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Abstract

Lobiettivo della mia ricerca stato quello di valutare il signicato della musica practica, ovvero della dimensione esecutiva della musica, in rapporto al tipo di sapere custodito nelle arti liberali, secondo quanto pu essere ricavato dai testi giovanili di S. Agostino. La chiave di lettura del lavoro consistita nellindividuazione di due paradigmi, linguistico e matematico, cui sono state ricondotte, rispettivamente, la musica practica e lars musica del quadrivio. Alla luce di essa, lindagine sullessenza linguistica della prima stata condotta attraverso lelaborazione di un paragone con unaltra disciplina liberale, lars rethorica, similmente alla quale la musica si determina come sapere pratico dotato di un tipo di efcacia psicagogica. Attraverso lapprofondimento del legame tra le due discipline, ho cercato di motivare latteggiamento oscillante manifestato da Agostino nei confronti del canto sacro. Con questi elementi, inne, ho esteso il confronto alla declinazione pi tarda del progetto di unenciclopedia del sapere liberale, quella che prende forma nel De doctrina christiana con la proposta di uneloquenza al servizio della Chiesa, cercando di porre in rapporto la rivalutazione delle arti della parola con il pensiero radicale dellonnipotenza di Dio. The aim of my research is that of determining the meaning of the musica practica, that is the music performed in opposition to the theoric knowledge of liberal arts within young S. Augustins texts. The interpretational key of the work has been the distinction of two paradigms, linguistical and mathematical, to which, respectively, the musica practica and the quadrivial ars musica have been reconduced. On the light of that, the investigation on the linguistical essence of the former has been conduced by developing a comparison to another liberal art, the ars rethorica, with which music shares a technical knowledge en-

2 dowed with psycagogical power. By the close examination of the connection between the two disciplines, I have tried to explain the oscillating attitude manifested by S. Augustin towards sacred chants. With such elements at hand, I have nally extended the comparison to the later declination of the project of the encyclopedic knowledge that takes shape in the De doctrina christiana with the proposal of a christian eloquence, trying to set a relation between the revaluation of the arts of the word and the radical thought of the omnipotence of God.

Premessa
Desidero ringraziare tutti i docenti del Dipartimento di Filosoa dellUniversit di Padova, in particolare il mio responsabile scientico, prof. Gabriele Tomasi, per lintelligente stimolo al mio lavoro di dissertazione, e il dott. Giovanni Catapano per le competenti osservazioni e le preziose indicazioni bibliograche. Sono grata inoltre al dott. Ernesto Mainoldi, che ha letto le parti di argomento musicale della dissertazione, suggerendo le opportune correzioni e offrendo utili consigli. Ringrazio, inne, mio marito Roberto per lindispensabile e sempre paziente consulenza informatica. A tutti coloro il cui nome non compare in questa premessa, ma la cui presenza ha incoraggiato il mio lavoro va la mia riconoscenza, con particolare riguardo ai miei genitori, cui esso dedicato.

Indice
Abstract Introduzione 1 Lgos e Arithms. Due paradigmi 1.1 Il numero e il modello razionale del cosmo . . . . . . . . . . . . 1.1.1 1.1.2 1.2 2 Nascita di unidea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Agostino e la triade di Sapienza 11, 21 . . . . . . . . . . . 1 7 11 19 19 27 33 41 41 50 57 57 64 69 79 79 87 87 94 98 99 102

La parola e lespressivit immediata del fonema . . . . . . . . .

Linguaggio e arti liberali 2.1 2.2 2.3 Scientia, ars, peritia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il progetto enciclopedico del De ordine . . . . . . . . . . . . . . . Ars rethorica e linguaggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.3.1 2.3.2 2.4 Il concetto agostiniano di verit . . . . . . . . . . . . . . . Il linguaggio tra menzogna e verit . . . . . . . . . . . .

Il nuovo progetto del De doctrina christiana . . . . . . . . . . . . .

Ragione e anima a-razionale 3.1 3.2 Teoria della sensazione e giudizio estetico . . . . . . . . . . . . . Immaginazione e poiesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2.1 3.2.2 3.3 3.3.1 3.3.2 Sul concetto di immaginazione . . . . . . . . . . . . . . . Lattivit poietica come falsicazione . . . . . . . . . . . Nota sul concetto di mim esis . . . . . . . . . . . . . . . . . La teoria aristotelica della mim esis . . . . . . . . . . . . . 5

Immaginazione e mimesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

6 4 Ars rethorica 4.1

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Breve storia della retorica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.1.1 4.1.2 4.1.3

Origini: storia di due retoriche . . . . . . . . . . . . . . . 119 La retorica aristotelica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 124 Cicerone e la retorica latina . . . . . . . . . . . . . . . . . 134 150 163 163

4.2

Agostino e leloquenza cristiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

5 Musica practica 5.1 Origini del repertorio musicale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.1.1 5.1.2 5.1.3 5.2 5.2.1 5.2.2 5.3 5.3.1 5.3.2 5.3.3 Conclusioni Appendici Bibliograa

Le prime forme . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 163 Dalla grammatica alla musica . . . . . . . . . . . . . . . . 175 Osservazione sulla prassi esecutiva . . . . . . . . . . . . 179 182 Composizione e trasmissione . . . . . . . . . . . . . . . . 182 Sullorigine della musica dal linguaggio . . . . . . . . . . 188 192 Due orientamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 192 Sul concetto di forma musicale . . . . . . . . . . . . . . . 196 Il potere della forma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 199 205 215 229

Musica e linguaggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

La forma dei suoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Introduzione
Obiettivo del presente lavoro proporre una lettura in chiave metaforica del potere psicagogico del canto sacro, di un potere, cio, che non dipende dal contenuto trasmesso, ma che agisce in modo immediato sullanimo attraverso la forma del suono. Precisando che con musica practica si intende fare riferimento alla dimensione esecutiva della musica, in contrapposizione a quella astratta della disciplina del quadrivio, possibile rilevare, in corrispondenza, uno sdoppiamento di paradigmi che oppone lessenza matematica della seconda allessenza linguistica della prima. Tale essenza linguistica, di cui si dimostra consapevole, non a caso, un oratore come Cicerone1 , vericabile, ad esempio, nella prassi del canto ebraico, matrice di quello cristiano, le cui formule di intonazione sono riconducibili a tecniche di amplicazione della parola sacra. Lipotesi che si intende proporre presuppone una lettura della concezione agostiniana della musica alla luce dello sdoppiamento sopra indicato e intende aprirsi, dopo una ricostruzione del paradigma linguistico condotta per mezzo dellaccostamento di musica pratica e retorica, sullultima fase della sua riessione. Un aspetto saliente di questa, segnata dal profondo mutamento intervenuto con lelaborazione della dottrina della grazia predestinante e la conseguente dissoluzione di unidea di verit che potesse rendersi oggetto di un possesso stabile, consiste nellaffermazione della radicale passivit delluomo al cospetto di quella che stata denita2 anarchia di Dio, la quale presenta suggestive somiglianze con il potere psicagogico falsicante3 dellarte della
1 Il riferimento a un passo dellOrator, che, ponendo in risalto il prolo melodico formato dalla sequenza degli accenti, denisce il linguaggio un cantus obscurior. Cfr. Orator 18, 57. 2 Cfr. [79, p. 119.] 3 Laggettivo falsicante intende rendere il signicato di creativo nel contesto di una riessione, quella altomedievale, in cui non era contemplata la possibilit di unautonomia produttiva diversa da quella di Dio. Rispetto alla Creazione, infatti, luomo non aveva il potere di introdurre

8 parola.

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Nellultima teologia agostiniana, nulla rimane al di fuori dellindisponibile elezione delluomo, costitutivamente privo di merito: annullata lesigenza di unesegesi corredata da uneloquenza in grado di vincere linerzia e lostinazione dei fedeli, ci che resta solo una retorica della grazia, per mezzo della quale Dio opera in maniera irresistibile sulla volont delluomo, senza alcun limite. Loperare della grazia divina, per quanto incommensurabile e non connesso alla sfera dellemotivit, ricorda, nella sua assoluta autonomia, il potere psicagogico della retorica e, ancor pi, quello della musica che, radicato nella sola forma dei suoni, sembra idealmente connotarla come una retorica priva di contenuto. In signicativa coincidenza con questo sbiadimento, Agostino ha esaltato lo stato di beatitudine in cui luomo si scopre incapace di parlare e, coerentemente, ha indicato nel canto la sua pi propria modalit espressiva, la quale sembra congurarsi come una sorta di correlato della chiamata senza parola della grazia: Canta nel giubilo. Che signica giubilare? Intendere senza poter spiegare a parole ci che con il cuore si canta. (...) Il giubilo un certo suono che signica che il cuore vuol dare alla luce ci che non pu essere detto. E a chi conviene questo giubilo se non al Dio ineffabile? Ineffabile infatti ci che non pu essere detto: e se non puoi dirlo, ma neppure puoi tacerlo, che ti resta se non giubilare, in modo che il cuore si apra a una gioia senza parole, e la gioia si dilati immensamente ben al di l dei limiti delle sillabe? Bene cantate a lui nel giubilo (en. Ps. 32, II, 8). Alla luce di queste osservazioni, limpulso che ha dato origine al presente lavoro deve essere riconosciuto nel proposito di indagare il possibile valore espressivo del canto sacro considerandolo alla stregua di un caso degenere del linguaggio4 nella riessione di un losofo, Agostino, che fu incline a stimanulla di nuovo, se non lillusorio e il falso. 4 Nel De dialectica, breve scritto ormai considerato autentico e facente parte del medesimo progetto enciclopedico che comprendeva anche il De musica, Agostino denisce con precisione lazione del dire (dictio) vincolando il verbum al ruolo di etichetta per una res: La parola un segno di qualunque cosa che, proferito da chi parla, possa essere capito da chi ascolta. Una cosa tutto ci che viene percepito o capito, oppure che nascosto. Segno ci che manifesta se stesso al senso e qualcosaltro, oltre se stesso, alla mente. Parlare dare un segno mediante la voce articolata (Loqui est articulata voce signum dare) (dial. 5). in rapporto a questa denizione che si propone di qualicare come degenere un uso del linguaggio che prescinda dalla funzione originaria di trasmettere un contenuto.

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re larte della parola come la principale via dischiusa alla ragione umana per approssimarsi a Dio5 . La struttura della dissertazione si articola in cinque capitoli. Il primo presenta un carattere eminentemente introduttivo e il suo scopo quello di denire i due paradigmi Lgos e Arithms mostrando come essi si intreccino sul piano cosmologico, ontologico e gnoseologico fondando altres la suddivisione interna alle arti liberali in trivio e quadrivio. Sempre allinterno del primo capitolo, sar poi affrontata la questione dellespressivit immediata della componente fonica del linguaggio, in cui riposa, come gi affermato, la sua capacit di esercitare un potere sullanima. Il secondo capitolo, dopo aver guadagnato la denizione del concetto di ars in rapporto a quelli di scientia e peritia, prosegue sviluppando la correlazione tra i due paradigmi e le corrispondenti discipline, ripercorrendo la concezione agostiniana dellorganizzazione e del ruolo dellistruzione liberale nel De ordine e nel De doctrina Christiana. In virtuale opposizione al secondo capitolo, che, come si detto, si applica allanalisi dellattivit propria della ragione, il terzo si propone di offrire un compendio delle risorse proprie della parte a-razionale dellanima, considerate dal lato passivo, la sensazione, e da quello attivo, limmaginazione produttiva nella sua essenza mimetica. Obiettivo principale del capitolo la denizione di un concetto di invenzione-produzione artistica compatibile con la visione agostiniana dellarte, la cui validit verr vericata alla luce della successiva trattazione specica relativa alle due discipline oggetto dello studio. Il quarto e il quinto capitolo, di impostazione prevalentemente didascalica, propongono inne una presentazione sintetica delle tappe evolutive e dello stato dellarte in retorica e in musica al tempo di Agostino, con lintento di rinvenire gli elementi necessari a sostenere le tesi che saranno concisamente esposte nella conclusione.

5 M. Bettetini riconosce in questa valutazione delle arti della parola uno dei temi portanti della riessione svolta da Agostino nel De musica. Cfr.[22, p. 103.]

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Capitolo 1

Lgos e Arithms. Due paradigmi


Lantico concetto di lgos, semanticamente connesso al verbo lghein e rinviante, pertanto, da un lato allazione del raccontare e, dallaltro, a quella dellenumerare, possedeva tanto il signicato di discorso quanto quello di calcolo. Questa duplicit si era conservata anche nella lingua latina, custodita dalla somiglianza con cui i due termini corrispondenti, oratio e ratio, alludevano a un comune fondamento nel concetto di razionalit e misura. Questo concetto, che si colloca dunque a monte della distinzione tra lgos e arithms intesa come distinzione tra lgos discorsivo e lgos numerante, pu essere utilmente analizzato alla luce della nozione di arch, oppure, in modo ancor pi esplicito, di quella di stoichion, corrispondente al latino elementum e legata alla prima da un rapporto di sinonimia. Una descrizione concisa ed efcace, in grado di far emergere la duplicit in oggetto, esposta nel seguente passo, tratto dal commento di Proclo1 agli Elementi di Euclide: Perch, come ci sono principi primi, semplicissimi e indivisibili, del linguaggio scritto, ai quali diamo il nome di elementi e da cui formata ogni parola e ogni discorso, allo stesso modo ci sono teoremi che si trovano in posizione di priorit rispetto a tutta la goemetria, che con i teoremi seguenti hanno rapporto di principio (arch), che si applicano un po dappertutto e che producono dimostrazioni di molte propriet - e questi teoremi sono
1 In

primum Euclidis, pp. 71, 22-72, 22. Cit. in [1, p. 324.]

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CAPITOLO 1. LGOS E ARITHMS. DUE PARADIGMI

chiamati elementi. Laccezione che sembra essere stata anteriore dal punto di vista cronologico quella connessa allimpiego grammaticale del termine come lettera, elemento dellalfabeto non ulteriormente scomponibile e, per questo, primo. Testimonianze in questo senso sono rinvenibili sia negli scritti di Platone, sia in quelli di Aristotele che, nella Metasica, denisce lelemento come il componente primo immanente di cui costituita una cosa e che indivisibile in altre specie (Metasica 1014 a). Da questa denizione emerge altres in maniera esplicita lindicazione della funzione logico-teoretica correlata al concetto, che lo determina come principio costruttivo, parte fondamentale di una struttura composta. possibile riconoscere, in questa determinazione, il signicato originario assunto dal termine arch nella riessione dei presocratici, con particolare riferimento allelementarismo atomistico e pitagorico. La seconda accezione di stoichion non presente in Platone, ma ricorre negli scritti aristotelici per indicare, in contesto geometrico, le proposizioni elementari in contrapposizione a quelle pi complesse (diagrmmata). In questo caso, il semplice si congura come elemento del complesso in modo differente rispetto a prima, ovvero non pi come fondamento omogeneo, ma come principio irriducibile di carattere logico-ontologico. La maggiore estensione di questo secondo signicato nisce per ricomprendere in s anche quello dellarch dei siologi, che si poneva come fondamento della realt sensibile sia sul piano dellesistenza, sia su quello dellintelligibilit, e, per tale carattere onnicomprensivo sintetizzabile nellidea di anteriorit, esaurisce di fatto la portata della nozione greca di principio. In essa convergono, dunque, un movimento di risolversi in e uno, pi generale, di procedere da, cui corrispondono, rispettivamente, una funzione logica costruttiva, che opera dal semplice per strutturare il complesso, e una deduttiva, che fonda la verit del complesso in base al semplice. Se lantecedente losoco cui possibile ricollegare il primo signicato di stoichion lelementarismo pitagorico, come si accennato, laltro pu essere plausibilmente riconosciuto nel platonismo, in cui il rapporto di anteriorit si specica non in termini di precedenza della parte rispetto al tutto, ma in quelli di superiorit ontologica, in virt di cui lidea assume un ruolo fondante sul piano epistemologico.

13 Ci che in questa sede interessante constatare che i due movimenti di costruzione e scomposizione che fondano, in ultima analisi, latto poietico e latto teoretico, sebbene distinti rinviano a unorigine comune, che rispecchia lonnipervasivo ordine del cosmo in cui ogni cosa, sia naturale sia articiale, esiste in quanto razionale. In questa prospettiva, come in seguito si avr modo di vericare, Agostino elabora una losoa dellarte in cui questultima risulta determinata come una vera e propria forma di conoscenza, esplicitamente denita come sottocategoria della scienza: scientia bene dicendi2 lars rethorica cos come scientia bene modulandi lars musica3 , entrambe discipline liberali appartenenti, rispettivamente, al trivio e al quadrivio. Ci che distingue i due raggruppamenti, le cui discipline potrebbero essere altres denominate arti del linguaggio e arti del numero, il possesso di un carattere rispettivamente produttivo e contemplativo: l dove la grammatica, la dialettica e la retorica, gi oggetto ordinario di studio della cultura letteraria classica, si occupano di insegnare usi del linguaggio nalizzati allottenimento di un determinato risultato, sia questo lo stile, la verit o la persuasione, le arti del quadrivio offrono modelli esplicativi in funzione del numero, vero e proprio codice daccesso alla comprensione del reale in tutti i suoi aspetti quanticabili. Laritmetica, in quanto studio delle propriet del numero, si caratterizza come la pi generale delle discipline, mentre le altre tre si applicano a quello delle leggi fondamentali dello spazio, del tempo e del movimento in quanto modicazione spazio-temporale4 . Lo scarto che separa questa concezione della musica da quella moderna evidente e la spiegazione comunemente ammessa stata resa con efcacia da H.I. Marrou5 in relazione al De musica di Agostino: Tutta questa dottrina visibilmente elaborata per rendere la musica degna di entrare in una forma elevata di cultura. Il problema che la musica sia degna di essere annoverata nel numero delle disciplinae liberales; quando, mediante questa nozione di scienza,
Quintiliano, Institutione oratoria III, i, 15. mus. I, ii, 2. Questa denizione non originale di Agostino, ma deriva probabilmente da Varrone. Si veda, a questo proposito, [138, p. 67.] 4 Pi in dettaglio, la geometria studia le leggi dellorganizzazione logica dello spazio in funzione di gure e volumi ideali, lastronomia quelle del movimento dei corpi celesti, contraddistinti rispetto a tutti gli altri da una superiore regolarit e la musica, inne, quelle che regolano la successione dei suoni nel tempo, cui sono riconducibili sia la componente ritmica, sia quella armonica. 5 [88, p. 182.]
3 Cfr. 2 Cfr.

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CAPITOLO 1. LGOS E ARITHMS. DUE PARADIGMI

esso felicemente risolto, il discepolo esclama con soddisfazione: ormai lo vedo bene, non c nulla di pi basso e di vile di questa disciplina... Questidea tornata incessantemente nel corso della trattazione: si sente che c qualcosa di volgare nella materia musicale, il problema quello di nobilitarla. Le caratteristiche che Marrou riconosce come cause della percezione della musica practica come volgare sono, in primo luogo, il fatto che nella societ romana essa fosse praticata da professionisti appartenenti agli strati sociali inferiori, secondariamente il possesso universale e, dunque, non elitario della capacit di apprezzare e articolare una bella melodia e, inne, la tendenza a svalutare lattivit propria dei sensi ereditata dal platonismo6 . Ora, sebbene tutte queste osservazioni siano innegabilmente corrette e confermate dallo stesso Agostino7 , ritengo che la presenza problematica della musica in seno allistruzione liberale, che nei suoi scritti si impone con particolare forza, dipenda non solo e non tanto dal suo riconosciuto potere di trascinare lanima verso la corporeit imprigionandola nelle maglie del piacere sensibile e vincolandola, in vista del raggiungimento di questo risultato poco edicante, a una pratica assidua e meccanica indegna delluomo libero, ma che, pi profondamente, essa derivi dallintuizione di un rischio ben pi grave per lanima, connesso a una tendenza di indebita autoesaltazione e imputabile anchesso alla condizione mediana delluomo. Non un caso, del resto, che proprio nel De musica, verso la ne dellultimo libro che, come noto, dismette il carattere
6 Lo scopo primario delle discipline liberali secondo Platone e Plotino era, per lappunto, quello di agevolare il distacco dalla materia, identicata con lorigine del male: Anche delle arti, che sono forme razionali, c da chiedersi se esse siano tra le cose sensibili. Larte del citaredo, per esempio. Essa ha a che fare con le corde, e il suo canto, cio la sua voce sensibile, parte dellarte, a meno che non la si consideri una sua attivit e non una sua parte. Sarebbero, comunque, sempre attivit sensibili. La bellezza di un corpo incorporea, eppure noi labbiamo assegnata, perch sensibile, alle cose che si riferiscono al corpo e sono del corpo. Noi, fondando una duplice geometria e una duplice aritmetica, dobbiamo porre una loro specie qui, nella qualit terrena, e laltra dobbiamo collocarla lass, in quanto si tratta di unatttivit dellanima volta verso lIntelligibile. Anche della musica e dellastronomia Platone pensa allo stesso modo (Enneadi VI, iii, 16). Il medesimo contrasto tra lintento di affrancarsi dal sensibile per raggiungere realt spogliate da ogni corporeit e la sua concreta attuazione in una ricerca debitrice dei sensi rispetto alla quale, dunque, questi ultimi perdono la connotazione di ostacolo per assumere quella di ausilio, presente anche allinterno del De musica, dove, tuttavia, la materia non pu pi essere considerata priva di essere in quanto creata direttamente da Dio e, nel contempo, lorigine del male interamente ricondotta alla libera volont del singolo. 7 Nel primo libro del De musica, ad esempio, il disprezzo nei confronti degli istrioni e dei musici espresso con decisione, cos come manifesta, in relazione al secondo aspetto, la consapevolezza del fatto che non solo tutti gli uomini, ma addirittura gli animali sono in grado di apprezzare la dolcezza di una melodia. Quanto al terzo punto, nel contesto della discussione che viene svolta nel sesto libro in merito alla disposizione gerarchica dei numeri ovvero degli schemi dei suoni differenziati in funzione del loro afferire al suono sico, al senso, alla voce, alla memoria, e alla facolt naturale di giudizio, Agostino non esita a stabilire linferiorit di quelli sensibili.

15 tecnico che anima i precedenti per profondersi in riessioni di ampio respiro in merito al signicato e allutilit della disciplina, Agostino affermi che il superbo amore per lazione e la produzione dei numeri inferiori sia la causa della corruzione dellanima che si allontana dalla contemplazione di Dio: In generale lamore per lazione che distoglie dal vero sorge dalla superbia. Con questo vizio lanima ha preferito imitare Dio piuttosto che servirlo. E cos resta giustamente scritto nelle sacre Scritture: Inizio della superbia delluomo allontanarsi da Dio e Inizio di ogni peccato la superbia. (...) E questo appetito dellanima di avere sotto di s altre anime, non di bestie, che permesso dal diritto divino, ma razionali, cio sue simili, che dividono con lei, come compagne, la medesima legge. E lanima superba desidera agire su di esse, e questa azione le sembra tanto pi eccellente di quella sui corpi quanto pi ogni anima migliore di ogni corpo. Invece solo Dio pu aver potere sulle anime razionali, non attraverso la mediazione del corpo, ma per se stesso (mus. VI, xiii, 40-41). possibile che una consapevolezza cos profonda dellebbrezza data dal senso di potere sullanima, assai diverso da quello, anche tirannico, esercitato in politica poich efcace non solo sullesteriorit dei comportamenti, ma sullinteriorit degli uomini, fosse stata accumulata da Agostino nella lunga esperienza di retore nel corso della quale aveva potuto sperimentare la forza persuasiva della parola e, in particolare, della sua veste sonora. Questa qualit della retorica, che costituisce anche il suo ne proprio e che, come si avr modo di approfondire in seguito, aveva reso da sempre problematica la sua legittimazione come disciplina liberale, risulta dunque comune anche alla musica, sebbene limitatamente alla sua distinta dimensione pratica, segnalando il sussistere di un legame di parentela tra le due arti. Ci che ora si tratta di rintracciare la radice ultima di questo legame. Riconosciuto grazie allafnit esibita dagli effetti, ovvero il potere esercitato sullanima, esso va indagato alla luce dellarticolazione interna della paideia liberale, nellorigine che custodisce lessenza stessa delle due discipline. Gi si visto come la suddivisione secondo il trivio e il quadrivio ricalcasse una differente attitudine di fondo, rispettivamente poietico-compositiva e teoreticoscompositiva, e come questo rinviasse, in ultima analisi, allassunzione di un differente concetto di arch, come elemento o come principio. Coerentemente con questa distinzione, la quale, tuttavia, tendeva a sfumare nel riferimento

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CAPITOLO 1. LGOS E ARITHMS. DUE PARADIGMI

unicante a unidea onnicomprensiva di razionalizzabilit, la nozione di arte riconduceva ogni applicazione pratico-produttiva entro lassetto scientico della disciplina, senza che esso ne risultasse intaccato. Le uniche due discipline che avevano opposto una resistenza in questo senso erano state, appunto, la retorica e la musica, entrambe affette da unambiguit che si rietteva sul modo stesso di essere arti e che era adombrata dallallusione alla possibilit di esercitare un uso della conoscenza e non pi solamente una disinteressata fruizione8 . Alla luce di queste considerazioni possibile formulare con maggiore chiarezza lipotesi sopra accennata, secondo cui lambiguit che caratterizza latteggiamento di Agostino nei confronti della musica deriva fondamentalmente dalla duplicit della sua essenza di disciplina, che non si limita a rinvenire la legge razionale per contemplare lopera del Creatore a partire dalle sue tracce9 , ma pregura per luomo stesso la possibilit di operare in virt del possesso della regola. Non labbandono passivo al piacere dei sensi tipico del peccato di concupiscenza10 , dunque, ma lesercizio attivo di un potere che pretende, almeno nascostamente, di imitare superbamente quello di Dio ci che pi tormenta Agostino. In questa prospettiva, la decisione di approfondire il legame con la retorica concretizza lintento di concentrare lo studio non sullaspetto passivo della ricezione, quanto piuttosto su quello attivo della produzione. Archetipo di ogni atto produttivo umano, la Creazione era concepita dal Cristianesimo come un atto intenzionale e libero di Dio, espressione di un progetto dinamico e non esito di un processo di emanazione necessaria. Rispetto
8 Lo schema frui-uti era di origine pagana: gi Varrone aveva operato una distinzione tra le cose in funzione del loro dover essere conseguite propter se ipsum o propter aliud e laveva posta in corrispondenza con il duplice ordine di realt della condizione umana, ovvero spirituale e corporea. Dopo di lui, Seneca aveva accentuato la contrapposizione tra i due ambiti indicando una divaricazione tra le rispettive nalit e Agostino, in sostanziale accordo con questa impostazione, aveva assunto la distinzione per esprimere il monito a usare le realt mutevoli e riservare la fruizione a quelle immutabili. 9 Sollecitati da quel che giudichiamo a esaminare la norma in base a cui giudichiamo e spinti dalle opere delle arti a considerare le leggi delle arti stesse, con la mente contempleremo quella bellezza a confronto della quale sono brutte quelle cose che, grazie ad essa, sono belle. Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le perfezioni invisibili di Dio possono essere contemplate con lintelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinit. In questo consiste il ritorno dalle verit temporali a quelle eterne e il rinnovamento della vita con il passaggio dalluomo vecchio alluomo nuovo (vera rel. 52, 101). 10 Agostino adotta lo schema delle tre consupiscenze presente in 1 Ep. Io. 2, 16, concupiscientia carnis, concupiscientia oculorum, ambitio saeculi, cui fa corrispondere, rispettivamente, i peccati legati allattivit dei sensi, quelli dovuti allavidit di conoscenza ne a se stessa, e, inne, quelli imputabili alla vanagloria. Questa ripartizione viene usata assai spesso da Agostino, soprattutto nella forma voluptas, curiositas, superbia.

17 alla tradizione speculativa pagana, di cui il sistema plotiniano offre, sotto questo aspetto, un esempio eloquente, la visione cristiana aveva introdotto dunque un elemento radicalmente nuovo, in virt di cui lesistenza del cosmo risultava ricondotta a un atto volontario e gratuito. Un elemento potentemente suggestivo nellallegoria descritta dal libro della Genesi il risuonare della voce di Dio nellassoluta assenza di forma anteriore allatto della creazione il quale, sebbene privo di qualunque intento comunicativo giacch solo Dio esisteva, si manifesta di fatto come un atto essenzialmente linguistico: In principio Dio cre il cielo e la terra. Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano labisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: Sia la luce! E la luce fu (I, 1-3). La Creazione, cos considerata, si congura dunque come la prima, eminente e insuperabile manifestazione della potenza della parola: radicalmente creatrice nel Verbum che conferisce lesistenza per mezzo della forma, tale potenza mantiene una somiglianza nella parola proferita dalluomo, la quale, per quanto avente come ne proprio il rispecchiamento fedele del reale nella comunicazione, ha per anche il potere di scostarsi da esso, di trasformarlo con la forza dellimmaginazione sostituendovi i suoi prodotti. Un dato signicativo in questo senso il fatto che Agostino, nel De Trinitate, abbia sviluppato la propria teoria del verbo interiore in analogia con la struttura trinitaria, affermando che come la seconda persona della Trinit, il Verbum, si incarnato nellEmanuele, cos il pensiero concepito interiormente prima della sua espressione linguistica si incarna nel suono della voce11 . Proprio qui si consuma, com evidente, la possibilit per luomo di dominare i suoi simili, di agire con la parola sullanima per piegarla a piacimento, senza alcun riguardo per la verit. Ci che si verica con la pronuncia della parola, secondo Agostino, non un trasferimento del signicato dal parlante, ma il suo riaforare in chi ascolta, ai ni del quale la funzione della voce appare tanto essenziale quanto efmera. Come C. Panti12 ha osservato, infatti, il ministerium vocis attivo in funzione della componente semantica della parola, ma efcace attraverso la componente fonica. Ci che la voce trasmette, oltre al signicato, una tonalit emotiva espressa tramite uninessione e una modulazione appropriate della
11 Cfr. 12 [104,

trin. XV, vii, 12. p. 174.]

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CAPITOLO 1. LGOS E ARITHMS. DUE PARADIGMI

componente sonora che, come un vero e proprio strumento, ottiene di modicare lanimo di chi ascolta secondo lintento di chi parla. Il dato indiscutibile, di cui Agostino dimostra profonda consapevolezza, che il suono non pu essere considerato come un supporto inerte. Da un lato esso individua un fenomeno (res) nel quale le leggi razionali dellordine imposto da Dio si rendono riconoscibili e che, pertanto, si offre alla conoscenza come oggetto degno dello studio liberale; dallaltro si presta in veste di strumento (verbum), neutrale ma potente al punto da potersi ribellare alla sua originaria funzione di fedele riproposizione del vero, dando vita a immagini prive di un referente reale e, perci, false. Oltre che strumento della creazione, la parola di Dio anche medio di un rapporto di costante comunicazione con luomo, rapporto che si declina in vario modo, stabilendo differenti gradi di passivit da parte di questultimo. Implicita nella creazione, che, in quanto originaria parola di Dio e realizzazione del suo disegno razionale, offre alluomo la possibilit di riconoscerne le tracce mediante lapplicazione allo studio liberale, tale volont di comunicazione si rende esplicita nella parola rivelata delle Scritture, che richiede alluomo lesercizio di unattivit esegetica13 , per annullarsi, inne, nella chiamata diretta di Dio, imprevedibile e immeritabile atto di grazia. Se vero che lintervento di Dio non mai assente, nemmeno nel primo caso in cui luomo deve agire per meritare la salvezza, vero anche che nel terzo tale requisito cade del tutto e che egli, impotente, appare completamente determinato dalla volont di Dio. Saranno la prima e la terza via, apparentemente collocate agli antipodi, a costituire lo sfondo del presente studio, termine di riferimento ultimo per la lettura condotta secondo i due paradigmi individuati e ligrana dellinterpretazione dellars musica da un lato e dellars rethorica e del cantus practicus dallaltro come metafora, rispettivamente, dellordine razionale del creato e del
13 Nella sua innita provvidenza, Dio non dimentica i limiti insiti nella natura umana, compresi quelli che indeboliscono la sua capacit conoscitiva: Se non possiamo ancora godere delleternit, attribuiamolo almeno alle nostre immaginazioni ed espelliamo dalla scena della nostra mente giochi cos futili e ingannatori. Per salire serviamoci dei mezzi che la divina Provvidenza si compiaciuta di creare per noi. Quando, infatti, troppo presi da divertenti immagini, ci perdevamo dietro ai nostri pensieri e volgevamo tutta la vita a certi vari sogni, Dio, nella sua indicibile misericordia, non disdegn di giocare, in certo modo, con noi bambini per mezzo di parabole e similitudini, facendo ricorso, attraverso suoni e scritti (dal momento che la creatura razionale sottomessa alle sue leggi), al fuoco, al fumo, alla nube, alla colonna come a parole visibili, e di curare i nostri occhi interiori con questa sorta di fango (vera rel. 50, 98).

1.1. IL NUMERO E IL MODELLO RAZIONALE DEL COSMO potere anarchico del suo Creatore.

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1.1 Il numero e il modello razionale del cosmo


1.1.1 Nascita di unidea
Lidea di una mathesis universalis, di una concezione secondo cui il cosmo possiede, a tutti i suoi livelli, una struttura razionale e coerente, conoscibile e dominabile attraverso la costituzione di un sistema di principi fondati sul concetto di numero si sovrappose precocemente allevoluzione della matematica la cui nascita, in quanto geometria, era stata determinata da esigenze eminentemente pratiche14 . Proclo aveva osservato che, al pari di quello di tutte le altre scienze, il percorso seguito da tale evoluzione aveva dovuto necessariamente prendere le mosse dal basso, ovvero dalla concretezza della percezione sensibile coinvolta, ad esempio, nellatto della misurazione per guadagnare solo in un secondo momento il meccanismo del calcolo ed essere inne assunta, in virt della sua efcacia, come possibile chiave per la decifrazione dellordine delluniverso. Il signicato e la portata di questa concezione non furono chiari sin dallinizio, ma subirono profondi mutamenti in rapporto alla diversa connotazione del concetto di quantitas, che identica la categoria fondante comune alle cosiddette scienze esatte. Se la pi compiuta formalizzazione e sistemazione della matematica greca fu raggiunta con gli Elementi di Euclide, verso linizio del IV sec. a. C., lintuizione o, almeno, la presenza implicita di unidea di mathesis universalis pu essere rintracciata gi nella tradizione losoca pitagorica e platonica, per quanto in modi assai differenti. Lelemento di sostanziale discrimine tra le due visioni si rende riconoscibile nella diversa denizione delloggetto stesso della matematica, il concetto di numero, da cui, necessariamente, la costituzione del metodo dipende. La concezione pitagorica dellunit, cos pesantemente connotata in senso materialistico da denire il numero come limite (hros) delle cose e da attribuie che serviva per rideterminare i conni dei campi dopo le piene del Nilo. Talete, cui sempre la medesima fonte attribuisce il merito di aver importato in Grecia le prime conoscenze matematiche acquisite in Egitto, aveva conservato un metodo empirico e intuitivo, pesantemente vincolato al caso particolare e, nel complesso, essenzialmente euristico.
14 Nel Commento agli elementi Proclo informa che la geometria era stata inventata nellantico Egitto

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CAPITOLO 1. LGOS E ARITHMS. DUE PARADIGMI

re al punto il possesso di una dimensione, ancorch minima, aveva stabilito un legame privilegiato tra aritmetica e geometria, destinato a entrare in crisi con la scoperta delle grandezze incommensurabili. Tale scoperta, che scatur come risultato totalmente inatteso dallo studio delle proporzioni tra grandezze, se da un lato min irrecuperabilmente lintegrit della dottrina pitagorica, dallaltro cre lo spazio per lemergere di una teoria astratta della quantit, sradicando in maniera decisiva il concetto di numero dalla dimensione problematico-intuitiva che lo aveva nutrito sino ad allora. Un contributo fondamentale in questa direzione fu offerto da Platone, sebbene in modo indiretto e non specico. Anche lasciando da parte il contenuto delle ben note dottrine non scritte, le quali subordinano di fatto la teoria delle idee a una teoria duale dei principi che mostra forti afnit con laritmetica pitagorica, molti dei dialoghi lasciano intravedere alla base unimpostazione matematizzante, quantomeno sul piano delle intenzioni. Lesempio pi signicativo in questo senso costituito dal Timeo15 , puntuale esposizione della teoria cosmogonica di Platone, in cui lelemento matematico sostiene e compenetra lintera costruzione ontologica, determinandone la scansione gerarchica. Dal punto di vista epistemologico, invece, la collocazione della matematica in rapporto alle altre forme di conoscenza era stata denita nel sesto libro della Repubblica, dove era stata identicata come dianoetica e giudicata inferiore rispetto alla dialettica: In effetti, per quanto coloro che scrutano lessere per mezzo di queste arti siano tenuti a coglierlo tramite lintelligenza e non i sensi, tuttavia, poich lo contemplano non risalendo al suo principio ma a partire dalle ipotesi, ti sembra che costoro non abbiano piena conoscenza di tali oggetti, per quanto, per via della loro connessione con i principi, essi pure siano degli intelligibili. E mi pare che la condizione propria dei geometri e quella di coloro che sono simili ai geometri tu la chiami dianoia e non intelligenza, come se la dianoia fosse alcunch di intermedio fra lopinione e lintelligenza (Repubblica 511 d). Gli effetti di questa sistemazione si rendono evidenti nella descrizio15 Cfr. Timeo 34 b - 37 c. In particolare: E cominci a dividere nel modo che segue. In primo luogo tolse una parte, e dopo di questa ne tolse una doppia di essa, e poi una terza che era una volta e mezzo la seconda e tre volte la prima, poi una quarta che era doppia della seconda, poi una quinta che era tripla della terza, poi una sesta che era otto volte la prima e inne una settima che era ventisette volte la prima (35 b - c). La serie, come facile constatare, formata dai seguenti numeri: 1 2 3 4 9 8 29. Il particolare della precedenza del nove rispetto allotto motivato dal mantenimento dellalternanza di radoppio e triplicazione.

1.1. IL NUMERO E IL MODELLO RAZIONALE DEL COSMO

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ne della struttura e del metodo della matematica che, rispetto al precedente Menone, dimostrano una maggiore vicinanza alla forma assiomatico-deduttiva degli Elementi di Euclide16 . Questultima si istituisce, per Platone, come tratto identicante delle scienze matematiche, i cui procedimenti logici vengono accuratamente distinti da quelli della losoa: l dove i primi muovono dai principi in maniera essenzialmente deduttiva, infatti, i secondi compiono il percorso inverso dallipotetico allincondizionato, compiendo un movimento che Platone denisce dialettico. Contestualmente alla superiorit del movimento dialettico-noetico, veniva stabilito il ruolo eminentemente propedeutico della conoscenza matematica e, con essa, di tutte le discipline aventi come oggetto una particolare concretizzazione del numero nello spazio o nel tempo come, oltre alla geometria, lastronomia e la musica. Iniziava insomma a prolarsi lidea di un genere comune a un certo gruppo di discipline, quelle dianoetiche, o, detto altrimenti, la generalizzabilit delloggetto della matematica in virt della sua risoluzione nel concetto di ununit di misura costante per tutte le operazioni di organizzazione logico-quantitativa del molteplice sensibile. In questa direzione si mosse, in seguito, soprattutto Aristotele, che confer un taglio sistematico alla questione elaborando, negli Analitici Secondi17 , un modello formale valido per tutte le scienze. Denite come conoscenze basate sulla dimostrazione, cio sul sillogismo scientico, esse risultavano individuate ciascuna nella sua specicit da un insieme di principi propri (dia) contenenti le determinazioni degli oggetti di pertinenza, mentre apparivano riunite in un unico corpo omogeneo in forza di un rapporto di analogia fondato sulla condivisione di principi comuni (aximata o koin). La consapevolezza del progresso portato dalla messa a punto di un modello formale comune presente negli scritti aristotelici. A confronto con la precedente metodologia, la quale imponeva di procedere alla dimostrazione di una medesima propriet separatamente per tutte le specie di oggetti, tale modello consentiva, grazie allidenticazione di un genere comune, di ottenere una teoria universalmente valida: Ora invece la cosa viene provata universalmente (nyn kathlou): in effetti, ci che si suppone appartenere universalmente alloggetto, non appar16 A 17 Si

questo proposito si veda lanalisi condotta da L.M. Valditara in [148, p. 61 ss.]. vedano, in proposito, i capitoli v e vi del primo libro.

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CAPITOLO 1. LGOS E ARITHMS. DUE PARADIGMI

tiene pi separatamente a degli oggetti, in quanto linee o in quanto numeri, ma appartiene ormai alloggetto, in quanto un determinato qualcosa (74 a). Se la specicit di ogni singola disciplina era data dal suo oggetto - numeri (arithmi), lunghezze (mke), volumi (stere) e intervalli di tempo (chrnoi) - la validit universale era assicurata invece dallappartenenza a un medesimo genere, il quale li comprendeva in s alla maniera di un oggetto comune, essenza del concetto di quantitas (posn). Non pi razionalizzata alla maniera platonica ed epressa da numeri sostanzializzati come enti intermedi tra il mondo sensibile e quello delle idee, essa diveniva categoria, modo di predicazione della sostanza e, in quanto ontologicamente dipendente da essa, strumento logico unitario di misurazione di rapporti tra grandezze omogenee. Sebbene il concetto di unit avesse conservato lindivisibilt come qualit denitoria, essa si trovava ora svincolata sia dalla corrispondenza immediata con la realt sensibile supposta dai Pitagorici, sia dal realismo logico platonico per assumere, in denitiva, un carattere logico trascendentale. L. Valditara18 cita, a questo proposito, un passo di Alessandro di Afrodisia in cui si trova espresso chiaramente il ruolo che, in virt della sistemazione compiuta, risultava attribuito alle scienze matematiche: Le scienze matematiche non si occupano n delle cose sensibili in senso assoluto in quanto sensibili, n affatto di altre cose che siano diverse da quelle sensibili, ma si occupano di cose che sono s sensibili, ma non in quanto sensibili bens in quanto sono grandezze e linee e superci. Ci che viene ribadito precisamente lo svincolamento delloggetto delle scienze matematiche da un qualunque grado ontologico in quanto tale, sia esso sensibile o intelligibile, e il suo conuire in un medesimo oggetto privo di esistenza autonoma e, perci, universalmente applicabile a enti numerabili o misurabili. La denizione teorica del modello assiomatico-deduttivo, di seguito elaborata soprattutto in seno allAccademia platonica, costitu, per certi versi, la fase preparatoria per la successiva elaborazione tecnica, che raggiunse compiuta espressione negli Elementi del matematico alessandrino Euclide. La dimensione che venne recuperata dalla geometria euclidea e coniugata con il requisito logico dellincontraddittoriet del sistema fu la relazione con il mondo degli
18 Cfr.

Ivi p. 72.

1.1. IL NUMERO E IL MODELLO RAZIONALE DEL COSMO

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oggetti sensibili, convertita nei termini propri della disciplina per mezzo della denizione. Questultima svolgeva una funzione analoga a quella dellidea platonica in quanto, per la sua forma generalizzata, identicava lessenza geometrica delloggetto sensibile che, in seguito a ci, manifestava la propria intelligibilit legittimando dal punto di vista teoretico la vocazione pratica delle scienze matematiche19 . Lintento programmatico di trasferire loggetto di studio in ambito sovra-sensibile individuava il tratto di continuit pi signicativo tra la riessione platonica e quella euclidea, ma per il diverso ruolo di cui era investito ne indicava, nel contempo, la distanza: se nel primo caso, infatti, esso rientrava in un programma generale di astrazione dalla molteplicit sensibile, nel secondo era funzionale allefcacia del metodo, la quale necessitava di afancare allatteggiamento eidetico-contemplativo delle essenze geometriche un orientamento pragmatico-costruttivo. Ecco perch, accanto alle denizioni, Euclide aveva predisposto un corpo di postulati20 , i quali condensavano i criteri di costruzione degli enti geometrici e le modalit di relazione tra essi, facendoli uscire dalla staticit della descrizione per inserirli nel contesto dinamico della loro riproducibilit e manipolabilit. In denitiva, lapproccio scientico euclideo mostrava di accogliere entrambe le tendenze espresse sino ad allora dalla losoa della matematica, quella materialistico-compositiva e quella eidetico-contemplativa. Nondimeno, le corrispondenti caratterizzazioni del concetto di elemento apparivano coesistere negli Elementi, anche se non senza ambiguit. Proprio questultima, tuttavia, per il fatto di implicare una sovrapposizione tra dimensione sico-materiale e eidetico-formale avrebbe consentito unapertura, per quanto forse non del tutto consapevole n voluta, allelaborazione di una prospettiva matematizzante, di nuovo di pertinenza della losoa. Un esempio di come la sistemazione euclidea della geometria pot essere incorporata quale necessario elemento di mediazione allinterno di un sistema ontologico generato discensivamente attraverso il progressivo svolgimento di un principio supremo e conoscibile attuando il percorso inverso, a partire dal livello pi basso della molteplicit sensibile, costituito dalla teoria procliana dellessere. Compreso tra i due poli estremi della conoscenza sensibile e della
19 Cfr. 20 I

Ivi p. 85 ss. postulati sono proposizioni assunte come vere, che non richiedono lassenso del discente.

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CAPITOLO 1. LGOS E ARITHMS. DUE PARADIGMI

conoscenza noetica, tanto perfetta quanto autosufciente, il sapere matematico vi costituiva, come gi per Aristotele, il genere comune a tutte le scenze esatte e niva per identicarsi con lunica possibile forma di losoa. Un aspetto degno di nota della metasica procliana, che introduceva una differenza signicativa rispetto a quella platonica, riguardava il rapporto intercorrente tra la dialettica e la matematica, che, in virt della comunanza di metodo appena indicata, si congurava in termini di inclusione. Tale inclusione, che sul versante ontologico trovava fondamento nel processo di esplicazione dellUno secondo progressivi livelli gerarchici, motivava lestensione dellambito applicativo della matematica anche ad altre discipline variamente applicate alla molteplicit sensibile, in quanto tutte, indistintamente, si concentravano su un aspetto particolare dellordine necessario che quellesplicazione aveva prodotto e, pertanto, non potevano prescindere dallunico metodo plasmato su di essa. Lapplicazione generalizzata del metodo della matematica risulta esplicitamente affermata per varie discipline, tra cui sono espressamente citate non solo la musica, il che non rappresentava certo una novit, ma anche le arti della parola, come la retorica, cui attribuito uno statuto teoretico: Alle arti teoretiche, quali la retorica e tutte le altre che si esprimono mediante discorsi, essa aggiunge perfezione e ordine (...); cos alle arti poetiche essa si pone a modello fornendo le proporzioni alle loro composizioni. Il dato che maggiormente appare signicativo nel confrontare il diverso atteggiamento che, pur nella condivisione del metodo, quello matematico, distingue la retorica dalla musica il convinto e inaspettato collegamento di questultima con lambito morale piuttosto che con quello teoretico: Inoltre, la scienza matematica ci perfeziona per la losoa morale immettendo ordine e vita armoniosa nei nostri costumi e ci fornisce atteggiamenti e canti e movimenti convenienti alla virt21 (Commento agli Elementi 24, 4-7). La concezione procliana della matematica come scienza comune, in rapporto privo di soluzione di continuit rispetto alla scienza prima, si riverberava dunque in ambiti diversi da quello teoretico e gnoseologico, estendendosi a quello etico ed estetico. In virt di ci essa si imponeva come unico criterio valido per giudicare tanto la bont quanto la bellezza delle cose, informante la
21 Cit.in

L. Valditara, op. cit. p. 106.

1.1. IL NUMERO E IL MODELLO RAZIONALE DEL COSMO

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stessa capacit ricettiva e discriminante dei sensi. Il presupposto che stava alla base di tale rapporto di continuit tra il piano del razionale e quello del sensibile rinviava, in ultima analisi, allunicazione delle due accezioni del concetto di principio, in virt di cui il movimento contemplativo-scompositivo includeva quello compositivo, restaurato nella sua originaria valenza pratica. Sebbene non sia possibile rintracciare con precisione in che modo la concezione matematizzante di matrice pitagorico platonica giunse sino ad Agostino, indubbio che essa costitu una componente fondamentale nella sua formazione, testimoniata con grande evidenza nei dialoghi composti durante il soggiorno a Cassiciaco e nel periodo immediatamente successivo al ritorno in Africa. Secondo la ricostruzione di Solignac22 , le possibili fonti pitagoriche rinviano a Varrone, con particolare riferimento al De principiis numerorum e al De arithmetica, oltre che al neopitagorico Nicomaco di Gerasa, autore di unIntroductio arithmeticae. Questultima opera, soprattutto, sembra interessata da precisi riscontri negli scritti agostiniani: valga per tutti un passo del De ordine in cui, come osserva Bettetini23 , si afferma che i numeri regnavano ed erano in tutte24 le cose (II, xv, 41), il quale presenta forti assonanze con uno contenuto nellIntroductio, secondo cui tutte le cose sono rese perfette dal numero dominante nellintelletto divino25 . Altre fonti di Agostino potrebbero essere stati gli Elementi di Euclide e i trattati sulla musica e laritmetica di Teone di Smirne, anche se non plausibile ipotizzare una lettura diretta dei testi. Marrou, prendendo in considerazione le ricostruzioni proposte dai principali studiosi26 , ritiene verosimile che Agostino abbia letto il De Arithmetica di Teone di Smirne, in quanto incluso nei Disciplinarum libri di Varrone, e il trattato di Nicomaco in una traduzione di Apuleio, ma lipotesi pi cauta che egli abbia avuto accesso a questo tipo di conoscenze tramite una trattatistica di origine greca, ampiamente diffusa in et tardo-imperiale.
[131, pp. 131-2.] [20, p. 33.] 24 utile notare sin dora come il raggiungimento della consapevolezza che ogni cosa, nel creato, ricade al di sotto del dominio del numero portato, secondo Agostino, dalla scoperta della musica in quanto organizzazione razionale nella modulazione dei suoni: Per prima cosa inizi dalludito, (...) e poich le fu facile notare, attraverso le stesse parole, che le sillabe brevi e lunghe in un discorso sono sparse pi meno in ugual quantit, tent di disporre e unicare quei piedi in ordini ssi, e seguendo in questa prima operazione ludito stesso, segn le suddivisioni proporzionali, che si chiamano cesure (caesa) e membra (membra) (ord. II, xiv, 39-40). 25 Cfr. VI, i, 12. 26 Cfr. [4, p. 446.]e [138, p. 70-1.]
23 Cfr. 22 Cfr.

26

CAPITOLO 1. LGOS E ARITHMS. DUE PARADIGMI Limitandosi a una considerazione puramente teorica delle inuenze che,

per quanto riguarda lambito ora in esame, si rendono riconoscibili negli scritti del giovane Agostino, tra quelle unanimamente ammesse possibile elencare il pitagorismo, il platonismo, lo stoicismo e, in ambiente latino, le rielaborazioni di Varrone e di Cicerone. La loro presenza assume pi spesso la forma della reminescenza piuttosto che quella della citazione vera e propria, per cui forse pi aderente al vero collocare Agostino in un contesto culturale mobile e variegato, in cui le idee circolavano per mezzo di manuali e dossograe modicandosi sensibilmente, innestandosi luna sullaltra e favorendo la formazione di concezioni eclettiche. Lidea pi generale, quella relativa alla presenza operante del numero nelluniverso, chiaramente espressa in pi punti del De libero arbitrio, i quali manifestano analogie con testi platonici27 e plotiniani. Animato dallintento di mostrare come ogni cosa derivi il proprio essere da Dio e, per questo, non possa evitare di contenere tracce che la identichino come sua opera, Agostino richiama lattenzione del lettore sul fatto che, proprio in virt della forma esterna delle cose (ipsis exteriorum formis), lanima pu avvertire il richiamo della sua interiorit. La forza che lesteriorit delle cose pu esercitare per mezzo dei sensi (per corporeos sensus), tale solo in virt di una corrispondenza che si istituisce a un livello diverso e superiore tra le leggi della bellezza (pulchritudinis leges) che informano la ricettivit sensibile e la struttura numerica delle cose28 . Largomentazione di Agostino prosegue poi con suggestiva eloquenza: Osserva il cielo, la terra, il mare e qualunque cosa in essi o risplende dal di sopra, o in basso striscia o vola o nuota. Hanno forme poich hanno numeri (formas habent quia numeros habent); togli loro queste propriet e saranno nulla. Qual dunque il principio che li fa essere, se non quello che fa essere il numero? Giacch lessere a loro in tanto appartiene in quanto essere cose strutturate matematicamente (in quantum numerosa esse) (II, xvi, 42). La presenza formante del numero era dunque, per Agostino, impronta del27 Un passo che pu essere citato come rappresentativo di tutti gli altri che compaiono nelle opere di Platone il seguente, tratto dal Timeo: E prima di questo tutte le cose si trovavano senza ragione e senza misura. Ma quando Dio intraprese a ordinare luniverso, il fuoco in primo luogo e la terra e laria e lacqua, avevano bens qualche traccia in s, ma si trovavano in quella condizione in cui naturale si trovi ogni cosa, quando Dio assente. Queste cose, dunque, che allora si trovavano in questo stato Egli in primo luogo le modell con forme e con numeri (Timeo 53 b). 28 Cfr. lib. arb. II, xvi, 41.

1.1. IL NUMERO E IL MODELLO RAZIONALE DEL COSMO

27

la creazione divina, che se per un verso costituiva la condizione necessaria a legittimare la possibilit per lanima di elevarsi, condando nellaccessibilit del reale alla conoscenza razionale, per un altro, simmetricamente, alludeva al sussistere di una qualche forma di corrispondenza tra gli enti creati e i pensieri di Dio. Proprio questo risultava essere, in ultima istanza, il fondamento dellistruzione liberale, con particolare riferimento alle discipline comprese nel quadrivio29 il cui compito, sempre secondo misura, doveva essere quello di guidare alla comprensione losoca dellordine divino del creato.

1.1.2 Agostino e la triade di Sapienza 11, 21


Una delle preoccupazioni che avevano mosso Agostino nel periodo della sua conversione e negli anni immediatamente successivi era stata quella di porre la creazione al riparo dalleresia delle tesi manichee, togliendo fondamento ontologico al principio del male e annullando cos alla radice il dualismo che spezzava lintegrit del creato compromettendo, con essa, la ducia nella praticabilit di una spiegazione razionale dellordine divino. Che limportanza di questultima discendesse da un presupposto ben differente dallideale del sapere ne a se stesso emerge con evidenza in unopera animata da un chiaro intento antimanicheo, il De libero arbitrio, in cui Agostino si dispone innanzitutto a dimostrare che Dio, creatore di ogni cosa, lunico Principio, privo di antagonisti in grado di interferire con lordine da lui impresso il quale, di conseguenza, pu legittimamente essere assunto dallanima come guida lungo un percorso di ascesa spirituale per gradi30 . La concezione di un cosmo ordinato secondo una struttura gerarchica e unitaria non solo offriva una giusticazione metasica per ogni cosa, anche per il male, ma rendeva accessibile il raggiungimento di un grado di perfezione relativo attraverso la pratica di discipline intellettuali e morali31 . Ci che sembra
musica poi, nella geometria, nello studio dei moti degli astri, nelle leggi dei numeri, lordine domina cos tanto che se qualcuno ne vuole vedere la sorgente e lo stesso penetrale, o li trova l, o attraverso esse vi condotto senza alcun errore (ord. II, v, 14). 30 I. Hadot ritiene che la riessione teorica sulla strutturazione dei gradi dellistruzione liberale svolta dagli autori compresi tra Agostino e Marziano Capella non derivasse da un intento propriamente didattico, ma tracciasse piuttosto un itinerario della mente, volto al raggiungimento della verit sotto la guida razionale del numero. Per un approfondimento di questi temi si veda [66, soprattutto alle pp. 469-81. ] 31 Come F. De Capitani osserva, lidea che lanima sapesse in che modo adeguarsi allordine universale in virt di una legge custodita nella propria interiorit era di matrice plotiniana: [Le
29 Nella

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CAPITOLO 1. LGOS E ARITHMS. DUE PARADIGMI

possibile osservare, limitandosi per ora solo a un accenno, che, agli occhi del giovane Agostino, la ricerca della verit non era indipendente rispetto alla ricerca della beatitudine ma che, anzi, il possesso della prima costituiva una condizione necessaria al conseguimento della seconda. La mossa indispensabile per scardinare il rigido dualismo manicheo e salvare cos la bont della creazione consisteva essenzialmente nellidenticare lessere stesso con il bene, facendo convergere entrambi allinterno di un medesimo principio in grado di fungere da termine di mediazione tra il pensiero di Dio e lesistenza delle cose. In virt di tale principio, la creazione si istituiva come polo di un legame denito da una continuit mai interrotta, che nellatto stesso in cui conferiva lessere alla creatura stabiliva la possibilit di risalire al Creatore percorrendo la via della similitudine. Laspetto pi complesso, a questo punto, consisteva nel denire i termini e la natura di tale similitudine, la quale, presente in qualche misura in tutti gli enti creati, trovava nelluomo la sua pi compiuta espressione: Dio cre luomo a sua immagine; a immagine di Dio lo cre; maschio e femmina li cre (Genesi I, 27). Lurgenza di esprimere la presenza divina nel creato come concomitanza di essere e intelligibilit trov nel concetto di numero, cos come era stato elaborato dalla speculazione matematica e losoca greca, un efcace strumento, precocemente predisposto per essere investito del ruolo di principio ontologico. Non deve stupire, quindi, che Agostino, trovandosi a disporre di una rielaborazione cristiana dellantica idea pitagorico-platonica della creazione delluniverso secondo il numero, ne facesse largo uso. Il riferimento al ben noto versetto 11, 21 del libro della Sapienza: Tu hai tutto disposto con misura, calcolo e peso che condensava nella forza della citazione biblica temi losoci fondamentali della tradizione speculativa, assimilati nel corso della sua formazione32 . M.
anime] vivono secondo unaltra legislazione, cio secondo quella che governa tutti gli esseri, e ad essa si sottomettono interamente (Enneadi IV, iii, 15). Cfr. [31, p. 90.] 32 assai probabile che lo studio del Libro della Sapienza risalga agli anni di Milano e Cassiciaco, quando Agostino aveva iniziato a conoscere lopera di esegeti come Basilio e, naturalmente, Ambrogio, in cui il riferimento al testo biblico in questione era piuttosto frequente.

1.1. IL NUMERO E IL MODELLO RAZIONALE DEL COSMO

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Bettetini fa osservare come il Libro della Sapienza occupasse una posizione particolare tra gli altri testi della Scrittura a causa di una notevole vicinanza al pensiero ellenistico, tale, addirittura, da aver indotto alcuni a non considerarlo come un testo ispirato33 . Nonostante ci, tuttavia, Agostino aveva potuto trovare in esso un valido strumento per contrastare le tesi eretiche, con particolare riferimento a quelle che avevano cercato di negare che la creazione manifestasse un ordine impresso dalla Provvidenza divina facendo leva sullinspiegabile presenza del male. Ai componenti della triade mensura, numerus, pondus, egli aveva infatti potuto ricondurre gli elementi costitutivi della creazione, facendo emergere la struttura intelligibile di un tutto che ricomprendeva in s anche il disordine e il male, senza attribuirli a Dio. Lasciati nella creatura come impronta del Creatore, tali elementi signicavano per essa la possibilit di conformarsi alla propria essenza, stabilita in virt del rapporto di somiglianza originariamente istituito con latto della creazione e declinato in funzione del grado di partecipazione allessere: Da dove viene dunque questa correlazione (conrationalitas) - cos infatti ho preferito chiamare lanalogia (analoghan34 ) - (...) da dove, ti prego, vengono queste cose, se non dal sommo ed eterno principio dei numeri, della similitudine, delluguaglianza e dellordine? Ma se toglierai queste cose dalla terra non sar pi nulla (mus. VI, xvii, 37). Una concezione che riconosceva in Dio il principio di tutte le cose, con il quale, tuttavia, lessere proprio di queste ultime intratteneva un rapporto di natura estrinseca, dava origine al paradosso in cui lunit di misura di tutto il misurabile gurava come incommensurabile. In questo senso, nel De Genesi ad litteram35 , Agostino fa riferimento alla contemplazione della Misura senza misura, del Numero senza numero, del Peso senza peso, affermando che essa trascende le possibilit delluomo, segnandone lestremo limite. Se in Dio misura, numero e peso non sono che nomi dellunit, nelle creature essi operano
Libro della Sapienza fu composto in greco nella prima met del I sec. a.C., probabilmente da un giudeo alessandrino. Le forti assonanze con il platonismo hanno fatto ipotizzare che lautore fosse addirittura Filone di Alessandria, per quanto ci sia effettivamente poco verosimile. Tra coloro che non lo ritennero un testo ispirato vi fu Gerolamo, che, per questo, non lo incluse nella sua traduzione. La versione cui ebbe accesso Agostino era contenuta nella Vulgata sotto il nome di Itala e risaliva al II sec., ma, per quanto riguarda il passo in questione, egli si discost da essa riportando non omnia mensura, numero, pondere disposuisti, ma omnia in mensura, numero, pondere disposuisti. Cfr. M. Bettetini, op.cit. p. 128. 34 In greco nel testo di Agostino. 35 Cfr. Gn. litt. IV, iii, 8.
33 Il

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CAPITOLO 1. LGOS E ARITHMS. DUE PARADIGMI

conferendo proporzione e, con il medesimo atto, lessere stesso e il dover essere proprio di ciascuna. I tre termini della triade, infatti, o gli equivalenti36 che Agostino impiega nei suoi scritti, contengono unallusione sia allaspetto statico dellordine, sia a quello dinamico, con unevidente richiamo alla struttura trinitaria37 . In corrispondenza con questo concetto di armonia cosmica, Agostino, e altri Padri della Chiesa38 con lui, ritenevano che lanima delluomo reggesse con proporzione lordine del corpo, in un rapporto di analogia tra macrocosmo e microcosmo. Questo rapporto si rendeva particolarmente evidente nel caso della musica, che in quanto arte liberale forniva una sorta di rappresentazione dellastronomina nella dottrina dellarmonia delle sfere39 , mentre in quanto musica eseguita esibiva unefcacia che le derivava esclusivamente dalla corrispondenza tra i numeri del suono e i numeri dellanima40 . Lidea di un isomorsmo strutturale tra musica e astronomia e di una corrispondenza tra musica e psicologia, sviluppata in numerosi trattati tardo-antichi41 fu espressa in manie36 Una variante della triade mensura, numerus, pondus modus, species, ordo. Riscontro in questo senso pu essere trovato nei seguenti testi: nat. b. III, iii; VIII, viii; lib. arb. III, xxxv; civ. V, xi; XI, xxviii; Gn. litt. IV, iii, 7 (modus, species, quies). Altri termini che ricorrono negli scritti agostiniani indipendentemente dalla citazione di Sap. 11, 21, ma in rapporto di analogia concettuale sono unum, unitas, principium per mensura; aequalitas, similitudo, speciem per numerus; ordo, bonitas, caritas per pondus. Cfr. lib. arb. II, xx, 54 e mus. VI, xvii, 56. Per unanalisi approfondita delle occorrenze dei vari termini si veda M. Bettetini, op. cit. pp. 133-47. 37 Se la misura la gura dellunit, il numero lo delluguaglianza e, con ci della bellezza (species), mentre il peso esprime la tensione insita in ogni cosa ad assumere il proprio posto nellordine. Come M. Bettetini ha ipotizzato, probabile che la fondamentale equivalenza tra numerus e species o forma sia stata suggerita ad Agostino da Cicerone, il quale, nelle sue opere, impiegava il primo termine sia per indicare perfezione e qualit naturale, sia per caratterizzare il ritmo impresso al uire delle sillabe. Analogamente, nel De musica, il numero si traduce in forma attraverso il ritmo della parola pronunciata ponendosi come fondamento ontologico di questa e rinviando, con ci, al sussistere di unequivalenza tra i numeri e le idee di Dio. Cfr. [22, p. 109.] 38 Tra gli altri, Clemente Alessandrino, Origene, Gregorio di Nissa e Ambrogio. Cfr. [38, p. 7 ss.] Il seguente passo, tratto dal De hominis opicio di Gregorio di Nissa, assai eloquente in proposito: Tutto il corpo costruito alla maniera di uno strumento musicale. Come accade spesso agli esperti che sono nellimpossibilit di mostrare la <loro> conoscenza perch lo strumento fuori uso e non permette di ricevere larte (guastato dal tempo, o da una caduta, o reso inutilizzabile per qualche muffa o ruggine) e rimane senza suono e impossibile a usarsi anche se vi sof un esperto di auto, cos anche lintelligenza passando attraverso tutto lo strumento del corpo, adattandosi convenientemente alle attivit intelligibili conformemente alla sua natura, esercita la propria attivit, sulle parti che si trovano allo stato naturale, <mentre> in quelle deboli rimane inefcace il suo ricevere movimento secondo arte: infatti si rivela in ci che secondo natura e si distacca da tutto ci che se ne distacca (De hominis opicio 12, trad. it. di B. Salmona). Quanto ad Agostino, pi volte egli afferma che tra i compiti assegnati allanima per volont di Dio vi quello di prendersi cura del corpo, conservandone la salute, ovvero la conformit allordine e alla forma suoi propri. Cfr. ad esempio mus. VI, v, 12-13. 39 Cfr. [137, p. 12 ss.] 40 Per lapprofondimento di questo aspetto si rinvia al 3.1, in cui lanalisi si soffermer sulla teoria agostiniana della sensazione. 41 Tra i principali bisogna citare il De die natali di Censorino (III sec.), il Commentario al Timeo di Calcidio (IV sec.), il Commentario al Somnium Scipionis di Macrobio (V sec.) e il De nuptiis Mercurii

1.1. IL NUMERO E IL MODELLO RAZIONALE DEL COSMO

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ra sistematica nel De institutione musica di Boezio42 , in cui la tripartizione della disciplina in musica mundana, musica humana e musica instrumentalis esplicitava il legame che unisce il cosmo e lanima mediante la musica: Tre sono le parti della musica nelle quali si manifesta la potenza della musica (tres esse musicas, in quo de vi musicae). La prima appunto la musica del mondo, la seconda quella pertinente alluomo, e la terza quella che si realizza al suono di strumenti, come cetre, tibie ed altri, posti al servizio del canto. Vediamo dapprima quella che la musica del mondo: essa deve essere colta soprattutto in quei fenomeni che si osservano nel cielo stesso, nellinsieme degli elementi o nella variet delle stagioni. Come possibile che la cos veloce macchina del cielo si muova con tacito e silenzioso corso? Sebbene non giunga al nostro udito quel suono, ci che necessariamente deve dipendere da molte cause, non potr tuttavia un movimento cos veloce di corpi tanto grandi non eccitare suono alcuno quando si tenga conto che i corsi degli astri, in modo particolare, sono tra loro connessi con tale armonia che nulla si possa intendere ugualmente organizzato, nulla che sia allo stesso modo intimamente ordinato. (...) E come nelle corde gravi c un termine del suono, in modo che la gravit non giunga no al silenzio, e nelle acute c pure un limite di altezza, in modo che le corde troppo tese per lesiguit del suono non si rompano, conformandosi tutto secondo convenienza, cos anche nella musica del mondo riconosciamo che nessun elemento pu essere cos smodato da annichilire laltro in virt della propria eccessiva potenza. (...) La musica umana, poi, la percepisce chiunque discenda in se stesso (quisquis in seseipsum descendit). Che cosa infatti che associa al corpo quella incorporea vivacit del pensiero se non una certa combinazione, un equilibrato rapporto tra voci gravi e acute a realizzare una consonanza? Che altro c che congiunge tra loro le parti di una stessa anima, la quale, come vuole Aristotele, formata da razionale e irrazionale? E che cosa che mischia gli elementi del corpo o che congiunge le sue parti con valido adattamento? Anche di questo discuter pi avanti. Terza la musica che si dice strumentale. Questa si realizza per effetto di tensione, come negli strumenti a corde, o per mezzo dellaria, come nelle tibie, o in quelli che sfruttano il movimento dellacqua, o per mezzo di una percussione, come in quelli che, strutturati a forma di cavit bronzee, vengono colpiti: ne derivano suoni diversi (De instutione musica I, 2). Lordine totalizzante imposto da Dio si istituisce, a qualunque livello, come
et Philologiae di Marziano Capella (V sec.). 42 La tripartizione della musica non era una tesi originale di Boezio, ma rinviava a una tradizione cosmologica arcaica, custode di un sapere costruito sul principio secondo cui a ogni realt nel mondo sico ne corrisponde una nel mondo intermedio, a sua volta ombra di un archetipo. Corollario di questa tesi era la determinazione delle due musiche inferiori come eco e imitazione della prima, di origine divina. Cfr. [81, p. 186 ss.]

