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Commento critico di
Angela Carone, I Drei Klavierstücke D 946 di Franz Schubert: aspetti filologici e
interpretazione del loro carattere narrativo nella cornice della ricezione schubertiana1
Michela Marcucci
n. matricola 454100
Introduzione
Docente di Storia della musica presso il Conservatorio “Tito Schipa” di Lecce, Angela
Carone è autrice e collaboratrice di numerosi scritti musicologici e ha curato la raccolta La
narratologia musicale. Applicazioni e prospettive (Trauben, Torino 2006). L’articolo in
questione, del quale si elabora un commento critico, è stato pubblicato sulla rivista online «Gli
spazi della musica», il cui operato è volto a «studiare l’incidenza della musica sulle altre
discipline, esplorandone i rapporti e ripensandone i confini», punto di partenza «la ricerca
musicologica in una prospettiva di studio interdisciplinare».2 Pubblicato nel 2017, il saggio si
inserisce nella ricerca musicologica della semiotica, più precisamente nel filone degli approcci
narratologici all’analisi musicale. Diversi aspetti di questo articolo hanno suscitato il mio
interesse: da un lato la sua posizione metalinguistica chiama in causa riflessioni sulla sua stessa
traccia,3 ovvero sulla natura del lavoro analitico, dall’altro è curioso provare a comprendere
come un simile approccio analitico si inserisca nel discorso semiologico sulla musica.
1
Angela Carone, I Drei Klavierstücke D 946 di Franz Schubert: aspetti filologici e interpretazione del loro
carattere narrativo nella cornice della ricezione schubertiana, in «Gli spazi della musica», 6/1 (2017), pp. 1-21.
2
Per maggiori informazioni si rimanda al sito https://www.ojs.unito.it/index.php/spazidellamusica/about.
3
Manifestazione fisica e materiale della forma simbolica che, in quanto tale, suscita un interesse semiologico. In
Jean-Jacques Nattiez, Musicologia generale e semiologia, EDT, Torino 1989, p. 9.
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Armonia e analisi musicale 2 - modulo b Prof.ssa Ingrid Pustijanac
Nella sua Guida all’analisi musicale Nicholas Cook inserisce l’analisi semiotica nella
categoria degli approcci formali. Egli sostiene che «l’approccio formale non è nato da ragioni
puramente musicali», ma «rifletteva una reazione tipica di quell’epoca contro il pensiero
impressionista, una reazione associata al positivismo logico».4 Posto che la semiotica musicale
indaga la musica in quanto linguaggio, e derivandone dunque che l’analisi musicale è da
considerarsi metalinguaggio, quest’ultima si distingue in discorso verbale e discorso
modellizzato.5 Il primo condensa la musica in un testo verbale più o meno letterario, mentre il
secondo si propone di simularla tramite l’utilizzo di modelli globali, quali l’analisi per tratti e
l’analisi classificatrice, o di modelli lineari, che descrivono la distribuzione delle unità
strutturali nel tempo. Tornando all’affermazione di Nicholas Cook sopra citata, per approccio
formale si intende dunque ciò che abbiamo chiamato “discorso modellizzato”,6 mentre quello
impressionista si inserisce nell’ampio spettro della prospettiva verbale. È possibile, infatti,
definire l’analisi semiotica come un discorso modellizzato che vuole analizzare la musica intesa
come sistema di segni e approcciarsi ad essi in quanto elementi portatori di significato.
Associare un significato narrativo a questi segni significa compiere un passo ulteriore: sono
queste le modalità con cui opera l’analisi narratologica. La nascita dell’interesse per la
narratività musicale in ambito analitico è così ricostruita da Angela Carone:
In seguito alla soddisfazione per il vicolo cieco concettuale e ideologico generato dagli approcci
formalistici alla musica […], i modelli narratologici hanno iniziato a costruire un’attrattiva
sempre maggiore in quanto strumenti per fornire la musica senza testo europea e americana di
un contesto relativo all’esistenza umana.8
4
Nicholas Cook, Guida all’analisi musicale, ed. it. a cura di G. Salvetti, Guerini e Associati, Milano 2000, p. 157.
L’epoca delle analisi cui si riferisce sono gli anni Settanta del XX secolo.
5
Jean-Jacques Nattiez, Musicologia generale e semiologia, EDT, Torino 1989, pp. 121-130.
