): Πόθεν εἴρηται στοιχεῖον; ἀπὸ τοὺ στείχω, ὃ δηλοῖ
τὸ ἐν τάξει πορεύομαι <ἐξ οὒ γίνεται στοῖχος> τάξιν γὰρ ἔχουσί τινα, ὅτι τὰ
φθάσαντα προταγῆναι οὐδέποτε ὑποτάσσονται· οὐ γὰρ ἀτάκτως καὶ ὡς ἔτυχεν
ἐπιηλέκυνται ἀλλήλοις τὰ στοιχεῖα, ἀλλ’ ἀρμονίᾳ τινὶ φυσικῇ.
37
Per maggiori particolari sull’etimologia, cfr. Diels (1899: 57-68), Schwabe (1980: 83-91).
38
Cfr. Lagercranz (1911), per cui στοῖχος è - in via puramente congetturale – il suolo
su cui si cammina, e στοιχεῖον il passo di chi lo percorre, e mediante cui si effettua
la misurazione dell’ora del giorno; di qui il termine avrebbe assunto la valenza astratta
di “elemento di misurazione”. Altrettanto fantasiosa la soluzione di Vollgraff (1949),
per cui il termine designa il singolo elemento di qualunque insieme di oggetti concreti
disposti in serie: anche questa congettura non trova il minimo appiglio nella letteratura
a noi tramandata.
39
Per Diels (1899) e Schwabe (1980) στοιχεῖον è la lettera dell’alfabeto, o il grafema come
singolo costituente di una riga di scritto, per Dornseiff (1922) e Lumpe (1962), smenti-
ti tuttavia dalla testimonianza di Eudemo di Rodi (fr. 31 Wehrli = Simpl. in phys. p.
7, 10 ss. Diels) che designa esplicitamente come iniziatore di quest’uso Platone (il qua-
le in Crat. 424 e rimanda invece, per l’uso grammaticale, ad “esperti sull’argomento”,
che in Phil. 18 b-c sono addirittura sostituiti da un πρῶτος εὐρετῆς nella figura del
mitico Theuth) è l’accezione cosmologica quella primitiva, mentre Koller (1955) e Loh-
mann (1970) optano per la nota musicale, e Burkert (1959) per il principio matematico.
Un’accezione fonetico-metrica è considerata, strictu sensu, primitiva solo in Balasz (1965).
123
Studi di fonetica greca
40
Già questa sola osservazione smentisce l’ipotesi di Burket, che non a caso retrodata la
fioritura del matematico Menaichmos, presunto inventore del termine στοιχεῖον, e da
Burkert definito “contemporaneo di Platone” (1959: 191). Di contro Schwabe (1980: 117)
osserva giustamente: “Wird man einen Schüler von Eudoxos und Platon doch richtiger
alt Zeitgenossen des Aristoteles betrachnen”.
41
Delle 68 attestazioni platoniche di στοιχεῖον, solo le ultime sei del Timeo (54 d 6, 55
a 8, b 4, 56 b 5, 57 c 9, 61 a 7) riguardano senz’altro gli elementi del cosmo. Per la pri-
ma attestazione del Timeo (48 b-c), che riporta anche le altre alla metafora “elemento
fonico/elemento del cosmo”, cfr. oltre, la nota 43. Anche nelle tre attestazioni del Po-
litico (277 e 6, 278 b 5, d ) si parla dapprima di στοιχεῖα τῶν γραμμάτων, percepiti
nel contesto delle “sillabe più brevi semplici” (τῶν στοιχείων ἔκαστον ἐν ταῖς βρα-
χυτάταις καὶ ῥᾴσταις τῶν συλλαβῶν ἱκανῶς διαισθάνονται), per poi arrivare per
metafora agli elementi e alle sillabe “del tutto” (τὰ τῶν πάντων στοιχεῖα (...) εἰς τὰς
τῶν πραγμάτων μακρὰς καὶ μὴ ῥᾳδίους συλλαβάς: ib. 278 d 1-5). Tutte le rima-
nenti attestazioni oscillano fra senso grammaticale esplicito (cfr. ad es. Resp. Γ 402 a
7 ss., che è forse la più antica: γραμμάτων πέρι τότε ἱκανῶς εἴχομεν, ὅτε τὰ στοι-
χεῖα μὴ λανθάνοι ἡμᾶς ὀλίγα ὄντα ἐν ἅπασιν οἷς ἔστιν περιφερόμενα), e il senso
generico-definitorio di “primo ingrediente di un processo di sintesi o costruzione”, co-
munque ricavato dal senso grammaticale (cfr. ad es. Soph. 252 b 3, Crat. 434 b 7: ἔστι
δέ, ἐξ ὧν συνθετέον, στοιχεῖα). Sottolineiamo inoltre che la quasi totalità (45) del-
le attestazioni del termine sono ripartite fra il Cratilo, cosiddetto “dialogo linguistico”
di Platone, e il finale del Teeteto, che tratta aporeticamente dei rapporti fra “sillaba” ed
“elemento”: e concludiamo che il senso primo di στοιχεῖον è “ingrediente primo del
suono linguistico”.
42
Cfr.Crat. 422 a 2-3: (...) ἐπ’ἐκείνοις γένηται τοῖς ὀνόμασιν, ἃ ὡσπερεὶ στοιχεῖα
τῶν ἄλλων ἐστὶ καὶ λόγων καὶ ὀνόματων, Thaet. 206 b 1-3: (...)τὸ τῷ φθόγγῳ
ἑκάστῳ δύνασθαι ἐπακολουθεῖν, ποίας χορδῆς εἴη· ἃ δὴ στοιχιεῖα πᾶς ἂν ὁμο-
λογήσειε μουσικῆς λέγεσθαι.. Si vedano inoltre Pol. 278 d sopra citato, ed infine
Tim. 48 b-c, citato sotto alla nota successiva.
124
Capitolo 6. Principi della classificazione del suono nella Grecia antica
43
Cfr. Plat. Tim. 48 b-c: νῦν γὰρ οὐδεῖς πω γένεσιν αὐτῶν μεμνήνυκεν, ἀλλ’ ὡς
εἰδόσιν πῦρ ὅτι ποτέ ἐστιν καὶ ἔκαστον αὐτῶν λέγομεν ἀρχὰς αὐτὰ τιθέμενοι
στοιχεῖα τοῦ παντός, προσῆκον αὐτοῖς οὐδ’ἂν ὡς ἐν συλλαβῆς εἴδεσιν μόνον
εἰκότως ὑπὸ τοῦ βραχὺ φρονοῦντος ἀπεικασθῆναι.
44
Ciò è affermato a chiare lettere da Platone stesso in Thaet. 202 e 3 ss.: ΣΩ. ᾿Ιστέον
δὲ· ὥσπερ γὰρ ὁμήρους ἔχομεν τοῦ λόγου τὰ παραδείγματα οἷς χρώμενος εἶπε
πάντα ταῦτα. ΘΕΑΙ. Ποιζα δή; ΣΩ. Τὰ τῶν γραμμάτων στοιχεῖα καὶ συλλαβάς.
῍Η οἴει ἄλλοσέ ποι βλέποντα ταῦτα εἰπεῖν τὸν εἰπόντα ἃ λέγομενς; ΘΕΑΙ. Οὔκ,
ἀλλ’ εἰς ταῦτα.
45
Questo aspetto è colto molto bene da Lagercranz (1911: 8): “Denn das Alphabet war
der griechischen Anschauung nach kein στοῖχος”.
46
Cfr. Burkert (1959: 170-1, 176).
125
Studi di fonetica greca
47
“Wie wir oben vermutet haben, sind die Rhythmiker bei dieser Wortprägung vom op-
tischen Phänomen der geschriebenen Buchstabenreihe ausgegangen” (Schwabe 1980:
144). Questa soluzione è adottata, per Platone, anche da Gallop (1963), Druart (1975),
mentre Ryle (1960) sottolinea giustamente il primato fonetico dello στοιχεῖον; per una
chiarificazione di questo punto cruciale si veda oltre.
48
Per esempio da Vegetti (1989: 205), che rimanda a Schwabe (1980): “il gramma è dunque
stoicheion, elemento primo, semplice e invariante della scrittura”.
49
Cfr. Liddell, Scott (1940) s.v. diverso è il senso del lemma quando riferito alla
costruzione del verso poetico; cfr. Balasz (1965: 233).
50
“Accordingly, the word στοιχεῖον was originally non a mathematical or geometri-
cal but a rhythmical-metrical and still later a grammatical term, denoting the smallest,
further unanalyzable element of a vers στίχος” (Balasz 1965: 233).
126
Capitolo 6. Principi della classificazione del suono nella Grecia antica
51
Cfr. Comm. Melampodis seu Diomedis in art. Dion. § 6 (=Hilgard 32, 16 sgg.): Καὶ
ἔστι μὲν εἰπεῖν, ὡς καὶ αὐτὸς μετ’ ὀλίγον ἐρεῖ ἐπειδὴ ταὐτόν ἐστι στοιχεῖον καὶ
γράμμα· φησὶ γὰρ ὑποκατιὼν ὁ τεχνικὸς τὰ δὲ αὐτὰ καὶ στοιχεῖα καλεῖται· τὸ
δὲ ἀληθές, ὅτι στοιχεῖον μέν ἐστι ἡ ἑκφώνησις, γράμματα δὲ αἱ εἰκόνες καὶ οἱ
καραχτῆρες. Schol. Marc. in art. Dion. § 6 (=Hilgard 323, 33 ss.): Διαφέρει δέ πά-
λιν στοιχεῖον γράμματος, ὅτι τό μὲν στοιχεῖον ὄνομά ἐστιν τῆς ἐκφωνήσεως,
τὸ δὲ γράμμα ὄνομά ἐστι τοῦ καραχτῆρος. La soluzione è ripresa da Prisciano, for-
temente dipendente da fonti greche. Inst. 1, 2: “Litera igitur est nota elementi et velut
imago quaedam vocis literatae, quae cognoscitur ex qualitate et quantitate figurae linea-
rum, hoc ergo interest inter elementa et literas, quod elementa proprie dicantur ipsae
pronuntiationes, notae autem earum literae”.
52
Per un elenco completo dei controesempi cfr. Burkert (1959: 173).
53
“Jedenfalls gehört zu στοιχεῖον immer das verstandesmäßige Analysieren: beim Ler-
nen der γράμματα kommt es darauf an, τῶν στοιχείων ἕκαστον διαισθάνεσθαι
(Polit. 277 e), διὰγιγνώσκειν (Tht. 206 a), διαιρεῖν (Phil. 18 b ff.), διελέσθαι (Krat.
424 b) und συντιθέναι (Krat. 434 ab) - wo diese Begriffe auftreten, da tritt an Stelle
von γράμμα στοιχεῖον (...). Was στοιχεῖον von γράμμα unterscheidet, ist eben die
Beziehung aufs rationale Analysieren, ist eben die Bedeutung ‘Element’ ” (Burkert 1959:
173).
127
Studi di fonetica greca
e), che “è impossibile imparare anche solo uno di questi elementi da solo,
senza tutti gli altri”.54
Possiamo a questo punto concludere che i derivati di στείχω non allu-
dono affatto ad un ordine statico lineare, quello delle lettere nell’alfabeto
o dei grafemi in un testo a stampa. Oltre a passar sopra all’originario va-
lore dinamico di στείχω e στοῖχος, una simile interpretazione non tiene
neppur conto della testimonianza degli antichi commentatori, secondo
i quali στοῖχος e ζυγόν individuano due diversi tipi di ordinamento.55
L’ordine lineare (orizzontale) di oggetti disposti “uno accanto all’altro” è
infatti per gli antichi indicato dal solo ζυγόν; ed è questo l’ordine presente
nella rappresentazione scritta del parlato, e poi ipostatizzato nel saussuriano
principio di linearità del significante. Στοῖχος si riferisce invece all’ordine
gerarchico (verticale) di oggetti o entità originariamente in movimento:
come le schiere (στοῖχοι) dei soldati in marcia, la progressione crescente e
decrescente dell’ombra assunta come sistema di misurazione temporale, la
progressione delle note come successivo accrescimento di toni nella scala
musicale, i singoli passaggi nello sviluppo di un teorema o di una dimostra-
zione geometrica, gli “elementi” visti come ingredienti della cosmopoiesi:
tutti, cioè, gli elementi extrafonici di στοιχεῖον.
In definitiva: γράμμα è il singolo costituente fonico, scritto o pronun-
ziato, acriticamente avulso dal nesso sillabico; στοιχεῖον è, al contrario,
l’ingrediente primo e semplice di un procedimento ordinato di costruzione
(στοῖχος), che attraverso una serie successiva di tappe genera la sillaba.56
54
Cfr. Phil. 18 c-d: καθορῶν δὲ ὡς οὐδεὶς ἡμῶν οὐδ’ ἂν ἓν αὐτὸ καθ’αὐτὸ ἄνευ
πάντων αυτῶν μάθοι, τοῦτον τὸν δεσμὸν αὖ λογισάμενος ὡς ὄντα ἕνα καὶ πάν-
τα ταῦτα ἓν πως ποιοῦντα μίαν ἐπ’αὐτοῖς ὡς οὖσαν γραμματικὴν τέχνην εφθέγ-
ξατο προσειπῶν. Il passo è inserito subito dopo la tripartizione degli elementi dei lin-
guaggio in φωνήεντα, μέσα ed ἄφωνα, e dimostra fra l’altro che ai singoli γράμματα
pertiene il nome di στοιχεῖα solo in quanto membri di questa tripartizione.
55
Cfr. Suid. s.v. ζυγεῖν: Ζυγεῖν ἐστι τὸ ἐπ’ εὐθεῑας τῷ κατὰ μῆκος στίχῳ κεῖσθαι,
ἤτοι παραλλήλως ἔχειν. Στοιχεῖν ἐστι τὸ ἐπ’ εὐθείας κεῖσθαι τῷ κατὰ βάθος
στίχῳ· τοῦτο γὰρ κυρίως λέγεται.
56
In una simile prospettiva non appare più problematica l’espressione τὰ στοιχεῖα τῶν
γραμμάτων, a torto assunta come prova a favore degli avversari del primato linguistico
128
Capitolo 6. Principi della classificazione del suono nella Grecia antica
Ora, questa è precisamente la spiegazione che gli antichi davano del termi-
ne στοιχεῖον, quando ne individuavano correttamente la derivazione da
στείχω, “procedo ordinatamente”, e στοῖχος, “progressione”: 57
Schol. In Arat. 91, 12 Maas: E anche in grammatica chiamiamo i ‘gram-
mata’ ‘stoicheia’ perché le sillabe si generano da essi secondo una certa
progressione e un certo ordine.
6.6
Torniamo ora, in conclusione, al problema rappresentato dalle classifica-
zioni tripartite, e in particolare dalla scoperta di posizioni articolatorie non
vocaliche, e tuttavia autonomamente udibili e producibili. Rispetto a questo
problema, tre soluzioni erano possibili: o riconoscere anche agli ἡμίφωνα
oltre che ai φωνηέντα, lo statuto di possibili nuclei di sillaba, o stabilire
fra le tre classi una gerarchia di udibilità che riconoscesse solo alle vocali la
chiarezza percettiva sufficiente per fungere da supporto agli altri tipi di artico-
lazione, o definire infine la sillaba su basi differenti da quelle semplicemente
acustico-articolatorie.
La prima soluzione non sembra essere stata adottata in nessuna fase
della riflessione fonetica greca.58 Abbiamo infatti visto che a una classifica-
dello στοιχεῖον. Non si tratta però, come parafrasa Lagercranz, di “Grundformen der
Schrift” (1911: 20): a meno di non intendere con questa espressione i prototipi fonetico-
metrici dei γράμματα. È altresì da rilevare che l’espressione στοιχεῖα φωνῆς - questa
sì, secondo la nostra interpretazione ridondante, e inspiegabile fino a che στοιχεῖον
non diviene di uso corrente in ambito non linguistico - non compare prima delle spurie
Definizioni platoniche.
57
Cfr. anche le attestazioni riportate sopra alla nota 35. La medesima spiegazione ricorre
anche in Apollonio Discolo; cfr. Synt. § 2: ῎Ηδη γὰρ ἡ πρώτη ῥηθεῖσα ἀμερὴς ὕλη
τῶν στοιχεῖων τοῦτο πολὺ πρότερον κατέπηγγείλατο, οὐχ ὡς ἔτυχεν ἐπιπλο-
κὰς ποιησαμένη τῶν στοιχείων, ἀλλ’ ἐν τῇ κατὰ τὸ δέον συντάξει, ἐξ ἧς σχεδὸν
καὶ τὴν ὀνομασίαν εἴληχεν.
58
Di diverso avviso è W. Belardi, che attribuisce ad Aristotele “l’intuizione del possibile
ruolo acrosillabico degli ἡμίφωνα” (1985: 65). La dottrina aristotelica della sillaba è il
punto più alto, ma anche più difficile, della riflessione fonetica greca.
129
Studi di fonetica greca
zione tripartita dei suoni del linguaggio si affianca, in tutte le epoche della
grecità, una parallela classificazione bipartita, che oppone i φωνηέντα a una
classe comprendente tutti gli altri tipi di suono (ἄφωνα, poi σύμφωνα).59
Ciò pone il problema di stabilire il valore reciproco di queste classificazio-
ni. A nostro parere, mentre le classificazioni tripartite sono essenzialmente
finalizzate alla descrizione acustico-articolatoria, le classificazioni bipartite
obbediscono invece a una logica funzionale; esse individuano cioè, i co-
stituenti fondamentali all’interno della sillaba. Se così stanno le cose, la
riflessione fonetica greca in tutte le sue fasi riconosce alle vocali, e solo alle
vocali, il ruolo di possibili nuclei di sillaba.60 Ciò è documentato da esplicite
59
Cfr. per Platone, Crat. 393 e, Thaet. 203 b: καὶ γὰρ δή, ὦ Σώκρατες, τό τε σῖγμα
τῶν ἀφώνων ἐστί, ψόφος τις μόνον, οἷον συριττούσης τῆς γλώττης· τοῦ δ’ αὖ
βῆτα οὔτε φωνὴ οὔτε ψόφος, οὐδὲ τῶν πλείστων στοιχείων. Per Aristotele, cfr.
Hist. an. Δ 9, 535 a 30-b 1: διάλεκτος δ’ ἡ τῆς φωνῆς ἐστι τῇ γλώττῃ διάρθρωσις.
τὰ μὲν οὖν φωνήεντα ἡ φωνὴ καὶ ὁ λάρυγξ ἀφίησιν, τὰ δ’ ἄφωνα ἡ γλῶττα καὶ
τὰ χείλη· ἐξ ὧν ἡ διάλεκτός ἑστιν. Una classificazione bipartita si legge anche, assai
finemente, fra le righe in Poet. 20, 1456 b 25-6: (ταύτης δὲ μέρη τό τε φωνῆεν καὶ τὸ
ἡμίφωνον καὶ ἄφωνον) . Qui, mentre la lettera del testo enuncia una tripartizione, la
mancanza del determinantivo τό prima di ἄφωνον lo fa rientrare, di fatto, in un’unica
classe con l’ἡμίφωνον.
60
Sulla stessa linea si collocherà, fra i grammatici latini, Prisciano. Cfr. Inst. I, 18: “Mul-
ta enim est differentia inter consonantes, ut diximus, et vocales, tantum fere interest
inter vocales et consonantes, quantum inter animas et corporas. animae enim per se
moventur, ut philosophis videtur, et corpora movent, corpora vero nec per se sine ani-
ma moveri possunt nec animas movent, ed ab illis moventur, vocalis similiter et per se
moventur ad perficiendam syllabam et consonantes movent secum, consonantes vero
sine vocalibus immobiles sunt”. Greche sono, ancora una volta, le fonti di Prisciano;
cfr. Scol. Vat. in art. Dyon. § 6: ὅτι τὰ μὲν φωνήεντα τῇ ψυχῇ ἐοίκασι, τὰ δὲ
σύμφωνα τῷ σώματι· καὶ ὥσπερ ἡ ψυχή, εἰ καὶ χωρὶς τοῦ σώματος δύναται εἶ-
ναι, ἀλλὰ δεῖται τοῦ σώματος εἰς τὸ ἀποτελέσαι τὴν σύστασιν τοῦ ζῴου, τὸν
αὐτὸν τρόπον καὶ τὰ φωνήεντα, εἰ καὶ καθ’ἑαυτὰ δύναται παραλαμβάνεσθαι καὶ
ἀφ’ἐαυτῶν ἐκφωνεῖσθαι, ἀλλὰ δέονται τῆς τῶν συμφώνων συντάξεως εἰς τὸ
ἀποτελέσαι τὴν ἐγγράμματον φωνήν. I medesimi concetti ricorrono ancora negli
Scolia Londinensia, nel commento al § 6 della Τέχνη: ᾿Ιστέον δὲ ὅτι τὰ μὲν φωνήεν-
τα τῇ ψυχῇ ἐοίκασι, τὰ δὲ σύμφωνα τῷ σώματι· ὥσπερ γὰρ ἡ ψυχὴ χωρὶς τοῦ
σώματος δύναται εἶναι, τὸ δὲ σῶμα χωρὶς τῆς ψυχῆς οὐ δύναται συστῆναι, τὸν
αὐτὸν τρόπον τὰ μὲν φωνήεντα καὶ χωρὶς τῶν συμφώνων δύνανται συστῆναι,
τὰ δὲ σύμφωνα ἄνευ τῶν φωνηέντων οὺ δύνανται συστῆναι.
130
Capitolo 6. Principi della classificazione del suono nella Grecia antica
61
Plat.Soph. 253 a: τὰ δὲ γε φωνήεντα διαφερόντως τῶν ἄλλων οἶον δεσμὸς διὰ
πάντων κεχώρηκεν, ὥστε ἄνευ τινὸς αὐτῶν ἀδύνατον ἁρμόττειν καὶ τῶν ἄλλων
ἕτερον ἑτέρῳ.
62
Met. I 2 1054 a 1-2: ὁμοίως δὲ καὶ ἐπὶ τῶν φθόγγων στοιχείων ἂν ἦν τὰ ὄντα
ἀριθμός, καὶ τὸ ἓν στοιχεῖον φωνῆεν.
63
Cat. 6, 4 b 32-7: ὅτι μὲν γὰρ ποσόν ἐστιν ὁ λόγος φανερόν· καταμετρεῖται γὰρ
συλλαβῇ μακρᾷ καὶ βραχείᾳ· λέγω δὲ αὐτὸν τὸν μετὰ φωνῆς λόγον γιγνόμε-
νον· πρὸς οὐδένα γὰρ κοινὸν ὅρον αὐτοῦ τὰ μόρια συνάπτει· οὐ γὰρ ἔστι κοι-
131
Studi di fonetica greca
è propria, fra gli elementi, solo delle vocali.64 Aristotele sembra dunque
aver concepito la sillaba come unità ritmica, non più puramente fonetica.65
Le vocali sono i soli possibili nuclei di sillaba, perché esse, e solo esse, sono
portatrici dei principi prosodici di organizzazione del parlato, che fanno
della sillaba, non del singolo suono, l’unità minima in cui si scompone l’e-
nunciato fonetico. Le cosiddette “semivocali” si chiamano così perché, per
quanto autonomamente udibili e producibili, non sono equivalenti alle
vocali in quanto non possono svolgere la funzione di nucleo di sillaba.66
Aristotele si rivela così promotore di una teorizzazione fonetica molto ma-
tura, che classifica i suoni del linguaggio su base ritmico-prosodica, prima
che fonetico-articolatoria. Sviluppata compiutamente da Aristosseno, ma
già implicita nella competenza ritmica degli aedi all’alba della civiltà greca,
questa posizione segna il punto di massima divergenza dell’analisi fonetica
dal paradigma lineare della scrittura.
νὸς ὅρος πρὸς ὃν αἱ συλλαβαὶ συνάπτουσιν, ἀλλ’ ἑκάστη διώρισται αὐτὴ καθ’
αὐτήν. “Che il discorso sia un quanto, è evidente: è infatti interamente misurato (κα-
ταμετρέω) dalla sillaba breve e lunga; dico, questo, il discorso che si produce attraverso
la voce. Rispetto a nessun limite comune le sue parti si congiungono: non esiste, infatti,
un limite comune rispetto a cui le sillabe si congiungano, ma ciascuna si distingue in sé
e per sé”.
64
Così almeno intendevano gli antichi, e in primo luogo Aristotele; cfr. Poet. 1456 b 32-33.
Anche per Dionisio Trace e i suoi commentatori la quantità è un tratto intrinseco delle
vocali in quanto elementi; cfr. Ars § 6 e scolii relativi. Pur non disconoscendo il fenome-
no della quantità consonantica, che la scrittura registra con l’artificio delle consonanti
doppie, osserviamo che metricamente le consonanti doppie si redistribuiscono in silla-
be diverse: segno che la quantità, intesa come principio di organizzazione prosodica, è
effettivamente propria solo delle vocali, o comunque dei segmenti usati in funzione di
nuclei di sillaba.