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CAPITOLO 1. LGOS E ARITHMS. DUE PARADIGMI

unico fondamento per qualsiasi disciplina, sia appartenente allordo vitae, ovvero allinsieme dei precetti etici, civili e religiosi stabiliti dallauctoritas, sia appartenente allordo eruditionis, traccia del percorso conoscitivo43 guidato dalla ratio. Questultimo, disegnato dalla stessa ragione impegnata nella riessione sulla natura del razionale44 , include pertanto il contributo dei sensi, sebbene limitatamente alla vista e alludito, gli unici due in grado di cogliere la potenza della ratio45 . La razionalit colta attraverso la mediazione estetica, nello specico, oggetto delle discipline in delectando e si colloca, secondo unideale tripartizione46 , accanto a quella propria delle azioni (in factis ad aliquem nem relatis) e a quella propria dellapprendimento (in discendo) che, rispettivamente, esauriscono lambito etico dellordo vitae e quello teoretico dellordo eruditionis. Un aspetto particolarmente signicativo, nel contesto del presente studio, riguarda la differenziazione dellammonimento agostiniano secondo i tre ambiti citati e che, tralasciando quello etico che non interessa in questa sede, collega il recte docere alle arti del Trivio e il beate contemplari alle arti del quadrivio47 . Nel nesso tra il numerus e la delectatio si radica, in ultima istanza, lorigine della forza psicagogica della forma del linguaggio che ludito, unico tra tutti i sensi, in grado di testimoniare. Se vero, infatti, che esso non pu partecipare dellarmonia manifestata dallaritmentica, dalla geometria e dallastronomia, vero per che la musica, come si esprime G. Stabile48 , ad omnia se extendit, in quanto trova fondamento nelle prime due ed isomorfa alla terza, come si visto. Ludito, in aggiunta, in quanto correlato della voce, lunico senso coinvolto nelle discipline del trivio e, in virt di ci, sostiene e testimonia la continuit del passaggio della ragione dalle arti del linguaggio a quelle del numero.
43 La ricomprensione dellattivit conoscitiva nel disegno onnicomprensivo divino si riette sulla determinazione dei suoi ni, totalmente altri rispetto a quello della conoscenza ne a se stessa: Guai a coloro che abbandonano la tua guida e vagano sulle tue tracce, che amano i tuoi cenni anzich te (...). Anche lartista (artifex), infatti, in qualche modo accenna allo spettatore della sua opera, proprio grazie alla bellezza dellopera, di non arrestarsi tutto l, ma di scorrere con gli occhi la bella forma del corpo fabbricato in modo tale da correre con il sentimento (affectu) a colui che lha fabbricato. Coloro che amano le cose che fai anzich te sono invece simili agli uomini che, quando ascoltano qualche facondo sapiente, mentre ascoltano troppo avidamente la soavit della sua voce e la costruzione delle sillabe minuziosamente disposte (suavitatem vocis eius et structuras syllabarum apte locatarum), perdono il primato dei pensieri (sententiarum principatum), dei quali quelle parole sono risuonate come segni (lib. arb. II, xvi, 43). 44 Cfr. 2.2. 45 Sulla presenza di una componente razionale in questi due sensi a differenza degli altri si veda il 3.1. 46 Cfr. ord. II, xiv, 34. 47 Cfr. C. Panti, op. cit. p. 24. 48 Cfr. op. cit. p.12.

1.2. LA PAROLA E LESPRESSIVIT IMMEDIATA DEL FONEMA

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Come risulta dalla sua denizione in termini di modulari scientia, la musica, pi delle altre discipline, dispiega tutta la portata della nozione di modus, esplicitandola nelle sue declinazioni etiche, teoretiche ed estetiche. Fissata sui due cardini del numero e del tempo, essa ottiene di congiungere la dimensione immutabile dellordine razionale del cosmo, colto nella sua statica disposizione di rapporti aritmetici e geometrici, con quella di unordine dinamico, che se da una parte vede il controllo matematico e razionale del tempo, specchio della regolarit del movimento dei corpi celesti, dallaltra richiama la dimensione esistenziale dellanima immersa nel divenire, costretta a vivere e a conoscere le cose in ordine di successione, costantemente esposta al rischio di disperdersi nel succedersi atomizzato degli eventi e delle sensazioni. Tutto lessere razionale, per Agostino, assieme al suo divenire, e in tale divenire incluso anche lo svolgimento del tempo storico e del tempo psicologico, che si intrecciano variamente appressandosi verso una ne. Inaugurato dal Verbum, attraverso cui tutte le cose sono state create, il tempo delluomo si snoda componendo una sorta di poema49 , un cantico razionale, un Lgos identicabile come esplicitazione sensibile di un Arithms puramente intelligibile. La composizione di questo dualismo, dunque, ci che la musica incarna in quanto disciplina partecipe del senso e dellintelletto (ord. II, xiv, 41).

1.2 La parola e lespressivit immediata del fonema


La consapevolezza della profonda inuenza che laspetto sensibile del segno linguistico era in grado di esercitare sullascoltatore, intervenendo sullefcacia della ricezione, emerse assai precocemente, anche se fu necessario parecchio tempo prima che essa potesse divenire oggetto di uno studio sistematico vero e proprio. Uno dei primi testi che, sebbene lontano dal proporsi nalit pratiche, si concentr sullespressivit immediata dei suoni fu, come noto, il Cratilo di Platone. opinione diffusa, tra gli studiosi, che la funzione espressiva del suono delle lettere sia stata teorizzata proprio in questo dialogo, in cui, pur riutandola, Platone delinea una vera e propria teoria dellespressivit fonica delle parole, di unespressivit, cio, che a prescindere dalla mediazione opera49 A

questo proposito si veda [74, .]

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CAPITOLO 1. LGOS E ARITHMS. DUE PARADIGMI

ta dal signicato si esercita immediatamente in virt della struttura fonica del signicante50 . Di forte ispirazione platonica, Filone di Alessandria era stato il primo a mettere a punto un metodo esegetico allegorico, il cui presupposto dottrinale fondamentale era la caratterizzazione della creazione come opera del Lgos, luogo delle idee divine, traccia della quale era rimasta nei nomi delle cose, posti da Dio per consentire alluomo di coglierne la natura. La tesi loniana sui nomi delle cose ebbe largo seguito presso i Padri della Chiesa, ai quali giunse arricchita dal contributo portato dalla losoa stoica. Una gura signicativa in questo senso fu Origene, il quale prese parte alla questione sulla natura dei nomi mostrando di essere consapevole dellesistenza di due partiti avversi, luno di matrice aristotelica, propenso ad attribuirne lorigine alla convenzione, laltro, di matrice stoica, incline a ricondurla invece alla natura, che riconosceva nei nomi lesito dei primi tentativi di imitare le cose con la voce51 . Alla luce di questo dato, la prima elaborazione sistematica di una teoria dellonomatopea sembra attribuibile agli stoici, la cui tesi portante, in ambito linguistico, era che laspetto esteriore del signicante manifesta uno stretto legame con lessenza della cosa signicata, della quale il nome costituisce una vera e propria imitazione. Lattenzione degli stoici per i meccanismi della ricezione appare motivata nel contesto dellampliamento dellambito della logica che, oltre allanalitica, veniva a includere anche la psicologia. A monte di tale inclusione, che conferi50 Nel dialogo, Socrate avanza lipotesi che il nome si costituisca come imitazione della cosa e che, di conseguenza, la sua funzione, lungi dallarrestarsi allindicazione del referente, consista nellimitarne lessenza. Tuttavia, poich vogliamo esprimerci con la voce, con la lingua e con la bocca, non otterremo lindicazione di ciascuna cosa, che avviene grazie a questi mezzi, quando attraverso di essi si realizza unimitazione di una cosa qualsiasi? - Mi pare necessario. - Allora, il nome , a quanto pare, unimitazione per mezzo della voce di ci che viene imitato, e colui che imita denomina per mezzo della voce ci che imita. - Mi sembra. - Per Zeus, invece a me non sembra proprio che sia detto bene, caro amico. (...) Non mi pare. Ma allora, Socrate, che imitazione sarebbe il nome? - In primo luogo, per quel che mi sembra, non dovr essere come quando imitiamo le cose con la musica, bench anche in questo caso le imitiamo con la voce; inoltre non mi pare che denominiamo nemmeno quando imitiamo anche noi ci che la musica imita. Intendo dire questo: ciascuna cosa ha suono e gura, e molte hanno anche colore? - Senzaltro. - Sembra, quindi, che non si eserciti larte onomastica quando si imitano queste propriet, e nemmeno con queste imitazioni: in questo caso, infatti, si tratta della musica e della pittura. Non ti pare? - S. - E riguardo a questo? Non ti sembra che ciascuna cosa abbia unessenza, come ha anche colore e ci di cui abbiamo appena parlato? E, innanzitutto, il colore stesso e la voce non hanno ciascuno unessenza, e cos tutte le altre cose, che vengono considerate meritevoli della denominazione dellessere? - Mi sembra proprio. - Ebbene, se si riuscisse a imitare di ciascun oggetto proprio questo, ossia lessenza, mediante lettere e sillabe, non si mostrerebbe forse quello che ciascuna cosa ? Oppure no? - Senza dubbio (Cratilo 423 b - 424 a). 51 Cfr. Origene, Contra Celsum I, 24.

1.2. LA PAROLA E LESPRESSIVIT IMMEDIATA DEL FONEMA

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va centralit al soggetto, agiva una rivalutazione della sensazione come fonte primaria di conoscenza, che si riverberava anche sulle elaborazioni successive a questa, come la rappresentazione sensibile (phantasai aisthetika ). La convinzione che i prodotti di questattivit possedessero i requisiti di una copia fedele rispetto alloriginale, loggetto che aveva originato la sensazione, costituiva la condizione necessaria alla giusiticazione di una teoria dellonomatopea e, pi in generale, dellidea che laspetto fonico dei nomi fosse in grado di signicare direttamente aspetti della natura. In questo contesto merita di essere posto in luce un trattatello incompiuto, il De dialectica, opera di un autore che dichiara di chiamarsi Augustinus e che molti studiosi, oggi, ritendono verosimile identicare con Agostino. Questo scritto rappresenta una delle principali testimonianze sulla teoria stoica delletimologia, anche se, con tutta probabilit, essa vi compare ricostruita non sulla base di fonti originali, ma piuttosto tramite Cicerone e Varrone. Come W. Belardi52 ha sottolinato, attraverso questultimo Agostino aveva forse risentito in qualche misura della teoria platonica del Cratilo, ma, assieme agli stoici, se ne era discostato signicativamente. Laspetto interessato da questa divergenza riguarda il valore riconosciuto al suono (phon) allinterno della dinamica di formazione dei nomi primi (prota onmata), che nel dialogo platonico appare esclusa. Se vero, infatti, che la tesi della corrispondenza naturale tra parole e cose si basa sul presupposto dellindividuabilit di tali elementi primi, dotati di senso e non ulteriormente scomponibili53 , vero anche che Socrate, prima di iniziare a discutere della valutazione del corretto impiego delle singole lettere nella composizione dei nomi primi, avverte del carattere eminentemente congetturale degli esiti di una simile ricerca, giudicati a priori come azzardati e ridicoli. (426 b). Nel De dialectica, la possibilit di risalire alla qualit della cosa a partire dal suono del nome non esclusa, anche se un certo intento polemico nei confronti dello stoicismo interviene a ridimensionare fortemente la valutazione dellutilit di condurre concretamente una ricerca sullorigine di ogni parola. L dove gli stoici ritenevano che tale ricerca terminasse sempre in una spiegazione sicu[16, p. 269.] esempi di prota onmata forniti da Platone sono i seguenti: ion, ci che va, rheon, ci che uisce, doun, ci che lega. Cfr. Cratilo 424 a.
53 Gli 52 Cfr.

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CAPITOLO 1. LGOS E ARITHMS. DUE PARADIGMI

ra, qualora fosse spinta sino al punto in cui la cosa concordi con il suono della parola per qualche somiglianza54 (ut res cum sono verbi aliqua similitudine concinat), Agostino giudicava che la maggior parte delle volte essa si trasformava in unimpresa senza ne, troppo minuziosa e non troppo necessaria. A parte questa valutazione di carattere pratico, tuttavia, Agostino dimostrava di essere in sostanziale accordo con la tesi che rintracciava lorigine della parola nel rapporto di somiglianza tra le cose e i suoni e che in tale rapporto riconosceva il limite ultimo della ricerca etimologica55 . Un maggior grado di sintonia tra la visione agostiniana e quella stoica pu essere rilevato, invece, nella valutazione della forza (vis) che la parola in grado di esercitare. Il contributo forse pi signicativo dello stoicismo era stato quello di svincolare la denizione di onomatopea dallidea che il suono del nome dovesse imitare il suono della cosa, il che escludeva a priori la considerazione di rapporti di somiglianza a livello delle altre sensazioni56 . Riconoscendo la possibilit di esprimere somiglianze basate sul tatto, il gusto, lolfatto o la vista, gli stoici avevano fatto emergere un dato fondamentale, cui era da ricondurre lorigine stessa della forza della parola, ovvero la capacit di sostituirsi al reale nella produzione di stimoli. Tale dato, concisamente espresso da Agostino, consisteva nel riconoscimento del fatto che le parole sono percepite cos come le cose stesse ci impressionano (ita res ipsae afciunt, ut verba sentiuntur), cos che, ad esempio, possibile individuare unanalogia di sensazioni tra la dolcezza che il miele fa percepire al gusto e quella che il suono di miele fa percepire alludito. Questo accordo tra le sensazioni delle cose e le sensazioni dei suoni, quasi cunabula verborum, comportava, almeno in potenza, la possibilit di indurre reazioni anche in assenza delloggetto signicato dal nome, estromettendo, almeno temporaneamente, la realt dal fenomeno dalla comunicazione linguistica. In questo modo, leffetto della parola si caratterizzava come il potere di agire un cambiamento su chi si trovava a recepirla, al punto
54 (...) Come quando diciamo tintinnio del bronzo, nitrito dei cavalli, belato delle pecore, squillo di trombe, stridore di catene. Vedi infatti che queste parole hanno lo stesso suono delle cose che dalle parole sono signicate (haec verba ita sonare ut ipsae res quae his verbis signicantur). 55 Noi possiamo inseguire questa origine non oltre la somiglianza del suono, ma non lo possiamo neanche tutte le volte. Ci sono infatti innumerevoli parole delle quali unorigine di cui si possa rendere ragione o non c, come io penso, o nascosta, come sostengono gli stoici. 56 Per la presenza di un presupposto analogo nella teoria aristotelica della mimesi si rinvia alla discussione svolta in 3.3.2.

1.2. LA PAROLA E LESPRESSIVIT IMMEDIATA DEL FONEMA

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da far dipendere da questo la valutazione della sua forza: La forza di una parola ci tramite cui si viene a conoscere quanto vale, e vale tanto quanto pu stimolare (movere) chi ascolta. Stimola chi ascolta per se stessa o per ci che signica oppure per entrambi. Agostino valuta con cura minuziosa i tre possibili modi in cui la parola pu esercitare la sua forza sullascoltatore, soffermandosi inizialmente sui primi due, da cui di fatto il terzo dipende. La sua analisi segue in maniera rigorosa il metodo dialettico ed egli procede pertanto per suddivisioni successive, distinguendo in primo luogo ci che nei vari casi oggetto della stimolazione. Il caso in cui la parola stimola non secondo se stessa, ma in virt del suo signicato poco interessante poich il suo effetto consiste semplicemente nellindurre la concentrazione della mente sulloggetto cui essa si riferisce. Pi articolato , invece, il caso in cui la forza della parola si esercita tramite la sua veste sensibile, la quale pu essere di pertinenza del senso, dellarte o di entrambi. La natura e la consuetudine specicano i modi di affezione del senso, la prima in forza della qualit puramente sonora della parola57 , la seconda in virt di associazioni precedemente istituite58 . Per quanto riguarda la stimolazione secondo larte, invece, Agostino spiega che essa si verica quando chi ascolta portato ad applicare ci che ha appreso dallo studio delle discipline della parola, ad esempio la classicazione delle parti del discorso. Abbandonando il piano di considerazione teorico, tuttavia, Agostino riconosce che, quando si giudica concretamente una parola, sia il senso sia larte sono coinvolti: Ma, in verit, si giudica della parola secondo entrambi, ossia secondo il senso e secondo larte, quando la ragione classica ci che misurato dalludito e di conseguenza viene imposto il nome, come quando si dice ottimo: appena la sillaba lunga e le due brevi di questo nome hanno colpito ludito, la mente riconosce subito, in base allarte, un piede dattilo. Il terzo modo in cui la parola pu esercitare la sua forza su chi ascolta riunisce entrambi quelli considerati, coinvolgendo quindi sia la parola in quanto tale, sia il suo signicato. Agostino si sofferma a valutare come la forma della parola possa inuire sulleffetto complessivo, accentuando o mitigando il tono
57 Agostino si serve dei due nomi Artaserse e Eurialo per dare lesempio, rispettivamente, di una parola che urta ludito a causa dellasprezza dei suoni e di una che, invece, lo accarezza. 58 In questo caso, lesempio riguarda i nomi Cotta e Motta, il primo dei quali era un noto cognome della gens Aurelia, mentre il secondo non era collegato a nulla.

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CAPITOLO 1. LGOS E ARITHMS. DUE PARADIGMI

di ci che viene enunciato in modo analogo, secondo metafora, alleffetto pi o meno urtante che una mereterice provocherebbe a seconda che fosse abbigliata in modo abituale oppure in occasione di una comparizione in tribunale. Dalla consapevolezza di questa potentissima sinergia, Agostino deriva la necessit di distinguere due livelli di considerazione del fenomeno del dire, uno relativo allesposizione della verit (partim propter explicandam veritatem), laltro alla salvaguardia delleleganza (partim propter conservandum decorem), determinando cos due corrispondenti ambiti di pertinenza, quello della dialettica e quello della retorica. Nel contesto di questultimo, il momento ricettivo-interpretativo assume unimportanza fondamentale, addirittura superiore a quella attribuita alla funzione denitoria del linguaggio, la trasmissione di conoscenza59 . Il potere espressivo della forma fonica delle parole, capace di riettere sullanimo la corrispondente forma delle cose, non si limitava ad essere oggetto della retorica, ma riguardava anche larte poetica. Non a caso, il legame tra questi due ambiti avrebbe iniziato a prolarsi assai precocemente, come si avr modo di approfondire60 . Leccedenza espressiva della parola poetica aggiungeva alla validit del signicato, comunicato secondo la modalit spersonalizzata del discorso apofantico, la forza del signicante nella sua capacit di coinvolgere il mondo delle esperienze sensibili dellindividuo. Questa forza, sfruttata dalla retorica per persuadere e dalla poetica per dilettare, non si differenziava nei due ambiti da un punto di vista qualitativo, ma solo in termini di strutturazione, in unottica di progressiva astrazione dal contenuto. Parola eloquente, parola poetica e, inne, parola cantata: veicolo efcace nel primo caso, il suono si prestava allintento evocativo nel secondo, per manifestarsi, nel terzo, in tutta la sua potenza mimetica e nellimmediatezza della sua azione psicagogica. Scomposto nelle sue due componenti fondamentali, la melodia e il ritmo, il suono nella sua materialit ritornava ad essere argomento di una disciplina, non pi sottoposto allautorit della tradizione, come accadeva con la gramma59 Secondo te, che cosa vogliamo ottenere parlando? - Per quel che ora mi viene in mente, insegnare o imparare. - Sono daccordo su uno dei due e mi appare evidente, perch evidente che parlando intendiamo insegnare; ma imparare, come? - E come credi, se non interrogando? Ma, anche in questo caso vedo solo che intendiamo insegnare. Perch tu, ti domando, interroghi per un altro motivo, che non sia insegnare a colui che interroghi? - Dici il vero. - Vedi dunque che con il linguaggio non desideriamo altro che insegnare (mag. I, i, 1). 60 Cfr. 4.1.

1.2. LA PAROLA E LESPRESSIVIT IMMEDIATA DEL FONEMA

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tica, ma al solo giudizio razionale. Svincolata dallambito applicativo e attuata per mezzo del metodo razionale sintetizzato nel concetto di numero, lanalisi del suono come fenomeno in s e non pi in funzione di altro avrebbe portato alla costituzione di una conoscenza, la musica, che non recava pi memoria della propria origine linguistica. Questa, tralasciata in sede teorica alla stregua di un evento accidentale, riemergeva per prepotentemente ogniqualvolta il silenzio dellattivit astraente veniva infranto dalla modulazione armoniosa dei suoni e la loro potenza espressiva tornava a esercitare i suoi ingovernabili effetti. Il moto di riuto provocato da questi, in forza del quale la relazione terminologica tra ars musica e musica practica sembrava qualicabile pi in termini di omonimia che di sinonimia, non poteva per annullare il dato dellessenza linguistica della musica, non incompatibile con la sua spiegabilit matematica. Lespunzione della dimensione esecutiva della musica dallordo disciplinarum non deve dunque essere attribuita solo al carattere meccanico richiesto dalla pratica musicale, ma anche alla potenziale interferenza con la sfera del signicato esercitabile dalla tirannica potenza del suono, traccia della sotterranea parentela tra musica e la retorica. Questa, almeno, lipotesi che il presente lavoro si propone di vericare.

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CAPITOLO 1. LGOS E ARITHMS. DUE PARADIGMI

Capitolo 2

Linguaggio e arti liberali


2.1 Scientia, ars, peritia

I tre ambiti di signicato dischiusi dai termini scientia, ars e peritia deniscono i modi in cui il soggetto pu disporsi nei confronti della realt, vale a dire, rispettivamente, la razionalizzazione del dato, la messa a punto di un modello e lapplicazione di questultimo, che disciplina lintervento sul dato stesso. Queste tre dimensioni determinano altrettanti tipi di attivit dellanima che, secondo la classicazione originarimente stabilita da Aristotele, si possono identicare con lepistme, le arti poietiche e le arti meccaniche. Comprese tra i due estremi della conoscenza razionale, perfettamente stabile, e dellabilit manuale, esercitabile anche a prescindere dal ragionamento, le arti poietiche sono annoverate tra le virt dianoetiche, assieme alla phrnesis. Ci che esse individuano, infatti, una forma di razionalit calcolante alternativa a quella che presiede la sfera dellagire pratico (to praktn), la quale si applica a ci che pu essere prodotto (to poietn) e che, pertanto, non ha valore in s, quanto in relazione al suo risultato. Aristotele, nel sesto libro dellEtica Nicomachea, denisce larte come abito produttivo accompagnato da lgos vero (hexis met logou alethos poietik) (1140 a) e la caratterizza nei seguenti termini: Larte concerne il venire allessere ed il progettare (to technzein), cio lo studiare (theorin) in quale modo venga allessere qualcuna delle cose che possono essere e non essere, ma di quelle il cui principio sia in colui che produce e non

42 nel prodotto1 .

CAPITOLO 2. LINGUAGGIO E ARTI LIBERALI

Laspetto che si impone con maggiore evidenza, e che non invece presente nella moderna concezione di arte, quello della separabilit tra momento teorico e momento pratico che, combinato con lindubbia preminenza del primo rispetto al secondo, la individua innanzitutto come una forma sapere. Il fatto che loggetto dellarte sia luniversale, riferito alla natura del nesso scoperto tra una certa causa e un certo effetto2 , determina altres la sua afnit con quello scientico, alla luce della quale appare chiarito anche il signicato di lgos vero. Sebbene prodotta dallesperienza, larte si distingue nettamente da essa in quanto il suo rapporto con lindividuo, il suo prodotto, , di fatto, accidentale: solo la forma, infatti, che esiste indipendentemente dalla materia nel modo della rappresentazione, riguarda propriamente loperare dellartista ed esso si dispiega dunque liberamente, con lunico vincolo delladerenza al lgos vero. In questa prospettiva, larte si congura come vera e propria scienza poietica, ovvero, assieme alle scienze teoretiche e a quelle pratiche, come una delle capacit accompagnate da ragionamento (dynmeis met logou) (Met. 1046b). Nei primi dialoghi di Platone la tecnica assunta addirittura come modello epistemologico. Essa esemplica, infatti, un sapere ben denito nel suo ambito di competenza, che determina il ruolo sociale di chi la esercita e che contribuisce, per questo, a comporre lassetto sociale. Questa concezione chiaramente esposta nel Protagora, dove viene narrato il mito relativo alla creazione dellordine tramite la distribuzione delle dynmeis agli animali irrazionali e, per iniziativa di Prometeo, della sapienza tecnica (tn ntechnon sopha) al genere umano rimasto aksmeton. Sebbene insufciente a garantire la giustizia nei rapporti sociali, la tecnica concretizza per Platone il modello del sapere competente e utile, scienticamente fondato e, pertanto, funzionale al mantenimento dellordine. In stridente contrasto con questa visione, la tecnica retorica, nel modo in cui era stata intesa da Gorgia3 , presupponeva limpossibilit di praticare il discorso su basi oggettive e razionali e, pertanto, non poteva in alcun modo risultare denita come una funzione dellordine. La sua massima efcacia, rivolta non
1 Questultima precisazione serve a distinguere gli oggetti articiali da quelli naturali, i quali sono anchessi di carattere accidentale, ma si sviluppano per opera di un principio generatore interno. 2 Larte si genera quando, da molte osservazioni di esperienza, si forma un giudizio generale e unico riferibile a tutti i casi simili (Metasica 981 a). 3 Cfr. 4.1.1.

2.1. SCIENTIA, ARS, PERITIA

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alla trasmissione di informazioni, ma alla produzione di credenze (pstis), era infatti favorita nel caso in cui luditorio fosse stato composto da persone ignoranti ed emotive le quali, se per ipotesi fossero state a loro volta in possesso della medesima abilit, non avrebbero potuto ottenere altro che laggravarsi dello stato di disordine4 . Il legame tra arte e ordine risulta stabilito innanzitutto sul piano etimologico, manifestandosi nella presenza della radice indoeuropea ar che veicola il signicato di ordinare. Il concetto di arte, dunque, originariamente connesso a quello di atto ordinatore, da intendersi in senso ampio come atto diretto a imporre unorganizzazione alla materia secondo un certo progetto. Proprio in questo senso, del resto, Aristotele aveva affermato che tutte le arti (tchnai) e le scienze poietiche (poietika epist emai) sono potenze (dynmeis): esse sono, insomma, principi di mutamento in altro o nella cosa stessa in quanto altra (archa gr metabletika eisin en llo h e llo) (Metasica 1046 b). Abbandonando lambito della speculazione greca per quello del Cristianesimo, si pu osservare che anche Agostino mantiene, oltre al concetto di sapienza tecnica come conoscenza scientica delle cause, la caratterizzazione dellarte come attivit ordinatrice: Con molti elementi sparsi in disordine e poi riuniti in una forma, costruisco una casa. (...) E se la ragione consiste nelle misure ben pensate (ratis), forse che anche ci che costruiscono gli uccelli misurato in modo meno adatto e congruente? Anzi precisissimo (numerosissimum). Quindi non valgo di pi perch faccio cose secondo i numeri, ma perch conosco i numeri (ord. II, xix, 49). Rispetto allarchetipo di ogni atto artistico, ovvero latto creatore di Dio che imprime alla materia informe lordine mediante il numero, latto produttivo delluomo sembra assumere il valore di una replica, di una sorta di imitazione che si mantiene, tuttavia, vincolata da un lato alla preesistenza della materia e,
4 Un presupposto analogo stato sostenuto anche da Isocrate, che affermava linesistenza di unepistme in grado di orientare la prassi e, di conseguenza, lutilit della retorica al ne di determinare le dxai relative a valori sociali e politici. Un ideale di cultura per certi versi assimilabile a questo era quello che Cicerone, nel De oratore, attribuisce a Crasso, il quale colloca la gura delloratore al centro del sistema delle discipline. La retorica viene investita, in questottica, di una funzione connettiva, in grado, cio, di recuperare lunit perduta con la specializzazione. Il sistema di conoscenze delloratore ideale risulta organizzato secondo una gerarchia che vede il primato delle attivit e dei saperi nalizzati alla prassi politica, nellambito dei quali leloquenza, in quanto arte della persuasione e del dominio, esercita unindiscussa egemonia.

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dallaltra, a un canone ineludibile: E gli artisti umani hanno nella loro arte i numeri di tutte le forme corporee, ai quali adattano le loro opere, e nel fabbricare continuano a muovere le mani e gli strumenti no a quando quel che viene formato al di fuori, ricondotto alla luce dei numeri che sta dentro, per quanto possibile, non raggiunga la perfezione e non piaccia, attraverso la mediazione del senso, al giudice interiore che contempla i numeri superni (lib. arb. II, xvi, 42). Emerge con chiarezza, dalle parole di Agostino, una caratterizzazione eterogenea della nozione di arte che, alla componente operativa, afanca quella, determinante, della conoscenza teorica. Questa duplicit si rende manifesta nella denizione stessa delle singole discipline che, rubricate sotto il genere della scientia, sono specicate non in relazione a un oggetto, ma a unattivit vincolata da un preciso corpo di regole, il cui possesso individua una peritia. Nel caso delle due discipline considerate nel presente studio, tale denizione identica, come gi osservato, la retorica come scientia bene dicendi5 e la musica come scientia bene modulandi6 , ovvero, rispettivamente, scienza del parlare bene e scienza del modulare bene. Il riferimento alla regola e, in ultima analisi, al numero, evidente nel verbo modulari; come se ci non bastasse, Agostino si premura di esplicitarlo ricordandone la derivazione da modus e aggiungendo che la misura (modus) si deve osservare in tutto ci che ben fatto. Oggetto esclusivo della musica7 , la modulazione (modulatio) denita come abilit8 nel muovere (movendi quaedam peritia), ma nonostante questo riferimento alla dimensione operativa, Agostino esclude perentoriamente che il
Quintiliano, Institutione oratoria III, i, 15. mus. I, ii, 2. Questa denizione non originale di Agostino, ma risale probabilmente a Varrone. Cfr. [112, p. 23 ss.] 7 Non privo di interesse far notare la spontaneit con cui Agostino accosta abilit musicale e abilit retorica per spiegare come il possesso di una peritia sia contraddistinto dalla consapevole applicazione della regola: Non ti deve preoccupare ci che abbiamo detto prima: in ogni azione, e non solo nella musica, deve essere conservato il modus, e per proprio nella musica si parla di modulazione. A meno che tu forse ignori che il discorso si attribuisce propriamente alloratore. - Non lo ignoro, ma perch lo dici? - Perch anche il tuo schiavo, per quanto rozzo e villano, discorre di qualcosa quando risponde, anche con una sola parola, a una tua domanda: lo ammetti? - Lo ammetto. - Allora anche lui un oratore? - No. - Dunque nel discorrere di qualcosa non ha utilizzato un discorso, sebbene noi riconosciamo che discorso (dictio) deriva da discorrere (dicere). - Te lo concedo, ma cerca di spiegarmi con che cosa abbia a che fare anche questo elemento. - Col fatto che anche tu capisca che la modulazione di competenza della sola musica, sebbene la misura, da cui deriva la parola, si possa trovare anche da altre parti: allo stesso modo il discorso si attribuisce propriamente agli oratori, nonostante chiunque parli discorra di qualcosa e il discorso prenda il nome dal discorrere. - Ora capisco (mus. I, ii, 2). 8 Il corsivo mio.
6 Cfr. 5 Cfr.

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suo legittimo canale di apprendimento sia limitazione, alla maniera di mimi e cantori. Ci che certica il possesso della sapienza tecnica non si manifesta, infatti, nel risultato, ma riguarda latto produttivo stesso: se il canto degli uccelli segue le leggi dei numeri in modo non dissimile da quello dei cantori guidati dalla sensibilit (qui sensu quodam ducti bene canunt), lesercizio della musica in quanto disciplina liberale richiede come condizione la conoscenza razionale di tali leggi, la quale congura lapprendimento non come addestramento meccanico, ma come esplicitazione di un sapere gi presente nellanimo. Per questo motivo, la forma di apprendimento propria del corpo, limitazione, risulta incompatibile agli occhi di Agostino con il carattere scientico dellarte liberale, senza che ci, tuttavia, contrasti con laffermazione che la musica possiede una natura mimetica, ovvero che sia capace di sostituirsi al reale con esiti di efcacia paragonabile. Si pu osservare, di passaggio, che il termine usato da Agostino per indicare il processo di invenzione artistica machinari, il quale richiama lattivit di rielaborazione tipica dellimmaginazione, una sorta di articiosa manipolazione a partire dalle forme sensibili impresse dal reale che, come si vedr in seguito9 , intrattiene un legame essenziale con limitazione: Che c dunque in noi che, a proposito di tutte queste cose, ci consente di giudicare a quali forme mirino e no a che punto le realizzino e che, negli edici e nelle altre opere materiali, ci permette di inventarne innumerevoli, come se fossimo i signori di tutte le forme? (tamquam domini omnium talium gurarum, innumerabilia machinamur) (vera rel. 43, 80). Lapprendimento mediante imitazione accomuna, come si accennava sopra, lesercizio delle arti meccaniche al comportamento animale e, anche per questo, la funzione pure imprescindibile che esso ricopre nelleducazione umana, evidente, ad esempio, nel caso dellacquisizione dellabilit linguistica, era stata da sempre giudicata estranea allambito del sapere razionale10 . Una conseguenza di questo atteggiamento era che tutto ci che in tale maniera veniva
3.3. generale, in tutta la riessione antica e tardo-antica serpeggia unacuta difdenza nei confronti dellapprofondimento specialistico, identicato come vero e proprio discrimine tra educazione liberale e attivit professionale. Se nel caso della musica questo aspetto appare sommamente evidente poich il musico era considerato alla stregua di un qualunque servitore, nel caso della retorica la tendenza alla svalutazione era un rischio costantemente incombente e, pertanto, accuratamente prevenuto.
10 In 9 Cfr.

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appreso, dal pi elementare schema comportamentale allazione pi articolata, poteva al massimo stabilire uno habitus, in quanto interamente dipendente dallistinto, ma in nessun caso istituire una scientia, e ci a prescindere dalla sua effettiva conformit a un criterio razionale11 : Rispondi dunque: ti sembra che lusignolo moduli bene la voce in primavera? Quel canto segue le leggi dei numeri, molto dolce (numerosus est et suavissimus) e, se non sbaglio, adatto alla stagione. - Mi pare chiaro. - Forse lusignolo esperto in questa disciplina liberale? - No. - Vedi dunque che il nome di scienza necessario alla denizione (I, iv, 5). Con largomentazione svolta nel primo libro del De musica Agostino assume una posizione autonoma nellambito della tradizione di pensiero che, con Platone, Aristotele12 e Plotino, si era espressa manifestando punti di vista differenti, quando non addirittura opposti, sebbene concordi nel riconoscere nellimitazione una componente identicante dellarte. Laspetto pi eclatante della riessione agostiniana consiste precisamente nel riuto di questa convinzione di fondo, in sostituzione della quale si impone con forza listanza della completa riconduzione del concetto di arte a quello di scientia. Alcuni passi sono assai eloquenti in proposito: Tutti coloro che seguono i sensi e afdano alla memoria i piaceri che ne derivano e in base a questi muovono il corpo, vi aggiungono una certa efcacia di imitazione (vim quandam imitationis adiungunt). Essi non possiedono la scienza, sebbene sembrino eseguire molte cose con abilit ed erudizione (perite et docte), a meno che non abbiano intelligenza pura e vera di ci che eseguono o esibiscono (mus. I, iv, 8).
11 La medesima tesi si trova espressa anche nel seguente passo, tratto dal De vera religione: Si considerino poi le ordinate (numerosas) e soavi bellezze dei suoni che laria trasmette quando vibra al canto dellusignolo: di certo lanima di quelluccellino non potrebbe crearle spontaneamente a suo piacimento (non, cum liberet, fabricaretur), se non le portasse impresse, in modo non materiale, nel suo impulso vitale (nisi vitali motu incorporaliter haberet impressas). Quanto detto si pu riscontrare anche negli altri animali i quali, seppur privi di ragione, tuttavia non lo sono dei sensi. Tra loro, infatti, non vi nessuno che o nel suono della voce o in altro movimento e azione delle membra, non produca qualcosa di armonico e di misurato nel suo genere (numerosum aliquid et in suo genere moderatum gerat), non per effetto di qualche scienza (non aliqua scientia), ma per un ordine intrinseco alla sua natura, regolato da quellimmutabile legge dellarmonia (sed tamen intimis naturae terminis, ab illa incommutabili numerorum lege modulatis) (vera rel. 42, 79). 12 Aristotele, a differenza di Agostino, non riconosce agli animali alcuna capacit imitativa: Ci sembra poi che siano due le cause, entrambe dordine naturale, che in sostanza danno origine allarte poetica. Anzitutto connaturato agli uomini n da fanciulli listinto di imitare; in ci si distingue luomo dagli altri animali, perch la sua natura estremamente imitativa (mimetiktaton) e si procura per imitazione i primi apprendimenti (math esis). Poi c il piacere che tutti sentono delle cose imitate (Poetica 48 b).

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E, ancora, con esplicito riferimento allaspetto manuale della pratica dellarte: Penso che ci resti, se vi riusciamo, da scoprire che le stesse arti che ci dilettano con il gioco delle mani (per manus placent), per arrivare a questa pratica (usus) non hanno immediatamente seguito la scienza, ma i sensi e la memoria. A meno che tu non mi dica che pu accadere che ci sia la scienza senza lesercizio (sine usu), e solitamente maggiore di quella che si trova in coloro che eccellono nellesercizio, ma che anchessi a tanta abilit (ad usum tantum) non sarebbero potuti giungere senza la scienza (I, v, 10). Il ragionamento di Agostino procede in modo rigorosamente dialettico concatenando serie di sillogismi che, sebbene diluiti negli scambi dialogici tra maestro e allievo, sono agevolmente isolabili nel corpo del testo13 . Un primo argomento sviluppa la somiglianza tra gli animali musicali come lusignolo e i musici abili ma ignoranti sulle leggi dei numeri, cercando di trarre in forza di questa la conclusione desiderata: Ti avevo chiesto se tu riconoscevi larte ai citaristi, ai autisti e agli altri suonatori, anche se hanno raggiunto tramite limitazione ci che eseguono nel cantare. Hai detto che si tratta di arte e hai affermato che limitazione vale tanto che ti sembra che, eliminandola, quasi tutte le arti sarebbero distrutte. Da questo si pu dedurre che chiunque raggiunge un effetto con limitazione, fa dellarte, anche se forse non chiunque fa dellarte lha raggiunta con limitazione. Ma se ogni imitazione arte e ogni arte ragione, ogni imitazione ragione. Tuttavia lanimale irrazionale non si vale della ragione, quindi non possiede larte, bens limitazione: quindi larte non imitazione (I, iv, 6). Largomentazione di Agostino invalidata da un manifesto paralogismo e, in aggiunta, la tesi che il maestro attribuisce allallievo, vale a dire che larte richiede necessariamente limitazione, risulta non solo forzata rispetto alle intenzioni di questultimo, ma anche del tutto estranea alla tradizione del dibattito. Largomento presentato di seguito invece decisivo e si riassume nellaffermazione che leccellenza artistica non in alcun modo condizionata dal possesso della scienza musicale, in quanto il suo esercizio non implica lintervento della ragione, ma solo quello dei sensi e della memoria. La serie di sillogismi che consente ad Agostino di dimostrare che arte e imitazione sono attivit com13 Una minuziosa analisi in questo senso stata condotta in [101], ove gli autori hanno cercato di ricostruire la struttura logica del ragionamento agostiniano esposto nel quarto capitolo del primo libro del De musica.

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pletamente differenti pu essere schematizzata nel modo seguente14 , in cui il passaggio fondamentale quello che afferma che ragione e imitazione sono del tutto distinte: I Nessun uso del corpo esercizio di conoscenza Tutti gli usi dei sensi sono usi del corpo Nessun uso dei sensi esercizio di conoscenza II Nessun uso dei sensi esercizio di conoscenza Tutti gli usi dellimitazione sono usi dei sensi Nessun uso dellimitazione esercizio di conoscenza III Nessun uso dellimitazione esercizio di conoscenza Tutti gli usi della ragione sono esercizio di conoscenza Nessun uso della ragione uso dellimitazione IV Nessun uso della ragione uso dellimitazione Tutti gli usi dellarte sono usi della ragione Nessun uso dellarte uso dellimitazione Sebbene elaborata nel contesto di un trattato dedicato alla musica, largomentazione di Agostino non si limita a questa disciplina, ma si pone a fondamento di una vera e propria losoa dellarte. Con questa premessa, gli studiosi P. Ellsmere e R. La Croix hanno proposto una riduzione schematica della denizione di musica gi esaminata che, astraendo, da ogni riferimento a discipline speciche, pu essere formalizzata nel modo seguente: Per ogni x, se x unarte allora x la conoscenza corretta di r in cui la variabile r consente la specicazione delle diverse forme darte. Com evidente, la tesi agostiniana impone di escludere dal concetto di arte tutto
14 Cfr.

Ivi p. 10.

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ci che ai nostri occhi propriamente lo identica, vale a dire gli oggetti e le esecuzioni qualicabili come prodotti di una pratica che richieda il possesso di unabilit (peritia) acquisita attraverso lesercizio (usum). Larte liberale si congura, insomma, come unattivit esclusivamente razionale, propria solo dellintelletto ed estranea al commercio con la dimensione sensibile. In altri termini, unattivit implicante non un fare, ma solo un pensare. Proprio in questo si riassume la portata della presa di distanza di Agostino rispetto alla tradizione e tale circostanza spiega la centralit del tema dellimitazione ai ni della comprensione della sua visione dellarte. Il fatto che nel primo libro del De musica non sia presente alcun riferimento al concetto di bellezza dipende, sempre secondo questa lettura, dalla suddetta espunzione della dimensione sica, in virt della quale risulta esclusa anche leventualit di un uso improprio dellarte: se tale eventualit, infatti, esiste nel caso di un oggetto, non invece compatibile con lessenza di unattivit razionale con cui larte, appunto, si identica. Agostino non esclude che la produzione di un oggetto artistico possa essere perseguita disinteressatamente, ovvero senza la mira del guadagno, ma osserva che ci, di fatto, non accade. Questa constatazione non sottende un giudizio negativo e, infatti, in nessun luogo del De musica viene affermato, nemmeno implicitamente, che gli oggetti artistici sono un male, ma presuppone lattribuzione di una sostanziale neutralit. Ne consegue che la connotazione morale di unopera dipende interamente dallinterpretazione e dallimpiego stabiliti dalluomo. Ci che, in ultima analisi, risulta dalla denizione agostiniana di arte il suo prolarsi come scoperta15 , da parte della la ragione, di un corpo di principi generali di ragionamento costitutivi di una determinata disciplina, dalla cui applicazione possono derivare oggetti che hanno la capacit di rietterne ed esemplicarne la struttura. Questultima, nel contesto della schematizzazione sopra considerata, ci che la variabile r intende esprimere e che, nel caso della musica, lunica disciplina analizzata in questo modo da Agostino, corrisponde al contenuto dei libri centrali del trattato, limitatamente alla ritmica. Alla luce di queste considerazaioni, Ellsmere e La Croix hanno sciolto la variabile r nel modo seguente, rendendo manifesto il legame tra lidenticazione dellarte
15 Il ragionamento non crea tali verit, ma le scopre. Esse perci sussistono in s prima ancora che siano scoperte e, una volta scoperte, ci rinnovano (vera rel. 39, 73).

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come conoscenza e la sua declinazione concreta, connessa alluso corretto dei principi conosciuti: Per ogni x, se x unarte, allora x la conoscenza di come usare i principi generali di ragionamento che governano la struttura di x nel modo corretto. In conclusione, dunque, nellimpostazione del giovane Agostino si riscontra una separazione netta tra larte intesa come insieme di principi specici, passibili di essere riessi in oggetti individuali, e lattivit da cui questi ultimi scaturiscono, la quale si esercita nel conferire forme in grado di esprimere contenuti. L dove il principio sfugge alla manipolazione delluomo, il contenuto vi interamente rimesso e pu essere potenzialmente qualunque. Ci che sembra prolarsi, sempre secondo i due studiosi, dunque lidea della separabilit tra forma e contenuto, che essi riconoscono come uno dei principali contributi di Agostino alla losoa dellarte, gravido di conseguenze che si sarebbero manifestate solo in epoca moderna quando, sebbene in modo diverso, sarebbe stato di nuovo espresso il riuto di considerare loggetto sico come il luogo logico dellopera darte.

2.2

Il progetto enciclopedico del De ordine

Ci sono dunque tre generi di realt nei quali appare ci che razionale. Uno quello delle azioni legate a un ne, il secondo quello dello studio, il terzo del piacere (ord. II, xii, 35). Il progetto di riunire il sapere ereditato dalla tradizione classica in un compendio enciclopedico delle arti liberali gura al secondo posto nella triade che, secondo Agostino, esaurisce i modi di presenza dellelemento razionale nella costituzione delluniverso e nellanima umana. Accanto ad esso compaiono il modo di presenza delletica e quello del giudizio estetico, tutti e tre luogo di manifestazione di una razionalit che, sotto forma di ordine onnipervasivo, garantisce la possibilit di intraprendere un percorso di ascesi, in accordo con il ne proprio dellanima umana. La suddivisione interna al gruppo delle arti liberali appare delineata in funzione di quella che interessa gli oggetti delle discipline componenti i due gruppi del trivio e del quadrivio, ovvero, rispettivamente, le parole (verba) e le cose

2.2. IL PROGETTO ENCICLOPEDICO DEL DE ORDINE

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(res). Costituenti elementari di due mondi di cui il primo, il linguaggio, si mantiene perpetuamente in bilico tra il rispecchiamento fedele della realt e la combinazione, coerente ma priva di riscontro, dei suoi frammenti, le parole e le cose considerate le une in rapporto alle altre denivano lorizzonte epistemologico del pensiero medievale. Sotto questo riguardo, non deve destare stupore il fatto che alle arti della parola fosse riconosciuta una posizione privilegiata e non solo da parte di Agostino, come se lintera visione del mondo risentisse profondamente della modalit di rappresentazione logico-grammticale. La relazione res-verba declinata nella forma ratio-verba, che meglio esprime la tensione tra il dato oggettivo immodicabile e il modo della sua presentazione, apparsa a tal punto costitutiva della struttura del sapere liberale da avere suggerito16 la riduzione di questultimo a uninterrogare sul linguaggio. Come noto, Agostino ha affrontato lo studio del fenomeno linguistico sotto diversi aspetti, con particolare riferimento alla nalit e al valore epistemologico del segno. Lindicazione della prima si colloca, signicativamente, nel secondo libro del De ordine, dove precede immediatamente la descrizione della nascita delle discipline liberali: Ci che c in noi di dotato di ragione, che usa la ragione e opera e segue ci che razionale, poich per vincolo naturale era costretto a creare comunicazioni tra coloro che avevano in comune la stessa ragione, e luomo non poteva comunicare in modo valido con un altro uomo se non tramite degli incontri e quasi degli scambi di pensieri e concetti, allora vide che occorreva imporre dei nomi alle cose, cio suoni con un signicato, afnch gli uomini, che non potevano leggere gli animi, utilizzassero il senso come interprete per stringere legami tra loro (ord. II, xii, 35). La lettura del passo conferma e precisa i termini della contrapposizione tra ratio-res e verba trasferendola sul piano antropologico, ove la presenza formante dellelemento razionale appariva occultata e frammentata naturali quodam vinculo a causa dellimpossibilit umana di comunicare senza mediazione. Vale la pena di attirare sin dora lattenzione su quella che Agostino riteneva essere lorigine del linguaggio, ovvero, in ultima analisi, la necessit di rimediare allincapacit per luomo di trovare quiete nella contemplazione dopo la rottura delloriginaria armonia psicosica. Unanalogo valore strumentale,
16 Cfr.

[5, p. 482.]

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CAPITOLO 2. LINGUAGGIO E ARTI LIBERALI

come si avr modo di approfondire in seguito, era stato attribuito anche alla retorica, che sin dallinizio aveva trovato la propria legittimazione nellesigenza di persuadere secondo verit luomo mediocre, refrattario allinsegnamento razionale e fortemente esposto, per contro, al condizionamento emotivo. Ci che per ora si intende solo segnalare il sussistere di un legame di afnit posto in virt di una comunanza di ni posti dalla limitatezza e dalla disarmonia delluomo, allinterno del quale la retorica si caratterizzava come potenziamento dellefcacia del dire applicandosi non alla semplice trasmissione del contenuto, compito, questo, del linguaggio, ma alla sua presentazione efcace, afdata principalmente alla forma. Nella ricostruzione agostiniana della genesi delle discipline liberali alla nascita del linguaggio segue linvenzione del calcolo, con cui la ragione risulta in grado di applicare un criterio di misura al uire del suono. Esito di questa prima elementare sistemazione la suddivisione delle parti del discorso e la ssazione della metrica, oggetto della prima disciplina del trivio, la grammatica. In seguito a questo primo atto ordinatore la ragione prende coscienza del proprio potere speculativo e dallinterrogazione su se stessa e sui suoi strumenti genera la disciplina delle discipline, la dialettica. Alle prime due, in ultima battuta, si aggiunge la retorica, la cui nalit appare essere quella di rendere pi agevole linsegnamento della verit attraverso lorganizzazione delle parole. Questa, in estrema sintesi, la ricostruzione agostiniana dellevoluzione della razionalit che, nella sua prima fase scandita nelle tre arti della parola, passa dallorganizzazione grammaticale del suono in quanto materia grezza alla costituzione del linguaggio nelle sue due componenti di contenuto e forma, oggetto, rispettivamente, della dialettica come arte del pensare e della retorica come arte del dire. La considerazione del linguaggio nelle sue tre componenti fondamentali, fonica, logica ed emotiva, stava alla base della suddivisione delle discipline del trivio rispettivamente in grammatica, dialettica e retorica. Tralasciando questultima, la cui presenza tra le arti liberali era per certi aspetti anomala, le altre due erano unite da una profonda corrispondenza, data dal fatto che, per quanto in modo differente luna dallaltra, entrambe riettevano per mezzo del linguaggio le relazioni tra le cose, fornendo al pensiero le concatenazioni

2.2. IL PROGETTO ENCICLOPEDICO DEL DE ORDINE logico-grammaticali necessarie alla loro pensabilit17 .

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Laspetto che maggiormente colpisce leterogeneit che caratterizza il gruppo delle tre discipline e che affetta addirittura la struttura interna di alcune di esse manifestandosi nella commistione di impostazione pratica e teorica. Le discipline interessate da tale duplicit sono la grammatica e la dialettica, mentre la retorica, che non a caso fu ammessa solo con difcolt tra le arti liberali, si congura come un sapere eminentemente pratico, al limite accessorio. Estendendo la considerazione a tutte e sette le discipline si pu osservare che anche la musica presenta un analogo tratto di eterogeneit, come se il fatto di possedere una doppia essenza, matematica e linguistica, avesse determinato una corrispondente duplicit di impostazione. Sebbene in modo diverso, anche la grammatica e la dialettica risultano interessate, secondo Agostino, da una profonda scissione interna. Nel caso della grammatica, lidenticazione della disciplina con il grado elementare dellistruzione, propedeutico allerudizione letteraria, conviveva con lo studio delle regole sse del linguaggio che le conferiva il rango di una vera e propria scienza18 . Nel caso della dialettica, invece, la duplicit derivava dalla compresenza di due diverse concezioni, luna di matrice stoica, laltra di matrice platonica, come G. Catapano ha messo in luce19 . Se la prima di queste la deniva come un metodo di discussione procedente per domanda e risposta e, pertanto, come una tecnica, la seconda eccedeva tale connotazione strumentale identicandola invece con la struttura stessa del pensiero in quanto movimento di
17 Tuttavia, il modo giusto di trarre deduzioni non stato istituito dagli uomini, ma da loro osservato e fatto conoscere, in modo da poterlo imparare e insegnare, perch fa parte dellordinamento razionale delle cose che perpetuo ed stato istituito da Dio. Come chi racconta la successione dei tempi non lha ordinata lui stesso; e chi descrive la posizione dei luoghi e le nature degli animali e delle pietre non descrive cose istituite dagli uomini; e chi fa conoscere le stelle e i loro movimenti fa conoscere cose non istituite da lui o da un altro uomo; cos anche colui che dice: Quando una conclusione falsa, necessariamente falsa la premessa, dice il vero: non per lui che lo fa essere, ma si limita a farlo conoscere (doctr. chr. II, xxxii, 50). 18 Quindi la ragione progred e si accorse che tra gli stessi suoni della bocca con i quali parlavamo e che gi aveva denito con delle lettere, ce nerano alcuni che moderando in vario modo lapertura della bocca, uivano come slegati e semplici senza alcun contatto con la gola, altri che con una diversa chiusura della bocca, avevano un certo suono, altri ancora che non potevano essere proferiti se non uniti ai primi. Pertanto nomin le lettere, nellordine in cui sono state esposte, vocali, semivocali e mute, quindi consider le sillabe. Poi le parole furono suddivise in otto generi e forme e si determin con perizia e acutezza ogni loro mutamento, purezza e connessione. Non dimentica dei numeri e delle dimensioni, applic, poi, lanimo alle varie lunghezze delle parole e delle sillabe e scopr che gli spazi temporali possono essere doppi e semplici, e che per essi le sillabe sono pronunciate lunghe o brevi. Consider tutte queste cose e le sistem in regole sse (regulas certas) (ord. II, xii, 36). 19 Cfr. [32, p. 11.]

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CAPITOLO 2. LINGUAGGIO E ARTI LIBERALI

ascesa dal molteplice alluno. Ben pi che una semplice disciplina, dunque, la dialettica si congurava piuttosto come lesplicitazione dellessenza razionale del pensiero e la condizione di possibilit del procedimento anagogico che dal riesso sensibile guidava al fondamento intelligibile. La questione del rapporto tra res-ratio e verba manifesta tutta la sua portata nel passaggio dalle arti del trivio a quelle del quadrivio, con cui la ragione prosegue il proprio percorso di elevazione: Desiderava infatti una bellezza che poteva vedere restando sola e semplice senza questi occhi; ne era impedita dai sensi. Cos volse un poco lo sguardo ad essi, che proclamando di possedere la verit la ritraevano con un baccano importuno quando essa si affrettava ad avviarsi verso altro. Per prima cosa inizi dalludito, perch diceva che erano sue le parole, per le quali aveva gi creato la grammatica, la dialettica e la retorica. Ma la ragione, molto potente nel discernere, si accorse subito della differenza che cera tra il suono (sonum) e ci di cui era segno (id cuius signum esset) (ord. II, xiv, 39). Disillusa in merito alla possibilit di raggiungere il pieno possesso della verit, la ragione si distoglie dal contenuto veicolato dal signum e, nel momento in cui ssa la propria attenzione sulla forma sonora di questultimo, riconosce quella regolazione dei tempi e quella proporzionata variet di acuto e di grave20 che lautorit, in grammatica, aveva distinto nelle sillabe. Con analisi sistematica, la ragione unica questi valori (semina) in ordini ssi (ordines certos) e, seguendo le indicazioni delludito (sensum ipsum secuta), determina le suddivisioni proporzionali del metro, applicando una misura al uire ordinato ma indenito del ritmo (numerus). Con il quarto gradino, la musica, interviene di fatto una deviazione21 dal percorso originariamente progettato dalla ragione: la verit, nel momento stesso in cui si sottrae al tentativo di essere colta senza mediazioni e detta, invita a riconoscere la presenza dellelemento razionale (numerus) in ogni aspetto della struttura del reale, legittimando cos lo studio delle scienze matematiche22 . La via intrapresa dalla ragione per tornare al principio si biforca in questo punto:
ord. II, xiv, 40. G. Catapano, op. cit. p. 35 ss. 22 In questo quarto gradino, sia nei ritmi, sia nella modulazione, si accorgeva che i numeri regnavano ed erano in tutte le cose: indag con grande diligenza il loro modo di essere; li scopr divini ed eterni, soprattutto perch con il loro aiuto aveva formato tutte le realt superiori (ord. II, xiv, 41).
21 Cfr. 20 Cfr.

2.2. IL PROGETTO ENCICLOPEDICO DEL DE ORDINE

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da una parte prosegue quella della parola, che aveva promesso di raggiungere la verit attraverso la comprensione del signicato espresso nel verbum; dallaltra inizia invece quella del numero, che, identicando la verit con lelemento di continuit tra il pensiero e lessere - continuit che stata espressa per mezzo della giustapposizione ratio-res - assume il signicante come guida. Questa mossa, in realt, pu sembrare in prima battuta compromessa a causa del carattere accidentale del signum: secondo quanto argomentato nellambito del De magistro, infatti, la funzione che Agostino riconosceva ai segni era solamente quella ostensiva, in virt della quale le cose potevano essere mostrate, al pi evocate, ma comunque mai svelate. Premesso, ci, tuttavia, la relazione tra il pensiero e le cose non risulta essere estrinseca, come se tra lessere e la sua manifestazione si inserisse una mediazione, quella linguistica, non riconducibile al principio unicante e, pertanto, incapace di riettere lordine razionale. Latto linguistico, al contrario, caratteristico e anzi denitorio delluomo, conserva una traccia di somiglianza con latto creatore di Dio: se nella mente divina il pensiero coincide con lessere, in quella delluomo il pensiero manifesta lessere, non impadronendosene per mezzo della parola, ma piuttosto riconoscendolo nellordine e nella misura che di per s gi essa rivela. La musica, in questa prospettiva, assume una valenza particolare che la individua, se cos si pu dire, come un crocevia. Se rispetto alle tre arti della parola che la precedono essa introduce la consapevolezza della distinzione signicato-signicante e, in conseguenza del suo prendere a oggetto la razionalit della res, assume lassetto di una scientia, rispetto alle tre discipline del numero essa mantiene la componente poietica23 declinata nellatto del bene modulari, sperimentando, come ha efcacemente espresso Catapano24 , lazione di unintelligenza che crea e misura contemporaneamente. A differenza delle altre discipline del quadrivio, ovvero aritmetica, geometria e astronomia, la musica conservava, accanto alla dimensione contemplativa, un interesse eminentemente pratico, per certi versi analogo a quello della
23 In questa prospettiva lattivit di manipolazione del suono manifesta tutta la rilevanza di cui era investita in un contesto di cultura orale come quello in cui si trovava ad operare Agostino. Nella cultura tardo-antica, che era ancora la medesima del De oratore di Cicerone, il suono non rappresentava solo il principale veicolo espressivo, rispetto al quale la parola scritta si riduceva a mera via daccesso, del tutto priva di autonomia, ma, addirittura, la materia su cui poteva esercitarsi nel senso pi proprio lattivit creativa, non creatrice, delluomo. 24 Cfr. op. cit. p. 44.

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retorica. Accomunate dalla permanente interazione con la materialit del suono e non, come nel caso della grammatica e della musica teorica, con lintento di imporre un ordine o una classicazione quanto piuttosto con quello di servirsene in vista di uno scopo ulteriore, fosse questo la persuasione o il diletto, ars rethorica e musica practica risultavano caratterizzate in senso fortemente strumentale. Questo momento tecnico-operativo che differiva sostanzialmente, ad esempio, da quello della geometria in cui latto di misurare un oggetto si limitava a constatare un dato senza imporre cambiamenti, non era ben conciliabile con il carattere di gratuit25 che Agostino, in accordo con la tradizione, valutava quale requisito indispensabile perch unattivit potesse essere qualicata come liberale. Nel caso della musica tale requisito era discusso, signicativamente, nel contesto della spiegazione della gi citata denizione della disciplina come scientia bene modulandi: Ritorna ora a ci che abbiamo detto prima intorno alla modulazione: labbiamo denita come una certa abilit nel muovere. Considera a cosa questo nome sia pi adeguato: al movimento per cos dire libero, che cio ricercato per se stesso e per se stesso provoca piacere? O al movimento che per cos dire asservito? Infatti sono come servi tutte le cose che non sono per s, ma si riferiscono a qualcosa daltro (mus. I, ii, 3). Limitandosi a valutare, tra le svariate possibilit, il piacere provocato dal canto o da un brano di oratoria ben costruito, non pu essere trascurata la distinzione tra il piacere considerato come conseguenza non progettata, ma di per s prodotta dalla bont della composizione, e il piacere ricercato per essere in altro modo impiegato, ad esempio per indurre un certo stato danimo negli ascoltatori. Se il primo caso, infatti, manifesta una certa afnit con latteggiamento contemplativo, chiuso nella propria staticit e passibile, al pi, di essere inteso come conferma sensibile della presenza di unorganizzazione razionale dei suoni, il secondo rivela invece il tratto tipico delloperare tecnicostrumentale, orientato primariamente allefcacia e aperto a una rosa indeterminata di ni. Questa ambiguit di fondo, mai esplicitata, da annoverare tra
25 Allinizio del primo libro del De musica, nel contesto della spiegazione di tutti i termini ricorrenti nella denizione di musica, Agostino affronta la questione del carattere gratuito o strumentale delle attivit umane e, per farlo, ricorre allesempio del tornitore, rispetto al quale distingue il movimento del tornire dalloggetto che esso produce. Nel caso dellartigiano il movimento non ricercato per se stesso come avviene invece nel caso di un danzatore, e ci costituisce, per Agostino, il motivo che ne decreta linferiorit: In qual caso dunque reputi che una cosa sia importante e in un certo senso predomini: quando la si ricerca per s o quando la si ricerca per altro? - Quando la si ricerca per se stessa, chi potrebbe negarlo? (mus. I, ii, 3).