6
Ivi, p. 128. Identificato anche come “formalizzazione” (ovvero: l’operazione di tradurre una teoria in un
complesso coerente di simboli e di regole formali, in modo che tutte le possibili deduzioni risultano indipendenti
da ogni interpretazione particolare della teoria stessa. Dizionario delle Scienze Fisiche, Treccani).
7
Angela Carone (a cura di), La narratologia musicale. Applicazioni e prospettive, Trauben, Torino 2006, pp. 7-8.
8
Lawrence Kramer, Narratologia musicale. Lineamenti teorici, in La narratologia musicale. Applicazioni e
prospettive, a cura di Angela Carone, Trauben, Torino 2006, p. 120.
2
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Se gli approcci formali all’analisi tendevano ad allontanarsi dal discorso impressionista, nella
genesi dell’approccio narratologico invece si può riscontrare la necessità di ricongiungersi ai
procedimenti di quest’ultimo, in quanto legato all’analisi ermeneutica.
Le domande a cui cercherò di dare risposta nella seguente indagine sono sostanzialmente
due. Visto quanto sostenuto poc’anzi, la prima questione verterà sulla posizione che l’analisi
dell’autrice assume nella relazione tra il discorso ermeneutico e il discorso modellizzato, per
meglio definire il suo rapporto con il concetto più generale di analisi narratologica.
Conseguentemente, la seconda questione consisterà nel comprendere se l’approccio
narratologico all’analisi musicale costituisca solamente uno strumento volto ad indagare
l’ipotetico contenuto dell’opera e la sua ricezione, oppure se possa divenire anche strumento di
indagine nei confronti della poiesi e della genesi dell’opera stessa.
Datati maggio 1828, ultimo anno di vita di Franz Schubert, i Drei Klavierstücke D 946
appartengono alla produzione tarda dell’autore. È questo il periodo in cui egli raggiunge una
maturità compositiva ed una consapevolezza stilistica pienamente espressa nelle ultime opere
per pianoforte: oltre ai Klavierstücke, le ultime tre sonate. Una questione importante, messa in
rilievo nell’analisi, riguarda alcuni aspetti relativi alla loro genesi: secondo alcuni studi
filologici eseguiti sugli autografi, per le conformazioni della carta su cui è stato scritto il terzo
brano, risulta probabile che la sua composizione risalga all’autunno 1827.9 La pubblicazione
dell’opera non è avvenuta infatti per mano dell’autore: fu Eduard Schneider, suo nipote ed
erede, che nel 1867 consegnò i tre brani all’editore Jakob Rieter-Biedermann, con l’intenzione
di accorparli in un’unica stampa.10 Di lì le scelte esecutive, tutt’oggi invariate, che prevedono
per l’appunto di eseguire insieme i Klavierstücke.
Tali considerazioni schiudono la questione su cui si sviluppa l’idea di partenza
dell’analisi: è possibile considerare i tre brani come appartenenti ad un unico ciclo? Se sì,
secondo quali criteri? L’ipotesi è plausibile, a parere dell’autrice, soprattutto a fronte di
9
Queste informazioni si trovano anche in A. Carone (2017), p. 9 e rimandano a loro volta all’apparato critico di
Walter Dürr, Drei Klavierstücke (D 946), in Franz Schubert: Neue Ausgabe sämtlicher Werke, a cura di Christa
Landon e Walther Dürr, Kassel, Bärenreiter, 1984, XII, 2/5, p. XIV, in particolare nota 30.
10
Qui si rimanda ad Andrea Lindmayr-Brandl, Johannes Brahms und Schuberts “Drei Klavierstücke” D 946:
Entstehungsgeschichte, Kompositionsprozess und Werkverständnis, «Die Musikforschung», LIII, 2 (April-Juni
2000), pp. 134-144.
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un’analisi narratologica che prende in esame diversi aspetti della composizione e della qualità
narrativa della musica di Schubert, come si illustra nel paragrafo seguente.