65
Cfr. Laspia (1996b), (1999).
66
Una simile affermazione è esplicita in Donato che, se la nostra tesi è corretta, potrebbe
essere la fonte prima di Aristotele. Cfr. Ars Gramm. I, 2: “Littera est pars minima vocis
articulatae. litterarum aliae sunt vocales, aliae sunt semivocales, aliae mutae, vocales sunt
quae per se proferentur, et per se syllabam faciunt. (...) semivocales sunt quae per se
quidem proferentur, sed per se syllabam non faciunt (...) mutae sunt quae nec per se
proferentur nec per se syllaba faciunt”.
132
Capitolo 6. Principi della classificazione del suono nella Grecia antica
67
Cfr. Comm. Melampodis seu Diomedis in art. Dion. § 6 (=Hilgard 42, 17 ss.): Τὸ α
σημαίνει τέσσαρα, στέρησιν, ἐπίτασιν, ὄμους, κακόν (...) κακὸν δέ, ὡς ἐν τῲ “ὁ
δεῖν’ ἄμορφός ἐστιν”, ἀντὶ τοῦ κακόμορφος· οὐ γὰρ ἐστέρηται τῆς οἰασδήποτε,
μορφῆς ὁ δεῖνα· “ὁ τραγῳδὸς ἄφωνός ἐστι” τουτέστι κακόφωνος· οὐ γὰρ ἔστι
τραγῳδὸς φωνὴν μὴ ἔχων. Οὕτως οὖν ἐνταῦθα ἄφωνα λέγεται ταῦτα τὰ ἐννέα
γράμματα ὼς κακόφωνα, καὶ οὐχ ὡς τελείως φωνῆς ἐστερημένα. Il medesimo
concetto ritorna negli Scholia Vaticana (=Hilgard 201, 22 ss.), e ancor più chiaramente
negli Scholia Marciana (=Hilgard 336, 11 ss.): ᾿Απὸ τοῦ α τοῦ σημαίνοντος τὸ κακὸν
γίνονται καὶ τὰ ἄφωνα, ἤτοι δύσφωνα, ἤγουν κακόφωνα, καὶ οὐχ ὡς τελείως
φωνῆς ἐστερημένα.
133
Studi di fonetica greca
68
Cfr. Harris (1990).
134
Capitolo 7
1
È questa, come è noto, l’opinione di M. Parry; cfr. Parry (1928), (1928a), (1930), (1932),
ora tutti raccolti in Parry (1971). Tale giudizio coinvolge anche l’espressione ἔπεα πτε-
ροέντα, che Omero avrebbe usato “just because it is useful, and without thought for
any particular meaning which the epithet ’winged’ might have” (1937: p. 59 = 1971: p.
414). Già in precedenza lo studioso aveva menzionato ἔπεα πτερόεντα come esempio
di metafora usata senza riguardo alcuno al suo significato (1933: pp. 38-9 = 1971: pp.
372-3); contro questo svuotamento di significato della metafora omerica cfr. Moulton
(1979). Notando la regolare omissione, nel contesto della formula, del nome di chi parla,
Parry vedeva in essa solo un modo per introdurre il discorso diretto “when the character
who is to speak has been the subject of the last verses, so that the use of his name would
be clumsy” (1933: p. 38 = 1971: p. 372). Tale opinione è combattuta con forza da P. Vi-
vante, che osserva: “That is surely begging the question. What has to be explained is in
the very fact adduced as a proof [...]. Rather, the question should be put thus: why the
moment of the utterance should be so emphasized as to occupy a whole line?” (1975:
pp. 4-5).
Studi di fonetica greca
2
Secondo Tebben (1994), (1998), le occorrenze di ἔπεα πτερόεντα sarebbero 126, così
ripartite: 62 nell’Iliade e 64 nell’Odissea. Dati i dubbi che sussitono circa l’autenticità di
alcune di queste lezioni, abbiamo preferito evitare, nel testo, riferimenti così precisi.
3
Per uno studio esaustivo e attento di queste formule, che non entra tuttavia nel merito
dei contenuti, in una implicita adesione al «Parryism», cfr. Edwards (1970).
4
Ben 116 occorrenze (56 Iliade, 60 Odissea) sulle 126 totali secondo Tebben (1994), (1998).
5
Il. Γ 155, Ω 142; più complesso il caso di Od. v. 165, in cui il discorso diretto è di fatto
introdotto, tre versi più avanti, da un’altra formula che include un verbo di “dire”.
6
50 occorrenze (21 Iliade, 29 Odissea) secondo i dati riportati in Tebben (1994), (1998).
136
Capitolo 7. Chi dà le ali alle parole?
7
Sul valore dei verbi imparentati con φωνή, αὐδή, e sulle loro differenze con i veri e
propri verbi di “dire”, cfr. Laspia (1996); di diverso avviso H. Fournier (1946) che, en-
fatizzando in maniera forse eccessiva la funzionalità metrica delle formule che si accom-
pagnano al discorso diretto, sostiene in questi contesti il livellamento di senso dei verbi
di “dire” non solo fra di loro, ma anche rispetto ai verbi originariamente appartenenti
all’ambito semantico della voce. Discordiamo, del resto, anche dalle interpretazioni che
per φωνέω, αὐδάω e φθέγγομαι Fournier propone nella sua monografia (1946a: pp.
46, 227-31); per una discussione cfr. Laspia (1996: pp. 27, 46-52, 66-72, 92-101).
8
Sulla scia di una fortunata monografia di Wackernagel (1874), questa interpretazione
è rimasta prevalente fino alla metà del nostro secolo; cfr. ad esempio Fränkel (1921: p.
80), Stanford (1936: pp. 136-8), Onians (1954: p. 67). Essa è stata recentemente ripresa
in D’Avino (1980); su questo studio cfr. oltre, il commento a Il. Γ 221-3.
9
Proposta inizialmente da J. A. K. Thomson (1936), questa interpretazione è stata poi
sostenuta con ottimi argomenti da Durante (1958), Latacz (1968).
10
Ciò è opportunamente sottolineato da Durante (1958 = 1976: p. 126), Latacz (1968: pp.
27-8).
11
ἰὸν [. . . ] πτερόεντα: Δ 116-7; πτερόεντες ὀϊστοί: Ε 171; ἰοὶ πτερόεντες: Π 773;
ἰὰ πτερόεντα: Υ 68. L’unico altro oggetto di cui sia predicato, in Omero, l’attributo
πτερόεντα, è una sorta di scudo leggero menzionato solo due volte nell’Iliade (λαισήϊα
πτερόεντα: Il. E 453, M 426). Il senso dell’epiteto in questo contesto non è chiaro:
Ebeling (Lex. hom. II, p. 245) intende: alatus, subligaculo quasi ali munitus e spiega così
l’intera espressione: scala minora quae non totus corpus tegunt, sed a quorum infima
parte subligaculum dependet ad defendendum corpus. Lorimer (1950: p. 194) crede invece
che si tratti di scudi ornati da penne o frange; il senso dell’espressione rimane pertanto
oscuro.
12
Durante (1976: p. 126) osserva che “la metafora della parola scagliata qual freccia è
oltremodo cara alla grecità”, e adduce numerosi esempi, ai quali rimandiamo.
137
Studi di fonetica greca
13
Oltre che da quanto sappiamo sulla tecnica antica di fabbricazione delle frecce (cfr. Lo-
rimer 1950: p. 302), il senso di πτερόεις come “piumato” è attestato dall’espressione
erodotea ὀϊστοὺς ἀπτέρους (VII 92), riferita a un tipo di frecce senza piume in uso fra
i Lici; l’espressione più antica dopo Omero è però l’esiodeo πτερόεντα πέδιλα. Non si
può pertanto escludere il valore di “alato” anche per le espressioni omeriche; una simile
ipotesi ha, fra l’altro, il vantaggio di mettere d’accordo l’accostamento parole-frecce con
l’interpretazione di πτερόεντα fornita dagli scoliasti; cfr. oltre, nota 16.
14
Come è noto, Aristotele apprezzava l’immagine omerica delle frecce in volo, e la
considerava un bell’esempio di metafora capace di rappresentare come vivi gli oggetti
inanimati, caratteristica peculiare dello stile omerico; cfr. Rhet. Γ 1411 b 31-1412 a l.
15
È una delle interpretazioni di πτερόεις data dagli scoliasti: cfr. sch. br a E 171: πτε-
ρόεντες ὀϊστοί τὰ ταχέα ἤτοι ἐπτερωμένα βέλη; cfr. Eust. 451, 36: πτερόεις ὁ τα-
χύς; Suid. 2, 2: ταχέα, κοῦφα; Ap. 136, 31: εὐάρμοστα οὐδὲν γὰρ πτερῶν εὐαρμο-
στότερον ἐὰν γοῦν μικρὸν παρατραπῇ, ἄχρηστον βέλτιον δέ, τρόπον πτερῶν,
τουτέστι ταχέα.
138
Capitolo 7. Chi dà le ali alle parole?
16
È questa l’interpretazione di Calhoun (1935), avanzata in polemica con Parry (1933), e
contro cui Parry (1937) tornerà a polemizzare. Una simile interpretazione non regge
perché il tono dei dialoghi omerici è naturalmente, e sempre, carico di emozioni: “il
discorso omerico non suole svolgersi in un clima idilliaco” (Durante 1976: p. 125).
17
L’osservazione si deve a Thomson (1936: 1): “The feathers of an arrow do not help it to
fly far; they help it to fly straight”.
18
“πτερόεντα sono dunque le parole che volano ben dirette, che sono adeguate alla
situazione, ben imbroccate, εὔστοχα” (Durante 1976: p. 127).
19
“Wenn die Formel 125 Reden verschiedensten Inhalts und verschiedensten Länge ein-
leitet, also immer paßt, so kann das nur bedeuten, daß zwischen ihr und dem Inhalt oder
Eigenart der folgenden Rede keine innere, sondern nur eine funktionale Beziehung
bestand: die Formel war neutral” (Latacz 1968: p. 29).
20
Oltre che da Latacz (1968: p. 30), questa posizione è sostenuta da Vivante (1975: p. 1),
che considera “the rendering of acts in their own right” come caratteristica essenziale,
e peculiare, del linguaggio omerico; cfr. anche Vivante (1982), (1985). Si tratta di un
sostanziale mutamento di prospettiva rispetto alle posizioni precedenti: mentre infatti
Parry negava significato ad epiteti e formule per la loro generalità d’uso, il ridimensiona-
re le posizioni di Parry costringe Calhoun, Thomson e Durante a restringere in maniera
implausibile il significato della nostra formula; e tuttavia già gli scoliasti antichi aveva-
no, come vedremo, riconosciuto a una classe di epiteti omerici la capacità di descrivere
le cose “secondo la loro natura”; cfr. oltre, nota 54.
21
È questa la tesi di J. Latacz, secondo cui la proprietà essenziale degli ἔπεα che si espri-
me nell’epiteto πτερόεντα sarebbe da ravvisare nell’udibilità della parola: “Ein ἔπος
ist also grundsätzlich immer hörbar – darin besteht sein Wesen –, und es ist irreversi-
bel; überschritt es einmal die Lippen, so fliegt es dahin. πτερόεντα gibt also nicht eine
139
Studi di fonetica greca
bestimmte Eigenschaft bestimmter Wörte an, sondern [...] die wesenhafte Eigenschaft
der ἔπεα als solcher” (1968: p. 30). Condividiamo in toto queste osservazioni; cerchere-
mo però qui di dimostrare che la proprietà essenziale della parola cui allude l’espressione
ἔπεα πτερόεντα non è di natura acustica, ma di natura articolatoria.
22
Per l’assenza, all’interno del lessico omerico, di una vera e propria denominazione del-
l’unità lessicale, cfr. Gambarara (1984: p. 24); questo dato di fatto rende particolarmen-
te implausibile l’ipotesi della D’Avino (1980: pp. 111-2), secondo cui l’espressione ἔπεα
πτερόεντα, attraverso il riferimento metaforico all’immagine di uno stormo di uccelli
in volo, alluderebbe direttamente all’analizzabilità dell’enunciato in parole.
23
Stanford (1967: p. 37) insiste invece sulla velocità di eloquio propria di un abile oratore:
“thick and as the winter’s snow – a superb simile for overwhelming, relentness eloquen-
ce”. Va così perduta l’opposizione fra la singolarità della *ὄψ e la molteplicità degli ἔπεα,
cui Omero allude implicitamente anche in Il. Β 489-90 (cfr. Laspia 1996: pp. 60-2), e
in cui consiste, per noi, il vero perno della metafora.
24
Su questo valore di *ὄψ, cfr. Laspia (1996: pp. 73-89); per le sue origini sacrali, cfr.
Fournier (1946: pp. 3-5, 227-8), Gambarara (1984: p. 43); anche Vivante riconosce in
*ὄψ “the sense of a divine power inherent in speech”, e conclude: “such must also have
been *ὄψ, which is akin to ἔπος. Here was a force both misterious and real”.
140
Capitolo 7. Chi dà le ali alle parole?
25
Sul riferimento fonetico di ἔπεα πτερόεντα insiste anche Vivante, in uno dei migliori
contributi finora apparsi sull’argomento. La nostra posizione differisce tuttavia dalla
sua, perché Vivante non riconosce alcuna associazione metaforica fra parole e frecce: “I
think that ἔπεα πτερόεντα is no more a metaphor than, say, μῄδεα πυκνά. What we
consider an abstract entity is for Homer a concrete self-existing thing, and it does not
need figurative treatment” (1975: p. 2). L’alternativa “concreto-astratto” non è tuttavia
un argomento stringente contro l’esistenza della metafora, data l’estrema concretezza
delle metafore omeriche, e in particolare di questa: anzi, è proprio attraverso il paragone
con le frecce che si guadagna l’immagine della parola nel suo fonico materializzarsi che
Vivante vuole giustamente, in Omero, legata all’espressione ἔπεα πτερόεντα.
26
Ciò è stato opportunamente osservato da Mugler (1963: p. 110): “Les étres vivants
‘lancent’ done leur voix comme ils lanceraient un projectile”.
141
Studi di fonetica greca
Oltre ad essere ricorrente nella lingua greca, sia in prosa che in poesia,27
una simile locuzione avrà fortuna anche nel linguaggio della scienza; φωνὴν
(ἀφ)ιέναι diviene infatti, con Aristotele, termine tecnico per indicare l’atto
di fonazione.28 La metafora parole-frecce condensata nell’espressione ἔπεα
πτερόεντα è pertanto istituita attraverso un tertium comparationis di natura
articolatoria: le parole sono simili a frecce perché fatte di voce, e la voce
è scagliata, come una freccia, dall’interno del petto. Ora, per la biologia
omerica nel petto hanno sede gli organi (cuore e φρένες) 29 da cui dipendono
tutte le funzioni vitali,30 cioè insieme vita vegetativa, movimento locale,
emozioni e pensiero.31 Ciò istituisce un interessante parallelo fra Omero e la
27
Cfr. gli esempi citati in Laspia (1996: p. 87).
28
Cfr. Arist. Hist. an. 9, 536 a 20: τὸ δὲ τῶν ὀρνιτῶν γένος ἀφίησι φωνήν; Probl. Χ,
38: διὰ τί μᾶλλον ἄνθρωπος πολλὰς φωνὰς ἀφίησι, et passim.
29
Resa famosa da Onians (1954: pp. 23-31), l’identificazione delle φρένες omeriche con i
polmoni gode ancor oggi di largo credito: cfr., ad esempio, Vegetti (1985: p. 202). Come
abbiamo cercato di chiarire in altra sede (cfr. Laspia 1996: pp. 110-1), per noi l’accosta-
mento è valido in sede anatomica, ma non fisiologica: mentre infatti i polmoni servono
solo a respirare, le φρένες svolgono, insieme al cuore, l’intera gamma delle funzioni vi-
tali, e giocano un ruolo centrale all’interno dei processi cognitivi: per una spiegazione
di questo ruolo che non separa le φρένες dal cuore, cfr. Laspia (1978: p. 59).
30
Curiosamente, l’unità funzionale di cuore, φρένες e θυμός, è constatata proprio da
chi meno dovrebbe riconoscerla, e cioè da B. Snell; osserva infatti l’autore “daß eine und
derselbe Erfahrung nicht nur die phrenes, sondern auch das Herz (ἦτορ, κραδίη, κῆρ),
also eine anderes Körperorgan treffen kann, und oft auch der thymos eine Rolle dabei
spielt, der ein Organ, sondern eine Funktion ist” (1978: p. 127).
31
Contro l’ipotesi, oggi prevalente e sostenuta, ad esempio, in Jahn (1987), che vede nel-
le denominazioni quali κῆρ, ἦτορ e κραδίη e simili un comodo ventaglio di sinonimi
scelti esclusivamente in base a ragioni metriche, abbiamo altrove sostenuto (cfr. Laspia
1996: pp. 107-113) che gli organi interni al petto concorrono in maniera integrata allo
svolgimento di tutte le funzioni vitali; ciò giustifica l’accostamento tra Omero e la suc-
cessiva tradizione biologica monocentrica. A conclusioni simili giunge anche Vivante
nel suo bel lavoro sulla designazione omerica delle realtà psichiche. Dopo aver osser-
vato che “v’è nel linguaggio omerico una singolare coerenza di espressione di cui le de-
signazioni della psiche non sono che un indizio” (1956: p. 115 – osservazione, questa,
che vorremmo far valere contro l’attuale tendenza allo svuotamento di significato del
vocabolario di Omero – lo studioso conclude che vocaboli quali κραδίη, ἦτορ, φρέ-
νες, θυμός “vengono nel linguaggio omerico adattati a rappresentare i vari punti ed
elementi in forza dei quali si svolge l’attività psichica. Infatti tale attività è spesso riferita
142
Capitolo 7. Chi dà le ali alle parole?
35
Ciò è ben in linea con lo status della donna greca, imago dell’uomo e virtuosa nel suo
silenzio, come la rappresenta anche la documentazione epigrafica; cfr. Bitto (1998).
36
Cfr. Sch. Θ a ρ 57: ἤτοι ἰσόπτερος, ταχύς ἢ οὐκ ἀπέπτε ὁ λόγος, ἀλλ’ ἐπέμεινε
μὴ ἔχον πτερόν. λέγει δὲ ὄτι ταχέως προσήκατο τὸν λόγον. ῾Ηρωδιανὸς δὲ
ἔτοιμος λέγει. Simili spiegazioni ricorrono anche nell’Etymologicum Magnum (133,
26-60): ταχὺς πρὸς τὸ πεισθῆναι καὶ ἰσόπτερος. ἡ γὰρ ἀ στέρησιν δηλοῖ καὶ τὸ
ὅμοιον, καὶ τὸ ἴσον. ἔνιοι δὲ οὐ παραπτὰς ἀλλ’ ἔμμονος. ἔνιοι δὲ ἄπτερον τὸ ἡδύ,
ἄσμενον, ὀρθόν. Per l’aleatorietà di queste interpretazioni cfr. Van der Valk (1966: pp.
59-60), che conclude: “If one read the expression without any prejudice, one cannot
but think at first sight that the ἄπτερος is privative. For ‘wingless, unfledged’ is an
interpretation which is satisfactory and which seems to be evident. On the other hand,
the first interpretation (‘swift’) seems to be an artificial one”.
37
Diversamente, per quanto in linea con il valore privativo di ἄπτερος, interpretano
Jacks (1922), Thomson (1936), che riferiscono μῦθος al personaggio che parla, e inten-
dono: “la parola (di lui) restò priva di ali per lei” (non fu cioè da lei compresa). Una
simile interpretazione non regge: perché il personaggio femminile esegue, dunque com-
prende, quanto richiesto. L’impossibilità di riferire μῦθος al personaggio che ascolta è
stata sostenuta, in particolare, da Mazon (1950), che opta per l’interpretazione tradizio-
nale perché, in tutte le formule di apertura del discorso diretto in cui compare, μῦθος
è sempre riferito al personaggio che parla. Questo tuttavia non prova nulla, in base
a quanto sappiamo sulla flessibilità della formula omerica – cfr. ad esempio Hoekstra
(1964), Hainsworth (1968); al massimo può indurci ad attribuire l’espressione a uno stra-
to recenziore della lingua omerica, cosa del resto già nota: cfr. Van der Valk (1966: p. 59),
Durante (1976: p. 127). Altresì, a favore dell’interpretazione tradizionale, fino a nega-
re ogni connessione fra ἄπτερος, μῦθος ed ἔπεα πτεροέντα, si dichiara Hainsworth
(1960), contro cui cfr. Van der Valk (1966: p. 63), D’Avino (1980: p. 114).
38
“μῦθος dont on verra in fine le sens duratif de ‘pensée qui s’exprime’, ‘langage’, bien
opposé à ἔπεα ‘paroles, expressions’ ” (Fournier 1946a: p. 49). Un simile valore di μῦ-
144
Capitolo 7. Chi dà le ali alle parole?
θος è giustamente sottolineato, nel contesto della nostra formula, da Latacz (1968: p.
31).
39
“Wird der Gedanke nicht ausgesprochen, so bleibt er ungeflüget” (Fränkel 1921: p. 80);
interpretano così anche Stanford (1936: pp. 136-8), Onians (1954: p. 67), Van der Valk
(1966: pp. 61-4), Latacz (1968: pp. 31-8), Vivante (1975 p. 3).
40
“They obey without comment”: è l’ottima traduzione di Van der Valk (1966: p. 62),
accolta da Durante (1976: p. 127). Latacz (1968: p. 46) crede invece di dover rifiutare
questa interpretazione per il fatto che ad ἀπτερέως ἐπίνονθο segue immediatamente,
in Esiodo, un giuramento; l’obiezione cade se si intende la formula nell’ovvio senso di
“senza dire una parola (in contrario)”, come del resto si userebbe il nostro “senza fiata-
re”. Il fatto che l’espressione sia usata con valore intensivo nella tradizione posteriore,
da Parmenide (fr. 1, 15), fino ad Apollonio Rodio (4, 1765), non prova nulla, data l’estra-
neità di questi autori alla genuina tradizione dell’epos arcaico; cfr. Van der Valk (1966:
p. 61).
41
“It is probably impossíble to say with certainty what the poet here meant”, osserva
Fraenkel (1950: p. 152) nel suo commento a Aesch. Agam. 276; cfr. Latacz (1968: p. 27).
42
Sulla ἄπτερος φάτις come segnalazione visiva cfr. Longo (1976).
43
Una simile interpretazione è sostenuta con ottimi argomenti in Latacz (1968: pp. 39-
47).
145
Studi di fonetica greca
44
L’importanza di φωνέω all’interno della nostra formula è stata sostenuta per la prima
volta da Classen (1879: pp. 115-20). L’argomento è ripreso da Vivante, che osserva assai
acutamente: “in more than one third of the instances we have καί μιν (σφεας) φωνή-
σας (φωνήσασ’) ἔπεα πτεροέντα προσηύδα which would translate: ‘and breaking
into voice he (or she) spoke winged words’. We have the pure emission of sound and
the articulation into words. The moment of the utterance is thus given full evidence”
(1975: p. 9).
45
Su φωνή dopo Omero cfr. Ax (1978), (1986), Zirin (1980), Lo Piparo (1988).
46
Per la delimitazione/sovrapposizione degli ambiti di significato dei due sostantivi, cfr.
Laspia (1996: pp. 75-80).
47
Per αὐδή come “voce articolata” cfr. Laspia (1996: pp. 30-40), e i riferimenti ivi citati;
già in Pohlenz (1959: p. 65) il sostantivo era inteso in riferimento non alla voce umana,
ma alla voce linguistica. Tale interpretazione è sostentuta anche in LdfgE, s.v.: “αὐδή:
Rede, Fähigkeit zu sprechen [...] von einzelnen Menschen, Göttern”.
48
Per il nesso φωνή - ἦτορ, che si evince soprattutto da Il. a 489-90, cfr. Laspia (1996:
pp. 59-62); per l’identificazione di ἦτορ con “cuore”, contro le dubbie interpretazioni
avanzate, ad esempio, in Bolelli (1948), cfr. Wilamowitz (1927), Vivante (1956), Laspia
(1996: pp. 107-21).
49
Il. A 249: τοῦ καὶ ἀπὸ γλώσσης μέλιτος γλυκίων ῥέεν αὐδή; la lingua, organo
della parola, non è mai menzionata in Omero a proposito di *ὄψ o φωνή; cfr. Laspia
(1996: pp. 36-9).
50
Per il dispositivo di produzione della voce in Omero cfr. Laspia (1996: pp. 59-62, 86-9).
146
Capitolo 7. Chi dà le ali alle parole?
51
Sulle radici omeriche della filosofia cfr. Lo Schiavo (1983); per la metafora omerica come
precedente della rappresentazione filosofica dell’universale cfr. Riezler (1936).