2.3. ARS RETHORICA E LINGUAGGIO

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le possibili cause dellambivalenza che Agostino dimostrava nei confronti della musica e che se da un lato lo spingeva a manifestare con entusiasmo il proprio apprezzamento per la bellezza di un canto, dallaltro lo richiamava prepotentemente facendolo arretrare di fronte alla minaccia che essa poteva costituire. Ben pi grave del cedimento concupiscente, che insidiava il momento passivo della fruizione, lesercizio della capacit di muovere lanimo passando attraverso il senso delludito costituiva potenzialmente un tentativo di emulare il modo in cui Dio comunicava con luomo, quasi unusurpazione del suo potere di raggiungerne linteriorit che Agostino conosceva con la profondit del proprio vissuto: Io tendevo, dolce verit, verso la tua melodia interiore (cordis mei auribus, quas intendebam, dulcis Veritas, in interiorem melodiam tuam) (conf. IV, xv, 27). Il fatto che la retorica e la musica pratica si congurassero come potenziali strumenti e fossero pertanto rimessi al volere del singolo quanto alluso e al ne verso cui potevano essere dirette necessariamente comportava il loro ricadere nellambito di pertinenza delletica. Il potere che entrambe erano in grado di esercitare sullanimo derivava dalla sinergia di lgos e pthos insita nel linguaggio parlato, la quale coinvolgeva sia la componente razionale sia quella a-razionale. Per Agostino il linguaggio era sempre stato non solo il luogo privilegiato della riessione, ma anche quello in cui leco delle vibrazioni emotive poteva trovare maggiore spazio di risonanza. Ci, del resto, confermato dal suo instancabile esercizio del ministerium verbi, il cui presupposto riposava nel riconoscimento del linguaggio come strumento per eccellenza di conversione.

2.3

Ars rethorica e linguaggio

2.3.1 Il concetto agostiniano di verit


Lurgenza con cui il giovane Agostino aveva impegnato le sue risorse intellettuali nella ricerca di una verit commisurata alla mente umana e, allo stesso tempo, in possesso dei requisiti di oggettivit e certezza percepibile in ognuno dei suoi scritti, quando non apertamente posta come, ad esempio, nei Solilo-

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CAPITOLO 2. LINGUAGGIO E ARTI LIBERALI

quia, in cui esibita26 e rimarcata la dichiarazione di non voler conoscere altro che Dio e lanima: Ho dimostrato ormai in modo certo che non amo nientaltro, se vero che non si ama ci che non si ama per se stesso. Per se stessa io amo invece solo la sapienza (Ego autem solam propter se amo sapientiam), mentre le altre cose voglio che ci siano o temo che mi manchino in vista di essa sola (I, xiii, 22). Tale urgenza, daltra parte, appare sin da subito motivata da uninquietudine esistenziale che si manifesta in Agostino sin dal primo incontro con lideale di sapienza amata propter se che avvenne, secondo quanto descritto nel terzo libro delle Confessiones, in seguito della lettura dllHortensius di Cicerone. Questo dialogo losoco, incluso nel programma di studio superiore impartito a Cartagine e, purtroppo, perduto, svolgeva probabilmente il tema del contrasto tra la losoa e la retorica che venivano difese, rispettivamente, da Cicerone e dal retore Quinto Ortensio Ortalo. Colpito dalla descrizione di unars rhetorica nutrita dalla losoa ed estranea allesercizio spregiudicato della tecnica di persuasione, Agostino visse una vera e propria metnoia che oper uno stravolgimento della sua personalit intellettuale: Quel libro cambi davvero il mio modo di pensare (ille vero liber mutavit affectum meum), cambi le mie stesse preghiere a te, Signore, trasform le mie aspirazioni e i miei desideri. Mi cadde di colpo ogni interesse per le vane speranze, presi a desiderare limmortalit della sapienza con unincredibile ardore danimo (immortalitatem sapientiae concupiscebam aestu cordis incredibili): avevo iniziato la risalita verso di te (conf. III, iv, 7). Il risvolto esistenziale era gi contenuto nellaccostamento ciceroniano di ricerca losoca e felicit, ma fu rielaborato e piegato in una direzione originale dal giovane Agostino che, nel Contra Academicos, discusse il valore assoluto attribuito alla felicit della ricerca in s, a prescindere dallottenimento della sapienza. Linterrogativo che apre il dialogo chiedendo se sia possibile essere felici anche senza aver trovato la verit27 divide gli interlocutori in due opposti partiti, luno a favore dellideale ciceroniano, che guardava alla verit assoluta come ideale irraggiungibile, investito di un ruolo di guida nella ricerca, laltro volto a sostenere una nozione di scientia correlata a un oggetto avente caratte26 Cfr. 27 Cfr.

sol. I, ii, 7. I, iii, 7.

2.3. ARS RETHORICA E LINGUAGGIO

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ristiche di assolutezza e stabilit ontologica, in corrispondenza dei quali, come M. Cristiani28 ha osservato, si davano due differenti concezioni dellerrore29 , rispettivamente come assenso al falso (pseuds) e come mancato raggiungimento delloggetto (apte). Levoluzione intellettuale del giovane Agostino pass attraverso le tappe di una fenomenologia che, dopo linfatuazione operata dallHortensius, vide il tentativo di recuperare il cristianesimo dellinfanzia, la delusione subita dalla ricerca della sapienza nelle Scritture e lesperienza dellerrore con ladesione alla gnosi manichea. Queste ultime due fasi potrebbero essere descritte, rispettivamente, come il mancato coglimento del vero a causa della rozzezza della sua espressione, offensiva per la sensibilit dellintellettuale, e come lassenso al falso imposto dalla forma suadente con cui era proposto, traboccante di ricchezza emotiva30 . Questo dato della biograa di Agostino assume un signicato particolare nel contesto del presente lavoro, in quanto offre una sorta di conferma indiretta dellimportanza della forma espressiva nella comunicazione della verit, facendo intuire la profondit della proposta di uneloquenza cristiana che Agostino, molto pi tardi, avrebbe elaborato nel quarto libro del De doctrina christiana. Certo, la cosmogonia manichea aveva proposto una spiegazione razionale della realt, quella verit esplicita e senza scorie che il giovane Agostino aveva cercato ansiosamente dopo la deposizione di un ideale di pura ricerca senza certezza e dopo il riuto sprezzante di insegnamenti che avevano lapparenza di favole da donnette, ma senza un sapiente ricorso al linguaggio dei sentimenti, senza quella mitologia che dispiegava come sulla scena di un teatro il dinamismo delle passioni, leffetto di quelle dottrine sarebbe stato assai diverso e, probabilmente, molto meno duraturo31 . A questo proposito M. Cristiani32 ha ipotizzato che il potere di stravolgere le categorie della tradizione losoca che il cristianesimo agostiniano ha esibito affondi le sue radici proprio nellesperienza profonda della spiritualit manichea e che il linguaggio degli homi[42, pp. 207-8.] I, iv, 10-11. 30 Lo stesso fascino ipnotico era posseduto dagli inni su testo gnostico nei confronti dei quali, come si vedr, si espresse la difdenza di molti Padri della Chiesa. 31 Ladesione di Agostino al manicheismo, come egli stesso riferisce, dur ben nove anni. Cfr. conf. V, vi, 10. 32 Cfr. op. cit. p. 212.
29 Cfr. 28 Cfr.

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nes delirantes, senza misura al punto da potere essere denito linguaggio della follia, fu, in ultima analisi, ci che gli consent di raggiungere la profondit di scavo interiore che contraddistingue la sua riessione. Tutto il senso della ricerca agostiniana si condensa nello spazio esiguo di una testimonianza: Gi per quei gradini fui trascinato nelle profondit dellinferno, pur oppresso comero e travagliato dalla penuria di verit, mentre te andavo cercando, Dio mio - e a te infatti mi confesso, perch hai avuto piet di me quando ancora non te lo confessavo - mentre te andavo cercando, non secondo le facolt della mente (non secondum intellectum mentis), per le quali hai voluto che ci distinguessimo dalle bestie, ma secondo gli istinti della carne (secundum sensum carnis). Tu infatti eri dentro di me pi del mio intimo e pi in alto della mia parte pi alta (conf. III, vi, 11). Fino a quando la prospettiva di Agostino rimase circoscritta entro lorizzonte del materialismo egli non fu in grado di concepire modi di esistenza diversi da quello corporeo, fermandosi di fatto a met strada tra il concetto e limmagine e disponendo, come unico criterio di verit, dellevidenza della rappresentazione33 (phantasia). La tesi che consent lemancipazione dal materialismo e, con esso, dal limite di una conoscenza necessariamente priva di stabilit e costitutivamente esposta allillusione, emerse come corollario dellargomento elaborato contro lo scetticismo degli accademici. Nella sua sostanza, tale argomento consisteva nel dirottare la ricerca della verit dal piano dei fatti a quello della coerenza formale, mirando allottenimento di un criterio capace di garantire un senso alla ricerca stessa, il quale era fatto coincidere con il principio dellattivit conoscitiva: Le forme (formas), infatti, attraverso cui si muovono i miei occhi erano le stesse immagini (imagines) attraverso cui si muoveva la mia mente (cor meum), e non vedevo che lattivit stessa (eandem intentionem) con cui formavo quelle immmagini non era della loro medesima natura: eppure non le avrebbe nemmeno formate, se non fosse stata qualcosa di grande (conf. VII, i, 2). Con questa presa di coscienza, la considerazione veniva spostata
33 Gridava il cuor mio a gran voce contro tutti quei fantasmi (omnia phantasmata mea) e in tal modo cercavo di allontanare dun sol colpo alla vista della mia mente la turba impura che le sciamava intorno: ma appena scacciata, ecco che in un batter docchio si ripresentava compatta e savventava contro il mio sguardo e loffuscava, costringendomi a pensare, anche se non in forma di corpo umano, qualcosa di pur sempre corporeo, collocato nello spazio, o incluso nel mondo o anche diffuso nellinnit al di fuori del mondo, pur esso incorruttibile, inviolabile, immutabile, che anteponevo a ci che corruttibile, violabile e mutabile, poich ci che toglievo da tali spazi mi sembrava esser nulla, un nulla totale, non un semplice vuoto, come quando si toglie un corpo da un luogo e rimane il luogo svuotato dogni corpo, sia esso di terra o dacqua, aereo o celeste, che pur sempre un luogo vuoto, quasi un nulla spazioso (conf. VII, i, 1).

2.3. ARS RETHORICA E LINGUAGGIO

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dallesterno allinterno del soggetto conoscente, dalla realt dei corpi ordinata secondo le categorie dello spazio e del tempo a quella dellattivit dellanima, immateriale ma non per questo priva di certezza. Limpiego del termine cor, che nel linguaggio biblico identicava appunto luomo interiore, sottointende il riferimento al s in quanto tale, sede dei pensieri e dei sentimenti, quel s che, in seguito allassimilazione delle dottrine contenute nei testi neoplatonici letti poco prima della conversione34 , si sarebbe rivelato nalmente come atto35 . Leredit platonica, che consent ad Agostino di emanciparsi dai prodotti dellimmaginazione, giudicati un vero e proprio vischio per la mente, non comprendeva solo la distinzione tra corporeo e incorporeo, ma anche la nozione di partecipazione (mthexis), in virt della quale il guadagno speculativo si apriva sul piano etico ed esistenziale denendo la possibilit di assecondare o meno con la volont lessenza denita da tale partecipazione. Limpiego della nozione di mthexis fu suggerito probabilmente dalla lettura del Timeo di Platone e dalla sua combinazione con la dottrina della creatio ex nihilo deriv una concezione cosmologica in cui tutto, in quanto partecipe di Dio, esibiva in qualche modo una somiglianza con lui36 . Tale somiglianza si traduceva da un lato nella concezione di un cosmo in cui ogni parte, per quanto inma, rappresentava la concretizzazione un pensiero di Dio, componendosi con tutte le altre nellordine razionale disposto dalla creazione, mentre, dallaltro, si rendeva riconoscibile nelluomo che la coltivava in se stesso, perseguendola attraverso limitazione (mmesis). Il seguente passo, tratto dal De vera religione, richiama i termini dellimpostazione appena descritta lasciando intravvedere, nel contempo, la piega della fondamentale mossa agostiniana: La sapienza divina pervade il creato da un conne allaltro; quindi, per tramite suo, il sommo Artece ha disposto tutte le sue opere in modo ordinato, verso lunico ne della bellezza. Nella sua bont pertanto a nessuna creatura, dalla pi alta alla pi bassa, ha negato la bellezza che da Lui soltanto pu venire, cos che nessuno pu allontanarsi dalla verit senza portarne con s una qualche imma34 Secondo gli studi condotti da P. Courcelle, sembra certo che in quegli anni, a Milano, fosse attivo un circolo di ispirazione neoplatonica, cui apparteneva anche SantAmbrogio. Profondo conoscitore delle Enneadi, questultimo fu probabilmente il principale mediatore delle dottrine plotiniane presso Agostino. Cfr. [41, p. 138.] 35 Cfr. [132, p. 99.] 36 Cfr. [141, p.127.]

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CAPITOLO 2. LINGUAGGIO E ARTI LIBERALI gine. Chiediti che cosa ti attrae nel piacere sico e troverai che non niente altro che larmonia; infatti, mentre ci che in contrasto produce dolore, ci che in armonia produce piacere. Riconosci quindi in cosa consista la suprema armonia: non uscire fuori di te, ritorna in te stesso: la verit abita nelluomo interiore e, se troverai che la tua natura mutevole, trascendi anche te stesso. Ma ricordati, quando trascendi te stesso, che trascendi lanima razionale: tendi, pertanto, l dove si accende il lume stesso della ragione. A che cosa perviene infatti chi sa ben usare la ragione, se non alla verit? Non la verit che perviene a se stessa con il ragionamento, ma essa che cercano quanti usano la ragione. Vedi in ci unarmonia insuperabile e fa in modo di essere in accordo con essa. Confessa di non essere tu ci che la verit, poich essa non cerca se stessa; tu invece sei giunto ad essa non gi passando da un luogo allaltro, ma cercandola con la disposizione della mente, in modo che luomo interiore potesse congiungersi con ci che abita in lui non nel basso piacere della carne, ma in quello supremo dello spirito (vera rel. 39, 72).

La differenza pi evidente rispetto a Platone consisteva nel fatto che mentre per questultimo il principio ultimo dellessere e della conoscenza rappresentato dallidea del Bene poteva essere contemplato, per quanto non direttamente, al termine di un percorso che partiva dalla realt ordinata in funzione di esso, per Agostino la via non usciva dallinteriorit, poich proprio in essa era eminentemente presente il germe di quella somiglianza il cui riconoscimento comportava lammissione della costitutiva dipendenza da qualcosa di ulteriore e, con ci, la necessit del suo superamento. Partendo dallaffermazione della certezza dellautopresenza, infatti, Agostino otteneva la garanzia dellesistenza di una prima verit che, se da un lato presentava valore esclusivamente soggettivo, dallaltro possedeva per un carattere di assoluta indubitabilit, derivatole dalla coincidenza di conoscente e conosciuto. Dopo aver mostrato che, assieme allesistenza, erano possedute anche la vita e lintelligenza e che, da un punto di vista gerarchico, questultima attivit si poneva al livello superiore, largomento era portato a conclusione in virt della successiva applicazione del principio secondo cui che superiore ha facolt di esercitare un giudizio su ci che inferiore. Applicato la prima volta per dedurre la superiorit della ragione su tutte le altre attivit dellanima, tale principio portava inne a riconoscere lesistenza di una realt superiore alla stessa ragione, Dio in quanto verit, origine di tutti gli oggetti ad essa accessibili, ma sottratti al suo giudizio in quanto costituenti il suo stesso criterio. La conoscenza di tali oggetti, come

2.3. ARS RETHORICA E LINGUAGGIO

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le verit matematiche, si caratterizzava dunque in termini di scoperta, delineando un quadro analogo a quello del Menone. Come nel dialogo platonico, anche Agostino proponeva una teoria della reminescenza ma, senza avvertire la necessit di uscire dal soggetto postulando levento di unesperienza anteriore alla nascita, spiegava il processo di autoconoscenza dellanima in termini di esplicitazione di una conoscenza da essa gi posseduta in forma implicita. Fondamento di questa memoria e guida nella riessione dellanima su se stessa, il Maestro interiore era anche ci di cui lanima, inne, scopriva la presenza nella propria pi profonda interiorit, nonostante lassoluta trascendenza. La dottrina dellinteriorit fonda il tentativo di articolare la somiglianza dellanima con Dio in funzione della corrispondenza tra le sue attivit e le Persone della Trinit che Agostino compie, a molti anni di distanza, nel De Trinitate. Le triadi che egli rintraccia nel decimo libro di questopera sono due, menteconoscenza-amore (mens-notitia-amor) e memoria-intelligenza-volont (memoriaintelligentia-voluntas) e, a entrambe, afdata lespressione del movimento interno di autoconoscenza dellanima: se la prima gura, mente o memoria, contraddistingue il possesso statico della conoscenza implicita in essa presente, con la seconda si dispiega il movimento che, attraverso la parola (verbum) in grado di consentire lemancipazione dalle false immagini (phantasai), perviene alla sua formulazione esplicita, la cui verit attende lassenso da parte della volont. Il modello che emerge dalla costruzione agostiniana determina, dunque, la conoscenza come scoperta interiore, specicabile nei termini di un chiarimento mediante la parola, che non sancisce tuttavia la conclusione del processo poich tutto dipende, in ultima analisi, dal darsi o meno delladesione personale alla verit. Lantecedente della nozione di scelta indipendente dalla conoscenza, che si oppone alla visione intellettualistica secondo cui levidenza del vero causa dellimmediatezza dellassenso, deve essere riconosciuto nella dottrina stoica della proiresis, matrice fondamentale della concezione cristiana della volont. Il fatto che, per Agostino, lanima possa essere origine della propria perversione per sua volont o che, al contrario, possa aderire al vero e al bene, mette in luce lelemento di fondamentale gratuit che caratterizza il suo agire e che corrisponde, in ultima analisi, alla gratuit dellatto divino della

64 creazione37 .

CAPITOLO 2. LINGUAGGIO E ARTI LIBERALI

2.3.2

Il linguaggio tra menzogna e verit

La condizione di mancata aderenza dellanima al vero e la conseguente dispersione nel molteplice identicava, agli occhi di Agostino, la causa che aveva reso necessaria listituzione del linguaggio e che, sotto questo aspetto, lo caratterizzava come un male. Tale qualicazione non si poneva in termini di accidentalit, come nel caso della segnalazione di un cattivo uso, ma era intrinseca allessenza stessa del linguaggio, in quanto connessa allincapacit delluomo di mantenersi stabilmente in uno stato di contemplazione ineffabile. Il male del linguaggio consisteva, dunque, nella distinzione tra il suono della parola (verba) e il suo signicato (res), che ripeteva, secondo la similitudine agostiniana, quella interna alluomo stesso: Dunque, dato che il nome in s risulta composto dal suono e dal signicato (nomen ipsum sono et signicatione constet), e il suono interessa le orecchie, il signicato la mente, non credi che nel nome, come se fosse un essere vivente, il suono sia il corpo, mentre il signicato sia per cos dire lanima del suono? - Niente mi pare pi somigliante (an. quant. XXXII, 66). Il linguaggio , per Agostino, il simbolo stesso del male, nellottica dalla metafora biblica della torre di Babele38 . Origine di tutte le interferenze che ostacolano la comunicazione tra gli uomini, sebbene nel contempo condizione di possibilit di questultima, esso anche il medio principale attraverso il quale si esercita la superbia delluomo, nel suo vano tentativo di approssimarsi a Dio. Il linguaggio esibisce, di fatto, una natura ambivalente: se da un lato ospita un male profondo, in quanto presuppone la frantumazione di ci che in origine era uno ed eterno nella molteplicit spazio-temporale, dallaltro, paradossalmente, in virt di questa negativit esercita la mediazione necessaria per il coglimento dellordine da parte delluomo e, nel dare fondamento al sapere custodito dalle arti liberali, dischiude per lanima la possibilit di intraprendere un cammino di ascesa a partire da uninteriorit in cui risuona la parola ineffabile.
37 Cfr. 38 Cfr.

C. Taylor, op. cit. p. 139. doctr. chr. II, iv, 5.

2.3. ARS RETHORICA E LINGUAGGIO

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Nel De magistro Agostino giunge alla conclusione che il segno, di per s considerato, non pu essere fonte di conoscenza, ma che questultima da sempre presente nellanima, condensata in una sorta di traccia interiore che la parola serve solo a rendere presente alla coscienza. Tale traccia, sebbene dotata di un certo grado di oggettivit, per elaborata soggettivamente ad opera dellimmaginazione e, dunque, essenzialmente privata e non trasmissibile39 . Daltra parte, la solidit ontologica che caratterizza tutti i gradi dellessere nella concezione agostiniana delluniverso si traduce, sul versante gnoseologico, nellimpossibilit che gli enti si manifestino sotto false apparenze o che simulino una persistenza fallace al di sopra di un ribollire magmatico e inconoscibile. La ragione di questa impossibilit risiede nel fatto che linganno ha sempre natura intenzionale: Infatti chi simula si distingue da chi inganna per il fatto che ha sempre la volont di ingannare, anche quando non gli si creda; mentre, nch uno non inganna, non pu essere ingannatore. Perci le specie corporee (corporea species), in quanto sono prive di volont, non simulano; se, inoltre, non sono prese per quello che non sono, non ingannano neppure (vera rel. 33, 61). La responsabilit di un errore di valutazione nellambito della conoscenza sensibile non pu essere attribuito nemmeno in parte ai sensi, poich non possibile dubitare della veracit con cui sono riferiti gli stimoli provenienti dallesterno: Ma neppure gli occhi ingannano; essi infatti non sono in grado di far altro che riportare alla mente le loro impressioni (affectionem suam). E se non solo essi, ma tutti i sensi del corpo riportano soltanto le loro impressioni, non so cosaltro dovremmo pretendere da essi (vera rel. 34, 62). La conclusione cui largomentazione di Agostino necessariamente porta, dunque, che lunica possibile fonte di inganno risiede nellanima. Lanima pu ingannare se stessa applicando in modo incongruo i suoi modi di conoscenza, cosa che accade quando cerca di comprendere le cose carnali e di vedere quelle spirituali (intellegere carnalia, et videre spiritalia). Oppure pu
39 La comunicazione il luogo del disvelamento della verit temporalizzata: ogni sua manifestazione presuppone una precisa intenzione espressiva da parte di un soggetto che, pur nel rispetto delle regole, introduce un elemento di arbitrariet che richiede un atto interpretativo da parte dellinterlocutore. Tranne che nel caso delle verit intelligibili, direttamente accessibili a tutte le menti, un contenuto ammette tre possibili atteggiamenti: il dubbio, la fede o lopinione, ovvero, rispettivamente, la sospensione del giudizio, ladesione da parte della volont accordata per lautorit della fonte, ladesione come esito di unautonoma valutazione.

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CAPITOLO 2. LINGUAGGIO E ARTI LIBERALI

deliberatamente tentare di convincere qualcuno di qualcosa di diverso da ci che ritiene vero. Questa seconda eventualit quella che si realizza nella menzogna la quale, per lassunzione implicita della presenza di un interlocutore, si congura come un fenomeno circoscritto al contesto comunicativo. La manipolazione del dato oggettivo, comunque, sempre un atto teleologicamente orientato, che viene esercitato nei confronti di uno o di pi soggetti dotati di intelletto e libert di assenso. La conferma del fatto che la determinazione della volont costituisce la condizione decisiva del mentire che, secondo Agostino, loggettiva verit o falsit di ci che viene affermato non ha alcun peso: cos come chi dice il falso pu non essere bugiardo, ma semplicemente in errore, cos chi dice il vero pu mentire se la sua personale convinzione ha un contenuto differente da quello che afferma. Latteggiamento del mentitore, dunque, propriamente denito dalla volont di operare una sostituzione della realt, nalizzata a orientare lopinione dellinterlocutore in contrasto con il giudizio formulato in privato. La profonda conoscenza della psicologia umana, che Agostino aveva maturato nella sua lunga esperienza di retore, gli imponeva di non trascurare alcuni meccanismi della comunicazione aventi il potere di determinare lassenso facendo leva sullemotivit dellinterlocutore. Ogni oratore, del resto, era ben consapevole del fatto che la prevedibilit di alcune reazioni del pubblico costituiva una risorsa preziosa, che poteva essere sfruttata agendo attraverso la forma del discorso, in modo indipendente dal contenuto. L dove questultimo, infatti, si propone alla capacit di giudizio attivando la sola parte razionale dellanima, la forma in cui esso viene comunicato coinvolge la componente a-razionale, sulla quale agisce potentemente la forza evocatrice delle immagini. Labilit persuasiva individua unattitudine profondamente diversa da quella dello scherzo, nel contesto del quale comunque si consuma il tentativo di sostituire una circostanza reale con una ttizia. Ci che distingue le due situazioni il fatto che la sostituzione della realt con unalternativa verosimile rispettivamente celata o esplicita e, dato fondamentale, ci si traduce in una resa corrispondente dellespressione e del tono. Nel caso dello scherzo, autore e destinatario sono in una posizione di parit, poich il secondo consapevole di essere di fronte a uno sdoppiamento di livello operato dal primo e, nel dare

2.3. ARS RETHORICA E LINGUAGGIO

67

il proprio consenso al sussistere della nzione, ne prende contemporaneamente distanza. Questultima, invece, precisamente ci che loratore e il mentitore cercano di annullare e che, per certi aspetti, tende a venir meno anche durante lascolto di una melodia. Si pu osservare, di passaggio, che questo aspetto sembra introdurre un signicativo discrimine fra la musica e altre forme artistiche come quella dei mimi, della commedia e di gran parte della poesia, oltre che delle arti gurative. Mentre queste ultime, infatti, dispiegano di fronte agli occhi del pubblico una nzione che non intende ingannare ma dilettare proponendosi come spettacolo, la musica trae la propria ragion dessere dalla capacit di provocare reazioni che coinvolgono tutta la complessit emotiva dellanimo, abbattendo le distanze stabilite dalla comunicazione ordinaria. Se nel primo caso si assiste a una forma di piacere intellettuale che presuppone nel pubblico la consapevolezza della nzione e che deriva non tanto dalla partecipazione ad essa, quanto piuttosto dalla conoscenza dello sdoppiamento che ne allorigine, nel secondo opera una mozione diretta degli affetti, che non lascia spazio al confronto con la realt e che non possibile qualicare come semplicemente dilettevole40 . La condizione necessaria a che una qualunque passione, anche il dolore, sia fonte di piacere che essa sia rappresentata e non subita, ossia che la sua ricezione da parte dello spettatore sia congiunta alla consapevolezza dellinesistenza di una causa reale, dal che consegue la certezza di poter revocare lassenso in qualunque momento. Nel caso della nzione, il controllo razionale non viene mai meno e la sua stessa nalit si determina spesso come un ampliamento della conoscenza del reale, nel modo delluti. Un esempio in questo senso quello della nzione mitologica, di cui gi Platone aveva ampiamente mostrato il possibile impiego in losoa nella misura in cui poteva consentire unapprossimazione alla verit attraverso la similitudine. La via dellanalogia era stata oggetto di valutazione attenta anche da parte di Agostino, soprattutto perch numerosi passi delle Sacre Scritture presentavano oscurit che potevano essere dissipate solamente attraverso una lettura che ne riconoscesse il signicato metaforico e si assumesse, di conseguenza, lonere della decifrazione41 .
40 Lapprofondimento di questo tema rinviato al 3.3.1, dove verr presa in esame linuente e articolata teorizzazione aristotelica. 41 Agostino non esclude, dunque, che in alcuni casi la nzione possa costituire lunica via al coglimento della verit, come, ad esempio, in quei passi delle Sacre Scritture in cui la Sapienza

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CAPITOLO 2. LINGUAGGIO E ARTI LIBERALI

Egli si dimostra perfettamente consapevole, tuttavia, del fatto che la potenza suggestiva della metafora consiste essenzialmente nella capacit di esprimere ci che sfugge alla relazione semantica tra verbum e res tramite la falsit della rappresentazione e che questa circostanza la accomuna innegabilmente alla nzione e alla menzogna. Il problema di come stabilire il discrimine affrontato, nel De Mendacio, tramite lapprofondimento del valore espressivo dello scarto tra la cosa e il modo in cui il soggetto pu scegliere di esprimerla, spazio che si estende proporzionalmente al grado di arbitrariet della signicazione e in cui coesistono pericolo di fraintendimento e forza espressiva, soggettivit della forma e oggettivit del contenuto alluso dal linguaggio gurato. Questultima pu essere fatta emergere solo in virt di un atto di decodicazione e il carattere di necessit proprio dellatto ermeneutico conferma la caratterizzazione in senso convenzionale del legame signicato-signicante, ovvero limpossibilit di un accesso diretto al signicato delle cose attraverso il solo sembiante esteriore. Il discrimine tra linguaggio gurato e menzogna, dunque, appare dipendere dallesercizio di un atto interpretativo che, nel tentativo di attingere il contenuto verace oltre la rappresentazione, impedisce la valutazione di questultima come autonoma. Il fatto che Agostino riconosca un ruolo centrale allatto ermeneutico non implica, tuttavia, che esso sia investito di un valore diverso da quello puramente strumentale. Esso rappresenta, in un certo senso, un male necessario, una fase ineliminabile della comunicazione attraverso la quale possibile cogliere la verit contenuta nel messaggio, ma che, nel contempo, espone linteprete al potente fascino esercitato dallimmagine. Questultimo, come si visto, pu declinarsi in diversi modi e per diversi ni. Se la via caratteristica della menzogna il tentativo di piegare linterlocutore imponendo un contenuto non per mezzo di unespressione suadente, ma prevenendo piuttosto il sorgere stesso del dubbio tramite il semplice occultamento della verit, la capacit persuasiva della retorica, che pure pu essere impiegata per far credere il falso, si esercita a partire dal dato palese dellalternativa, cercando di piegare lassenso in un modo o nellaltro per mezzo di un uso accorto della forma del linguaggio. Radice ultima dellefcacia di questa forma, la potenza del
divina si servita di immagini per comunicare qualcosa che non era ancora il momento di rendere pienamente e universalmente acessibile.

2.4. IL NUOVO PROGETTO DEL DE DOCTRINA CHRISTIANA

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suono giudicata non dallautorit, ma dalla ragione e dai sensi trovava nellars musica la compiuta esposizione delle regole e dei principi, i quali, sebbene non applicati in funzione di un contenuto da trasmettere, indicavano in che modo, concretamente, la presenza ordinante del numero si rendesse percepibile nella disposizione dei suoni.

2.4 Il nuovo progetto del De doctrina christiana


Il progetto enciclopedico tracciato nel De ordine, come noto, fu realizzato solo in parte: oltre al De musica, di cui furono composti solo i sei libri dedicati alla ritmica e non quelli relativi alla melodia, Agostino abbozz soltanto un De dialectica e un De rethorica, dei quali stata per molto tempo posta in dubbio lautenticit. Dopo la sua ordinazione, del resto, egli stesso ammise di essere stato costretto a trascurare questo genere di studi per dedicarsi con assiduit ai compiti imposti dalla nuova missione pastorale. Il mutato scenario della sua riessione, tuttavia, non comport labbandono del modello educativo classico quanto piuttosto una sua ristrutturazione, tesa, a partire dalla consapevolezza della validit di alcuni contributi della cultura pagana, alla messa a punto di strumenti efcaci per lesegesi scritturistica e la catechesi. Lopera in cui Agostino elabor concretamente un progetto di cristianizzazione della paideia classica a ni esegetici e pedagogici fu il De doctrina christiana che egli inizi a comporre nel 395, poco tempo dopo essere diventato vescovo e, dunque, a quasi una decina danni di distanza dal De ordine. La struttura dellopera modellata sullo schema retorico classico bipartito in modus inveniendi e modus proferendi: i tre libri che compongono la prima parte, infatti, propongono un riadattamento della tecnica di ricerca degli argomenti in vista dellelaborazione di unermeneutica biblica, mentre il quarto e ultimo libro tenta il recupero dellarte della parola eloquente, capace di muovere allassenso mediante lo stile. La dipendenza dal modello educativo liberale innegabile, ma altrettanto evidente la volont di superarlo in vista delladeguazione alle esigenze del Cristianesimo, determinate primariamente dallevento incommensurabile della Rivelazione. In questa prospettiva, per quanto indubitabilmente il De doctrina christiana manifesti unimmediata destinazione tecnica, necessario non

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CAPITOLO 2. LINGUAGGIO E ARTI LIBERALI

misconoscerne la portata dottrinale, che lo congura come un vero e proprio sistema enciclopedico cristiano retto dalla fondamentale distinzione tra uti e frui: La stessa tecnica ermeneutica o retorica soltanto un mezzo temporale da utilizzare (uti) in relazione al ne eterno che vuole conoscere, cui vuole tornare e di cui vuole fruire (frui)42 . Nel secondo libro del trattato Agostino affronta in modo diretto il tema del nesso tra la dottrina teologica cristiana e le arti liberali, che si congurano in termini esclusivi di utilit e di efcacia in quanto mezzi ermeneutici ed espressivi, dotati di una capacit anagogica che li rende guida afdabile nella ricognizione dellordine razionale onniformante. Alla luce del presupposto secondo cui il contenuto dottrinale della teologia cristiana si rende accessibile nella forma di un insegnamento razionale che pu essere colto mediante latto ermeneutico, il De doctrina christiana si congura a pieno titolo come prosecuzione delloriginario progetto enciclopedico tracciato nel De ordine. Un contributo di cui necessario tenere conto al ne di valutare il signicato della proposta del De doctrina christiana quello di G. Lettieri43 , il quale, partendo dalla rilevazione di una discontinuit nella posizione dottrinale di Agostino, individua un corrispondente mutamento nella sua valutazione della retorica. La discontinuit in questione interviene nel lasso di tempo che separa la composizione dei primi tre libri del trattato dallultimo ed emerge con improvvisa prepotenza nella serie dei commentari paolini, in cui il punto di rottura rappresentato dallassunzione della dottrina della grazia esposta in Ad Simplicianum (I, 2). In questo scritto Agostino analizza un passo della Lettera ai Romani (9, 10-29), in cui Paolo dichiara senza incertezze lassoluta impotenza di ogni atto delluomo al cospetto dellimperscrutabile e, come Lettieri incisivamente la denisce, anarchica volont di Dio: E non tutto; c anche Rebecca che ebbe gli da un solo uomo, Isacco nostro padre: quando essi ancora non erano nati e nulla avevano fatto di bene o di male - perch rimanesse fermo il disegno divino fondato sullelezione non in base alle opere, ma alla volont di colui che chiama - le fu dichiarato: Il maggiore sar sottomesso al minore, come sta scritto: Ho amato Giacobbe e ho odiato Esa. Che diremo dunque? C forse
[79, p. 25.] G. Lettieri, op. cit. La sintesi proposta in queste pagine riprende il contenuto dei primi quattro capitoli del libro.
43 Cfr. 42 Cfr.

2.4. IL NUOVO PROGETTO DEL DE DOCTRINA CHRISTIANA

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ingiustizia da parte di Dio? No certamente! Egli infatti dice a Mos: User misericordia con chi vorr, e avr piet di chi vorr averla. Quindi non dipende dalla volont n dagli sforzi delluomo, ma da Dio che usa misericordia (9, 10-16). Il mutamento di prospettiva radicale: se negli scritti anteriori allAd Simplicianum e, in compendio, nella prima parte del De doctrina christiana, la volont delluomo era chiamata a dare un libero assenso alla vocatio divina, in quelli successivi questultima diviene causa interiore e irresistibile, necessariamente efcace (effectrix bonae voluntatis) in quanto creatrice del consenso stesso. Un aspetto degno di particolare attenzione che Agostino, nel suo commento, giustica la non coincidenza tra i vocati e gli electi44 trasferendo lanalisi sul piano dellefcacia retorica e riportando il mancato ottenimento del consenso al diverso grado di persuasivit della vocatio, che pu dunque risultare intenzionalmente congrua o incongrua. Al ne di determinare in modo pi accurato lo scarto tra vocatio e consensus nella svolta agostiniana, Lettieri ne propone una lettura in rapporto alla gnoseologia stoica di Crisippo e alla reinterpretazione che ne fece Cicerone, animato dalla preoccupazione di difendere la libert dellassenso. Se Agostino, prima della rivoluzione di Ad Simplicianum I, 2, aveva mostrato di essere molto vicino alla posizione ciceroniana del De fato, in cui levidenza della rappresentazione (visum) aveva s il potere di indurre un adpetitus nellanima, ma il consensus era comunque rimesso alla ragione, a partire dal commento al passo paolino egli avrebbe manifestato una maggiore afnit con la visione crisippea, che sebbene non attribuisse al fato un operare prevaricante, nondimeno ne affermava il carattere necessario45 . La conciliazione delloperare irresistibile e predestinante della grazia con il libero arbitrio delluomo risultava dunque solo in virt di una drastica relativizzazione del signicato di questultimo che, privato della capacit di orientare la volont a prescindere dalla forza attrattiva delloggetto, si trovava piuttosto a subirla e a determinare lagire in funzione di essa, senza esibire alcun merito46 . Qualunque movimento interiore di consenso, in
riferimento alle parole di Ges riportate in Mt. 20, 26 e 22, 14: Multi vocati, pauci electi. passo della lettera di Paolo prosegue in questo modo: Mi potrai per dire: ma allora perch ancora rimprovera? Chi pu infatti resistere al suo volere? O uomo, tu chi sei per disputare con Dio? Oser forse dire il vaso plasmato a colui che lo plasm: Perch mi hai fatto cos? Forse il vasaio non padrone dellargilla, per fare con la medesima pasta un vaso per uso nobile e uno per uso volgare? (Rom. 9, 19-21). 46 Detto in altri termini, mentre ci che, prima di Ad Simp. I, 2, consentiva ad Agostino di rica45 Il 44 Il

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CAPITOLO 2. LINGUAGGIO E ARTI LIBERALI

denitiva, doveva essere inteso come dono assolutamente gratuito dellinnita misericordia divina, consistente nellelezione per mezzo di una vocatio congrua, ovvero intenzionalmente persuasiva47 . In questa prospettiva supponendo plausibilmente che, durante la stesura dei primi tre libri del De doctrina christiana, Agostino non concepisse ancora la grazia in termini di persuasione irresistibile, tutto lapparato ivi messo a punto, nalizzato alla corretta esegesi delle Sacre Scritture e, in ultima analisi, alla conquista di una condizione meritevole di salvezza, in seguito alla svolta perdeva ogni senso. Lo stesso concetto di atto ermeneutico rimaneva del tutto svuotato, cos come il compito di adeguarsi attivamente alla volont divina di fronte al dispiegarsi di una grazia imperscrutabile nei suoi decreti e in potere di sconvolgere persino lordine etico e ontologico razionalmente ricostruibile dalluomo a partire dal testo sacro48 . A questo proposito, Lettieri49 osserva che lo scarto dottrinale di Agostino rimarcato da una vistosa differenza dal punto di vista dello stile espositivo, che se nella prima parte del De doctrina christiana risulta costantemente freddo e impersonale, pervaso da un tono di sereno ottimismo, in Ad Simplicianum I, 2 e negli scritti successivi lascia percepire una tragica sducia nei confronti della capacit umana di conoscere e di compiere un percorso autonomo di ascesi. Se dunque, come si diceva, la riformulazione del modello pedagogico e retorico classico attuato nella prima parte del trattato poteva a buon diritto essere considerata come la realizzazione del giovanile progetto enciclopedico agostiniano, lassunzione della teoria della grazia indebita, con il suo carattere marcatamente eteronomo, comportava invece la denitiva negazione del valore della cultura umanistica e, con essa, la rinuncia allideale liberale di uno sforzo autonomo, capace di orientare la volont in funzione della sapienza appresa e accumulata nella disciplina. Il venir meno del carattere universale della
vare uno spazio di esistenza per il libero arbitrio delluomo era la sua ricomprensione allinterno dellonniscienza di Dio, che ne lasciava per intatto il valore di merito, ci che rimaneva in seguito allassunzione della teoria della grazia indebita era solo la sua immeritabile chiamata, che attraeva una volont esclusivamente ricettiva e di per s incapace di bene. 47 Da un punto di vista grammaticale, il mutamento di prospettiva tra la prima parte del De doctrina christiana e Ad Simpl. I, 2 determina una diversa interpretazione del genitivo di amor Dei, rispettivamente come oggettivo e soggettivo. 48 Lettieri parla a questo proposito di ordine ontoteologico, intendendo con ci una denizione metasica di Dio come supremo Essere intelligibile e immutabile, cui lintera realt mutevole rinvia come origine e ne del proprio essere ovvero, in ultima analisi, unanagogia. Cfr. Ivi p. 25. 49 Cfr. Ivi p. 94.

2.4. IL NUOVO PROGETTO DEL DE DOCTRINA CHRISTIANA

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vocatio che coincideva, di fatto, con la perdita della possibilit di interpretare il segno del testo sacro quale tramite della volont divina, comportava il dissolversi del fondamento che costituiva la stessa condizione di possibilit del sapere e, dunque, un vero e proprio scacco conoscitivo: allaccesso razionale, e perci universale, si sostituiva la chiamata interiore, immeritata e insondabile, causa infallibile della conversione del singolo. Giusticata in questo modo linterruzione nella stesura del De doctrina christiana, necessario comprendere quale motivo spinse Agostino a completarla dopo un trentennio, nonostante il sussistere di uninnegabile incompatibilit dal punto di vista teologico e dottrinale. Lettieri50 , a questo proposito, sostiene che tale ripresa sottointendeva un paradossale compromesso tra anarchia della grazia e persistente apologia della metasica dellordine e della mediazione ecclesiastica, intendendo con ci alludere non a una posizione banalmente contraddittoria, quanto piuttosto a una coesistenza su piani differenti, quello fenomenico della manifestazione storica e quello noumenico della grazia imperscrutabile. Secondo questa interpretazione, il paradosso generato dal tentativo di porre al centro il concetto di Dio come soggetto assoluto poneva s il costo della negazione di ogni autonomia al soggetto nito, ma senza annullarne la dimensione storico-esistenziale. La crisi della metasica dellordine che strutturava la dottrina della prima parte del De doctrina christiana non produsse la banale negazione della sua validit, quanto, piuttosto, la constatazione della sua insufcienza quale strumento in grado di assicurare la salvezza. Il sapere accessibile alla ragione, per quanto oggettivamente fondato e aderente alla realt, autonomamente considerato non era che vana curiositas, condizione necessaria ma non sufciente. Laspetto di straordinaria novit della prospettiva agostiniana, dunque, consistette nel mantenere affermata la validit dellordine dellessere stabilito da Dio e, allo stesso tempo, lulteriorit di questultimo in quanto potenza creatrice inesauribile e indeterminabile, capace di operare qualunque sconvolgimento. Nella mutata prospettiva di Agostino, insomma, lassoluta trascendenza divina si manifestava nella forma della rivelazione di un evento sempre aperto, che rendeva impossibile listituzione di una dottrina che lo ssasse deniti50 Ivi

p. 119.

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CAPITOLO 2. LINGUAGGIO E ARTI LIBERALI

vamente come un dato di cui fosse possibile disporre. Lettieri51 parla a questo proposito di eccedenza escatologica, intendendo con ci esprimere lultimit di Dio rispetto a qualunque oggettivazione e rivelazione storica, la vanit di ogni ordine naturale e umano al cospetto di una grazia assolutamente libera. In questa prospettiva il contenuto della doctrina christiana, per quanto veritativamente fondato, appariva costitutivamente ambiguo: per un verso inutile prodotto di un operare che, nella pretesa autosufcienza dellapplicazione della regola ermeneutica, peccava di superbia, per un altro strumento di rivelazione e di persuasione efcace, necessariamente accompagnato dalla predestinazione della grazia che concedeva al singolo il dono dellinterpretazione. La necessit di conciliare la dottrina della predestinazione con laffermazione del carattere non accidentale della manifestazione storica del Cristianesimo giustica la scelta di completare il De doctrina christiana con laggiunta di un quarto libro in cui la cultura umana, in particolar modo quella ecclesiastica, trova il proprio signicato nel rendersi strumento a disposizione della grazia. Il fatto che la predestinazione sia irrevocabile, infatti, non elimina la necessit dellatto della sua proclamazione, per quanto essa si mantenga a un livello esclusivamente fenomenico52 . Oltre a ci, in modo piuttosto inaspettato e discorde rispetto al modo di sentire dominante della cristianit coeva, Agostino mostra di attribuire grande importanza al modus proferendi adottato nella trasmissione della dottrina, per quanto, coerentemente con la posizione assunta, egli sottragga ogni merito e potere allagente sico della comunicazione, loratore ecclesiatico, riconducendo completamente lefcacia persuasiva del suo operare alla gratuit del dono divino. In modo affatto dissimile rispetto allatteggiamento di coloro che auspicavano lafdarsi senza riserve alla mediazione dello Spirito nellinterpretazione delle Scritture53 , Agostino riconosce nellintervento diretto di Dio la condiziodi fatto, quella di salvare i fenomeni ossia, pi precisamente, di tenere ferma lautorevolezza della Chiesa nel suo ruolo esclusivo di mediatrice della volont di Dio presso i fedeli. 53 Nel prologo del De docrina christiana Agostino mostra implicitamente il proprio dissenso rispetto a questa posizione collocandone i sostenitori tra gli autori di possibili critiche allinsegnamento proposto: Una terza schiera di critici di quelli che effettivamente sanno interpretare bene le Sacre Scritture ovvero presumono di saperlo fare: poich vedono o credono di aver ricevuto la capacit di spiegare i libri sacri senza aver mai letto osservazioni del tipo di quelle che io intendo ora pubblicare, protesteranno che queste norme non sono necessarie a nessuno, perch tutto ci che delle oscurit di quei testi si riesce a interpretare in modo plausibile, lo si pu ottenere per
51 Ivi 52 La preoccupazione di Agostino ,

p. 129 ss.

2.4. IL NUOVO PROGETTO DEL DE DOCTRINA CHRISTIANA

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ne necessaria ai ni della conversione54 , il che comporta laffermazione della relativa indifferenza del suo contenuto. Il rapporto tra il quid consistente nella sostanza dottrinale e il quo modo della sua forma espressiva si congura quindi in termini di attuazione del primo nella prassi efcace del secondo, di compimento per opera dellazione vivicante della grazia (persuasio) sulla dottrina (cognitio). Se per un verso la dottrina presupposta come momento necessario, per laltro la sua comunicazione ne costituisce linveramento, senza di cui essa rimarrebbe un sapere impotente e inutile. Il fatto che la grazia si serva di uno strumento elaborato dalla cultura umana come larte retorica e afdi ad esso la trasmissione di una volont che luomo non pu cogliere autonomamente, sovverte in maniera inedita e profonda lequilibrio da sempre vigente nella tradizione della paideia liberale, poich impone la subordinazione del docere al persuadere, del sapere epistemico a quello tecnico, ravvisando la cifra della formazione culturale delluomo nel radicale annullamento della sua autonomia. Si tratta di un passaggio gravemente signicativo, la prima compiuta affermazione della supremazia della forma (elocutio) sul contenuto (inventio), del momento dellefcacia operativa su quello conoscitivo e, in ultima analisi, della tecnica sul sapere oggettivo ma impotente in cui consisteva lars secondo il modello agostiniano. La consapevolezza che rimane sullo sfondo la medesima che, sin dallinizio, aveva accompagnato la costituizione dellarte retorica e motivato latteggiamento di sufcienza frequentemente manifestato dai loso nei confronti di una disciplina resa necessaria solamente dallindolenza delluomo comune. Se nel rapporto tra losoa e retorica, tuttavia, il carattere marcatamente elitario55 del possesso della conoscenza poteva giusticare la
dono di Dio (divino munere). 54 Anche in un dialogo come il De ordine, che manifesta un ottimismo e una ducia tipicamente umanistici, si insinua il timore che luomo non possa, con le sue sole forze, mettere in pratica i precetti che avrebbero il potere di renderlo meritevole di salvezza. Il fatto che Agostino si affatichi a controbattere al sospetto classicandolo come pregiudizio, non toglie consistenza al dubbio di Alipio: Infatti non so perch, cosa spero sia lontana da noi, lanimo umano mentre ode questo genere di cose, le proclama celesti, divine, assolutamente vere, ma nel desiderarle si comporta in altra maniera, tanto che mi sembra del tutto certo che cos possono vivere o uomini divini, o uomini non privi di un aiuto divino (ord. II, x, 28). 55 Nel De ordine, poco prima di proporre una denizione della ragione e un compendio della conoscenza che essa pu ottenere applicandosi allo studio della razionalit dellordine imposto da Dio, Agostino ammette che laccesso a questo genere di conoscenza, di per s certa e onnicomprensiva, interdetto alla maggior parte degli uomini: Tuttavia che anche queste cose, che riconosciamo come irrazionali, non siano al di fuori dellordine divino, una profonda disciplina, la pi pallida idea della quale lontanissima dalla moltitudine, promette di manifestarlo agli stu-

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CAPITOLO 2. LINGUAGGIO E ARTI LIBERALI

svalutazione dellimportanza della forma con cui essa veniva proposta, offrendosi altres come possibile criterio per discriminare i discepoli valenti da quelli incapaci, nel caso del rapporto tra retorica e Cristianesimo la discriminazione tra eletti e dannati avveniva su una base completamente differente. Poich la dimensione propria della vita cristiana non era pi quella della conoscenza ne a se stessa, conquistata dal singolo grazie alle sue doti naturali e alla sua dedizione, ma quella dellazione determinata in vista della salvezza concessa da una volont non vincolata nemmeno dallordine delle cose, lautoevidenza della verit non poteva pi costituire una guida e ogni decreto doveva essere rimesso allarbitrio divino, di fronte al quale tutti gli uomini apparivano ugualmente impotenti. Nella sua analisi del quarto libro del De doctrina christiana Lettieri56 riconosce il sussistere di unanalogia strutturale tra la dottrina agostiniana della grazia e la teoria ciceroniana degli stili retorici e, guardando al di l dellimmediata nalit tecnico-pratica del trattato, riconosce il vero intento di Agostino in quella che denisce una impressionanate teologizzazione (e non mera ecclesiasticizzazione) della retorica ciceroniana, culminante nella messa a punto di una teoria perfettamente cosciente, e ben pi rivoluzionaria, della retorica divina, cio della parola umana come fenomeno del Verbo divino. Lobiettivo di riconvertire unespressione eminente della cultura pagana come il sistema delle arti liberali in utile strumento per lo studio e la predicazione della Scrittura, obiettivo perseguito da Agostino nella prima parte del De doctrina christiana, viene quindi superato nella dissoluzione della condizione di possibilit stessa del rapporto ermeneutico - la stabilit del messaggio e il fronteggiarsi di due poli comunicativi, in questo caso Dio e luomo - in seguito alla neutralizzazione della ragione di fronte allimprevedibile irrompere nellanima di una passione invincibile. Allessenza partecipativa del docere, dunque, si sostituiva quella unidirezionale dellinfusione dello stato di grazia che annullava il contributo delluomo e concentrava ogni aspetto di attivit in Dio. Bench loperare onnipotente della grazia potesse servirsi di qualunque strumento umano cos come di nessuno, la tripartizione ciceroniana degli stili
diosi e agli animi amanti solo di Dio e delle anime, in modo tale da non poterci essere pi certe le somme dei numeri (II, vii, 24). 56 Cfr. Ivi p. 465 e ss.

2.4. IL NUOVO PROGETTO DEL DE DOCTRINA CHRISTIANA

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retorici sembra assumere per Agostino la valenza di una vera e propria categorizzazione esplicativa dei diversi modi di rivelzione di Dio. I primi due, riconoscibili nella durezza del messaggio veterotestamentario e nella dolcezza suadente della predicazione di Ges, rientrano nella modalit della comunicazione esteriore, che presuppone ancora la libert di assenso dellinterlocutore, esemplicando, rispettivamente, lo stile semplice, usato per rendere accessibile a tutti la volont divina nella forma del precetto e lo stile temperato, diretto ancora universalmente, ma nella forma della suasio, della rivelazione bella che chiama alla salvezza senza per ancora operare la conversione. In sostanziale discontinuit rispetto al docere dello stile semplice e al delectare di quello temperato, il ectere dello stile elevato si realizza invece senza alcuna mediazione, interiormente e ineffabilmente, mosso da unazione irresistibile che vince ogni resistenza senza tuttavia esercitare violenza alcuna, commuovendo intimamente lanima e inammandola damore. Ci che, sempre secondo la lettura proposta da Lettieri, Agostino compie a seguito della svolta pu dunque essere inteso come unassolutizzazione dellideale psicagogico ciceroniano implicante un radicale slittamento dellambito di considerazione, che sembra dare adito a una quantomeno implicita rivalutazione dellelemento arazionale: Dimensione, questa della persuasio, che gi Aristotele, Cicerone e i principali trattati classici di retorica riportavano allambito psicologico del patetico, e non delletico, allambito estetico del tragico, e non del comico, allambito dellirruzione dell straordinario, del sublime, del trascendente, che si rivela come grandiosa, violenta rottura dellordinario, del quotidiano, dellimmanente57 .

57 Cfr.

Ivi p. 473 ss.

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CAPITOLO 2. LINGUAGGIO E ARTI LIBERALI

Capitolo 3

Ragione e anima a-razionale


3.1 Teoria della sensazione e giudizio estetico
Agostino affront con cura particolare lo studio del meccanismo siologico della conoscenza sensibile in quanto esso rivestiva un ruolo fondamentale nel contesto della complessa relazione tra lanima e il corpo. Ripercorrere i punti salienti della riessione agostiniana in proposito, pertanto, consente di illuminare lo specico della sottesa concezione delluomo quale unione divisa di sostanze e di ricostruire, in funzione di questa, la valutazione delle attivit esercitate dal corpo e dallanima. La denizione di questo rapporto, cos come emerge dellanalisi dei testi agostiniani1 , non lineare. Se vero, infatti, che il corpo si congura come strumento dellanima, vero anche che a questultima attribuito il compito di prendersene cura, di modo che luso che lanima si trova a fare di esso dimostra di non avere altro scopo che la conservazione e il mantenimento del benessere del corpo stesso. In questa prospettiva la valutazione del signicato della conoscenza sensibile, unico punto di contatto tra le due sostanze, diviene necessaria al ne di determinare la qualit della loro relazione ovvero, in particolare, se
1 Per quanto riguarda la stagione giovanile del pensiero agostiniano i testi di rferimento sono il De quantitate animae e il sesto libro del De musica, i quali affrontano il problema in termini rispettivamente gnoseologici e psicologici. Tra quelli appartenenti alla tarda maturit, invece, lundicesimo libro del De Trinitate sviluppa il tema in funzione della somiglianza riscontrabile tra luomo esteriore e la Trinit, alla luce della quale il corpo risulta investito di maggiore considerazione rispetto al periodo immdiatamente successivo alla conversione, pesantemente condizionato dalla preoccupazione di prendere distanza dal materialismo manicheo.

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CAPITOLO 3. RAGIONE E ANIMA A-RAZIONALE

essa si ponga in termini di accidentalit o se, nonostante lincommensurabilit, il contributo del corpo sia indispensabile per la vita spirituale delluomo. Lelemento che Agostino maggiormente si preoccupa di ribadire analizzando il fenomeno della sensazione la negazione di qualunque elemento di passivit nellanima, negazione che viene formulata in modo netto con la dichiarazione che massimamente assurdo concepire lanima come una materia che un corpo possa quasi foggiare modicandola con le sue impressioni (perabsurdum fabricatori corpori materiam quoquo modo animam subdere) (mus. VI, v, 8). Ci che egli mantiene fermo, dunque, che la sensazione identica prima di tutto unattivit dellanima. Una volta chiarito che lanima non pu subire alcunch dal corpo, si presenta il problema di stabilire in quali termini si dia la loro interazione ossia, pi precisamente, in che modo il fatto di identicare la sensazione come azione dellanima sia conciliabile con il sopravvenire di una modicazione prodotta da un evento sico esterno. Questo aspetto del problema, che presenta un taglio marcatamente psicologico, affrontato nel sesto libro del De musica, dove Agostino si preoccupa di mostrare come la vivicazione del corpo da parte dellanima si conguri nei termini di un vero e proprio facere2 da parte di questultima. La denizione proposta da Agostino chiarisce come ci avvenga determinando lattivit dellanima in termini di attentio, di coscienza3 di quanto avviene nel corpo: Vedo ormai che si deve dare una denizione tale che la sensazione sia unaffezione del corpo di cui lanima consapevole tramite laffezione stessa (passio corporis per seipsam non latens animam)4 (an. quant. xxv,
2 Si veda, a questo proposito, il confronto operato da S. Vanni Rovighi in merito alle traduzioni disponibili del seguente passo del De musica: Ego enim ab anima hoc corpus animari non puto, nisi intentione facientis (mus. VI, v, 9), in cui risulta ambiguo luso del termine facientis. La versione proposta da Rohmer (Lintentionalit des sensations chez St. Augustin, p. 494) coinvolge addirittura la nozione di intenzionalit: Jestime que lme anime le corps par lintentionalit de ses actes anche se, come lautrice osserva, il livello coinvolto ancora quello dellanimazione del corpo e non gi quello della conoscenza vera e propria. A parte questo, comunque, sembra plausibile intendere che facientis alluda allanima piuttosto che a Dio, poich il seguito del passo, che sembra porsi come specicazione del precedente, presenta nuovamente il medesimo termine, questa volta senza dubbi di attribuzione: Nec ab isto quidquam illam pati arbitror, sed facere de illo et in illo tanquam subiecto divinitus dominationi suae. Cfr.[125, p. 20 ss.] In sostanziale accordo con questinterpretazione risulta essere anche M. Bettetini, che traduce lintero passaggio nella seguente maniera: A ogni modo io non credo che questo corpo sia animato dallanima se non per intenzione di colui che sta agendo. E non penso che lanima sia modicata dal corpo, ma che agisca in esso e su di esso in quanto soggetto al suo domnio per volere divino. 3 Sempre S. Vanni Rovighi osserva che il concetto di sensazione come non sfuggire allanima di ci che accade nel corpo di matrice plotiniana. Cfr. Ivi p. 21. 4 Questa formulazione quella che viene considerata denitiva nel De quantitate animae e che deriva dalla correzione di una prima versione in cui la sensazione era intesa come un non latere ani-

3.1. TEORIA DELLA SENSAZIONE E GIUDIZIO ESTETICO 48).

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Lespressione portante della formula, cui afdato il compito di custodire lirriducibilit dello stimolo esterno evitando nel contempo di ammettere un dominio del corpo sullanima non latere, indicativo di una presenza immediata allanima da parte di qualcosa che altro da essa. Su questo punto ha insistito con particolare vigore S. Vanni Rovighi5 , la quale ha sottolineato come il carattere ultimativo del non latere, inteso come condizione di possibilit stessa della conoscenza nel suo essere costitutivamente rapporto ad altro, debba essere riguardato come un tratto originale del pensiero agostiniano, indizio di una caratterizzazione oggettiva della sensazione. Un altro aspetto che si trova contenuto nella denizione agostiniana quello dellimmediatezza della conoscenza sensibile, per cui ci che il corpo subisce dallesterno di per s sufciente (per seipsam) a indurre la sensazione, senza che si renda necessaria alcuna mediazione intellettuale6 . Contestualmente, necessario tenere presente che ci che lanima percepisce, nella misura in cui non le rimane nascosto (non latens animam), resta nettamente distinto dalla causa esterna (passio corporis), il che identica la sensazione come fenomeno di esclusiva pertinenza dellanima, nonostante accada per mezzo dei sensi. Come stato inizialmente affermato, la sensazione necessaria allanima per prendersi cura del corpo preservandone lintegrit dagli eventi esterni. Ci le attribuisce un carattere marcatamente strumentale, che sembrerebbe limitarne il ruolo allesercizio di tale custodia. Inoltre, sebbene lanima mantenga una forma di trascendenza, il fatto che tale obbligo sia disposto per volont divina sembra declinare la sua condizione in termini di asservimento. Se sul piano del meccanismo, infatti, lanima mantiene un ruolo esclusivamente attivo nella sensazione, su quello della nalit essa sembra occupare una posizione subordinata, in quanto costretta a svolgere una funzione di fatto eterodiretta. Secondo Agostino, lanima veglia costantemente sul corpo, ma presta attenzione a tale attivit solo qualora uno stimolo esterno modichi lequilibrio sico determinando, in funzione dellintensit della concentrazione indotta, sensazioni
mam quod patitur corpus. La specicazione qui contenuta serve ad escludere tutte le modicazioni del corpo la cui presa di coscienza non sia immediata ma ottenuta per inferenza, come nel caso della consapevolezza di crescere e di invecchiare. 5 Ivi p. 24 ss. 6 Cfr. [61, p. 77.]

82 dolorose o piacevoli7 .

CAPITOLO 3. RAGIONE E ANIMA A-RAZIONALE

La presenza vivicante dellanima nel corpo fa di questultimo unanima incarnata, escludendo la caraterizzazione di tale unione come giustapposizione di due sostanze estranee. Ne consegue che la sensazione, in quanto azione esercitata dallanima su se stessa, non si pone in discontinuit rispetto allambito della conoscenza intellettuale, ma si congura, anzi, come prima modalit di apprensione della verit. Come senza pensiero non pu esservi sensazione, cos senza la percezione degli enti creati esistenti al di fuori di essa lanima non pu avere alcuna conoscenza che non sia quella derivante da unintuizione puramente intellettuale. Ci che resta fermo che la sensazione non pu produrre scienza poich il giudizio sulla verit delle cose le rimane interdetto: se vero, infatti, che le modicazioni che interessano i sensi non sono mai false, come si visto, vero anche che una corretta valutazione delle rappresentazioni sensibili necessaria al ne di colmare lo scarto che spesso intercorre tra percezione e realt, come nel celebre esempio del remo spezzato. Bisogna dunque distinguere tra la modicazione istantaneamente prodotta da un oggetto sui sensi, dotata in ogni caso di un valore conoscitivo, bench potenzialmente ingannevole, e luso che di essa possibile fare e che deve escludere la sua elezione a criterio di verit8 . Se la conoscenza della verit in s, accessibile, secondo Agostino, solo tramite intuizione intellettuale non dipende dalla sensazione, questultima rimane comunque imprescindibile per la conoscenza della realt esterna al soggetto. Debitamente sottoposta al vaglio della ragione, la sensazione pu dare origine a conoscenze vere e, prima ancora, fornire al soggetto rappresentazioni che in nessun altro modo potrebbero essere ricavate, come ad esempio quella del colore e del suono9 . La relazione che si istituisce tra loggetto percepito e la sua
7 In particolare, il dolore si congura come lo sforzo che lanima compie per ricondurre il corpo nella sua condizione di equilibrio mentre il piacere segnala il suo avvenuto ristabilimento, s che risulta possibile descrivere la sensazione come un incremento della concentrazione in corrispondenza di una modicazione straordinaria subita dal corpo. 8 Come F. Sciacca ha osservato, Agostino non considerava la sensazione in termini assoluti come scienza delloggetto, ma piuttosto come scienza di se stessa come modicazione del soggetto, fortemente determinata dallapparenza. Cfr. [128, p. 158.] 9 Cos chiunque pensi delle cose corporee, sia che lui stesso si crei limmagine di qualche oggetto, sia che oda o legga la narrazione di cose passate o lannuncio di cose future, ricorre alla sua memoria per trovarvi la misura e la regola di tutte le forme che il pensiero contempla. Infatti nessuno pu assolutamente pensare n un colore, n una forma corporea che non ha mai visto, n un suono che non ha mai udito, n un sapore che non ha mai gustato, n un odore che non ha mai sentito, n un contatto corporeo che non ha mai provato (trin. XI, viii, 14).