L’articolo è organizzato in tre sezioni: l’introduzione, nella quale viene proposta una
panoramica sulla ricezione narratologica della musica di Schubert; la parte centrale è invece
dedicata all’analisi dei brani, con lo scopo di argomentare la lettura narratologica; in
conclusione, alla luce delle considerazioni analitiche esposte, si ribadiscono le tesi di partenza,
sottolineando l’importanza che l’analisi narratologica assume nel valorizzare il potenziale
narrativo dello stile compositivo di Schubert, nonché nel supportare e validare ipotesi di studio
che pertengono anche l’ambito filologico. Lo scopo dell’indagine è quello di mostrare in quale
misura alcuni procedimenti compositivi messi in atto dal compositore siano paragonabili a
quelli di una narrazione. Nella sezione centrale, dove viene presentato il lavoro analitico sotto
il titolo “Dalla filologia alla narratività”, una premessa riguarda alcuni aspetti filologici della
genesi dei Klavierstücke D 946.11 Dopo aver esposto i dati storico-filologici relativi alla genesi
dei brani, Carone giunge alla formulazione dell’ipotesi secondo cui l’accostamento dei tre brani,
seppur composti in tempi e ordine diversi, possa essere motivato da un’affinità stilistica
presente tra essi. Questa conduce a sua volta alla supposizione per cui lo stesso Schubert possa
aver concepito i due brani, quello in mi bemolle minore e quello in mi bemolle maggiore, come
appartenenti ad un corpus unitario con il terzo, in do maggiore, se non addirittura di averli fatti
derivare dal suo stesso materiale motivico-tematico.
Un primo rilievo volto ad affermare la coerenza stilistica dei Klavierstücke è individuato
nella relazione che sussiste tra la relativa semplicità formale e l’organizzazione dello spazio
armonico in cicli di terze: in special modo quest’ultima racchiuderebbe infatti un senso del
movimento ed una qualità ‘propulsiva’ decisa, secondo l’ipotesi della Carone, a delineare un
percorso armonico indirizzato verso una meta: il do maggiore del terzo Klavierstück. L’autrice
afferma che «constatare che la musica strumentale di Schubert possiede una qualità narrativa
equivale a riconoscere in essa principalmente strategie compositive affini a quelle di una
narrazione».12 Infatti, nel corso dell’esposizione dell’analisi, ella descrive quali, a suo avviso,
possano essere tali strategie: la prima è detta “del condurre oltre” che, caratterizzata
11
Già introdotti in questo elaborato, vd. p. 3.
12
A. Carone (2017), p. 4.
4
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13
Le nomenclature delle sezioni dei brani, così riportate, si riferiscono all’utilizzo che ne viene fatto nell’articolo
in questione (A. Carone, 2017).
14
Si rimanda alla pagina 13 dell’articolo (ivi, p. 13).
15
Nella conclusione dell’articolo Carone rivela un ulteriore dettaglio filologico: il compositore sarebbe intervenuto
più volte sulla sezione BIII quando, dopo una prima stesura che prevedeva un suo andamento rapido, decise di
modificarla a livello melodico e ritmico. Per maggiori informazioni si veda la pagina 19 (ivi, p.19).
5
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Commento critico
16
Nel paragrafo L’oggetto dell’analisi musicale in Jean-Jacques Nattiez, Musicologia generale e semiologia, EDT,
Torino 1989, p. 103-115.
17
Riportati sottoforma di schema piramidale in Nattiez, a partire dal vertice, sono: l’opera, lo stile di un periodo
della vita del compositore, lo stile complessivo del compositore, lo stile di un genere o di un’epoca, il sistema
musicale o lo stile di riferimento ed infine gli universali della musica (ivi, p. 105).
18
A. Carone (2017), p. 15.
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di non fermarsi all’individuazione di una narrazione di primo livello. Con lo scopo di verificare
alcune delle affermazioni riportate in questo lavoro, propongo due esempi di approfondimento
che possano in qualche modo supportare e discutere l’ipotesi di lettura narrativa proposta
dall’autrice: l’uno relativo ai ribattuti, l’altro pertinente alla funzione narrativa di BIII.