52
Sulla plasticità e analiticità del linguaggio omerico si sofferma, a più riprese, Vivan-
te; cfr. Vivante (1982), (1985), e, per quanto attiene alla nostra formula, (1975); ciò la-
scia un’eco nella successiva tradizione scientifica, in particolare per quanto attiene alle
descrizioni fonetiche; cfr. Laspia (1996: p. 8), (1997: p. 53).
53
Un simile dato di fatto è assai lucidamente evidenziato da H. Fränkel (1962: p.30): “Der
praktische Nutzen kann die Existenz der Formeln nicht erklären sondern nur oberflä-
chlich entschuldigen; [...] Der alte Epiker sah keine Anlaß originell zu sein, wenn eine
Änderung den Ausdruck nur verschlechten würde; oder Situationen durch künstliche
Schnörkel zu differenzieren, wenn sie ihren Wesen nach identisch waren. Im Gegen-
teil wollte er neben dem Wechselnden und Einmaligen das Bleihende und Typische zur
Geltung bringen, wie in der Sache so auch in der Form”.
54
Questa funzione rappresentativa delle proprietà essenziali di una persona o cosa era ri-
conosciuta all’epiteto omerico già dagli antichi scoliasti, che in questo senso parlavano
di epiteti “universali”, o “per natura”. Cfr. Sch. A a Θ 555: ὠς δ’ ὅτ’ ἐν οὐρανῷ ἄστρα
φαεινὴν ἀμφὶ σελήνην· οὕτως οὐ τὴν τότε οὖσαν φαεινήν, ἀλλὰ τὴν καθόλου
(sch. B φύσει) φαεινήν. Cfr. anche Scol. EHPV ad loc. Eustazio ed Apollonio So-
fista facevano risalire questa definizione ad Aristarco: cfr. Scol. L: ᾿Αρίσταρχος τὴν
κατὰ φύσιν λαμπρὰν λέγει, κἂν μὴ πλήθους ᾖ· εἰ γὰρ πληροσέληνος ἦν, ἐκέ-
κρυπτο μᾶλλον τὰ ἄστρα; Apoll. Lex. 161, 20: λαμπρά· ἐν δὲ τῇ Θ τῆς ᾿Ιλιάδος
φαεινὴν ἀμφὶ σελήνην. ᾿Εζήτεσαν πῶς τότε ἡ σελήνη δύναται φαεινὴν εἶναι ὅτε
τὰ ἄστρα λαμπρὰ φαίνεται. ὅθεν ὁ ᾿Αρίσταρχος λύων φησὶ φαεινὴν οὐ τὴν τότε
λαμπρὰν τὴν φύσει λάμπραν. Dall’ἐπίθετον φύσει (o ἐπὶ φύσεως) derivano, oltre
all’epitheton perpetuum della tradizione latina (cfr. Vivante 1982: pp. 156-7), anche le
distinzioni moderne tra “hebende” e “wesentliche Beiwörter” (cfr. Düntzer 1872: pp.
509-13), o fra “fixed (generic) epithets” e “particularized (distinctive) epithets” (cfr. Par-
147
Studi di fonetica greca
ry 1923), e simili; per maggiori particolari sull’epiteto “per natura”, cfr. Parry (1928=1571:
pp. 120-4), Vivante (1982: pp. 162-3).
55
Su formule, epiteti e metafore come principi di invarianza nel multiforme tessuto della
narrazione omerica ha insistito Theo Reucher nella sua monografia dedicata all’Iliade;
cfr. (1983: pp. 450-61) per la metafora, (1983: pp. 462-8) per gli epiteti e per la loro ca-
pacità di rappresentazione sensibile dell’universale. A simili conclusioni era già arrivato
H. Fränkel: cfr. (1962: p. 37) per gli epiteti, (1962: pp. 45-9) per le metafore. Anche
Vivante (1982: p. 48) riconosce all’epiteto ornerico la capacità di rappresentare il tipico,
e lo considera valido strumento di una “self-coherent world-representation”.
56
Sulla pregnanza cognitiva e sulle valenze prefilosofiche della metafora omerica, si veda,
oltre al già citato Riezler (1936), anche Kranz (1938).
148
Capitolo 8
1
La traduzione di οὐσία con “sostanza” non appare perfettamente adeguata, perché
oscura il legame fra οὐσία ed εἷναι; cfr. Kahn (1973: 451-462). Qui la manteniamo in os-
sequio a una tradizione ormai consolidata, ma sottolineando che l’οὐσία, per Aristotele,
è precisamente ciò che fa essere una determinata cosa ciò che è.
2
Cfr. Aristot. Metaph. Ζ 1-3; in particolare, Ζ 3, 1029 a 30-33.
3
Cfr. Aristot. Metaph. Ζ 4-6; in particolare, Ζ 4, 1030 a 2-7.
4
Per spiegare questa apparente discrepanza, alcuni interpreti hanno cercato di negare
l’autenticità delle Categorie, mentre altri hanno invocato una Geistesentwicklung di jae-
geriana memoria, se non addirittura la compresenza di due sistemi incompatibili di pen-
siero, come fa, ad esempio, Graham (1987); un’ampia disamina del problema in Fonfara
(2003). Nei loro numerosi contributi sul tema, supportati da evidenze testuali difficil-
Studi di fonetica greca
150
Capitolo 8. Perché la sillaba non è gli elementi?
6
Cfr. oltre, a proposito del significato fondamentale e degli usi di συλλαμβάνω.
151
Studi di fonetica greca
Ora, è evidente che Metaph. Ζ 17, in cui Aristotele afferma così recisamente
che la sillaba non si riduce agli elementi, rappresenta una diretta soluzione
dell’aporia finale del Teeteto.7 Ma qual è la soluzione proposta da Aristotele?
Del rapporto fra il Metaph. Z 17 e la sezione finale del Teeteto mi sono
occupata già altrove; 8 e in quella sede ho fatto riferimento alla preistoria
degli usi di στοιχεῖον, γράμμα e συλλαβή. Per evidenti ragioni di spazio,
non posso fare qui altrettanto.9 Mi limito solo a ricordare che συλλαβή
è nomen actionis da συλλαμβάνω, che non significa “mettere insieme”,
nel senso di “ammucchiare”, o “comporre artificialmente”; ma “prendere
insieme”, “comprendere” o, in senso fisico, “concepire”. Quest’ultima
accezione è frequente nelle opere biologiche di Aristotele.10 Che la sillaba
non sia un’accozzaglia di elementi, dunque, lo dice già il nome. Ma c’è di più:
in Metaph. Z 17 la sillaba funge da modello dei principi di organizzazione
dell’organismo vivente. Il paragone con la carne, da questo punto di vista,
non appare scelto a caso. Urge ora dar risposta ai seguenti interrogativi: in
che senso la sillaba esemplifica i principi di organizzazione del vivente? Qual
è l’οὐσία, εἶδος o τὸ τί ἦν εἶναι della sillaba?
Per rispondere a questi interrogativi, seguirò due vie, una lunga e una
breve. Nella “via lunga” cercherò di vedere se, nel passo, Aristotele si limiti
a liquidarci con un esempio, o fornisca, fra le righe, qualche ulteriore indi-
cazione, che è finora sfuggita agli interpreti. Nella “via breve” affronterò
direttamente l’identità del τὸ τί ἦν εἶναι della sillaba; e sosterrò che esso,
se sfugge, forse, ai lettori moderni, era invece immediatamente chiaro agli
uditori di Aristotele.
Vediamo, anzitutto, se il passo non contenga qualche ulteriore indi-
cazione. Metaph. Ζ 17 si conclude nel modo seguente (ivi 1041 b 28-33):
7
Cfr. Centrone (2002: 139-155). Cfr. anche Centrone (2005, pp. 109-114).
8
Ho affrontato questo tema nel convegno “La teoria del sogno e la terza sezione del
Teeteto. Prospettive di lettura”, tenutosi a Palermo l’11 e 12 aprile 2008. La relazione, dal
titolo L’excursus fonologico del Teeteto e la testualità platonica. A che cosa pensiamo
quando parliamo di ‘elementi’ e sillabe’?, è stata pubblicata negli Atti (Laspia 2010).
9
Per maggiori particolari, cfr. Laspia (2001: 189-211).
10
Cfr., ad esempio, Aristot. Hist. An. 582 a 19, 20; 582 b 15, 17, 18, et passim; Gen. An. 727
b 8, 17-8, 25, et passim.
152
Capitolo 8. Perché la sillaba non è gli elementi?
«perché alcune, fra le cose, non sono sostanze, ma quelle che lo sono si
costituiscono secondo natura e per natura, sembra che (per queste cose)
sostanza sia la natura stessa, che è non elemento ma principio. “Elemento”
è, invece, ciò in cui si divide (il composto) ed è insito in esso come materia,
come nella sillaba A o B».
Per spiegare la nozione di “sostanza” (οὐσία), e, indirettamente, di τὸ
τί ἦν εἶναι, qui Aristotele evoca tre capisaldi del suo lessico teorico: i termini
“natura” (φύσις), “elemento” (στοιχεῖον) e “principio” (ἀρχή). Non è
dunque superfluo interrogarci su di essi; e lo faremo soprattutto affidandoci
al grande lessico teorico di Metaph. Δ.
Dall’incipit di Metaph. Δ 3 apprendiamo che στοιχεῖον è qualunque
costituente materiale di un composto che risulti da un processo di divisione,
ma non sia, a sua volta, ulteriormente scomponibile in parti differenziate.11
Non è altro, a ben vedere, che una formulazione più precisa di quanto detto
a conclusione di Metaph. Ζ. Una simile definizione doveva essere corrente,
ed è quella presupposta, ad esempio, nel finale del Teeteto. In base ad essa,
gli στοιχεῖα sono necessariamente molti e diversi, e stanno tutti sullo stesso
piano.12 Della serie degli στοιχεῖα, insomma, non ci sarebbe un capostipite,
proprio come nell’alfabeto non c’è una lettera prima o fondamentale. L’alfa-
beto, però, è un costrutto artificiale, un’imitazione della viva voce; e non
è detto che ne sia una rappresentazione fedele. La conclusione di Metaph.
Δ 3 ci dice intanto che, in generale, lo στοιχεῖον è «il primo costituente
insito in ciascuna cosa».13 Questa definizione equivale in tutto e per tutto
alla precedente? O non prelude, piuttosto, a una sostanziale innovazione di
Aristotele?
11
Aristot. Metaph. Δ 3, 1014 a 26-31: Στοιχεῖον λέγεται ἐξ οὗ σύγχειται πρώτου ἐνυ-
πάρχοντος ἀδιαιρέτου τῷ εἴδει εἰς εἶδος, οἶον φωνῆς στοιχεῖα ἐξ ὧν σύγχειται
ἡ φωνὴ καὶ εἰς ἃ διαιρεῖται ἔσχατα, ἐκεῖνα δὲ μηκέτ’ εἰς ἄλλας φωνὰς ἑτερας τῷ
εἴδει αὐτῶν, ἀλλὰ κἂν διαιρῆται, τὰ μόρια ὁμοειδῆ, οἶον ὕδατος τὸ μόριον ὕδωρ,
ἀλλ’ οὐ τῆς συλλαβῆς.
12
Così, ad esempio, Diels (1899); Schwabe (1980); Vegetti (1989: 201-227).
13
Aristot. Metaph. Δ 3, 1014 b 14-15: ἁπάντων δὲ κοινὸν τὸ εἶναι στοιχεῖον ἑκάστου
τὸ πρῶτον ἑκάστῳ.
153
Studi di fonetica greca
14
Aristot. Metaph. Δ 1, 1013 a 17-20: πασῶν μὲν οὗν κοινὸν τῶν ἀρχῶν τὸ πρῶτον
εἶναι ὅθεν ἢ ἔστιν ἢ γίγνεται ἢ γιγνώσκεται τούτων δὲ αἱ μὲν ἐνυπάρχουσαί
εἰσιν αἱ δὲ ἐκτός.
15
Aristot. Metaph. Δ 1, 1013 a 20: διὸ ἤ τε φύσις ἀρχὴ καὶ τὸ στοιχεῖον [...].
16
Aristot. Metaph. Δ 1, 1012 a 34 - 1013 a 4-7: ῾Αρχὴ λέγεται [...] ἡ δὲ ὅθεν πρῶτον γί-
γνεται ἐνυπάρχοντος, οἷον ὡς πλοίου τρόπις καὶ οἰκίας θεμέλιος, καὶ τῶν ζῴων
οἱ μὲν καρδίαν οἱ δὲ ἐγκέφαλον οἱ δ’ ὅ τι ἂν τύχωσι τοιοῦτον ὑπολαμβάνουσι.
Il medesimo riferimento a un costituente primo dell’organismo in Metaph. Z 10, 1035
b 25-27. Inserito nel contesto di Z 10, il passo è, ai nostri fini, molto indicativo. Anche
qui occorre infatti il medesimo riferimento alla sillaba e alle sue parti di Z 17; e risulta
che il costituente primo dell’organismo, a differenza delle sue parti materiali ottenute
per divisione, è anteriore all’individuo perché insito nella sua definizione. Cfr. ivi, 1034
b 25-28; ivi, 1035 a 10-17; e, soprattutto, 1035 b 4-27, con il riferimento alle parti prime,
come il cuore o il cervello.
154
Capitolo 8. Perché la sillaba non è gli elementi?
17
Aristot. Metaph. Δ 4, 1015 a 14-5: καὶ ἡ ἀρχὴ τῆς κινήσεως τῶν φύσει ὄντων αὕτη
ἐστίν, ἐνυπάρχουσά πως ἢ δυνάμει ἢ ἐντελεχείᾳ.
18
Cfr. Aristot. Phys. Β 1, 192 b 8-15: Τῶν ὄντων τὰ μέν ἐστί φύσει, τὰ δέ δι’ ἄλλας αἰ-
τίας [...] τούτων μὲν γὰρ ἕκαστον ἐν ἑαυτῷ ἀρχὴν ἔχει κινήσεως καὶ στάσεως,
τὰ μὲν κατὰ τόπον, τὰ δὲ κατ’ αὔξησιν καὶ φθίσιν, τὰ δὲ κατ’ἀλλοίωσιν.
19
Aristot. Metaph. Δ 4, 1014 b 16-20: Φύσις λέγεται ἕνα μὲν τρόπον ἡ τῶν φυο-
μένων γένεσις [...] ἕνα δὲ ἐξ οὗ φύεται πρώτου τὸ φυόμενον ἐνυπάρχοντος ἔτι
ὅθεν ἡ κίνησις ἡ πρώτη ἐν ἑκάστῳ τῶν φύσει ὄντων ἐν αὐτῷ ᾗ αὐτὸ ὑπάρχει.
155
Studi di fonetica greca
20
Cfr. Aristot. Phys. Β 1, 192 b 32-33. φύσις μὲν οὖν ἐστὶ τὸ ῥηθέν· φύσιν δὲ ἔχει
ὅσα τοιαύτην ἔχει ἀρχήν. καὶ ἔστιν πάντα ταῦτα οὐσία ὑποκείμενον γάρ τι, καὶ
ἐν ὑποκειμένῳ ἐστὶν ἡ φύσις ἀεί. Utile risulta anche il confronto con Part. An. Α 1,
640 b 33 - 641 a 5.
21
Su questa duplice natura del cuore, Aristotele, nel De partibus animalium, si sofferma
con quasi ossessiva insistenza. Il cuore è, insieme, parte (μόριον) e principio (ἀρχή)
delle vene (ivi, 665 b 33); è insieme principio o fonte e ricettacolo primo del sangue (ivi,
666 a 7-8). Il cuore, infine, è insieme parte omeomera e anomeomera (ivi, 647 a - 647 b
9); e in ciò, soprattutto, si rivela la sua natura di στοιχεῖον che è anche ἀρχή.
22
Cfr., ad esempio, Aristot. Part. An. 665 b 10 - 667 a 10; ed inoltre luv. et Sen. 1-6, 467 b
15 - 470 b 5; 22-27, 478 a 26 - 480 b 12; Motu 703 a 9 sgg; Gen. An. 741 b 15-24; et passim.
23
Aristot. Part. An. Γ 4, 666 a 22-23: ὡς ἀρχὴ τῆς φύσεως τοῖς ἐναίμοις οὖσα.
24
Aristot. Part. An. Γ 4 666 b 16-17: ῾Η δὲ καρδία, καθάπερ εἴπομεν καὶ πρότερον,
οἷον ζῷόν τι πέφυκεν ἐν τοῖς ἔχουσιν.
156
Capitolo 8. Perché la sillaba non è gli elementi?
Poet. 20, 1456 b 22-24: στοιχεῖον μὲν οὗν ἐστιν φωνὴ ἀδιαίρετος, οὐ
πᾶσα δὲ ἀλλ’ἧς πέφυκε συνθετὴ γίγνεσθαι φωνή καί γὰρ τῶν θηρί-
ων εἰσὶν ἀδιαίρετοι φωναί, ὧν οὐδεμίαν λέγω στοιχεῖον. «Elemento
è, dunque, voce indivisibile: non una qualunque, ma quella da cui per na-
tura si genera voce composta.25 Voci indivisibili sono infatti anche quelle
degli animali, ma nessuna di queste io la chiamo “elemento”».
25
La lezione συνθετή, preferita da molti editori fra cui Kassel, da cui citiamo, è in una
traduzione araba; l’intera tradizione bizantina, e in particolare i codd. Parisinus 1741
e Ricciardianus 46, hanno al suo posto συνετή, ossia “comprensibile”. Quest’ultima
è, probabilmente, la lezione da preferire; ma non è il caso di discuterne in questa sede.
Il senso comunque, ai nostri fini, non cambia: la voce linguistica è infatti significativa
(συνετή) proprio in quanto composta (συνθετή).
157
Studi di fonetica greca
primo luogo, ἀρχή. Ora, che Aristotele usi πρῶτον στοιχεῖον a proposito
del corpo immortale degli astri, che i latini impropriamente denominavano
quinta essentia, ogni lettore del De Caelo lo sa.26 Meno noto è che esista
un’analoga dizione a proposito dei suoni della lingua.
In Metaph. Ι 2 si tratta dell’uno, in particolare nella sua accezione di
unità di misura. In tutte le cose che si riducono a un numero determinato
di elementi – argomenta Aristotele – esiste un elemento primo, che genera
la serie degli elementi, proprio come dall’unità si generano i numeri. Le cose
stanno così, ad esempio, per le note musicali; e stanno così anche per i suoni
del linguaggio:
Metaph. Ι 2, 1054 a 1-2: [...] ὁμοίως δὲ καὶ τῶν φθόγγων στοιχεῖων
ἂν ἧν τἀ ὄντα ἀριθμός, καὶ ἓν στοιχεῖον φωνῆεν. «[...] Lo stesso vale
anche per i suoni: gli enti si ridurrebbero a un numero determinato di
elementi; e l’elemento uno sarebbe una vocale».
26
Cfr. Aristot. De Caelo Γ 1, 298 b 6-7: Περὶ μὲν οὖν τοῦ πρώτου τῶν στοιχεῖων
εἴρηται, καὶ ποὶόν τι τὴν φύσιν, καὶ ὅτι ἄφθαρτον καὶ ἀγένητον. Altrove il mede-
simo principio è detto πρῶτον σῶμα (270 b 21 - 284 a 30 - 291 b 32, et passim); o τὸ
πρῶτον τῶν σωμάτων (270 b 3 - 271 b 26).
158
Capitolo 8. Perché la sillaba non è gli elementi?
della sillaba, dobbiamo passare alla “via breve” della nostra esposizione; e
domandarci se l’esempio finale di Metaph. Z 17 non risultasse, forse, più
chiaro agli uditori di Aristotele. Agli uditori, e non ai lettori, era infatti
originariamente destinato il contenuto della Metafisica. Lo dimostra, fra
l’altro, il numero di esempi in seconda persona singolare, più numerosi qui
che in qualunque altra opera aristotelica. Riflettiamo: la sillaba non è uguale
alla somma dei suoi elementi rappresentati per iscritto, perché la sillaba è
foneticamente una, e solo graficamente rappresentabile come una somma
di elementi irrelati. Prima che una pluralità di suoni, la sillaba greca è infatti
un’unità metrica e prosodica, realizzabile nelle varianti “breve” e “lunga”.
Gli uditori di Aristotele potevano percepire l’unità prosodica della sillaba,
per così dire, con le loro orecchie; o, fuor di metafora, con il loro senso del
ritmo.
Non a caso è proprio Aristotele, in Rhet. Γ 8 (1408 b 33) a parlare per
primo di una λεκτικὴ ἁρμονία, ossia di una struttura prosodica del parlato,
modulata dagli accenti e dall’alterna quantità delle sillabe; e nelle Categorie il
discorso fonico è definito una quantità discontinua in base ad una cruciale
argomentazione, che conviene qui riportare:
159
Studi di fonetica greca
tata dalla sua quantità metrica.27 La sillaba si configura così come esempio
privilegiato di un organismo naturale; come una natura individua (φύσις
τις ἑκάστη),28 al pari di quelle trattate nei libri aristotelici sulla sostanza.
L’esempio conclusivo di Metaph. Ζ 17 è stato dunque davvero ben
scelto da Aristotele. Esso era evidente ai suoi uditori, più che a noi lettori
di oggi, perché fa riferimento alle caratteristiche prosodiche e metriche
della sillaba greca. Queste caratteristiche rendono la sillaba un’unità, che
va al di là della molteplicità degli elementi enfatizzata dalla scrittura. La
scrittura alfabetica, infatti, se mette in piena luce i fonemi, nasconde però
il ritmo e la prosodia del parlato. Ecco perché la sillaba è un intero, e non
un mucchio o un’accozzaglia di elementi. Grazie all’unità del suo principio
prosodico, che non è semplice qualità fonica, come A o B, ma misura ritmica.
Questo principio fa della sillaba ciò che è (ούσία), ne rappresenta la forma
(εἶδος), ed è alla base della sua definizione (τὸ τί ἦν εἶναι). Esso risulta
spontaneamente connaturato al sostrato materiale della voce umana, che
diviene in questo modo voce articolata e significativa. La voce inarticolata
si trasforma così in vocale, cuore prosodico della sillaba; e la sillaba non
è, a sua volta, che un frammento della scansione ritmica del parlato. Ma
il primo germe della significazione, il ritmo, è già naturalmente inscritto
nella voce umana. Nella sua duplice unità, materiale e sostanziale, fonica e
ritmica, lo στοιχεῖον della λέξις si rivela così non solo elemento, ma anche
principio dell’enunciazione. Esso permette di generare la sillaba, e l’intera
enunciazione, come un organismo vivente.29
L’esempio di Metaph. Ζ 17 riacquista così, al di là dei secoli, la sua nitida
evidenza; e ci consegna, al contempo, il ritratto di un Aristotele inedito.
Non inventore del trattato specialistico e, in qualità di “lettore”, individuo
compiutamente alfabetizzato: ma abile retore, metricista provetto, inse-
gnante aduso a discutere a voce, e a fare esempi che solo a voce si possono
27
Su questo procedimento unificatore, che è ciò che rende le parti di un organismo na-
turale qualcosa di diverso da un mucchio (σωρός), cfr. Aristot. Metaph. Z 16, 1040 b
5-10.
28
Cfr. Aristot. Metaph. Η 3, 1044 a 9.
29
Cfr. Laspia (1997: 79-83).
160
Capitolo 8. Perché la sillaba non è gli elementi?
161
Capitolo 9
1
Come opposizione fra ‘desti’ e dormienti’, il motivo è già in Eraclito (22B1, 73, 75, 89
DK); Platone lo riprende, ad esempio, in R. 476c, Tht. 158d, Sph. 266c. Il riferimento è
a ipotesi o esperienze dubbie, non verificate, o addirittura inverificabili (Burnyeat 1970:
103-106).
2
Si è spesso cercato di stabilire chi stia dietro la sua formulazione (un’ampia rassegna delle
attribuzioni in Oksemberger Rorty 1972). In una celebre conferenza tenuta nel 1952,
ma pubblicata solo molti anni più tardi, Ryle (1990) lascia il problema aperto, perché
gli argomenti del Teeteto valgono, in realtà, contro ogni versione, antica o moderna,
dell’atomismo logico (29-42). Corollario non banale della tesi è che essi valgono anche
contro le Idee, se queste sono definite come oggetti semplici (44). Il saggio di Ryle ha
suscitato un vivace dibattito, soprattutto in lingua inglese (cfr. Burnyeat 1970: 156-164;
Chappell 2004: 202-222). Alcuni aspetti possono forse oggi apparire datati; ma poche
interpretazioni si sono rivelate altrettanto stimolanti.
Studi di fonetica greca
3
Traduciamo συλλαβή, in senso ampio, con ‘complesso’, e non con ‘composto’, per
evitare di suggerire l’idea di un’estrinseca composizione additiva; si veda oltre, l’analisi
di συλλαβή.