3.1. TEORIA DELLA SENSAZIONE E GIUDIZIO ESTETICO

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rappresentazione sensibile pu essere denita in termini di somiglianza, nella consapevolezza della quale consiste, in ultima analisi, la conoscenza delle cose esteriori10 . Per questo motivo, oltre a costituire la condizione di possibilit della memoria, che a sua volta lo della sensazione in quanto fenomeno non istantaneo, la sensazione risulta necessaria anche per limmaginazione, alla quale fornisce le rappresentazioni di base, non innate, sulle quali questultima pu in seguito esercitare unattivit di combinazione e di trasformazione. Lo schema dei rapporti di interdipendenza tra le facolt dellanima in qualche modo coinvolte dalla sensazione viene analizzato nel contesto del sesto libro del De musica, dove Agostino descrive nel dettaglio la fenomenologia della percezione-produzione sonora mediante classi di modalit di considerazione del suono rispetto al soggetto percipiente, denite per mezzo della nozione di numerus. Analizzando i diversi aspetti presenti nella declamazione del verso Deus creator omnium11 , Agostino individua ben cinque numeri mutevoli, distinti da quelli che, successivamente, denir numeri immutabili della ragione, ovvero i numeri sonanti (sonantes), presenti (occursores), progressivi (progressores), della memoria (recordabiles) e del giudizio sensibile (iudiciales). I numeri sonanti si trovano nel suono sico in s considerato, che uisce a prescidere dalla presenza di un ascoltatore. Gli altri quattro invece, riguardano altrettante modalit di presenza al soggetto ossia, rispettivamente, nellorgano di senso, in cui si formano per reazione alla modicazione sensibile, nellatto della recitazione, nella memoria e nel giudizio con cui egli, spontaneamente12 , valuta come gradevole o sgradevole la reazione suscitata da ci che ha udito. La gerarchia13 secondo cui Agostino dispone i cinque numeri rende manifesti i rapporti di dipendenza tra essi sussistenti: dopo i numeri iudiciales, cui viene riconosciuto senza esitazione un primato in virt del principio gi citato secondo cui solo il superiore pu giudicare linferiore, si susseguono i progressores, gli occursores, i recordabiles e i sonantes, in un modo che isola e colloca allultimo posto i numeri che effettivamente risuonano e che, a differenza degli altri tre, riguardano solo il corpo (qui certe corporei sunt vel quoquo
S. Vanni Rovighi, op. cit. p. 169. tratta dellincipit di un inno di SantAmbrogio. 12 Agostino afferma che il giudizio di gradevolezza o sgradevolezza viene esercitato dal soggetto come per virt di un diritto naturale (quasi quodam naturali iure) (mus. VI, iv, 5). 13 Cfr. VI, vi, 16.
11 Si 10 Cfr.

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CAPITOLO 3. RAGIONE E ANIMA A-RAZIONALE

modo in corpore) (VI, iv, 7). I dubbi iniziali del discepolo che, applicando criteri in seguito invalidati dal maestro14 , era tentato di ipotizzare la superiorit, rispettivamente, dei numeri recordabiles, in quanto pi a lungo permenenti, e dei numeri sonantes, in quanto causa della modicazione delludito, svaniscono presto di fronte al chiarimento portato dalla teoria della sensazione. Ci che consente di sciogliere ogni incertezza proprio la tesi portante che stata sopra posta in rilievo, la quale nega che lanima possa subire qualcosa dal corpo ovvero, equivalentemente, che in essa si producano numeri derivanti da quelli corporei15 . Meritevole di particolare attenzione il criterio con cui il maestro guida il discepolo nella determinazione dellordine gerarchico relativo ai numeri presenti nella sensazione, cio gli occursores e i progressores. Stabilita infatti senza troppo sforzo la superiorit di questa categoria di numeri rispetto a quelli della memoria, che da questi sono prodotti, resta da valutare quale operazione dellanima sia pi perfetta, se quella con cui essa sente o quella con cui produce qualcosa di numerico nella successione temporale (VI, vi, 16). La soluzione proposta dal maestro e accettata senza riserve dallallievo la seguente: i numeri progressores sono dellanima che si muove in rapporto al corpo (ad corpus), mentre gli occursores sono dellanima che si muove in reazione alle passioni del corpo (adversus passiones corporis) e poich i primi risultano essere pi autonomi (liberiores), in particolar modo quando lanima li produce in silenzio, devono per questo essere giudicati superiori. Ci che distingue i due generi chiarito dalluso della preposizione, ovvero ad nel primo caso e adversus nel secondo. Sebbene si tratti in entrambi i casi di operazioni in cui lanima esercita un ruolo attivo, pur vero che in uno essa chiamata a reagire e, in qualche modo, a contrastare ci che accade nel corpo mentre nellaltro, senza nemmeno doversi attenere a sequenze afdate alla memoria, pu combinare con spontaneit schemi che la mente possiede in maniera perfetta e che il senso, per la componente razionale che gli appartiene, sa come giustapporre. Oltre a questa osservazione di carattere elementare, che si limita a esplicitare la superiorit di un atto spontaneo rispetto a uno reattivo, sembra possibile
14 I criteri in questione sono quello che antepone il pi duraturo al meno duraturo e quello che antepone coloro che fanno alle cose fatte (factis facientes). 15 Cfr. VI, v, 8.

3.1. TEORIA DELLA SENSAZIONE E GIUDIZIO ESTETICO

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ipotizzare, nel caso dellanima che in silenzio e senza ricordare produce una sequenza inedita di suoni, un sottointeso carattere di gratuit, per certi versi analogo a quello del gioco. Ci che, oltre a uno stimolo esterno16 , sembra mancare in questa circostanza, infatti, la subordinazione dellattivit produttiva al ne dellespressione di un contenuto ovvero lassenza di una forma linguistica determinata da nalit espressive, circostanza, questa, che sembra svincolare lattivit dellanima da esiti differenti rispetto a quella che si potrebbe denire una sorta di esemplicazione gratuita delle regole della teoria musicale. Un caso eclatante in questo senso, di cui si discuter ampiamente in seguito, quello del canto dello jubilus, un vocalizzo privo di parole che, per Agostino, costituiva lautentica modalit espressiva della gioia ineffabile17 . Ci che sembra possibile affermare dopo quanto stato stabilito che i numeri mutevoli contribuiscono alla perfezione del corpo con la loro presenza ma che, al contrario, la loro assenza indotta tramite lallontanamento dai sensi richiesta per la perfezione dellanima. Agostino ammette, dunque, che il loro possesso possa essere allo stesso tempo conveniente e sconveniente per luomo considerato come unit di anima e corpo e questa circostanza lascia emergere la contraddizione che serpeggia lungo tutta la sua riessione, assumendo un ruolo decisivo nel contesto che il presente lavoro si propone di analizzare. Se la musica pratica, infatti, si occupa della manipolazione del suono e si concentra, pertanto, sugli elementi che ne descrivono la ricezione da parte del soggetto, la musica teorica astrae dal suono sico per risolversi nella contemplazione della struttura matematica che la ragione coglie al di l del dato, riconoscendola come causa ultima del piacere sensibile. Corrispondentemente, l dove la musica teorica esercita un effetto beneco sullanima favorendo il distacco dalle bellezze inferiori con la promessa della conoscenza del loro fondamento ontologico, la musica pratica interviene bloccando questo movimento di ascesa e
16 Ai ni dellefcacia, tuttavia, questo aspetto risulta per irrilevante poich, in un altro passo, Agostino aveva esplicitamente affermato che la sola concentrazione indotta dalla volont poteva essere sufciente a provocare la comparsa di reazioni siologiche analoghe a quelle che si sarebbero avute in presenza di una stimolazione effettiva: E ricordo di aver sentito raccontare da un tale che egli era solito farsi una rappresentazione cos viva e, per cos dire, talmente materiale di un corpo femminile, che la sensazione di essere ad esso unito come in modo carnale, giungeva al punto di provocargli lemissione di seme. Tanta la forza che lanima ha di agire sul corpo, e tanto il suo potere di modicare e cambiare il comportamento di questa veste corporale, che essa si pu paragonare a un uomo che, dopo aver indossato un abito, sia inseparabile da questa veste (trin. XI, iv, 7). 17 Cfr. in particolare il 5.1.1.

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CAPITOLO 3. RAGIONE E ANIMA A-RAZIONALE

incatenando lanima per mezzo del piacere sensibile indotto nel corpo. Come Sciacca18 ha osservato, la posizione di Agostino contrasta nettamente con quella di Platone nellaffermare che non c ingannevolezza nella sensazione ma che, anzi, essa ci che consente allanima di vedere, plotinianamente, una bella immagine vivente dellintelligibile19 e di cogliere, al di l di essa, il dispiegarsi di un ordine accessibile solo allocchio del pensiero. La dichiarazione pi nota ed esplicita in merito alla presenza di una traccia di razionalit nei sensi compare nel secondo libro del De ordine, precisata dalla sua limitazione alla vista e alludito: Cos quando vediamo un oggetto composto di parti proporzionate tra loro (congruentibus sibi partibus guratum), opportunamente diciamo che appare razionalmente (rationabiliter apparere). Allo stesso modo quando udiamo qualcosa che risuona in armonia (cum aliquid bene concinere audimus), non dubiatiamo nel dire che risuona razionalmente (rationabiliter sonat) (II, xi, 32). Gli altre tre sensi, gusto, olfatto e tatto, sono giudicati da Agostino come non rapportabili alla ragione, a meno che una sensazione non sia stata scientemente predisposta in vista di un determinato ne come, ad esempio, nel caso di un medicinale amaro. La spiegazione sottointesa sembra essere che mentre le sensazioni visive e uditive possono essere prodotte da un oggetto costruito secondo un progetto razionale - e non semplicemente in vista di un impiego razionale - quelle degli altri tre sensi sono da considerarsi naturali20 , intendendo che in esse, come subito dopo Agostino precisa, non interviene nessuna causa esterna (cum causa extrinsecus nulla sit), ma solo la soddisfazione di un piacere momentaneo (praesenti satisat voluptati). Il riferimento al piacere consente di specicare in altri termini la differenza che intercorre tra i due raggruppamenti appena considerati: Possediamo, per quanto si sia potuto ricercare, alcune tracce della ragione nei sensi e, per quanto riguarda la vista e ludito, anche nello stesso piacere. Gli altri sensi, non per il piacere che loro proprio, ma per qualcosa daltro sono soliti ottenere questo nome: cio
F. Sciacca, op. cit p. 173 ss. vera rel. XXXIII, 62. 20 Nessuno, invece, entrato in un giardino e portando alle nari una rosa oserebbe lodarla cos: Come profuma razionalmente!, neanche se il medico avesse comandato di odorarla - infatti si dice che il comando stato dato razionalmente e non che odora razionalmente - , perch quellodore naturale (quia naturalis ille odor est) (ord. II, xi, 32).
19 Cfr. 18 Cfr.

3.2. IMMAGINAZIONE E POIESI per qualcosa che fatto dallanimale ragionevole in vista di un ne. Ci che compete alla vista, a proposito del quale si dice che la proporzione delle parti razionale, di solito si chiama bello (pulchrum). Ci che compete alludito, quando diciamo che un concento razionale (quando rationabilem concentum dicimus) e che un canto ritmico composto razionalmente (cantumque numerosum rationabiliter esse compositum), ormai con nome appropriato chiamato dolcezza (suavitas). Ma non siamo soliti denire razionale (rationabile) n lessere allettati dal colore delle cose belle, n, nella dolcezza delludito (in aurium suavitate), il risuonare in modo quasi liquido e puro di una corda toccata (cum pulsa corda quasi liquide sonat atque pure). Ne consegue che dobbiamo accettare che nel piacere di questi sensi appartenga alla ragione ci in cui c proporzione e modulazione (ubi quaedam dimensio est atque modulatio) (II, xi, 33).

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Lesistenza di un rapporto di consequenzialit tra disposizione proporzionata delle parti e piacere si pu riscontrare, secondo Agostino, in quasi tutte le arti e le opere umane. Essa, tuttavia, non lunica componente da valutare nel giudizio di un prodotto artistico: se laspetto esteriore di per s considerato, infatti, pu essere identicato quale causa di piacere sia razionale - quello derivante dalla proporzione dellinsieme - sia puramente sensibile - quello qualitativo del singolo componente - la valutazione del suo legame con la manifestazione di un signicato risulta per Agostino del tutto decisiva. La caratterizzazione in senso strumentale del signicante emerge, in conclusione, ogniqualvolta latteggiamento nei confronti della forma non sia teoretico, ma tecnico: l dove la disposizione dei suoni analizzata come fenomeno (res) e ricondotta a uno schema di costruzione razionale essa senza indugio riconosciuta quale potenziale fonte di piacere sensibile, ma non appena essa sia calata in una veste sonora concreta, per il rischio che sia resa oggetto di fruizione non pu essere ammessa che nella condizione subordinata del verbum.

3.2 Immaginazione e poiesi


3.2.1 Sul concetto di immaginazione
Memoria e immaginazione sono due facolt tra le quali Agostino ravvisa un legame molto stretto poich da un lato il ricordo per lui una forma di immaginazione, dallaltro limmaginazione stessa dipende essenzialmente dalla

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memoria, sia in quanto riproduttiva, sia in quanto produttiva. La spiegazione di tale dipendenza evidente nel primo caso, in cui lattivit consiste per lappunto nel recupero delle immagini accumulate mentre nel caso dellimmaginazione produttiva rinvia al fatto che lattivit combinatoria in cui essa consiste richiede la preeesistenza di rappresentazioni che, per Agostino, non sono innate: Donde ha dunque origine il fatto che noi ci rappresentiamo le cose che non abbiamo mai viste? che cosa puoi pensare se non che vi una facolt di diminuire e di aumentare insita nellanima? dunque possibile allanima, servendosi dellimmaginazione, formare da quello che il senso ha introdotto in essa, togliendo, come si detto, e aggiungendo qualche cosa, delle immagini che in nessun senso riesce a cogliere nella loro totalit, ma che sono parti di ci che aveva colto in questo o quelloggetto (ep. VII, 6). Linusso dello stoicismo sulla teoria agostiniana dellimmaginazione forte e riconoscibile gi sul piano del lessico, anche se luso dei due termini phantasia e phantasma differisce sensibilmente e non applicato con rigore. Mentre gli stoici intendevano con phantasia unalterazione della mente sotto lazione delloggetto percepito e con phantasma un prodotto del pensiero ottenuto senza il concorso di cause esterne, Agostino21 ha usato spesso il primo per designare i moti dellimmaginazione riproduttiva, scaturenti come reazioni alle passioni del corpo e il secondo per indicare il risultato del comporsi di questi movimenti a causa dei diversi e contrastanti venti della coscienza (diversis et repugnantibus intentionis atibus) che esauriva, nella produzione di immagini di immagini22 , la portata dellatto poietico. Dopo aver affermato che la phantasia si trova nella memoria mentre il phantasma consiste in un moto dellanima sorto dai moti conservati nella memoria stessa23 , Agostino rimarca che richiamare una phantasia e ricavare un phantasma costituiscono due azioni distinte della potenza (vis) dellanima. La differenza pi vistosa riguarda il valore gnoseologico dellimmagine che, nel caso del phantasma, non pu produrre conoscenza e va pertanto riferita non allintelligentia, ma al pensiero rappresentativo (cogitatio). Un aspetto saliente della concezione agostiniana il riconoscimento di una
mus. VI, xi, 32. mus. VI, xi, 32. 23 In un modo infatti penso a mio padre, che ho visto spesso, e in un altro a mio nonno, che non ho visto. Il primo una phantasia il secondo un phantasma (mus. VI, ix, 32). Cfr. anche trin. VIII, vi, 9; XI, v, 8.
22 Cfr. 21 Cfr.

3.2. IMMAGINAZIONE E POIESI

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componente di creativit nelloperazione mentale in questione, cui si accompagna un senso di inquieta difdenza nei confronti dellattivit immaginativa e dei suoi prodotti, deniti addirittura come ombre infernali (ep. VII, 3, 7). Non era solamente il pericolo insito nel piacere con cui tali immagini potevano rinvigorire i vincoli dellanima al mondo sensibile a preoccupare Agostino, ma forse, ancor di pi, la forza insidiosa della tendenza dellanima allaffermazione della propria capacit produttiva, congiunta alla libera scelta del ne cui essa poteva essere rivolta. Questa valutazione trova una sorta di conferma, ad esempio, nel fatto che per Agostino labilit immaginativa identicava una peritia al pari delle arti applicate, il cui esercizio era perseguito in vista del raggiungimento di obiettivi determinati, come lefcacia persuasiva24 . La concezione della facolt immaginativa in termini di attivit distingueva Agostino non solo dalla teoria stoica, ma anche da quella plotiniana, che Nebridio sembra invece abbracciare nella Lettera VI. In quel contesto, infatti, anchegli collega strettamente memoria e phantasia affermando che nessun ricordo possibile senza limmaginazione, ma nel descrivere questultima come una sorta di ricettacolo, il cosiddetto animus phantasticus, giunge a ipotizzare che esso, come una sorta di mondo indipendente, contenga da sempre tutte le immagini senza alcun bisogno di ricevere dati dai sensi. Tale ipotesi, che mostra una certa afnit con la concezione plotiniana dellimmaginazione quale luogo intermedio di rappresentazione dei contenuti di pensiero e percezione25 , viene senza esitazione respinta da Agostino, che afferma invece che i sensi operano attraverso unimpressione dallesterno determinando limmaginazione come
24 Il ricorso alla fantasia era in effetti frequente in ambito oratorio e ci a motivo della potenza evocativa con cui otteneva di coinvolgere lascoltatore, quasi ponendo le cose davanti ai suoi occhi. Cfr. Quintiliano, Insitutione oratoria VI, ii, 32. In modo ancor pi accentuato, gli stoici ritenevano che alcune immagini potessero agire sullanimo senza che lascoltatore avesse la possibilit di opporvisi. Questa tesi era nota ad Agostino tramite una testimonianza di Aulo Gellio, come si apprende dalla lettura di un passo del De Civitate: Aulo Gellio afferma di aver letto in quel libro che gli stoici ammettono alcune percezioni dellanima, che chiamano phantasiae, senza poter sapere se e quando colgono lanima. Quando esse provengono da eventi terribili e spaventosi, inevitabilmente turbano anche lanima del sapiente; per un poco egli si spaventa e si rattrista, come se queste passioni superassero la mente e la ragione, senza tuttavia che per questo la mente concepisca il male o lo approvi o dia ad esso il suo assenso. Questi sono i limiti, secondo loro, della nostra volont, e questa lanima del sapiente e quella dello stolto; lanima dello stolto, infatti, cede alle passioni e accorda loro lassenso della mente; quella del sapiente, invece, bench necessariamente le debba approvare, tuttavia tiene fermo il proprio pensiero, vero e incrollabile, su ci che secondo ragione egli deve cercare o fuggire (IX, 4). 25 Era dunque necessario dare al corpo una parte dellanima, e darla a quella parte del corpo pi atta a riceverne lattivit; ma laltra parte dellanima, che non ha alcun rapporto con il corpo, si dovette pure metterla in comunicazione con quella parte che ne era solo una specie, e precisamente ua specie dellanima capace di percepire ci che viene dalla ragione (Enneadi IV, iii, 23).

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CAPITOLO 3. RAGIONE E ANIMA A-RAZIONALE

una vera e propria ferita (plaga inicta per sensus). Nella Lettera VII Agostino distingue tre generi di immagini: il primo quello delle immagini impresse dalle cose percepite attraverso i sensi (sensis rebus impressum), il secondo pi ampio e comprende le immagini generate tramite congetture (putatis), mentre il terzo riguarda le immagini costruite seguendo la ragione (ratis). Il criterio discriminante di questa classicazione pu essere ricondotto alla diversa modalit di conoscenza degli oggetti immaginati ovvero, rispettivamente, la percezione dellente reale, lopinione tramite lente di pensiero e la deduzione logico-razionale dellente intelligibile. Il primo genere di immagine , con tutta evidenza, quello coinvolto nella conoscenza degli enti sensibili mentre gli altri due condividono la facolt di sopperire allassenza materiale delloggetto conferendo forme alternative di presenza in virt della potenza evocatrice della parola o della determinazione puramente razionale del concetto. Secondo Agostino, le immagini che operano una ricostruzione dellaspetto esteriore di ci che con la parola viene evocato possono costituire un ausilio temporaneo per lanima, a condizione per di essere mantenute ben distinte dalla verit. Tale utilit va considerata in relazione al principale contesto dimpiego di questo tipo di immagini, che appare limitato a quello della comunicazione di contenuti appartenenti allorizzonte del probabile nel discorso ordinario e nella narrazione storica o favolosa. La condizione imprescindibile per un uso corretto, secondo Agostino, il mantenimento di un costante riferimento alla realt, che vieti di assecondare pretese di autonomia avanzate in forza della coerenza interna della rappresentazione. A seguito della sua esperienza in ambito oratorio, infatti, egli aveva senzaltro presente una tecnica26 che consisteva nel far ricorso allinvenzione di casi esemplari in grado di esibire unanalogia riconoscibile a quello trattato nellorazione, la cui mira, spesso era quella di sostituirli alle circostanze reali producendo non di rado impressioni ingannevoli sulluditorio27 . La terza categoria di immagini, quelle generate razionalmente, comprende
Quintiliano, Institutione oratoria V, 10, 95. difdenza di Agostino in merito a tale pratica e linsistenza con cui affermava la necessit di mantenere laderenza alle circostanze oggettive opponevano su questo punto la sua visione a quella di Aristotele che, nella Poetica, aveva stabilito la priorit del principio di coerenza interna su quello di realt.
27 La 26 Cfr.

3.2. IMMAGINAZIONE E POIESI

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inne le costruzioni operate a partire dai concetti matematici (numeris maxime atque dimensionibus agitur) come le gure geometriche, linnita variet dei numeri e i ritmi musicali. Al ne di precisarne lessenza, utile riferirsi alla distinzione tra gura fantastica e gura intelligibile che, nei Soliloquia, viene determinata in funzione del tipo di dimenticanza che le riguarda: mentre la prima, infatti, tale per cui il soggetto nulla pu trarre da s che possa in qualche modo orientarlo al recupero del ricordo, la seconda necessita solo di uno spunto per riemergere spontaneamente, come se tutto si diffondesse improvvvisamente per la memoria come una luce (II, xx, 34). Cos, ad esempio, se di fronte allaffermazione che pochi giorni dopo la nascita si sorriso nessuno pu giusticatamente esprimere un giudizio di verit o falsit e lunico atteggiamento possibile quello della credenza, nel caso dellapprendimento delle discipline liberali il sapere viene tratto dalloblio in forza di un vero e proprio processo di rimemorazione. Agostino non si trattiene dallesprimere a pi riprese la preoccupazione che lanima si fermi a ssare il volto della verit restituito dallo specchio del pensiero, frantumato nella molteplicit di falsi colori e false forme, senza pi mirare28 al coglimento privo di mediazioni dellessere uno e immutabile. Nonostante tale difdenza, tuttavia, egli non pu evitare di ammettere che la forza29 dellattivit immaginativa, per quanto potenzialmente fuorviante, risulta non di rado decisiva sul piano pratico, come nel caso delle discipline liberali. Senza di essa, infatti, la verit che riposa stabilmente presso se stessa, ma che si rifrange, nondimeno, nella molteplice bellezza delluniverso, non potrebbe essere colta e compresa in tutte le sue possibili forme, n dare origine al sapere in esse custodito. Al di l del possibile effetto di arresto del processo cono28 La distanza tra le due vie daccesso era spiegata mediante lesempio dello studio della geometria: Allora, infatti il pensiero si rafgura (sibi cogitatio dipingit) un quadrato di questa o quella dimensione e lo mette quasi davanti agli occhi (quasi ante oculos praefert); ma la mente interiore (mens interior), che vuole vedere il vero, si rivolga piuttosto a quel criterio, in base al quale essa giudica che tutte quelle gure sono dei quadrati (II, xx, 35). 29 Notiamo, di passaggio, lallusione al potere di porre davanti agli occhi cui gi era stato fatto cenno in precedenza, a proposito del suo efcace impiego in ambito oratorio. Agostino tiene a rimarcare il carattere quasi ipnotico di questo fenomeno, oltre al fatto che il carattere illusorio proprio dellinganno ottiene di saziare lanima prima che essa abbia raggiunto la verit. Si deve aggiungere, tuttavia, che nella rielaborazione agostiniana di questo elemento la prevalenza quasi assoluta dellaspetto visivo subisce una sensibile attenuazione: se ancora presso loratoria latina, infatti, leffetto dellimmagine doveva essere quello di ricreare levento al cospetto dellascoltatore come portandolo allinterno di una visione, Agostino sembra propendere per una paricazione degli stimoli percettivi che, in modo inedito rispetto alla tradizione, ammette lesistenza di immagini uditive o olfattive, oltre che visive.

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CAPITOLO 3. RAGIONE E ANIMA A-RAZIONALE

scitivo imputabile al loro fascino suadente e difcilmente contrastabile, dunque, Agostino riconosce alle immagini una forma di utilit, identicabile con la capacit di formulare uninterpretazione della realt valevole come sostegno temporaneo per la ragione30 . Riprendendo i punti principali della concezione agostiniana dellimmaginazione, ci che sino ad ora stato affermato che essa condizionata dal sensibile, sebbene ci non la caratterizzi come passiva, che non un luogo n un ricettacolo ma una vis dellanima che opera trasformando per aumento o per diminuzione le forme attinte dallesterno. Proprio questultimo aspetto ci che ancora rimane da approfondire, come, cio, manipolando i ricordi contenuti nella memoria, limmaginazione possa operare combinazioni di cui i sensi non hanno mai avuto esperienza. Il tipo di novit che limmaginazione ha il potere di introdurre non ha natura qualitativa, come in pi punti stato accennato, poich lattivit che lo produce si limita alla combinazione arbitraria di elementi comunque preesistenti: lente immaginario che ne risulta non mai stato oggetto di percezione, ma non per questo pu essere considerato alla stregua di una creazione. Esso, infatti, non solo dipende dal vissuto percettivo del soggetto quanto al materiale ma, anche dal punto di vista formale, vincolato al criterio di coerenza imposto dallordine razionale vigente a ogni livello ontologico. Come gi era emerso nel corso dellanalisi della teoria della sensazione, infatti, il numerus determina la forma di qualunque movimento dellanima e, per tale carattere onnicomprensivo, non implica nemmeno la consapevolezza del soggetto (cum in anima numeri actitantur occulti). Questo aspetto della concezione agostiniana ottiene non solo di circoscrivere, almeno teoreticamente, lelemento irrazionale, ma anche, e soprattutto, di ricondurre la spiegazione ultima del fascino esercitato dalle immagini alla loro struttura logica, unica garanzia di verosimiglianza e, con ci, di sensatezza. La tendenza allo svuotamento ontologico in direzione del molteplice, di cui
30 Limperfezione che caratterizza la condizione propria dellanima umana incarnata e vincolata da un pi forte legame di parentela con il mondo sensibile, infatti, impone che la conoscenza debba passare attraverso acquisizioni parziali, mancanti, se singolarmente considerate, di un effettivo possesso della verit. Questa condizione, che stabilisce il limite intrinseco alla conoscenza umana, non risparmia nemmeno il ragionamento condotto con il metodo rigoroso del calcolo ove il ricorso, a volte indispensabile, a strumenti ausiliari come il pallottoliere testimonia lineliminabilit della componente immaginativa (hoc malo). Cfr. ep. VII, ii, 4.

3.2. IMMAGINAZIONE E POIESI

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le immagini rappresentano il massimo grado di dispersione ed estenuazione, risulta parzialmente occultata dallapparente solidit di queste ultime. Bench il monito di Agostino sia esplicito nellesortare lanima alla contemplazione di una bellezza sottratta alla determinazione spazio-temporale31 , egli non nega, per questo, che il mutevole possa partecipare del bello: la sua molteplicit riconosciuta come causa della fuoriuscita dellanima dallinteriorit nellestroversione innescata dal desiderio di uninstabile variet (mutabili varietate), ma, ciononostante, la bellezza sensibile occupa un posto nellordine temporalizzato: Essa in grado minimo perch non pu possedere tutte le cose insieme, ma, mentre alcune vengono meno ed altre subentrano al loro posto, tutte contribuiscono a comporre in ununica bellezza larmonia delle forme temporali (dum alia cedunt atque succedunt, temporalium formarum numerum in unam pulchritudinem complent). Lesempio di cui Agostino si serve per mostrare che il trascorrere in s non male , signicativamente, quello della bellezza musicale, la quale richiede s come condizione il susseguirsi delle sillabe, ma, parimenti, anche la loro unicazione ad opera della memoria, grazie alla quale si rendono riconoscibili le tracce della bellezza che larte custodisce in se stessa in modo stabile32 . La valutazione del signicato dellimmagine allinterno del contesto comunicativo consente di coglierne la natura eminentemente linguistica. Indipendentemente dalla sua capacit di esercitare un forte impatto sui sensi, limmagine , per Agostino, costitutivamente segno che rinvia ad altro e che, pertanto, sottointende un uso. In nessun caso presenza immediata che possa proporsi al soggetto secondo la modalit del frui, limmagine consente allanima di richiamare un vissuto e di comporre congurazioni inedite, ma il carattere soggettivo di queste operazioni esclude che ad esse sia attribuibile un qualche grado di autonomia. Tale mancanza di oggettivit, del resto, se per un verso rende possibile unattivit indipendenemente dal reale, per laltro ne circoscrive la validit allorizzonte privato del singolo, rendendola non partecipabile se non attraverso il canale emotivo. Cos esercitato, il fascino superciale ma poten31 (...) bisogna risanare lanimo perch possa ssare lo sguardo sullimmutabile forma delle cose (incommutabilem rerum formam) e sulla bellezza che si conserva sempre uguale e in ogni aspetto simile a se stessa, non divisa dallo spazio (nec distentam locis) n trasformata dal tempo (nec tempore variantem), unitaria e identica in ogni sua parte: una bellezza della cui esistenza gli uomini difdano, mentre esiste davvero e al massimo grado (vera rel. 3, 3). 32 Cfr. vera rel. 22, 42.

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CAPITOLO 3. RAGIONE E ANIMA A-RAZIONALE

te dellimmagine pu addirittura ottenere di distrarre lanima dal coglimento dellessenza autentica della bellezza sensibile che il sapere liberale custodisce e ci che si realizza in tale perversione una vera e propia forma di idolatria. Questo termine, derivante dal greco eidolatria che era usato dai greci cristiani per indicare gli altri tipi di culto, signicativamente mantiene, nella propria etimologia, la traccia del legame con il concetto di immagine (eidolon): Come alcuni, dal gusto pervertito, amano pi il verso che larte stessa con cui costituito, poich si sono afdati pi alle orecchie che allintelligenza, cos molti preferiscono le cose temporali e non cercano la divina Provvidenza, che ha creato e governa i tempi (vera rel. 22, 43).

3.2.2

Lattivit poietica come falsicazione

Tutto ci che scaturisce come prodotto dellattivit immaginativa, come si visto, esibisce agli occhi di Agostino un valore puramente strumentale che si manifesta o nellatto di richiamare alla mente le sembianze esteriori di un oggetto in assenza del dato materiale oppure nella concretizzazione del contenuto di un concetto in un esempio. La condizione che ne giustica limpiego, in ogni caso, il riconoscimento del suo ruolo comunicativo, il quale si esercita principalmente attraverso lo strumento dellanalogia33 . Esso va tenuto ben distinto dal concetto di verosimiglianza, il quale appare invece privo di signicato sul piano ermeneutico: nel limitarsi allambito del probabile e dellopinione, infatti, esso non pu offrire alcun accesso alla realt intelligibile, ma si arresta al sembiante esteriore compiacendosi di attuare limmersione in una nzione mirante pi alla sostituzione che alla comprensione del reale. Nel dare origine a una somiglianza statica e ne a se stessa, dunque, il verosimile manifesta tutta la sua distanza dallanalogia che, invece, vive essenzialmente del movimento che dal segno porta al signicato34 . Il legame tra immagine e verit analizzato da Agostino nei Soliloquia nel contesto di una teoria della conoscenza che tende a valutare tutto ci che sgor33 Lessere a immagine e somiglianza di Dio, del resto, identica lunica modalit ontologica possibile, per quanto si declini secondo gradi differenti. Essa costituisce, pertanto, la traccia che guida lintelletto nella conoscenza di s e del mondo in quanto parti di un unico progetto. 34 Si tratta, in ultima analisi, del medesimo movimento dallesteriore allinteriore e dallinteriore al superiore in cui Agostino aveva concentrato il senso del percorso attraverso le arti liberali, nel quale doveva rimanere interdetta la sosta compiaciuta al cospetto della gura non ancora dispiegata secondo la sua essenza numerica e razionale.

3.2. IMMAGINAZIONE E POIESI

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ga dalla vis creativa delluomo in funzione del possibile condizionamento del rapporto che il soggetto intrattiene con la realt. I modi in cui questultimo pu porsi nei riguardi del falso sono essenzialmente due, come si visto, deniti dal darsi o meno della consapevolezza dello scarto sussistente tra una data opinione sulloggetto e la sua vera essenza. Il falso, in generale, sottointende un legame con il vero che si pone in termini di somiglianza accompagnata dalla rivendicazione di unautonomia, come nel caso di una copia rispetto al suo modello. Tale somiglianza pu risultare della volont di creare una nzione con o senza lintenzione di trarre in inganno oppure pu caratterizzare limperfetto modo di esistenza di qualcosa che tenta di approssimarsi allessere senza riuscirvi, come nel caso delle immagini oniriche o di rappresentazioni gurative tendenti al vero. Il modo di esistenza di questi oggetti, interamente risolto nello schema del rapporto imitativo, risulta contraddistinto da un tratto di irrealt e di inconsistenza35 : Nelle cose che, appunto, percepiamo con i sensi, denominato falso ci che cerca di essere una certa cosa e non lo (sol. II ix, 17). Nella prima categoria, invece, rientra tutto ci che intende deliberatamente porsi come falso, che prescrive, cio, la consapevolezza dello scarto tra realt e apparenza di cui vive la nzione. Tale scarto pu essere riconosciuto o meno da chi vi si accosta e ci pu dipendere in misura non trascurabile dallintento dellartece, che pu essere quello di procurare diletto senza volont di trarre in inganno, come nel caso della nzione letteraria, oppure quello di estorcere lassenso a qualunque costo. In ogni caso rimane fermo, per Agostino, che lunico caso in cui il soggetto si trova nel vero al cospetto della nzione quello in cui la riconosce come tale, comprendendone la ragion dessere. Un tema che appare necessario affrontare, a questo punto, quello della diversit tra enti naturali e articiali, limitando la considerazione di questi ultimi ai prodotti dellarte. Sempre nei Soliloquia, Agostino afferma che tutti i tipi di nzione letteraria, analogamente ai vari tipi di rafgurazione, sono falsi non perch non vogliano essere veri, ma perch non possono: Perch, naturalmente, una cosa voler essere falso, unaltra non
dalla concezione platonica dellarte, con particolare riferimento alla loro svalutazione in quanto inutili copie di copie. Tale giudizio, tuttavia, non si mantiene in modo costante e, non di rado, gli oggetti appartenenti a questa categoria ricompaiono accanto alle nzioni letterarie come esempi di prodotti artistici.
35 Nella considerazione dei prodotti delle arti gurative Agostino dimostra una certa dipendenza

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CAPITOLO 3. RAGIONE E ANIMA A-RAZIONALE poter essere vero. Pertanto, possiamo collegare alle opere dei pittori e degli scultori anche opere umane quali le commedie, le tragedie, i mimi e altre di tal genere. Un uomo dipinto, infatti, per quanto tenda a riprodurre le sembianze di un uomo, non pu essere vero, tanto quanto non possono essere vere le cose che si trovano scritte nei libri dei poeti comici. Queste cose, infatti, non vogliono essere false, n sono false per una loro intenzione, ma a causa di una certa necessit, nella misura in cui hanno potuto seguire larbitrio dellautore (II, x, 18).

La causa dellimpossibilit che il passo denuncia deriva dal fatto che, a differenza degli enti naturali inanimati, quelli che esistono per opera delluomo sono informati da un principio arbitrariamente imposto che presuppone un calcolo, unintenzione, come, ad esempio, quella di turbare larmonia in un dato punto con linserimento di una dissonanza36 . Il falso, in questo caso, sopravviene come conseguenza della sospensione di una tendenza naturale, cui si sovrappone un disegno che manifesta la volont di un artece diverso da Dio. Ci che risulta dallintervento dellartista, dunque, un ordine articiale accompagnato da una pretesa emancipazione dalla realt congiunta allaffermazione della propria autonomia. La valutazione del prodotto artistico dal punto di vista della sua capacit di portare lessere a manifestazione piegata in senso negativo da Agostino perch ci che mantiene un peso decisivo ai suoi occhi il fatto che loggetto falso37 porta costantemente con s il riferimento ad altro, la cui conoscenza precedente indispensabile al ne di riconoscere il primo nel suo signicato di rappresentazione: Approva (probat) giustamente limmagine, infatti, chiunque ne contempli il modello. Il sapiente, infatti, come potrebbe approvare o come potrebbe seguire ci che simile al vero, se ignorasse che cosa sia il vero stesso? (Acad. III, xviii, 40). Fermarsi alla copia signica, in ultima analisi, fermarsi di fronte allassenza delloggetto, pregiudicando cos la possibilit stessa del conoscere. Ci che la nzione pu esercitare in misura superiore alla realt un effetto pi o me36 Nel caso di una nzione letteraria, invece, lautore pu inventare dei personaggi che non sono mai esistiti e intrecciare le vicende che li riguardano secondo la sua volont, ma anche se la sua immaginazione pu superare i conni del verosimile inoltrandosi nel dominio del fantastico, la coerenza logica dellinsieme non pu essere intaccata, pena la perdita dellintelligibilit e, con essa, la vanicazione dello stesso intento poetico. 37 In questo caso il riferimento riguarda essenzialmente le arti gurative e, al limite, quelle letterarie, poich la musica, in quanto priva di contenuto, non pu propriamente essere falsa. Il suo modo di deviare dalla natura, infatti, piuttosto quello dellinserimento dellarticio e tale differenza rispetto alle altre arti si chiarir alla luce della particolare connotazione della sua capacit mimetica. Cfr. 3.3.2.

3.2. IMMAGINAZIONE E POIESI

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no potente di risonanza emotiva che, al cospetto dellopera di un artista, non di rado ottiene di minare la stessa autorit della ragione. Qualora la nzione si limiti, come nelle arti gurative, a riprodurre le caratteristiche esteriori delloggetto restringendo cos la sua somiglianza con la realt a un livello molto superciale, la spiegazione razionale pu contrastare il potere dellillusione: svelandone lorigine e ridenendola in rapporto allessere, infatti, essa ottiene di annullare lincanto guadagnando, al termine del processo di emendamento, la risoluzione del fascino attrattivo della menzogna nel contenuto depotenziato di un errore che comporta lindebolimento dei suoi effetti seduttivi sui sensi. Nel caso in cui lefcacia mimetica si insinui a un livello pi profondo, tuttavia, o riguardi, come nel caso della musica, non la realt esterna ma quella interiore dei sentimenti dellanima, il potere della ragione risulta notevolmente afevolito, per non dire annullato e questo perch, di fatto, un contenuto non v. Loperazione di svuotamento che Agostino compie nei confronti delloggetto artistico e il ridimensionamento della portata del suo fascino ingannatore possono risultare dunque plausibili nel caso delle arti gurative e della nzione letteraria, ma non sembrano esserlo altrettanto in quello della musica. Agostino stesso lo ammette implicitamente tutte le volte che racconta di aver sperimentato personalmente il potere di una melodia. Non si spiegherebbe, altrimenti, la sua preoccupazione che la soavit del canto potesse distogliere lanima dal signicato delle parole dato che, di certo, non gli faceva difetto la conoscenza della teoria musicale e, con essa, delle cause del piacere procurato alludito. Se ne deve concludere che se la musica realizza una forma di imitazione, questa risponde a un criterio differente rispetto a quello delle altre arti, interessando aspetti assai pi profondi della mera riproduzione dellaspetto esteriore cui si fa sovente riferimento attraverso labusato esempio del canto degli uccelli. Lassenza di un contenuto, caratteristica da sempre riconosciuta come identicativa della musica e valutata a volte in termini positivi, altre in termini negativi, pu forse essere assunta come indizio di estraneit rispetto allattivit rappresentativa. Con ci non si intende certo affermare che la musica non ammetta la possibilit di riferimenti imitativi, il che andrebbe contro ogni eviden-

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CAPITOLO 3. RAGIONE E ANIMA A-RAZIONALE

za, ma solo che tale possibilit non ne costituisce la cifra. Se le arti gurative e tutti i generi letterari, infatti, presuppongono unorganizzazione del materiale per gure, riconducibile al pensiero rappresentativo, la musica manifesta una natura eminentemente astratta, interamente risolta nella dimensione sintattica dove dellimmagine in quanto sintesi di forma e contenuto presente solamente la forma, lo schema che esibisce la razionalit della regola, il numerus. Sebbene la precedenza ontologica che il reale mantiene in rapporto a ogni prodotto dallimmaginazione comporti linconsistenza di questultimo, valutato come utile al pi ai ni della comunicazione, il caso della musica sembra congurarsi in modo sostanzialmente differente poich, di fatto, non esiste alcun referente oggettivo in relazione al quale una melodia possa cercare di istituire un rapporto di somiglianza. Linganno, se inganno vi , non si consuma nel tentativo di far passare per vero un contenuto che non lo , ma, piuttosto, nel sostituirsi al reale nel suo ruolo di causa esterna degli stati emotivi. Sotto questo aspetto, la musica sembra porsi in rapporto alle altre arti come la norma che esprime la verit si pone rispetto allesempio che la realizza nel particolare, in maniera necessariamente parziale e imperfetta. Non certo una circostanza casuale, del resto, il fatto che la musica sia stata lunica fra le arti38 a comparire fra le discipline del quadrivio le quali, come si visto in precedenza, si applicano allo studio di quei criteri oggettivi della conoscenza che la ragione scopre in s stessa nel suo autonomo percorso di autoconoscenza. Se, dunque, si pu parlare di imitazione nel caso della musica, evidente che essa dovr essere caratterizzata in termini radicalmente differenti e ci impone di valutare anche se, e in quale misura, tale determinazione sottointenda la distanza della musica dalle arti letterarie e gurative e, pi in generale, dallordinario concetto di arte, per manifestare invece una profonda afnit con larte della parola.

3.3

Immaginazione e mimesi

Nei Topici, Aristotele afferma che limmagine (eik on) il risultato di un procedimento mimetico ovvero, a monte, dellintenzione di realizzare qualcosa che
38 In

questo caso sottointesa laccezione moderna del termine.

3.3. IMMAGINAZIONE E MIMESI

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si pone in un rapporto di somiglianza rispetto ad altro: Limmagine infatti ci che sorge attraverso unimitazione (140 a). Il legame tra le nozioni di mimesi e di immagine funge da perno nella concezione di poiesi centrata sulla ricerca dei modi per indurre nellanima effetti analoghi a quelli prodotti da un oggetto reale. In tale prospettiva, che attua come una sorta di trasferimento dallelemento oggettivo a quello soggettivo e, in ultima analisi, allintersoggettivo del rapporto linguistico, si rende manifesto il ruolo vicario dellimmagine veicolata dal segno, che, in assenza delloggetto, pu agire sul destinatario del messaggio secondo la volont del suo autore. Segnale particolarmente signicativo della capacit di duplicazione insita nella parola la caratterizzazione della retorica39 in termini di simulacro (idolon) ovvero immagine e, in ultima analisi, mimesi. Se il ne delle discipline del quadrivio consisteva nel possesso di una conoscenza in grado di riettere la struttura del reale secondo una particolare angolatura, fosse questa lorganizzazione razionale dei suoni o il combinarsi del movimento dei pianeti, il ne dellarte della parola, ma, si potrebbe dire, dellarte in quanto tecnica, appariva essere piuttosto lapplicazione di conoscenze in grado di garantire un certo tipo di efcacia, comunque intesa. In questa prospettiva il modello assumeva per certi versi lo statuto di un pretesto, come se fosse loggetto di uno scambio che poteva, al limite, riferirisi al reale solo in quanto fonte delle norme di comunicazione, senza dipendervi quanto al contenuto. Tale oggetto diventava, nel caso della musica, potenzialmente indifferente, lasciando solo la forma dellespressione nella sua perfetta aderenza alla forma dellemozione che quel contenuto avrebbe potuto indurre e che, come un unico movimento, si trasmetteva dai suoni allanima.

3.3.1 Nota sul concetto di mim esis


Affrontare un concetto complesso e straticato come quello di mim esis impone innanzitutto un chiarimento dal punto di vista terminologico. Il primo ap39 A questo proposito, E. Berti ha paralato di puntuale rovesciamento operato dalla sostica nei confronti dei capisaldi delleleatismo, riassumibile nella negazione dellesistenza, della conoscibilit e della comunicabilit dellessere in conseguenza di cui lessenza stessa del lgos si trasformata da strumento di comunicazione riferito alla realt a sostituto della realt stessa. Il linguaggio del sosta, infatti, la instaura, per cos dire, esso stesso, la crea e, anzich comunicare pensieri, produce direttamente degli effetti, cio suscita delle passioni, dominando in tal modo completamente le persone. Cfr. [17, pp. 162-3.]

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CAPITOLO 3. RAGIONE E ANIMA A-RAZIONALE

punto riguarda labitudine consolidata di tradurre mim esis con imitazione, un termine che, nelle lingue moderne, ha assunto una connotazione particolarmente ristretta, che lo rende incapace di restituire la straordinaria ricchezza della nozione antica. Per quanto riguarda il periodo pre-platonico non possibile ricostruire con precisione lo sviluppo semantico del termine, ma pu essere di qualche interesse richiamare alcune delle idee che ne formavano la costellazione e che coinvolgevano, ad esempio, la rassomiglianza visiva, la produzione di suoni espressivi, lemulazione e, allapice, lisomorsmo tra il mondo reale e quello ideale, denito nei termini di un rapporto tra copia e modello. Lelemento comune a tutte era il rinvio a una nozione di corrispondenza tra opere o attivit mimetiche da un lato e i loro equivalenti reali dallaltro, pensati non tanto come oggetti empirici, quanto piuttosto come esperienze possibili. Proprio questo rilievo motiva linadeguatezza del ricorso al termine imitazione, il quale suggerisce incongruamente limmagine della riproduzione di oggetti quando, invece, il potere della mimesi era esercitato nel contesto di pratiche culturali radicate in determinati aspetti della natura umana, di qualit essenzialmente comunicativa, in cui gran parte dellinteresse convergeva sulla componente della ricezione. Dal punto di vista etimologico, non molto sembra possibile ricavare dallanalisi della radice greca -mim: S. Halliwell40 riferisce che il pi antico membro della relativa famiglia di termini mimos, con il quale, a partire dal IV sec. a. C., venivano designati sia il corrispondente sotto-genere drammatico, sia lattore a cui ne era afdata lesecuzione. Prima di tali occorrenze il termine compare una sola volta in un frammento di una tragedia di Eschilo, dove si rende palese la sua attinenza alla sfera musicale allorch, nella descrizione di un contesto orgiastico, viene usato in riferimento al suono fragoroso dei bastoni sibilanti. Halliwell avanza lipotesi che limpiego del termine sia metaforico, che esso sottointenda, cio, una personicazione del suono come se Eschilo avesse voluto alludere a un personaggio invisibile dalla voce terricante. Se questa lettura corretta, sembra lecito supporre che almeno una parte della forza espressiva della parola mimoi derivi da un qualche nesso con la prassi esecutiva musicale.
40 Cfr.

[67, p. 17.]

3.3. IMMAGINAZIONE E MIMESI

101

Questo nesso sembrerebbe confermato dal ricorrere di un termine appartenente alla medesima famiglia (mimeisthai) sia nellinno omerico ad Apollo41 , ove descrive labilit di un gruppo di fanciulle intente in unattivit di complessa rappresentazione musicale e coreograca, accuratamente distinta dalla mera simulazione, sia in due passaggi di Pindaro, in relazione alla rappresentazione coreograca di animali e alla resa musicale, con gli auloi, delle grida di Gorgone morente42 . La conclusione che Halliwell ritiene possibile trarre che, gi al tempo di Eschilo, le parole con radice -mim avevano iniziato ad essere associate con le arti musicopoetiche incluse nel campo semantico denito dal termine mousik e. Nel frattempo, allincirca a partire dalla met del V sec. a. C., la nozione di mimesi era penetrata anche nellambito delle arti gurative, individuando per un tipo di somiglianza solo superciale poich la corrispondente abilit tecnica era s in grado di riprodurre il sembiante, riuscendo persino a trarre locchio in inganno, ma senza raggiungere la medesima vividezza delle arti musicopoetiche e la loro capacit di agire sullemotivit dello spettatore. Alla luce di queste considerazioni, ci che si pu concludere che, nonostante linnegabile scarsit di testimonianze in relazione allepoca appena considerata, luso del termine mimesi risultava pertinente sia alla sfera delle arti musicopoetiche sia a quella delle arti visive, le quali, complessivamente, potevano dunque essere denite mimetiche. Nel secolo successivo, poi, questa categoria si stabilizz precisando i propri contorni e istituendosi come un vero e proprio dato culturale, a partire dal quale Platone, Aristotele e i loro successori svilupparono unautonoma riessione estetica. Tra tutte, la concezione aristotelica ha dimostrato unampiezza di respiro che la identica come punto di riferimento imprescindibile, ancorch non esplicitato, per tutta la riessione successiva, consentendo pertanto di approfondire non solo limpiego e la portata del verbo mimeisthai, ma anche il suo diverso declinarsi nelle arti gurative e in quelle musicopoetiche. Allesposizione di tale dottrina saranno quindi dedicate le pagine restanti del presente capitolo, mentre la valutazione della concordanza delle tesi ariprobabile datazione risale alla ne del VI sec. a. C. Pllade, quando leroe prediletto ebbe salvo da questo travaglio, sul auto compose un multsono canto, volendo il lungo ululo lugubre dal tto guizzar delle fauci sprizzante, imitare (Pitica XII, 21). Traduzione di E. Romagnoli.
42 Or 41 La

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CAPITOLO 3. RAGIONE E ANIMA A-RAZIONALE

stoteliche con quanto pu essere ricavato dai testi di Agostino sar discussa nei due capitoli successivi, dove il riferimento concreto alla tecnica retorica e a quella musicale consentir di ricostruire, in via di ipotesi, il suo atteggiamento nei confronti del potere mimetico dei suoni.

3.3.2

La teoria aristotelica della mim esis

Ci che pu essere denito mimetico, per Aristotele, sia esso lesito di un atto produttivo o latto stesso in quanto esecuzione, bench scaturisca indubitabilmente dallintenzione di un artece necessariamente partecipa delle convenzioni stabilite da una determinata tradizione culturale, la quale, sola, ha il potere di riconoscerne il signicato. Tale potere la investe del ruolo di custode della conoscenza tecnica, componente fondamentale di tutte le arti, che costituisce il mezzo attraverso il quale il ne dellazione pu essere raggiunto in virt di un operare analogo a quello con cui la natura imprime una forma alla materia43 (mimeitai t en physin). Tale esito consiste, di fatto, nella produzione di qualcosa di autonomo, che si pone in rapporto al mondo reale in termini di possibilit44 e, dunque, di contingenza. Ci che per Aristotele rimane fermo, dunque, che tutto ci che pu essere qualicato come mimetico si propone al soggetto in termini di esperienza possibile, legata a quella reale da una qualche relazione di somiglianza (homoi omata) ed , in virt di ci, legittimata. Nellottavo libro della Politica, dedicato alla valutazione del ruolo educativo delle varie arti tra cui, in particolare, la musica, Aristotele sembra sottointendere il sussistere di un rapporto di sinonimia tra la nozione di somiglianza e quella di mimesi, in particolare l dove riconosce che le reazioni emotive suscitate per via di imitazione somigliano a quelle scatenate da una situazione reale (1340 a 23-5). Questa circostanza sposta in maniera denitiva il fuoco dellattenzione sullesperienza, inducendo ad abbandonare lapproccio oggettivo per uno essenzialmente soggettivo. necessario precisare, a margine, che il legame di somiglianza non ravvisabile esclusivamente qualora si realizzi una corrispondenza puntuale di sensazioni, cosa che escluderebbe di fatto dal gruppo delle arti mimetiche tutte
43 Insomma: alcune cose che la natura incapace di effettuare, larte le compie; altre, invece, le imita ( Fisica 199 a 15-7). Cfr. anche 194 a 21-2. 44 Cfr. Poetica 146 b.

3.3. IMMAGINAZIONE E MIMESI

103

quelle non gurative. Ci che lestensione del concetto di mimesi comporta, invece, che non necessario che ogni aspetto di un determinato oggetto (o esecuzione) sia mimetico afnch linsieme possa essere valutato tale. Esplicita conferma in questo senso si pu trovare nella Poetica: Se prendiamo insieme la poesia epica e lopera tragica, e poi commedia e poesia ditirambica, e le composizioni auletiche e citaristiche per la massima parte, tutte hanno questo in comune, di essere attivit imitative; ma differiscono tra loro sotto tre aspetti, perch nellimitare impiegano mezzi diversi, oppure oggetti diversi, o una maniera che diversa e non la medesima in ciascuna (47 a). Per comprendere in cosa consista la differenza indicata da Aristotele occorre analizzare la distinzione tra due modalit comunicative, quella della mimesi e quella del segno, la quale pu essere preliminarmente indicata nel possesso di unefcacia rispettivamente immediata e mediata. L dove il segno esaurisce la propria funzione nel rinviare ad altro, a un signicato che il soggetto gi possiede autonomamente e che, una volta richiamato, rende superua la sua etichetta, limmagine, ove con tale termine si intenda qualunque esito di un intenzionale atto mimetico, non viene messa da parte con il realizzarsi della comprensione, ma permane invece al cospetto del soggetto, interagendo con le sue immagini mentali. Il modo in cui tale interazione avviene dipende dalla qualit dellimmagine e, a monte, dal tipo di mimesi che ne ha determinato la produzione e che pu riguardare tanto la riproduzione di un oggetto, come nel caso delle arti gurative, quanto quella di una reazione emotiva nel soggetto, come nel caso delle arti musicopoetiche. Ora, se vero che le prime detengono un ruolo paradigmatico nellesemplicazione della nozione di mimesi, in quanto in esse la somiglianza si rende apprezzabile nellistantaneit della visione senza richiedere tempo per la decifrazione, come invece nel caso della lettura o dellascolto di unopera poetica, vero anche che sono state le arti musicopoetiche, e la musica in particolare, ad aver consentito ad Aristotele di formulare le tesi pi signicative in proposito. Largomentazione svolta nel contesto del gi citato ottavo libro della Politica rivela, quantomeno sul piano formale, un certo grado di continuit con lapproccio di Platone, che aveva inserito una valutazione del ruolo sociale della musica nel contesto di due opere di argomento politico come la Repubblica

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CAPITOLO 3. RAGIONE E ANIMA A-RAZIONALE

e le Leggi45 . Anche Aristotele si sofferma con particolare cura sulla questione educativa cercando di determinare le funzioni psicologiche e culturali della disciplina con lobiettivo di trarne vantaggio per la corretta formazione del cittadino. Questa impostazione, centrata sulla valutazione degli effetti psicagogici sullindividuo e, di conseguenza, sulla compagine sociale, rimanda palesemente allimpostazione damoniana e mantenne la propria validit nel mondo antico almeno sino al III sec d. C., quando lincontro con il Cristianesimo inizi a condizionare anche la vita musicale. Come si avr modo di approfondire in seguito46 , Damone aveva elaborato una teoria della ricezione musicale che connotava il coinvolgimento emotivo dellascoltatore in termini etici e che intendeva analizzare tale fenomeno ponendone in rilievo il potere di sconnare nella manipolazione vera e propria. Lintera gamma di sfumature emotive era stata distribuita nella classicazione dei cosiddetti caratteri (ethoi), espressivi ciascuno di uno stato danimo generico come, ad esempio, il coraggio, lentusiasmo, lira. Tali caratteri erano stati in seguito posti in rapporto di corrispondenza, quando non addirittura di equivalenza, con alcune propriet attribuite a determinate strutture musicali, sia ritmiche sia melodiche. Proprio in forza di tale correlazione tra tonalit emotive e propriet musicali era stato possibile giusticare linclusione della musica tra le arti mimetiche, aggirando la difcolt posta dallassenza di un contenuto univocamente denito in grado di rendere riconoscibile loggetto imitato. Da un punto di vista complessivo Aristotele prosegu la linea di pensiero inaugurata da Damone, anche se nella pi ampia prospettiva entro cui si colloca la sua riessione sulla musica le corrispondenze individuate da questultimo appaiono denite con minore rigidit, senza il vincolo posto da una correlazione puntuale con gli ethoi. Osserva a questo proposito Halliwell47 che la portata mimetico-espressiva della musica eccede, nella teoria aristotelica, tale categoria e che, pertanto, lthos non rappresenta lunico possibile oggetto mimetico per la musica. Conferme in questo senso sono esplicitamente presenti nel testo, ad esempio l dove Aristotele afferma che, oltre al fatto di per s evidente che per mezzo della musica si acquistano qualit inerenti al carattere, lascolto di suoni
45 Il

riferimento al terzo libro della Repubblica e ai libri secondo e settimo delle Leggi. 5.3.3. 47 Cfr. op. cit. p. 239.
46 Cfr.

3.3. IMMAGINAZIONE E MIMESI

105

imitativi produce le emozioni rappresentate (1340 a), o, ancora, dove dimostra di accettare una distinzione tra melodie aventi un contenuto morale, ovvero relative a un carattere (t mn ethik), melodie in grado di stimolare allazione (t d praktik) e melodie in grado di suscitare entusiasmo (t denthousiastik) (1341 b). Questa circostanza dipende dal fatto che lanalisi aristotelica della nozione di mimesi mira principalmente a chiarire in cosa consista e in quali thos) e, in senso modi si eserciti linusso della musica sul carattere (prs t e pi ampio, sullanima (prs tn psychn). Un lungo passo, che merita di essere riportato per intero, espone alcune tesi fondamentali in proposito: Ritmi e melodie possono rafgurare con un alto grado di somiglianza (homoi omata) al modello naturale ira e mansuetudine, ma anche coraggio e temperanza e tutti i loro contrari, e in genere tutti thika) (e i fatti dimostrano che noi mugli altri tratti del carattere (e tiamo (metaballomen t en psych en) il nostro stato danimo ascoltando la musica). E la tendenza ad addolorarci o a rallegrarci che proviamo dinanzi alle imitazioni (homoia) afne alla nostra reazione di fronte alla situazione reale: per esempio, se qualcuno si rallegra nel vedere limmagine di qualcun altro per nessun altro motivo che per la forma di quallimmagine, necessariamente costui prover ancora piacere nella visione della persona, di cui vede limmagine. Ma gli oggetti degli altri sensi non hanno alcuna somiglianza con i caratteri (t on aisth et on en men tois allois) come nel caso del gusto e del 48 tatto ; negli oggetti della vista questa propriet c no a un certo grado. Le gure hanno una possibilit rafgurativa dei caratteri solo limitata e non tutti posseggono la facolt sensibile con cui si apprezzano. Inoltre esse non sono vere e proprie rafgurazioni dei caratteri ma, in quanto costituite di disegno e di colori, sono piuttosto sintomi di emozioni (epsema en tois pthesin), segni (s emeia) di essi. Senonch dal momento che vi differenza nel guardare queste o quelle immagini, bisogna che i giovani contemplino non i dipinti di Pausone, ma quelli di Polignoto e di quei pittori o scultori che hanno un qualche signicato morale. Le melodie hanno invece in se stesse la possibilit di imitare (mim emata) i costumi. Questo evidente. Infatti la natura delle armonie (harmoniai) varia, sicch ascoltandole ci si dispone in modo diverso di fronte a ciascuna di esse (1340 a).
48 Una distinzione assimilabile a questa si trova, come si avuto modo di constatare in precedenza, anche in Agostino, che riconosce al senso della vista e delludito una componente razionale giudicata invece assente nei tre rimanenti. Cfr. ord. II, xi, 32.

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CAPITOLO 3. RAGIONE E ANIMA A-RAZIONALE

Aristotele49 isola nettamente la musica rispetto alle altre arti e lessenza di questa distinzione emerge in tutta la sua evidenza quando loggetto dellimitazione artistica costituito dal carattere o da manifestazioni emotive in genere: l dove la musica si rivela capace di realizzare una somiglianza mimetica, contraddistinta da efcacia immediata, le altre arti, in particolare quelle gurative, devono limitarsi a un tipo di somiglianza mediata dal ricorso al segno. Ci che lanalisi del passo sopra considerato consente di ottenere, dunque, il chiarimento della distinzione tra mim esis e s emeia alla luce della diversa capacit di inuire sulla componente emotiva dellanima che, nel caso estremo della mimesi musicale, non si realizza come in seguito a unevocazione, ma viene in qualche modo direttamente attivata dalle propriet intrinseche allorganizzazione musicale dei suoni. La conclusione che sembra imporsi che la musica, sia quanto alla componente melodica, sia quanto a quella ritmica50 , possiede la capacit di imitare i costumi (d tois mlesin autois esti mimmata t on eth on) (1340 a) e che, per questo motivo, possiede essa stessa qualit etiche che le consentono di indurre determinati stati danimo come per un effetto di risonanza simpatica. Una annotazione da tenere presente che, per Aristotele, questa correlazione tra strutture musicali e stati psicologici costituiva un dato relativo allessenza stessa della musica51 , indipendentemente dalla combinazione con apparati di differente natura come, ad esempio, il testo poetico. A margine di questa impostazione, denibile in termini di naturalismo estetico, Halliwell ritiene doveroso sottolineare che lattribuzione alla musica di propriet indipendenti dallarticio umano non contrastava con il riferimento al contesto pratico della vita musicale: la mira di Aristotele, infatti, non era quella di delineare una prospettiva a-storica, relativa a quello che potrebbe essere inteso come un materiale sonoro privo di elaborazione, quanto piuttosto quella di cogliere la natura della musica per mezzo e, nel contempo, al di l delle singole e speciche forme culturali. Il rinvenimento di un principio di ordine naturale a fondamento della capadel passo in questione riproposta in queste pagine di S. Halliwell, op. cit. p. 240 ss. 1340 a 38-9 e 1340 b 7-8. 51 Aristotele aveva dichiarato di voler indagare la natura della musica proprio al ne di scoprire se il piacere ad essa connesso era un effetto di carattere accidentale oppure se doveva essere ricondotto a una causa pi elevata, come unanalogia con i movimenti dellanima (1340 a).
50 Cfr. 49 Lanalisi

3.3. IMMAGINAZIONE E MIMESI

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cit imitativa della musica suggerisce di tradurre la distinzione tra somiglianza imitativa e non imitativa in termini di signicanza rispettivamente intrinseca ed estrinseca, ove la prima sottointende un potere di comunicazione immediato grazie al quale chi ascolta non si trova a dover inferire la presenza di determinate qualit etiche nella musica, ma semplicemente le esperisce come parte integrante dellascolto, mentre la seconda richiede un procedimento di decifrazione, anche elementare, che dal segno conduca al signicato. Ci non implica affatto, come Halliwell52 fa notare, che la distinzione debba congurarsi in termini di contrapposizione tra il naturale e il convenzionale, come se nel secondo caso linterpretazione dovesse risolversi necessariamente in unopera di decodicazione, ma solo che nel primo caso non si d alcun passaggio dal signicante al signicato. La capacit mimetica della musica, indipendente da qualunque associazione extra-musicale, si manifesta come potere psicagogico nella forma di una sorta di narrativit implicita53 , uente grazie alla specicazione del ritmo e alla modulazione appropriata delle altezze dei suoni. In questa capacit putativa della mimesi musicale aspetto rappresentativo e aspetto espressivo risultano indissolubilmente connessi o addirittura sovrapposti poich, ad Aristotele, non appare possibile valutare il signicato di unopera mimetica senza tenere conto della reazione di un ascoltatore, la cui sollecitazione avviene in virt di propriet intrinsecamente possedute dallopera stessa. Questa profonda compenetrazione si riette nellunitariet della teoria musicale aristotelica, in cui la componente oggettiva della conoscenza si fonde con quella soggettiva della ricezione, rendendo possibile spiegare luna attraverso laltra, e, dunque, inferire le propriet della musica dai suoi effetti sullascoltatore. La musica, come si visto, realizza un tipo di corrispondenza completamente diverso rispetto a quello delle arti gurative. Se vero, infatti, e ci non fa che riformulare quanto gi affermato, che nel caso pi elementare di imitazione rappresentato dallonomatopea ci che avviene effettivamente la riproduzione di un suono tramite un altro suono, prodotto da un soggetto diverso dal primo e, eventualmente, secondo modalit differenti, vero anche che quando loggetto dellimitazione un carattere - e, come si visto, proprio
52 Cfr. 53 Ivi

Ivi p. 243. p. 247.