Le considerazioni in merito ai valori simbolici dei ribattuti conducono alla necessità di
identificarne le diverse qualità e funzioni, che attribuiscono loro un determinato ruolo nella
narrazione. L’autrice, infatti, associa a questa figura una precisa funzione narrativa, la quale
avrebbe una propria coerenza nel susseguirsi dei tre Klavierstücke. Un confronto tra
l’andamento terzinato nel tema iniziale di AI e le terzine ribattute delle misure 17-18 (ma anche
21-22, 25-26 e soprattutto gli accordi ribattuti a 35, 39, 43) consente di dire che, mentre il primo
trasmette le sensazioni di movimento e instabilità, le seconde introducono un temporaneo freno
all’azione, producendo a loro volta un senso di attesa che è espressione della suddetta strategia
“del condurre oltre”. Un altro elemento importante che, a mio parere, contribuisce a
diversificare il tema da ciò che segue è il ritmo armonico: se nel primo esso è caratterizzato da
una scansione di battuta in battuta, successivamente invece si dilata, proponendo un cambio
armonico ogni due misure. Elencando altri momenti in cui è possibile riscontrare l’impiego dei
ribattuti, Angela Carone giunge ad affermare che «in tal modo Schubert ingenera
nell’ascoltatore un’associazione tra la nota ribattuta e la volontà di spostarsi verso qualcosa».19
Ella identifica queste ricorrenze alla fine delle sezioni AII, BII, AII’, all’inizio di CII e di BIII, alla
fine di AIII’. È però importante sottolineare come tutti questi ribattuti possiedano diverse
conformazioni ritmiche e armoniche e occorre in particolare distinguerne le funzioni. Se è vero
che quelli posti alla fine delle sezioni interne hanno «funzione connettiva»,20 nonché di spinta
in avanti, ciò non vale per la singola nota sol ribattuta all’inizio di BIII che, in accordo con
quanto afferma l’autrice, si assume il compito di isolare la sezione da ciò che di energico e
repentino la precede e la segue, introducendo un momento dal carattere particolarmente
riflessivo. L’affermazione secondo la quale i ribattuti alla fine di AIII rappresentano «un
cambiamento radicale» 21 della figura fino a qui affrontata, non è a mio parere del tutto
condivisibile. Questa tesi viene argomentata tramite il fattore armonico, quando si afferma che
i ribattuti delle misure finali 241 e seguenti sarebbero caratterizzati dalla sequenza reiterata
della cadenza V-I; ciò però non vale soltanto per questi, dal momento che è possibile riscontrare
una simile connotazione armonica cadenzale anche nei ribattuti in conclusione di AI (bb. 96-
19
A. Carone (2017), p. 12.
20
Ivi, p. 13.
21
Ibidem.
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109) e AI’ (bb. 256-273). L’elemento che, invece, ci permette di distinguere i due momenti è
costituito dal fatto che la sezione conclusiva non è seguita dalla reiterazione del I grado, come
invece accade nei due esempi precedenti. È piuttosto proprio questo aspetto, l’omissione del
ribattuto sull’armonia di tonica, a designare il carattere definitivamente conclusivo della
sezione finale.
Il secondo approfondimento analitico-critico, relativo a BIII, ci permette innanzitutto di
osservare una nuova funzione narrativa della figura del ribattuto. È la stessa Carone a conferire
alla sezione un carattere fortemente mnesico e riepilogativo, ma un simile temperamento così
definito guarda più al “già accaduto” che al “non ancora”: va da sé, dunque, che la figura lenta
e ribattuta, resa tematica per l’intera sezione, non può trovarsi in «similitudine con la nota
ripetuta ricorrente nel brano iniziale».22 Inoltre, tale figura non possiede soltanto un diverso
valore espressivo da quello dei ribattuti presenti in AI, ma anche una nuova funzione narrativa:
se la sezione BIII è costituita di un momento riflessivo e riepilogativo, i ribattuti e le qualità
ritmico-armoniche che la caratterizzano non potranno più attuare la strategia “del condurre
oltre”, ma piuttosto quella “del guardare indietro”, o comunque incarnerà a tutti gli effetti una
sensazione di stasi introspettiva, che porta su un differente piano narrativo e temporale. Infine
Carone, sempre in merito alla sezione centrale del terzo Klavierstück, elenca quelli che possono
essere considerati gli elementi narrativi dei due brani precedenti, e che sono qui, a suo parere,
rievocati da Schubert. Il primo fra questi sarebbe il “carattere tensivo” che, se nel primo brano
era evocato dal tema e dalle figure dei ribattuti, ora si identifica nella tensione armonica
cromatica creata dalla tonalità di re bemolle maggiore contro quella di do maggiore. Le qualità
e complessità di un carattere tensivo nell’espressione dinamica e agogica di un passaggio sono
assai differenti rispetto a quelle di un carattere tensivo di tipo armonico: ciò porta ad interrogarsi
sulla legittimità o meno di una tale affermazione. Se risulta impossibile trovare assonanze tra
le tensioni dei due passaggi in termini percettivi, ovvero nell’ascolto dell’opera per intero, è
probabile che Carone dimostri qui il suo approccio votato al poietico piuttosto che all’estesico:
risulta infatti più accettabile una tale associazione nel formulare un’ipotesi genetica, per quanto
non ne costituisca una solida argomentazione. Il secondo elemento narrativo, la quale funzione
rievocativa è ben più riconoscibile, consisterebbe nel salto di quarta ascendente con cui aveva
inizio AII. In questo caso il richiamo all’elemento intervallare non avrebbe soltanto un ruolo
nella formulazione dell’ipotesi genetica, ma anche in un’analisi percettiva del brano: l’affinità
dei due passaggi è chiaramente percepibile all’ascolto dell’opera, generando così una
22
Ivi, p. 18.