4
È in questo passaggio che sembra soprattutto evocata la teoria platonica delle Idee; la
forma unitaria della sillaba è infatti definita εἶδος e ἰδέα (203e, 205d), e al pari degli ele-
menti qualificata come ἀμέριστον, ἀσύνθετον e μονοειδής; questi due ultimi sono
attributi dell’Idea in Phd. 78c (ἀσύνθετον); Phd 78d, 80a, Smp. 211d (μονοειδής);
cfr. McDowell (1973), 246. La confutazione della teoria del sogno potrebbe dunque
essere il preludio della svolta rappresentata dal Sofista; l’ipotesi è sostenuta, con ottimi
argomenti, in Centrone (2002), (2005), (2008): XLIII-XLV.
164
Capitolo 9. L’excursus fonologico del Teeteto e la testualità platonica
5
Per questa traduzione cfr. Burnyeat (1970: 103); come mostra anche l’oscillazione
fra singolare e plurale (gli ‘alcuni’ si trasformano in ‘colui’ in 202e), il riferimento è
volutamente indeterminato.
6
‘Dire’ è reso con προσειπεῖν (201e), ἐρεῖν (202a), λέγεσθαι (202a7, 8), ῥηθῆναι
λόγῳ (202b).
7
Ryle (1990: 29) rende λέγω con ‘to tell’; cfr. McDowell (1973), Fine (1979), Bostock
(1988).
165
Studi di fonetica greca
8
M. Burnyeat (1990: 134), insiste invece sulla pluralità dei significati di λόγος, e in par-
ticolare su reason; ma fra le “functions that reason can perform” vi sono “articolate sta-
tement” e “definition” (1990: 240), che rientrano, a nostro avviso, nei valori di λόγος
come ‘discorso’. È infatti da osservare che «Plato and Aristotle put speech before ratio-
nality in important ways, a fact that is often missed or underemphasized. Reasoning, for
Plato, [...] is the silent debate of the soul within itself, and belief is the silent conclusion
to a question posed in the inner debate» (Heath 2005: 9).
9
Ildefonse (1997: 46 sqq.) traduce in tutti i contesti qui citati λόγος con ‘énoncé’.
10
Prime attestazioni in Eraclito (22B48DK) e Parmenide (28B8-9DK); sul valore di ὄνο-
μα cfr. Gambarara (1984), Kraus (1987), Desbordes (1989), Lallot (1992), Gianvittorio
(2009). In Omero, e in genere nelle culture orali, non c’è una parola per ‘parola’; cfr.
Lord (1960: 26), Martin (1989: 10), Laspia (2002: 476).
11
La metafora dell’intreccio è centrale a partire dal Sofista; nella teoria dei sogno non sem-
bra al suo posto (cfr. Burnyeat 1990: 189), perché i nomi (e gli elementi) appaiono come
atomi irrelati.
166
Capitolo 9. L’excursus fonologico del Teeteto e la testualità platonica
12
Cfr. Brancacci (1990: 240-261). L’ambiguità fra ‘enunciare’ e ‘definire’ nella teoria del
sogno richiama Metaph. Δ 29 1024 a32-33, in cui Aristotele attribuisce ad Antistene
l’opinione secondo cui «nulla può essere detto se non per mezzo del discorso proprio»
(μητὲν ἀξιῶν λέγεσυαι πλὴν τῷ οῖκείῳ λόγῳ). Rivedendo le sue precedenti posi-
zioni (1970), Burnyeat (1990: 166) opta «for the more likely possibility that Socrates is
making creative use of some Antisthenean materials».
13
Così Narcy (1994: 276 sqq.), che a partire da 201c traduce λόγος con ‘définition’.
14
Lo stesso vale per τὰ μέν στοιχεῖα ἄλογα καὶ ἄγνωτας, opposto a τὰς συλλαβὰς
γνώστας καὶ ῥητάς in 202b6-7. Secondo Polansky (1993: 213-214) e Narcy (1994: 366,
n. 420), si alluderebbe qui alle grandezze ‘irrazionali’ (ἄλογα) studiate dal Teeteto
storico. Va però sottolineato che gli ἄλογα matematici erano anche detti ἄρρητα il
riferimento al dicibile resta dunque fondamentale.
15
È la soluzione scelta da molti traduttori, in particolare francesi ed italiani; cfr. Diès
(1955: 248); Cambiano (1981: 311), Valgimigli in Ioppolo (1999: 171).
16
Così, ad esempio, Antonelli in Natoli (1994: 207); Mazzarelli in Reale (2000: 247).
17
È la più comune traduzione inglese di λόγος nei contesti qui analizzati; cfr., ad esem-
pio, McDowell (1973: 228); Levett in Burnyeat (1990: 338); Chappell (2004: 202).
Contro gli equivalenti inglesi di tutte le traduzioni qui citate, cfr. Ryle (1990: 29).
18
Così, ad esempio, Heitsch (1988: 151-159, 173); Hardy (2001: 217).
19
«It is pretty clear that our theory aims to contrast a logos with a nαme [...]. Logos
certainly can mean ‘statement’ and certainly can mean ‘definition’, and thought it can
mean lots of other things too, no other meaning gives us such a plausibile contrast with
names» (Bostock 1988: 204).
167
Studi di fonetica greca
20
Cfr. Bostock (1988: 208); Burnyeat (1990: 198).
21
Per McDowell (1973: 251), Narcy (1994: 369 n. 442, prima del Sofista ῥῆμα non va
tradotto con ‘verbo’, ma con ‘espressione’ (cfr. Cra. 399b) o ‘detto’ (cfr. Desbordes
1989: 160-161). Anche per Ildefonse (1997: 42), in Cra. 425a ὀνόματα e ῥήματα non
vanno intesi «dans le sens tecnique que leur donnera le Sophíste». Ma in contesti come il
Cratilo e il Teeteto, è difficile stabilire se Platone guardi indietro, verso gli usi preesistenti,
o avanti, verso i sensi da lui stesso in seguito esplicitati.
22
La definizione non è altro che il discorso che risponde alta domanda socratica ‘che
cos’è?’, a cui si fa implicito riferimento nel testo in 207a; cfr. Ioppolo (1999: 256, n.
200).
23
Cfr. Brancacci (1990: 213); Kahn (1996: 203-207); Vegettí (2003: 175-178); Giannantoni
(2005: 313-346).
168
Capitolo 9. L’excursus fonologico del Teeteto e la testualità platonica
24
Per questa difficoltà, estendibile anche alle Idee, cfr. Centrone (2005: 105-7); (2008:
XLIII- XLIV).
25
Per il problema, e le soluzioni, nella teoria aristotelica della definizione, cfr. Laspia
(2005: 35 sqq); (2018a).
26
È la soluzione proposta in Fine (1979: 386): «understanding any system consists in un-
derstanding how its elements are interrelated»; «no description of an isolated entity
ever amounts to knowledge» (392). Fra semplice e complesso, elemento e sistema, le
definizioni procedono quindi necessariamente «in a circular fashion» (386). Ma que-
sta circolarità non va vista come un problema: «rather, it is one of Plato’s significant
contributions to epistemology to have seen that we do not possess bits of knowledge
in isolated, fragmented segments» (396). La tesi è discussa in Bostock (1988: 243-250);
Burnyeat (1990: 198-201); Dorter (1994: 112, n. 53).
169
Studi di fonetica greca
27
La confutazione della teoria del sogno è, in primo luogo, indirizzata contro la tesi per
cui il tutto equivale alla somma delle parti (Centrone 2002: 142-152; 2005, 107 sqq.);
gli argomenti contro l’intero visto come εἶδος unitario valgono infatti solo se questo
è definito come semplice (non composto e non ulteriormente analizzabile), al pari de-
gli στοιχεῖα (e degli εἴδη nel Fedone). Lo stesso vale anche per la terza definizione di
λόγος; la sua confutazione è a dir poco sommaria, e basata solo sull’impossibilità di
definire individui singoli, come Socrate e Teeteto (209a-210d).
28
Per il valore di nomina actionis dei derivati in -ή cfr. Chantraine (1933: 18-20).
29
La prima attestazione sembra essere in Filolao, 44B6DK.
170
Capitolo 9. L’excursus fonologico del Teeteto e la testualità platonica
30
Nella letteratura scientifica, συλλαμβάνω occorre spesso nel significato di ‘concepire’;
cfr. Arist. HA 582a19, 20; b15, 17, 18; GA 727b8, 17, 18, 25, passim; Hp. Aph. V, 46
(Littré IV, 548), Epid. II. 57 (Littré V, 90), passim.
31
Per una più approfondita analisi di questo passo, cfr. Laspia (2001: 191-195).
32
Per il valore fonetico di γράμμα cfr. Ax (1986: 38); per γράμμα/συλλαβή, Laspia
(2001: 192).
33
In accezione fonetica, γράμμα è usato spesso in Platone e Aristotele; cfr. Cra. 394c
(φθέγγεσθαι), 427a; Arist. PA 660a2, 5, 27, 30; Pr. X 39, 895a8 sqq. (τὰ δὲ γράμματα
πάθη ἐστιν τῆς φωνῆς). Un’analisi dei passi aristotelici qui citati in P. Laspia (1997),
61-63; (1999), 21.
34
Havelock (1987: 32-34); per i dati sperimentali, cfr. Scholes, Willis (1995: 228-232).
35
«Syllable is regularly used as a phonetic term by Plato and Aristotle for the minimum
pronunceable [...] and when letters are mentioned in association with syllables, they
are in these contexts phonetic elements and not characters» (Ryle 1960: 433, 442).
36
In LSJ (1996, 1672), si elencano invece due distinti significati di συλλαβή l’uno attivo
(«that which holds toghether»), l’altro passivo («that which is held toghether, esp.
171
Studi di fonetica greca
of several letters taken toghether as to form one sound»), che serve solo per spiegare
l’accezione fonetica di ‘sillaba’.
37
Per un’interpretazione simile di ἀναγιγνώσκειν, cfr. Svenbro (1991: 166-167); (1995).
38
Cfr. Stanford (1967: 1-6); Saenger (1995: 214-219).
39
«Nell’antichità greca, la voce non abdicherà mai» (J. Svenbro 1995: 35). Da Omero ad
Aristotele, la voce (φωνή) resta alla base della riflessione linguistica; cfr. P. Laspia (1996),
1997
40
Per limitarsi alle sole attestazioni platoniche, γράμμα al singolare può significare ‘dise-
gno’, ‘ritratto’ (R. 472 d, Cra. 430e), (Phdr. 229e, Lg. 923a), ‘opera scritta’ (Prm. 128a,
d); al plurale ‘scritti’ (Lg. 922a, 946d, 957c; cfr. Prm. 128c, ove γράμματα è riferito a un
solo scritto; così in Her. V, 16; Eur. IT 594,745) o ‘scrittura’ (Euthd. 277a, R. 402a, Lg.
680a, passim).
41
Guthrie (1978: 117) suppone, a ragione, che il riferimento sia ispirato agli στοιχεῖα
fonetici. ‘Sigma’ infatti «è solo un rumore (ψόφος τις μόνον), come di lingua che
sibila»: e gli στοιχεῖα sono detti ἄλογα perché «anche i sette più chiari hanno solo
voce (φωνή) ma λόγος nessuno» (203b).
172
Capitolo 9. L’excursus fonologico del Teeteto e la testualità platonica
42
L’espressione τὰ τῶν γραμμάτων στοιχεῖά τε καὶ συλλαβάς è ambigua: può infatti
riferirsi tanto ai suoni della lingua, quanto alla loro rappresentazione grafica; cfr. Levett
in Burnyeat (1990: 340, n. 54). Nelle traduzioni italiane questa sfumatura non è resa
(Cambiano 1981: 313: «gli elementi delle lettere dell’alfabeto e le sillabe»; cfr. Valgimiglì
in loppolo 1999. Mazzarelli in Reale 2000).
43
Le analogie sono state più volte sottolineate; cfr., ad esempio, Ryle (1991: 211-213), (1990:
31); Annas (1982); Gaudin (1990: 156-157); Ildefonse (1996: 52-57, 70-72).
44
La confutazione della tesi di Cratilo parte dall’assunzione che, se il λόγος è vero, anche
le sue parti sono vere. Dunque, lo sarà anche l’ὄνομα, che è la più piccola parte del
λόγος (385c; cfr. Tht. 202b). Il ragionamento è poi ripetuto per i nomi primi; se questi
sono veri, lo saranno anche i loro costituenti fonici (426c sqq.). Di qui la bizzarra tesi
della mimesi articolatoria degli elementi.
173
Studi di fonetica greca
45
Su στοιχεῖον in generale cfr. Diels (1899), Lagercranz (1911), Vollgraff (1949), Koller
(1955), Burkert (1959), Lumpe (1962), Balàsz (1965), Schwabe (1980), Crowley (2005);
per Platone in particolare cfr. Ryle (1960), Gallop (1963), Trevaskis (1966), Druart (1968
e 1975), Joly (1986), Vegetti (1989), Gaudin (1990).
46
Cfr. Chantraine (1933: 60-61) per il suffisso in generale; Diels (1899: 66-68), Lagercranz
(1911: 97-99), Burkert (959: 185-186), Schwabe (1980: 86-89), per στοιχεῖον in partico-
lare. Secondo Diels (1899: 68), di questo gruppo farebbe parte un insieme di termini
metrici (ἰαμβεῖον, ἐλεγεῖον). Chantraine (1933: 53) li considera invece formazioni ag-
gettivali, con μέτρον sottinteso; così anche Lagercranz (1911: 99), Schwabe (1980: 89).
L’uso di ἰαμβεῖα in Arìstofane (Ra. 1203) sembra però dar ragione a Diels.
47
Schol. in Dion, Thr. (Hilgard 35, 24).
48
In Omero, στοῖχος non è attestato; ma sono presenti le costruzioni aggettivali τρί-
στοιχος, τριστοιχί e ὁμόστοιχος. W. Burkert (1959: 180) vede in esse una prova del
valore arcaico di στοῖχος come ‘allineamento’. Ma non è cosi; τρίστοιχος si riferisce
infatti all’effetto stratificato di una triplice fila di denti (Scilla); questo valore è ancora
più evidente per le armi, ammucchiate ‘in triplice strato’ (τριστοιχί) in Il. K 473. Det-
to di ballerini in una figura di danza (Il. Ψ358, 757) μεταστοιχί presenta invece il valore
dinamico proprio, in generale, dei derivati di στείχω.
174
Capitolo 9. L’excursus fonologico del Teeteto e la testualità platonica
49
Ar. Ran.1239, Pl. Lg. 959a.
50
Così Burkert (1959: 189); Schwabe (1980: 86).
51
In Hdt. 11, 125 si descrive in dettaglio il processo di costruzione di una piramide a gra-
dini. Le espressioni ὁ πρῶτος στοῖχος, δεύτερος στοῖχος τῶν ἀναβαθμῶν indi-
cano l’ordine o livello dei gradini, in progressione ascendente (dalla base alla sommità).
Proprio in relazione a questo contesto LSJ (1996, 1648) dà come primo significato di
στοῖχος «row in an ascending series».
52
Cfr. IG 22 , 463.58. Un simile uso è attestato pure per στίχος; cfr. LSJ (1996), 1646.
53
Schol. in Dion. Thr. (Hilgard 192, 23): στοῖχος γὰρ ἡ τάξις.
54
4 Nel lessico della Suida ζυγεῖν indica l’ordinamento lineare (orizzontale), στοιχεῖν
l’ordinamento gerarchico (verticale); cfr. Laspia (2001: 204 n. 55.
55
Che l’idea di ‘progressione’ stia alla base degli usi di στοῖχος come ‘allineamento’, è
chiaro in Eschilo, Prs. 366 (νεῶν στῖφος ἐν στοίχοις τρισίν), e ancor più in Aristo-
fane, Ec. 756-757, in cui, di una sfilza di oggetti, si chiede: «perché così uno dietro
l’altro?» (ἐπὶ στοίχου); e poi: «state forse facendo una processione (πομπή) in onore
dell’araldo Ierone?»; sul passo, cfr. LSJ (1996), 1648.
175
Studi di fonetica greca
56
Ec. 652. Un simile uso di στοιχεῖον è attestato solo nella Commedia antica e nuova;
una dettagliata descrizione di fonti e interpretazioni in Burkert (1959: 186-189); Schwabe
(1980: 91-103).
57
Come suggerisce l’hapax eurípideo σκιὰ ἀντίστοιχος (Andr. 745); cfr. Burkert (1959:
188).
58
Balàsz (1965: 233). Per Platone cfr. Ryle (1960), di cui oltre; Druart (1975: 245): «l’im-
portant est le phonème et non le caractére d’écriture»; Gaudin (1990: 74): «l’alphabéti-
sme de Platon rest très phonétique». Anche W. Burkert (1959: 271) sottolinea la priorità
del suono sul carattere scritto.
59
È l’interpretazione che gode oggi di maggior fortuna, Secondo Diels, i γράμματα sono
detti στοιχεῖα «weil und insofern die einzelne Buchstaben eine Reihe bilden» (1899,
58). Secondo Schwabe l’immagine degli στοιχεῖα (“Reihenglieder”), è suggerita «im
Hinblick auf den sinnlichoptischen Eindruck der Schriftzeile» (1980: 123). Per Vegetti,
infine, «il gramma è dunque stoicheion, elemento semplice, primo e invariante della
scrittura» (1989: 205).
60
Fra gli interpreti, solo Lagercranz (1911) considera l’accezione cosmologica anteriore a
quella grammaticale.
61
È il caso della corrispondenza fra un suono e una corda, «che tutti sarebbero d’accordo
nel definire elementi della musica» (Tht. 206b). In Sph. 253b, Phlb. 26a, si allude a
processi simili, ma non compare la parola στοιχεῖον; gli esempi musicali sono inoltre
sempre preceduti da esempi fonetici. In origine, στοιχεῖον non significa quindi ‘nota
musicale’ (Koller 1955: 174).
62
Non sembra dunque che στοιχεῖον si origini in ambito matematico (Burkert 1959:
189-196).
176
Capitolo 9. L’excursus fonologico del Teeteto e la testualità platonica
delle 65 attestazioni nei dialoghi platonici mostra che la prima è alla base
di tutte le altre. Infatti: 1. Nella maggior parte delle attestazioni platoni-
che, στοιχεῖον è inequivocamente riferito al linguaggio; 2. In almeno metà
delle occorrenze, il termine è usato con συλλαβή, meno spesso con γράμ-
μα, a volte con tutti e due. 3. Le attestazioni di στοιχεῖον e συλλαβή si
concentrano soprattutto nel Cratilo e nel finale del Teeteto, dove un procedi-
mento di analisi e sintesi fonetica è esteso all’intero linguaggio significativo,
o addirittura alla realtà tutta; 4. Nel Teeteto, nel Politico e nel Timeo 63 la
generalizzazione agli elementi della realtà avviene esplicitamente a partire
dal modello fonico; 5. Infine, gli usi generalizzati o impropri di στοιχεῖον
sono di regola preceduti,64 o più raramente seguiti,65 da un’allusione al mo-
dello delle sillabe e dei costituenti fonici, o da espressioni dubitative come
ὡσπερεί o οἱονπερεί.66
Che l’uso fonetico/grafico stia alla base di tutti gli altri, sulla base delle
attestazioni platoniche sembra dunque indubitabile. Resta però ora da
domandarsi: στοιχεῖον è l’elemento minimo del suono o della scrittura?
Qui è necessaria una precisazione. Prima che un referente, στοιχεῖον indi-
vidua una procedura, un procedimento di scoperta. In Platone, στοιχεῖον
è infatti, in primo luogo, definito come terminale di un processo di analisi e
di sintesi.67 Il referente di στοιχεῖον può quindi essere individuato solo a
partire dal suo procedimento di scoperta.
In Platone, le attestazioni di στοιχεῖον sono 65, così ripartite: R. (1),
Cra. (16), Tht. (35), Sph. (1), Plt. (3), Phlb. (1), Ti. (7), Lg. (1). Poco meno
63
Tht. 201 e, Plt. 278d, Ti. 48B-c.
64
Cfr. Cra. 422a-c; PII. 278d, Ti. 48b-c.
65
Cfr. Tht. 201e-202e; è questo il caso anche di Sph. 252b; στοιχεῖον è qui usato in senso
fisico (‘ingrediente del tutto’), ma segue poco dopo l’esempio delle vocali (253a).
66
Un tentativo di interpretare altrimenti queste espressioni in Crowley (2005: 386 sqq). Si
tratta, a nostro avviso, di una forzatura: in Tht. 202e Socrate dice infatti esplicitamente
che gli elementi e le sillabe fonetiche costituiscono il modello dell’uso allargato in 201e
(οἱονπερεὶ στοιχεῖα).
67
Cra. 422a-b, 424a-d, 424e-425a, 434b; Tht. 201e; Sph. 252b. «Für Platon ist στοιχεῖον
ein Funktionsbegriff für das Unableitbare» (Burkert 1959: 197); cfr. Crowley (2005:
369).
177
Studi di fonetica greca
numerose le attestazioni di συλλαβή (53): Hp.Ma. (1), Cra. (18), Tht. (30),
Plt. (3), Ti. (1). Le attestazioni di γράμμα sono invece quasi duecento, più
o meno equamente distribuite in tutti i dialoghi. Γράμμα è dunque una
parola comune, appartenente alla lingua di tutti i giorni, mentre στοιχεῖον
e συλλαβή sembrano usati da Platone come termini tecnici.68 Le attesta-
zioni di στοιχεῖον e συλλαβή sono numerose nel Cratilo, e ancor più nel
Teeteto. A partire dal Teeteto si fa sempre più sporadica la cooccorrenza con
γράμμα,69 mentre στοιχεῖον, quasi sempre con συλλαβή, è una sorta di
Leitmotiv negli ultimi dialoghi di Platone.70 Nel Timeo (48b-c), il fortunato
uso cosmologico, che Eudemo di Rodi 71 dice inaugurato da Platone, è in-
trodotto più o meno così: «li chiamano principi, ponendoli come elementi
del tutto (fuoco acqua terra e aria), quando, per chi avesse un minimo di
senno, non sarebbe adeguato paragonarli neppure al genere delle sillabe».72
Questi dati meriterebbero un’analisi più dettagliata; ma, già a prima vista, è
chiaro che qui è in gioco qualcosa di importante.
Esaminiamo ora più da vicino alcune attestazioni, cominciando da
quelle presumibilmente anteriori al Teeteto. Nell’unica attestazione della
68
Per συλλαβή come termine tecnico, cfr. Cra. 424e: ποιοῦντες ὃ δὴ συλλαβὰς κα-
λοῦσιν. Il riferimento è alla terminologia degli esperti di ritmica. Che στοιχεῖον sia
un termine tecnico è suggerito già dalla forma lessicale; cfr. Koller (1955: 173); Burkert
(1959: 178); Schwabe (1980: 91).
69
Στοιχεῖον e γράμμα insieme, senza συλλαβή, solo in R. 402a, Phlb. 18c. Due contesti
fondamentali, ma di segno opposto; lo spartiacque è dato dalla presenza, nel Filebo, di
una classificazione fonetica tripartita (come in Cra. 424c-d, Tht. 203b). Sono gli unici
due casi in cui è esplicito il raffronto fra στοιχεῖον ed εἶδος. Γράμμα è invece usato
con συλλαβή, senza στοιχεῖον, in Hp. Ma. 285d, Cra. 390e, 394c, 423e, 424a-b, 425d,
427c, 431d, 433b; non più dopo. Στοιχεῖον e συλλαβή insieme, senza γράμμα, in Cra.
424c-e, Tht. 203c-d, e, 205b (bis), d, e (bis), 206b (tris), Plt. 277e. 278b-d, Ti. 48b-e; con
γράμμα: Tht. 202e, 204a.
70
Il dato è così evidente che alcuni interpreti hanno addirittura definito ‘stoicheiologíci’
gli ultimi dialoghi di Platone; cfr. Druart (1968), (1975).
71
Fr. 31 Wehrli = Símpl. In Arist. Phys., Diels 7, 12 sqq.; cfr. Diog. Laert. III, 24.
72
Seguono le sei accezioni relative ai triangoli elementari: Ti. 54d, 55a, 55b, 56b. 57c, 61a.
Quest’uso del Timeo è importante, perché inaugura l’equazione fra στοιχεῖον e ἀρχή,
attestata in Platone, Lg. 790c, in Senofonte (Meno. 2, 1, 1) e poi Aristotele, su cui cfr.
Laspia (2008: 222-225).