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CAPITOLO 3. RAGIONE E ANIMA A-RAZIONALE

questo il caso che riveste maggior interesse per Aristotele - non si d alcuna continuit dal punto di vista materiale tra oggetto imitato e imitazione. L dove la pittura riproduce colori e forme tramite colori e forme, la musica induce stati emotivi in assenza di una stimolazione reale tramite lorganizzazione dei suoni. Lelemento comune a struttura musicale e stato emotivo che, secondo Aristotele, consente lattivazione del secondo in virt del primo, rinvia alla natura stessa di entrambi, la quale appare determinata da unidea di movimento (kin esis) inteso come modicazione temporale strutturata secondo sequenze di impulsi costituenti il ritmo. Sussiste, insomma, una sorta di isomorsmo dinamico tra le strutture musicali e gli stati emotivi che, durante lascolto, opera coordinando immediatamente il movimento dei suoni con quello degli affetti consentendo di raggiungere un grado di efcacia di molto superiore rispetto a quello ottenibile con il segno nelle arti gurative. Nel tentativo di esprimere pi incisivamente questa capacit della musica, Halliwell ha proposto di ricorrere al lessico di Peirce applicando il quale ha denominato il relativo genere di somiglianza mimetica come iconica, ovvero capace di denotare qualcosa solamente in virt di caratteristiche proprie, stabilenti un rapporto di analolgia con il signicato, alla maniera del Cratilo54 . Proponendo un parziale aggiustamento allo scopo di renderla applicabile in questo contesto, Halliwell ha suggerito di non assumere il riferimento alla natura come discrimine tra mim esis e s emeia, poich le propriet che determinano lanalogia tra la musica e lemotivit non sono propriet del suono in s, ma solo del suono elaborato. La correzione che ne consegue prescrive limpiego dellaggettivo intrinseco in sostituzione di naturale, il quale, a differenza di questultimo, segnala che il potere mimetico della musica deriva esclusivamente da propriet della struttura melodica e ritmica, senza che nulla di estraneo, compresa lintenzione che imprime un certo ordine ai suoni, debba essere preso in considerazione. Nonostante le differenze che distinguono la mimesi musicale da quella delle arti gurative, Aristotele mantiene un parallelismo di natura concettuale che, identicando nellarticiale mimetico la causa equivalente dello stimolo reale,
54 Ma se i nomi primi devono essere segno di alcuni oggetti, hai un modo migliore di farli diventare rappresentazioni, che renderli quanto pi possibile simili a quelli che devono indicare? (433 d).

3.3. IMMAGINAZIONE E MIMESI

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astrae dal requisito di condivisione del medio sensibile per conferire peso solamente al risultato, consistente in una reazione emotiva indipendente da cause reali. Come la musica, anche la pittura e la scultura possiedono la facolt di originare equivalenti formali della realt in grado di dare vita a forme di esperienza corrispondenti. Lunico elemento discriminante il grado di intensit, che dipende dalle risorse proprie di ciascuna forma darte e dalloggetto della mimesi stessa: l dove questultimo un frammento di mondo, reale o immaginario, le arti gurative possono ottenere una riproduzione molto fedele, mentre quando esso costituito da uno stato del soggetto, sia esso un carattere o una pi indistinta sfumatura emotiva, la natura cinetica della musica riesce a imprimere con maggiore efcacia nellanima i suoi movimenti. Emerge, insomma, una caratterizzazione della mimesi in termini di nzione, di momentanea sostituzione del reale con limmaginario, resa possibile dallaccoglienza del ttizio come fonte alternativa di esperienza, a patto di mantenere i principi di coerenza formale vigenti nel reale. Nel ricondurre la mimesi alla nzione, Aristotele ne circoscrive nettamente lambito di pertinenza, differenziandolo essenzialmente da quello di altri tipi di attivit intellettuale come quello scientico, quello storico e quello losoco. La distanza della mimesi dalla sfera del sapere oggettivo, che si potrebbe porre in termini di distinzione tra larricchimento del mondo del soggetto in quanto capace di esperienza e lincremento delle conoscenze relative al mondo reale a partire dallesperienza, rispettivamente, si manifesta anche sul piano poetico-stilistico con ladozione di uno stile espositivo congruente, per cui maggiore lincidenza dellintento mimetico, maggiore il ricorso allespressione in prima persona55 : se nellesposizione scientica questa modalit espressiva totalmente assente, essa diviene invece criterio di valutazione del grado di mimetismo, indizio della volont di esibire lazione piuttosto che di descriverla. In questa prospettiva deve essere compreso il giudizio di superiorit formulato da Aristotele nei confronti della mimesi drammtica: in quanto forma poetica capace del maggior grado di vividezza, qualit che egli denisce per mezzo del termine enrgeia56 , la poe55 Un esempio estremamente signicativo in questo senso saranno proprio le Confessiones di Agostino. 56 Lenrgeia, resa in latino dal termine evidentia, pu essere denita come il potere del linguaggio di conferire una presenza vivida a ci cui le parole si riferiscono. Per mezzo di qualit come limmediatezza visiva e una forte presa emotiva, ci che il linguaggio esprime assume vita propria

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CAPITOLO 3. RAGIONE E ANIMA A-RAZIONALE

sia drammatica risulta infatti essere la forma poetica pi vicina allespressivit iconica posseduta, nel grado pi elevato, dalla musica. La scelta teorica di escludere dalla nozione di mimesi lidea di riproposizione del reale, centrandola invece sullesperienza del soggetto, denisce il mimetismo aristotelico come sintesi di due diverse istanze: lattribuzione alloggetto mimetico dello statuto di artefatto e il riconoscimento della sua capacit di agire in vece delloggetto reale in quanto stimolo di esperienza. Questa duplicit, come Halliwell ha messo in luce57 , si riette nellimpossibili di identicare la visione aristotelica con uno dei due estremi, quello del completo dissolvimento del signicato delloggetto mimetico nel ruolo di surrogato di esperienza per lo spettatore da un lato, e quello dellaffermazione della sua totale autonomia in virt delle sue propriet interne dallaltro. La sintesi aristotelica, piuttosto, pu essere considerata come il risultato di una compenetrazione tra la componente tecnica, che consente la produzione di un oggetto dotato di organicit e coerenza interna, e la componente etica, incorporata nellevoluzione storico-culturale: Ora, poich abbiamo, per nostra natura, il gusto dellimitare e, inoltre, della musica e del ritmo, ed evidente che dei ritmi sono elementi i metri, allora avvenne da principio che quanti avevano per queste cose le migliori disposizioni naturali, procedendo poco a poco, generarono spontaneamente lattivit poetica. E cos, secondo lindole personale di ciascuno, lattivit poetica rest suddivisa: i pi nobili riproducevano le azioni egregie e i fatti del loro rango, e invece gli uomini pi comuni i fatti del volgo; cos composero invettive da principio, mentre altri faceva inni ed encomi (Poetica 48 b). La questone della tecnica interviene con un ruolo ben denito nella caratterizzazione duale del mimetismo, denendo due corrispondenti categorie di piacere estetico, vale a dire una in cui labilit dellartece si rivela medio strumentale alla comprensione dellintento rappresentativo e una determinata unicamente dalle qualit proprie delloggetto e, pertanto, essenzialmente indipendente dalla natura mimetica di questultimo. La teorizzazione aristotelica, tuttavia, sebbene tenda a connotare negativamente il piacere procurato dalle qualit puramente percettive come il colore o la bellezza di un suono, afferma con sicurezza la necessit di un reciproco comporsi delle due componenti, in
nella mente di chi parla, cos come in quella di chi ascolta. 57 Cfr. Ivi p. 172 ss.

3.3. IMMAGINAZIONE E MIMESI

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quanto condizione stessa dellatto estetico58 . Questultimo, a sua volta, da intendersi come una reazione costitutivamente mediata di fronte al contenuto rappresentativo, in un modo che congura tale mediazione come lelemento discriminante della stessa esperienza estetica59 . In conclusione, la concezione che emerge dalle tesi esposte nella Poetica, nella Retorica e nella Politica sembra determinare lesperienza estetica come risultante di un procedimento che, a partire dalla rappresentazione tramite le propriet percettive di un certo materiale, sia esso pittorico, scultoreo, poetico, musicale o coreograco, termina nel coglimento da parte del pubblico della somiglianza in cui si risolve lintenzione dellartece, realizzando cos una forma di comprensione. Considerando che il riconoscimento delle somiglianze era valutato da Aristotele come unabilit fondamentale non solo in ambito artistico, ma anche in quello losoco e retorico, sembra possibile proporre laccostamento del mimetismo alla gura retorica della metafora che, per denizione, si nutre di un confronto non esplicitato in virt di cui qualcosa deve essere riconosciuto in qualcosaltro. Al pari delloggetto mimetico, infatti, anche la buona metafora suscita piacere poich possiede in massimo grado quel potere di porre di fronte agli occhi, che risultava cos importante ai ni dellefcacia oratoria e che derivava dallincorporamento della forma stessa del rappresentato piuttosto che dalla sua descrizione60 .

58 Una doverosa precisazione riguarda il rapporto tra la componente cognitiva e quella edonistica dellesperienza estetica, che appare complicato dalla forte accentuazione emotiva che Aristotele conferisce allatto della comprensione. Il presupposto che solleva la teoria aristotelica da accuse di incompatibilit quello che nega la risoluzione di tale atto in unoperazione di carattere essenzialmente razionale per riconoscerne invece lineliminabile connotazione emotiva. Nessuno scarto tra comprensione razionale ed emozioni, dunque ma, anzi, il riconoscimento che queste ultime rinviano alla prima come al loro proprio fondamento. 59 Proprio il carattere mediato di tale reazione, che manifesta il contributo dellartece, ci che, secondo Aristotele, ha il potere di trasformare la reazione dolorosa rispetto a un evento del mondo reale in una reazione di piacere al cospetto della rappresentazione del medesimo evento. Cfr. 1448 b. 60 Proprio questa considerazione, per Aristotele, motiva la maggiore vividezza della metafora rispetto alla similitudine.

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CAPITOLO 3. RAGIONE E ANIMA A-RAZIONALE

Capitolo 4

Ars rethorica
4.1 Breve storia della retorica
La prima trattazione completa e sistematica dellarte retorica non risale alla fase iniziale della sua evoluzione, ma fu portata a termine solo molto pi tardi, da Aristotele. Mentre coloro che, prima di lui, avevano cercato di denire i compiti e i limiti della disciplina si erano concentrati in modo esclusivo o sulle sue applicazioni pratiche o sulla valutazione generale della sua utilit, egli intu che questi due livelli di considerazione non dovevano restare disgiunti. Partendo dalle dottrine precedentemente formulate, dunque, elabor una nuova teoria della retorica che, se da un lato trattava dettagliatamente degli aspetti applicativi, dallaltro approfondiva le implicazioni teoriche e stilistiche proponendosi, di fatto, con una funzione di disciplinatrice della creazione artistica1 . Lopposizione-composizione di queste due polarit si riette nella trattazione diversicata del fenomeno del discorso in due opere connesse ma distinte, la Retorica e la Poetica, centrate rispettivamente sul tema della progressione da idea a idea ( immagini ( ) e su quello della concatenazione di )2 . Secondo R. Barthes, lopposizione tra sistema re-

torico e sistema poetico costituiva un elemento tipico dellimpostazione aristotelica, ereditato da tutti gli autori successivi almeno sino allepoca di Augusto. In seguito la loro fusione, che trasform lars rethorica in una
1 [97, 2 Cfr.

poetica

introduzione di V. Licitra, p.XI.] [14, p.19.]

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CAPITOLO 4. ARS RETHORICA

(di creazione)3 attinente allambito delle questioni stilistiche e compositive, divenne un dato acquisito nel Medioevo, dando origine al concetto stesso di letteratura. Alla luce di questo rapido accenno sembra possibile distinguere almeno tre fasi nel percorso evolutivo della retorica, ovvero una che si pu denominare pre-aristotelica, una aristotelica e unultima successiva alla totalizzazione poetica di cui si detto, che rappresentava per certi versi lesaurimento stesso della disciplina o, meglio, la sua trasformazione in qualcosa di differente. Un dato innegabile che tutti gli elementi fondamentali che contribuirono a formare lidentit della retorica e che ricevettero sistemazione nella manualistica classica costituivano uneredit aristotelica. Linsegnamento di Aristotele fu raccolto ed elaborato gi ad opera del primo Peripato, che si applic in modo particolare allaspetto classicatorio. La gura di maggior rilievo in questo contesto fu senza dubbio quella di Teofrasto, autore di una Retorica e di un altro trattato sulla teoria dellelocuzione, entrambi perduti. Il suo contributo riguard quasi esclusivamente il lato tecnico della disciplina e lesito pi rilevante fu la formulazione della teoria dei tre stili retorici - lumile, il medio e il sublime destinata, come si vedr, ad avere seguito anche al di fuori dellambito ellenistico. Oltre a ci, Teofrasto non trascur di riettere sul valore della parola in relazione alluso cui essa poteva prestarsi e distinse, in modo signicativo, tra la parola poetica e la parola retorica da un lato, tese primariamente a sortire un preciso effetto nellascoltatore, e la parola losoca dallaltro, mirante invece a restituire unimmagine fedele delle cose e limitata, pertanto, a una funzione meramente segnaletica. La coscienza di questa doppia dimensione della parola era ben presente anche in seno allo stoicismo, per quanto la retorica fosse prevalentemente connotata come manifestazione linguistica della verit e, per questo, tendenzialmente inclusa nella losoa. Ciononostante, lelaborazione della forma elocutiva non veniva affatto considerata dagli stoici alla stregua di un ornamento superciale, anzi. Un frammento riferito a Cleante risulta a questo proposito molto signicativo: Egli sostiene che sono migliori le composizioni poetiche e i modelli musicali e, pur ammesso che il discorso della losoa possa rivelare
3 Ivi.

4.1. BREVE STORIA DELLA RETORICA

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adeguatamente le cose divine e umane, lassoluta eccellenza divina non trova parole appropriate; allora, i metri, i canti e i ritmi giungono, per quanto possibile, alla verit della contemplazione degli dei (Frammenti I, 486). Il dato che maggiormente colpisce il trasferimento della retorica dal piano concreto dellattivit politica e forense a quello eminentemente speculativo della losoa pratica e teoretica, esteso addirittura alla considerazione del divino. In questa prospettiva, radicalmente opposta a quella platonica che, come noto, le negava lo statuto di una vera e propria arte, la retorica veniva elevata addirittura al rango di scienza, nella sostanza equivalente alla dialettica e da essa distinta solo per la differente modalit espressiva. Se il contenuto del dire rimaneva sempre e comunque la verit, la sua forma poteva essere pi o meno concisa, cos come la medesima mano poteva essere tenuta chiusa o aperta, secondo la celebre immagine di Zenone. Per certi aspetti vicina allo stoicismo, anche se non completamente riconducibile ad esso, la gura di Ermagora di Temno merita di essere ricordata per il contributo duraturo che impresse alla tradizione retorica e che giunse, riconoscibile, sino ad Agostino4 . Attivo attorno alla met del II sec. a. C., Ermagora elabor un sistema il cui principale elemento di novit consisteva nellampliamento della denizione dellambito proprio della retorica dal particolare alluniversale, individuato, questultimo, dalle cosiddette tesi, in linea di principio assimilabili ai luoghi comuni aristotelici. Per quanto non del tutto nuova, la mossa di Ermagora ebbe tuttavia il pregio di portare a termine la prima formulazione esplicita della distinzione proposta da Aristotele, inserendosi a pieno titolo nella tradizione che tendeva a includere nella sfera di pertinenza della retorica anche le questioni pi generali e che era quindi portata a riconoscerle una precisa collocazione allinterno della losoa.
4 La suddivisione formalizzata da Ermagora fu adottata stabilmente anche in ambiente latino e fu espressa traducendo tesi con genus innitum o communis quaestio e ipotesi con genus denitum o quaestio nita. Essa compare, assieme allaltra fondamentale distinzione da lui tracciata tra genere razionale e genere legale, nella denizione dei compiti delloratore con cui si apre il De rethorica di Agostino, il quale, in seguito, la formula in questi termini: La tesi ci che permette una considerazione razionale senza denizione di persona; lipotesi, o controversia, per usare un nome improprio, ci che permette una discussione razionale con la denizione di persona (ret. 5). Il riferimento a Ermagora costante nel trattatello agostiniano, cos come in tutta la trattatistica tardo-imperiale, ma ci non impedisce al Nostro di prendere posizione contro di lui, mostrando di applicare nei fatti il criterio di supremazia della ragione nellambito delle discipline liberali: Ma a me pare in maniera molto diversa, e parler con buona pace di un cos granduomo: non bisogna infatti rispettare sempre lautorit, specialmente quando vinta dalla ragione (ret. 19).

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CAPITOLO 4. ARS RETHORICA

Ermagora, assieme ad Aristotele, fu la gura di riferimento principale per la trattatistica latina che, rispetto a quella greca, esord molto pi tardi. Il trattato pi antico, la Rhetorica ad Herennium, risale infatti agli inizi del I sec. a. C. e ripropone, nella sostanza, la classicazione e la precettistica elaborate in ambiente greco. Uno dei suoi meriti principali, a questo proposito, fu quello di elaborare, ricalcandola sulla matrice greca, la terminologia retorica che sarebbe stata stabilmente adottata dagli autori successivi. Per il resto, questo trattato non offre pi di un compendio della precedente precettistica analitica. Del medesimo tono - e ci ha contribuito ad avvalorare lattribuzione della Rhetorica ad Herennium a Cicerone - risulta essere anche il giovanile De inventione oratoria che, diversamente dalle opere risalenti al periodo successivo, evita di affrontare la questione del rapporto tra la retorica e la losoa. La posizione in seguito assunta da Cicerone, come si avr modo di vedere, sarebbe stata quella di affermare la complementarit tra le due discipline che si traduceva, a livello di concezione della retorica, nella necessit di mantenere un equilibrio tra la componente del contenuto e quella della forma: Oggigiorno per noi siamo sopraffatti non solo dalle opinioni del volgo, ma anche da quelle degli uomini di cultura mediocre che riescono a trattare pi facilmente gli argomenti che non sono in grado di dominare nella loro interezza suddividendoli e facendoli, per cos dire, a pezzi; essi separano cos le parole dai pensieri, come il corpo dallanima, con un procedimento che necessariamente provoca la morte di entrambi. Per questo motivo, nel mio discorso, non oltrepasser i limiti che mi sono imposti: spiegher in breve che non possibile trovare gli abbellimenti stilistici senza concepire ed esprimere un pensiero, n pronunciare un pensiero chiaramente senza la luce delle parole (De oratore III, vi, 24-5). Come corollario di questa tesi, risultava posta la legittimazione della retorica come arte, ove questultima era intesa in senso ampio, non vincolato cio alla presenza di un sistema di regole evidenti e necessarie. La consapevolezza della peculiarit della retorica appariva dunque ben chiara a Cicerone, che riconosceva in essa la necessaria compresenza sia della componente razionale, cui era ricondotta lelaborazione della teoria, sia di quella esperienziale che, attraverso lesercizio, permetteva di acquisire la padronanza dei mezzi espressivi. Il momento della verica sperimentale costituiva infatti la condizione necessa-

4.1. BREVE STORIA DELLA RETORICA

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ria per procedere alla codica e alla sistemazione di regole che, per quanto non universali in quanto determinate in funzione del contesto dimpiego, con particolare riferimento alla qualit delluditorio, formavano un corpo di conoscenze efcaci. Emerge qui un tratto tipico dellimpostazione ciceroniana, ovvero la prevalenza della dimensione operativa della retorica, che lo induceva a ridimensionare limportanza dellammaestramento dei retori riconoscendone s lutilit, ma, nel contempo, il carattere non originario: Sono giunto per alla conclusione che tutti questi precetti sono validi non tanto perch gli oratori che vi si sono attenuti hanno conseguito fama di eloquenza, ma piuttosto per il fatto che taluni hanno studiato ci che facevano distinto gli uomini eloquenti traendone precetti. Di conseguenza, non leloquenza nata dalla retorica, ma la retorica nata dalleloquenza (De oratore I, xxxii, 146). La retorica latina conobbe il suo massimo splendore con Cicerone per iniziare gi, poco dopo di lui, il suo periodo di decadenza. Una delle ultime gure signicative fu quella di Quintiliano, autore di una Institutio oratoria di cui manifesta la dipendenza dalla precedente trattatistica, in particolare da quella dellarpinate. Questo manuale traccia, nei suoi dodici libri, un piano completo di formazione delloratore, dallapprendimento della lingua sino alla sua pratica pi sosticata, senza escludere la valutazione delle qualit morali e del grado di cultura giudicati adeguati al ruolo. La caratteristica saliente dellopera la tendenza pervasiva alla riconduzione di ogni aspetto al piano della tecnica come se, secondo lefcace espressione di Barthes5 , Quintiliano assumesse quale circostanza originaria il darsi di una inibizione nativa a parlare, superabile solo attraverso lo studio. I secoli contigui al passaggio nellera Cristiana videro il susseguirsi di oratori che godettero di chiara fama presso i contemporanei ma che, di fatto, non introdussero elementi di originalit nella disciplina. Alcuni tra questi furono Dionigi Alicarnasso, Apollodoro di Pergamo e Teodoro di Gadara, i primi due di ispirazione razionalista e fortemente conservatrice, appartenenti al cosiddetto atticismo, il terzo, invece, rappresentante di una corrente opposta che individuava nellelemento patetico la vera origine della forza persuasiva della
5 Cfr.

R. Barthes, op. cit. p. 25.

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CAPITOLO 4. ARS RETHORICA

retorica. Nel contesto della polemica che coinvolse i sostenitori delle due fazioni or lultima opera importante delloratoria greca, il trattato Del sublime, che, sebbene anonimo, pu essere tuttavia ricondotto con una certa attendibilit alla scuola di Teodoro. La posizione che lo contraddistingue di netto riuto rispetto allorientamento pragmatico e utilitaristico comune allimpostazione aristotelica e a quella stoica, mentre signicativo appare il recupero della tesi platonica che riconduceva al pthos lessenza della retorica, cos come di quella della poesia. Il sublime, che costituisce loggetto del trattato, specica lelemento patetico congurandosi come lo straordinario che irrompe nel discorso e che, oltrepassando la persuasione e il piacere, induce in chi ascolta uno stato di meraviglia estatica in grado di esercitare una forza irresistibile6 . Un passo eloquente, in proposito, il seguente, che rivela una certa assonanza con alcuni luoghi dello Ione7 in cui lo stato entusiastico del poeta letto come chiaro segno della presenza operante del divino: Oserei evidenziare con forza che non c nulla di cos magniloquente come una nobile passione quando viene a proposito, che per cos dire esala sotto leffetto di una forma di follia e di un sofo carico di entusiasmo, e riempie quasi di afato divino il discorso (VIII, 4). Lultima tappa nella storia della retorica antica segnata dalla Seconda Sostica, una corrente che pu essere considerata di vaste proporzioni non solo perch interess tutto il mondo greco-romano nel periodo compreso tra il II e il IV sec. d. C., ma anche perch estese la denizione stessa di retorica molto al di l dei conni di una disciplina, facendole assumere quelli di un vero e proprio modello culturale. La denominazione sottointendeva un preciso riferimento ai retori loso del V sec. a. C., anche se la Seconda Sostica mancava, di fatto, delloriginalit e della profondit di pensiero che avevano caratterizzato la sostica presocratica. Come gli antichi, tuttavia, i neososti offrivano le proprie prestazioni a pagamento spostandosi di citt in citt e mirando a stupire luditorio con la loro abilit virtuosistica. Per far risaltare meglio le qualit retoriche di cui erano in possesso, sceglievano spesso argomenti ostici che, tutDel sublime I, 3. cosa lieve, alata e sacra il poeta, e incapace di poetare, se prima non sia ispirato dal dio e non sia fuori di senno, e se la mente non sia interamente rapita. Finch rimane in possesso delle sue facolt, nessun uomo sa poetare o vaticinare (534b). Da ci conseguiva, secondo Platone, che i poeti non sono altro che interpreti degli dei (534e).
7 Infatti, 6 Cfr.

4.1. BREVE STORIA DELLA RETORICA

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tavia, si riducevano a mero pretesto per dare sfoggio di spettacolarit di fronte al pubblico. Laccenno alla Seconda Sostica conclude il prolo della storia della retorica antica, qui rapidamente tracciato allo scopo di farne emergere le diverse fasi dello sviluppo. Sullo sfondo cos ricostruito ora possibile collocare, approfondendone la dottrina, gli autori che ne furono protagonisti e che, in modo pi o meno diretto, contribuirono alla formazione del giovane Agostino.

4.1.1 Origini: storia di due retoriche


La nascita della retorica fu accompagnata, come R. Barthes8 ha messo in luce, non gi da quella gratuit che ha dato impulso alla storia di molte forme darte e che egli denisce sottile mediazione ideologica, ma a una circostanza di nuda socialit, posta dalla necessit di difendere il proprio bene, la propriet. Nulla di pi distante, almeno in apparenza, da ci che aveva dato origine alla dialettica, un interrogare trascendente il limitato orizzonte del singolo, eppure, sotto un certo aspetto, riconducibile a una medesima urgenza, sebbene diversamente diretta: non pi la ricerca del limite, ma la sua difesa. In questo va rinvenuto il fondamento losoco della retorica, un fondamento non riferito al vero, ma a un verosimile valutato da stimarsi molto pi del vero9 . Da un punto di vista strettamente storico, la retorica nacque in Magna Grecia nel V secolo a. C. e le testimonianze degli antichi sono concordi nel riferirla alliniziativa dei siracusani Crace e Tisia oltre che, in modo molto sfumato, a Empedocle di Agrigento. Cicerone, nel Brutus, ha offerto la testimonianza pi autorevole in questo senso: Cos, dice Aristotele, quando, cessata in Sicilia la tirannide si rivendicavano in processi, a distanza di tempo, i beni privati, allora primamente, poich quella popolazione acuta dingegno e litigiosa per natura, i siciliani Crace e Tisia scrissero precetti sullarte del dire (artem et praecepta), poich prima di loro molti parlavano s con cura e con ordine, ma nessuno con metodo e secondo norme stabilite (nam antea neminem solitum via
R. Barthes, op. cit. p. 14. noi lasceremo dormire Tisia e Gorgia, i quali videro come siano da tenere in pregio pi che non le cose vere quelle verosimili e che fanno apparire le cose piccole grandi e le grandi piccole mediante la forza del discorso, e le cose nuove in modo antico e le antiche in modo nuovo, e hanno scoperto la brevit dei discorsi e le lungaggini che non niscono mai su tutti gli argomenti? (Fedro 267 a).
9 E 8 Cfr.

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nec arte, sed accurate tamen et descripte plerosque dicere) (XII, 46). Da questo passo possibile dedurre non solo che unattenzione per luso accorto della parola era preesistente rispetto a Crace e al suo allievo, i quali si limitarono dunque a teorizzarla, ma anche che, inizialmente, la retorica fu riconosciuta come una tecnica scienticamente impostata. Accanto a questa concezione, fortemente pragmatica, unaltra era andata nel frattempo prendendo forma sotto linuenza di dottrine come quella di Empedole, in cui la protensione scientica aveva lasciato spazio a un atteggiamento diverso, sensibile alla suggestione dellirrazionale e del magico. A. Plebe10 ricorda che Aristotele, nel suo dialogo giovanile Sophists, aveva signicativamente identicato con Empedocle linventore della disciplina e questo dato offre una conferma circa lesistenza di una retorica non tecnica n nalizzata esclusivamente alla dimostrazione del verosimile ma, ricorrendo a un termine che sarebbe stato introdotto in seguito dal suo discepolo Gorgia, psicagogica, ovvero mirante a esercitare un dominio sulle parti non razionali dellanima sfruttando il fascino, anche ingannatore, della parola. Tale nozione rinvia, come Plebe ha osservato, allidea empedoclea di k smon epon apatel n (Per physeos fr. 8), espressiva di un ordinamento ingannatore delle parole capace di plasmare la d xa non in forza del vero, ma piuttosto attraverso un incantesimo (epod) autonomamente esercitato. Molti studiosi del Novecento, come Pohlenz, Suess, Rostagni e Nestle, hanno ritenuto possibile rintracciare un legame tra questa concezione della retorica e le correnti pitagoriche orite in Magna Grecia nello stesso periodo. Viene spontaneo, comunque, riconoscere unanalogia tra la retorica psicagogica e altre arti come la medicina e la musica le quali, accomunate dal potere di agire sullanima, erano ritenute in possesso di unindiscussa capacit terapeutica. Ben noti, del resto, sono gli aneddoti che confermano questa circostanza nel caso della musica e che rimandano principalmente al pitagorismo11 . Una caratteristica che i pitagorici attribuivano alle conoscenze terapeutiche in genere era la polytrop a, che, applicata al caso della retorica, segnalava la consapevolezza di quanto lefcacia di un discorso dipendesse dal tipo di destinatario e richiedesse, di conseguenza, un certo grado di accortezza nella scelta dello sti10 Cfr. 11 Cfr.

[119, p. 17.] 5.5.3.

4.1. BREVE STORIA DELLA RETORICA

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le. Lattenzione per il momento ricettivo, specicata nella considerazione del grado di complessit dellargomento e del livello culturale delluditorio, risultava funzionale alla gestione dello stato emotivo di questultimo e costituiva forse laspetto che maggiormente diversicava la retorica psicagogica dalla retorica scientica dei siracusani, la quale mirava a convincere esclusivamente mediante la dimostrazione. Agli occhi dei pitagorici, linclusione di elementi di natura non razionale nella sfera di pertinenza della disciplina non privava la retorica del suo rango di tecnica poich, pur non disponendo di una precettistica al pari delle altre discipline ad essa accomunate, essa richiedeva tuttavia il possesso di unarte estremamente rafnata: Dicevano che sino a un certo punto lopportunit retorica pu insegnarsi e non irrazionale e si presta a unesposizione tecnica: per in senso universale e assoluto nessuna di queste propriet le compete (Vita Pythagorica 182). La prima teorizzazione di una retorica psicagogica risale a Gorgia, il quale pu altres essere considerato come la gura di collegamento tra la retorica della Magna Grecia, luogo in cui nacque ed ebbe modo di conoscere Empedocle, e la Grecia continentale, dove trascorse la maggior parte della sua vita. La concezione gorgiana della retorica ben descritta nellomonimo dialogo di Platone che la presenta come artece di persuasione (peithous demiourg s) (453 a) e creatrice di convincimento ma non di insegnamento (pisteutik es allou didaskalik es) (455 a). Uno dei principali aspetti da considerare in relazione alla retorica di Gorgia il carattere sfumato dei conni che la distinguevano dalla poesia, la quale, nella misura in cui individuava un ambito legittimo nello studio dellefcacia del linguaggio, poteva ben gurare accanto alla prima, differenziandosi solo per la presenza del metro. A parte questo, la distinzione pu essere formulata attraverso il riferimento a due nozioni fondamentali, la persuasione (peith ) e lillusione poetica (apte), che nellesprimere rispettivamente il potere di trascinare allazione e quello di isolare lindividuo in un mondo irreale, delineano efcacemente la contrapposizione tra la dimensione sociale e attiva della retorica e quella privata e passiva della poesia. La nozione di apte rinviava assai probabilmente alla matrice pitagorica della formazione di Gorgia, ma egli la modic sensibilmente facendo virare la determinazione del ne dalla cura delle malattie del corpo e dellanimo alla

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produzione di un incantesimo poetico, di un inganno in grado di strappare lanimo da una condizione di normalit per gettarlo in uno stato di soave malattia (n sos edeia): Come alcuni farmaci eliminano dal corpo alcuni umori, altri altri, e certi strappano alla malattia, altri alla vita, cos delle parole alcune afiggono, altre dilettano, altre atterriscono, altre dispongono chi ascolta in uno stato di ardimento, altre inne con efcace persuasione maligna avvelenano e ammaliano lanima12 . Lo stretto legame di parentela che univa la nozione di apte a quella di peith , il quale non faceva altro che riprodurre a livello concettuale la profonda afnit tra la poesia e la retorica, consisteva nel rinviare a una medesima idea generatrice, quella che identicava un tratto essenziale del linguaggio nel potere di indurre stati emotivi nellanimo indipendentemente dal dato reale. Se lintento della poesia era di far credere allesistenza dellinesistente, infatti, il ne della retorica era quello di alterare il giudizio sulla realt in funzione della volont delloratore: ci che in entrambi i casi era mantenuto come presupposto indiscusso era il riconoscimento della divina potenza del l gos, signore che con piccolissimo e impercettibile corpo compie opere divinissime13 . La forza delleloquio gorgiano aveva un effetto trascinante sulluditorio, assai simile a quello della musica. Tale analogia stata approfondita, tra gli altri, da G. Curcio14 che, in modo specico, lo ha efcacemente denito come un ditirambo in prosa, intendendo con ci esprimere che larte retorica che Gorgia fece conoscere ad Atene era una vera e propria arte di allettare con musicale oritura di parole. Dal punto di vista della tecnica, anche nella retorica gorgiana lantitesi era la gura fondamentale, sebbene in modo diveso rispetto a Protagora. Se nelle Antilogie, infatti, essa era assunta come criterio di organizzazione del contenuto in virt di cui i discorsi venivano efcacemente opposti luno allaltro, nella retorica gorgiana essa risultava investita di un valore eminentemente strutturale poich, determinando la disposizione interna dei periodi e dei termini, si congurava come vera e propria forma logica dellespressione. Plebe15 , a questo proposito, ha osservato che in conseguenza della penetrazione dellantitesi nella struttura della costruzione linguistica la retorica niva per trasformarsi
12 Encomio 13 Encomio

di Elena 14. Cit in A. Plebe, op. cit. p. 32. di Elena 8. Cit. ivi p. 34. 14 Cfr. [45, p.7.] 15 Cfr. A. Plebe, op. cit. p. 35.

4.1. BREVE STORIA DELLA RETORICA

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in dialettica, mentre M. Untersteiner ha ritenuto addirittura di potervi scorgere qualcosa di simile al riesso di una formula magica: La sacralit magica dello stile sincrocia col rigorismo logico di modo che le conseguenze tragiche di questo vengono annullate dalla forza suasiva e ingannatrice di particolari atteggiamenti formali16 . Tornando allaltro lone della retorica, quello che si pu denire scientico e che era stato inaugurato dalla pragmatica trattazione di Crace e Tisia, colui che pu esserne considerato il prosegutore fu Protagora il quale, dopo aver soggiornato in Sicilia, rielabor autonomamente molti concetti tra cui, nelle Antilogie, quello di antitesi. La premessa che stava alla base della sua concezione era che qualunque argomento poteva essere sviluppato secondo due linee reciprocamente contrapposte e sullo sfondo di questa convinzione aveva formulato la prescrizione che invitava a rendere pi potente il discorso meno valido (t tn htto l gon kretto poiein). Lottenimento di questo risultato era rimesso al possesso di quella che Protagora chiamava orthopeia, identicabile con la capacit di trovare parole convenienti combinata con la potenza del ragionamento. Tale concetto, a sua volta, era connesso a quello di kair s, che gi dai pitagorici era stato elaborato in relazione allidea di armonia numerica dando fondamento a un criterio di valutazione ispirato non allegualitarismo indiscriminato, ma alla discriminazione secondo proporzione. Una medesima costellazione concettuale che comprendeva le nozioni di polytrop a, orthopeia e kair s era dunque comune sia alla retorica psicagogica, sia a quella scientica, testimoniando la piena e precoce consapevolezza del carattere vincolante del rapporto con un uditorio, di come cio fosse questultimo a determinare, in ultima analisi, la scelta dei mezzi espressivi. A margine di questa indiscussa comunanza, Curcio17 specica la differenza tra la sostica della Magna Grecia e quella greca identicandone il tratto caratteristico, rispettivamente, nella predilezione per leloquio ornato (eupeia) e nella prescrizione delleloquio appropriato (orthopeia). Questa differenza si traduceva, concretamente, nel fatto che loggetto privilegiato della prima, quella di Empedocle e di Gorgia, erano le varie tecniche di oritura dello stile, principalmente luso di gure, immagini e neologismi, mentre quello della retorica di Protagora, di
16 [147, 17 Cfr.

p. 299.]. G. Curcio, op. cit. p. 4.

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Prodico e di Ippia era piuttosto la grammatica o, al pi, la cura del lessico, vale a dire lo studio dei singoli vocaboli dal punto di vista morfologico e semantico oltre che da quello delluso e delle trasformazioni. In conclusione, stante la suddetta comunanza tra le due tradizioni, ci che in questa sede merita di essere rimarcato che uno degli aspetti che maggiormente distanziava la concezione scientica della retorica da quella psicagogica consisteva nella mancanza di considerazione per gli elementi formali privi di un rapporto immediato con il contenuto o, detto altrimenti, per quella che si potrebbe denire la forma sonora del discorso. A fronte dello studio approfondito di strutture logico-espressive come lantitesi, che consentivano di organizzare gli argomenti nel modo pi efcace e che si caratterizzavano quindi in senso funzionale, la retorica scientica tendeva a escludere il ricorso agli artici che miravano a sfruttare la forza evocativa dei suoni la quale, percepita come fenomeno non dominabile e, pertanto, non razionalizzabile, restava esclusa dallambito proprio della disciplina.

4.1.2

La retorica aristotelica

Aristotele, come noto, den la retorica come la facolt (dnamis) di scoprire (to theorestai) il possibile mezzo di persuasione riguardo a ciascun soggetto (1355 b). In questa denizione, apparentemente elementare, sono contenuti due aspetti essenziali della sua concezione, relativi allambito di pertinenza della disciplina e alla sua funzione. Il primo denito piuttosto chiaramente dal riferimento a ciascun soggetto, che identica la condizione particolare della retorica rispetto alle altre tecniche: laddove queste ultime, infatti, si limitano a insegnare e persuadere riguardo ai propri specici argomenti, la retorica pu applicarsi a uno qualunque di essi, senza alcuna restrizione. Il secondo aspetto, invece, riguarda la determinazione della funzione che, in contrasto con una certa sostica, non fatto coincidere con il solo risultato, la persuasione, ma interessa la scelta dei mezzi e la discriminazione tra ci che persuasivo e ci che lo solo apparentemente, con un implicito ma chiaro riferimento al concetto di metodo. Tale metodo, nelle intenzioni di Aristotele, doveva ser-

4.1. BREVE STORIA DELLA RETORICA

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vire da guida nella messa a punto delle cosiddette argomentazioni tecniche18 (ntechnoi), di quelle, cio, che non dipendendo da circostanze oggettive erano interamente rimesse, quanto allefcacia, alla capacit inventiva delloratore. La padronanza della tecnica oratoria deve essere valutata, secondo Aristotele, sotto tre differenti aspetti (pisteis): labilit di ragionare secondo logica, la comprensione dei caratteri e, inne, la conoscenza dellorigine, della natura e della qualit delle emozioni. Questa convergenza di livelli eterogenei determina la natura composita della disciplina, connotandola come una sorta di ramicazione della dialettica e delletica che Aristotele, senza indugio, identica con la politica (1356 a). Il legame con la dialettica, in sostanziale accordo con la concezione platonica, era inteso in termini di analogia di struttura e di procedure, riscontrabile nella puntuale corrispondenza fra le forme argomentative delle due discipline ovvero, a coppie, lentimema e il sillogismo dialettico da un lato e lesempio e linduzione dallaltro. Il fondamentale elemento di differenziazione, invece, consisteva nellinclusione o meno della valutazione dellefcacia espressiva nella sfera di pertinenza della disciplina: se nel caso della dialettica questo aspetto era del tutto trascurato, esso costituiva invece, come si visto, una componente imprescindibile per la retorica, al punto che la preparazione culturale di un dato uditorio poteva inuire anche pesantemente sulla lunghezza e sul grado di complessit del discorso. Per quanto riguarda invece la vicinanza della retorica alletica e, dunque, alla politica, essa era intesa da Aristotele non sul piano della forma, quanto piuttosto su quello del contenuto, come risultava manifesto, ad esempio, dal fatto che tutti e tre i generi della retorica, il deliberativo, il giudiziario e lepidittico, si occupavano di temi che interessavano la vita cittadina. Delle tre pisteis sopra elencate, sul possesso delle quali Aristotele commisurava labilit retorica, la prima, la struttura argomentativa del discorso, era lunica comune anche alla dialettica mentre le due rimanenti, che prendevano ad oggetto i caratteri, le virt, le emozioni, intersecavano di fatto gli ambiti di pertinenza delletica e della psicologia. Una simile distinzione, per esplicita ammissione di Aristotele, poteva tuttavia essere operata solamente a livello
18 Le argomentazioni non tecniche (technoi), invece, sono quelle che non sono formate da noi stessi, ma sono preesistenti come le testimonianze, le Confessiones ottenute con la tortura, i documenti scritti e cose del genere (1355 b). Di queste, spiega Aristotele, ci si deve semplicemente servire, senza necessit di inventare alcunch.

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CAPITOLO 4. ARS RETHORICA

teorico poich, concretamente, argomentazione logica, presentazione del carattere e mozione degli affetti non potevano essere isolate in sezioni diverse del discorso, ma dovevano dare luogo a un intreccio organico. Congruentemente con la non disarticolabilit delle tre pisteis, Aristotele rivolge, nel capitolo introduttivo, lesortazione ad attenersi al dato oggettivo curando in particolare la prima componente della buona oratoria, senza cedere alla tentazione di imboccare la via pi facile alla persuasione facendo leva sul lato non razionale dellanimo dellascoltatore. Da un punto di vista molto generale, Aristotele individua tre componenti fondamentali nella retorica, coincidenti, di fatto, con quelle della comunicazione linguistica in senso lato: lautore, il messaggio, il destinatario. Questultimo poteva essere o uno spettatore intento a valutare labilit delloratore o un cittadino, le cui azioni tipiche erano deliberare su avvenimenti del passato, come nel contesto forense, o prendere una decisione in merito a eventi futuri di rilevanza collettiva, come in politica. In corrispondenza con questa tripartizione risultava stabilito il tipo di azione che loratore doveva esercitare sulluditorio e che, determinato rispettivamente dal ne di indurre lode o biasimo, di convincere della colpevolezza o dellinnocenza di un imputato o di orientare la decisione, si rietteva nella classicazione dei tre stili del discorso: lepidittico, il giudiziario e il deliberativo. Il carattere determinante del ruolo del destinatario conferiva importanza alla questione dello stile e alla cura nella dizione, ma tali elementi, agli occhi di Aristotele, rientravano in una sfera di considerazione, quella dellapparenza esteriore (phantas a), che non avrebbe dovuto essere investita di alcun ruolo nellinsegnamento di discipline scienticamente fondate (1404 a). Lefcacia e i conseguenti vantaggi per la vita sociale e politica della citt che, tuttavia, linsieme delle strategie comunicative formalizzate dalla retorica indubbiamente garantiva, ne rendeva di fatto fortemente auspicabile lo studio. Riuto teoreticamente motivato e accettazione sul piano pratico si combinavano, dunque, nella visione aristotelica, che identicava nello stato di corruzione dellascoltatore medio (1404 a) la causa che aveva reso necessario il ricorso agli artici della retorica. Questultima, qualicata con disprezzo come volgare, doveva quindi essere considerata alla stregua di un male necessario, mentre solo la di-

4.1. BREVE STORIA DELLA RETORICA

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scussione aderente alloggettiva verit dei fatti meritava di essere qualicata eticamente come giusta19 . La materia di studio specica della retorica comprendeva da un lato linsieme delle gure retoriche classiche e, dallaltro, le tecniche di modulazione della voce concernenti la disposizione delle altezze dei suoni, la scelta dei ritmi e la regolazione del volume sonoro, in vista dellottenimento del pi efcace impatto emotivo. Questo secondo ambito era, di fatto, comune tanto alla retorica quanto alla poetica, anche se questultima aveva iniziato molto tempo prima a coltivare lo studio dello stile. Lorigine di questo legame, cos come la rintraccia Aristotele, appare particolarmente interessante poich fa intervenire un concetto, quello di imitazione, che riveste un ruolo determinante sia nella spiegazione del potere del suono sullanima, come si gi avuto modo di approfondire20 , sia nella giusticazione dello statuto privilegiato di cui godevano, rispetto alle altre, le arti della parola: A dare impulso allo studio dello stile inizialmente furono, come naturale, i poeti: le parole, infatti, sono imitazioni (mimmata), e la voce, che di tutte le parti in noi la pi adatta allimitazione (mimetiktaton), era subito a disposizione. Di conseguenza furono create le tecniche: la rapsodia, la recitazione e le altre (1404 a). La ricostruzione storica di Aristotele riconosce un legame di diretta dipendenza tra le cose prive di senso raccontate con grazia di stile dai poeti e una certa retorica, esplicitamente riferita a Gorgia che, con la sua abilit di far presa sulle persone incolte aveva diffuso la convinzione che in essa consistesse il ben parlare. Che la buona retorica non potesse coincidere con la poesia, invece, era provato secondo Aristotele dalle circostanze stesse che avevano segnato levoluzione di un genere rilevante come quello tragico, nellambito del quale i poeti avevano voluto adottare il metro giambico e abbandonare il tetrametro proprio allo scopo di avvicinarsi il pi possibile al parlato comune, dimostrando cos di aver preferito sacricare lornamento per guadagnare in verosimiglianza. pertanto ridicolo - concludeva Aristotele - imitare i poeti, che non si servono
19 Ma poich lintera attivit della retorica riguarda lopinione si deve prestare attenzione alla recitazione non perch sia giusto, ma perch necessario, dal momento che per un discorso il giusto consiste solo nellevitare di offendere o di divertire. Il giusto, infatti, consisterebbe nel dibattere in base ai soli fatti, e di conseguenza tutto ci che estraneo alla dimostrazione sarebbe superuo. La recitazione, tuttavia, possiede una buona efcacia, come si detto, a causa della corruzione delluditorio (1404 a). 20 Cfr. 3.3.2.

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CAPITOLO 4. ARS RETHORICA

pi essi stessi di quello stile. Di conseguenza, evidente che non dobbiamo esporre nel dettaglio tutto quello che si pu dire dello stile, ma solo ci che riguarda il tipo di stile di cui parliamo. Dellaltro genere di stile abbiamo gi parlato nella Poetica (1404 a). Nel conteso dellultimo libro della Retorica, che fra i tre quello specicamente dedicato al discorso, Aristotele tratta diffusamente della forma di questultimo, ovvero, nel dettaglio, della lxis (elocutio) e della txis (dispositio) che riguardano, rispettivamente, linsieme delle gure e lordine delle parti del discorso. La prima qualit21 su cui Aristotele si sofferma in relazione allo stile la chiarezza (saph e) (1404 b), corrispondente alla perspicuitas delloratoria latina22 . Tale caratteristica si allineava perfettamente con la natura del discorso e, a monte, dello stesso linguaggio che, in quanto segno (semeon), esauriva il proprio compito principale nel chiarire23 . Quella in questione era una chiarezza adatta al soggetto, n troppo umile n troppo elevata, diversa da quella dello stile poetico in quanto ottenuta attraverso un uso dei termini che non si discostava da quello prevalente e che non tendeva allornamento mantenendosi, dunque, lineare. In questa prospettiva, il modo adeguato di comporre e di declamare appariva essere quello pi lontano dallarticio, capace di trasmettere alluditorio unimpressione di naturalezza evitando la vanicazione di ogni risultato a causa della difdenza che la mancanza di spontaneit da parte delloratore avrebbe potuto suscitare. Gli unici mezzi espressivi che Aristotele considerava leciti e utili nella composizione dei discorsi in prosa, in ultima analisi, erano la parola usata in senso letterale e la metafora: Tutti, infatti, parlano per mezzo di metafore e di parole usate in senso proprio e comune e, di conseguenza, evidente che se un oratore compone bene vi sar un che di
21 La seconda qualit che Aristotele pone come requisito di stile, e sulla quale non il caso di soffermarsi, la nezza linguistica (llenizein), consistente semplicemente nel rispetto delle regole della lingua e corrispondente alla puritas latina. Nel caso del greco, tale rispetto si traduceva in primo luogo nelluso adeguato delle correlazioni, che includeva anche lattenta considerazione dei limiti della memoria onde evitare di separare i due termini inserendo spazi troppo ampi o parole estranee e, secondariamente, nellimpiego di termini propri, nellesclusione di perifrasi e termini ambigui e, inne, nella resa corretta delle classicazioni di genere e di numero. Il ne generale cui tendevano tutte queste istruzioni, ben poco signicative se considerate in se stesse, era quello agevolare il pi possibile sia la ricezione del messaggio da parte del destinatario, sia la lettura e la pronuncia del discorso scritto da parte delloratore. 22 Cfr. Quintiliano, De institutione oratoria VIII, ii, 1-11. 23 Il discorso una forma di segno (semeon gr ti o lgos n), e pertanto se non chiarisce non svolger la propria funzione (1404 b).

4.1. BREVE STORIA DELLA RETORICA esotico nello stile ma larte non sar notata e vi sar chiarezza (1404 b).

129

Di tutte le prescrizioni che Aristotele formula in relazione alla metafora, lunica che presenta attinenza con il presente studio in quanto interessa laspetto percettivo del suono quella che suggerisce di ricavare tali gure da ci che bello per suono, per effetto, per efcacia visiva o per qualche altra impressione (1405 b). Mentre tutte le altre indicazioni si concentrano sul contenuto delle metafore e sul modo adeguato di costruirle, infatti, questa sembra prendere in considerazione laspetto esteriore e sensibile, ovvero ci che potrebbe essere qualicato come forma del suono. Degna di attenzione, in particolare, la conferma implicita dellimportanza che Aristotele riconsceva, nonostante tutto, al potere allusivo e suggestivo della parola ai ni del potenziamento espressivo del discorso. Una considerazione a parte era dedicata alluso della punteggiatura, la cui funzione era quella di imporre un limite al uire del discorso conferendo intelligibilit e gradevolezza alla declamazione. Nel caso di un testo in prosa, in cui il metro era in linea di principio assente, la scelta della scansione doveva mantenersi a met strada24 tra la forma metrica e la sua totale assenza perch mentre nel primo caso il discorso sarebbe risultato articioso e avrebbe indotto nelluditorio la monotona attesa del medesimo schema, nel secondo, il uire senza forma sarebbe risultato inintelligibile25 . A questo proposito, infatti, in un modo che si ritrova anche nella teorizzazione agostiniana, Aristotele afferma che tutto limitato dal numero (arithm s), e il numero nella forma dello stile (schma tos tes lexeos) rappresentato dal ritmo (rythm s), del quale i metri (mtra) sono sezioni. Di conseguenza, il discorso deve possedere un ritmo, ma non un metro, altrimenti sar un poema. Questo ritmo non dovr essere troppo rigoroso e questo accadr se esso esister no ad un certo punto (1403
una rapida scorsa alla classicazione dei ritmi, Aristotele spiega perch la scelta corretta debba cadere sul peone, che, in quanto formato da tre sillabe brevi e da una lunga - dunque secondo un rapporto di tre a due - rappresenta il giusto mezzo tra il troppo solenne dattilo - rapporto di uno a uno dato dallaccostamento di una sillaba lunga e due brevi - e i due ritmi caratterizzati da rapporto di due a uno, vale a dire il troppo ordinario giambo e lo scomposto trocheo. Il peone, daltra parte, era anche lunico fra i ritmi nominati a non formare un metro e proprio per questo motivo, sottolinea Aristotele, era in grado di imprimere un ordine al uire del discorso senza sviare lattenzione dellascoltatore. 25 La forma dello stile non deve essere n metrica n priva di ritmo: nel primo caso non persuasiva, poich sembra articiale e nel contempo distrae lattenzione dellascoltatore, ponendolo nellattesa del ricorrere della stessa cadenza. (...) Se invece priva di ritmo (rrytmon) senza limiti (apranton), mentre deve avere dei limiti, ma non nel metro, perch quello che non ha limiti sgradevole e inconoscibile (1408 b).
24 Dopo

130 b).

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La preoccupazione per la percepibilit del limite motiva anche la preferenza espressa da Aristotele per quello che egli denomina stile compatto (lxis katestrammne) rispetto a quello continuo (lxis eiromne). Laddove questultimo si risolveva in una concatenazione virtualmente illimitata di particelle correlative, che si interrompeva solo con la conclusione dellargomento, lo stile compatto dava origine a un vero e proprio perodos, che Aristotele deniva come una forma di espressione che abbia di per se stessa un inizio e una ne e una dimensione che possa essere abbracciata con lo sguardo (1409 a). Il periodo, insomma, appariva caratterizzato come un tutto le cui componenti intrattenevano reciproci rapporti determinati in vista della compiutezza dellinsieme, che si lasciava cogliere prima del suo raggiungimento e che risultava capace, pertanto, di imprimere una chiara direzione allascolto. Il riferimento allelemento numerico ritorna ancora una volta quando Aristotele ricollega la piacevolezza e la facilit di memorizzazione che potevano essere ottenuti come effetto dello stile compatto al suo avere un numero, che ci che pi facile da ricordare (1409 b), non mancando di osservare a complemento di ci come, in generale, fosse proprio la presenza organizzatrice del numero a rendere la poesia pi facilmente memorizzabile della prosa: per questo motivo che tutti ricordano meglio i versi della prosa, in quanto essi possiedono un numero grazie al quale possono essere misurati (1409 a). Un dato che merita di essere segnalato che Aristotele ritiene necessario integrare la descrizione formale del periodo con alcune considerazioni relative alla ricezione da parte degli ascoltatori, riferite in particolar modo alla lunghezza26 . Nel trattato, in particolare, ammonisce contro il rischio di dilatare le dimensione del periodo sino a farlo diventare un discorso, in modo analogo a quanto doveva accadere al tempo per i preludi ditirambici. Il riferimento alla gura del ditirambografo Melanippide, che completa a mo di esempio lanalisi aristotelica, contribusce in qualche misura a confermare la pertinenza dellaccostamento di musica e retorica e offre, oltre a ci, loccasione per compiere
il ricorso allimmagine del camminare per illustrare gli effetti della declamazione di periodi troppo brevi o troppo lunghi: nel primo caso chi ascolta si troverebbe a subire una sorta di inciampo nel suo procedere verso una misura che gi possiede in maniera denita, mentre, nel secondo, rimarrebbe indietro come se il suo compagno di camminata avesse deciso di invertire la direzione pi in l del limite atteso.
26 Signicativo

4.1. BREVE STORIA DELLA RETORICA una digressione nellambito della prassi musicale del tempo.

131

Il ditirambo era nato come canto in onore Dioniso e, per quanto avesse conosciuto usi secolarizzati, rappresentava comunque una delle principali forme di canto sacro istituzionalizzato. Non molto si conosce della forma che aveva in et arcaica, mentre ben documentato il profondo rinnovamento che lo interess a partire dalla met del VI sec. a. C. e che raggiunse la sua massima ampiezza attorno alla met del successivo. La causa che innesc il mutamento fu probabilmente listituzione della festa delle Grandi Dionisie ad Atene da parte di Pisistrato, nellambito della quale avevano luogo concorsi ditirambici, tragici e comici. In concomitanza con il diffondersi di un forte sentimento agonistico fra i partecipanti, il carattere rituale tendenzialmente ripetitivo del canto ditirambico sub una progressiva attenuazione, apprezzabile sia nel contenuto dei testi, sia nella struttura ritmica e melodica della musica. Autori come Melanippide, Cinesia e Timoteo di Mileto si svincolarono sempre di pi dalla prassi che prevedeva la ripetizione pedissequa degli schemi tradizionali e introdussero innovazioni nalizzate a ottenere una resa pi efcace ed espressiva, quando non addirittura ladeguazione mimetica del linguaggio ai momenti dellevento drammatico narrato. La ricerca della variet nella scelta dei mezzi espressivi fu stimolata dalle contemporanee innovazioni stilistiche sperimentate dagli auleti e volte a modicare il rapporto fra testo e melodia sbilanciandolo a favore di questultima. A partire dalla ne del V secolo, anche lesecuzione del ditirambo aveva iniziato a comprendere sezioni esclusivamente strumentali, come, ad esempio, quella iniziale del preludio (anabole), che era contraddistinta da un andamento piuttosto elaborato e fantasioso. Melanippide, attivo tra il 440 e il 415 a. C., fu uno dei principali compositori che si dedicarono a questo genere rinnovato di ditirambo e proprio lui, pare, fu il primo ad abbandonare la forma stroca tradizionale - costituita cio da strofe, antistrofe, epodo - per adottarne una astroca in cui, come riporta Aristotele, il preludio sostituiva lantistrofe (1404 b). Una possibile interpretazione di questa testimonianza stata avanzata da West27 , secondo cui il nuovo ditirambo si presentava suddiviso in sezioni cantate, alternate a interludi strumentali indicati genericamente con il termine anabolai. Testimonianze signicative
27 Cfr.

[153, p. 205.]

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in proposito si trovano anche nei Problemi dello Pseudo-Aristotele, ove si trova esplicitamente posta la connessione tra riuto della forma stroca e intento mimetico: Perch i nomoi non erano composti in forma stroca come gli altri canti corali? La ragione non sar che i nomoi erano eseguiti dai solisti e poich questi erano capaci di mimesi e in grado di dilungarsi in essa, il canto ne risultava lungo e molteplice nelle sue forme? E per al modo delle parole, anche le melodie seguivano la necessit della mimesi variando di continuo. Ch limitazione doveva essere fatta pi con la melodia che con le parole. Quindi anche i ditirambi, dacch sono diventati mimetici, non hanno pi antistrofe, mentre prima lavevano. (...) E difatti pi facile ad un solista che ad un complesso eseguire molte variazioni, e al virtuoso pi che a chi mantiene lthos. Perci i loro canti erano pi semplici. E il canto antistroco semplice: obbedisce a un numero sso e viene misurato unitariamente (Problemi XIX, 15). Linteresse di Melanippide nei confronti della forma libera, caratteristica della musica a programma dei suonatori di aulo e cetra, determin da un lato la ricerca di uno stile pi espressivo, ma, dallaltro, comport quella perdita del limite e della misura che, come si visto, era stimata quale condizione necessaria della gradevolezza. In questo senso, dunque, va letta la battuta scherzosa di Democrtito di Chio che Aristotele riporta e che consiste nellaccostamento di un verso esiodeo28 fedelmente citato e di uno parodiato: A se stesso prepara mali luomo che ad altri prepara mali, e lungo preludio per il compositore la peggior cosa (1409 b). Dopo aver trattato gli aspetti relativi allo stile Aristotele passa a considerare la disposizione delle parti del discorso, che raggruppa in due fondamentali proposizione (prthesis) e argomentazione (pstis) - e in due facoltative, di complemento - esordio (proomion) ed epilogo (eplgos). Iniziando a descrivere la funzione dellesordio, Aristotele signicativemente prosegue il parallelo con la prassi musicale e suggerisce il paragone, oltre che con il prologo poetico, con il preludio eseguito dagli auleti. Il riferimento rapido ma preciso, poich non si limita a segnalare unanalogia superciale, ma entra nello specico della somiglianza individuandola nella messa in atto di una mediazione che, in musica, consisteva nel collegare la prima nota del brano da eseguire con
28 Cfr.

Esiodo, Le opere e i giorni 265 ss.

4.1. BREVE STORIA DELLA RETORICA

133

lultima di uno ben noto allesecutore, mentre, nella prassi oratoria, prevedeva lesordio con un pezzo di bravura dal quale sgorgava poi, come da una fonte, largomentazione vera e propria. Oltre a ci, lesordio poteva servire anche come esposizione anticipata del soggetto, nalizzata a comunicare allascoltatore il nucleo fondamentale del discorso onde evitare che il suo uire rimanesse indenito e sospeso29 . Quanto agli effetti sulluditorio, la valutazione di Aristotele si manteneva molto severa a causa della constatazione che la rilevanza della buona costruzione dellesordio, quando non addirittura la sua necessit, non era posta da condizioni oggettive, ma solo dalla mediocrit delluditorio stesso30 . Unosservazione a margine Al termine di questa presentazione della teoria aristotelica, anche il signicato della denizione riportata in apertura risulta chiarito, con particolare riferimento alla caratterizzazione della retorica come dnamis. Ci che il trattato aristotelico conferma, infatti, che la retorica era considerata come una tchne ovvero, con le parole di Barthes, un mezzo per produrre una delle cose che possono indifferentemente essere o non essere31 , e la cui origine sta nellagente creatore, non nelloggetto creato32 . Non scienza, dunque, n conoscenza empirica, ma una forma di razionalit capace di calcolo, come Aristotele spiega in un passo dellEtica Nicomachea: Ogni arte ha a che fare con la generazio29 Simmetricamente, Aristotele attribuisce allepilogo la funzione di lasciare gli ascoltatori in una disposizione danimo vantaggiosa per loratore, quella di amplicare o diminuire, di suscitare reazioni emotive e, da ultimo, di ricapitolare. Il primo punto riguarda limpressione che loratore lascia di s e delleventuale avversario, il secondo specica il grado di importanza da conferire a ci che stato dimostrato, il terzo relativo allo stato che loratore si propone di indurre sul suo uditorio in relazione al ne del discorso, mentre lultima identica lessenza stessa dellepilogo, evvero la proposta di una sintesi per ssare nella memoria gli snodi essenziali dellargometazione. Sebbene per certi aspetti analoga a quella anticipatoria dellesordio, la sintesi dellepilogo aveva tuttavia una funzione ben diversa, come Aristotele non manca di osservare, poich mentre la prima si limitava a presentare la questione, il compito della seconda consisteva principalmente nel mostrare che largomentazione aveva mantenuto gli obiettivi dichiarati in apertura. 30 Per contro, e qui Aristotele assume per un attimo una prospettiva marcatamente pratica, non sempre era conveniente parlare di fronte a un pubblico attento, anzi. Non di rado era vero esattamente lopposto, come ad esempio nel caso in cui loratore avesse voluto convincere che il soggetto trattato era privo di valore. In circostanze del genere, Aristotele ammetteva la possibilit che loratore piegasse a suo vantaggio la scarsa prontezza degli ascoltatori (1415 a). 31 Questa denizione ricorda la quarta esaminata nel Gorgia, in cui Platone attribuisce al sosta una caratterizzazione della retorica come creatrice (demiourgs): Ora mi sembra, o Gorgia, che tu abbia chiarito molto da vicino che arte ritieni essere la retorica. Se ho capito bene, tu dici che la retorica unarte creatrice di persuasione e che la sua attivit tutta e il suo scopo essenziale consistano in questo (453 a). 32 Cfr. R. Barthes, op. cit. p. 20.

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ne (gnesis) e con lescogitare soluzioni (to technzein), cio con il considerare (theorein) in che modo possano generarsi alcune tra le cose che possono essere e non essere, quelle di cui il principio in chi le fa e non nelle cose fatte (1140 a). Osserva a questo proposito E. Berti che la denizione aristotelica di arte come stato abituale produttivo unito a ragione33 (met lgou poietik hxis) identica larte stessa con un tipo di conscenza originata dalla scoperta di un nesso di valore universale tra una certa causa e un certo effetto. In questo senso, dunque, Aristotele afferma che oggetto dellarte la forma senza materia, cos come esiste nella mente dellartista, il lgos dellopera prodotta preso senza la materia (640 a). Aristotele, dunque, sembra isolare due momenti nellattivit poietica, quello della concezione della forma e quello della sua realizzazione nella materia ovvero, pi precisamente, quello della conoscenza posseduta dallartista, che di tipo scientico anche se larte riguarda realt contingenti, e quello esecutivo, che pu essere afdato anche a un semplice manovale. I prodotti artistici godono di una condizione particolare, secondo il losofo, poich se per un verso devono la loro esistenza allopera delluomo, e ci li differenzia da quelli naturali, essi non possono per interamente dipendere dalla sua libera progettualit, ma restano in qualche misura vincolati alla natura. La nozione che, come si visto, determina il modo di tale adeguazione quella di mimesi. Laffermazione esplicita secondo cui larte imita la natura si trova nel secondo libro della Fisica34 e, oltre a stabilire uno stato di sottomissione dellartista, imprime al suo operare lorientamento a un ne, caratteristica di tutte le realt naturali. In questa prospettiva, osserva sempre Berti, il senso del lgos vero che nellarte accompagna la volont di produrre, dunque quello di essere fedele interprete della natura e dei suoi ni35 .

4.1.3

Cicerone e la retorica latina

idea ampiamente condivisa che loratoria latina componga un panorama piuttosto omogeneo, unicato in virt della prevalente presa a modello del33 Aristotele insiste con particolare vigore sulla distinzione tra produzione e azione (met lgou praktik hxis). 34 Cfr. 194 a. 35 [17, p.159.]