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sensazione di ricordo nell’ascoltatore. Ciò non accade per le quartine di croma con salto di terza
ascendente, caratteristiche di CII e riscontrabili ora alle battute 86 e seguenti: anche in questo
caso, per quanto sia possibile formulare secondo Carone un’ipotesi genetica a riguardo – a mio
parere in maniera poco convincente – risulta assai difficile evidenziarne affinità a livello
percettivo. Si è già discusso, infine, della coerenza di ipotesi del terzo elemento narrativo,
ovvero il ribattuto di sol che introduce BIII.
Conclusioni
Nel tentativo di operare una semiologia dell’analisi in questione è stato innanzitutto necessario
riconoscerne lo statuto poietico, immanente ed estesico. Il primo, in particolare, è definito dalla
spiegazione storico-culturale entro la quale si muovono le motivazioni e gli obiettivi principali
dell’analisi, già affrontati nella presentazione del materiale analitico. Per approfondire la
dimensione poietica si è dovuto inoltre prenderne in esame il livello neutro, allo scopo di risalire
ai principi trascendenti del lavoro: Carone seleziona, in maniera più o meno cosciente, un
determinato numero di tratti dell’opera e si pone di fronte ad essa in posizione percettiva, seppur
con l’ausilio di ipotesi e dettagli filologici. In risposta alla domanda su dove la presente analisi
si posizioni nella linea che intercorre fra gli estremi di ermeneutica e formalizzazione, è
riscontrabile che essa si avvicini maggiormente alla prima rispetto che alla seconda, in quanto
attua un discorso principalmente verbale.
Secondo Nicholas Cook «l’analisi semiotica richiede che le unità identificate al primo
livello di analisi siano soggette a una descrizione più precisa e sistemica, prima che vengano
determinate le relazioni di trasformazione fra loro esistenti e, di conseguenza, possa essere
analizzata la loro distribuzione». 23 Il commento critico sopra esposto propone infatti due
approfondimenti analitici con lo scopo di illustrare come, in alcuni punti dell’analisi esaminata,
si possa prendere in considerazione l’eventualità di avvalersi in maniera più cospicua degli
strumenti del discorso modellizzato, procedendo per esempio ad una più precisa classificazione
e distribuzione dei ribattuti e/o degli elementi narrativi che ritornano nel terzo brano.
Proprio per il fatto che l’analisi narratologica pone le sue basi sull’implementazione dei
principi ermeneutici, che pertengono alla dimensione dell’esistenza umana e dei quali il
discorso impressionista si avvale, si può in qualche modo affermare che essa, per sua natura,
23
Nicholas Cook, Guida all’analisi musicale, ed. it. a cura di G. Salvetti, Guerini e Associati, Milano 2000, p.
207.
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indaghi maggiormente la ricezione dell’opera anziché la sua poietica. Per questo motivo, dal
momento che la presente analisi si propone come indagine dell’aspetto poietico, credo sia
possibile affermare che – in accordo con l’autrice – un’analisi di tipo narratologico non debba
limitarsi ad esaminare la dimensione estesica, ma che costituisca un valido supporto anche
all’indagine degli aspetti genetici e poietici dell’opera musicale.
Bibliografia
Byron Almén, A Theory of Musical Narrative, Indiana University Press, Bloomington 2008,
pp. 11-92.
Nicholas Cook, Guida all’analisi musicale, ed. it. a cura di G. Salvetti, Guerini e Associati,
Milano 2000, pp. 149-158, 188-221.
Michela Garda, L’estetica musicale del Novecento. Tendenze e problemi, Carocci editore,
Roma 2007, pp. 13-44.
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