178
Capitolo 9. L’excursus fonologico del Teeteto e la testualità platonica
73
R. 402a-b: γραμμάτων πέρι τότε ἱκανῶς εἴχομεν, ὅτε τὰ στοιχεῖα μὴ λανθάνοι
ἡμᾶς ὀλίγα ὄντα ἐν ἅπασιν οἷς ἔστιν περιφερόμενα...; cfr. Arist. Metaph. 13 4,
1000a1-4. Il passo meriterebbe un’analisi attenta, perché è l’unico in cui στοιχεῖα sem-
bra davvero riferito ai prototipi dei caratteri grafici. Ma l’ipotesi non regge al confronto
con il Cratilo, e poi con i dialoghi tardi.
74
Cfr. 402c (τὰ τῆς σωφροσύνης εἴδη). Secondo alcuni interpreti (Adam 1965: 168;
Vegetti 1998: 119) εἴδη non andrebbe qui riferito alle Idee. L’allusione, altrimenti in-
spiegabile, alle immagini delle lettere (402b-c), sembra tuttavia richiamare il paragone
della linea divisa (509e sqq.).
75
Non bisogna infatti trascurare i caratteri ‘né in piccolo né in grande’. Il riferimento, di
per sé non inequivoco, alla grandezza visiva, è suffragato dal confronto con R. 368d; cfr.
Vegetti (1989: 205).
76
Ad esempio il bello in sé in HpMa. 289d sqq. Il procedimento astrattivo di scoperta
degli στοιχεῖα é più diffusamente descritto nella Repubblica e nel Fedone. Come esempi
valgano Phd. 66a, 74a, 78c-d (ove l’ εἶδος è definito ἀσύνθετον e μονοειδὲς ὂν αὐτὸ
καθ’αὐτό).
77
Da notare la somiglianza di R. 402a con Cra. 424d (εἰς ἃ ἀναφέρεται πάντα ὥσπερ τὰ
στοιχεῖα); il procedimento di scoperta degli στοιχεῖα della Repubblica è forse chiarito
nel Cratilo?
78
Sul concetto greco di mimesis cfr. Havelock (1973: 23-33), PaIumbo (2008: 154-236).
179
Studi di fonetica greca
βαί.79 Che questi termini, usati come correlativi, siano più antichi della
terminologia fonetica greca, ci risulta già da Eschilo. Στοιχεῖα è introdotto
per la prima volta in 383d, a proposito dei nomi di ciò che noi, da non spe-
cialisti, chiameremmo ‘lettere dell’alfabeto’.80 È una delle poche attestazioni
platoniche in cui il termine sia introdotto, per così dire, ex abrupto. Se
dunque un significato di στοιχεῖον poteva essere familiare ad una vasta
cerchia di uditori-lettori di Platone, è proprio quello qui menzionato. Ma si
tratta davvero della lettera, del segno scritto? C’è da dubitarne. Subito dopo
(393e), degli στοιχεῖα si dice infatti ‘vocali e non vocali’ (φωνήεσί τε καὶ
ἀφώνοις). In questa alternativa si esprime la più antica classificazione greca
dei suoni linguistici, cui si allude già in un frammento di Euripide.81 La
potenza (δύναμις) o natura (φύσις) dello στοιχεῖον è inoltre espressa nella
pronuncia del suono. Più che alla lettera scritta, στοιχεῖον sembra dunque
legato al suono e alla pronuncia; e, in particolare, alle loro classificazioni.
Le successive attestazioni di στοιχεῖον sono in 422a-b. Qui, come in
Tht. 201e, στοιχεῖον è il terminale ultimo di un processo di (s)composizione;
i nomi primi, infatti, è «come fossero στοιχεῖα di tutti gli altri nomi e di-
scorsi» (ἃ ὡσπερεὶ στοιχεῖα τῶν ἄλλων ἐστὶ καὶ λόγων καὶ ὀνομάτων).
Quando si giunge ad un nome che non abbia altri nomi come proprie sot-
tocomponenti significative «potremmo dire giustamente di essere ormai di
fronte a uno στοιχεῖον» (δικαίως ἂν φαῖμεν ἐπὶ στοιχείῳ). I nomi primi
sono dunque ingredienti semplici del senso, ottenuti come risultato finale di
un processo di analisi delle unità significative del λόγος (discorsi, nomi com-
posti, nomi primi). La singolarità di questo procedimento di decostruzione
del senso, e le numerose formule dubitative (‘come fossero’, ‘potremmo
79
Solo nella prima occorrenza, 389d, l’espressione usata è εῖς τοὺς φθόγγους καὶ τὰς
συλλαβάς. Da 390e in poi, si trova sempre τὰ γράμματα καὶ τὰς συλλαβάς . I tratti
prosodici, come l’accento, sono propri della sillaba; cfr. 399b (ἀντὶ ὀξείας τῆς μέσης
συλλαβῆς βαρεῖαν ἐφθεγξάμεθα).
80
Cra. 393d: ἀλλ’ ὥσπερ τῶν στοιχείων... τὰ ὀνόματα λέγομεν ἀλλ’ οὐκ αὐτὰ τὰ
στοιχεῖα, πλὴν τεττάρων, τοῦ Ε καὶ τοῦ Υ καὶ τοῦ Ο καὶ τοῦ Ω. Τοῖς δ’ἄλλοις
φωνήεσί τε καὶ ἀφώνοις κτλ.
81
Eur. fr. 578 Nauck; sui testo e l’interpretazione del frammento cfr. P. Laspia (2001:
192-193).
180
Capitolo 9. L’excursus fonologico del Teeteto e la testualità platonica
dire’), che richiamano da vicino Tht. 20 le, mostrano chiaramente che non
si tratta di un uso proprio, ma metaforico; o meglio, di un’estensione deri-
vata dalla generalizzazione di un modello. Se così stanno le cose, στοιχεῖον
non è un termine neutro,82 ma un termine teorico in uso in uno specifico
ambito del sapere o disciplina. Occorre ora domandarsi: qual è il modello
ispiratore dei processi di analisi? In quale ambito è esperito? Attraverso
quale procedimento di scoperta sono individuati gli στοιχεῖα?
Cra. 424c: ἐπείπερ συλλαβαῖς τε καὶ γράμμασι ἡ μίμησις τυγχάνει οὖ-
σα τῆς οὐσίας, ὀρθότατόν ἐστι διελέσθαι τὰ στοιχεῖα πρῶτον, ὥσπερ
οἱ ἐπιχειροῦντες τοῖς ῥυθμοῖς τῶν στοιχείων πρῶτον τὰς δυνάμεις
διείλοντο, ἔπειτα τῶν συλλαβῶν, καὶ οὕτως ἤδη ἔρχονται ἐπὶ τοὺς
ῥυθμοὺς σκεψόμενοι, πρότερον δ’ οὕ; ... . ῟Αρ οὖν καὶ ἡμᾶς οὕτω
δεῖ πρῶτον μὲν τὰ φωνήεντα διελέσθαι. ἔπειτα τῶν ἐτέρων κατὰ εἴ-
δη τά τε ἄφωνα καὶ ἄφθογγα - οὑτωσί γάρ που λέγουσι οἱ δεινοὶ πε-
ρὶ τούτων - καὶ τὰ αὖ φωνήεντα μὲν οὕ, οὐ μέντοι γε ἅφθογγας καὶ
αὐτῶν τῶν φωνηέντων ὅσα διάφορα εἴδη ‘έχει ἁλλήλων; «Poiché l’i-
mitazione dell’essenza avviene per mezzo di sillabe e lettere, la cosa più
corretta è distinguere in primo luogo gli elementi, proprio come coloro
che si occupano di ritmi distinguono in primo luogo le proprietà degli
elementi,83 poi quelle delle sillabe e, a questo modo indagando, giungono
infine ai ritmi, prima no? [...]. Allo stesso modo anche noi dobbiamo
distinguere in primo luogo le vocali, poi fra gli altri, secondo la specie,
quelli senza voce né suono - proprio così, infatti, dicono gli esperti di
queste cose - e infine quelli vocali no, ma non privi di suono? E, delle
vocali stesse, quante differenti specie vi siano?» 84
82
Vollgraff (1949: 90-91) ritiene invece στοιχεῖον un qualunque esemplare di una serie
di oggetti allineati (come nel fr. rang des perles, o nel ted. Kettenglieder); Crowley (2005:
369) lo ritiene il generico ingrediente in un processo di analisi e di sintesi.
83
Il passo presenta spiccate somiglianze con Hp.Ma. 285d, in cui però sono detti γράμ-
ματα quelli che qui si chiamano στοιχεῖα. Vegetti (1989: 212) vede in ciò una prova
della sinonimia dei due termini. I due termini non sono, in realtà, sinonimi ma corefe-
renziali; in coppia con συλλαβή, γράμμα è infatti, in primo luogo, da intendere come
(il più antico) termine riferito al fonema.
84
Qui il riferimento è non solo alla qualità fonica delle vocali, ma anche alla loro quantità
metrica, essenziale per costituire la sillaba come unità prosodica. Per questa ragione le
181
Studi di fonetica greca
182
Capitolo 9. L’excursus fonologico del Teeteto e la testualità platonica
90
Tht. 203b: τό τε σῖγμα τῶν ἀφώνων ἐστἰ, ψόφος τις μόνον, οἷον συριττούσης
τῆς γλώττης· τοῦ δ’ αὖ βῆτα οὔτε φωνὴ οὔτε ψόφος, οὐδὲ τῶν πλεῖστων στοι-
χείων... ὧν γε τὰ ἐναργέστατα αὐτὰ τὰ ἐπτὰ φωνὴν μόνον ἔχει, λόγος δὲ οὐδ’
ὁντινοῦν ; cfr. Arist. Po. 20, 1465b22-7.
91
I grammatici greci non distinguevano fra lunghezza delle vocali e quantità delle sillabe,
ma parlavano di sillabe, e di vocali, brevi o lunghe; cfr. Allen (1987: 89-105), e soprattutto
114.
92
Arist. Cat.. 4b32-7; cfr. Laspia (2001: 206); (2008: 227-228).
93
Così Schwabe (1980: 123), che implausibilmente lo deduce proprio dall’analisi di Cra.
424a-b.
94
«Grundformen der Schrift» (Lagercranz 1911: 20); cfr. Vegetti (1989: 205).
95
Per i commentatori di Dionisio Trace στοιχεῖον è, non a caso, l’ἐκφώνησις, γράμμα
il χαρακτήρ; cfr. Schol. in Dion Ti. (Hilgard 32, 16; 323, 33-4).
183
Studi di fonetica greca
96
In Erodoto I, 85, ἄφωνος significa ‘muto’ (Laspia 1999: 20); da cui il nostro ‘consonanti
mute’. Se si parte da un’idea astratta di fonema, questo ‘suono senza suono’ diventa un
enigma: «Denn was soll, ein φωνῆς μέρος οὐδεμίαν ἔχον φωνήν?» (Steinthal 1890:
255).
97
Non si tratta di fonosimbolismo, né tantomeno di simbolismo grafico, ma di mimesi
articolatoria (Belardi 1985: 24-43). Non crediamo si possa affermare, con Vegetti (1989:
211 -213), che qui siano impliciti due distinti modelli mimetici, uno fonico e l’altro grafico.
Il dubbio, infatti, si porrebbe solo per ‘omicron’, ma, contro questa supposizione, cfr.
Méridier (1961: 25-26).
184
Capitolo 9. L’excursus fonologico del Teeteto e la testualità platonica
98
Cra. 425d (γελοῖα); 426b (ὑβριστικὰ καὶ γελοῖα).
99
Per un’analisi dei Wortspiele basati sulle assonanze in Eraclito, cfr. Kraus (1987: 114-120).
100
È il celebre paradosso di Eutidemo; cfr. Pl. Euth. 276e-277b.
101
Secondo la testimonianza di Aristotele su Leucippo (GC 314 a 21 = 67A9DK).
102
Che il Cratilo sia, in parte, indirizzato contro Antistene è stato da più parti sostenuto,
soprattutto fra la fine del XIX e gli inizi del xx secolo; cfr. Méridier (1961: 44-46).
103
Fra questi, l’unico ad usare il termine στοιχεῖον è, forse, proprio l’autore della ‘teoria
del sogno’. Non sembra invece che lo abbiano adoperato gli Atomisti (H. Diels 1899,
14; W. Burkert 1959, 179). Quanto a Eutidemo, è significativo che Platone esponga il suo
paradosso usando γράμματα; mentre Aristotele, Rh. Β 24, 1401a30, lo cita così: τὸν τὰ
στοιχεῖα ἐπιστάμενον ὅτι τὸ ἔπος οἶδεν.
104
Come ben sottolinea Druart (1975: 247), l’uso insistito di στοιχεῖον negli ultimi dialo-
ghi di Platone non è riconducibile alla Buchstabengleichniss (come vuole invece Vegetti
1989: 207-209).
105
Koller (1955: 162) definisce l’uso di στοιχεῖον per γράμμα «leienhaften Mißge-
brauch».
185
Studi di fonetica greca
Solo in base al modello lineare della scrittura si può pensare che le sillabe si
definiscano come somma dei loro elementi. Nello scritto infatti, ma non
nella voce, la sillaba è uguale a una successione di atomi grafici. Se io scrivo
Σω, ho la somma dei caratteri σ più ω ma nella voce la sillaba costituisce
un’indissolubile unità prosodica.106
Di ciò si mostra ben consapevole Aristotele, che affronta più volte il
rapporto fra sillaba ed elementi. Per Aristotele, lo στοιχεῖον è un’unità
della voce 107 Metaph. Δ 4, 10 l 4a26-31; Po. 20, 456b22-27. e la sillaba funge
da modello per ogni tipo di unità vivente e organica, le cui parti non stanno
insieme come un mucchio: «La sillaba infatti non è gli elementi, e BA non
è uguale a B più A, ma è anche qualche altra cosa [...]».108
Aristotele aveva dunque una soluzione per l’aporia finale del Teeteto.
Ma l’aveva anche Platone? Il dialogo, in effetti, non mostra al suo interno
alcuna soluzione positiva. Ma il Teeteto non è una monade; esso si continua
nell’avventura del Sofista, e poi del Politico.109 Ora, è proprio qui che emer-
106
«In short, while characters are graphic atoms, phonemes are not phonetic atoms» (Ry-
le 1960: 435). Le obiezioni di Gallop (1963), in seguito accolte da Trevaskis (1966), e poi
in generale dalla critica, non sembrano, in realtà, molto perspicue. Se vero è, infatti, che
Platone parla di processi insieme acustici e visivi (Tht. 206a: ἔν τε τῇ ὄψει διαγιγνώ-
σκειν καὶ ἐν τῇ ἀκοῇ αὐτὸ καθ’ αὐτὸ ἕκαστον), è anche vero che le leggi dell’orto-
grafia seguono quelle della pronuncia, e non viceversa. È, se mai, da osservare che, nel
processo di riconoscimento, è l’occhio che guida l’orecchio. Nella pronuncia, infatti, gli
στοιχεῖα non sussistono isolati (αὐτὸ καθ’ αὐτὸ ἕκαστον). I due procedimenti, acu-
stico e visivo, non sono dunque da intendere come alternativi, ma come integrati; come
suggeriscono, del resto, le pratiche di lettura in una scriptio continua.
107
;
108
Metaph. Z 17, 1041b11 sqq.: ἡ δὲ συλλαβὴ οὐκ ἔστι τὰ στοιχεῖα, οὐδὲ τὸ βα ταὺτὸ
τῷ β καὶ α... ἔστιν ἄρα τι ἡ συλλαβή, οὐ μόνον τὰ στοιχεῖα τὸ φωνῆεν καὶ ἄφω-
νον, ἀλλὰ καὶ ἕτερόν τι... .
Una dettagliata analisi del passo, e dei problemi implicati, in P. Laspia (2008).
109
Per la continuità fra í tre dialoghi, e in generale, per una prospettiva unitaria nei dia-
loghi dell’ultimo Platone, cfr. Ryle (1991: 213-220). L’unità di ispirazione dei cosiddetti
‘eleatic dialogues’ è sottolineata in Dorter (1994), che vi include anche il Parmenide, e
più recentemente in Blondell (2002: 314-317) e Cerri (2007: 59), cui rimandiamo per ul-
teriori riferimenti. Per il legame fra Sofista e Teeteto, anche in vista dei temi qui trattati,
cfr. Centrone (2008: XLIII-V).
186
Capitolo 9. L’excursus fonologico del Teeteto e la testualità platonica
110
Per il significato dei termini appartenenti alla famiglia di ἀραρίσκω, (ἄρθτρον, ἅρμα,
ἁρμόζω, ἁρμονία), e per l’idea di ‘unità articolata’ che ne risulta, cfr. Laspia (1997:
15-31).
111
È qui, dunque, che si realizza compiutamente la «interrelationship view of kno-
wledge» giustamente rivendicata per Platone in Fine (1978); cfr. Bostock (1988:
243-250).
187
Studi di fonetica greca
112
Lo stesso risulta da Tht. 207d-208a. L’esempio concerne la prima lettera dei nomi Thee-
teto e Theodoro. Se uno scrive il primo con ‘theta’ e il secondo con ‘tau’, vuol dire che
non conosce la prima sillaba del nome Theeteto, anche se l’aveva scritta giusta. in ogni
caso, il processo concerne l’intera sillaba, non la lettera isolata; non si capisce perché, vi-
sto che all’iniziale dei due nomi corrisponde uno e un solo grafema. L’esempio ha senso
solo se la sillaba è vista come unità fonetica minima: per individuare i suoi ingredienti
minimi l’orecchio deve essere guidato dall’occhio.
113
In questa alternativa si esprime il problema legato alla teoria degli εἴδη, e alla sua ri-
formulazione fra i dialoghi di mezzo e i dialoghi tardi. La teoria dell’εἶδος come unità
188
Capitolo 9. L’excursus fonologico del Teeteto e la testualità platonica
al già citato passo della Repubblica. Sono infatti le sole due occorrenze in
cui στοιχεῖον occorre con γράμμα (ed εἴδη), senza συλλαβή. Ma Filebo va
oltre, molto oltre la Repubblica. La definizione di στοιχεῖον è infatti enun-
ciata dopo una classificazione fonetica tripartita, e in termini che ricordano
molto da vicino le formulazioni del Sofista.
Phlb. 18b-d: ᾿Επειδὴ φωνὴν ἄπειρον κατενόησεν εἴτε τις θεὸς εἴτε καὶ
θεῖος ἄνθρωπος ὃς πρῶτος τὰ φωνήεντα ἐν τῷ ἀπείρῳ κατενόησεν
οὐχ ἓν ὄντα ἀλλὰ πλείω, καὶ πάλιν ἕτερα φωνῆς μὲν οὕ, φθόγγου δὲ
μετέχοντά τινος, ἀριθμὸν δέ τινα καὶ τούτων εἶναι, τρίτον δὲ εἶδος
γραμμάτων τὰ νῦν λεγόμενα ἄφωνα ἡμῖν· τὸ μετὰ τοῦτο διῄρει τά
τε ἄφωνα καὶ ἄφθογγα μέχρι ἐνὸς ἑκάστου, καὶ τὰ φωνήεντα καὶ τὰ
μέσα κατὰ τὸν αὑτὸν τρόπον, ἕως ἀριθμὸν αὐτῶν λαβὼν ὲνὶ τε καὶ
σύμπασι στοιχεῖον ἐπωνόμασε· καθορῶν δὲ ὡς οὐδεὶς ἡμῶν οὐδ’ ἂν
ἓν αὐτὸ καθ’ αὐτὸ ἄνευ πάντων αὐτῶν μάθοι, τοῦτον τὸν δεσμὸν αὖ
λογισάμενος ὡς ὄντα ἕνα καὶ πάντα ταῦτα ἓν πως ποιοῦντα μίαν ἐπ’
αὐτοῖς ὡς οὖσαν γραμματικὴν τέχνην ἐφθέγξατο προσειπών.. «Poi-
ché un dio, o un uomo divino, concepì la voce come una e indefinitamente
molteplice [...] colui che per primo concepì nell’indefinito le vocali come
non una ma molte, e ancora altri (elementi) partecipi di voce no, ma di un
certo qual suono, anch’essi in numero determinato, e come terza specie di
suoni quelli da noi ora detti ‘muti’ (non vocali); poi distinse le non vocali
e non sonore fino a individuarle una per una, e le vocali e le medie allo
stesso modo, fino a che, avendo determinato il loro numero, a ciascuno e
a tutti pose il nome di ‘elemento’ (στοιχεῖον); considerando che nessuno
di noi potrebbe mai imparare uno di questi in sé e per sé, senza tutti gli
altri, e concludendo che questo legame è uno, e li rende tutti, in qualche
modo, un’unità, una proclamò essere l’arte che se ne occupa, e la chiamò
‘arte del leggere e dello scrivere’».
articolata, che emerge soprattutto a partire dal Sofista, è una radicale trasformazione, o
un’integrazione – sia pur cruciale – di quanto emerge dal Fedone e dalla Repubblica?
Il problema non può essere qui risolto; e forse non è neanche possibile risolverlo. Ma
è importante sottolineare che esso può essere posto ed indagato a partire dagli esempi
fonetici.
189
Studi di fonetica greca
114
Per questo aspetto sistematico del Filebo cfr. Jakobson, Waugh (1984: 11-12).
115
Cfr. Nagy (1983).
116
Sull’invenzione dell’alfabeto greco, con notazione separata delle vocali, come sistema
ideale di trascrizione dell’esametro omerico, cfr. Robb (1992: 39-50).
190
Capitolo 10
10.1
Nel secondo libro del De placitis Hippocratis et Platonis,1 Galeno riporta in
dettaglio, e confuta, tre formulazioni stoiche della teoria secondo cui la voce
proviene dal cuore. La prima è da Galeno attribuita a Zenone, la seconda a
Diogene di Babilonia, l’ultima a Crisippo. Le citazioni di Galeno appaiono
testuali, e sono la nostra principale fonte per una ricostruzione delle teorie
stoiche sulla voce:
Φωνὴ διὰ φάρυγγος χωρεῖ. Εἰ δὲ ἦν άπο τοῦ ἐγκεφάλου χωροῦσα,
οὐκ ἂν διὰ φάρυγγος ἐχώρει. ῞Οθεν δὲ λόγος, καὶ φωνὴ ἐκεῖθεν χω-
1
L’edizione di riferimento del De placitis, da cui citiamo, è Galeni De placitιs Hippocratis
et Platonis, edidit, in linguam anglicam vertit, commentatus est Ph. de Lacy, in Corpus
Medicorum Graecorum, ediderunt Academiae Berolinensis Hauniensis Lipsiensis, Be-
rolini 1980 (vol. Ι), 1981 (vol. ΙΙ), 1984 (commentario), cfr. V 4, 1, 2. Per le altre opere
di Galeno l’edizione di riferimento è Claudii Galeni Opera Omnia, editionem curavit
C.G. Kühn, Leipzig 1821-1833 (Hildesheim 1964-1965). Ringrazio la collega e amica Sa-
brina Grimaudo per i molti utili suggerimenti, e le stimοlanti discussioni, su Galeno e
la medicina di età imperiale.
Studi di fonetica greca
2
Che φάρυγξ sia qui da tradurre con “trachea”, non con “gola”, o, come altrove, con
“faringe”, si evince chiaramente da De plac. II 4 (CMG V 4, 1, 2, p. 126): Τῆς τραχείας
ἀρτηρίας, ἥνπερ δὴ καὶ φάρυγγα προσαγορεύομεν.... . Cfr. anche CMG V 4, 1,
2, p. 118: πρὸς τὴν φάρυγγα, δι’ἦς ἀναπνέομεν. .... Sulle difficoltà di traduzione di
φάρυγξ in questi contesti cfr. de Lacy, in CMG V 4, 1, 2, p. 627; Durling (1993: 300, s.
v. φάρυγξ). Come è noto, Galeno è il primo a introdurre una distinzione fra φάρυγξ
(“gola”, “faringe”, “trachea”) e λάρυγξ (“laringe”, intesa come organo della voce); cfr.
Baumgarten (1962: 113-116). Aristotele fa un uso ancora indifferenziato dei due termini,
come si evince, in particolare, da Arist. Hist. an. IV 9, 535 a 29 (φάρυγξ); 32 (λάρυγξ).
Cfr., al proposito, Lours (1956: 184); Louis (1964: 179); Barbotin (1966: 103).
3
In questi contesti abbiamo preferito rendere λόγος con “linguaggio”, anziché con “di-
scorso”, perché in questione è qui la facoltà di parlare, non la singola enunciazione. Nel
greco i due significati sono tuttavia indiscernibili. de Lacy, ad loc., traduce λόγος con
discourse; mentre Manuli (1986: 245-265), rende il termine con “parola” (Manuli (1986:
259)).