4.1. BREVE STORIA DELLA RETORICA

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la retorica ciceroniana. I tratti comuni agli autori appartenenti alla tradizione che si estese lungo un arco cronologico compreso tra il I sec. a. C. e il I sec. d. C. sono stati riconosciuti da .J. Murphy36 nella sostanziale adesione alla teoria di Ermagora di Temno, nel mantenimento di un forte legame con la politica, nella chiara percezione del discrimine tra la buona retorica e la retorica efcace, nella condivisione di unattitudine stilistica tendente al meccanismo e alla proliferazione delle gure e, inne, nella messa da parte degli interessi speculativi a favore di quelli pratici. Questultimo aspetto, in particolare, merita di essere posto nel dovuto risalto in quanto segnala un allontanamento signicativo dalla tradizione aristotelica, dalla quale, peraltro, Cicerone aveva attinto tutti gli altri elementi fondamentali della disciplina. R. Barthes37 ha descritto la rielaborazione ciceroniana in termini di disintellettualizzazione e destrutturazione, volendo con ci esplicitarne laspirazione alla naturalezza e alla chiarezza, sostenuta non dal rispetto della regola, quanto piuttosto dal gusto. Lapice interno a questo processo di tendenziale allontanamento dal sistema sarebbe stato raggiunto, sempre secondo Barthes, dalla retorica sacra che Agostino teorizz nel quarto libro del De doctrina christiana. A questo proposito, interessante citare per intero il passo in cui tale legame viene descritto in funzione di quella che lo studioso denisce paura del sistema: Cicerone deve tutto ad Aristotele, ma lo disintellettualizza, vuol penetrare la speculazione di gusto e naturalezza; la punta estrema di questa destrutturazione sar raggiunta nella Rhetorica sacra di Agostino (libro IV della Dottrina Cristiana): niente regole per leloquenza, che pure necessaria per loratore cristiano: bisogna soltanto essere chiaro ( una carit), tenersi pi attaccato alla verit che ai termini; questo pseudo-naturalismo retorico regna ancora nelle concezioni scolastiche dello stile38 . Cicerone compose ben sette trattati di retorica, i pi inuenti dei quali furono il De inventione oratoria, i Topica e il De oratore. Molta fortuna ebbe poi la gi citata Rhetorica ad Herennium, un manuale completo che costitu un termine di riferimento essenziale per il Medioevo e che, a prescindere dalla correttezza della sua attribuzione, si rivela in sostanziale accordo con gli altri trattati.
36 Cfr. 37 Cfr.

J. Murphy, op. cit. p. 9. R. Barthes, op. cit. p. 23. 38 Ivi pp. 23-4.

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Inne, a dispetto dellimportanza marginale che gli stata attribuita, risulta degno di particolare attenzione, nel contesto del presente lavoro, lOrator, un breve scritto che, oltre a elaborare unanalisi dettagliata del ritmo prosastico, dimostra uno spiccato interesse per gli aspetti in genere trascurati della forma dei suoni che, molto probabilmente, sugger ad Agostino la determinazione di questultima in funzione del concetto di numerus.

Il De inventione oratoria Il De inventione fu composto quando Cicerone aveva appena diciannove anni e rimase incompiuto, in due libri. Lesordio stabilisce sin da subito la condizione subordinata della retorica rispetto alla politica, concepita, questultima, nei termini di un vero e proprio sistema scientico entro il quale la prima si trovava inclusa. Dopo aver denito la retorica come eloquenza basata sulle regole dellarte (articiosa eloquentia), Cicerone circoscrive la sua sfera di pertinenza manifestando un sostanziale disaccordo rispetto a Ermagora che, come precedentemente accennato, laveva estesa sino a comprendere tanto le questioni generali, quanto i casi particolari (causae). Dal punto di vista di Cicerone, invece, solamente le causae potevano essere oggetto di applicazione della disciplina, mentre tutte le altre questioni dovevano essere trascurate in quanto non avevano trovato soluzione nemmeno in seguito alle interminabili discussioni dei loso. Questo interesse eclusivo per il particolare induceva Cicerone a riconoscere la componente fondamentale della retorica nellinventio, ovvero nella ricerca di argomenti validi almeno in apparenza e capaci di conferire plausibilit a unargomentazione39 . Le quattro parti restanti erano la dispositio, lelocutio, la memoria e la pronunciatio, le prime due relative agli argomenti considerati in se stessi, le altre, invece, alloratore. La prima coppia compendiava i requisiti
39 A questo proposito la tecnica pi efcace, che pu essere qui solo accennata, era quella dei tpoi (loci), che Cicerone deniva come le sedi di un argomento e che trova approfondita trattazione nei Topica, unopera che gi nel titolo rivela lovvio riferimento ad Aristotele. I tpoi servivano per la ricerca degli argomenti, insegnando come essi dovessero essere trovati. Questi, a loro volta, erano pensati da Cicerone come ussi di ragionamento, ciascuno dei quali deniva un problema. I tpoi potevano essere intrinseci o estrinseci vale a dire, rispettivamente, determinati dalla natura del soggetto o derivati dallesterno, cio da fonti estranee come le testimonianze. Cicerone, dismessi i lunghi elenchi di tpoi concreti che sino ad allora avevano appesantito i manuali di retorica ed affaticato la memoria degli allievi, li aveva sostituiti con altri, elaborati ad un superiore livello di astrazione. Centrati ciascuno su un principio generale che poteva ripresentarsi in svariate vesti, i tpoi ciceroniani si conguravano dunque come veri e propri modelli di argomentazione che, nel far emergere lanalogia tra differenti situazioni, rendevano pi snello il lavoro delloratore.

4.1. BREVE STORIA DELLA RETORICA

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necessari per la corretta composizione del discorso, ovvero, rispettivamente, la disposizione ordinata degli argomenti trovati e la loro espressione mediante parole adeguate, mentre la seconda precisava labilit delloratore riconducendola da un lato al possesso di una buona memoria, dallaltro alla capacit di esercitare un appropriato controllo sulla voce e sul corpo (ex rerum et verborum dignitate vocis et corporis moderatio). Un sezione di ampiezza considerevole dedicata allanalisi delle singole parti di unorazione, che Cicerone stabilisce essere sei: exordium, narratio, partitio, conrmatio, reprehensio o refutatio, conclusio. La descrizione analitica di ciascuna di esse ripropone molti elementi della teoria aristotelica: come Aristotele, infatti, anche Cicerone riteneva che lo scopo principale dellexordium fosse quello di disporre la mente dellascoltatore in modo da rendere pi efcace la successiva declamazione del discorso e offriva, a tal ne, suggerimenti di carattere spiccatamente concreto come, ad esempio, accentuare al massimo il tono di seriet, non eccedere nella ricerca delle rafnatezze e astenersi dalleccessiva vivacit, dalla genericit e dallambiguit. La sezione successiva, la narratio, interessava lesposizione dei fatti, la quale doveva essere condotta con la consapevolezza delle diverse possibilit che si presentavano alloratore, ovvero dire la verit, proporre una verosimiglianza, introdurre una digressione, unamplicazione o abbellimenti di varia natura. La partitio, il cui obiettivo era la resa chiara e comprensibile dellargomentazione tramite unappropriata scansione e disposizione, era seguita prima dalla conrmatio, cio dallargomentazione vera e propria, che poteva essere attuata per deduzione o per induzione, e poi dalla refutatio in cui, con gli stessi mezzi con cui aveva sostenuto la sua posizione, loratore cercava di indebolire quella dellavversario. A conclusione di tutto il discorso, la peroratio procedeva alla ricapitolazione e cercava, da ultimo, di suscitare le emozioni delluditorio piegandole in senso favorevole per loratore (conquestio) e in senso sfavorevole per lavversario (indignatio).

Il De oratore Composto nel 55 a. C., quando Cicerone aveva ormai alle spalle una fulgida carriera di oratore e uomo politico, il De oratore rappresenta forse la sua opera retorica pi signicativa, che svolge anche, principalmente nei proemi ai tre

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libri, riessioni che costituiscono una sorta di bilancio dellesperienza accumulata. Dal punto di vista della forma esso inaugura un genere di trattazione che, evitando lesposizione sistematica sino ad allora prevalente nella manualistica latina, adottava quella pi uente e gradevole del dialogo letterario. Segno di una certa avversione nei confronti della tendenza alleccessivo tecnicismo era poi la scelta stessa del titolo che, come anche nel caso dellOrator, esprimeva lintenzione di porre al centro la gura delloratore delineandola gradualmente, a forza di pennellate successive, non senza ripetizioni, digressioni e, talora, contraddizioni. I personaggi del dialogo sono numerosi. Sulle gure di contorno, il giurista Scevola, i due giovani allievi Cotta e Sulpicio, oltre al giovane Ortensio, di cui viene esplicitamente riconosciuto il talento40 , spiccano quelle dei due protagonisti, gli oratori Lucio Licinio Crasso e Antonio, cui Cicerone afda, suddividendola opportunamente, lesposizione della propria personale visione. Tenendo conto del talento personale e delle rispettive inclinazioni, egli afda ad Antonio la trattazione dellinventio e della dispositio e a Crasso quella dellelocutio e dellornatus. Nonostante lesistenza di una solida base di accordo in merito alle questioni fondamentali, questa suddivisione individua due gure alternative di oratore, sotto certi aspetti riconducibili alla divergenza che si era delineata alle origini tra la retorica di Gorgia e quella di Prodico. Da un lato, infatti, Antonio manifesta un atteggiamento spiccatamente pragmatico, particolarmente attento agli elementi puramente persuasivi, tendenzialmente neutrale rispetto a istanze di carattere etico e propenso a riconoscere grande importanza alla retorica, arrivando quasi a individuarla come fondamento per una teoria della letteratura e dellespressione41 . Dallaltro, invece, Crasso propone un modello di oratore identicato dal possesso di una vastissima e variegata cultura, indifferente al talento istintivo, avverso a una trattazione specialistica della forma indipendentemente dai contenuti e portavoce di un ideale arcaico di unione di pensiero, parola e azione. Espressione di una radicale difdenza42 nei confronti dellarte del dire, lanIII, 228. E. Narducci, op. cit. pp. 47 ss. 42 Unanaloga opposizione di fazioni, luna favorevole e laltra contraria allimpiego della retorica, si presenter anche ad Agostino, che nel De doctrina Christiana, cercher persino di anticipare le obiezioni degli esegeti che avrebbero in ogni caso respinto un insegnamento come quello che egli
41 Cfr. 40 Cfr.

4.1. BREVE STORIA DELLA RETORICA

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ziano Scevola incarna lideale antagonista alla gura delloratore, contro il quale afferma che non larticio verbale, ma solo il possesso di una sapienza in grado di governare lazione poteva essere di giovamento alla vita civile, come era accaduto alle origini della storia di Roma. Lobiezione ricalca quella tradizionalmente rivolta dai loso ai maestri di retorica, tesa alla rivendicazione della competenza esclusiva nella formazione delluomo politico, cui la parte avversa reagiva cercando di attribuire alla losoa i connotati di una disciplina erudita. In questo modo, mentre i loso difendevano il primato della loro disciplina indicando in essa il fondamento delleducazione liberale e negando la pretesa validit empirica del sapere etico-politico accumulato dai maestri di retorica, questi ultimi cercavano di appropriarsi del terreno tradizionalmente dominato dai primi estendendo lambito delle esercitazioni dalle quaestiones nitae - le tesi secondo la distinzione classica di Ermagora di Temno - alle quaestiones innitae, vertenti non sulle vicende circostanziate delloratoria forense e deliberativa, ma su concetti generali, di portata universale. Tra questi erano compresi, oltre a quelli attinenti la sfera dellagire pratico, anche quelli delle discipline scientiche come la matematica, la sica e lastronomia43 . Lindicazione della competenza enciclopedica tra i requisiti necessari per loratore poteva facilmente essere piegata per sostenere la superiorit della retorica rispetto alle altre discipline, che, in questo modo, risultavano investite di una funzione meramente ancillare. Questo rovesciamento era particolarmente temuto sul piano morale e politico, ove il retore che accampava pretese di egemonia non di rado identicava pericolosamente il possesso delleloquenza con la capacit di governare. La disputa in merito alla determinazione della sfera di pertinenza della retorica era strettamente connessa a unaltra questione fortemente dibattuta, quella relativa allattribuibilit dello statuto di arte, cui in precedenza gi stato fatto cenno. Il compromesso proposto da Crasso, che sembra esprimere anche il personale convincimento di Cicerone, presuppone una ridenizione del signicato di arte che, abbandonato quello usuale di corpo sistematico di conoscenze sottratte alla variabilit dellopinione, assume quella, meno rigorosa, di
intendeva proporre. 43 Secondo Ermagora, come si detto in precedenza, non era compito del retore cimentarsi in queste ultime, mentre era invece ammesso, e anzi legittimo, che egli intervenisse in questioni generali di rilievo per la vita della citt.

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insieme di osservazioni empiriche, ordinate secondo criteri di validit interna alla disciplina44 . La qualit empirica di tale sapere era determinata in massima parte dal fatto che le reazioni delluditorio non potevano avere carattere di necessit, ma solo un certo grado di prevedibilit, lo stesso proprio dellopinione. Il pubblico consueto delloratore, infatti, era un pubblico di non specialisti, sensibile alla seduzione dellarticio e passibile di essere spinto ad abbracciare convinzioni dotate di una validit solo temporanea, non stabile come nel caso di un principio morale. Oltre alla ne conoscenza della psicologia umana, al possesso di una formazione enciclopedica e allesperienza nel bene dicere, Crasso conferisce grande risalto al possesso di adeguate qualit morali45 , necessarie non solo per rendere possibile la condivisione dei valori del pubblico e aumentare lefcacia persuasiva, ma anche per allineare il pi possibile il modo di sentire delluditorio ai valori della tradizione, senza rendere necessario il ricorso ad alcuna manipolazione. Non si pu non osservare, a questo proposito, che nonostante la presenza di questa componente educativa Crasso dimostra di non essere distante da una valutazione delleloquenza in termini estetici, vicina a quella della poesia. Da alcuni riferimenti espliciti46 , infatti, risulta piuttosto chiara la sua tendenza ad applicare un criterio di giudizio differente da quello strumentale: Come siamo scrupolosi e n incontentabili nellemettere giudizi nei riguardi di quelle arti in cui non si persegue un protto indispensabile, ma un disinteressato godimento spirituale! Infatti non ci sono n diverbi n controversie che costringano a tollerare in teatro i cattivi attori come nel foro gli oratori incapaci. Loratore deve procurare con cura non solo di accontentare coloro nei confronti dei quali ha precisi doveri, ma di suscitare ammirazione proprio in coloro che possono giudicare disinteressatamente (I, 118-9). Al di l di un sostanziale accordo in merito alla valutazione dello statuto della retorica, Antonio e Crasso, come preannunciato, incarnano due modelli alternativi di oratore, o, detto in altro modo, scelgono di sviluppare potenzialit diverse dellarte del dire che, pur non escludendosi a vicenda, segnalano tuttavia una sensibile divergenza di vedute.
44 Cfr. 45 Cfr.

I, 109. I, 53 ss. 46 Cfr. I, 69.

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Con lesordio del secondo libro il ruolo principale nel dialogo passa ad Antonio, cui afdato il compito di affrontare la parte tecnica della disciplina. Proteso nellapprofondimento del potere persuasivo della retorica e ben lontano dallattribuire carattere scientico alle regole ricavate dallesperienza delloratore, Antonio apre la discussione a un risvolto inaspettato, in cui la negazione dello statuto di arte coincide con il riconoscimento di una vastit e di una complessit47 superiore a quella di tutte le altre discipline, con particolare riferimento alla dialettica: In questa scienza, ammesso che scienza sia, non vi alcun precetto su come trovare la verit, ma soltanto su come giudicarla. Infatti per ogni cosa che enunciamo, sia affermandola sia negandola, i dialettici si incaricano di stabilire, nel caso si tratti di una proposizione semplice, se sia vera o falsa; nel caso si tratti di una proposizione complessa o di una serie di proposizioni, giudicano se le relazioni interne fra le varie proposizioni sono corrette e se le conclusioni di ogni ragionamento sono vere; e alla ne restano vittime della propia sottigliezza e, nel corso della loro minuziosa disamina, si imbattono non solo in questioni che non sono pi in grado di risolvere, ma anche in problemi che li costringono quasi a disfare i ragionamenti che hanno precedentemente iniziato, o meglio, condotto a termine. (...) Per questa ragione lascio in disparte questa scienza, troppo reticente quando si tratta di escogitare prove, troppo loquace nel sottoporle a una critica serrata (II, 38). Latteggiamento pragmatico di Antonio si manifesta nel riuto a estendere lopera di classicazione anche ai dettagli minori. Laspetto principale della formazione delloratore doveva consistere, piuttosto, nella frequentazione di coloro che gi erano in possesso dellabilit e nellimitazione dei modelli proposti, a patto, ovviamente, che lesercitazione non scadesse nellarida ripetizione scolastica. Un fattore assolutamente decisivo, poi, era il possesso di doti naturali48 che non potevano in alcun modo essere infuse articialmente, come la scioltezza della lingua (linguae solutio), la sonorit della voce (vocis sonus), la robustezza sica (vires), la conformazione armoniosa del corpo e persino i bei lineamenti del volto (conformatio quaedam et gura totius oris et corporis). Tutto ci testimoniava una consapevole attenzione per gli effetti epidermici sul pub47 Tale complessit si rendeva particolarmente evidente nella tecnica di ricerca e messa a punto degli argomenti (inventio). 48 Cfr. I, 113.

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blico, sul quale lassenza di tali qualit avrebbe reso inefcaci le migliori armi intellettuali. Lunico aspetto che Antonio ritiene possibile teorizzare quello relativo alla concatenazione degli argomenti, che affronta in modo nettamente diverso rispetto a quanto prescriveva il metodo allora usuale. Mentre secondo questultimo, infatti, gli argomenti dovevano essere disposti in ununica successione, con il rischio di rendere linsieme poco organico, secondo quello descritto da Antonio, simile nella sua essenza a quello aristotelico, lordine di comparsa era stabilito a seconda della funzione di ciascun argomento, la cui collocazione, dunque, risultava decisa sin allinizio garantendo cos il massimo grado di coerenza. Lispirazione aristotelica49 di questo insegnamento del resto esplicitamente ammessa dallo stesso Antonio50 e si rende evidente anche nella classicazione dei mezzi di persuasione secondo le tre funzioni del probare, del conciliare e del movere, rispettivamente correlate allargomentazione razionale, allesibizione di autorevolezza da parte delloratore e allesercizio della forza psicagogica. Un aspetto che differenzia il De oratore dalla precedente manualistica che la trattazione di queste componenti non sbilanciata in favore della prima, ma le valorizza tutte e tre. Questo mutato atteggiamento si rende apprezzabile nel riconoscimento di un ruolo alle emozioni nellattivit delloratore, la cui rilevanza risulta addirittura superiore a quella dellargomentazione razionale: Niente infatti conta di pi nelloratoria, o Catulo, del fatto che lascoltatore sia ben disposto nei confronti delloratore e sia emotivamente coinvolto, cos da lasciarsi dominare pi dagli impulsi e dalle emozioni che da una valutazione critica e razionale. Gli uomini giudicano molto pi in base a odio o amore, desiderio, ira, dolore, gioia, speranza, timore, errore, o per qualche altro moto interiore, piuttosto che in base alla verit o a una disposizione o a una qualche norma giuridica, precedente legale, o alle leggi. Perci, se non avete nulla in contrario, volgiamoci a questo argomento (II, 178). Lanalisi dettagliata di ogni sfumatura emotiva e dei modi per trarre da ciascuna la massima efcacia porta a individuare una prima suddivisione in funzione
49 Non stato accertato se Cicerone abbia letto la Retorica di Aristotele o se abbia invece attinto le sue idee dalla tradizione accademica e peripatetica. Resta tuttavia indubbio che linusso aristotelico sia presente nel De oratore. 50 Cfr. II, 152.

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dei due concetti di thos e pthos che esaurivano, assieme al lgos - largomentazione razionale - le tre possibili vie della persuasione secondo la teoria aristotelica51 . A differenza del pthos, che sotto lazione del movere tendeva a scatenare emozioni violente e trascinanti, lthos, che nel suo concetto riuniva la considerazione di tutti gli aspetti connessi alla persona delloratore dai quali poteva dipendere la sua credibilit e il senso di ducia nelluditorio, traeva piuttosto vantaggio da una sollecitazione pi lieve, attuata per mezzo di ci che Antonio denomina conciliare. Come concisamente si esprime Narducci, Cicerone immagina un uditorio ammansito dallthos52 e travolto dal pthos e, a differenza di Aristotele, non ritiene affatto necessario lasciare molto spazio al potere decisionale dellascoltatore, poich non gli attribuisce latteggiamento imparziale proprio di un soggetto che attenda di essere accuratamente informato e guidato al ne di assumere la visione pi corretta. Nellesposizione di Antonio, il pthos si prola, dunque, come la risorsa pi preziosa a disposizione delloratore, avente il potere non solo di suscitare emozioni a piacimento, ma anche di placare quelle in atto nelluditorio. Tale facolt di dominio viene signicativamente descritta attraverso metafore militari che accostano la gura delloratore a quella dellimperator, capace di piegare secondo necessit la volont dei suoi soldati53 . Sempre a proposito dellimportanza del coinvolgimento emotivo e, in particolare, dellabilit nel muovere le passioni, importante segnalare una signicativa differenza tra la visione di Antonio e quella di Crasso. Se il primo, infatti, si afda in gran parte alle doti istintive e allesperienza delloratore, il secondo invoca come necessario fondamento la conoscenza della psiche umana e dei suoi meccanismi. Il netto riuto da parte di Antonio di valersi del contributo della ragione sotto questo aspetto comporta come corollario lidenticazione delloratore con la passione che egli di volta in volta intende trasmettere al suo uditorio, come se ci dovesse accadere attraverso una sorta di contagio. In que51 Cfr. anche Orator 37, 128. In questo luogo Cicerone afferma esplicitamente che il successo dellorazione dipende esclusivamente dallefcacia con cui si commuovono e si eccitano gli animi: Il primo (ethikn) affabile, piacevole e adatto a conciliare la benevolenza; laltro (pathetikn) impetuoso, acceso, travolgente, con cui si strappa la vittoria: ed esso quando si slancia con veemenza non pu essere in alcun modo trattenuto. 52 Narducci osserva che, per Aristotele, il conciliare non doveva far leva sul lato emotivo, ma solo su quello razionale. Cfr. Ivi. 53 Cfr. II, 185 ss.

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sta prospettiva, lopera di persuasione assume i tratti di un fenomeno in gran parte occulto, distribuito capillarmente anche se in maniera differenziata per tutta la durata dellorazione in un inestricabile intreccio tra la levit dellthos e la forza irresistibile del pthos, in cui il primo rafforzato dal secondo e il secondo temperato dal primo. Cicerone esterna la preoccupazione che la scelta di suddividere lesposizione tra Antonio e Crasso, per quanto efcace nel rimarcare limportanza della variet stilistica, possa risultare fuorviante nel trasmettere lidea che forma e contenuto siano separabili54 . La messa in chiaro che tale separabilit ammissibile solamente sul piano teorico si impone quindi come un dato da tenere costantemente presente ed altres funzionale a escludere a priori ogni arido tecnicismo dallambito di pertinenza della retorica. Tale convinzione, per quanto comune a entrambi gli oratori, viene tuttavia piegata in un senso particolarmente forte da Crasso che, nel liberare la retorica dalle angustie dellinsegnamento scolastico per conferirle ampiezza di respiro e competenza riguardo a tutti i principi naturali che regolano i costumi, gli animi e la vita degli uomini (III, 76), niva con lattribuire al retore il governo dello stato. Non manca la consapevolezza del pericolo insito in una simle presa di posizione, ma Crasso mostra di ritenere che linclusione del possesso della saggezza tra i requisiti della gura delloratore sia sufciente a scongiurarlo. Poste luna di fronte allaltra, le concezioni di Crasso e di Antonio appaiono distanziarsi massimamente nella caratterizzazione della retorica come strumento: se nellesposizione di Antonio, infatti, tale strumento risulta privo di connotazioni etiche e non vincolato nemmeno alla presentazione della verit qualora questa non agevoli lopera di persuasione, Crasso rivendica per la retorica una precisa collocazione politica e civile, profondamente coinvolta dal punto di vista etico, in vista della quale anche il tendenziale antitecnicismo e la riconduzione della bellezza dellespressione alla nobilt dei contenuti rispondono a precise esigenze di giusticazione. Cicerone riconduce linizio della frattura tra eloquenza e saggezza, causa storica della scissione tra la forma intesa come espressione e il contenuto inteso come pensiero, allespunzione dellabilit retorica e della capacit politica
54 Cfr.

III, 19.

4.1. BREVE STORIA DELLA RETORICA

145

dal ritratto delluomo saggio, di cui Socrate si era reso responsabile. Dal suo punto di vista, infatti, latteggiamento di difdenza nei confronti della disciplina era divenuto quasi usuale in losoa proprio in seguito a tale mossa e il centro dinteresse era stato conseguentemente trasferito su questioni di carattere specialistico, avulse dal contesto sociale, come la dialettica e le discipline matematiche. A mo di chiarimento, Narducci55 riporta i termini generali della questione alla polemica di Isocrate nei confronti del modello educativo platonico, del quale il primo limitava leventuale validit a una fase di formazione propedeutica a quella politica e civile. La posizione di Cicerone, di fatto, non era dissimile da quella di Crasso, poich anchegli aspirava a praticare uneloquenza che si fosse riappropriata dei temi etici e politici cruciali per la vita sociale e si rifaceva, in ultima analisi, allimpostazione accademica e peripatetica, lunica che fosse riuscita a mantenere vivo quellideale di coerenza fra pensiero, parola e azione che era stato proprio del modo di sentire degli antichi e che era stato incarnato da oratori e uomini di stato come Pericle. Pregna di signicato, a questo proposito, la descrizione entusiastica della forza persuasiva di questultimo, capace, al limite, di annullare il peso di ogni circostanza oggettiva: Che dire di Pericle? Sappiamo della sua facondia che, anche quando, per la salvezza della patria, egli parlava piuttosto aspramente contro i desideri degli Ateniesi, persino quando sosteneva contro i beniamini del popolo riusciva popolare e gradito a tutti. Gli antichi poeti comici, anche quando parlavano male di lui - cosa che allora ad Atene era permessa -, dovevano riconoscere che sulle sue labbra dimorava la grazia e che tanta era la sua potenza da lasciare nelle menti degli ascoltatori quasi degli aculei (III, 138).

LOrator In apparente contrasto con lestesa trattazione della componente tecnica, lesordio dellOrator avvia una riessione di portata molto ampia sul legame tra la retorica e la losoa che non pu evitare, tra laltro, il confronto con la teoria platonica. Tale legame, che si declina in termini di dipendenza nellaffermazione che senza la losoa non possibile formare loratore ideale, non si connota
55 Cfr.

E. Narducci, op. cit. p. 66.

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CAPITOLO 4. ARS RETHORICA

come estrinseco, ma d seguito, nellambito proprio della retorica56 (ubertas et quasi silva dicendi), allelaborazione di un metodo per la ricerca degli argomenti e allapprofondimento della conoscenza dellanimo umano. Questultima, che Cicerone riconosce come la pi importante componente delleloquenza57 , determina altres il criterio per la classicazione degli stili, i quali, in corrispondenza con la tripartizione greca di gnos ypseln, mson e ischnn, sono distinti in tenue, temperato ed elevato, secondo una progressione scandita dal grado di passivit dellascoltatore. Se al grado minimo, infatti, corrisponde lo stile tenue, in cui la chiarezza e la dizione stringata e piana lasciano emergere un argomentare disadorno ma rigoroso dal punto di vista logico-formale che richiede un contributo attivo allascoltatore, allaltro estremo corrisponde invece il tono solenne e magniloquente dello stile elevato, che riveste i pensieri con parole veementi e abbondanti, in grado di eccitare e piegare gli animi anche a prescindere dalleffettivo valore dei contenuti. A met tra i due, lo stile temperato uisce con uniforme scioltezza, accogliendo al pi moderati ornamenti, ma rimanendo comunque privo della sottigliezza e dellesuberanza dello stile elevato. Lessenza di ognuno dei tre stili si adattava ovviamente ad altrettante circostanze58 risultando propria in alcune e impropria in altre, s che poteva essere stabilita, in linea di principio, una corrispondenza tra i tre genera dicendi e i tre principali compiti delloratore, ovvero il docere, il delectare e il movere. Un contributo originale di Cicerone, in aggiunta, fu quello di aver constatato lopportunit di contemperare i tre stili al ne di esaltarne i pregi e temperarne i difetti grazie alla variet e allalternanza, in un modo che mai era stato caldeggiato da parte degli autori greci e che non era presente nemmeno negli scritti ciceroniani anteriori allOrator.
III, 12. IV, 15. 58 Il periodare arrotondato e simmetrico dello stile temperato, uente come se scorresse racchiuso in un cerchio (ut tamquam in orbe inclusa currat oratio), era particolarmente adatto al genere epidittico, anche se il suo elevato grado di elaborazione e di rafnatezza richiedeva un impiego ponderato poich, nonostante linnegabile piacevolezza, correva il richio di arrecare saziet, impedire la commozione e ostacolare la sincerit e la ducia. In generale, Cicerone raccomandava di perseguire una certa variet, non solo nellapplicazione dello stile, ma anche al livello capillare dei piedi e delle clausole. Anche la scelta di questi, infatti, doveva adattarsi alle circostanze, tenendo presente, ad esempio, che piedi pi brevi determinano un ritmo pi rapido, adatto alle discussioni concitate, mentre un ritmo pi lento si addice maggiormente, ad esempio, allesposizione dei fatti. Lo stile con periodi rotondi e ritmici risultava di rado impiegabile nelloratoria giudiziaria, in cui pi efcacemente si poteva ricorrere a uno stile capace di colpire con poche parole, come se gli incisi avessero leffetto di piccoli pugnali.
57 Cfr. 56 Cfr.

4.1. BREVE STORIA DELLA RETORICA

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Il trattato si divide idealmente in tre parti, di cui la prima dedicata allo stile e lultima al numero oratorio, mentre quella di mezzo si propone di tracciare il ritratto delloratore ideale. Lo stile rappresentava agli occhi di Cicerone il tratto distintivo delloratore, mentre tutto ci che riguardava la scelta e la disposizione degli argomenti, ci che egli deniva il quid in opposizione al quo modo, per quanto importante come lanima nel corpo59 (XIV, 44) era da riferire pi alla capacit di discernimento (prudentia) che alleloquenza vera e propria60 . Entrando nel merito della questione stilistica, Cicerone si sofferma in particolare sulla trattazione del tono elevato e di quello medio, individuando le componenti dellornatus insignis nelle gure di parole e in quelle di pensiero61 e le gure dellornatus suavis et aduens nella collocatio verborum62 , nella forma ipsa et concinnitas verborum63 , nel sonus64 e, inne, nel numerus65 . Lo spazio maggiore riservato a queste ultime quattro parti, di cui le prime due sono comuni a qualunque stile, da quello losoco a quello poetico, mentre le restanti sono declinate specicamente in relazione allo stile oratorio. A differenza delle precedenti, che coinvolgono una scelta da parte dellintelletto, le ultime due implicano una valutazione dei suoni e delle armonie che pu essere attuata solo per mezzo dellorecchio e che introduce, di fatto, una distinzione tra arte prodotta dalla ragione e arte prodotta dai sensi: Ma poich la scelta dei pensieri e delle espressioni appartiene al discernimento (iudicium in prudentia est), mentre invece la sensibilit uditiva giudica i suoni e larmonia (vocum autem et numerorum aures sunt iudices), e poich quelli si riferiscono al giudizio e questi al diletto, in quelli lintelligenza trova i mezzi migliori, in questi il gusto (49, 162).
tratta della stessa immagine sfruttata anche da Agostino in quant. an. XXXII, 66. si accennato in precedenza, uno strumento utile in questo senso era rappresentato dai tpoi, cui loratore ricorreva come a repertori appositamente apprestati, valutando e selezionando opportunamente a seconda delle esigenze del momento. Quando si trattava di procedere alla disposizione degli argomenti, invece, loratore doveva applicare lo schema generale che suggeriva di sferrare un primo assalto allanimo degli uditori con lexordium, per poi rafforzare la propria posizione cercando nel contempo di indebolire quella dellavversario, mantenendo laccortezza di collocare le argomentazioni pi deboli nel mezzo del discorso. Quanto alla forma perfetta della dizione, essa era giudicata da Cicerone come la pi difcile da otteneree ci soprattutto a causa della congenita essibilit che la contraddistingueva e che le faceva assumere i tratti pi disparati, a seconda dei gusti. Cfr. XVI, 52. 61 Cfr. 134-9. 62 Cfr. 149-54. 63 Cfr. 155-62. 64 Cfr. 162-7. 65 Cfr. 168-236.
60 Come 59 Si

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CAPITOLO 4. ARS RETHORICA

Lattenzione di Cicerone per la componente materiale delleloquio si rivolgeva al suono (sonus) e al ritmo (numerus). La cura del suono era ricondotta alla scelta di parole armoniose, purch non poetiche, e alluso di forme efcaci come lantitesi che, secondo lesempio di Gorgia, poteva produrre uneuritmia talmente spiccata da infondere indirettamente al discorso la corretta scansione ritmica. Il numerus, invece, inteso come una sorta di adattamento della ritmica alle esigenze della prosa, inuiva sullefcacia nella disposizione delle parole e la sua congrua applicazione, che richiedeva abile discernimento da parte delloratore per evitare di scadere nellaffettazione, esercitava una vera e propria azione levigante (expolitio) nei punti cruciali del discorso come lesordio, gli elogi, le narrazioni, le amplicazioni e le perorazioni. Come nel caso dellaltezza dei suoni, secondo Cicerone, era insita nella natura delluomo la capacit di valutare istintivamente la loro durata, s che a chi non fosse stato in grado di percepire la clausola ritmica del periodo (numerosae et aptae orationis), egli si dimostrava propenso addirittura a negare lappartenenza al genere umano66 . Tale senso istintivo di misura di tutti i suoni era dunque in grado di rilevare con sicurezza ogni eccesso di lunghezza o di brevit, attendendo completezza nelle espressioni e, parimenti, restando offeso dalle frasi mutile o trascinate oltre misura. Nessuna spiegazione poteva essere cercata a monte della valutazione espressa dalludito: essa rappresentava, infatti, un dato oltre il quale lintelletto non poteva risalire, ma che costituiva, piuttosto, il suo oggetto e, con ci, linizio stesso della conoscenza. Il ritmo della prosa non era valutato di natura differente rispetto a quello della poesia. Il discrimine tra luno e laltro, piuttosto, era riconosciuto nellampiezza delluso che ne veniva fatto e che, nel caso della prosa, doveva essere sporadico e variegato, come in unideale via di mezzo tra la completa simmetria della composizione poetica e lassenza di ritmo caratteristica del linguaggio parlato: Sia dunque la prosa, come prima ho detto, mista e temperata di ritmi (permixta et temperata numeris), n completamente libera n interamente vincolata allarmonia (57, 195). Lassenza di regole precise da applicare rendeva pi complessa lattivit del retore, che doveva limitarsi ad arieggiare di ritmi la sua declamazione accostandosi ad essi (ad numeros proxime accedit) sin quasi a
66 Cfr.

50, 168.

4.1. BREVE STORIA DELLA RETORICA

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sorarli, ma dosandoli sempre con grande accortezza: E cos nella prosa non ci sono come delle melodiche battute di auto (tibicini percussionum modi), ma vi una compagine complessiva e una forma di stile rotonda e piena (universa comprehensio et species orationis clausa et terminata) che viene apprezzata dal piacere dellorecchio (58, 198). Cicerone analizza accuratamente i modi in cui doveva essere trattata la disposizione delle parole e la misura delle sillabe: Le parole si collocheranno o in modo che fra di loro le ultime sillabe si uniscano nella maniera pi adatta con le prime sillabe delle successive parole e rendano pi piacevoli i suoni, o che la forma stessa e leleganza delle parole compiano una loro unit, o che il periodo termini con armoniosa cadenza (44, 149). Le regole da applicare nella composizione non erano minuziose, anzi: la ricerca continua delladerenza al precetto avrebbe infatti esposto fortemente loratore al rischio di risultare articiale e lammonimento di Cicerone era piuttosto quello di seguire la norma ssata con lesercizio, grazie al quale poteva essere acquisita labilit di prevenire fenomeni sgradevoli come gli iati e le cacofonie. importante sottolineare, a questo proposito, che la base di tale abilit era naturale, custodita nella forma dellorgano di senso, s che ogniqualvolta si fosse registrato un divergere tra la legge di natura e la convenzione istituita dalluso, era solo alla prima che loratore avrebbe dovuto riferirsi come garanzia di superiore eleganza: Consulta la regola: ti rimproverer; rimettiti al giudizio delle orecchie: ti approveranno. Domanda perch: diranno che ne provano piacere. La parola deve dunque uniformarsi al compiacimento dellorecchio (48, 159). Lassunzione dellindocta consuetudo a criterio di valutazione supremo per loratore ridimensionava radicalmente la portata della componente teorica dellarte che, circoscritta alla sfera del contenuto, rimaneva sostanzialmente ininuente ai ni dellesercizio della forza persuasiva specica della retorica. In sintonia con questa rivalutazione degli aspetti connessi alla dimensione sica del suono, leloquenza appariva congurarsi come unattivit compiuta in agendo et in eloquendo, in cui allovvia componente dellelocuzione (elocutio) si aggiungeva quella dellazione (actio) relativa alluso della voce e del gesto, intesa come una vera e propria eloquenza del corpo67 (eloquentia corporis) (17, 55). Cicerone ri67 In particolare merita un cenno lidea che tra i mutamenti della voce, dei gesti e dellespressione

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conosceva dunque senza esitare lesistenza di un nesso tra la potenza dellarte retorica e le qualit naturali dei suoni, al punto da elevare queste ultime al ruolo di guida per loratore che si proponeva di dilettare, convincere e, soprattutto, commuovere luditorio. Presupposto fondamentale di tale presa di posizione era la consapevolezza del fatto che, nel momento in cui il linguaggio lascia emergere la propria essenza di cantus obscurior manifestando tutta la potenza che la modulazione del suono pu sprigionare, il mondo emotivo delluomo rivela la sua pi completa e ineliminabile vulnerabilit.

4.2

Agostino e leloquenza cristiana

Il dilemma che tanto aveva infervorato il dibattito tra gli antichi relativamente allopportunit e, ancor prima, alla legittimit del ricorso allarte retorica si color di tinte ancor pi cariche con lavvento del cristianesimo. Se nella cultura pagana, infatti, la difdenza nei confronti dellabilit oratoria non aveva radice morale o teologica, ma era determinata esclusivamente da motivi di convenienza personale rinvianti al contesto politico e forense, nel mondo cristiano, che tra il IV e il V secolo andava costruendo la propria sionomia, essa manifestava invece una diversa cura per la parola, resa veicolo di un messaggio che trascendeva lorizzonte del singolo e dei suoi interessi. Questa differenza, che recava il segno della trasgurazione della parola operata dalla Rivelazione, testimoniata con evidenza nel seguente passo di San Paolo: Io venni in mezzo a voi in debolezza e con molto timore e trepidazione; e la mia parola e il mio messaggio non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perch la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana ma sulla potenza di Dio (I Cor. II, 3-5). La debolezza allusa sottointendeva lumilt di un parlare consapevole di non avere un ruolo diverso da quello del mero supporto materiale per un contenuto e una potenza espressiva totalmente infusi dallesterno, come manifestato dalla discesa dello Spirito Santo sugli apostoli nel giorno di Pentecoste: Apparvero
del volto e i mutamenti contestualmente prodotti nellanimo sussistesse una diretta corrispondenza. In essa, infatti, sembra rieccheggiare la concezione aristotelica della mimesi secondo cui, come si avuto modo di osservare, la forma percepita dai sensi, con particolare riferimento a quella sonora, era in grado di esercitare unazione immediata sullanimo in quanto rinviante a un medesimo principio formante che Cicerone coglie nel concetto di species.

4.2. AGOSTINO E LELOQUENZA CRISTIANA

151

loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere di esprimersi (Atti 2, 3-4). Assumendo questa fondamentale premessa, numerosi autori cristiani dei primi secoli ritennero di dover manifestare un perentorio riuto nei confronti delle arti pagane del discorso, con particolare riferimento alla retorica sulla quale pesava, tra laltro, leredit ingombrante della svalutazione platonica. Un passo che testimonia latteggiamento pi diffuso a questo proposito il seguente, che, in modo assai signicativo, estende la valutazione negativa alla poesia confermando il legame gi messo in luce a suo tempo da Aristotele: Avete inventato la retorica per lingiustizia e la calunnia (...) avete inventato la poesia per cantare battaglie, amori degli dei, ogni cosa che corrompe lo spirito68 . In questatmosfera di fermento culturale la presa di posizione pi originale e feconda, per linusso che avrebbe esercitato nel corso dei secoli successivi, fu senza dubbio quella espressa da Agostino nel quarto libro del De doctrina christiana, che merita di essere considerato come uno dei pi importanti trattati di ermeneutica scritturistica della cristianit occidentale. Composto con lintento di fornire gli strumenti per rendere pi efcace linterpretazione e la spiegazione delle Scritture, in particolar modo ai chierici con lincarico della predicazione, esso rivela, gi nel suo prologo, latteggiamento polemico che animava il dibattito in corso, nella misura si sofferma nella prevenzione degli attacchi che non ancora la teorizzazione, ma gi lintento a monte degli insegnamenti comunicati avrebbe con grande probabilit sollevato. Gli oppositori che Agostino prese pi seriamente in considerazione erano quegli esegeti delle Scritture che riutavano per partito preso di riconoscere lutilit delle tecniche interpretative ed espressive, in quanto persuasi della necessit di condare esclusivamente nellintervento divino. Lidea del raggiungimento di una comprensione divino munere, infatti, rientrava in una visione diffusa nel Cristianesimo dellantichit, cui apparteneva la convinzione che non solo lagiografo, ma anche lesegeta fosse guidato dallo Spirito. Al di l della prova di umilt che tale sottomissione sembrava esibire, tuttavia, il
68 Cit.

in J. Murphy, op. cit. p. 55.

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CAPITOLO 4. ARS RETHORICA

rischio insito in questa presa di posizione era quello di favorire lisolamento dalla comunit ecclesiale, svalutando il momento della comunicazione e della partecipazione dei fedeli alla vita comunitaria. Profondamente convinto dellimportanza di entrambe quali occasioni per celebrare il vincolo di unione simboleggiato dalla caritas, Agostino, come M. Simonetti69 osserva, aveva addirittura ricondotto la perdita della capacit di comunicare interiormente e, di conseguenza, la necessit di ricorrere alla mediazione del signum, alloriginario peccato di superbia70 . Constatata lineminabilit della scrittura, uno dei modi in cui, secondo Agostino, doveva declinarsi il vincolo di unione entro la comunit era la trasmissione delle regole e delle tecniche esegetiche da parte di un maestro, custode dellunica chiave daccesso alla verit. Tale convinzione formulata senza esitazione nel prologo del trattato: Piuttosto, ci che deve apprendere per opera
[?, pp. 371-2] esprime questa convinzione per mezzo della suggestiva metafora della sorgente che zampillava nellinteriorit delluomo prima del peccato originale - e della pioggia, necessaria al suo sostentamento dopo la caduta. Una sorgente infatti - dice la Scrittura - sgorgava dalla terra e irrigava tutta la supercie della terra. Sgorgava naturalmente dalla terra di cui il Salmista dice: La mia speranza sei tu, la mia sorte sei tu nella terra dei viventi. Quando per lanima veniva irrigata da questa sorgente, non aveva ancora gettato via lintimo del proprio cuore a causa della superbia. Poich linizio della superbia delluomo allontanarsi da Dio. E poich, gonandosi per superbia verso lesterno, non fu pi irrigato dalla sorgente intima, giustamente luomo viene schernito con le parole dun profeta e gli viene detto: Perch mai sinsuperbisce chi terra e cenere? Nella sua vita infatti gett via il proprio intimo. Orbene, che cosaltro la superbia se non abbandonare lintimo segreto della coscienza e desiderare dapparire ci che non si ? Ecco perch, affannandosi ormai nella coltivazione della terra, luomo ha bisogno delle piogge cadute dalle nubi, cio dellinsegnamento impartito con parole umane, al ne di potere anche, in tal modo, rinverdire sottraendosi allaridit e diventare di nuovo verzura dei campi. Ma volesse il cielo che accogliesse volentieri dalle stesse nubi anche la pioggia della verit! Poich per farla piovere nostro Signore si degn di assumere la nube della nostra carne, sparse la pioggia del santo Vangelo in larghissima abbondanza e promise altres che, se uno berr dellacqua di lui, torner a quellintima sorgente, per non cercare la pioggia al di fuori. Poich egli afferma: Diventer in lui sorgente dacqua che zampilla per la vita eterna. questa - penso io - la sorgente che sgorgava dalla terra prima del peccato e irrigava tutta la supercie della terra, poich era interiore e non aveva bisogno dellaiuto delle nubi. Dio infatti non aveva ancora fatto piovere sulla terra n vera luomo che la coltivasse. Infatti, avendo detto: Dio non aveva ancora fatto piovere sulla terra, soggiunge anche la causa per cui non aveva ancora fatto piovere sulla terra: Poich non vera luomo che la coltivasse. Ora, luomo cominci a coltivare la terra quando, dopo il peccato, fu scacciato dalla felicit che godeva nel paradiso. Cos, infatti, sta scritto: Il Signore Dio allora lo scacci dal paradiso di delizie, afnch coltivasse la terra dalla quale era anche stato tratto; cosa questa chesamineremo a suo luogo. Ma io lho ricordata adesso perch comprendessimo che alluomo che lavora nella terra, che cio si trova nellaridit dei peccati, necessario - come la pioggia che cade dalle nubi linsegnamento divino impartito con parole umane. Questa scienza per sar annullata. Adesso infatti noi vediamo in modo confuso, come se andassimo cercando il vital nutrimento nelloscurit, allora invece vedremo a faccia a faccia, quando tutta la supercie della nostra terra sar irrigata dalla sorgente interiore dellacqua zampillante. Se infatti la sorgente, di cui sta scritto: Una sorgente inoltre sgorgava dalla terra ed irrigava tutta la supercie della terra volessimo intenderla come una sorgente dacqua visibile, non sarebbe verosimile che si fosse seccata solo quella che irrigava tutta la supercie della terra, dal momento che si trovavano tante sorgenti perenni sia di ruscelli che di umi per tutta la terra (Gen. ad man. II, 56).
70 Agostino 69 Cfr.

4.2. AGOSTINO E LELOQUENZA CRISTIANA

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duomo apprenda senza superbia, e un altro che ha appreso da lui trasmetta senza superbia e invidia ci che ha imparato: non tentiamo colui nel quale abbiamo creduto perch non accada che, ingannati da queste astuzie e dalla malvagit del nemico, non vogliamo andare neppure in chiesa ad ascoltare ed imparare il Vangelo, e neppure leggerlo da noi stessi, n ascoltare chi lo legge e lo predica, aspettando di essere rapiti al terzo cielo, sia nel corpo sia fuori del corpo - come dice lapostolo - e ascoltare l parole ineffabili che uomo non pu pronunciare, o vedere l il Signore Ges Cristo e ascoltare da Lui il Vangelo, piuttosto che da un uomo (5, 71-83). Alla dimostrazione della legittimit dellinsegnamento nel suo complesso segue, allinizio del quarto libro, quella relativa in modo specico alla seconda sezione in cui linsegnamento stesso doveva articolarsi e che, secondo il gi citato schema dellinvenire e del proferre, interessava propriamente questultimo. Dato il considerevole lasso di tempo che intercorse tra la composizione dei primi tre libri e dellultimo, sulle cui probabili ragioni si in precedenza discusso71 , Agostino avvert la necessit di esordire con una sorta di nuova introduzione che, oltre a richiamare la partizione dellopera, riproponesse una difesa dellutilit della retorica come strumento di fede. Questargomentazione occupa i primi sette capitoli del libro e si conclude con la proposta originalissima di uneloquenza cristiana che Agostino elabora sia dal punto di vista tecnico, assumendo Cicerone come riferimento, sia da un punto di vista che si potrebbe denire estetico e che culmina nellestensione dello statuto di modello anche agli autori cristiani. Le convinzioni di fondo di Agostino riguardo alla retorica non erano distanti da quelle di Cicerone e si riassumevano in quella secondo cui la bellezza e lefcacia dellespressione dovevano essere il rivestimento di contenuti adeguati. Fu proprio il mantenimento di una prospettiva che affermava il carattere moralmente neutro della disciplina in s a consentirgli di valorizzare le Scritture anche da un punto di vista letterario e di mostrare linconsistenza di ogni riuto operato in linea di principio: Dato perci che la capacit di parlare moralmente neutra (Cum ergo sit in medio posita facultas eloquii) ed molto efcace per sostenere argomenti sia cattivi sia buoni, perch mai la persona dabbene
71 Cfr.

2.4.

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non si dovrebbe mettere in condizione, grazie a questo studio, di battersi per la verit, dal momento che i malvagi se ne servono per far prevalere cause disoneste e prive di fondamento a benecio delliniquit e dellerrore? (IV, ii, 3). Nonostante questa chiara presa di posizione, tuttavia, Agostino manteneva di fatto un atteggiamento velatamente ambivalente, percepibile, ad esempio, nel ridimensionamento subito operato dellimportanza delleloquenza, presentata come un complesso di osservazioni e di regole (observationes atque praecepta) correlate al possesso di unabitudine (consuetudo), la cui opportunit di apprendimento era limitata alle fasi iniziali della formazione, oltre che subordinata alla presenza di adeguate doti naturali (ingenium). Allorigine di questa complessit vi era, ancora una volta, la percezione ingombrante della componente operativa che caratterizzava il concreto esercizio della retorica e che implicava il coinvolgimento di facolt diverse rispetto alla ragione, come limmaginazione, la capacit mimetica e la memoria. Signicativa, a questo proposito, era la negazione del carattere prioritario dellapprendimento della regola connesso al riconoscimento dellimitazione del parlare eloquente quale metodo adeguato e sufciente per la formazione delloratore. Questa ammissione, che identicava nellacquisizione di un abitudine tramite ripetizione un requisito fondamentale per il possesso dellarte, obbligava Agostino a farsi carico di un aspetto che aveva spesso motivato la svalutazione, quando non addirittura il disprezzo per questo genere di attivit, facendogli assumere il medesimo atteggiamento combattuto e oscillante che esibiva nei confronti della musica. Origine di tale inquietudine era la gi riscontrata difdenza nei confronti di tutte le attivit dellanimo sottratte al controllo della parte razionale ma che, tuttavia, erano caratterizzate da una riproducibiit e da un grado di efcacia che le rendeva determinanti nel contesto di alcune attivit. Non potendo essere coltivate attraverso lo studio, poich i meccanismi che ne stavano alla base non erano conoscibili dalla ragione, n la loro applicazione era mediata razionalmente, tali capacit potevano essere potenziate solo tramite un esercizio che non differiva, nella sua essenza, da quello che consentiva ai bambini di imparare a parlare: Ordunque, dal momento che i bambini imparano a parlare solo a forza di ascoltare quelli che parlano, perch mai uno non potrebbe diventare

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eloquente senza apprendere larte del dire, ma a forza di leggere e ascoltare e, per quanto vi riesce, imitare il modo di esprimersi di persone eloquenti? che dire, dato che possiamo provare anche con esempi che ci avviene? conosciamo infatti molti che, pur privi di istruzione retorica, sono pi eloquenti di molti che lhanno appresa; non ne conosciamo nessuno, invece, che lo sia diventato senza aver letto e ascoltato i discorso di persone eloquenti (III, v, 40). Queste considerazioni offrono loccasione di soffermarsi brevemente sul modo in cui, concretamente, loratore acquisiva la sua abilit. Il metodo classico prevedeva tre momenti principali: innanzitutto linsegnamento delle regole (praecepta), poi limitazione dei modelli (imitatio) e, inne, la libera composizione su un tema dato (declamatio). Il passo riportato informa che Agostino considerava limitatio come il metodo pi efcace per acquisire la consuetudo delleloquenza, mentre lo studio delle regole, per quanto ancora valutato come un aspetto fondamentale, poneva la preoccupazione che lo sforzo applicativo potesse compromettere la spontaneit delleloquio. Per Agostino, come per Cicerone, il fatto che lassimilazione delle regole passasse attraverso limitazione e che, di conseguenza, il loro possesso fosse di fatto inconsapevole non aveva carattere problematico, anzi. Lo studio dei modelli non era impostato in senso normativo, ma consisteva in un assorbimento graduale, secondo un procedimento che si potrebbe denire induttivo72 . Per contro, il rispetto dei praecepta che poteva essere vericato nei discorsi degli oratori competenti, non doveva essere attribuito a una consapevole e puntuale applicazione, quanto, piuttosto, a unabitudine acquisita, afne allautomatismo. Questa circostanza sanciva la precedenza dellabilit sul possesso della regola e, pi in generale, del momento pratico su quello teorico. Tornando alla similitudine istituita da Agostino tra lapprendimento del linguaggio e lacquisizione dellabilit retorica, necessario rilevare unaspetto che rendeva le due situazioni non perfettamente sovrapponibili, mettendo in luce una differente declinazione strumentale della parola. Ci che mancava nel primo caso, infatti, era linterazione con la componente emotiva, intesa come assimilazione della capacit di agire sullanimo che, invece, rappresentava la principale risorsa delloratore qualora il suo obiettivo non fosse stato
72 Cfr.

J. Murphy, op. cit. p. 74.

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quello di istruire, esporre un argomento o fugare un dubbio, ma quello di indurre lascoltatore ad assumere un dato comportamento, producendo lassenso a qualcosa che egli gi riconosceva essere vero. In questo caso, infatti, laspetto essenziale della comunicazione non consisteva tanto nella trasmissione di informazioni, quanto nel determinare in un modo piuttosto che in un altro la decisione, facendo ricorso a tutti i possibili mezzi a disposizione. Lesempio proposto da Agostino per offrire un saggio delleloquenza naturale di autori cristiani che non possedevano una cultura rafnata come San Paolo tratto dal libro di Amos, un profeta di cui erano note la rusticit e una certa rozzezza nellespressione ma che, nonostante ci, dimostra un notevole grado di efcacia nel contesto di uninvettiva contro gli ebrei. Oltre al suo valore di esempio, tuttavia, il passo merita di essere segnalato anche dal punto di vista del contenuto, in quanto contiene unimplicita valutazione del signicato della musica. La parte pi suggestiva della citazione, in cui il profeta elenca con concitazione gli eccessi e le sregolatezze degli ebrei, quella conclusiva, in relazione alla quale Agostino osserva come i toni dellinvettiva si smorzino sensibilmente in corrispondenza con il riferimento alla musica: Voi che siete stati messi a parte per il giorno nefasto e vi appressate al trono delliniquit, voi che dormite in letti davorio e siete mollemente adagiati sui vostri divani, voi che mangiate lagnello del gregge e il vitello preso dallarmento, voi che cantate al suono del salterio. Hanno creduto di avere strumenti musicali come Davide, mentre bevono vino nelle coppe e si ungono dei pi preziosi profumi (VII, vii, 16). Il riferimento a Davide esclude, come Agostino sostiene, lapplicazione di una condanna generalizzata alla musica, la quale non risulta dunque equiparata agli altri vizi e ammette la possibilit di quella che, in altri luoghi delle sue opere, egli descrive come pia musica concessa da Dio agli uomini ad admonitionem magnae rei73 . Scrive infatti Agostino, nel De Civitate Dei: Davide era un uomo che possedeva larte del canto e amava larmonia musicale, non per piacere comune, ma per impegno di fede, servendo il suo Dio che il vero Dio, e rafgurando quindi una grande realt. Infatti laccordo razionale e misurato di diversi suoni richiama nella sua concorde variet lunione organizzata di una citt bene ordinata.
73 Cfr.

ep. 101, 4; 166, 13; civ. XVII, 14.

4.2. AGOSTINO E LELOQUENZA CRISTIANA

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La distinzione tra musica sapientis e musica luxuriantis sembra qui ricalcare quella tra leloquenza spontaneamente scaturente dal concetto74 e quella non magniloquente, ma gona (non magnitudine, sed tumor) delleloquio compiaciuto di s. Tale condanna che, manifestamente, interessava il ne di tali attivit pronunciandosi qualora esso nisse per coincidere con il piacere, non era per collegata al fatto di eccedere largomentazione razionale coinvolgendo lemotivit dei fedeli, anzi. Alla ne dellanalisi del passo di Amos, infatti, Agostino si preoccupa di rimarcare che esso ottiene s di istruire il buon ascoltatore, ma ancor di pi di inammarlo, se pronunciato con passione (si ardenter pronuntietur, accendit). Il fatto che, subito dopo, egli avverta la necessit di ridimensionare tale concessione alla componente non razionale dellanima precisando che il potere di quelleloquenza non deriva dallabilit delluomo (neque enim haec humana industria composita), ma pu essere effuso solo da una mente ispirata (sed divina mente sunt fusa) non fa che confermare il riconoscimento della natura straordinaria dello strumento tramite la messa in luce della sua origine divina, con cui si prola, implicitamente, il giudizio di ogni tentativo umano di emulazione come atto di superbia. Una volta posta la condizione, necessaria ma non sufciente, della verit dellinsegnamento da trasmettere75 , Agostino entra nello specico con la trattazione del quo modo, trasferendo cos il polo dellattenzione dalloratore alluditorio. La consapevolezza della rilevanza della forma espressiva del messaggio era emersa nel corso della sua esperienza pastorale, durante il quale egli aveva potuto constatare come la verit dellinsegnamento comunicato non avesse di per s la forza di ottenere la conversione dei fedeli, di passare cio dal piano dellaccoglimento della parola a quello della sua traduzione negli atti76 . Agostino riconosce apertamente che un discorso animato dal solo proposito di insegnare avrebbe potuto avere efcacia solo nei confronti di pochi e scelti uditori, ben disposti e di acuta intelligenza. Proprio per questo, tra i compiti delleloquenza cristiana egli aveva giudicato opportuno mantenere, accanto allinsegnamento, quello di dilettare e di convincere, in sostanziale accordo con
74 Quasi che la sapienza stessa venga fuori dalla sua casa, cio dal petto del sapiente e che, sebbene non chiamata, segua come inseparabile ancella (IV, x, 37-9). 75 Sia meno compreso, piaccia meno, commuova meno ci che vien detto, ma sia detto il vero, e si ascolti volentieri ci che giusto, non ci che iniquo (IV, xiv, 30). 76 Cfr. IV, xii, 27.

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CAPITOLO 4. ARS RETHORICA

quanto aveva affermato Cicerone77 : Uno che si intendeva di eloquenza ha detto, e ha detto il vero, che luomo eloquente deve parlare per insegnare (ut doceat), per dilettare (ut delectet) e per convincere (ut ectat). Poi ha aggiunto: insegnare una necessit, dilettare un piacere, convincere la vittoria (IV, xii, 27). La gerarchia che ordinava le tre funzioni delleloquenza nella visione agostiniana era nettamente denita, ma stante lindiscutibile priorit del docere per gli insegnamenti di carattere esclusivamente dottrinale, egli era incline a riconoscere nel movere lunica possibilit di vincere linerzia e lostinazione dei fedeli. Quanto al delectare, lunica funzione che ad esso poteva essere coerentemente attribuita in una concezione esclusivamente strumentale delleloquenza, era quella ausiliaria, limitata allinduzione di una disposizione favorevole nelluditorio, atta ad accrescere il pi possibile lefcacia del docere78 . La relazione tra docere, movere e delectare si riette anche nella tripartizione agostiniana degli stili retorici che ripropone, nella sostanza, quella tradizionale. A differenza della retorica classica, tuttavia, i tre stili indicati da Agostino, submissus, temperatus, grandis, non erano vincolati dal punto di vista del loro impiego al grado di importanza dellinsegnamento da comunicare, perch tutti i possibili argomenti delleloquenza cristiana, indistintamente centrati sul tema della salvezza dei fedeli, potevano avere unimportanza decisiva. La scelta dello stile da applicare di volta in volta doveva essere operata, piuttosto, in funzione dellintento delloratore che, a seconda che fosse quello di insegna77 Cfr. Orator 69. Come rileva Simonetti, uno scostamento signicativo da Cicerone riguarda la nozione di insegnamento, per indicare la quale Agostino usa non il termine probare, troppo legato al contesto delloratoria forense e determinato esclusivamente dalla nalit di vincere la causa, ma docere, pi adatto al contesto della spiegazione della Scrittura. Unaltra differenza rispetto a Cicerone consiste nellassegnazione di un valore morale allobiettivo del movere: se, infatti, la retorica giudiziaria aveva di mira solamente la persuasione delluditorio per la vittoria della causa, quella cristiana doveva indurre a ubbidire a una norma modicando il comportamento del fedele per fargli meritare la salvezza. Quando chi ascolta pur sapendo che cosa c da fare non lo fa (IV, xii, 28), osserva Agostino, pu essere utile dilettarlo per trattenerlo ad ascoltare (ut teneatur ad audiendum) e convincerlo per spingerlo allazione (ut moveatur ad agendum). Il ne di quella che Agostino chiama grande eloquenza viene cos posto, in accordo con la tradizione classica, nella mozione degli affetti nalizzata a produrre lazione. 78 Ma di questultimo obiettivo noi che bisogno abbiamo? lo ricerchino quanti si gloriano della loro lingua e menino vanto dei panegirici e di discorsi siffatti, con i quali non si deve n istruire, n convincere a fare qualcosa, ma soltanto dilettare lascoltatore. Noi, invece, questo ne trasferiamolo ad altro ne: cio il ne che vogliamo conseguire quando parliamo con stile elevato, perseguiamolo anche con lo stile temperato, per ottenere che siano prediletti i buoni costumi ed evitati quelli cattivi, nel caso che gli ascoltatori non siano pi cos lontani da questo modo di comportarsi da dovervi essere spinti con leloquenza del genere elevato. (...) Possiamo perci far uso anche dellornamento proprio del genere temperato, non per con ostentazione, ma in modo assennato, non contentandosi di dilettare gli ascoltatori, ma mirando piuttosto che anche cos essi vengano incoraggiati al bene di cui li vogliamo persuadere (IV, xxv, 55).

4.2. AGOSTINO E LELOQUENZA CRISTIANA

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re, lodare, biasimare o spingere ad adottare un certo comportamento, risultava pi congruente, rispettivamente, con lo stile semplice, con quello temperato o con quello elevato (IV, xix, 38). A questo proposito, in relazione alla corrispondenza tra lo stile delleloquio e il ne delloratore, sembra possibile cogliere nel testo di Agostino lallusione allesistenza di un livello ulteriore di espressivit, di cui si intende formulare unipotesi in accordo con la linea espressa dalla presente ricerca. Tale allusione suggerita dal fatto che quando lorazione si trasforma in lode di Dio, nella sua Persona e nelle sue opere, lemozione che Agostino lascia trasparire nel tentativo di esprimere la bellezza e lo splendore (quanta facie pulchra ac splendidae dictionis) del modo di parlare di chi pu, per quanto pu, lodare colui che nessuno loda adeguatamente, eppure ognuno cerca in ogni modo di lodare (IV, xix, 33), richiama lemozione inesprimibile in cui egli riconosce la fonte ispiratrice dello jubilus alleluiatico79 . Questa vicinanza, sancita dallesaltazione del libero uire della voce sotto lazione della carica emotiva indotta dalla sublimit delloggetto, sembra sottointendere, alla luce del superamento della componente contenutistica del linguaggio che il canto dello jubilus realizza, lo svincolamento della voce dal ruolo puramente strumentale della comunicazione, in linea con la tendenza al depotenziamento della componente intellettuale che ordina la gradazione dei tre stili retorici. Se lo stile submissus sottointende un vero e proprio uso del linguaggio, esaurendo la propria funzione nel far emergere con chiarezza la linea argomentativa dellinsegnamento proposto, lo stile temperatus dimostra unattenzione specica per il mezzo linguistico, evidente nel ricorso a gure di dizione e di elocuzione (gurae verborum, schmata lxeos), mentre lo stile grandis, pur mantenendo il concetto di una presenza ancora strumentale del linguaggio, oltrepassa lo stadio dellornamentazione per cercare, nelle cosiddette gure del pensiero (gurae sententiarum, schmata dianoas), un modo per interagire efcacemente con i moti dellanima (IV, xx, 42). Dello stile elevato, infatti, Agostino afferma che esso spinto dal suo stesso impeto e la bellezza dellespressione, se la si trova nel suo discorso, lottiene con la forza degli argomenti, non se la procura con la ricerca della parola aggrazziata. Per il ne che si propone gli sufciente che le parole adatte non
79 Cfr.

5.1.

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CAPITOLO 4. ARS RETHORICA

vengano scelte in funzione delleffetto esteriore del suono (oris industria), ma segnino lardore del cuore (pectoris ardorem). A fronte di questa innegabile riaffermazione della priorit del contenuto, tuttavia, necessario distinguere larticio gradevole dello stile temperato, che esaurisce il proprio signicato nella presentazione abbellita del concetto, dalleffusione incontenibile che colma il vuoto lasciato dalla dissoluzione di questultimo e che, come nel melisma dello jubilus, perviene al denitivo superamento della dimensione strumentale del linguaggio con lafdarsi allimmediatezza espressiva della forma dei suoni. Da un lato opera una cura per la forma che se ne serve in quanto mediazione, dallaltro, invece, si dispiega una modulatio spontaneamente misurata e coincidente, in virt di un originario rapporto di somiglianza, con il movimento interno allanimo80 . Se gli abbellimenti e, in generale, lo sfoggio virtuosistico possono al pi sortire leffetto di recare diletto, trovando tipicamente nellapplauso e nellacclamazione il giusto riconoscimento da parte delluditorio, la commozione che lo stile elevato e una certa musica hanno il potere di produrre nellanimo di chi ascolta trova vie di esternazione molto diverse: E sono molte altre le espressioni dalle quali abbiamo appreso che la gente manifesta leffetto che su di essa ha esercitato un discorso sapiente pronunciato in stile elevato, non tanto con grida quanto con gemiti (non clamore potius quam gemitu), talvolta anche con lacrime e inne col mutamento del modo di vita (IV, xx, 53). O ancora, poco oltre: Con le acclamazioni davano a vedere di imparare e trarre diletto, ma con le lacrime indicavano che erano stati convinti. La concezione della retorica come strumento neutrale comportava, nella visione agostiniana, la presa di distanza da due posizioni, entrambe estreme, ovvero sia da quella della sostica di ispirazione gorgiana, concentrata sul80 Agostino dimostra una profonda conoscenza della sfera emotiva, sia della sua costitutiva mutevolezza, sia della regolarit che consente di prevederne e, con ci, di dominarne il mutamento. La vivida immagine del moto ondoso del mare di egli cui si serve per suggerire il criterio con cui operare lalternanza degli stili nellambito di uno stesso discorso esprime in modo altrettanto efcace quella che potrebbe essere denita la forma dellemozione, landamento del suo evolversi per accumulo e scarico di tensione, costitutivo anche della frase musicale. Molto interessante, poi, la consapevolezza dei limiti siologici dellascoltatore, appresa quasi certamente durante lesercizio della professione di retore. Oltre ai suggerimenti su come mantenere alto il livello di attenzione delluditorio, Agostino non trascura di osservare che lo sconvolgimento emotivo messo in atto dallo stile elevato complementare alla difcolt di sostenenerlo nel lungo periodo senza linsorgere di un effetto sbrante sullascoltatore, ovvero, secondo metafora, senza farlo precipitare dallaltezza cui era stato spinto (IV, xxii, 51).

4.2. AGOSTINO E LELOQUENZA CRISTIANA

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la forma dellelocuzione, sia da quella esemplicata dai cosiddetti carismatici, contro i quali Agostino si era difeso preventivamente nel prologo del suo trattato, contraddistinta dallaffermazione dellautosufcienza espressiva del contenuto nel caso in cui questultimo veicolasse la parola divina. Questa convinzione, che Murphy denomina efcacemente come eresia retorica platonica81 a causa del suo allineamento con la posizione esposta nel Gorgia e nel Protagora, appariva agli occhi di Agostino forse ancora pi insidiosa della vuota eloquenza propagandata dai sosti perch, dimostrando di non tenere minimamente in considerazione le caratteristiche e i limiti del fenomeno comunicativo in quanto tale, offriva il anco agli avversari del Cristianesimo che, di tale utile strumento, sapevano fare invece un uso molto accorto.

81 Cfr.

J. Murphy, op. cit. p.71.

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CAPITOLO 4. ARS RETHORICA

Capitolo 5

Musica practica
5.1 Origini del repertorio musicale
5.1.1 Le prime forme
Non cosa agevole ricostruire levoluzione del canto cristiano nella fase iniziale della sua formazione: i primi codici con melodie notate, infatti, risalgono alla ne del IX secolo, quando la liturgia e lapparato musicale avevano ormai raggiunto un certo grado di denizione. Le melodie che tali codici riportano, inoltre, rispecchiano solo in modo molto vago quelle effettivamente eseguite dai primi cristiani poich, con la riforma carolingia attuata in quegli anni, queste ultime erano state sostituite da un canto inedito, nato dalla sintesi di tradizioni precedenti e che in seguito sarebbe stato denominato gregoriano, dal nome del Pontece che aveva presieduto alla sua formazione. Lattuazione di tale progetto, animato da unintento di unicazione religiosa e culturale dellimpero carolingio che, signicativamente, aveva individuato nel canto sacro un potente strumento di aggregazione e di costruzione dellidentit popolare, comport il decadimento dei repertori che si erano formati gradualmente a partire dal IV secolo, in stretta dipendenza dalla collocazione geograca. Tra tutti, il romano antico, il gallicano, lispanico e lambrosiano, solo questultimo riusc a sfuggire al processo di omologazione e a difendere unautonomia in ambito liturgico e musicale che vige tuttora. La notazione musicale dei primi codici era adiastematica, detta anche in

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CAPITOLO 5. MUSICA PRACTICA

campo aperto per alludere alla mancanza di un sistema di riferimento in grado di determinare con precisione laltezza e la durata dei suoni. Ci comportava, con ogni evidenza, che la sua utilit fosse limitata allofferta di un supporto mnemonico, riservato a chi gi conosceva a memoria la melodia. Questa prassi mantenne un carattere ordinario almeno sino al X secolo, per cui possibile affermare che, per quasi tutto il primo millennio dellera cristiana, la trasmissione del repertorio fu esclusivamente orale. La completa assenza di documenti musicali ha reso difcoltosa la ricostruzione della storia dei primi secoli del canto cristiano che, a differenza dei repertori formatisi in un secondo momento, a partire dal IV secolo, non conobbe nemmeno una redazione tardiva. Gli studiosi che hanno intrapreso questa ricerca hanno dovuto dunque procedere forzatamente formulando ipotesi in massima parte relative allo studio della liturgia negli scritti neotestamentari, i quali rappresentano lunico riferimento in grado di far luce sui primi esiti dellincontro fra la cultura ebraica e la tradizione greco-romana. Tra gli elementi che dal culto giudaico si trasmisero a quello cristiano, quello che appare maggiormente signicativo in questo contesto il grande rilievo attribuito alla dimensione interiore delluomo, espresso, ad esempio, nelle frequenti esortazioni alla puricazione e alla conversione del cuore. Questo aspetto, che S. Paolo esprime attraverso una potente metafora affermando che noi siamo il tempio del Dio vivente (2 Cor. 6, 16), richiama immediatamente un altro elemento del monoteismo giudaico-cristiano, ovvero latteggiamento di ascolto della parola divina che si manifesta, pur mantenendo unassoluta trascendenza, risuonando nel cuore dei fedeli. La concezione della parola come sacra stata da sempre un elemento fondamentale sia nel culto ebraico sia in quello cristiano, nellambito dei quali si resa operante prescrivendo di agire con la massima cautela nella sua trasmissione alla comunit. La consapevolezza che latto della proclamazione, di per s, non poteva evitare di veicolare uninterpretazione del contenuto trasmesso, inquinando cos la neutralit della comunicazione, produsse lelaborazione di tecniche di disciplina della pronuncia che diedero origine alle prime forme di canto religioso, signicativamente assai vicine alla recitazione. Va sottolineato, dunque, che non fu il desiderio di introdurre ornamenti al ne di abbellire,

5.1. ORIGINI DEL REPERTORIO MUSICALE

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quanto, allopposto, lintento di sottrarre la parola divina al potere di manipolazione delluomo, a motivare limpiego della musica nella liturgia ebraica e cristiana1 . Una delle principali eredit ebraiche in ambito musicale stata la cantillazione, una tecnica che prevedeva la proclamazione di un testo in prosa insistendo su una nota detta corda di recita e inserendo semplici formule melodiche in corrispondenza con le articolazioni del periodo. Leffetto che derivava dalla sua applicazione era una pronuncia rapida e uente del testo, che assecondava il ritmo verbale delle frasi (gura 5.1).

Figura 5.1: Esempio di cantillazione Per il canto dei testi poetici della Bibbia, come i Salmi e i Cantici, invece, la tecnica impiegata era quella della salmodia. Essa prescriveva lapplicazione ricorsiva di una medesima formula musicale a tutti i versetti componenti il testo e, diversamente dalla cantillazione, in cui vigeva il rigoroso rispetto della struttura fraseologica, era strutturata in modo da far emergere lindividualit del solo versetto suddiviso in emistichi, senza alcun riguardo per il diverso peso delle cesure interne. Lo schema pi semplice per il canto salmodico quello mostrato in gura, in cui linsistenza sulla corda di recita (tenore salmodico) inaugurata dalla formula di intonazione e conclusa dalla terminatio, interrotta dalla exa, da inserire solo in caso di versetti molto lunghi, e dalla cadenza mediana in corrispondenza della ne del primo emistichio (gura 5.2). Svariate erano le modalit esecutive della salmodia. Tra di esse le pi ricor1 Cfr. G. Barofo, A. Eun Yu Kim, Cantemus Dominus gloriose. Introduzione al canto gregoriano, Cremona 2003.

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CAPITOLO 5. MUSICA PRACTICA

Figura 5.2: Esempio di salmodia semplice renti erano la salmodia diretta, quella responsoriale, quella alleluiatica e quella antifonata. Nella salmodia diretta il testo veniva cantato da una sola voce senza altri interventi, mentre nelle altre tre forme si dava unalternanza tra il solista e il coro oppure tra due semicori. Pi precisamente, nella salmodia responsoriale si alternavano il solista che declamava i versetti e lassemblea che eseguiva un ritornello, in quella alleluiatica il solista e lassemblea che cantava una melodia sullalleluia e inne, in quella antifonata, due semicori che si dividevano i versetti. Vale la pena di approfondire, per quanto possibile, queste ultime tre forme, che si trovano citate negli scritti di Agostino e che, comunque, videro proprio in quegli anni la loro graduale introduzione nella liturgia. La salmodia antifonica deriva il suo nome dal termine geco antiphonos che, nel lessico teorico, era usato per indicare lintervallo di ottava. Questetimologia suggerisce che, almeno inizialmente, i due semicori cantavano a distanza di unottava, il che ha indotto a supporre che fossero composti uno da uomini e laltro da donne o da fanciulli2 . Conferme in questo senso, del resto, non mancano: signicative, ad esempio, sono quella di Filone di Alessandria3 e di Eusebio di Cesarea4 , che attribuisce questa pratica ai cristiani coevi. Allinizio del IV secolo il canto antifonico si era diffuso piuttosto ampiamente nel mondo cristiano orientale, soprattutto a motivo della sua capacit di coinvolgere atti2 Cfr. [9, p. 249.] Alcuni commentatori, poi, hanno riconosciuto unallusione alla pratica della salmodia antifonata in un passo di Tertulliano, in cui viene descritta la recitazione di un salmo in stile responsoriale da parte di una pia coppia di sposi: marito e moglie cantano a due voci salmi e inni (sonant inter duos psalmi et hymni) sdandosi reciprocamente nel tessere meglio le lodi a Dio che, udendoli, si compiace. Cfr. Ad uxorem, II, viii, 8-9; PL I, 1304. Cit. in [90, p. 44.] 3 Filone fornisce una descrizione del canto antifonico presso i Terapeuti in unopera di autenticit un tempo messa in dubbio: Essi stanno riuniti tutti in piedi, e (...) si formano due cori (...), luno di uomini e laltro di donne; e per ciascun coro vi un corifeo scelto, il quale il pi stimato e il pi valente del gruppo. Quindi essi cantano gli inni composti in onore di Dio in vari metri e melodie, talvolta cantando tutti insieme, e talaltra rispondendo uno allaltro con arte. Il coro maschile e femminile dei fedeli, col canto e lalternarsi delle melodie, produce (...) una sinfonia veramente musicale, nel fondersi delle voci acute delle donne con quelle profonde degli uomini (De vita contemplativa 64-90). Cit.in [121, p. 74-5.] 4 Lopera di Eusebio in cui possibile trovare il maggior numero di informazioni sulla salmodia la Storia Ecclesiastica, in cui contenuto anche il passo di Filone precedentemente riportato (II, xvii).

5.1. ORIGINI DEL REPERTORIO MUSICALE

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vamente lassemblea. A partire dalla ne del secolo, in seguito alla sua stabile adozione da parte di San Basilio a Nicea, di San Giovanni Crisostomo a Costantinopoli e di SantAmbrogio a Milano, inizi ad essere praticato in molti altri centri della Chiesa latina. Agostino, probabilmente, ebbe modo di ascoltare questa forma di salmodia e nel nono libro delle Confessiones conferma che uno dei suoi aspetti positivi era la capacit di suscitare un fervido senso di partecipazione nei fedeli: Non era molto che la Chiesa milanese aveva adottato questa forma liturgica di consolazione ed esortazione in cui tutti i fratelli riuniscono con grande ardore in un sol canto le voci e i cuori. Era passato infatti un anno o poco pi da che Giustina, madre dellimperatore fanciullo Valentiniano, aveva cominciato a perseguitare il tuo Ambrogio a causa delleresia in cui era stata trascinata dagli ariani. La folla dei fedeli trascorreva la notte in chiesa, pronta a morire con il suo vescovo, tuo servo. (...) Si stabil allora che inni e salmi venissero cantati secondo il modo orientale per evitare che il popolo si consumasse nel tedio della tristezza: e da allora si continuato a farlo sino ad oggi e questo modo di cantare viene imitato da molti, anzi da quasi tutti i tuoi greggi in ogni parte della terra (conf. IX, vii, 15). Va detto che lespressione "stile orientale" stata interpretata anche in un altro modo, che nega validit alla testimonianza di Isidoro di Siviglia (Etym. IV, xix, 8) imputandogli il fraintendimento del termine antiphona nel senso sopra riportato, per affermare che il passo agostiniano si riferisce non allo stile antifonico, bens a quello responsoriale. In ogni caso, per leconomia del nostro discorso, sufciente stabilire che, allepoca di Agostino, almeno in alcune aree geograche era diffusa la pratica di intonare i salmi su formule sse e che essa era aveva un fortissimo impatto emotivo sulla sensibilit dei contemporanei5 . Del secondo tipo di salmodia, quella alleluiatica, abbiamo notizie, tra gli altri, da Ippolito6 e sappiamo che essa era in vigore nella liturgia milanese del tempo pasquale7 . La differenza rispetto alla salmodia responsoriale consisteva nel fatto che, mentre in questultima lacclamazione intercalare era solitamente estratta dal primo versetto del salmo e, dunque, cambiava con esso, nel caso
5 Una suggestiva testimonianza in proposito si pu trovare in alcuni luoghi dei Carmina di Gregorio Nazianzeno, ad esempio l dove afferma che la salmodia il rimedio melodico dellanima (Car. II, 2). Cit. in [65, p. 39.] 6 Cfr. Tradizione Apostolica 25, cit. in [90, p. 47.] 7 Cfr. [146, pp. 73-113.]

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CAPITOLO 5. MUSICA PRACTICA

della salmodia alleluiatica il ritornello rimaneva immutato, in quanto consisteva nellacclamazione dellalleluia. Questa parola manifesta una chiara origine ebraica (hallelu Jah, lodate Dio) e allude allesternazione di una lode accompagnata da un sentimento di gioia ineffabile che trova espressione in un melisma vocalico privo di testo detto jubilus. Questultimo veniva cantato sulla sillaba nale -ia e aveva non di rado una notevole estensione che, nel canto ambrosiano, poteva addirittura superare le trecento note. Lo jubilus costituisce un caso particolarmente interessante di musica indipendente dal testo nel repertorio monodico cristiano e, non a caso, ha attirato lattenzione di molti Padri della Chiesa, tra cui anche Agostino. In pi di unoccasione, soprattutto nelle Enarrationes in Psalmos, troviamo infatti affermata con convinzione la tesi secondo cui la gioiosa esultanza dellanima pu esprimersi solo tramite una musica senza parole, equivalente a una forma di contemplazione8 : Canta nel giubilo. Che signica giubilare? Intendere senza poter spiegare a parole ci che con il cuore si canta. Infatti coloro che cantano, sia mentre mietono, sia mentre vendemmiano, sia quando sono occupati con ardore in qualche altra attivit, incominciano per le parole dei canti a esultare di gioia, ma poi, quasi pervasi da tanta letizia da non poterla pi esprimere a parole, lascian cadere le sillabe delle parole, e si abbandonano al suono del giubilo. Il giubilo un certo suono che signica che il cuore vuol dare alla luce ci che non pu essere detto. E a chi conviene questo giubilo se non al Dio ineffabile? Ineffabile infatti ci che non pu essere detto: e se non puoi dirlo, ma neppure puoi tacerlo, che ti resta se non giubilare, in modo che il cuore si apra a una gioia senza parole, e la gioia si dilati immensamente ben al di l dei limiti delle sillabe? Bene cantate a lui nel giubilo (en. Ps. 32, 8). E ancora: veramente una cosa notevole, una cosa che, se la si comprende, rende beati. Mi dia pertanto il Signore nostro Dio, lui che costituisce la beatitudine degli uomini, la grazia di capire quel che ho da dirvi; e a voi doni la grazia di capire le parole che ascolterete. Beato il popolo che comprende il giubilo. Corriamo a questa beatitudine; comprendiamo il giubilo! Non manifestiamolo senza averlo compreso! Cosa rappresenterebbe infatti mettersi a giubilare, obbedendo al salmo che dice: Giubilate a Dio, o terra tutta!, se non si capisse il giubilo? se fosse solo la nostra voce a giubilare e non giubilasse il nostro cuore? Il suono del cuore, infatti, conoscenza (sonus enim cordis, intellectus est).
8 Cfr.

[33, p. 14.]

5.1. ORIGINI DEL REPERTORIO MUSICALE Vi dir cose risapute. Chi giubila non pronunzia parole ma emette dei suoni indicanti letizia, senza parole. Il giubilo la voce di un cuore inondato dalla gioia, dun cuore che, per quanto gli riesce, vuol manifestare i suoi sentimenti, pur senza comprenderne il signicato. Luomo che in preda alla gioia si mette a esultare, da parole che non si riesce n a dire n a comprendere passa a delle grida di esultanza ove non ci sono pi parole. Dai suoni che emette si vede benissimo che egli contento ma anche che, sopraffatto dalla gioia, non riesce a dire a parole ci che lo fa godere. Osservate tutto questo nei cantori, anche di canzoni disoneste. Non che il nostro giubilo debba essere come il loro, noi dobbiamo giubilare nella giustizia, loro giubilano nelliniquit; noi nella confessione, loro nella confusione; tuttavia, per farvi capire ci che intendo dirvi o, meglio, per ricordarvi ci che gi sapete, guardate come giubilano, fra gli altri, i lavoratori dei campi. Soddisfatti per labbondanza del raccolto, i mietitori, i vendemmiatori, o qualsiasi altro raccoglitore di frutti, cantano e tripudiano, lieti della fertilit e fecondit della terra. In tali canti, espressi a parole, inseriscono delle grida inarticolate, che palesano lebbrezza del loro animo in preda alla gioia. E questo ci che si chiama giubilo. Se qualcuno di voi non capisce ancora di queste cose per non averci mai fatto caso, ci badi in avvenire. E voglia il cielo che non trovi persone in cui osservare di tali cose, cosicch Dio non abbia pi alcuno da punire. Ma siccome non cessano ancora di spuntare delle spine, osserviamo pure in coloro che esultano malamente il giubilo riprovevole, per offrire a Dio il giubilo che merita la ricompensa (en. Ps. 99, 3-4).

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Altre testimonianze si trovano, oltre che negli scritti di SantAmbrogio, anche in quelli di poeti e scrittori latini come Varrone, Marco Aurelio e, molto pi tardi, Cassiodoro9 , che lo presenta come un ornamento per la lingua dei cantori. Questo riscontro, aggiunto alla somiglianza rilevata da Agostino tra lo jubilus e un tipo di canto dei marinai romani detto celeusma, suggerisce che lesecuzione di lunghi vocalizzi senza testo non fosse diffusa solamente presso gli ebrei10 . Uno dei primi riferimenti negli scritti dei Padri della Chiesa latini contenuto in un passo del Tractatus in psalmos di Ilario di Poitiers11 (315-367), in cui il termine jubilus viene descritto come un suono prolungato, di ambientazione originariamente agreste, e distinto dal greco12 alalagms, lurlo di battaPL 70, 742. testimonianza si trova nel Breviarium in psalmos dello Pseudo-Gerolamo: chiamato jubilus perch n tramite parole, n tramite sillabe, n tramite lettere pu essere espresso o compreso quanto luomo debba pregare Dio (PL 26, 917). Per quanto riguarda invece luso del celeusma, un riferimento contenuto nellepistola XIV, Ad Heliodorum monachum, PL 22, 353. Cit. in [90, p. 140.] 11 Cfr. PL 9, 425. Cit. in [90, p. 124.] 12 Nella versione dei Settanta il termine greco corrisponde allebraico teruah, che presenta lanalogo signicato di canto di vittoria.
10 Analoga 9 Cfr.

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glia, che, a differenza del primo, indicava una vera e propria esplosione, simile a quella del Salmo 47: Applaudite, popoli tutti, acclamate Dio con impeto di gioia (vox exultationis) (Ps. 47, 2). Un aspetto di capitale importanza riguarda la valutazione etica di questo canto sine verbis, che non viene indicato da Agostino come un pericolo per lanima ma, al contrario, riportando le parole di C. Panti13 , come unesperienza assoluta, non solo emozionale, ma mistica, in cui si manifesta la convinzione che solo il suono disarticolato pu esprimere lineffabile. La ragione ultima di ci, secondo la studiosa, consiste nel fatto che lanima che cerca di rivolgersi direttamente a Dio, senza la mediazione del segno, lo pu fare solamente perch Dio stesso ha posto in essa un verbum che al suo interno gi riluce prima di ogni espressione linguistica, preordinandone locculta familiaritate14 con il modus del canto e lo stato danimo da esso indotto15 . In questottica possibile avanzare uninterpretazione dello jubilus come espressione correlata, da parte delluomo, alla chiamata di Dio secondo la teoria agostiniana della grazia: se tale chiamata, come si visto16 , costituisce lesito di un atto volontario radicalmente libero del Creatore, il canto nel giubilo effuso dalla creatura, schiacciata sotto il peso di questa libert assoluta, non pu che elevarsi secondo un modus stabilito da Dio stesso, la cui comprensione realizza la pi alta beatitudine accessibile alluomo. In questo senso, dunque, Agostino afferma che il suono del cuore conoscenza, conoscenza di un oggetto non pi imprigionabile in un signicato, ma in grado di imprigionare lanima per mezzo del puro suono. E in questo senso deve essere letta lassenza di timore nei confronti del potere straripante insito nella prorompente sicit17 dello jubilus il quale, distinto dalla melodia che identica semplicemente la componente fonica della parola ordinaria, uisce in ununica direzione, dalluomo a Dio, al ne di esprimere la gioia assoluta per il possesso di ci che Dio stesso ha posto nellanima delluomo.
p. 183.] conf. X, xxxiii, 49. 15 Con una somiglianza che merita forse di essere approfondita, anche Platone, nello Ione, aveva attribuito al poeta una forma di ispirazione di origine divina, capace di infondere non solo la capacit tecnica di comporre, ma anche la forma espressiva. Cfr. ad esempio 534 b e 536 c-d. 16 Cfr. 4.2. 17 C. Panti osserva che tale sicit si manifesta anche sul piano etimologico, poich la radice del termine greco alalagms, alla, rivela nella sua origine onomatopeica il riferimento al grido dellesercito vittorioso. Cfr. C. Panti, op. cit. p. 186.
14 Cfr. 13 [104,

5.1. ORIGINI DEL REPERTORIO MUSICALE

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Una qualit che sembra dipendere dalla natura stessa di questo rapporto di comunicazione privilegiato tra luomo e Dio, inne, il carattere individuale del canto dello jubilus, che Agostino, se questa ipotesi fosse corretta, sarebbe stato il primo ad affermare. Liturgisti e musicologi si sono chiesti quale fosse il contesto specico di questo canto, se davvero esso fosse identicabile con il melisma alleluiatico o se riguardasse altre occasioni di intonazione di vocalizzi. Ci che possibile ricavare dai testi non sufciente a dirimere la questione poich i riferimenti sono piuttosto vaghi. La linea interpretativa prevalente tende a sostenere che lo jubilus di cui parla Agostino non possa essere identicato con il vocalizzo alleluiatico, ma che esso, comunque, si inserisse nella salmodia responsoriale e, dato maggiormente rilevante, che non contemplasse lesecuzione da parte di un solista18 . A fronte di ci, C. Panti19 mantiene affermato il collegamento con la dimensione interiore delluomo, animata da una presenza di Dio che congura il canto come pura modulatio, superamento del piacere nella gioia sublime, poich ci non contraddice il dato concreto della prassi musicale. Canto di lode a Dio di sicura esecuzione comunitaria era, invece, linno, termine che rimase piuttosto vago nel primi secoli del Cristianesimo e di cui Agostino d la seguente denizione: Cosa sia un inno, lo sapete. un canto che ha per tema la lode di Dio. Se lodi Dio ma non canti, non dici un inno; se canti ma non lodi Dio, non dici un inno; se lodi qualcosa che non rientra nellambito della lode divina, anche se lodi cantando, non dici un inno. Linno quindi include tre cose: il canto, la lode, e la lode di Dio; per cui una lode elevata a Dio mediante un cantico la si chiama inno (en. Ps. 148, 17). Il termine hymnos era stato usato anche dagli antichi greci con un analogo signicato di canto in onore della divinit, come nel caso dei celebri inni omerici, ma la struttura di queste composizioni era molto ben denita, caratterizzata dalla rigorosa applicazione della metrica quantitativa e da una struttura stroca. Gli inni citati in vari punti del Nuovo Testamento20 , invece, non presentavano nessuna di queste caratteristiche ed erano modellati piuttosto sulla produzione poetica ebraica, con particolare riferimento al canto dei Salmi, circostanza
18 Cfr. 19 Cfr.

[33, p. 13-14.] Si veda anche [90, pp. 156-8.] Ivi p. 187 ss. 20 Col. 3, 16; Ef. 5, 19; Mt. 26, 30; Mc. 14, 26.

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da cui deriva la denominazione di innodia salmodica impiegata oggi da alcuni studiosi. Un gura rilevante nella fase iniziale di evoluzione dellinno fu SantEfrem (306-373), diacono di Edessa, che pur mantenendosi legato ai testi salmici assunse un modello formale pi denito, caratterizzato da struttura stroca e isosillabismo dei versi. Fu a partire dalla sua produzione che ebbe inizio linnodia cristiana documentata, mentre, in Occidente, linno assunse la sua forma canonica grazie allopera di SantAmbrogio. Agostino fa esplicito riferimento a quattro inni che, tra tutti quelli collettivamente denominati ambrosiani, possibile attribuire con un buon margine di sicurezza ad Ambrogio, almeno per quanto riguarda il testo. Si tratta di Aeterne rerum conditor, Deus creator omnium, Jam surgit hora tertia, Veni redemptor gentium. Il testo suddiviso in stanze di quattro versi in dimetri giambici e si applica a una formula melodica che viene ripetuta in modo rigorosamente uguale per tutte le strofe. Non vi alcuna garanzia, naturalmente, che le melodie composte da Ambrogio siano quelle che sono giunte sino a noi, ma comunque ragionevole supporre che esse presentassero unanaloga semplicit e linearit nellandamento. Nonostante lestrema sobriet, tuttavia, questi inni dovevano possedere uno straordinario potere evocativo, testimonianza del quale pu essere rinvenuta nel racconto della personale esperienza di Agostino: Quanto piansi a udire i tuoi inni e i tuoi cantici, vivamente commosso dalle dolci voci che risuonavano nella tua chiesa! Voci che uivano nelle mie orecchie, e la verit si scioglieva nel mio cuore, e ne scaturivano ribollendo sentimenti di piet, e correvano lacrime, e mi facevano bene (conf. IX, vi, 14). La confessio apparentemente semplice e piana di un ricordo associato al periodo della conversione si trasforma, nel libro successivo, nella valutazione di questo genere di esperienze in vista del loro possibile ruolo allinterno della vita cristiana. In questa mutata prospettiva, lentusiasmo indotto dallascolto della parola divina animata dalla melodia sacra viene di fatto ricondotto alla categoria del piacere sensibile e i canti modulati da una voce soave e addestrata (cum suavi et articiosa voce) sono indicati come potenziale oggetto di concupiscientia carnis. Nel medesimo momento in cui Agostino auspica la liberazione dal loro

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potere incatenante, tuttavia, non pu esimersi dal riconoscere che la parola di Dio, grazie a loro, risulta potenziata nella sua efcacia: A volte, infatti, mi sembra di tributare loro pi rispetto del dovuto quando avverto che, cos cantate, le parole sante muovono il nostro animo a un pi devoto e ardente ardore di piet che se non fossero cantate, e che tutti i sentimenti del nostro animo, pur nella loro innita variet, trovano nella voce e nel canto la nota giusta (proprios modos in voce atque cantu) per ciascuno, lo stimolo di non so qual misteriosa afnit (occulta familiaritate) (conf. X, xxxiii, 49). In un modo che, senza supporre alcun riferimento diretto da parte di Agostino, ricorda la caratterizzazione aristotelica della musica come arte mimetica21 , il passo citato afferma il sussistere di una corrispondenza tra gli affetti dellanimo e le inessioni della voce, in virt della quale le anime dei fedeli vengono poste in uno stato emotivo analogo a quello che si accompagnerebbe alla comprensione della verit. Se la parola, infatti, non in grado di produrre la conoscenza trasmettendo il concetto, ma pu solamente farlo aforare dalle profondit del cor, la sua componente sonora, declinata nella dolcezza del canto, pu produrre manifestazioni come il pianto o la gioia, a prescindere dalla verit del contenuto. Sotto questo aspetto, lunica circostanza ammissibile agli occhi di Agostino quella in cui il sorgere dellaffectus si accompagni indissolubilmente alla presenza latente del verbo interiore, il che presuppone levento della conversione. Anche a questa condizione, tuttavia, la vis soni mantiene la propria forza spesso predominante rispetto alla vis verbi, come il corpo rispetto allanima22 , s che, almeno in certe occasioni, Agostino si mostra incline a limitare prudentemente il ricorso al suono modulato, preferendone uno pi vicino al parlato: A volte, invece, esagero a guaradarmi da questo rischio ed erro - invero assai di rado - per eccesso di severit: cerco di allontanare dalle orecchie, mie e della Chiesa stessa, tutta la melodia dei dolci canti che accompagnano solitamente i salmi di Davide, sembrandomi pi sicuro il metodo che ricordo di aver spesso sentito attribuire al vescovo Atanasio, che faceva modulare dal lettore i salmi con una voce cos ebile, da sembrare pi recitare che cantare. Quando per ripenso alle lacrime che versai ai canti della tua Chiesa nei primordi della mia fede ritrovata, alla commozione che ancor oggi mi suscita
21 Cfr.

che Agostino, nel De quantitate animae, aveva individuato una similitudine tra la coppia anima-corpo e la coppia signicato-suono. Cfr. an. quant. XXXII, 66.

22 Ricordiamo

3.3.1.

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CAPITOLO 5. MUSICA PRACTICA non il canto, ma il testo del canto, se cantato con la voce limpida e la modulazione pi appropriata (cum liquida voce et convenientissma modulatione cantantur), riconosco la grande utilit di questa pratica (magnam instituti huius utilitatem rursus agnosco). Ondeggio cos tra il rischio del piacere e lesperienza del bene che ne deriva e, pur senza voler dare un giudizio denitivo, inclino ad approvare luso del canto in chiesa, afnch il piacere delludito solleciti anche lanima pi fragile a una trepida devozione. Quando per succede che il canto mi tocca pi del testo cantato, confesso il mio peccato degno di pena e preferirei allora di non sentir cantare (conf. X, xxxiii, 50).

Il carattere oscillante dellatteggiamento di Agostino non stupisce affatto se solo si pensa che, in quel periodo storico, era assai diffuso un sentimento di difdenza nei confronti delle espressioni culturali di origine pagana, in particolar modo la musica e, come si visto23 , la retorica. Lentusiasmo manifestato dal popolo dei fedeli, daltra parte, aveva comportato limmediata e ampia diffusione in tutto lOccidente dellinnodia e di forme afni di canto comunitario, acuendo le gi forti preoccupazioni della Chiesa24 . Prova di un atteggiamento apertamente ostile in questo senso fu linterdizione del canto degli inni imposta dal Concilio di Laodicea, tenutosi nella seconda met del quarto secolo, che li design signicativamente con lespressione psalmi idiotici vel plebei. Tale difdenza pu essere meglio compresa se se ne riconosce lorigine nel timore, gi posto a tema allinizio del capitolo, che qualcosa di prodotto dalle mani delluomo potesse sostituirsi, in chiesa, a ci che doveva essere esclusivamente ispirato da Dio. Conferme signicative in questo senso possono essere rinvenute, ad esempio, negli scritti di Novaziano25 , presbitero romano martirizzato durante le persecuzioni di Valeriano nel 258, che in alcuni punti sembra alludere alla potenziale declinazione idolatrica della musica, come di qualunque altra attivit capace di attrarre i sensi delluomo rinviando a un principio diverso da Dio. Di certo non fu senza peso la preoccupazione per il diffondersi di uninnodia di ispirazione gnostica, soprattutto ad opera di Bardesane, che ebbe da subito forte presa sulluditorio in ragione della bellezza26 dei testi e delle me 4.2. mancavano, comunque, prese di posizione equilibrate, che accoglievano le possibilit della voce come un dono di Dio, del quale non si doveva abusare. Cipriano, tra gli altri, spiega che, come la voce, anche il ferro un dono utile alluomo ma ci non esclude che esso possa essere usato male, ad esempio per commettere un delitto. Cfr. De habitu virginum XI, PL 4, 449-50. 25 Cfr. De spectaculis IV, 5; PL 4, 783. Cit. in 26 A questo proposito interessante la tesi proposta da T. Kat in merito allinuenza del mani24 Non 23 Cfr.

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lodie. Eloquente in proposito fu la presa di posizione di SantEfrem, che den tali composizioni un veleno offerto al popolo sano. In ogni caso, non fu solo a causa del loro prestarsi ad essere veicolo di contenuti eretici a suscitare latteggiamento difensivo della Chiesa: se cos fosse, infatti, non si spiegherebbe perch, con la sola esclusione dellambiente monastico in cui la Regola benedettina ne sanc presto lintroduzione, gli inni restarono esclusi dalla liturgia romana addirittura sino alla ne del XII secolo, quando il problema delle eresie si era ormai decisamente afevolito. A conclusione di questo commento alle prime fasi dellevoluzione della monodia cristiana possibile rilevare lemergere di una distinzione, che sarebbe rimasta fondamentale, tra le forme che vivono dellindissolubile legame tra testo e melodia, come la cantillazione e la salmodia, e quelle che sembrano invece essere caratterizzate da un qualche grado di autonomia della componente musicale. Il riferimento evidentemente allo jubilus alleluiatico, in cui la parola risulta di fatto assente, e allinno, in cui la melodia modellata in funzione della sola struttura metrica del testo e pu quindi essere sottoposta indifferentemente a tutte le strofe o, addirittura, a un testo completamente diverso. Agli albori della storia della musica occidentale, pertanto, iniziavano gi a prolarsi due temi che sarebbero stati in seguito incessantemente dibattuti, ovvero il carattere autonomo della musica e la qualit del suo rapporto con la parola.

5.1.2 Dalla grammatica alla musica


Come si detto, poco di concreto pu essere affermato sulla veste musicale dei canti che Agostino ebbe modo di ascoltare a Milano e tale impossibilit riguarda in particolar modo lo jubilus alleluiatico, in cui lassenza del testo impedisce anche solo una ricostruzione a grandi linee della melodia. Qualche conclusione in pi pu essere invece tratta nel caso dellinno, anche perch molte informazioni relative alla componente metrica sono contenute proprio nel De musica.
cheismo sul concetto agostiniano di bellezza, persistente anche nelle opere successive al giovanile e ripudiato trattatello De pulchro et apto: Sil a beaucoup appris de Platon, de Pythagore, de Ciceron pour sa manire de penser et de sexprimer, son me est attire par la contemplation du Beau comme Dieu, ce Beau que chantent les hymnes manichennes. Plus tard il rejettera le manichisme a cause de son caractre mythique, mais pour le moment le Dieu dei manichens ne lui apparat ni caotique ni dpourvu dordre, sinon comment aurait-il pu lui inspirer une telle passion pour la Beaut! Cfr. [76, p. 239.]

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La forma canonica dellinno prevede la scansione in stanze di quattro versi, composti ciascuno di otto sillabe, cui corrisponde una melodia composta di quattro frasi ben denite e di pari lunghezza, generalmente luna diversa dallaltra. Prendendo in considerazione i quattro inni attribuiti ad Ambrogio si pu osservare, seppur con tutte le cautele del caso, che tre di essi presentano la forma pi ricorrente abcd, mentre uno, Deus creator omnium (H 181), segue la forma abca, in cui forse gi operante il principio estetico della ricapitolazione nale27 . Ereditato dalla tecnica oratoria, in cui, come si visto28 , la conclusio aveva il compito di ricapitolare i tratti salienti dellargomentazione al ne di farli risuonare il pi a lungo possibile nella mente degli ascoltatori e, con ci, traccia di unafnit tra la musica e il linguaggio, questo principio sarebbe divenuto in seguito un tratto caratteristico della musica occidentale, idea strutturale fondamentale nel caso di molte forme musicali tra cui, soprattutto, la forma sonata. Passando allesame della struttura del testo, il primo aspetto da valutare se sia possibile applicare concretamente agli inni ambrosiani il complesso dei rigorosi principi di versicazione di cui offerta puntuale descrizione nei libri centrali del De musica. Se da un punto di vista meramente formale, infatti, lo schema del verso in quattro giambi rientra a pieno titolo tra quelli classici, organizzati secondo la metrica quantitativa, non si pu trascurare il fatto che, allepoca di Ambrogio, era ormai iniziato il processo che avrebbe portato alla sostituzione di questultima con la metrica accentuativa, comportando la trasformazione delle sillabe lunghe in sillabe accentate. Ci, naturalmente, non costringe affatto a escludere che, almeno in origine, gli inni venissero cantati nel rispetto della scansione metrica classica. Per parte sua, Agostino era ben consapevole del fatto che, presso i contemporanei, la percezione della quantit delle sillabe (syllabarum brevium longarumque distantia) non poteva essere data per scontata e, per questo, aveva anteposto alla sezione tecnica del dialogo una sorta di nuova introduzione (mus. II 1, 1), in cui non si faceva scrupolo nel presupporre una certa ignoranza nel discepolo in merito. Emerge proprio in questo contesto la fondamentale differenza tra grammatica e musica, connessa al tema, ricorrente in Agostino, del rapporto tra
27 Cfr. 28 Cfr.

[9, p. 540.] 4.1.3.

5.1. ORIGINI DEL REPERTORIO MUSICALE

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ragione e autorit. L dove il grammatico, investito del compito di custodire la tradizione, si indigna ogniqualvolta ad essa si contravvenga e pretende la correzione secondo lautorit degli antichi, il musico si sofferma a valutare facendo afdamento sul senso e sulla ragione. Al carattere di arbitrariet che contraddistingue lautorit della grammatica, con il suo innalzare a criterio la volont degli antichi poeti, la musica oppone lelaborazione di una disciplina che procede dapprima con lesposizione di una fenomenologia del materiale prosodico29 secondo il giudizio del senso, per proseguire in un secondo momento con lesercizio del dominio su tale materiale, in virt dellintervento della ragione. forse opportuno riprendere brevemente un tema gi svolto30 , quello del ruolo della sensibilit e del suo rapporto con le facolt dello spirito. Lelemento di grande originalit apportato dal De musica alla teoria della sensazione consiste, come si visto, nellaver individuato una fondamentale continuit fra il sentire e il pensare, conseguente alla determinazione della sensazione come attivit dellanima. Nel caso della musica, questo aspetto si manifesta nel fatto che essa si costituisce come disciplina proprio e solo grazie alloperare di un principio di organizzazione razionale intrinseco al materiale e si congura, pertanto, in termini di scoperta piuttosto che di invenzione. Questo atteggiamento, sino ad ora posto a tema senza portare un riferimento specico31 , trova adeguata esemplicazione nella denizione del concetto di verso: Non dar il nome di verso a piedi qualsiasi che noter uniti ad altri piedi qualsiasi o a molti piedi riuniti insieme in una serie indenita, ma potr mediante una qualche disciplina comprendere (aliqua disciplina consequi) il genere e il numero dei piedi, cio quali e quanti piedi formano il verso e in base ad essa giudicare se un verso ha urtato il mio udito (mus. II, vii, 14). La denizione termina ribadendo che il verso generato da una regola piuttosto che dallautorit. Ancora una volta, nel quinto libro, subito prima che i due protagonisti del dialogo si applichino allo studio del verso, viene rimarcato il nesso fra lidea di regola insita nella natura delle cose e la sua scoperta: Se vuoi, indaghiamo il resto secondo la nostra abitudine, attraverso ludito che propone e la ragione che
29 Cfr. 30 Cfr.

[91, p. 42.] 3.1. 31 Cfr. 2.1.

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CAPITOLO 5. MUSICA PRACTICA

dimostra, perch devi sapere che gli antichi non hanno istituito queste cose come se nella natura non si trovassero gi interamente, ma le hanno scoperte col ragionamento e le hanno fate notare dando loro un nome (sed ratiocinando invenisse, et appellando notasse) (mus. V, i, 1). La teoria che Agostino espone nei libri centrali del De musica risulta anche dai trattati di altri metricisti latini ed quasi certamente di ascendenza varroniana. A Varrone risale probabilmente anche la categorizzazione delle nozioni di ritmo, metro e verso. La loro determinazione condotta tramite un processo di progressiva specicazione a partire dal concetto di ritmo (numerus), descritto come una successione virtualmente illimitata i piedi in accordo tra loro in quanto razionalmente collegati (mus. III, i, 1). Tale illimitata ripetibilit congura il ritmo come il livello elementare di razionalizzazione dellestensione temporale, una sorta di materia, secondo Varrone, che nel momento in cui riceve il limite impresso dalla forma diviene metro (mensio o mensura). Come osserva Milanese32 , il passaggio dallunit elementare del ritmo alla pi complessa ottica del metrum si ha quando al uire regolare, ma illimitato, almeno teoricamente, del ritmo, si impone un ulteriore momento di lgos: il limite che consente la riconoscibilit delle strutture. Il metro, dunque, non che un ritmo che si svolge con determinati piedi e termina in un dato punto (mus. III, i, 2), dal che deriva che ogni metro un ritmo, ma non viceversa. La specicazione successiva determina inne la nozione di verso, che si presenta come unulteriore organizzazione del metro data dallinserimento di punti di articolazione interna ben riconoscibili: stato descritto e chiamato verso quel metro che formato di due cola, riuniti in base a misura e regola determinate (mus. III, ii, 4). Un sintesi di questi argomenti si trova, oltre che nel secondo libro del De ordine, nel contesto della gi considerata descrizione della nascita delle discipline liberali33 , anche verso la ne della riessione sul tempo che impegna lundicesimo libro delle Confessiones34 , sebbene in modo molto meno dettagliato. Un primo aspetto da porre nel dovuto rilievo che la scansione della voce assume, in questultimo luogo, il valore di unesperienza esemplare del tempo. Fallito
32 Cfr. 33 Cfr.

G. Milanese, op. cit. p. 45. 2.2. 34 Cfr. [43, p.317.]

5.1. ORIGINI DEL REPERTORIO MUSICALE

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il tentativo di spiegarne la natura in funzione del movimento dei corpi, Agostino raggiunge una prima importante conclusione adottando come modello di misurabilit la suddivisione di un intero poema in strofe, versi, metri, piedi e sillabe considerati nellatto della loro scansione da parte della voce, la quale non pu passare a ununit successiva, qualunque essa sia, senza il dissolvimento della precedente. La conclusione cui conduce questo paragone viene espressa da Agostino nei seguenti termini: Ne ho dedotto che il tempo non sia altro che unestensione: di che cosa non so, ma mi stupirei se non fosse unestensione della mente stessa (conf. XI, xxvi, 33). Il ricorso al concetto di estensione non elimina del tutto la presenza di una componente spaziale, come conferma il ricorso allesempio della misurazione di una trave mediante una porzione della sua lunghezza, che intende mediare il passaggio dalla riessione sul tempo in termini spaziali a quella incentrata sulla progettualit di unazione, come la declamazione di un poema. Tuttavia, la forte tensione che caratterizza il signicato traslato di estensione, ovvero la durata, testimonia, come osserva M. Cristiani35 , una precisa volont di despazializzare al massimo la temporalit riconducendola a una qualche operazione dellanimo e, dunque, spostando lattenzione dal fenomeno sico in s alladeguamento ad esso da parte del soggetto. Signicativo di questa connotazione fortemente intellettuale laccenno alla possibilit, per il pensiero, di evocare silenziosamente poemi, versi e orazioni, conservando in tale attivit la capacit di riferire con precisione della loro lunghezza. La facolt che rende possibile questa evocazione interiore, cos come quella di una recitazione ad alta voce, la memoria che, in virt del suo intervento unicante, pone le condizioni di possibilit per la misurazione di un oggetto privo di stabilit ontologica come il tempo: Non misuro le sillabe stesse, che pi non sono, bens qualcosa nella mia memoria, che vi resta insso (conf. XI, xxvii, 35).

5.1.3 Osservazione sulla prassi esecutiva


Limportanza della memoria nella pratica musicale non stata posta in rilievo solo da Agostino, ma accomuna tutta la cultura altomedievale. Basta ricordare anche solo il fatto, cui si accennato, che la notazione musicale dei primi codi35 Ivi

p. 315.

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CAPITOLO 5. MUSICA PRACTICA

ci era presente unicamente a titolo di ausilio mnemonico. Una testimonianza in merito allo scarso valore attribuito alla scrittura musicale si pu trovare in una sentenza frequentemente citata36 di Isidoro di Siviglia, secondo cui se i suoni non sono trattenuti dalla memoria, periscono perch non possono essere scritti (Etymologiae 163b). Unaffermazione come questa produce un certo stupore oggi, poich lascia indecisi tra la convinzione che un simile giudizio sia semplicemente imputabile allinadeguatezza dei primi sistemi di notazione e la sensazione che la sicurezza con cui stato espresso possa invece segnalare una diversa e pi profonda percezione della musica. Unanaloga difdenza nei confronti della scrittura, del resto, era gi stata manifestata da alcuni autori antichi, tra cui Socrate e Platone: E allora, chi ritenesse di poter tramandare unarte con la scrittura, e chi la ricevesse convinto che da quei segni scritti potr trarre qualcosa di chiaro e di saldo, dovrebbe essere colmo di grande ingenuit e dovrebbe ignorare davvero il vaticinio di Ammone, se ritiene che i discorsi messi per iscritto siano qualcosa di pi di un mezzo per richiamare alla memoria di chi sa le cose sui cui verte lo scritto (Fedro, 275 c-d). La prima causa della difdenza espressa in questo dialogo rinvia proprio a quello che, nelle intenzioni dellinventore della scrittura, essa avrebbe dovuto evitare, ossia la dimenticanza. In ci consisteva, infatti, il vaticinio di Ammone: La scoperta della scrittura avr per effetto di produrre la dimenticanza nelle anime di coloro che la impareranno, perch dandosi della scrittura, si abitueranno a ricordare dal di fuori mediante segni estranei e non dal di dentro e da se medesimi (275 a). Dallammissione di questo rischio consegue il riconoscimento della mancanza di autonomia dello scritto, del fatto, cio, che esso solamente unimmagine del discorso vivente e animato37 oppure, nel caso della musica, mera rappresentazione della forma estetica e delle qualit esteriori della melodia. Abbandonando Platone per tornare al contesto di partenza, il dato che necessario porre in rilievo che tutto ci che eccede laspetto quanticabile del fenomeno sonoro non pu trovare espressione in alcun sistema notazionale e richiede, per questo, lintervento mediatore di una gura in grado di garantire la continuit della tradizione, il maestro. Per quasi un millennio, infatti, tale 36 Cfr. 37 Cfr.

[33, p. 92] e [40, p. 160.] 276 a-b.

5.1. ORIGINI DEL REPERTORIO MUSICALE

181

gura costitu un punto di riferimento insostituibile, che nellatto di trasmettere la tecnica di declamazione della parola divina si ritraeva senza nulla lasciar trasparire della propria individualit: nulla doveva scaturire dalla sua personale elaborazione e nulla, di conseguenza, poteva avere quel carattere di arbitraria articiosit che richiede, per non essere dimenticato, di essere ssato tramite la scrittura. Forse possibile spingersi ancora oltre nel riconoscimento di unafnit con la riessione platonica del Fedro affermando che, al modo di sentire altomedievale, non apparteneva lidea della resa oggettiva e fedele di una melodia originaria, poich la forma estetica di questultima era senzaltro di secondaria importanza rispetto alle implicazioni trascendenti. Questa conclusione, tradotta nei termini di unaffermazione di superiorit del sapiente rispetto a tutte le gure di artigiani della parola, si ritrova anche nel dialogo platonico: Colui che non possiede cose che siano di maggior valore rispetto a quelle che ha composto o scritto rivoltandole in su e in gi per molto tempo, incollando una parte con laltra o togliendo, non lo chiamerai, a giusta ragione, poeta, o compositore di discorsi, o scrittore di leggi? (278 d-e). Molti studiosi, a partire dalla ne dellOttocento, hanno formulato ipotesi in merito alle effettive modalit di impiego dei primi codici notati. Alcuni semiologi38 hanno sostenuto che i segni non erano altro che la rappresentazione graca dei gesti con cui il maestro dirigeva i cantori; altri, invece, come S. Corbin e P. Ferretti39 hanno concentrato la loro attenzione sul ruolo delle formule nellorganizzazione del discorso musicale, indicando in esse il materiale fondamentale che il cantore doveva memorizzare assieme alle regole e alle tecniche necessarie per poterle adattare ai testi. Unespressione capace di sintetizzare con grande efcacia questa consuetudine esecutiva stata formulata da S. Corbin che ha parlato di improvvisazione regolata, intendendo con ci affermare che il ruolo dellesecutore, per quanto imprescindibile, non disponeva di alcuno spazio per esercitare la propria creativit. L. Treitler, come si vedr in seguito, ha ripreso questipotesi articolandola in una vera e propria teoria tesa alla determinazione dei concetti di composizione ed esecuzione nei contesti di
38 Cfr. O. Fleischer, Neumenstudien, Teil I, Leipzig, 1895 e Mocquereau, Palographie Musicale, I, Solesmes, 1889. 39 Cfr. P. Ferretti, Estetica gregoriana, Roma, 1934.

182 tradizione orale.

CAPITOLO 5. MUSICA PRACTICA

5.2
5.2.1

Musica e linguaggio
Composizione e trasmissione

Il legame tra la melodia e il testo, in cui affonda le sue radici lafnit formale tra la musica e il linguaggio, ha inuito in maniera decisiva sulla natura del procedimento compositivo, declinando il concetto di creativit in modo nettamente differente rispetto a quello che, in epoche successive, sarebbe divenuto ordinario nella storia della musica occidentale. Laddove questultimo, infatti, contiene in s il riferimento a una pressoch totale libert dellartista, che concepisce il proprio operare nei termini di una vera e propria creazione, latteggiamento del melopois intento a rafnare il linguaggio parlato per estrarne una melodia era denito da una sottomissione alla regola che non lasciava spazio signicativo allarbitrio40 . Questa osservazione, in realt, pu essere estesa alla considerazione dellarte in generale propria di tutta lantichit a partire dal mondo greco poich, come si visto41 dallanalisi del signicato del verbo poiein, esaustivo del campo semantico relativo allattivit dellartista, questultima era intesa come un agire determinato da norme in vista della produzione di oggetti la cui ragion dessere non riposava nella loro carica innovativa. Questo aspetto fu ampiamente sviluppato da Platone che stabil, come noto, un nesso tra arte e imitazione della natura motivandolo per mezzo del riconoscimento di questultima come la sorgente di tutte le norme speciche per le singole arti. Da questo stato di cose conseguiva lidenticazione del carattere
40 Una descrizione sintetica dellatto della composizione musicale nellantichit in funzione del concetto di nomos stata formulata dallillustre musicologo belga Fr. Aug. Gevaert: Gli antichi consideravano latto della composizione musicale sotto un punto di vista essenzialmente differente dal nostro. Mentre allepoca moderna il compositore mira innanzitutto a essere originale, a immaginare lui stesso i suoi motivi con le rispettive armonie e con la loro strumentazione, i melogra greco-romani e, dopo di essi, gli autori delle cantilene liturgiche, lavoravano in generale sopra temi tradizionali dai quali, mediante un processo di amplicazione, ricavavano nuovi canti. Un tema di questo genere fu chiamato, n dalla pi remota antichit, con il nome di nomos, legge, regola, modello. Come in architettura cos in musica linvenzione consisteva nel costruire opere nuove con laiuto di materiali presi dal dominio comune. (...) I nomos sono in qualche modo le radici del linguaggio musicale; ciascuno di essi lelemento comune a un gruppo distinto di melodie. Linvenzione di queste cantilene-tipo era considerata come il risultato di una ispirazione quasi divina e attribuita, sotto questo aspetto, ai musicisti del periodo pi remoto. Cfr. Histoire et thorie de la musique de lantiquit, II, p. 315 ss.., Gand, 1881, cit in P. Ferretti, op. cit. p. 89. 41 Cfr. 2.1.

5.2. MUSICA E LINGUAGGIO

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imitativo delle arti come primario, tanto per quelle plastiche quanto per quelle della parola, come si pu constatare dal seguente passo della Repubblica: Colui che produce il terzo generato, a partire dalla natura e allontanandosi da essa, lo chiami imitatore? - Certamente, rispose. - Cos sar anche lautore di tragedie, nella misura in cui imitatore; egli si collocher, per sua natura, a tre lunghezze di distanza dal re e dalla verit, e al suo livello si collocheranno tutti gli altri imitatori (597 e). Nel Timeo Platone esplicita la differenza tra il fare che deriva dalla contemplazione di unidea e il fare guidato dal riferimento a un esemplare generato, concludendo che soltanto lesito del primo pu essere qualcosa di bello42 . Larte fatta rientrare, in questa prospettiva, nella pi ampia visione delluniverso come rete di rapporti tra esemplare e copia, in cui la collocazione ontologica del primo decide del valore conoscitivo posseduto dallatto imitativo. Lattivit dellartista, denita in termini di conoscenza delle regole e di abilit nellapplicarle, si congura anche in questo caso in termini non di invenzione, ma di scoperta, di reperimento dei canoni, delle norme e delle regole da applicare per ottenere determinati risultati. Lassunzione di una prospettiva analoga traspare anche nel noto trattato tardo-antico Sul sublime che, nelle prime pagine, ribadisce pi volte la centralit del metodo in ogni ambito artistico. Partendo dalla constatazione che la natura non ama andare a casaccio e senza alcuna certezza metodica, e questo perch essa costituisce loriginario embrione di ogni forma di produzione, lautore conclude che di fondamentale importanza che bisogna prendere atto che solo da una tecnica possiamo apprendere che certe particolarit dello stile hanno la natura a unico fondamento (II, 2-3). Pu essere di qualche interesse far notare che le riessioni metodologiche svolte in questo trattato costituiscono la premessa per una teorizzazione delluso della parola nalizzato a indurre nellascoltatore un coinvolgimento pi radicale della semplice persuasione, denito da una fortissima componente irrazionale. Questo rilievo suggerisce, infatti, che laderenza alla regola non comportava in alcun modo, come esito, laridit dellopera risultante, anzi. La garanzia di un rispecchiamento fedele dei criteri esibiti dalla natura, che lartista seguiva nel proprio
42 Cfr.

Timeo 28 a.

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CAPITOLO 5. MUSICA PRACTICA

operare, era precisamente ci da cui era fatta dipendere la capacit di agire sullanimo con efcacia paragonabile a quella delloggetto o della circostanza reale, cui lopera poteva essere ricondotta in qualit di imitazione43 . Volendo restringere il discorso allambito specicamente musicale, si pu osservare, come punto di partenza, che i generi di abilit richiesti nel contesto tipico della civilt altomedievale erano essenzialmente due, riguardanti la fase della composizione e della memorizzazione del repertorio. Resta escluso, per il momento, tutto il complesso di tecniche relative allemissione vocale, efcaci sulla qualit del suono, che sar posto a tema pi avanti44 . Come gi era stato accennato alla ne del precedente paragrafo, in un contesto di tradizione orale il lato compositivo e quello mnemonico erano fortemente compenetrati, al punto che le corrispondenti abilit si condizionavano reciprocamente, tendendo a perdere una netta identicazione. stato osservato, infatti, che la formazione del repertorio nei primi secoli del Cristianesimo pu essere descritta alla luce della sua stretta dipendenza dalle modalit di trasmissione delle melodie, s che, come ha affermato L. Treitler45 , imparare a comprendere la musica e imparare a comprendere in che modo venisse trasmessa costituisce un unico obiettivo. Lindagine condotta dallo studioso prende le mosse da una premessa che attribuisce un ruolo paradigmatico allesito di una ricerca svolta entro un diverso ambito disciplinare, quello della poesia epica. Il riferimento agli studi svolti nel corso degli anni 30 da M. Parry in merito allo stile formulare dellepica omerica, il cui principale risultato era stato la messa a punto di una teoria della composizione orale che aveva modicato radicalmente le convinzioni relative al procedimento compositivo dei poemi omerici. Lidea che essi fossero stati composti da un singolo autore e redatti originariamente in una versione scritta denitiva aveva iniziato ad essere messa in discussione gi a cavallo tra Seicento e Settecento, in seguito ad alcune osservazioni sulla forma linguistica e sulla scarsa plausibilit dellipotesi che la loro esecuzione potesse avvenire senza variazioni in assenza di un supporto scritto. Nel corso dellOttocento queste prime intuizioni avevano offerto il sostegno a unanalisi sistematica mi43 La tesi relativa alla natura imitativa della musica stata approfondita in 3.3.1, con riferimento alla dottrina aristotelica. 44 Cfr. 5.5.1. 45 [145, p. 334.]

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rante a dimostrare che la composizione dei poemi omerici era passata attraverso varie fasi di accrescimento, espansione ed elaborazione a partire da schemi fondamentali, ma restava comunque non scalta la convinzione che, a monte del processo di trasmissione, esistessero versioni scritte originarie dei testi. Per questo motivo, le ricerche erano rimaste concentrate sullobiettivo di ipotizzare possibili archetipi e di ricostruire il processo di elaborazione che aveva condotto alla redazione denitiva. Fu Parry a compiere la svolta decisiva avanzando lipotesi della natura formulare dei poemi omerici, che deniva la loro genesi non pi in termini di giustapposizione di sezioni, quanto piuttosto come esito dellapplicazione di un vero e proprio linguaggio atto a esprimere idee fondamentali in funzione di schemi metrici e melodici. La premessa fondamentale della teoria di Parry consisteva nellaffermare che il contesto proprio dei poemi omerici era quello tipico della letteratura orale, individuato dal darsi di una coincidenza tra atto compositivo e atto esecutivo nellapplicazione di strutture elementari riferite a temi e formule ricorrenti. evidente che, in tali circostanze, il contributo dellesecutore, contraddistinto dal possesso di una personale competenza tecnica in materia di metrica, grammatica, contenuti narrativi, oltre che di un repertorio di formule corredato dalla conoscenza delle regole dimpiego, pesava in maniera decisiva ai ni della stessa possibilit di esistenza dellopera. Tra tutte le facolt, quella maggiormente coinvolta nel processo compositivo-esecutivo era, come gi pi volte accennato, la memoria, non intesa, per, come una sorta di irrealistica approssimazione al ssaggio consentito dalla scrittura: questo modo di concepirne lattivit, infatti, risente pesantemente dellimportanza attribuita allidea di un testo in versione denitiva, caratteristico di una civilt della scrittura, ma del tutto estraneo a un contesto di trasmissione orale. Ci stabilito, limpresa di determinare positivamente le modalit di tradizione del repertorio risulta tuttora particolarmente ardua poich, come opportunamente ha osservato T. Karp46 , non esiste un unico modello di oralit e qualunque paradigma proposto, non potendo che scaturire dalla selezione fra numerose possibilit, necessita di puntuale giusticazione. Un aspetto utile da considerare in vista della messa a punto di un modello
46 Cfr.

[75, p. 26.]

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per loralit dei primi secoli dellet cristiana la valutazione del grado di assestamento della liturgia. Servendosi delle rare testimonianze esistenti, come ad esempio quella di San Giustino (II sec.) e di SantIppolito (III sec.), Karp ha ritenuto di poter individuare almeno a grandi linee tre fasi nello sviluppo del canone della Messa: una iniziale, caratterizzata da un rituale essenzialmente estemporaneo, in cui potevano ricorrere con regolarit al massimo gruppi di parole; una successiva, in cui questi ultimi erano divenuti progressivamente pi estesi e stabili e, inne, una terza, in cui lincremento del grado di ssit iniziava a prolarsi come obiettivo, perseguito anche tramite il ricorso alla scrittura. Ci che sembra plausibile affermare, alla luce di questa ipotesi di ricostruzione, che il progressivo abbandono di una prassi estemporanea in direzione della memorizzazione di modelli, documentato nel contesto della liturgia, possa aver interessato anche la composizione e la trasmissione dei canti. Tale ipotesi sembrerebbe essere oltretutto avvalorata dalla gi indicata assenza di descrizioni relative ai primi canti sacri la quale, verosimilmente, imputabile al fatto che le prime forme di disciplina e razionalizzazione della pronuncia del testo sacro, come ad esempio la cantillazione, non erano percepite come eventi musicali deniti, quanto piuttosto come stili di lettura in certa misura essibili. Il diffondersi progressivo della salmodia negli ambienti monastici port con s un incremento del grado di formalizzazione dellUfcio, in modo particolarmente accentuato nel sud dellEgitto, e presto, anche se non prima del tardo IV secolo, il canto salmodico nelle sue diverse forme fece la sua comparsa anche allinterno della Messa. Una conferma in questo senso pu essere ricavata da un passo delle Retractationes di Agostino, che informa della recente adozione, a Cartagine, delluso di cantare un brano salmodico al momento della comunione47 . La presenza della salmodia nel rito romano, invece, testimoniata per la prima volta solamente nel 432 da Papa Celestino I, che ne conferma luso nel caso del canto di comunione e del graduale. Per quanto una tendenza inequivocabile alla ssazione delle forme emerga
47 Nel frattempo un certo Ilario, un cattolico laico che aveva rivestito la carica di tribuno, non so perch, ma seguendo un costume alquanto diffuso, fu preso da grande irritazione contro i ministri di Dio. Ovunque poteva attaccava con critiche malevole luso, che incominciava allora ad affermarsi in Cartagine, di intonare dinanzi allaltare degli inni tratti dai Salmi, sia prima dellofferta sia nel momento in cui ci che era stato offerto veniva distribuito al popolo, sostenendo che questo non si doveva fare (II, xxxvii, 11).

5.2. MUSICA E LINGUAGGIO

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con chiarezza nellevoluzione della tradizione liturgica, la fedelt nella trasmissione della componente musicale non pu essere inclusa fra le principali preoccupazioni della Chiesa nel periodo altomedievale. Ci che sembra possibile ipotizzare, al pi, che limpiego rituale abbia rafforzato una certa tendenza conservatrice nellesecuzione dei canti, forse anche in conseguenza del fatto che i testi, tratti dalle Sacre Scritture, erano di per s gi noti ai cantori. Karp ipotizza che lo stile di apprendimento adottato stimolasse la mente ad assimilare la melodia per gruppi di note piuttosto che per serie di singoli suoni, secondo un intuizione non distante dal moderno concetto di sintassi musicale. Se questa tesi fosse corretta, sarebbe possibile interpretare la essibilit nellapplicazione delle formule come indizio del fatto che, ferma restante la percezione del carattere unitario dei singoli canti, questi non erano considerati come organismi immodicabili. Tale rilievo offre loccasione per ricollegare limportanza assunta dal concetto di formula nella storia della musica occidentale alla sua funzione di supporto nel processo di memorizzazione, rinviante in maniera pi generale a uno stile di apprendimento tipico del medioevo, quello della suddivisione in sezioni. Diverse proposte sono state avanzate nel tentativo di approfondire questo metodo, non di rado anche in contrasto fra loro. Una tra le pi note quella di F. Bartlett che, in un saggio48 del 1932, ha sostenuto che il processo di memorizzazione non presenta natura riproduttiva, bens ricostruttiva. Questa conclusione stata raggiunta grazie a uno studio sperimentale dellatto percettivo da cui, secondo lo studioso, latto della memorizzazione dipende. Il dato di maggiore interesse che la percezione risulta qualicata non come ricezione passiva, bens come organizzazione attiva imposta dal soggetto al materiale tramite lapplicazione di schemi messi a punto in seguito a esperienze pregresse. Ne consegue che il processo di memorizzazione discrimina in funzione di ci che presenta un carattere emergente per il soggetto stesso, dando origine a stereotipi che, in una pi ampia prospettiva, hanno consentito listituirsi delle convenzioni e dei codici stilistici ed espressivi propri di ogni contesto culturale. Uno dei corollari della teoria di Bartlett, particolarmente signicativo nel contesto di questo studio, che latto del ricordare e latto dellimmaginare
48 F.