4
Non condividiamo qui la scelta di de Lacy, che traduce φωνή ora con speech (cfr. CMG
v 4, 1, 2, pp. 130; 131; passim), ora con voice (cfr. CMG V 4, 1, 2, pp. 119; 123; passim),
a volte persino nello stesso contesto (cfr., ad esempio, CMG V 4, 1, 2, p. 123). In linea
con tutta la tradizione medica precedente, Galeno usa invece φωνή nel senso tecnico
di “voce”, prodotta «dalla laringe (λάρυγξ), dai muscoli che la muovono e dai nervi
che collegano quei muscoli al cervello»; mentre διάλεκτος (come in Aristotele) o διά-
λεξις (come in Ippocrate) è la voce articolata, prodotta anche per mezzo della lingua
(γλῶττα); cfr. Gal. De plac. II 4 (CMG V 4, 1, 2, p. 124): ...ὑποδείξομέν σοι τὸ τῆς
φωνῆς ἴδιον ὄργανον, τὸν λάρυγγα, καὶ τοὺς κινοῦντας αὐτὸν μῦς καὶ τὰ τῶν
μυῶν ἐκείνων νεῦρα τὰ ἐξ ἐγκεφάλου καθήκοντα καὶ μετὰ ταῦτα τήν γλῶτταν,
ἕτερον ὄργανον οὐ φωνῆς, ἀλλὰ ἒξ διαλέκτου τε καὶ διαλέξεως. Cfr. Gal. De loc.
aff. VIII 266-272 Kühn; Arist. Hist. an. IV 9, 535 a 28-30; Hippocratis De carnibus 18,
in Œuvres complètes d’Hippocrate, traduction nouvelle avec le texte en regard, accompa-
gnée d’une introduction par É. Littré, Paris 1839-1861 (Amsterdam 1961-1962), cfr. VIII
606-608.
5
GAL De plac. II 5 (CMG V 4, 1, 2, p. 130 = V 241 Kühn). Il passo è tradotto e brevemente
commentato in Manuli 1986: 259-260).
192
Capitolo 10. La teoria secondo cui la voce proviene dal cuore è stoica o aristotelica?
6
Gal. De plac. II 5 (CMG v 4, 1, 2, p. 130 = v 241-242 Kühn).
7
Cfr. CMG v 4, 1, 2, p. 130.
193
Studi di fonetica greca
8
Qui e nel seguito, traduciamo sempre εὔλογον con “ben detto” (e non con “ragione-
vole”), al fine di evidenziare che il significato primo di λόγος e derivati è “linguaggio”,
“discorso”, e non “ragione”.
9
Il passo è di difficile interpretazione, e sembra quasi dar ragione alle accuse di solecismo
tante volte mosse a Crisippo da Galeno (cfr., ad esempio, CMG V 4, 1, 2, pp. 138-140).
Con de Lacy (cfr. CMG v 4, 2, 1, p. 130 e relativo commento, p. 630), intendiamo
ἐν τούτῳ come riferito a λόγος, che occorre poco più avanti; per ragioni di senso, lo
abbiamo anteposto a ἐν τούτῳ nella traduzione.
10
Gal. De plac. II 5 (CMG v 4, 1, 2, p. 130 = v 242-243 Kühn).
11
Per i concetti di “monocentrismo biologico”, “cardiocentrismo”, “encefalocentrismo”,
e per il particolare ruolo che in quest’ambito riveste la teoria policentrica di Galeno, cfr.
Manuli, Vegetti (1977).
12
Per le ricadute che il monocentrismo biologico ha sulle teorie della voce e del linguaggio,
cfr. Laspia (1995: 89-1O1); Laspia (1996: spec. pp. 5-17); Laspia (1997: 51-69).
194
Capitolo 10. La teoria secondo cui la voce proviene dal cuore è stoica o aristotelica?
13
Tanto il cardiocentrismo, quanto la teoria della voce ad esso correlata, che han no la
loro akme scientifica in Aristotele, affondano le loro radici nella tradizione omerica. Cfr.
Laspia (1996); (1996a: 115-138); (2002: 471-488).
14
Il merito di averlo sottolineato va a Paola Manuli e Mario Vegetti. Cfr. Vegetti (1986:
227-244); Manuli (1986). La compianta Paola Manuli era la massima esperta italiana del
De placitis; ne stava curando la traduzione, quando è stata purtroppo interrotta da una
morte prematura.
15
Vegetti (1986: 227). Il saggio offre un ottimo quadro di insieme dei contenuti, delle
strategie e dei metodi argomentativi del trattato. Cfr. anche de Lacy, in CMG V 4, 1, 2,
pp. 49-52.
16
Cfr. ad esempio Gal. De plac. VI 1 (CMG v 4, 2, l, p. 360). Sui tre principi cfr. Vegetti,
Introduzione a Garofalo, Vegetti (1978: 9-50, spec. 43-45).
17
Su queste scoperte della medicina ellenistica, e sulla conseguente crisi della biologia mo-
nocentrica, cfr. Viano (1984: 299- 352, spec. 330). Bibliografia più recente in Manzoni
(2007).
195
Studi di fonetica greca
18
È quindi verosimile che il trattato non si rivolga a un pubblico di specialisti, ma a una
sorta di élite intellettuale in senso lato. Su questo punto cfr., ancora una volta, Vegetti
(1986: 227-229).
19
9 È un ulteriore esempio del modo di argomentare di Galeno: la subordinazione della
filosofia alla medicina è incarnata in una dipendenza di Platone da Ippocrate. Per Pla-
tone seguace di Ippocrate cfr. Manuli (1977: 157-204); Vegetti, Introduzione a Garofalo,
Vegetti (1978: 23).
20
«La historia non è più soltanto chiamata a render testimonianza della theoria; essa ne
fornisce anche una prova, una legittimazione importante, perché la sottrae al tempo
[...], alla mutevolezza della soggettività. Il compito del presente può così venir pensato
come quello della conservazione e del restauro, non del progetto di un futuro», Vegetti
(1986: 241).
21
«Il De placitis Hippocratis et Platonis è un’opera in cui Galeno si propone di documen-
tare un’ipotesi storiografica per molti versi insostenibile [...]. La sostanziale omogeneità
di Ippocrate e di Platone a proposito del principio egemone e della tripartizione dell’a-
nima, sebbene argomentata in modo estremamente abile e raffinato nel ritaglio dei testi
e delle citazioni, rimane infatti una più o meno consapevole opera di falsificazione»,
Manuli (1986: 245).
22
Come è stato più volte, e con ragione, sottolineato, soprattutto da Vegetti e dalla sua
scuola: cfr. Vegetti (1983a: 113-137); ManuIi (1983: 471-481).
23
Cfr. ManuIi (1977). Ai sostenitori antichi (Aristotele) e nuovi (gli Stoici) del cardio-
centrismo Galeno riserva tuttavia, anche in sede di confutazione, un ben diverso tratta-
196
Capitolo 10. La teoria secondo cui la voce proviene dal cuore è stoica o aristotelica?
mento, come qui ci sforziamo di dimostrare. E forse questo ha un ruolo non secondario
in un equivoco secola re nella storia delle teorie fonetiche.
24
È il programmatico titolo di una celebre opera di Galeno (Quod optimus medìcus sit
quoque philosophus): cfr. Gal. De opt. med. I 53-63 Kühn (trad. it. di I. Garofalo, in
Garofalo, Vegetti (1978: 91-101).
25
Il rovesciamento dei ruoli fra technai e philosophia in epoca tardoantica è stato evidenzia-
to da Isnardi Parente (1961: 257-296). Questo aspetto è ritenuto centrale da Vegetti, che
lo sottolinea spesso nei suoi numerosi contributi su Galeno. Sotto questo profilo, il con-
fronto con Aristotele si fa particolarmente delicato. Anche di qui, forse, l’“amore-odio”
che Galeno manifesta nei suoi confronti (così ManuIi, 1977: 174).
26
;
27
Secondo Galeno, questo è precisamente il caso di Crisippo. Pur pretendendo di di-
mostrare che il cuore è sede dell’ἡγημονικόν, e addentrandosi addirittura in fantasiosi
dettagli anatomici, Crìsippo ammette infatti di essere totalmente digiuno di anatomia
(cfr. Gal. De plac. I 6; CMG V 4, 2, 1, p. 80). Ben diverso, invece, il caso di Aristotele;
per una discussione più approfondita, cfr. oltre, § 3.
28
Utili ossevazioni in Edlow (1977). Per la diversa valutazione da Galeno data, in sede
linguistica, su Aristotele e gli Stoici, sì vedano, rispettivamente, le pp. 17-23 e 56-68. Per
il debito di Galeno nei confronti di Aristotele cfr. anche le pp. 32-48. Sul tema si veda
anche Vegetti (1986: 229; 243 nota 7); Manuli (1986: 262-263).
29
Fra le molte arcaizzazioni messe in atto da Galeno, questa non è secondaria; cfr. Manetti
(2003: 171-220).
197
Studi di fonetica greca
pratica la lettura dei testi antichi come fonte non secondaria di istruzione.30
Questo progetto ha infine un metodo e un’epistemologia di riferimento:
il metodo ipotetico-deduttivo che, se giunge a perfezione negli Elementi
di Euclide,31 affonda però le radici nella logica di Aristotele.32 Non a caso,
Galeno scrive nel De placitis: «dico infatti che sulla dimostrazione i migliori
scritti sono quelli dei fìlosofì antichi, ossia Teofrasto e Aristotele nei Secondi
Analitici» 33 .
Le carenze più gravi, su tutti e quattro i punti del suo programma di
ricerca, sono da Galeno nel De placitis imputate agli Stoici: in particolare,
come vedremo, a Crisippo. Non a caso, la polemica antistoica si estende
ininterrotta per i due terzi dell’opera (libri II-VI) ,34 e raggiunge contro
30
Cfr. Del Corso (2005: 49-61). Del resto, Galeno stesso scrive, nel De usu partium:
«Con le sue mani, tuttavia, l’uomo, animale politico e pacifico, scrisse leggi e costruì
altari e statue agli dèi [...], e lasciò scritti su di essi [...]. Per mezzo degli scritti e delle
mani ancor oggi ti è possibile avere rapporti con Platone, Aristotele, Ippocrate e gli altri
antichi» (Gal. De usu part. I 2; III 4-5 Kühn; trad. it. di L. Garofalo, in Garofalo,
Vegetti (1978:321). Secondo Anassagora (59 A 102 DK), l’uomo è intelligente perché ha
le mani; secondo Aristotele (Arist. De part. an. IV 10, 687 a 8 - b 5), al contrario, l’uomo
ha le mani perché è intelligente (sulla questione cfr. Lanza (1966: 175-185); Lanza, Vegetti
(1971: 532-533). Secondo Galeno, che appartiene ormai a una cultu ra compiutamente
alfabetizzata, l’uomo è intelligente, e ha le mani, perché (legge e) scrive.
31
Cfr. Vegetti (1985a:427-470), (anche in Vegetti (1983:151-191)). Per Vegetti, lo “stile eu-
clideo” trova il suo supporto teorico in una “metafisica influente”, in cui platonismo
e aristotelismo risultano fusi inestricabilmente; cfr. Vegetti (1985a: 481-487); Vegetti
(1983: 154-156); (1985a: 481- 487).
32
La venerazione quasi fanatica per gli scritti logici di Aristotele a cui Galeno dedica una
minuziosa opera di commento, come risulta dal De libris propriis - era del resto nell’aria
a quel tempo, come dimostra l’intera opera di Alessandro di Afrodisia. Sui rapporti fra
Alessandro di Afrodisia e Galeno, e sulla diversa valutazione che Galeno dà della logica
stoica e aristotelica, pur attingendo a piene mani da entrambe, cfr. Barnes (1989: 33-52);
per l’uso delle diverse tradizioni logiche cfr. anche Barnes (2003: 1-29).
33
Gal. De plac. II 1 (CMG v 4, I , 2, p. 104).
34
Per la polemica antistoica nel De placitis, cfr. Manuli (1988: 185-214 (soprattutto p. 214
nota 111)). Per u n diverso atteggiamento loro riservato in altre opere di Galeno, cfr.
Manuli (1993: 53-62).
198
Capitolo 10. La teoria secondo cui la voce proviene dal cuore è stoica o aristotelica?
35
«Tu, Crisippo, combatti contro te stesso, e Aristotele, e Platone, contro le opinioni di
tutti gli uomini e, quel che più conta, contro la natura stessa delle cose» (CMG V 4, 2,
I , p. 260). Si noti che qui Crisippo non combatte solo contro Platone, gli uomini tutti
e la verità, ma anche contro Aristotele.
36
Come è stato più volte sottolineato, il Platone di Galeno è indiscernibile da Aristotele;
cfr. Donini (1985: 353-374, spec. p. 359); Vegetti (1985a: 427-470, soprattutto pp. 435-
437). C. A. Viano attribuisce, per parte sua, a Galeno «il tentativo di ricostruire una
tradizione aristotelico-ippocratica unitaria», Viano (1984: 329).
37
Come hanno dimostrato Manuli e Vegetti l’esempio più eclatante di questa mediazione
sì trova proprio nel De placitis. Galeno individua infatti «Ìn un testo del De partibus
aristotelico il codice di compatibilità fra Natura dell’uomo e Timeo», Vegetti (1986: 234).
Il testo del De partibus è II 1, 646a 12- b 10, che nell’ottavo libro del De placitis funge da
codice di intertraduzione fra la teoria platonica degli elementi e la teoria ippocratea degli
umori. Per un resoconto dettagliato di questa spregiudicata opera di contaminazione,
cfr. Manuli (1986: 255-258).
38
Cfr. Gal. De plac. I 8 (CMG v 4, 1, 2, p. 92).
39
Oggi però, per fortuna, le cose stanno cambiando. Come “segno dei tempi” ci limite-
remo qui a citare due volumi miscellanei di grande interesse: Devereux-Pellegrin, 1990
(che contiene fra l’altro, alle pp. 494-511, un prestigioso contributo di René Thom), e
Kullmann, Föllinger (1997), con numerosi contributi pregevoli, fra cui quello di Ph. J.
van der Eijk.
199
Studi di fonetica greca
10.2
Sulla base dell’auctoritas di Galeno, gli studiosi moderni attribuiscono di
solito agli Stoici la teoria secondo cui la voce proviene dal cuore.41 Ma il suo
vero inventore è, in realtà, Aristotele, come ora cercheremo di dimostrare.
Nei suoi scritti, Aristotele afferma a più riprese che il cuore è principio
della voce. Le affermazioni più esplicite si trovano però là dove meno ce le
aspetteremmo, ossia nel De generatione animalium, il cui tema principale è
la riproduzione degli esseri viventi. Non meno decisivo è, in realtà, il celebre
excursus sulla voce di De anima II 8. Ma perché questo dato emerga, occorre
mettere a confronto il De anima con l’intero Corpus aristotelicum, e in
particolare con il complesso delle opere biologiche.
Cominciamo, intanto, dalle affermazioni esplicite. Nel quarto libro del
De generatione animalium si discute della natura dello sperma, e del suo
analogo femminile, le mestruazioni. Entrambi derivano, per Aristotele, dal
sangue; la loro origine è dunque nel cuore, principio del sangue e delle vene.
Ma il cuore è anche principio della voce. Da un cambiamento strutturale
del cuore, conseguente alla maturazione dello sperma, dipendono infatti le
alterazioni vocali caratteristiche della pubertà.
῎Εστι δὲ τό τε τῶν ἀρρένων περίττωμα καὶ τὰ καταμήνια τοῖς θή-
λεσιν αἱματικῆς φύσεως. Τούτου δ’ἀρχὴ καὶ τῶν φλεβῶν ἡ καρδία...
Διόπερ αἵ τε φωναὶ μεταβάλλουσι καὶ τῶν ἀρρένων καὶ τῶν θηλειῶν,
40
Come avviene, ad esempio, nel De usu partium, palesemente ispirato al De partibus ani-
malium. Per somiglianze - ma anche differenze - fra le due opere, cfr. Garofalo, Vegetti,
in Galeno (1973: 293-318). Sui rapporti fra Aristotele e Galeno, e sui debiti che il medico
di Pergamo contrae nei confronti dello Stagirira, la più dotta ed esaustiva disamina è in
Moraux (1984: 253-368). Un resoconto inedito delle convergenze fra Aristotele e Galeno
è acutamente tracciato da Viano (1985: 195-215).
41
Così, ad esempio, Ax (1986: in particolare, pp. 141-151).
200
Capitolo 10. La teoria secondo cui la voce proviene dal cuore è stoica o aristotelica?
ὅταν ἄρχωνται σπέρμα φέρειν (ἡ γὰρ ἀρχὴ τῆς φωνῆς ἐντεῦθεν· ἀλ-
λοῖα δὲ γίνεται ἀλλοίου γινομένου τοῦ κινοῦντος)... «Il residuo ma-
schile, e le mestruazioni femminili, sono di natura sanguigna. L’origine
del sangue e delle vene è il cuore [...]. Perciò anche le voci, sia dei maschi
che delle femmine, cambiano quando incominciano a produrre sperma.
Lì, infatti, è il principio della voce: essa si trasforma col trasformarsi di ciò
che la muove».42
Οὕτω γὰρ καὶ ἡ τῶν ὀρχέων φύσις προσήρτηται πρὸς τοὺς σπερ-
ματικοὺς πόρους, οὗτοι δ’ἐκ τῆς φλεβός, ἧς ἡ ἀρχὴ ἐκ τῆς καρδίας
πρὸς αὐτῷ τῷ κινοῦντι τὴν φωνήν...«Allo stesso modo dunque anche
la natura dei testicoli è attaccata ai vasi spermatici, e questi si dipartono
dalla vena che ha origine nel cuore, accanto a ciò che muove la voce [...]».43
42
Arist. De gen. an. IV 8,776 b 10-18.
43
De gen. an. IV 7, 787 b 26-28.
44
Cfr. De gen. an. IV 787 b 17; 788 a 5-6; 15- 7; passim.
45
Il nostro termine “trachea” deriva dall’espressione greca τραχεῖα ἀρτηρία, che signi-
fica, letteralmente, “condotto ruvido”. L’espressione è in uso in tutta la tradizione
medico-biologica; per una descrizione dettagliata dell’organo in Aristotele cfr. Arist.
De part. an. III 3, 664 a 35 sgg. Come risulta da Arist. De an. II 8, oltre che dal De
partibus animalium, dall’Historia animalium e dal De respiratione, Aristotele usa spesso
201
Studi di fonetica greca
Sulla base di questo passo, e della sua concordanza con Historia anima-
lium IV 9,47 in cui Aristotele torna brevemente sulla definizione di “voce”,
i commentatori del De anima,48 e gli specialisti di fonetica aristotelica,49
hanno creduto di poter dedurre che gli organi produttori di voce sono per
come sinonimo il semplice ἀρτηρία (“condotto”). Più raro quest’uso in Galeno; dopo
Erasistrato, infatti, ἀρτηρίαι è ormai diventato il termine tecnico per “arterie”. Sulle
arterie nella medicina ellenistica, cfr. l’eccellente contributo di Viano (1984).
46
Arist. De an. II 8, 420 b 5-24.
47
Cfr. Arist. Hist. anim. IV 9, 535 a 27 sgg.: φωνὴ καὶ ψόφος ἕτερον ἐστι, καὶ τρίτον
διάλεκτος. Φωνεῖ μὲν οὖν οὐδενὶ τῶν ἄλλων μορίων οὐδὲν πλὴν τῷ φάρυγγι·
διὸ ὅσα μή ἔχει πλεύμονα, οὐδὲ φθέγγεται· διάλεκτος δ’ ἡ τῆς φωνῆς ἐστι τῇ
γλώττῃ διάρθρωσις. Τὰ μὲν οὖν φωνήεντα ἡ φωνὴ καὶ ὁ λάρυγξ ἀφίησιν, τὰ
δ’ἄφωνα ἡ γλῶττα καὶ τὰ χείλη· ἐξ ὧν ἡ διάλεκτος ἐστιν. «La voce e il suono
sono due cose diverse, e una terza è la voce articolata. Si produce voce per mezzo di
nessun’altra arte del corpo se non della laringe; per questo, se gli animali non hanno il
polmone, non fanno udir voce. La voce articolata è invece articolazione della voce per
mezzo della lingua. Le vocali le emettono voce e laringe, le non-vocali lingua e labbra;
e da queste (due componenti) deriva la voce articolata». Su questa definizione, cfr. i
nostri già citati lavori, e quelli altrui citati per esteso alla nota 49.
48
Almeno tutti quelli a noi noti, salvo Movia, che in una nota a De an. II 8, 420 b 28
(ὑπὸ τῆς ἐν τούτοις τοῖς μορίοις ψυχῆς) precisa: «negli organi fonatori e respira-
tori, e principalmente nel cuore», Movia (2001: 275 nota 198). Da questa opportuna
precisazione l’autore non trae, però, esplicite conclusioni sul dispositivo di produzione
della voce.
49
Così Paconcelli Calza (1942); Belardi (1975: 49-63); Ax (1978: 245-271); Ax (1986: 119-137);
Zirin (1980: 325-347); e, più recentemente, Labarriere (2004: 19-59).
202
Capitolo 10. La teoria secondo cui la voce proviene dal cuore è stoica o aristotelica?
lui esclusivamente polmoni, trachea e laringe. Ora, questa è solo una mez-
za verità. Polmoni, trachea e laringe sono, sì, gli organi di cui si compone
l’apparato respiratorio; e quest’ultimo è responsabile, come si è visto, della
produzione di voce. Ma, secondo Aristotele, l’apparato respiratorio ha il
suo principio di movimento nel cuore; 50 e la respirazione è, di conseguenza,
un fenomeno cardiaco.51
Se è principio assoluto di tutti i movimenti respiratori, e governa la
respirazione stessa, il cuore, per Aristotele, dev’essere anche principio della
voce. E difatti, è proprio quanto si afferma nel De generatione animalium.
Ma perché simili affermazioni non si ritrovano anche nell’Historia anima-
lium? E soprattutto, perché Aristotele non lo dice – ammesso che non lo
dica – nel De anima?
Che Aristotele non alluda al principio della fonazione nell’Historia ani-
malium è naturale; stupirebbe, se mai, il contrario. L’Historia animalium è
infatti un “inventario”, una “collezione di fatti”, la cui spiegazione si trova
in primo luogo nel De partibus animalium 52 ; e più latamente nel comples-
so delle opere biologiche. Ma il De anima, il grande trattato sulla vita, è,
di fatto, un’introduzione teorica alla biologia aristotelica 53 ; e proprio qui
Aristotele definisce la voce. Ci aspetteremmo dunque nel De anima, più
che altrove, una definizione di “voce” carica di teoria: che chiarisca, magari,
i termini del rapporto fra fonazione e significato.
Forse non siamo poi troppo lontani dal vero. La definizione di voce del
De anima, infatti, non si esaurisce con la citazione precedente; ma continua
nel modo che segue:
50
Cfr. Arist. De part. an. III 3, 664 b 15-20, citato sotto a proposito del cuore.
51
Cfr. Arist.. Iuv. et sen. 26, 479 b 17-19: τρία δ’ ἐστὶ τὰ συμβαίνοντα περὶ τὴν καρ-
δίαν, ...πήδησις καὶ σφυγμὸς καὶ ἀναπνοή («tre sono i fenomeni relativi al cuore, ...
palpitazione, battito e respirazione»).
52
Cfr. Arist. De part. an. I 1,639 b 7-10. Su questo punto c’è ampio accordo fra gli
studiosi; per una discussione dettagliata, cfr. Lanza, Vegetti (1971: 80).
53
Su questo aspetto insiste opportunamente Movia (2001: 7-11). Anche Lanza, Vegetti
(1977) includono nel volume un prospetto del De anima (pp. 1239-1275).