Bartlett, Remembering: A Study in Experimental and Social Psycology, Cambridge, 1932.

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si dispongono luno rispetto allaltro senza soluzione di continuit, cosa che rende la loro differenza esprimibile in termini di grado e non di genere, in singolare coincidenza con la concezione agostiniana dellimmaginazione produttiva e riproduttiva e, a monte, con una caratterizzazione della sensazione in termini di attivit49 . Alla luce di tale continuit sostanziale, ci che pu essere affermato come risposta al quesito sulla natura dellatto compositivo in un contesto orale che esso consisteva in un tipo di prassi estemporanea non arbitraria, ispirata allidea di elaborazione e variazione a partire da una forma fondamentale mediante lapplicazione di un sistema si automatismi espressivi compatibili con la rapidit di scelta imposta dal contesto esecutivo. Ricondotta alla sua essenza di atto linguistico, lattivit compositiva coinvolta nella costruzione del repertorio dei primi secoli dellera cristiana appare in certa misura determinata dalla normativit della materia su cui si esercita, la componente fonica del linguaggio, la quale, lungi dal presentarsi come un sostrato amorfo, costituisce piuttosto una fonte di forme particolari, indipendenti dalla volont di un soggetto. In questa prospettiva, il tipo di mimesi messo in atto nel canto conferma la propria differenziazione da quello proprio delle arti plastiche, gi analizzato in riferimento alla teoria aristotelica e caratterizzato, secondo Agostino, dallesercizio di una libera attivit combinatoria, per congurarsi come esplicitazione della struttura morfologico-sintattica del linguaggio.

5.2.2

Sullorigine della musica dal linguaggio

Lidea che tra il canto e il linguaggio parlato sussistesse un profondo legame era, oltre che un dato evidente in sede esecutiva, unacquisizione teorica condivisa, che, tuttavia, trovava compiuta formulazione solo nei trattati dedicati allarte della parola, dove conuiva nel complesso delle conoscenze propedeutiche alle varie discipline. Conferma in tal senso pu essere trovata in un gi pi volte citato passo dellOrator di Cicerone: La natura della lingua meravigliosa. Il suo suono ha una triplice variazione, alto, basso, oppure entrambi allo stesso livello: nella lingua c la radice del canto (Est autem etiam in dicendo quidam cantus obscurior) (Orator 18, 57).
49 Cfr.

3.2.1.

5.2. MUSICA E LINGUAGGIO

189

Unaltra testimonianza, che di frequente accostata a quella ciceroniana, si pu trovare nel De nuptiis Philologiae et Mercurii di Marziano Capella, uomo di lettere pagano di orientamento neoplatonico. Questo trattato in forma poetica, che consiste in un compendio del sapere classico suddiviso secondo le sette arti liberali, esprime una tesi analoga, questa volta in apertura del libro dedicato alla grammatica. Nel denire i concetti basilari del linguaggio, Marziano Capella individua nel concetto di accento lanima della voce e il seminario della musica, giusticando tale affermazione con il il riferimento alle potenzialit musicali insite nella metrica: Fin qui a proposito delle congiunzioni; ora, vediamo ci che concerne laccento: questo capitolo presso i Greci chiamato per proso(i)din (sulla prosodia). Questo si suddivide in tre: infatti ogni sillaba o grave o acuta o circonessa, e come nessuna parola senza una vocale, cos nessuna senza un accento. E laccento, come ritennero alcuni, lanima della voce e il seminario della musica (anima vocis et seminarium musices), poich ogni modulazione (modulatio) si compone di accenti e abbassamenti della voce, e perci laccentus stato detto quasi come adcantus (III, 268). Da parte degli antichi, insomma, il linguaggio era percepito come una sorta di musica allo stato grezzo, riconducibile nella sua struttura a una sequenza di sillabe gerarchicamente organizzate in funzione di quella amplicata dallaccento. Come noto, laccento greco e latino era prevalentemente musicale, ovvero non era reso atraverso una modicazione dellintensit nella pronuncia delle sillabe, quanto piuttosto attraverso quella dellintonazione. Il susseguirsi di suoni ad altezze differenti dava quindi origine a un prolo melodico elementare che, per quanto composto da intervalli non deniti con regolarit, formava comunque una sequenza nellambito della quale potevano manifestarsi altri fenomeni musicali, come la ritmica, la dinamica e lagogica. Ci che distingueva il canto dal linguaggio parlato, oltre al grado di denizione degli intervalli melodici e dei rapporti di durata, era il tipo di movimento che collegava un suono allaltro, percepito come discontinuo nel primo caso e come continuo nel secondo50 . Latto del cantare risultava pertanto denito da un uire non ininterrotto della voce, caratterizzato da unemissione nitida dei suoni che consentiva di coglierne lindividualit. In questa prospettiva, lo50 Cfr.

Aristosseno, Elementa harmonica, 8-10.

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perativit ricollegabile allatto compositivo sembrerebbe determinabile come cura del passaggio dal primo al secondo tipo di collegamento attraverso un vero e proprio procedimento di estrazione del movimento discontinuo e controllato del canto da quello continuo e spontaneo del parlato, condotto tramite lapplicazione di norme derivate dalla struttura stessa di questultimo. Il rapporto di dipendenza della struttura melodica dalla disposizione degli accenti grammaticali si mantenne riconoscibile anche nel processo di formazione del repertorio della monodia liturgica cristiana. immediato riscontrare, infatti, che la melodia gregoriana, che di tale repertorio rappresenta la fase di massimo sviluppo e oritura, ricalca fedelmente nella sua linea lo schema degli accenti grammaticali del testo liturgico, cui fa scrupolosamente corrispondere le sommit melodiche. Tale circostanza appare a tal punto inequivocabile che Ferretti51 , acutamente, ha proposto di considerare il prolo melodico elementare creato dal gioco degli accenti come un vero e proprio tema dato, in seguito sviluppato e variato secondo tre possibili alternative stilistiche, differenziate in virt del crescente grado di elaborazione: sillabico, orito e melismatico. In gura riportato uno degli esempi proposti, relativo al tema melodico implicitamente contenuto nella declamazione dellAve Maria (gura 5.3) progressivamente amplicato (gura 5.4).

Figura 5.3: Due possibili frammenti melodici generati dalla disposizione degli accenti In virt dei riscontri trovati nel repertorio, Ferretti ritiene di poter trarre questa pregnante conclusione52 : La melodia gregoriana considerata nel tema a cui si ispira, da cui nasce e di cui non che uno sviluppo e una variazione, una melodia oratoria. Due fenomeni vengono posti in relazione a questo dichiarato carattere oratorio della melodia. Il primo riguarda lampiezza massima degli intervalli riscontra51 Cfr. 52 Ivi

Ivi p. 20. p. 22.

5.2. MUSICA E LINGUAGGIO

191

Figura 5.4: Amplicazione progressiva di un frammento melodico bili nel repertorio che, salvo rari casi, non eccedono mai la quinta, in accordo con quanto documentato a proposito della prassi oratoria greca e romana53 ; il secondo, invece, consiste nel fatto che, in accordo con la teoria varroniana secondo cui la sillaba acuta tende alla brevit e quella nale alla lunghezza, le composizioni gregoriane presentano spesso ampi vocalizzi in corrispondenza delle sillabe nali, allo scopo di conferire un senso di chiusura e di riposo. Levidenza del legame tra forma linguistica e forma musicale si mantenne sino a quando laccento intensivo non prevalse su quello melodico, annullando progressivamente ogni differenziazione nella quantit delle vocali. Come conseguenza di questo appiattimento generalizzato, la musica perse la possibilit di attingere la sua dimensione melodico-ritmica dal linguaggio parlato e fu costretta ad intraprendere un cammino di graduale stilizzazione che, a partire dal IX secolo, si sarebbe declinato in vari modi, espressione di intenti pi o meno conservatori. Rivolta al passato fu, ad esempio, lopera dei compositori di tropi e sequenze, che si ridusse di fatto allapplicazione di testi inediti in forma poetica a lunghi melismi di Alleluia e di Kyrie, realizzando lunione fra una musica autonoma e un linguaggio parlato irrigidito. Allestremo opposto si colloc invece la posizione che avrebbe in seguito guadagnato il predomi53 Questo dato, osserva Ferretti, si accorda con alcune osservazioni di Dionigi di Alicarnasso relative alla prassi oratoria greca e romana.

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CAPITOLO 5. MUSICA PRACTICA

nio nella storia della musica occidentale e che si applic nella messa a punto di schemi logici astratti derivanti s dal linguaggio, ma protesi al di l di esso, verso unidea di organizzazione autonoma della musica come discorso. Questa concezione, in cui i suoni si appaiono combinarsi alla maniera di lettere alfabetiche, come componenti elementari di strutture complesse ma, a differenza delle parole, autosignicanti, si impose denitivamente a partire dalla ne del Rinascimento portando signicativamente con s la formazione di una terminologia mutuata ancora una volta dallarea linguistica, anche se in modo completamente differente: La morfologia musicale tradizionale parla di frase, semifrase, periodo, interpunzione; ad ogni passo si incontrano la domanda, lesclamazione, le frasi incidentali; voci si levano e si spengono; e in tutto ci latteggiamento della musica preso a prestito dalla voce che parla54 .

5.3
5.3.1

La forma dei suoni


Due orientamenti

Come si visto, la presenza della musica fra le arti del quadrivio trovava legittimazione nel darsi di una corrispondenza tra le regole dellarmonia musicale e le leggi delluniverso ordinato secondo il numero, la quale appariva declinarsi in termini di analogia. In questa prospettiva, lattenzione esclusiva per gli aspetti sottratti alla mutevolezza della conoscenza sensibile aveva conferito alla disciplina unimpostazione marcatamente teoretica, concentrata sulla spiegazione dellarmonia in base a categorie quantitative mutuate dalla tradizione pitagorico-platonica, che aveva individuato nel concetto di numero lo strumento privilegiato per indagare la natura delle cose. E. Witkowska-Zaremba55 osserva, a proposito della comunanza di metodo che motivava il raggruppamento di aritmetica, geometria, astronomia e musica nel quadrivio, che questultima si congurava come una sorta di pre-acustica, intendendo con ci una scienza avente per oggetto la sica del suono sul modello impostato da Euclide nella Sectio canonis. Questo breve trattato contiene, come noto, una teoria del calcolo degli intervalli musicali secondo il metodo
54 [2, 55 Cfr.[155,

p. 163.] Trad. it. di C. Lacorte. p. 6 ss.]

5.3. LA FORMA DEI SUONI

193

della divisione del monocordo e, per mezzo di esso, le relazioni tra le altezze dei suoni risultano denite in funzione del rapporto tra i numeri determinati dalla frequenza delle vibrazioni. Secondo questa teoria, presupposto per la messa a punto della scala pitagorica, il fenomeno della consonanza tra i suoni era denito dalla commensurabilit tra le lunghezze delle corrispondenti sezioni di corda e riportato, pertanto, allinterno di una pi ampia concezione del cosmo fondata sul numero. Il modello cosmologico platonico e la sua interpretazione musicale si trasmisero al mondo medievale latino tramite i commenti di Calcidio e di Macrobio, rispettivamente al Timeo platonico e al Somnium Scipionis di Cicerone, che nutrirono la corrente di pensiero dominante fra i secoli IX e XII. Tale corrente si distinse da quella, successiva, che prosegu invece secondo limpostazione del De institutione musica di Boezio e che privilegi la trattazione di temi inerenti la teoria e la didattica musicale come, ad esempio, la costituzione del sistema modale, la formulazione della regole della solmisazione e la preparazione dei tonari. Accanto a unimpostazione che, in entrambi i casi, esibiva il disinteresse per la dimensione sica del suono si era per venuta formando, nel frattempo, unaltra concezione che, grazie alla mediazione plotiniana del platonismo, aveva posto in forte risalto la componente sica del piacere estetico. Lantecedente di questa nozione di bellezza corporea, identicata in base al genere di piacere ad essa correlato, va rintracciato in un passo del Filebo in cui Socrate, allinterrogativo di Protarco su quali piaceri fossero da accettare, risponde indicando quelli relativi ai colori detti belli, alle gure, alla maggior parte degli odori e dei suoni, a tutti gli oggetti la cui mancanza insensibile e indolore, e che offrono riempimenti sensibili e piacevoli, puri da ogni dolore. Segue, poco dopo, una denizione di bellezza pura, riferita in questo caso ai suoni: Affermo, dunque, che i suoni che sono uniformi e chiari, che producono una melodia unitaria e pura, sono belli non in relazione ad altro, ma in s e per s, e che da loro conseguono piaceri che nascono dalla loro stessa natura (51 b-c). La nozione di bellezza come splendore, riferita non alla presenza di una proporzione nella composizione delle parti, ma alla qualit propria di sensibili semplici come la luce, il colore o il suono, fu in seguito sviluppata da Plotino nel trattato Sul bello (Enneadi I, vi) e giunse al Medioevo attraverso la media-

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CAPITOLO 5. MUSICA PRACTICA

zione dello Pseudo-Dionigi56 , nella cui opera ricorre con il nome di claritas. Portata da Plotino a sostegno della tesi secondo cui la simmetria non in grado di rendere ragione di tutte le possibili manifestazioni della bellezza57 , tale nozione assumeva il valore di una pregurazione del principio ultimo del Bello intelligibile racchiuso, privo di forma, nellUno. Manifestandosi primariamente nella gradevolezza delle cose, esso poteva attivare nelluomo il desiderio di una bellezza intellettuale superiore a quella sensibile e con ci le arti, sollevate dallaccusa di esercitare unazione distraente per lanima, si conguravano come il tentativo di risalire alle strutture razionali della natura senza il vincolo posto dal riferimento concreto alla realt58 . Assente nella riessione di Boezio che, per il suo presupposto innatismo, aveva ridotto il ruolo della sensazione a quello di mero stimolo per lattivazione di conoscenze gi possedute in modo perfetto dallanima59 , la caratterizzazione qualitativa della bellezza rientrava invece in quella che, nonostante lanacronismo, potrebbe essere denita estetica agostiniana60 . Si visto come il giudizio delludito costituisse, per Agostino, una guida necessaria per lo studio della metrica61 e come questultima, di conseguenza, non consistesse in
Pseudo-Dionigi Areopagita, De divinis nominibus IV, iv. aspetto che pu essere qui solo accennato che la mancanza di efcacia individuata da J. Anton nellargomentazione plotiniana volta a dimostrare linsufcienza del concetto di bellezza come simmetria non si ripropone nel contesto del pensiero di Agostino. A differenza di Plotino, infatti, che non disponeva di un esempio migliore di quello che imponeva la sovrapposizione problematica di bruttezza e falsit nellillustrazione di come il sussistere di una simmetria tra due frasi false non fosse, di per s, sufciente a determinare la bellezza dellinsieme, Agostino ammetteva senza difcolt che un ordine qualsiasi potesse comporsi di parti non belle: Non vero che se ti ssi solo su alcune membra dei corpi degli animali, non le puoi guardare? Tuttavia lordine della natura, poich sono necessarie, ha voluto che non mancassero e, poich sono indecenti, non ha permesso che si notassero molto. (...) Cos sono, credo, tutte le cose, ma bisogna saperle vedere. I poeti hanno utilizzato quelli che si chiamano solecismi e barbarismi; hanno preferito, cambiando i nomi, chiamarli gure e metaplasmi, piuttosto che evitarli come evidenti errori. Ebbene, toglili dalle poesie e sentiremo la mancanza di soavissimi addolcimenti. Riuniscine tanti in un solo componimento, e mi urter perch sar tutto lezioso, pedante, affettato. Trasportali nella prosa del foro, e chi non le comander di fuggire e di rifugiarsi in teatro? Lordine che li governa e li modera non sopporter che ve ne siano troppi n che siano ovunque (ord. II, 14, 12-13). Cfr. [7, p. 234 ss.] 58 Cfr. Enneadi V, viii, 1. 59 Se, come stavo dicendo, nel provare la sensazione sica lanimo non subisce limpronta della passione, ma lui che giudica, in base alla sua forza estrinseca, la passione che subordinata al corpo, quanto pi le realt che sono libere da ogni affezione corporea non seguono gi, quando vedono, quello che le urta dallesterno, ma danno via libera allatto della mente! (De consolatione philosophiae V, prosa v). 60 Si veda, a questo proposito, il contributo di M. Massin, secondo cui dalla riessione di Agostino sul bello sensibile emerge una caratterizzazione dellesperienza soggettiva del piacere come compartecipazione di sensi e ragione, che conferisce una funzione anagogica allesercizio concreto delle arti, particolarmente evidente nel caso della musica. Cfr. [89, p. 68.] 61 Particolarmente signicativo, in questo senso, un accenno contenuto nella lettera che accompagnava linvio del sesto libro del De musica allamico vescovo Memorio, relativo alla necessit di sottoporre alludito gli esempi proposti ai ni della comprensione del contenuto teorico: Se ti
57 Un 56 Cfr.

5.3. LA FORMA DEI SUONI

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una mera razionalizzazione quantitativa della tecnica prosodica, quanto piuttosto nellesito di una valutazione estetica del ritmo62 . In aggiunta a ci, va ora rilevato che tale teoria si distanziava notevolmente da quella centrata sulla nozione di bello oggettivo che animava la concezione pitagorica e neoplatonica della musica e che sarebbe stata invece raccolta da Boezio, poich, a differenza di questa, includeva una teoria della ricezione legittimata dal riconscimento della funzione anagogica del piacere sensibile. La distanza tra i due orientamenti, che, di fatto, non poteva nemmeno essere ricondotta a una differenza nei condizionamenti losoci in quanto entrambi traevano il proprio fondamento dal platonismo, consisteva piuttosto nella diversa considerazione del suono in quanto fenomeno, da cui dipendeva, in ultima istanza, la possibilit di percepire la bellezza attraverso i sensi. Secondo la lettura di Tatarkiewicz63 possibile parlare a questo proposito di un vero e proprio dualismo nella denizione del bello, che si espresse nel binomio euarmosta ka aglia (consonantia et claritas), sintesi del concetto di bellezza come proporzione nellente composto e della sensazione di gradevolezza nellente semplice. Anche il giovane Agostino risent profondamente di questa duplicit e, in diversi passi dei suoi scritti, come gi si avuto modo di notare, si manifesta unatteggiamento quanto meno ambiguo in proposito, ricollegabile a quello, parimenti oscillante, che caratterizza la sua presa di posizione nei confronti del canto sacro. Nonostante lambiguit di fondo, tuttavia, l dove Boezio applicava la dottrina platonica delle idee innate istituendo una frattura tra il numerus e il suono sico, stante la quale la ricomprensione della musica fra le arti liberali poneva come requisito lastrazione dalla materia, Agostino assumeva il darsi di un rapporto di continuit tra lunit perfetta del primo principio, Dio, e i numeri presenti nellanima, nei sensi e nei suoni64 . Tale continuit si rietteva
potr inviare quellopuscolo, non sar io a pentirmi daverti obbedito, ma tu davermelo richiesto con tanta insistenza. E ci per il motivo che i primi cinque libri di esso sono molto difcili da capire, qualora non ci sia qualcuno che non solo distingua le persone deglinterlocutori, ma che faccia pure sentire con la pronunzia la durata o quantit delle sillabe in modo che da queste siano riprodotte le diverse specie di cadenze e colpiscano il senso delludito; soprattutto per il fatto che in diverse sillabe sono intercalate delle pause misurate, che non possono assolutamente osservarsi se luditore non ragguagliato da chi le pronuncia (ep. 101, 3). 62 Cfr. M. Massin, op. cit. p. 69. 63 Cfr. [140, p. 232.] 64 Prendiamo dunque questi tre aspetti: misura, forma e ordine, per non parlare di altri innumerevoli, che risultano riconducibili ai tre; ebbene proprio questi tre aspetti, misura, forma e ordine,

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CAPITOLO 5. MUSICA PRACTICA

anche nella sua concezione della bellezza sica che, come risulta da una lettera allamico Nebridio, combinava il requisito oggettivo di simmetria e uguaglianza con quello soggettivo della piacevolezza: Che cos la bellezza sica (corporis pulchritudo)? La giusta proporzione delle parti, accompagnata da una certa vaghezza di colorito (congruentia partium cum quaedam coloris suavitate) (ep. III, iv).

5.3.2

Sul concetto di forma musicale

Si visto come con la scrittura sia possibile ssare solamente la forma estetica della musica, il complesso dei suoi aspetti misurabili, come laltezza dei suoni e la determinazione delle durate, ma in nessun modo la potenza di un contenuto spirituale che solo linteriorit pu custodire. Il passaggio da un concetto di composizione come combinazione di formule a uno come organizzazione di strutture e invenzione di materiale musicale coincise, non a caso, con la transizione da una condizione caratterizzata dalloralit e dallanonimato dellautore a una dominata dalla scrittura e dalla notoriet di questultimo, direttamente connessa alla sua abilit nel conferire forma ai suoni. Per comprendere che signicato abbia il termine forma in ambito musicale opportuno distinguere tra due diverse accezioni65 , luna relativa al modo in cui le parti si compongono per formare il tutto, laltra allaspetto esteriore e percepibile del suono. Se questultimo signicato pu essere ricondotto senza eccessiva difcolt al vocabolo greco morph, usato principalmente per designare le forme visibili, meno scontata appare la corrispondenza del primo a ci che in latino fu tradotto con forma e che in greco era espresso dal termine idos. Limpiego di questo vocabolo per indicare le forme astratte in generale pone non poche difcolt nel caso della musica: sebbene esso sembri opportunamente identicare la struttura della melodia nellordine dei suoni che la compongono, infatti, il peso speculativo che lo caratterizza solleva questioni di natura ontologica che impongono di prendere attentamente in esame aspetti come il grado di compiutezza formale e di autonomia dei singoli organismi musicali.
sono come dei beni generali nelle realt fatte da Dio, sia nello spirito che nel corpo (nat. b. III). 65 Cfr. W. Tatarkiewicz, op. cit. p. 229 ss.

5.3. LA FORMA DEI SUONI

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Una distinzione in questo senso si trova presupposta anche in alcuni luoghi dellopera di Agostino, come, ad esempio, nel secondo libro del De ordine, dove precede di poco la descrizione della nascita delle discipline razionali. Dopo aver riconosciuto una netta superiorit al senso della vista e a quello delludito, in virt della loro capacit di cogliere la razionalit dei loro oggetti, Agostino distingue, limitatamente ad essi, il bello come proporzione e una certa piacevolezza non razionalmente connotata: Ci che compete alla vista, a proposito del quale si dice che la proporzione delle parti razionale, di solito si chiama bello (pulchrum). Ci che compete alludito, quando diciamo che che un concento razionale e che un canto ritmico composto razionalmente, ormai con nome appropriato chiamato dolcezza (suavitas). Ma non siamo soliti denire razionale n lessere allettati dal colore nelle cose belle, n, nella dolcezza delludito, il risuonare quasi liquido e puro di una corda toccata. Ne consegue quindi che che dobbiamo accettare che nel piacere di questi sensi appartenga alla ragione ci in cui c proporzione e modulazione (ord. II, xi, 33). Ci che rimane ininuente nella valutazione del bello, secondo Agostino, precisamente linsieme delle qualit percettive non numericamente determinabili come, ad esempio, il timbro, la purezza e lintensit del suono, che, tuttavia, contribuiscono notevolmente a determinare laspetto esteriore e percepibile della musica. Lo stesso Agostino, del resto, dimostra di esserne consapevole quando, in un passo precedentemente considerato delle Confessiones66 , riconduce il fascino del canto alla sua esecuzione con voce limpida, oltre che alla sapiente modulazione. Tale opposizione fra qualitativo e quantitativo si prola, inoltre, nella premessa alla descrizione della genesi delle discipline liberali, in cui si combina con quella tra signicante e signicato: Una cosa quindi il senso, unaltra ci che si percepisce attraverso il senso: infatti il bel movimento diletta il senso e attraverso il senso il bel singicato che nel movimento diletta solo lanimo. Questo si avverte pi facilmente nelludito, poich qualunque cosa suoni gradevolmente, allieta e attira lo stesso udito, e ci che chiaramente signicato attraverso quel suono, per mezzo delludito (nuntio quidem aurium) si riferisce solo alla mente (ad solam mentem referetur). Cos quando udiamo quei versi: Perch il sole dellinverno tanto si affretta a tuffarsi nelloceano e quale ostacolo ritarda le notti estive? in un senso lodiamo i versi, in un altro il contenuto (ali66 Cfr.

conf. X, xxxiii, 50.

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CAPITOLO 5. MUSICA PRACTICA ter metra laudamus aliterque sententiam), e non per lo stesso criterio che afferminamo: risuona razionalmente (rationabiliter sonat) e razionalmente espresso (rationabiliter dictum est) (ord. II, xi, 34).

Una distinzione analoga era stata individuata a suo tempo dagli antichi Sosti, nellambito dellarte verbale e si era in seguito mantenuta nella poesia ellenistica. Presso alcune scuole della tarda Antichit67 , la componente formale riconducibile al suono delle parole, ai ritmi e, in generale, alle svariate declinazioni della ricchezza espressiva aveva assunto unimportanza particolarmente accentuata, giungendo a identicarsi con lessenza stessa dellarte verbale. Differentemente, Agostino, pur negando con decisione che lanima potesse subire unazione da parte del corpo, riconosceva un valore imprescindibile alla conoscenza sensibile, poich era a partire da essa che lanima poteva intraprendere il proprio percorso di elevazione. Nel caso della musica, ad esempio, bench lorgano delludito fosse predisposto per il riconoscimento del ritmo, gli schemi dai quali tale predisposizione era determinata, i numeri occursores, necessitavano di essere applicati al suono in quanto fenomeno sico68 , vibratorio, per poter inne giungere ad essere presenti nella memoria come numeri recordabiles69 . Il dato fondamentale, che bene rimarcare, che per Agostino la musica in quanto evento sico traeva esistenza non in virt di un sostrato materiale, il fenomeno delle vibrazioni, ma in virt della presenza di schemi ordinatori, i numeri, che a tutti i livelli - il suono, il senso delludito, la memoria, la voce, lintelletto - manifestavano limpronta razionale conferita dalla creazione. Tale impronta, dal lato del soggetto, si traduceva nel coinvolgimento di tutte le facolt umane in relazione al coglimento della bellezza la quale, dunque, non gurava come oggetto esclusivo dellintelletto. Diversamente da Boezio, Agostino riconosceva anche ai sensi una componente di razionalit70 e deniva quin67 Tra gli esponenti pi signicativi in ambiente latino bisogna ricordare Cicerone e Quintiliano che, come si visto nel precedente capitolo, attribuivano un ruolo imprescindibile al giudizio dellorecchio. Prima ancora tuttavia, osserva Tatarkiewicz, Cratete ed Eracliodoro non solo si erano afdati a tale giudizio nella valutazione della qualit dei versi, ma si erano addirittura mostrati propensi ad affermare la superiorit della forma sul contenuto. Cfr. op. cit. p. 238. 68 E questaltro, che nelludito di chi ascolta? Pu esserci se non risuona niente? (mus. VI, ii, 3). 69 Non dubito che (i numeri della memoria) si possano avere senza gli altri, tuttavia se non fossero stati uditi o pensati non sarebbero afdati alla memoria. E per questo, sebbene rimangano quando gli altri vengono meno, sono stati tuttavia impressi dai precedenti (mus. VI, iii, 4). 70 Possediamo, per quanto si sia potuto ricercare, alcune tracce della ragione nei sensi e, per quanto riguarda la vista e ludito, anche nello stesso piacere (ord. II, xi, 33).

5.3. LA FORMA DEI SUONI

199

di il giudizio estetico in termini di sinergia tra gradevolezza e comprensione scientica. In questo senso, come E. Dehnert71 ha osservato, il piano della riessione agostiniana non era pi solamente ontologico, ma anche fenomenologico, perch ogni momento delloperare artistico, tanto ricettivo quanto produttivo, non consisteva, in ultima analisi, che in una manifestazione dellordine del creato. Ci che per Boezio rappresentava una possibilit di liberazione dal sensibile per accedere al mondo perfetto delle idee, agli occhi di Agostino appariva come un mezzo per la scoperta del carattere onnipervasivo di tale ordine, a motivo del quale lastrazione dalla materia non costituiva di per s requisito necessario a legittimare la denominazione di arte liberale. Il requisito davvero fondamentale, che nel contesto del De musica emerge con chiarezza solo nel sesto libro e che fu ribadito a parecchi anni di distanza nella lettera che ne accompagn linvio al vescovo Memorio72 , era piuttosto lindubitabile affermazione del suo carattere eminentemente strumentale, in nessun modo bastevole a produrre la salvezza senza lintervento di Dio: Cosa rispondere infatti a certe persone che, pur essendo malvagie ed empie, si danno laria davere unistruzione liberale? Risponderemo con la frase che leggiamo nelle lettere davvero liberali e cio: Sarete veramente liberi, se vi liberer il Figlio73 . Poich solo per mezzo di lui ci concesso di conoscere che cosa hanno di liberale le stesse discipline chiamate liberali da coloro i quali non sono stati chiamati alla libert dal peccato. In effetti non hanno nulla di confacente alla libert, se non ci che hanno di rispondente alla verit. Ecco perch lo stesso Figlio soggiunge: E la verit vi far liberi74 .

5.3.3 Il potere della forma


Se per un verso il suono rappresenta banalmente la condizione dellesistenza sica della musica, per un altro, considerato nella sua essenza determinata come movimento, anche il mezzo attraverso il quale pu attuarsi quella corrispondenza con lanima che la teoria mimetica aristotelica aveva cos chiaramente
[46, p. 990.] data di composizione del sesto libro del De musica stata collocata attorno al 391, mentre il suo invio per soddisfare la richiesta dellamico Memorio avvenne tra il 408 e il 409. 73 Gv. 8, 36. 74 Gv. 8, 32.
72 La 71 Cfr.

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CAPITOLO 5. MUSICA PRACTICA

descritto75 . La concezione della costituzione sica del suono era piuttosto omogenea presso gli antichi e teorie in sostanziale accordo tra loro furono formulate molto tempo prima di quella, assai celebre, esposta da Platone nel terzo libro della Repubblica76 . Verso linizio del V sec. a. C., infatti, aveva iniziato a svilupparsi una teoria dellthos musicale che rintracciava precise corrispondenze tra strutture musicali, ovvero scale e ritmi, ed effetti ben deniti e ripetibili sulla qualit emotiva dellanima. Ancor pi anticamente, la credenza nella capacit taumaturgica della musica affondava le sue radici in credenze magico-religiose che facevano riferimento a gure mitiche come quella di Orfeo che, per scendere negli inferi e salvare lamata Euridice, era riuscito a commuovere persino gli dei con i suoi canti77 . La prima vera e propria elaborazione teorica del potere psicagogico della musica, come noto, prese forma in seno al pitagorismo. Numerose sono le testimonianze in proposito e, tra tutte, la pi signicativa quella contenuta nella Vita di Pitagora di Giamblico, che vale la pena citare integralmente78 : Pitagora era dellopinione che anche la musica fornisse un utile contributo alla salute, qualora ci si dedicasse ad essa in modo confacente. In effetti la consideava un mezzo tuttaltro che secondario di procurare la catarsi: questo era infatti il nome che dava alla cura operata per il tramite della musica. A primavera eseguiva questo esercizio musicale: faceva sedere in mezzo un suonatore di lira, mentre tuttintorno sedevano i cantori e cos, al suono della lira, cantavano insieme peani che ritenevano producessero loro gioia, armonia e ordine interiore. Ma anche in altri periodi dellanno i pitagorici si servivano della musica come mezzo di cura. Cerano determinate melodie, composte per le passioni dellanima - gli stati di scoraggiamento e di depressione - che pensava fossero di grandissimo giovamento. Altre erano per lira e leccitazione e ogni altra consimile perturbazione dellanimo. Inoltre esisteva una musica di genere differente, escogitata al ne di contrastare il desiderio. I pitagorici usavano anche danzare, e lo strumento di cui si avvalevano a questo ne era la lira, perch consideravno il suono dellaulo violento, adatto alle feste popolari e del tutto indegno di uomini di condizione libera. (...) si racconta poi che una volta Pitagora, che in quel momento era dedito alle sue occupazioni, fosse riuscito a placare grazie a unaria solenne di quelle in uso in occasione delle libagioni fatta eseguire da un auleta, la furia del giovane ubriaco di Tauromenio. Questi impazzava nottetempo per la sua amata e sta75 Cfr. 76 Cfr.

3.3.1. 398 e - 400 d. 77 Il mito di Orfeo narrato nelle Metamorfosi di Ovidio (10.8 e 11.1 ss.). 78 Vita di Pitagora 110-4. Cit. in [124, pp. 78-9.]

5.3. LA FORMA DEI SUONI va per appiccare il fuoco alla porta di casa di un rivale in amore: era stato infatti eccitato da una melodia frigia per aulo. Pitagora, dunque, che era intento, nel pieno della notte, agli studi di astronomia, ordinando allauleta di passare al ritmo delle arie di libagione fece s che subito smettesse. In virt di ci il giovane immediatamente si plac e si allontan verso casa in tutta compostezza, laddove in precedenza non riusciva a dominarsi nemmeno un po e non aveva assolutamente tollerato il tentativo di Pitagora di correggere il suo atteggiamento, anzi aveva mandato sconsideratamente alla malora il suo incontro con lui. (...) inoltre lintera scuola pitagorica realizzava quelle che si chiamavano preparazione, armonizzazione e correzione mediante certe melodie adeguate allo scopo, con le quali modicavano giovevolmente gli stati danimo, suscitando i sentimenti inversi. Infatti, al momento di andare a coricarsi puricavano la mente dagli echi dei turbamenti della giornata per mezzo di canti e di melodie particolari, e cos si procuravano un riposo tranquillo accompagnato da pochi e buoni sogni. Anche quando si levavano si liberavano dal torpore del letto e dalla sonnolenza grazie a canti di genere diverso e talora a melodie senza parole. A quanto dicono, talvolta guarivano certi stati danimo patologici mettendo in atto veri e propri incantamenti: ed verosimile che da ci sia entrato nelluso il termine incantamento (epoid).

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Dopo Pitagora, che non entr, tuttavia, nello specico della trattazione, le propriet psicagogiche della musica divennero oggetto di una vera e propria opera di sistemazione da parte di Damone, maestro e consigliere di Pericle che, fatto proprio il principio fondamentale della teoria pitagorica relativamente allidentit tra le leggi che riguardano i rapporti tra i suoni e quelle che governano il comportamento dellanimo, individu precisi rapporti di corrispondenza tra strutture musicali da un lato e caratteri o disposizioni danimo (the) dallaltro. Platone, nel gi citato luogo della Repubblica, assunse come valida tale dottrina e, pur dando prova di non conoscerla correttamente nel dettaglio, la applic nella determinazione delleducazione ideale dei guardiani79 . Una presa di posizione comune a Damone e Platone, conferma della profonda consapevolezza che entrambi ebbero della forte valenza etica e politica della musica, fu il netto riuto opposto alle spinte anarchicamente innovatrici rappresentate, rispettivamente, dai ditirambogra della seconda met del V sec. e dai musici che, in quello successivo, iniziarono a sovvertire gli schemi melodici senza riguardo per la tradizione e con grave rischio per il popolo: In
79 La selezione platonica delle melodie e dei ritmi giudicati appropriati non si conforma con esattezza ai criteri damoniani e prescrive limpiego di due sole armonie, la dorica e la frigia, e dei soli ritmi semplici.

202

CAPITOLO 5. MUSICA PRACTICA

particolare, la sostituzione di un genere musicale con uno nuovo va vista con sospetto, perch rischia di compromettere il tutto. Di conseguenza, per nessun motivo si dovranno modicare i generi della musica, dato che, in tal caso, non si potrebbe evitare di scuotere i fondamenti su cui poggia la costituzione dello stato. Questo dice Damone, e questo io approvo (Repubblica 424 c). Anche Aristotele, come si visto80 , si serv della dottrina damoniana nellottavo libro della Politica, parimenti animato da unintento spiccatamente pedagogico, ma, tuttavia, con una sostanziale differenza concettuale. Oltre al ne educativo (paidea), infatti, lunico che Platone riconoscesse alla musica, Aristotele era propenso ad ammetterne altri due, ovvero quello connesso al divertimento (paidi) e quello ricreativo (diagog): ragionevole riportarla a tutti e tre e, in verit, pare che ne partecipi davvero. Infatti il divertimento in vista del riposo e il riposo di necessit piacevole (perch una medicina delle sofferenze procurate dalle fatiche); la ricreazione intellettuale, per ammissione concorde di tutti, deve avere non soltanto nobilt, ma anche piacere (perch lessere felici deriva proprio da questi due elementi) e la musica diciamo tutti che tra le cose pi piacevoli, sia sola, sia accompagnata dal canto (Politica 1139 b). Corollario di questa differente impostazione, che contemplava la possibilit di pi versanti dimpiego della musica, fu lassenza di una valutazione in senso assoluto delle armonie e dei ritmi, i quali, tutti caratterizzabili in termini di mimesi di altrettanti stati dellanima, possedevano ciascuno il proprio opportuno contesto di applicazione. Il richiamo allimpiego corretto delle risorse musicali, che presuppone lo scollamento tra uso tecnicamente corretto e uso eticamente legittimo, espresso anche da Agostino allinizio del De musica dove, nellatto di giusticare la presenza dellavverbio bene quale necessaria componente della denizione di musica, lo determina in funzione della capacit di discriminare tra ci che mosso secondo leggi numeriche nellosservanza delle misure dei tempi e delle lunghezze e che, per questo, gi da considerarsi modulazione e provoca piacere, e ci che, cos regolato, usato al momento opportuno. Secondo questa distinzione, se un cantante, ad esempio, applica una melodia eseguita con dolcezza a un argomento austero usa male, cio in modo inadatto, quel
80 Cfr.

3.3.1.

5.3. LA FORMA DEI SUONI

203

movimento che si pu denire buono solo perch fondato sui numeri (I, iii, 4). La capacit di giudizio cui fa riferimento Agostino, a differenza dal piacere sensibile prodotto dalla percezione della numerositas nella forma esteriore, appartiene esclusivamente alla ragione, che lo esercita in virt del possesso di una categoria di numeri distinta dai cinque gi individuati e denominati, in opposizione a questa, sensibili81 . La posizione di netta supremazia che ad essa viene attribuita, nel suo implicare una caratterizzazione in senso neutrale dello stesso concetto di aequalitas, manifesta nel modo pi evidente lessenza utilitaristica della losoa dellarte di Agostino. Nella prospettiva da essa dischiusa, infatti, limitazione sensibile delluguaglianza custodita nellarchetipo appare privata di ogni autonomia e investita di valore solo in relazione alla sua collocazione allinterno del cantico delluniverso. Sebbene nel De musica, come precedentemente considerato82 , attivit sensibile e attivit razionale dellanima si dispongano in unideale successione senza soluzione di continuit, il bello sensibile non pu essere assunto come oggetto degno di fruizione, ma richiede di essere legittimato mediante la sua subordinazione a un ne determinato da parte della ragione; allo stesso modo, nella rielaborazione del progetto enciclopedico condotta nel De doctrina Christiana, linclusione della retorica tra i mezzi a disposizione dei ministri della Chiesa sostenuta ponendo in rilievo il carattere puramente strumentale della disciplina, vincolato al potenziamento dellefcacia dellinsegnamento. In entrambi i casi, la concretizzazione sensibile di una forma razionale, custode delle leggi del numero, si riette sullattivit tecnico-artistica e sui suoi prodotti come negazione di autonomia a tutti i livelli, compreso quello espressivo. Tale negazione, che nelle due opere citate si compone con il potere discernente della ragione impegnata nellesercizio della scelta del mezzo opportuno in vista del ne buono, adombra forse, gi nel dialogo giovanile, la dissoluzione dellauto81 Si tratta dei cinque generi dei numeri mutevoli, ovvero, iudiciales, progressores, occursores, recordabiles e sonantes, che Agostino analizza nella prima parte del sesto libro del De musica. Con lintroduzione del sesto e superiore genere dei numeri immutabili della ragione, nella seconda met, Agostino modica la dicitura dei numeri iudiciales in sensuales e trasferisce a questultimo quella originaria, a motivo della sua eccellenza. Nello stesso luogo modica anche la dicitura dei numeri sonantes sostituendola con numeri corporales, allo scopo di signicare pi chiaramente la loro presenza nella danza e in tutti i movimenti visibili in genere. Cfr. mus. VI, ix, 24. 82 Cfr 3.1.

204

CAPITOLO 5. MUSICA PRACTICA

nomia della creazione stessa a seguito del pensiero radicale dellonnipotenza divina come assoluta indipendenza dalla sua opera.

Conclusioni
La ricostruzione dei tratti principali che caratterizzavano lesercizio concreto della retorica e della musica ha consentito di precisare la natura del legame di afnit intercorrente tra le due discipline, oggetto dellipotesi iniziale, il quale si reso apprezzabile in particolar modo sul piano della tecnica compositiva, segnatamente nelloperativit di un medesimo modello di organizzazione della struttura mediante combinazione di modelli archetipici. Connesso a questo modello era, come si visto, lintento di mettere a frutto le risorse della forma come ausilio mnemonico che, in una cultura come quella tardo-antica e medievale, rappresentava lunica possibilit di conservare la tradizione. La radice ultima della comunanza tra le due discipline, come gi pi volte affermato, affonda nellessenza linguistica della loro operativit, la quale sembra discostarsi, tuttavia, da quella che identica limpiego ordinario del linguaggio nella misura in cui non appare animata da un intento comunicativo vero e proprio. Se questultimo, infatti, si esplica primariamente e, al limite, esclusivamente nella trasmissione di contenuti veraci, di informazioni che, non potendo essere oggetto di condivisione immediata da parte degli uomini, richiedono il linguaggio quale indispensabile strumento di mediazione, lintento sotteso alluso eloquente83 e alluso musicale del linguaggio sembra poter prescindere, almeno potenzialmente, dal dato oggettivo nella produzione dei suoi effetti, i quali sono riferibili in massima parte alluso sapiente della forma del suono. Si tratti di persuasione ottenuta dispiegando gli artici dello stile elevato o dellincantamento prodotto da una melodia che riveste il testo sacro,
vero che la caratterizzazione ciceroniana dello stile losoco come non privo di una certa bellezza, ma senza vigore, volto a calmare gli animi pi che ad eccitarli identica una sorta di eloquenza solitaria, condivisibile al pi con una ristretta selezione di dotti e duciosa nel valore assoluto della verit, la consapevolezza del potere debordante dello stile elevato sulle masse irrimediabilmente oscura lottimismo sotteso, lasciando intravedere la fragilit del sapere umano.
83 Se

206

CAPITOLO 5. MUSICA PRACTICA

la verit del contenuto si trasforma in fattore potenzialmente non vincolante: nel primo caso, infatti, la parola eloquente non solo si afda alla componente espressiva e formale per potenziare o depotenziare la verit, ma pu spingersi allestremo della falsicazione, mentre, nel secondo, la parola cantata induce la com-mozione pi profonda per mezzo della sua forma percepibile. Proprio questo dato di fatto innegabile, come gi riscontrato, spiega latteggiamento non univoco di Agostino nei confronti del canto sacro. Si constatato che la concezione ebraica della musica sacra, trapassata in quella cristiana assieme alla prassi della cantillazione e della salmodia, era centrata sullesigenza di contenere il pi possibile leffetto di distorsione della parola sacra che, nellatto della sua proclamazione, si trovava esposta allazione manipolatrice delluomo, consapevole o meno. Anche in quel contesto originario, dunque, era stata le veste sonora della parola, percepita come potenziale veicolo di distorsione ed eversione, a porre lesigenza della sua neutralizzazione: impossibile da eliminare, al pari del corpo cui Agostino, come pi volte ricordato, assimila il suono della parola, questultimo fu accolto in seno alla liturgia, ma a condizione che si lasciasse interamente determinare dalla regola, quasi come se essa avesse il potere di sublimarne la materialit soffocando cos il germe di ogni possibile ribellione. Dal punto di vista storico Agostino assistette al passaggio dalla metrica quantitativa a quella accentuativa e, con esso, allesaurimento del linguaggio quale giacimento di forme, vero e proprio ricettacolo di archetipi che era sufciente combinare fra loro nel canto, senza introdurre aspetti di originalit. Forse fu proprio questo contesto di transizione, in cui i primi esempi di forma musicale non immediatamente generati dal testo, come linno, iniziavano a diffondersi tra lentusiasmo dei fedeli rendendosi addirittura veicolo di eresie che Agostino giunse a intuire la pericolosit incontenibile di una musica che avanzasse pretese di autonomia. Questa conclusione, del resto, riprende quanto stato affermato in chiusura del precedente capitolo, ove si era giunti a determinare la losoa della musica agostiniana in termini di utilitarismo. Ci che con queste concise osservazioni si intende ora ipotizzare che tale carattere dipendesse essenzialmente dal processo di generazione dal linguaggio, rispetto al quale la determinazione strumentale della musica sembrerebbe congurarsi

5.3. LA FORMA DEI SUONI in termini di eredit.

207

Alla disciplina della forma sensibile imposta dal ruolo liturgico, assimilabile, per certi versi, a una sorta di auto-soppressione, di astrazione dallevento singolare dellenunciazione, la retorica opponeva un intento di segno opposto, ovvero laffermazione della precedenza della forma sul contenuto, condizione necessaria alla fruttuosa manipolazione della prima in vista della massima efcacia del secondo. Se in un caso, dunque, la tecnica era subordinata a consentire la piena manifestazione del contenuto nella completa trasparenza della forma, nellaltro essa agiva con lunico vincolo dellefcacia, rivestendo e opacizzando con larticio. Ora, se vero che, negli scritti di Agostino, la difdenza suscitata dal potere del suono nel canto sacro non era motivata dal sospetto di unintenzione in esso celata, ma rinviava unicamente al cattivo uso che il singolo, per sua responsabilit, poteva essere portato a farne, vero anche che gli inni ambrosiani presentavano, per quanto poco, una componente riconducibile allarbitrio del loro autore e che proprio a questultima era riconducibile, indubitabilmente, il potente effetto esercitato sui fedeli. Con il passare dei secoli, del resto, tale componente era destinata ad acquisire un peso sempre maggiore nella formazione del repertorio, sino alla compiuta caratterizzazione della musica sacra non pi come come funzionale, ma come vera e propria musica darte. Sul piano dellevoluzione storica, il disinteresse dei teorici e dei Padri della Chiesa nei confronti della dimensione esecutiva della musica perdur almeno sino al IX secolo, quando la preoccupazione di costruire una cultura alternativa a quella classica fu sostituita dal progetto di unicazione che anim la riforma carolingia e che si tradusse nella messa a punto di un canto che potesse valere come linguaggio universale della Chiesa. La necessit pratica di costituire il repertorio, di regolamentarne lesecuzione e di provvedere alla formazione dei cantori produsse un generale disinvestimento dallattivit puramente contemplativa della harmonia mundi a favore di un maggior interesse nei confronti della teoria e della didattica musicale. Come A. Morelli84 ha osservato, gi il primo trattato di epoca carolingia, il Musica disciplina di Aureliano di Rme, risente di questa svolta tradendone traccia nel fatto di far seguire alla consueta
84 Cfr.

op. cit. p. 149 ss.

208

CAPITOLO 5. MUSICA PRACTICA

lode della simmetria e dellordine del cosmo lesortazione a corrispondervi per mezzo della voce con un canto di lode: Una mente saggia potr facilmente riconoscere come tutte queste cose si accordano tra loro, al punto da non poter dubitare che la disciplina musicale manifesta in tutte le cose che sono state create la Sapienza del Creatore, e pertanto ogni creatura deve lodare con un canto senza ne il proprio Autore, poich tramite il profeta si esorta: Lodate il Signore dai cieli e via di seguito no alla ne del salterio85 . Il mutamento di prospettiva sotteso a questa visione pu essere misurato in rapporto alla tripartizione boeziana della musica, in riferimento alla quale esso appariva riguardare in massima parte la musica humana: originariamente intesa come manifestazione dellunione di anima razionale e anima irrazionale, oltre che espressione dellequilibrio armonico tra anima e corpo, essa tendeva ora a coincidere sempre pi con la musica vocale, qualicandosi come lesito del prorompere in suono della potenza irrazionale dellanima. Con Aureliano, insomma, sempre secondo Morelli, si impone sulla scena speculativa linterpretazione della musica humana come vox hominis, che, in seguito, sarebbe stata fatta propria da molti altri teorici medievali perdurando almeno sino alla ne del XIII secolo. Lelemento scatenante che, sebbene solo dopo un lungo periodo di incubazione, era destinato a produrre il cambiamento era la concezione cristiana delluomo, in particolar modo la considerazione della sua componente sensibile. Da un lato coincidente con lo spazio dazione della libera volont del singolo, unica origine del male, dallaltro strumento indispensabile per cogliere la razionalit costitutiva delle cose, la corporeit niva per sostenere tutto il peso del nuovo ordine del cosmo, il quale si manifestava, equivalentemente, nellambigua valutazione del fenomeno sonoro. Se per il neoplatonismo, di cui era imbevuta la speculazione dei primi autori cristiani, la materialit del corpo, cos come quella del suono, rappresentava una dimensione da trascendere, nel pensiero cristiano essa non solo era investita di dignit ontologica in quanto riconducibile alla volont creante di Dio, ma fungeva altres da tramite fra Creatore e creatura. Una possibile declinazione di tale funzione mediatrice si ricava, ad esempio, dal seguente passo di Clemente Alessandrino, in cui luo85 Musica

disciplina I, 16-8. Cit. in A. Morelli, op. cit. p. 151.

5.3. LA FORMA DEI SUONI

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mo, vero e proprio tempio edicato per far risuonare la parola di Dio, come gi in San Paolo, trova il modo di manifestazione pi pieno della propria gioia incontenibile nelleffusione sica di un canto, non pi veicolo della parola rivelata, ma solo giubilo ineffabile, eco del Lgos del Creatore86 : Esso (il Canto Nuovo, Lgos di Dio, Ges Cristo) ordin (...) armoniosamente luniverso, e armonizz la disarmonia degli elementi secondo una disposizione di consonanza, afnch lintero creato si armonizzasse con lui. (...) Il Lgos di Dio, che discendeva da David ed esisteva prima di lui, disdegn la lira e la cetra, strumenti senza vita, e, avendo armonizzato mediante lo Spirito Santo questo mondo, il piccolo mondo, vale a dire luomo, tanto la sua anima quanto il suo corpo, mediante questo strumento suona in onore di Dio, e canta con questo strumento che luomo: Tu infatti sei per me una cetra, un auto e un tempio: una cetra a motivo dellarmonia, un auto a motivo dello spirito, un tempio a motivo della ragione, afnch luna risuoni, laltro spiri e lultima comprenda il Signore. Con il pensiero radicale dellonnipotenza di Dio da parte di Agostino, la ragione, che aveva saggiato il proprio potere speculativo nella sistematizzazione delle arti liberali passando attraverso lo scacco alla potenza riessiva del linguaggio esibita nelle arti del trivio e la rinnovata ducia nella decifrabilit del cosmo mediante il numero, assiste, al cospetto della volont imperscrutabile della grazia, allo svuotamento di valore del sapere oggettivo custodito nel quadrivio. Al posto dello stare passivo del cosmo, rassicurante nel suo offrirsi allattivit ermeneutica delluomo come un codice denitivamente scritto in paziente attesa di decifrazione, si leva limprevedibile declinarsi della volont divina nellirriducibile dinamismo del suo progetto, di fronte al quale nulla pu elevarsi a difesa di un vero oggettivo poich verit diversa da quella voluta da Dio non v. Come allinizio dei tempi, quando nulla esisteva, la voce di Dio risuona unica, senza interlocutori, non per avviare un dialogo con laltro, ma per conferirgli unesistenza che annulla ogni possibilit di autonomia87 a
ai Greci, I, v, 1-4. nellunico luogo in cui luomo pu esercitare unautonomia illusoria, limmaginazione, tutti i suoi prodotti sono in qualche modo riferiti alla realt, che ne decide il valore di verit o di falsit. Ogni pretesa di svincolarsi dallordine razionale, unica garanzia di intelligibilit, non ha possibilit di conseguire unautonomia senso e di valore, come invece, in epoca moderna, si concede allarte. Lunica opera darte, per Agostino, la creazione nella sua totalit e lunica creativit il cui esito sia diverso dallillusione e dalla menzogna non pu dunque essere che quella di Dio. La concezione moderna dellartista affonda proprio qui le sue radici: senza lindebolimento della pretesa di condensare nellarte un sapere oggettivo, in cui tutto da scoprire con lindagine razionale e nulla da inventare, non sarebbe stato possibile concepirla come creazione di ordini e mondi nuovi.
87 Anche 86 Protrettico

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parte la libert di compiere il male, cos lultima parola che Dio rivolge al singolo non parola che parla, ma parola che fa, che produce salvezza o dannazione secondo la sua volont. Il bisogno di penetrare questa dimensione cos impervia per la conoscenza, quella della volont, di cogliere i meccanismi che quotidianamente governano loperare umano giungendo a estrapolare, in virt della Somiglianza, un possibile punto di contatto con la volont imperscrutabile di Dio era stato il pensiero dominante del giovane Agostino, formulato come intento programmatico nei Soliloquia88 e perseguito in tutta la riessione successiva. Lassociazione di volont e fantasia, emancipata, questultima, dal ruolo meramente riproduttivo dellesperienza sensibile, rappresenta un contributo fondamentale di Agostino89 che, pur caratterizzando la natura umana come essenzialmente passiva e ricettiva, intuiva la potenza dirompente insita nella dimensione cretiva dellimmaginazione, senza potersi sottrarre alla necessit di renderne conto. La consapevolezza dellattinenza della fantasia da un lato alla sfera razionale, origine della sua natura discorsiva e, dallaltro a quella emotiva, emerge di frequente sotto forma di una tensione mai risolta, che si riette nellambiguit dimostrata nei confronti della retorica e, ancor pi, della musica. Lineguagliabile potenza espressiva di questultima, tuttavia, giunge inne a manifestare il proprio signicato profondo, manifestazione, ad un tempo, della volont originaria delluomo di dire tutte le cose e del limite ad essa imposto, incapace per di soffocare lo slancio originario. In questo senso, forse, pu essere intesa la seguente, densa, osservazione di Adorno90 : Rispetto alla lingua che esprime signicati determinati, la musica una lingua di tipo completamente diverso. Qui sta il suo aspetto teologico. Nellultima fase della riessione agostiniana la vox humana perde il suo contatto con la verit e lunica via di salvezza le viene dischiusa, eventualmente, dalla chiamata della vox divina. Il rapporto con il Maestro interiore che, negli anni di Cassiciaco, costituiva la guida infallibile alla verit per lanima dotata di libero arbitrio si trasforma in intervento diretto operato dallazione interiore dello Spirito: se il primo operava nellinteriorit di ogni uomo come fonda88 Desidero 89 Cfr.

sapere Dio e lanima. - E nulla pi? - Assolutamente nulla (sol. I, ii, 7). [123, p. 123.] 90 [3, p. 114.]

5.3. LA FORMA DEI SUONI

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mento metasico, verit trascendente e, al contempo, immanente, il secondo manifesta lassoluta trascendenza di Dio rispetto alla stessa verit metasica, nella forma di una totale indisponibilit91 . La vox dicens delluomo ammutolisce92 e pu solo effondersi come vox resonans, lode ineffabile in cui la voce del singolo si unisce al cantico del creato e in cui limpotenza della ragione si manifesta come impotenza della parola. Oppure, come nellopera cui immediatamente si associa il nome di Agostino, pu farsi strumento del cantico di una vita, in cui lincomunicabilit dellesperienza personale del divino trova espressione grazie alla forza evocatrice della parola. Senza pi alcuna mira di superamento in direzione della verit93 , poich il sicuro cammino tracciato dalla logica stato abbandonato, nelle Confessiones le immagini divengono il linguaggio privilegiato della vita spirituale, mezzo di condivisione delle sfumature emotive del rapporto con il divino nellunione empatica fra le anime dei lettori94 . G. Ceresola95 ha fatto notare la limitata validit di queste considerazioni alle sole Confessiones, riconoscendo in ci la conferma del fatto che limmagine poetica, per quanto evocatrice di pieghe spirituali inaccessibili allintelletto, non riesce comunque a cogliere la verit, in quanto priva della legge razionale che, sola, ha il potere di raggiungerla. Ora, se questo pu essere senzaltro affermato in relazione alla fase giovanile del pensiero di Agostino, che quella effettivamente presa in considerazione dalla studiosa, nel caso di quello pi tardo e successivo alla svolta il dissolversi del rapporto tra verit e salvezza annulla senza appello il potere della ragione di fronte allimmeritabile chiamata di Dio. La metasica dellordine di stampo platonico, che costituiva lo sfondo in
91 Cfr.

la agostiniana, permane la nozione parmenidea di verit, in cui lEssere si dice con una sola parola in quanto possiede un unico signicato. Lannullamento di tutti gli altri, in quanto instabili e quindi inconsistenti, coincide con lannullamento della comunicazione stessa, con larresto al cospetto dellineffabile. Proprio questo, daltra parte, sembra essere lesito ultimo della teologia agostiniana: la perdita di efcacia della trasmssione di contenuti, determinata dal dissolversi di uno dei due poli della comunicazione e dalla crisi della spiegazione oggettiva di fronte allindicibilit dellEssere, totalmente rimesso alla volont di un Dio che opera senza vincoli. 93 Limmagine, nelle Confessiones, agisce rievocando una situazione affettivamente connotata, legata al sensibile, che nulla ha che che vedere, nemmeno in termini di propedeuticit, con la conoscenza razionale della verit. 94 Cfr. [55, p. 120.] 95 Cfr. G. Ceresola, op. cit. p. 163.

92 Al fondo del platonismo e di tutte le losoe in qualche misura inuenzate da esso, come quel-

G. Lettieri, op. cit. pp. 439 ss.

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grado di giusticare la ricomprensione della musica tra le arti liberali, viene dunque corrosa nel tentativo estremo di pensare lassoluta libert di Dio, lonnipotenza anarchica del Creatore che non ammette laltro, n lantagonista alla pari delleresia manichea, n la creatura. Lordine razionale che conferisce con un unico atto esistenza e bellezza alle cose si trova a fronteggiare da un lato la volont malata della creatura, che pu volere il nulla, dallaltra la volont assolutamente libera del Creatore, che pu volere tutto. Di fronte a questa tragica consapevolezza il progetto enciclopedico costruito sulla ducia nella chiave ermeneutica dellarithms crolla, trasformando la dedizione alle arti liberali in ambitio saeculi e imponendo la riformulazione della condanna precedentemente espressa nei confronti dellamore per la bellezza inferiore del suono in termini di concupiscientia carnis. Drasticamente ridimensionata, laspirazione al vero assoluto della logica cede il passo ad altre manifestazioni del lgos come la parola eloquente e il canto, nel quale il rapporto dialogico viene addirittura dissolto: uendo, infatti, la melodia si impossessa dellaltro e lo annichilisce, oppure annulla il suo stesso esecutore in uno stato di ebbrezza che altro non se non il sentimento di Dio colto come un suono interiore alla coscienza ripiegata su se stessa96 . La riabilitazione del suono passa attraverso la sua sublimazione interiore, che non ne elimina la dimensione estetica, ma riconosce in essa la presenza risonante di Dio: Nella casa del Signore eterna la festa. Non vi si celebra una festa che passa. Il festoso coro degli angeli eterno; il volto di Dio presente dona una letizia che mai viene meno. Questo giorno di festa non ha n inizio n ne. Da quella eterna e perpetua festa risuona un non so che di canoro e di dolce alle orecchie del cuore; purch non sia disturbata dai rumori del mondo (en Ps. 41, 10). Tale presenza si manifesta ancora nel modus, ma senza che la sua percezione attivi un desiderio intellettuale e una ricerca del fondamento ontologico. Il canto, nella forma estrema di interiorizzazione che si realizza nello jubilus, non pi generato dalla forma della parola, ma esprime una concordanza senza mediazione attuata come in unestroessione dellanimo che, mimeticamente, lascia unimpronta nel suono. Risolta in un movimento inverso rispetto a quello messo in atto dalla for96 [54,

p. 179.]

5.3. LA FORMA DEI SUONI

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za psicagogica della parola retorica e dallimmagine sonora della musica che, come era stato teorizzato da Aristotele, erano in grado di agire sullanimo modicandolo, leffusione spontanea dello jubilus porta invece a manifestazione lunica tonalit emotiva spontanea, la pura gioia, espressione di un contemplare differente da quello della teoresi. Solo a questo punto retorica e musica iniziano a divergere, nel punto, cio, in cui riemerge, sebbene diversamente formulata, lopposizione tra atto produttivo e atto contemplativo, tra luso della forma per veicolare un contenuto e la soppressione della particolarit del secondo per lasciare emergere luniversalit della prima o, ancora, tra il complesso articio idolatrico e la semplice manifestazione della scintilla divina nelluomo. La presenza dellarticio97 segnala infallibilmente loperare arbitrario di un singolo, animato da una progettualit che esibisce la propria carica eversiva nelluso di un mezzo espressivo che consente di tiranneggiare lanimo suscitando le pi varie sfumature emotive, tranne lunica, la gioia ineffabile, che solo la consonanza con il suono di Dio pu esprimere. La dissonanza e lantitesi, infatti, temporanei oscuramenti dellarmonia come le tenebre lo sono della luce, non introducono che unalternativa illusoria, poich ci che la volont perversa delluomo pu operare, in qualunque ambito, solo una deviazione temporanea e impotente che la Provvidenza ricomprende nellarmonia della creazione98 : Le cosiddette antitesi infatti sono splendidi ornamenti del discorso, che in latino si potrebbero dire contrari o contrasti. (...) Come il contrasto dei contrari produce la bellezza del discorso, cos la bellezza del mondo si compone del contrasto dei contrari, secondo un certo linguaggio delle cose, pi che delle parole. (...) Infatti, come una pittura bella con il colore scuro messo al suo posto, cos luniverso, se si potesse cogliere con unintuizione, bello anche con i peccatori, sebbene considerati in se stessi la loro deformit li deturpi (civ. XI, 18-23). Dismesso lintento prevaricante, invece, allanima si dischiude la possibilit della condivisione dellincondivisibile nella confessione e delleffusione dellineffabile nel giubilo, entrambi spogliati di ogni volont di efcacia attraverso loltrepassamento delluso strumentale del linguaggio. Distinto dalla fruizione, esso si colloca tuttavia in uninstabile via di mezzo, in cui la
97 Il suono che forma la melodia comunque pre-formato, sia nella forma esteriore (morph) del lgos, sia nel potenziale formale (idos) insito nellarithms. 98 Cfr. ord. II, iv, 12.

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CAPITOLO 5. MUSICA PRACTICA

tentazione di servirsi del numerus come chiave di un mondo illusorio in cui limmaginazione promette di imitare lanarchia del Creatore sembra pregurare lentusiasmo superbo dellartista moderno, quasi messo alla prova di fronte a un secondo albero della conoscenza del bene e del male.

Appendici
Elenco delle abbreviazioni
Acad. an. quant. civ. conf. dial. div. qu doctr. chr. en. Ps. ep. Gn. adv. Man. Gn. litt. Gn. litt. imp. imm. an. lib. arb. mag. mend. mus. nat. b. ord. ret. sol. trin. vera rel. Contra Academicos vel De Academicis libri tres De animae quantitate liber unus De civitate Dei libri vingti duo Confessionum libri tredecim De dialectica De diversibus quaestionibus octoginta tribus liber unus De doctrina christiana libri quattuor Enarrationes in Psalmos Epistulae De Genesi adversus Manichaeos libri duo De Genesi ad litteram libri duodecim De Genesi ad litteram liber unus imperfectus De immortalitate animae liber unus De libero arbitrio libri tres De magistro liber unus De mendacio liber unus De musica libri sex De natura boni liber unus De ordine libri duo De rethorica Soliloquiorum libri duo De trinitate libri quindecim De vera religione liber unus 215

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CAPITOLO 5. MUSICA PRACTICA

Traduzioni delle opere di Agostino


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