203
Studi di fonetica greca
δεῖται δὲ τῆς ἀναπνοῆς καὶ ὁ περὶ τήν καρδίαν τόπος πρῶτος. διὸ
ἀναγκαῖον εἴσω ἀναπνεόμενον εἰσιέναι τὸν ἀέρα. ὥστε ἡ πληγὴ τοῦ
ἁναπνεομένου ἀέρος ὑπο τῆς ἐν τούτοις τοῖς μορίοις ψυχῆς πρὸς
την καλουμένην ἀρτηρίαν φωνή ἐστιν. οὐ γαρ πᾶς ζῴου ψόφος φω-
νή, καθάπερ εἴπομεν (ἔστι γὰρ τῇ γλώττῃ ψοφεῖν καὶ ὡς οἱ βήττον-
τες) ἀλλὰ δεῖ ἔμψυχόν τε εἶναι τὸ τύπτον καὶ μετὰ φαντασίας τινος·
σημαντικός γὰρ δή τις ψόφος ἐστὶν ἡ φωνή... «Ha dunque bisogno
della respirazione anche la regione che circonda il cuore.54 Per questo
è necessario che penetri dentro il corpo l’aria inspirata. Pertanto, l’urto
dell’aria inspirata contro le pareti della trachea-arteria, ad opera dell’anima
che ha sede in quelle parti, è voce. Non ogni suono emesso da un animale è
voce, secondo quanto affermiamo – è infatti possibile produrre suono con
la lingua, o come chi tossisce – ma chi produce l’urto dev’essere animato,55
e deve produrlo insieme con una certa immagine mentale: la voce, infatti,
è propriamente un suono significativo».56
54
La fisiologia dei processi respiratori, e la loro finalità, è diffusamente descritta da Ari-
stotele nel trattato De iuventute et senectute, de vita et morte, de respiratione. Nono-
stante il tradizionale statuto di opera minore, si tratta di uno dei trattati teoricamente
più impegnativi di Aristotele: vi si tratta infatti del “calore vitale”, ossia dei processi me-
tabolici che stanno a fondamento della vita. In sintesi, il cuore è fonte della συμφυὴς
θερμότης, che per sua natura tenderebbe ad aumentare indefinitamente, provocan-
do l’autocombustione dell’organismo. La respirazione limita questa tendenza tramite
l’immissione di aria fredda dall’esterno. Si tratta di una vera e propria reazione di au-
tobilanciamento, che permette di mantenere in larga misura costante l’equilibrio ter-
mico dell’organismo. Non a caso, il plesso cuore-polmoni viene qui presentato come
un unico organo (Arist. Iuv. et sen. 7, 480 a 15 sgg.). Nella descrizione di questi “cir-
coli virtuosi”, la biologia aristotelica mostra una sorprendente analogia con i processi
descritti da Maturana, Varela (1980). Un quadro convincente dei processi respiratori, e
di queste analogie, in Quarantotto (2005: 310-322). Sul tema cfr., inoltre, Preus (1975);
Freudenthal (1995); King (2001).
55
Leggiamo qui ἔμψυχον con i mss., non ἔμψοφον in base alla congettura di Torstrik
poi accolta da Ross. Così Iannone, in Barbotin – Iannone (1966: 57); Hamlyn (1993:
33), e molti traduttori italiani, come Laurenti (1973: 515), e Movia (2001: 165).
56
Arist. De an., II 8,420 b 25 - 421 a 1. Molto opportunamente Hamlyn, nel rigettare
la congettura di Torstrik-Ross, e restaurando la lezione tradita ἔμψυχον, sottolinea la
connessione del requisito dell’agente animato (δεῖ ἔμψυχόν τε εἶναι τὸ τύπτον) con
il requisito di sernanticità della voce (σημαντικὸς γὰρ δή τις ψόφος ἐστὶν ἡ φω-
204
Capitolo 10. La teoria secondo cui la voce proviene dal cuore è stoica o aristotelica?
νή), eliminando, come anche noi qui, le parentesi uncinate apposte da Ross intorno
all’espressione σημαντικός γὰρ ... ἡ φωνή.
57
Cfr. Arist. De an. II 8,421 a 1-6, in cui si dice che la fonazione avviene non inspirando
né espirando, ma trattenendo l’aria. Si tratta di un’osservazione non secondaria per la
ricostruzione di una teoria aristotelica della voce, e di essa restano echi nel anche De usu
partium; non è il caso però di trattarne qui in dettaglio.
58
Per questa locuzione in Aristotele, cfr. anche Arist. De motu an. 7, 701 b 28.
59
Un recente e particolarmente apprezzabile contributo sulla φαντασία è quello di Frede
(1992: 279-296); cfr. anche Schofield (1992: 249-277). Sul ruolo della φαντασία nella
definizione di voce del De anima cfr. Lo Piparo (1988: pp. 83-101).
60
Arist. De an. 1, 412 a 27-28: διὸ ἡ ψυχή ἐστιν ἐντελέχεια ἡ πρώτη σώματος
φυσικοῦ δυνάμει ζωὴν ἔχοντος. τοιοῦτον δὲ ὃ ἂν ᾗ ὀργανικόν.
61
Sulla fisicità dell”’anima” aristotelica un vero e proprio apripista è stato l’epocale studio
di Kahn (1966: 43-81, ripubblicato in Barnes, Schofield, Soabji (1979: 1-31); cfr. anche,
nello stesso volume, i contributi di J. Barnes e di R. Sorabji. Fra i contributi piò recenti
205
Studi di fonetica greca
Ora, quale sia, per gli animali dotati di sangue, questo principio, che
è l’origine stessa della loro natura, è detto esplicitamente in De partibus
animalium III 3 e 4. Il trattato presenta infatti una serie di descrizioni del
cuore di crescente forza ed impatto, scientifico e retorico.
A proposito della localizzazione del cuore:
῾Η μὲν γὰρ καρδία ἐν τοῖς ἔμπροσθεν καὶ ἐν μέσῳ κεῖται, ἐν ᾗ τὴν ἀρ-
χήν φαμεν τῆς ζωῆς καὶ πάσης κινήσεώς τε καὶ αἰσθήσεως ..., ὁ δὲ
πλεύμων κεῖται οὗ ἡ καρδία καὶ περὶ ταύτην· ἡ δ’ἀναπνοὴ διὰ τε τοῦ-
το καὶ διὰ τὴν ἀρχὴν τήν ἐν τῇ καρδίᾳ ἐνυπάρχουσαν. ῾Η δ’ ἀναπνοή
γίνεται τοῖς ζῴοις διὰ τῆς ἀρτηρίας· ὥστ’ ἐπεὶ τὴν καρδίαν ἐν τοῖς
ἔμπροσθεν πρώτην ἀναγκαῖον κεῖσθαι, καὶ τὸν φάρυγγα καί τὴν ἀρ-
τηρίαν πρότερον ἀναγκαῖον κεῖσθαι τοῦ οἰσοφάγου. «Il cuore, nel
quale affermiamo essere il principio della vita e di ogni movimento e sensa-
zione, giace anteriormente e in mezzo [...]. Il polmone giace proprio dove
sta il cuore, e lo circonda; la respirazione è causata da esso [sc. il polmone]
e dal principio insito nel cuore. La respirazione si produce negli animali
attraverso la trachea. Quindi, dato che il cuore è, per necessità, il primo
organo che si trova sul davanti, anche la laringe e la trachea si trovano per
necessità in posizione anteriore rispetto all’esofago».62
Il passo è ai nostri fini cruciale, per più ragioni. In primo luogo, esso
afferma
che il cuore è sede della vita, della sensazione e del movimento locale; gli
ultimi due requisiti sono proprio quelli richiesti da Galeno perché un organo
è da segnalare il dotto e circostanziato studio di Van der Eijk (1997: 231-258). Non con-
cordiamo però con l’Autore quando afferma: «although in later doxographic literature
Aristotle is always credited with holding a cardiocentristic view on the seat of the in-
tellect, there is surprisingly little in his work so confirm this interpretation» (248 nota
65). Che Aristotele non parli di un νοερὸς τόπος se non nei Problemata, forse non
suoi, non stupisce, perché questo non è il suo vocabolario. Ma la sede dell’intelligenza
corporea può essere nondimeno localizzata, perché coincide con la sede della sensazione
e dell’immaginazione (cfr. Arist. De motu an. 6, 700 a 19-20: καὶ γὰρ ἡ φαντασία καὶ
ἡ αἴσθησις τὴν αὐτὴν τῷ νῷ χώραν ἔχουσιν). La questione del νοῦς θύρατεν non
può essere qui, ovviamente, neanche sfiorata. Sulla vexata quaestio interessante ci pare
la posizione di Kahn (1992: 359-379).
62
Arist. De part. an. III 3, 665 a 10-13.
206
Capitolo 10. La teoria secondo cui la voce proviene dal cuore è stoica o aristotelica?
Καρδία μὲν οὖν ἅπασιν ὑπάρχει τοῖς ἐναίμοις·... ὑγροῦ δ’ ὄντος τοῦ
αἵματος ἀναγκαῖον ἀγγεῖον ὑπάρχειν, ἐφ’ ὃ δὴ καὶ φαίνεται μεμηχα-
νῆσθαι τὰς φλέβας ἡ φύσις. ᾿Αρχὴν δὲ τούτων ἀναγκαῖον εἶναι μίαν·
ὅπου γὰρ ἐνδέχεται, μίαν βέλτιον ἢ πολλάς. ῾Η δὲ καρδία τῶν φλε-
βῶν ἀρχή. «Il cuore è presente in tutti i viventi dotati di sangue [...].
Dato che il sangue è liquido, è necessario che stia in un recipiente; ed è
proprio a tal fine che sembra sia stata architettata la natura delle vene. Il
principio di queste è necessario che sia unico: ove possibile, uno è infatti
meglio che molti. Il cuore è principio delle vene».63
αὕτη γάρ [sc. ἡ καρδία] ἐστιν ἀρχὴ ἢ πληγὴ τοῦ αἴματος καὶ ὑποδοχὴ
πρώτη. «Esso [sc. il cuore] è sia fonte o principio del sangue, sia suo primo
ricettacolo».65
63
Arist. De part. an. III 4, 665 b 9-16.
64
Arist. Metaph. A 10, 1076 a 4: οὐκ ἀγαθὸν πολυκοιρανίη· εἷς κοίρανος. Cfr. Hom.
Il. II v. 204.
65
ARISTOT. De part. an. III 4, 666 a 7-8.
207
Studi di fonetica greca
È dunque chiaro ormai chi, o che cosa, sia da intendere con la bizzarra
locuzione «l’anima sita in quelle parti» (De anima II 8, 420 b 28). Bizzarra
per noi, ma non per Aristotele. Si tratta del cuore, “vivente nel vivente”. In
esso è posto infatti il principio motore, ossia l”’anima”, di tutto il corpo, e, a
fortiori, delle regioni pericardiali. Il principio di movimento insito nel cuore
è, quindi, il primo agente di produzione della voce. Ma è anche il respon-
sabile primo della sua semanticità. La φαντασία infatti, che è capacità di
riprodurre, in absentia, le unità sensibili: elaborate dal sensorium commune
e, negli uomini, funge anche da codice di intertraduzione fra sensibilità
e pensiero,68 è un prodotto del κοινὸν αἰσθητήριον.69 Ma questo, a sua
66
Arist. De part. an. III 4, 666 a 20-22.
67
Arist. De part. an. III 4, 666 b 16-17. Ulteriori, cruciali precisazioni sull’argomento, che
vanno in questa direzione, in Arist. De motu an. 9-10, ove egli afferma che l’anima non
si identifica con la parte del corpo in cui ha sede, perché un’estensione non può essere
insieme uno e molti, come accade invece a un principio (cfr. Arist. De motu an. 10, 703
a 2-3). Ecco perché Aristotele, nel De anima, non parla del cuore, ma dell’«anima sita
in quelle parti».
68
Cfr. Arist. De an. III 3,428 a I sgg.; 8, 432 a 10 sgg.; 10,433 a 9 sgg.; 11; e i Parva naturaila,
per intero (in particolare il De memoria et reminiscentia e il De somno et vigilia).
69
Cfr. Arist. Mem. et rem. 1, 450 a 10-12: καὶ τὸ φάντασμα τῆς κοινῆς αἰσθήσεως
πάθος ἐστὶν· ὥστε φανερὸν ὅτι τῷ πρώτῳ αἰσθητικῷ τούτων ἡ γνῶσίς ἐστιν.
208
Capitolo 10. La teoria secondo cui la voce proviene dal cuore è stoica o aristotelica?
Sulla localizzazione del κοινὸν αἰσθητήριον nel cuore, cfr., oltre che il più volte cita-
to Manuli, Vegetti (1977), anche Manzoni (2007: 70-85). Sul cuore come principio di
movimento, cfr. Manzoni (2007: 86-91).
70
Oltre ai numerosi passi già citati, cfr. anche Arist. De somno et vig. 2, 455 b 15 sgg., in
particolare 456 a 20-21.
71
Cfr. Arist. De motu an. 1, 698 a 18-20; 8, 702 b 22-24; passim. Cruciale, ai nostri fini,
la formulazione in 9, 702 b 25-26: τὸ δὲ μέσον τοῦ σώματος μέρος δυνάμει μὲν ἕν,
ἐνεργείᾳ δ’ ἀνάγκη γίνεσθαι πλείω («la parte mediana del corpo, in potenza è uno,
ma in atto è necessario che divenga molti»). Il riferimento è al cuore. Cfr. Arist. De
motu an. 10, 703 a 14-15: ἡ δ’ ἀρχὴ τοῖς μὲν ἐν τῇ καρδίᾳ τοῖς δὲ ἐν τῷ ἀναλόγῳ
(«il principio, per alcuni [sc. i viventi che hanno sangue] è nel cuore; per altri è nel suo
analogo»).
72
Cfr. Laspia (1995); (1996: 5-17); (1997: 51-69).
73
Cfr. Arist. De an. II 8, 420 b 32-33.
74
Sulla base, soprattutto, dei passi del De generatione animalium, lo studioso latinoame-
ricano Eduardo Sinnott, unico, con noi, fra gli interpreti moderni, ha riconosciuto nel
cuore il primo agente di produzione della voce. Cfr. Simmott (1989: 61-64 e note rela-
tive). La medesima ipotesi è stata da noi formulata in una tesi di laurea rimasta inedita
(La fonologia in Aristotele, 1985), e poi nelle pubblicazioni già citate.
209
Studi di fonetica greca
75
Ho argomentato questa tesi in Laspia (1997: soprattutto 79-80), e più recentemente in
Laspia (2005), (2018), (2018a).
76
Cfr. Düring (1966: 43-60).
77
Secondo una colorita formulazione di Barnes (2002: 7), leggere i trattati aristotelici sa-
rebbe «come ascoltare Aristotele che bisbiglia fra sé e sé». Cfr. anche Manzoni (2007:
73-74).
78
Cfr. Arist. Metaph. Z 17, 1041 b 16 sgg; nonché, sul tema, Laspia (2008: 219-228).
79
Anche se l’opinione opposta sembra oggi prevalente, cfr., ad esempio, M. Vegetti (1992:
177-218); e, più recentemente, Trabattoni (2005: 139-151); Sbardella (2005: 67-68).
80
᾿Αναγνωστής era infatti soprannominato Aristotele nel Peripato, per la strana abi-
tudine di leggere da sé, piuttosto che farsi fare lettura da un schiavo. Per la tradizione
210
Capitolo 10. La teoria secondo cui la voce proviene dal cuore è stoica o aristotelica?
Da qui, derivano, forse, alcune delle difficoltà che noi abbiamo a capirlo;
attribuendo, magari, ad altri teorie che, in realtà, sono sue.
10.3
Resta ancora da stabilire perché Galeno attribuisca agli Stoici, e non ad
Aristotele, la teoria secondo cui la voce proviene dal cuore. Formuliamo,
qui di seguito, alcune ipotesi:
(a) Come è noto, il Περὶ φωνής, ossia il trattato da Galeno dedicato
alla voce, è andato perduto. Nulla vieta, dunque, che in quella sede Galeno
attribuisse ad Aristotele la paternità della teoria.81
(b) È altresì da tener presente che lo stesso De placitis Hippocratis et
Platonis, ci è giunto acefalo. Al principio del libro I, proprio prima della
parte mancante, Galeno confuta appunto Aristotele, e la sua teoria secondo
cui il cuore è principio dei nervi. Non è dunque da escludere che il perduto
incipit del De placitis contenesse un accenno alla teoria aristotelica della
voce.82
(c) La teoria secondo cui la voce proviene dal cuore non è introdotta
da Galeno in De placitis II 5 contestualmente alle citazioni degi Stoici, ma
prima, in forma anonima, nel capitolo precedente. È in quel contesto che,
pur confutandola, Galeno sembra prendere la teoria più sul serio; ed è lì
che egli descrive, in contrapposizione, la propria teoria della voce. Galeno,
quindi, non attribuisce affatto agli Stoici la paternità della teoria. Anzi,
dal contesto di De placitis. II 4 sembra addirittura di poter dedurre che
Galeno si rivolga qui a interlocutori più validi, e soprattutto più informati
in materia di anatomia.
dell’aneddoto cfr. Düring (1966:15-17); per la sua interpretazione cfr. Vegetti (1992: 180);
Trabattoni (2005: 139-142); Laspia (1997: 133).
81
Per una ricostruzione dei contenuti del De voce di Galeno, cfr. Baumgarten (1962), che
non può tuttavia aiutarci molto su questo punto.
82
Tale ipotesi non è tuttavia suffragata dalla dettagliata ricostruzione che de Lacy tenta dei
capitoli mancanti del De placitis, soprattutto sulla base di traduzioni arabe; cfr. CMG
V 4, 2, 1, pp. 44-46, 64-77.
211
Studi di fonetica greca
83
Così Manuli (1977:174).
84
Almeno nella tradizione bizantina; de Lacy ha però ricostruito il testo sulla base di
quella araba.
85
Cfr. CMG v4, 2, 1, p. 80.
212
Capitolo 10. La teoria secondo cui la voce proviene dal cuore è stoica o aristotelica?
86
Cfr. CMG v4, 2, 1, pp. 83-91.
87
7 Cfr. CMG v4, 2, 1, pp. 91 sgg.
88
Cfr. CMG v4, 2, 1, p. 90.
89
Cfr. Arist. De part. an. III 4, 666 b 13 - 15.
90
Cfr. CMG V 4, 2,1, p. 92.
91
CMG v4, 2, 1, p. 96.
92
Cfr. CMG v4, 2, 1, pp. 94-96.
93
Cfr. CMG v4, 2, 1, pp. 97-101.
94
Cfr. Gal. De plac. II 2 (CMG v 4, 2, 1, pp. 104-108); sull’argomento cfr. Manuli (1986:
262).
213
Studi di fonetica greca
95
Cfr. Gal. De plac. n 2 (CMG V 4, 2, 1, p. 104).
96
Cfr. Gal. De plac. n 3 (CMG V 4, 2, 1, p. 114).
97
Ivi: πρὸς μέντοι τοὺς Στωϊκοὺς ἀναγκαῖόν ἐστι μακρὸν ἀνύεσθαι λόγον, ἀν-
θρώπους ἐν μὲν τοῖς ἀχρήστοις τῆς λογικῆς θεωρίας ἱκανῶς γεγυμνασμέ-
νους, ἐν δὲ τοῖς χρησίμοις αγυμναστοτάτους τε ἅμα καὶ μοχθηραῖς ὁδοῖς
ἐπιχειρημάτων ἐντεθραμμένους.
98
Cfr. Gal. De plac. II 4 (CMG V 4, 2,1, p. 116).
99
Cfr. Gal. De plac. II 4 (CMG V 4, 2, l, pp. 116-128).
214
Capitolo 10. La teoria secondo cui la voce proviene dal cuore è stoica o aristotelica?
È, questo, uno dei passi in cui Galeno descrive più da vicino la sua teoria
della fonazione,100 rimandando inoltre al perduto De voce 101 . Da notare
è che, nonostante Galeno sia ormai al di fuori dell’ambito del monocen-
trismo biologico, la sua teoria della voce è pur sempre basata sul diretto
collegamento fra intelligenza e organi vocali; requisito su cui si fonda, in
tutta la tradizione scientifica greca, la semanticità della voce.102 È da notare
altresì che in De placitis II 4 la confutazione della teoria cardiocentrica della
voce avviene in base ad argomenti “seri”, cioè anatomici e fisiologici; che la
confutazione dell’avversario avviene da pari a pari, contrapponendo teoria
a teoria; che questo avversario, secondo l’esplicita affermazione di Galeno,
non è da identificare con gli Stoici; e che tutti gli argomenti a cui Galeno
qui si oppone (centralità del cuore, sua contiguità con la laringe e gli or-
gani vocali, il cuore come origine prima della sensibilità e del movimento
locale) sono di Aristotele. Non è dunque difficile immaginare chi sia qui
l’avversario, di tutto rispetto, a cui Galeno si contrappone.
In De placitis II 5 sono invece riportate, discusse e confutate le teorie
stoiche della voce citate in apertura di queste pagine. Ecco come si conclude
l’excursus che contiene le citazioni:
«Basta ormai, per quanto mi riguarda, con i discorsi degli Stoici intorno
alla voce. Se infatti dovessi scrivere qui di seguito anche tutti quelli degli
altri, questo scritto raggiungerebbe una lunghezza infinita. Anzi, i discorsi
formulati da Crisippo e da Diogene non li avrei neanche ricordati, limitan-
domi a esaminare solo quello di Zenone, se una volta non avessi avuto con
uno degli Stoici una disputa sull’espressione ‘procede’ (χωρεῖ), che Zeno-
ne usa nel suo discorso scrivendo: “la voce procede attraverso la trachea”.
Ora, questa parola, ‘procede’, io pensavo che bisognasse intenderla come
un equivalente di ‘viene da’ (ἐξέρχεται) o ‘è emessa da’ (ἐκπέμπεται),
mentre lui sosteneva che non significasse nessuna delle due cose, ma non
aveva da dirne una terza differente. Fui dunque costretto a fare un parago-
100
Sulla funzionalità degli organi respiratori – ma non sulla voce – in Galeno, cfr. Debru
(1996).
101
Cfr. Gal. De plac. II 4 (CMG V 4, 2, 1, p. 122); così anche in De usu partium VI e VII;
cfr., in particolare, GAL. De usu part. VII 5 (III 525 sgg. Kühn).
102
Cfr. Laspia (1995), (1996: 15-17).
215
Studi di fonetica greca
ne con gli scritti degli altri Stoici, che trasformano l’espressione o in ‘viene
da’ (ἐξέρχεται) o in ‘è emessa da’ (ἐκπέμπεται), come ho mostrato che
fanno Crisippo e Diogene. Dopo questi non ritengo necessario riportare i
detti di altri, ma mi volgerò ormai alla loro confutazione, cominciando da
Zenone, che è padre sia di questo discorso sulla voce che dell’intera scuola
stoica».103
103
Cfr. Gal. De plac. II 5 (CMG v 4, 1, 2, p. 132); e, sul passo, Manuli (1986: 260).
104
Cfr. CMG V 4, 1, 2, p. 132.
105
Cfr. CMG V 4, 1, 2, p. 142.
106
Quest’accusa è mossa soprattutto a Crisippo; cfr. CMG V 4, 1, 2, p. p. 136-138.
216
Capitolo 10. La teoria secondo cui la voce proviene dal cuore è stoica o aristotelica?
107
Cfr. CMG V 4, 1, 2, p. p. 142-144.
108
Cfr. CMG V 4, 1, 2, p. p. 128; 132-134; p. 146; passim.
109
Cfr. CMG V 4, 1, 2, p. p. 138-140.
110
Arist. De an. II 8, 420 b 28: ὑπὸ τῆς ἐν τούτοις τοῖς μορίοις ψυχῆς.
111
Cfr. CMG V 4, 1, 2, p. 62.
217
Studi di fonetica greca
112
Gal., De plac. VI I (CMG V 4, 1,2, p. 360 = V 505 Kühn).
113
Cfr. Galeni De semine, edidit, in linguam anglicam vertit, commentatus est Ph. de
Lacy, Berolini 1992, in CMG V 3, l, pp. 47-51, 252.
114
;
218
Capitolo 11
Non stupisce dunque che fino a pochi anni fa la nostra definizione fosse
considerata corrotta, e di conseguenza in vario modo emendata. Ancora nel
1965, ossia nell’ultima edizione della Poetica uscita per i tipi della Oxford
Classical Texts, Rudolf Kassel vi appose le cruces, aggiungendo poi in ap-
parato critico: «ex Arabicus sic fere emendaveris: οὐ συλλαβή, συλλαβὴ
δέ...».1
Il traduttore arabo vorrebbe far dire al testo di Aristotele quel che non
dice: ossia che «γρ non è sillaba senza α, ma solo con α, come in γρα». Una
simile soluzione sembra mettere d’accordo tutti: sia quelli che considerano
spuria la nostra definizione, sia quelli che vogliono costringerla nel letto di
Procuste della tassonomia linguistica posteriore. Ma Aristotele non si lascia
violentare così facilmente. Consideriamo infatti lo stato del testo. I due
codici bizantini principali (Parisinus 1741, sec. X/XI, Riccardianus 46, sec.
XIV) riportano la definizione così com’è, e la riportano concordemente. La
stessa lezione risulta anche dalla traduzione latina di Guglielmo di Moerbeka.
Solo il testo arabo della Poetica riporta una versione diversa, emendando il
καὶ γὰρ τὸ γρ ἄνευ τοῦ α συλλαβὴ καὶ μετὰ τοῦ α κτλ. in καὶ γὰρ τὸ γρ
ἄνευ τοῦ α οὐ συλλαβή, ἀλλὰ μετὰ τοῦ α, κτλ.2
L’evidente imbarazzo del traduttore arabo esemplifica un modo di pro-
cedere purtroppo ancor oggi molto praticato. La definizione di sillaba non
è infatti l’unico luogo, nel xx capitolo della Poetica, che sia stato addomesti-
cato inserendo una negazione in un punto cruciale. Si pensi, ad esempio,
agli innumerevoli tentativi di emendamento della disgraziata definizione di
ἄρθον – ma questa è un’altra storia.3 Torniamo invece alla definizione di
1
Kassel 1965: 31, ad loc. Probabilmente seguendo la sua suggestione, Halliwell (1989: 54)
traduce: «A syllable is a non significant articulate sound, combining a stob and a vowel;
gr, for example, only makes a syllable with the addition of a-(gra)».
2
Sull’edizione araba della Poetica possono vedersi ora le ottime note di Gutas, in Taran-
Gutas (2012: XI-XII, 77-114, 307-474), in particolare 283, da cui citiamo: «The Arabic
translation cannot in this case be used to correct the Greek text, as some scholars ha-
ve proposed, for it is here contaminated by glosses incorporated into the text which,
moreover, reflect a later conception of what constitues a syllable». Peccato che il testo
stabilito da Taran spesso non sia altrettanto buono.
3
A questo proposito, mi permetto di rimandare a Laspia (2018).
220
Capitolo 11. La definizione di sillaba della Poetica di Aristotele
4
Schmitt (2008: 602).
5
Belardi (1972: 113 n. 59), ripreso in Belardi (1985: 53-89); cfr. 53 n. 61.
6
Anche Gutas (2012: 283-4) cita la soluzione di Belardi come l’unica plausibile fra quelle
finora proposte, evidentemente non consapevole dei paradossi che da essa si generano.
7
La felice espressione è tratta da Havelock (1963: 152): «The Muse, the voice of
instruction, was also the voice of pleasure».
221
Studi di fonetica greca
8
Su queste espressioni il riferimento più completo è Svenbro (1988).
9
Su questo punto, cfr. Laspia (1996: 1-4), in particolare 3.
10
Senofane, 21B10 DK; cfr. Laspia (1996: 121).
11
L’esempio più celebre è probabilmente la conclusione del libro Λ della Metaphysica
(10, 1076 a 4). La citazione suona: οὐκ ἀγαθὸν πολυκοιρανίη· εἷς κοίρανος. Ma
nell’originale (Il. Β 204) si legge... εἷς κοίρανος ἔστω. Il particolare non è irrilevante,
perché prova la predilezione di Aristotele per le frasi senza verbo; cfr. “La definizione di
arthron...” , in corso di pubblicazione.
12
Sull’Inno ad Hermias si veda l’ottima monografia di Ford (2011).
13
In Met. Ν 6, 1093 a 22 si dice invero che γρ potrebbe notarsi con un unico segno grafico
(τῷ γὰρ Γ καὶ Ρ εἴη ἄν ἓν σημεῖον); il che non incoraggia a pensare che Aristotele lo
ritenesse sillaba.
222
Capitolo 11. La definizione di sillaba della Poetica di Aristotele
14
A queste domande ho cercato di rispondere nel mio saggio sull’articolazione linguistica,
il cui ottavo capitolo è interamente dedicato alle definizioni di σύνδεσμος ed ἄρθρον
nella Poetica; cfr. Laspia (1997: 79-116), in particolare (79-83). Non essendo soddisfat-
ta della soluzione ivi proposta per l’interpretazione di ἄρθρον, ho ritenuto necessario
tornarci in Laspia (2018).
15
Cfr. Laspia (1997: 79-83).
16
Cfr. Chomsky, Halle (1968), su cui Albano Leoni (2009: 26 n. 25, 110-118).
17
Al concetto greco di voce (φωνή) è dedicata la maggior parte delle mie attuali pubbli-
cazioni, dalla più antica (Laspia 1995) alla più recente (Laspia 2011a); cfr. anche Laspia
(1996), (1997: 49-69).
223
Studi di fonetica greca
voce.18 Lungi dall’essere ‘elemento esterno alla lingua’ come poi leggeremo
nel Cours de linguistique générale di Saussure, la voce è per Aristotele un
tratto intrinseco ed essenziale del linguaggio. Il xx capitolo della Poetica non
è dunque una classificazione astratta delle parti del discorso. Esso è invece
rappresentabile come un insieme di istruzioni per generare (far nascere,
produrre naturalmente) l’unita linguistica di senso compiuto (λόγος) a
partire dalla voce (φωνή).19 L’intersezione fra questi due punti terminali
(suono e senso) è la λέξις 20 : il corpo vivente del λόγος, in cui il verbo si fa
carne e il suono diviene senso.
A partire da questo essenziale presupposto, cerchiamo ora di contestua-
lizzare la definizione di sillaba all’interno del xx capitolo della Poetica. Ci
accorgeremo che essa non nasce così dal nulla, ma è preceduta da un’altra
cruciale definizione, quella di στοιχεῖον; e questa, a sua volta, include la
definizione delle tre classi denominate φωνήεντα, ἡμίφωνα, ἄφωνα.
Ecco allora il testo completo di quella che potrebbe chiamarsi la ‘sezione
fonetica’ del xx capitolo della Poetica, a conclusione della quale si legge la
definizione di sillaba sopra citata. Essa è preceduta da un incipit che elenca
le vere o presunte ‘parti del discorso’, su cui si è molto discusso, perché
l’ordine enunciato delle parti non corrisponde a quello in cui saranno poi
effettivamente trattate. Subito dopo si legge la definizione di στοιχεῖον,
che include in sé, non è ancora ben chiaro a che titolo, la tripartizione in
φωνήεντα, ἡμίφωνα, ἄφωνα. Leggiamo:
Poet. xx 1456 b 22-34: στοιχεῖον μὲν οὗν ἐστιν φωνὴ ἀδιαίρετος, οὐ
πᾶσα δὲ ἀλλ’ἧς πέφυκε συνθετὴ (v.l. συνετή) γίγνεσθαι φωνή· καί γὰρ
τῶν θηρίων εἰσὶν ἀδιαίρετοι φωναί, ὧν οὐδεμίαν λέγω στοιχεῖον. ταύ-
της δὲ μέρη τό τε φωνῆεν καὶ τὸ ἡμίφωνον καὶ ἄφωνον. ἔστιν δὲ ταῦτα
φωνῆεν μὲν τὸ ἄνευ προσβολῆς ἔχον φωνὴν ἀκουστήν, ἡμίφωνον δὲ
τὸ μετὰ προσβολῆς ἔχον φωνὴν ἀκουστήν, οἷον τὸ Σ καὶ τὸ Ρ, ἄφω-
νον δὲ τὸ μετὰ προσβολῆς καθ’ αὑτὸ μὲν οὐδεμίαν ἔχον φωνήν, μετὰ
18
Cfr. Laspia (1996: 5-17) Laspia (1997:51-69), e più in particolare (71-83).
19
Laspia (1997: 81).
20
Sul concetto di λέξις, cfr. le ottime note di commento nella Poetica edita da Dupont-
Roc e Lallot (1980: 314-317, n.1 e 2). Per il mio punto di vista, cfr. Laspia (1997: 81).
224
Capitolo 11. La definizione di sillaba della Poetica di Aristotele
21
In questo punto la mia traduzione si discosta da tutti i tentativi precedenti, che riferi-
scono ταύτης δὲ μέρη al semplice φωνή. Cfr., ad esempio, Halliwell (1987: 45): «Its
types are: vowel, continuants and stops»; gli esempi si potrebbero moltiplicare.
22
Con la parola ‘accostamento’ non deve intendersi una giustapposizione di ‘lettere’ co-
me volevano i commentatori umanisti, e come erroneamente traduce Barnes (1984:
2332). Il termine si riferisce alla posizione reciproca assunta dalle varie parti del cavo
orale (la lingua soprattutto; ma anche labbra, denti etc). Questa posizione è unanime-
mente sostenuta tanto dagli specialisti di fonetica greca citati sotto alla nota 24, sia dalla
maggior parte degli editori, da Bywater (1909) e Gudeman (1934) in poi. Solo Barnes
(1984: 2331), sorprendentemente, traduce: «A vowel is a letter having a sound without
the addiction of another letter, etc.».
23
Su questo passo, e più in generale sulla storia delle classificazioni fonetiche in Grecia, mi
permetto di rinviare ai miei precedenti lavori sul tema: Laspia (1999; 2001; 2010). In que-
sti lavori, e contro la posizione ancor oggi dominante, cerco di mostrare che στοιχεῖον
non si riferisce al grafema (come vogliono Diels 1899, Vegetti 1989 e, a proposito del
nostro passo, Morpurgo-Tagliabue 1968: 74 e nella sua traduzione Barnes 1984: 2331)
e neppure al fonema (vedi oltre, nota 24) ma all”elemento’ come costituente minimo
della sillaba.
225
Studi di fonetica greca
mi, suoni della lingua che si possano produrre e percepire di per sé? A mio
avviso, no. Il ταύτης δὲ μέρη che introduce la nostra tripartizione ci obbli-
ga infatti a considerarle ‘parti’ (μέρη) di qualcosa che, nel testo, è espresso
da un sostantivo femminile singolare: φωνή. Il sostantivo φωνή non oc-
corre tuttavia mai da solo, ma sempre accompagnato da un aggettivo: o
ἀδιαίρετος o συνθετή. Ora, ἀδιαίρετος occorre nel testo in apertura della
definizione di στοιχεῖον (1456 b 22: στοιχεῖον... ἐστιν φωνὴ ἀδιαίρετος),
e anche dopo, ma al plurale (ἀδιαίρετοι φωναί). Φωνήεντα, ἡμίφωνα, ἄφ-
ωνα sarebbero quindi definiti come ‘parti di una voce indivisibile’ (μέρη
τῆς ἀδιαιρέτου φωνῆς). Così intende, ad esempio, il caro Steinthal - quello,
per intenderci, che alla lettura di Aristotele ora inclinava al tedio, ora era
preso dall’insofferenza («bald zum Taedium geneigt, bald von Überdruss
erfüllt»).24 In questo modo si ottiene un nonsenso - e lui, perfidamente,
lo sottolinea: perché una ‘voce indivisibile’ per definizione non ha parti.25
La soluzione evidentemente non è questa, con buona pace di Steinthal.
Ma le tre classi non sono neppure introdotte come generiche ‘parti di una
voce’ (μέρη τῆς φωνῆς), come vogliono i più: φωνή infatti non occorre
mai da solo. Viene così invalidata l’interpretazione corrente, che considera
φωνήεντα, ἡμίφωνα, ἄφωνα come possibili attualizzazioni del concetto di
‘fonema’.26 Necessità vuole allora che il riferimento sia a συνθετὴ φωνή
(1456 b 23); le tre classi sono pertanto introdotte da Aristotele come ‘parti di
una voce composta’ (μέρη τῆς συνθετῆς φωνῆς).27 Φωνήεντα, ἡμίφωνα,
ἄφωνα non sono dunque classi di fonemi, ma possibili costituenti di sillaba.
24
Steinthal (1890: 185).
25
Cfr. Steinthal (1890: 253-259), in particolare (255).
26
Questa è la vulgata circolante a proposito dell’interpretazione di questo passo. Sen-
za stare a menzionare le singole edizioni, mi limiterò qui a citare alcuni noti contributi
critici, il primo dei quali è quello di Antonino Pagliaro (La fonologia di Aristolele, in
Pagliaro 1956: 140-145), il cui estremismo è ricalcato e, se possibile, acuito da Belardi
(1985: 91-7). Nella precedente edizione del saggio (1972: 119-140) il paragrafo si intitolava
addirittura ‘la concezione aristotelica del fonema’, e i suoi presunti tratti definitori era-
no quelli scelti dalla moderna fonologia strutturale. Cfr. anche Ax (1978; 1986), Zirin
(1980), Simmott (1989), più vicino invece alle mie posizioni.
27
Come ho, del resto, già argomentato nei miei precedenti e sopra citati lavori.
226
Capitolo 11. La definizione di sillaba della Poetica di Aristotele
28
Cfr. Laspia (1997: 79-80); (2005: 7-14), (2018).
29
Cioè in un mio breve articolo sull’esempio di sillaba fornito da Aristotele in Met. Ζ 17:
cfr. Laspia (2008: 222-225), in particolare per quanto riguarda le definizioni di φύσις,
οὐσία e στοιχεῖον in Met. Α. Nel seguito dell’articolo è invece analizzata la definizione
di στοιχεῖον della Poetica, in se e in relazione a Met. Ι 2, 1054 a 1-2 e Cat. 6,4 b 32-37
(225-228).
227
Studi di fonetica greca
che, per Aristotele, la sillaba non si riduce alla somma dei suoi elementi, ma
è anche ‘qualche altra cosa’.
Andiamo ora al secondo passo (Ι 2, 1054 a 1-2), in cui viene sviluppata
una curiosa metafora, nel contesto di una digressione sulle unità di misura.
Le unità di misura sono diverse in ciascun genere (suoni, colori etc.), ma
svolgono ovunque la medesima funzione. Se, ad esempio, tutti gli enti fos-
sero colori, i prototipi (dei colori, e con ciò degli enti) sarebbero in numero
finito, e la loro unità di misura sarebbe il bianco; allo stesso modo, se tutti
gli enti fossero melodie, essi si ridurrebbero a un numero finito di intervalli,
e l’unità di misura sarebbe la diesis. Lo stesso avviene anche per i suoni
della lingua; in questo caso, «gli enti si ridurrebbero a un numero finito di
elementi (ἀριθμὸς στοιχείων), e l’unità di misura sarebbe una vocale (καὶ
τὸ ἓν στοιχείον φωνῆεν) 30 ».
Da Met. Ζ 17 apprendiamo che la sillaba non è la somma degli elementi:
siano essi βα o γρ poco importa. Da Met. Ι 2 sappiamo in più che le vocali
svolgono un ruolo peculiare ed essenziale nella lingua. Le vocali scorrono
attraverso i suoni della lingua ‘come un legame’ (οἷον δεσμός); rendono
così possibile ogni altro adattamento reciproco fra gli elementi. Ma fin qui
era arrivato già Platone nel Sofista (253 a). Aristotele va oltre, e dice: «...e
l’elemento primo è (sarebbe) una vocale». Si pone ora una domanda: perché
1”elemento primo’ è una vocale (τὸ ἓν στοιχείον φωνῆεν)?
Le vocali scorrono attraverso tutti gli altri suoni della lingua ‘come
un legame’. I φωνήεντα: svolgono infatti un ruolo di supporto fonico-
articolatorio nei confronti degli ἄφωνα, posizioni articolatorie ‘mute’ (le
nostre ‘consonanti occlusive’) che, essendo inaudibili e impronunciabili
per sé (Poet. 1456 b 28-30), non si danno mai da sole. Questo lo sapeva già
Platone, e altri ancora prima di lui.31 Ma ora Aristotele sembra implicita-
mente aggiungere: tale ruolo è svolto dai φωνήεντα anche nei confronti
degli ἡμίφωνα. Non ci spiegheremmo altrimenti la strana affermazione
30
Su questa capitale affermazione della fonetica aristotelica, in sé e in relazione alle
precedenti classificazioni fonetiche, ivi compreso Platone, cfr. Laspia (2001; 2008; 2010).
31
Come ho cercato di dimostrare in Laspia (2001; 2008) e, anche riguardo a Platone
(2008).
228
Capitolo 11. La definizione di sillaba della Poetica di Aristotele
32
Nel riportare il passo, ho omesso la parentesi in cui lo inserisce Minio-Paluello (1949:
13).
33
Cfr. Laspia (2008: 226-228).
229
Studi di fonetica greca
modello della cosiddetta ‘sostanza sensibile’ che, fuor dal gergo tecnico, è
l’organizzazione di un corpo vivente - γρ è un gruppo consonantico com-
plesso, a cui non può essere assegnata alcuna quantità metrica. All’interno
dei metri, nessi come γρ possono, sì, influire sulla quantità della sillaba
precedente: e per questo Aristotele conclude la nostra definizione dicendo
che la differenza fra γρ e γρα è cosa che riguarda la metrica (1456 b 37-8). Ma,
a differenza di γρα, γρ non è una sillaba metricamente compiuta. Dunque
γρ non è ‘sillaba’ nel senso forte, pregnante del termine.
Nella prospettiva biolinguistica di Aristotele, la sillaba γρ è dunque
‘viva’ solo in potenza, ma in atto no: perché i requisiti fonetici di una lingua
sono anche, anzi soprattutto, requisiti prosodici. La ‘sillaba’ γρ diventa
‘viva’ (ossia foneticamente e metricamente ben strutturata) solo se il gruppo
γρ viene istanziato sul supporto prosodico giusto. Questo supporto è una
vocale. Unità di misura del parlato, la vocale (φωνῆεν) è il vero, primo e
unico στοιχεῖον della λέξις. Anche la sequenza degli στοιχεῖα materiali nel
mondo sublunare è del resto preceduta (o generata?) da un solo elemento,
la cosiddetta quinta essentia. Aristotele la chiama invece ‘elemento primo’
(πρῶτον στοιχεῖον) 34 : è la divina, sempiterna, semovente, intelligente (e
felice) materia degli astri. La sequenza degli στοιχεῖα, nell’universo fisico
come nella voce, presuppone un ἓν στοιχεῖον che, in quanto principio
incarnato di movimento e unità di misura, non è più solo στοιχεῖον, ma
anche ἀρχή.35
Da ciò derivano alcune importanti conclusioni:
1. Da un punto di vista fonetico (acustico, ma soprattutto articolatorio)
γρ è costruito come γρα. Da ciò deriva che le regole fonetiche di produzione
della sillaba sono ricorsive: ossia reiterabili n volte, per n indeterminato. Ciò
che mette un limite alla sequenza delle operazioni fonetiche, è solo l’innesto
di queste posizioni articolatorie su un supporto prosodico corretto, che si
realizza esclusivamente nella vocale. La vocale diventa così nucleo di sillaba,
lunga o breve, la cui alternanza misura esaustivamente il parlato (Cat. 4 b 32-
34
Cfr., ad esempio, De Caelo Γ, 298 b 6, passim.
35
Cfr. Laspia (2008: 225-228).
230
Capitolo 11. La definizione di sillaba della Poetica di Aristotele
37). La vocale, e con ciò la sillaba prosodica (γρα, non γρ), incarnano nella
lingua greca ciò che Guido Calogero chiamava «il senso greco del finito».36
Senza le quantità sillabiche, ossia senza le vocali, come pronunciare il primo
esametro dell’Iliade, dell’Odissea?
2. La definizione aristotelica di συλλαβή dipende crucialmente da quel-
la di στοιχεῖον, e questa, a sua volta, da tutto ciò che di voci e sillabe si dice
nell’intero Corpus aristotelico. L’opera di Aristotele è un universo coeso, in
sé compiuto, che non ammette divisioni. O, se si preferisce una metafora
informatica, non è che un immenso ipertesto. Ogni nodo dell’ipertesto -
fuor di metafora: ogni passo nel Corpus - non è legato agli altri da un ordine
lineare (prima o dopo, in quell’opera o in quell’altra), ma è simultaneamen-
te attivato da tutti gli altri possibili contesti - e non solo da quelli in cui
apparentemente si parli della stessa cosa.
3. La definizione aristotelica di συλλαβή non si limita a dipendere dalla
precedente definizione di στοιχεῖον ma retroagisce su di essa: influenza,
cioè, la sua interpretazione. Senza i paradossali, assurdi, provocatori esempi
di sillaba della Poetica mai e poi mai avremmo capito che nella precedente
definizione di στοιχεῖον non si parla delle ventiquattro lettere dell’alfabe-
to greco (τὰ στοιχεῖα τῶν γραμμάτων τὰ τέτταρα καὶ εἴκοσι, come poi
dirà Dionisio Trace). O meglio: si parla delle lettere dell’alfabeto, solo in
quanto esse sono tracce grafiche, riproduzioni - insomma, imitazioni 37 - dei
suoni elementari della lingua, i cosiddetti ‘fonemi’. Ma questi, a loro volta,
sono tali solo perché svolgono un ruolo all’interno della sillaba. Il ruolo
dell’elemento all’interno della sillaba si realizza in tre possibili varianti, indi-
cate dai termini φωνῆεν, ἡμίφωνον, ἄφωνον. L’ἄφωνον (‘senza voce’, nel
senso di ‘muto’) è una posizione articolatoria non autonomamente udibile
e producibile, e pertanto in sé priva di valore, sia fonetico che prosodico.
Esso acquisisce valore, ossia udibilità e funzionalità linguistica, solo se ac-
compagnato da altri elementi. L’ἡμίφωνον è una posizione articolatoria
autonomamente udibile e producibile, ma priva di valore prosodico, perché
36
Calogero (1968: 55-58).
37
Su μίμησις cfr. Palumbo (2008): in riferimento al linguaggio, a partire dal Fedro,
Laspia (2011).
231
Studi di fonetica greca
38
La dimostrazione di un simile assunto richiederebbe un respiro maggiore di quello
possibile in queste pagine. A questo tema ho dedicato una monografia.
39
Per un’esposizione dettagliata dell’argomento, cfr. Laspia (2010: 181-182).
232
Capitolo 11. La definizione di sillaba della Poetica di Aristotele
base al ruolo che svolgono all’interno della sillaba. Ora, la vocale è, in greco,
l’unico possibile nucleo di sillaba perché svolge un ruolo non solo fonetico,
ma anche prosodico: è infatti breve o lunga. È per questo che, in Met. Ζ 17, la
sillaba è qualcosa in più degli elementi. La misura prosodica della sillaba, che
contiene la forma (εἷδος) della sillaba stessa, da cui dipende crucialmente la
sua definizione, non si identifica infatti con la qualità fonica degli elementi,
o con il modo della loro articolazione. La misura prosodica è, per così dire,
una proprietà logica di tipo superiore a quello degli elementi, che definisce
la sillaba nel suo insieme, non i singoli componenti, ivi compresa la vocale.40
Insomma: dire che ‘il tutto è più della somma delle parti’ a Saussure
bastava, ad Aristotele no. Per Aristotele, la sillaba non si riduce agli elementi,
e βα è qualcosa in più di β+α, perché la sillaba ha anzitutto una struttura
prosodica, e ciò che dal punto di vista fonetico è molti (γρ, γρα) dal punto
di vista prosodico è uno. Questa misura dell’uno, che fa sì che gli στοιχεῖα
siano un numero determinato (ἀριθμός), ma tutti generati da una medesi-
ma unita di misura, il φωνῆεν, è la lunghezza della sillaba, che secondo Cat.
6, 4 b 32-37 misura esaustivamente il parlato.
Questa configurazione prosodica è, a sua volta, alla base della signifi-
cazione linguistica. Per questo l’ἓν στοιχείον φωνῆεν, è, secondo la de-
finizione della Poetica (1456 b 22 sgg.), una «voce indivisibile, da cui per
sua natura si genera (ἐξ ἧς πέφυκε γίγνεσθαι) voce comprensibile» (o
composta: συνετή, v. l. συνθετή)’. Solo da un germe vivente, che è in
sé materia e forma, sostrato e principio primo del movimento (non solo
στοιχείον dunque, ma anche ἀρχή), può naturalmente generarsi la λέξις,
il corpo fonico del λόγος. Il processo che realizza il λόγος a partire dalla
voce è pertanto assimilabile al processo di generazione di un vivente; e il suo
germe primo è una vocale.
La biolinguistica aristotelica, culminante nelle definizioni del xx capito-
lo della Poetica, asserisce che nel vivente non c’è forma senza materia; ossia,
fuor di metafora, nel λόγος non c’è significazione senza voce. Lo στοι-
χεῖον della λέξις, voce prodotta nell’unità metrica della sillaba, non è infatti
40
Cfr. Laspia (2008), in particolare nelle conclusioni.
233
Studi di fonetica greca
solo voce, materia prima del λόγος (De gen. an. Ε 7, 786 b 19-22), ma è
anche forma, in quanto privazione determinata (στέρεσις) della sua intera
configurazione prosodica. Un’unica sillaba, breve o lunga, non è infatti il
λόγος, l’intero significativo; è un suo embrione, fatto per essere continuato
- nato per farsi nome, proposizione, frase; e, aldilà della frase, discorso, testo.
Come mai potremmo comprendere il primo distico dell’Iliade, che in una
brutta traduzione italiana suona: ‘cantami o Diva, del Pelide Achille/l’ira
funesta...’, se ci si fermasse alla sola sillaba ‘ca’?
In conclusione: il λόγος è per Aristotele un’unità vivente, fatta di voce
e significazione, come un animale è fatto di corpo (carne e sangue) e anima
(che è l’organizzazione funzionale del corpo). Tale è il messaggio che ci
proviene dal xx capitolo della Poetica. Questa unità vivente, che i Greci –
Aristotele, ma anche Platone (Phdr. 264 c) – vedevano, udivano e per così
dire toccavano con mano nel λόγος, può diventare visibile e tangibile anche
per noi, purché interroghiamo i Greci nel modo giusto. Purché li leggiamo
come loro stessi vorrebbero essere letti.
Così, a distanza di più di due millenni, i Greci ci sono vicini: «perché
le medesime opinioni ritornano a circolare infinite volte fra gli uomini»
(Meteor. Α 3, 339 b-27-30).
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