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Bibliografia: http://www.treccani.it/enciclopedia/etnomusicologia_%28Enciclopedia-Italiana%29/
G. Adamo, Temi e percorsi dell’etnomusicologia in Italia, in “Rivista Italiana di Musicologia”, pp.
485-512
ETNOMUSICOLOGIA:
Disciplina musicologica che ha come proprio oggetto di studio la musica di tradizione orale, cioè
tutta la musica che risulta prodotta in aree o culture poste al di fuori della tradizione musicale
europea scritta e di tipo colto. L'indagine etnomusicologica si rivolge
dunque verso la musica delle popolazioni cosiddette ''primitive'', la musica orientale e il folklore
musicale delle popolazioni ''euro-bianche'' dell'Occidente.
L’etnomusicologia compie un'analisi particolare e specifica della produzione etnografico-musicale
che, pur se inserita all'interno di un contesto socio-culturale più vasto, conserva tuttavia un suo
linguaggio e un suo spessore autonomi. Si tratta di una disciplina
specialistica, dato il grado di competenza musicale specifica richiesto, mentre rispetto alla
musicologia essa differisce notevolmente non solo per l'area di ricerca e d'indagine, ma anche per la
metodologia.
Questa disciplina ebbe origine in Inghilterra e in Germania sul finire del secolo 19° secolo, quando
si sviluppò, a opera di storici della musica, di fisici acustici e di psicologi, la cosiddetta
''musicologia comparata'' che, nel più vasto ambito del contemporaneo sviluppo delle scienze
storiche, si proponeva lo studio delle musiche extraeuropee e la loro comparazione con le musiche
europee colte e popolari.
L'assetto attuale assunto dalla disciplina è frutto del decisivo lavoro di due importanti generazioni di
studiosi: i pionieri della ''musicologia comparata'' tedesca, riuniti nella cosiddetta ''Scuola di
Berlino'' (1900-33), quali C. Sachs, C. Stumpf, E.M. von Hornbostel, cui va il merito di aver creato
nella capitale tedesca i famosi Phonogramm Archiv (1901), le prime fonoteche di etnografia
musicale (a queste ne seguiranno molte altre in Europa e negli Stati Uniti). La successiva
generazione, formatasi alla scuola berlinese, ma in gran parte costretta a trasferirsi negli Stati Uniti
per ragioni razziali dopo l'avvento del nazismo, annovera studiosi quali R. Lachmann, J. Kunst, G.
Herzog, M. Kolinsky, M. Schneider e altri. Costoro diedero vita negli Stati Uniti a un nuovo
capitolo dell’etnomusicologia, che appare caratterizzato da un maggior legame con l'antropologia
sociale e da un'impostazione della ricerca fortemente interdisciplinare. Contemporaneamente,
l’etnomusicologia europea riceveva nuovi e determinanti impulsi da parte degli ungheresi B.
Bartók, Z. Kodály e del rumeno C. Brăiloiu, i cui interessi furono rivolti principalmente verso i
problemi della raccolta e della trascrizione del materiale e verso gli aspetti sociologici degli eventi
musicali. Notevole apporto è dato da parte del capostipite dell’etnomusicologia francese, A.
Schaeffner, già collaboratore di C. Sachs, e fautore di una sistematica ricerca organologica. Con essi
si chiude la fase ''storica'' dell'etnomusicologia moderna; tutte le successive diversificazioni
regionali assunte dall'etnomusicologia in Europa e in USA hanno infatti preso avvio da questo
nucleo iniziale di ricercatori e di studiosi, che possono quindi essere considerati come i capiscuola
dell'etnomusicologia contemporanea.
SITUAZIONE ITALIANA
Per quanto riguarda l'Italia, è solo nella seconda metà dell'Ottocento, quindi in ritardo sulle altre
nazioni europee, che s'incontrano, in un clima di positivismo comparativistico, i primi musicisti-
etnografi e trascrittori di musica popolare che operano un'indagine diretta ''sul campo'' per la
raccolta dei documenti. Prima di essi vi era stata solo una generica tradizione di interessi amatoriali,
che risultavano per lo più viziati da una visione ''eurocentrica'' nella raccolta delle musiche, per altro
spesso notevolmente deformate dalla matrice colta degli arrangiamenti e delle armonizzazioni
operate dai trascrittori. Nel 1948 viene
creato, presso l'Accademia di Santa Cecilia in Roma, il Centro nazionale studi di musica
popolare; con questo prende avvio un progressivo processo di raccolta sul campo e di
documentazione, compiuto soprattutto in Italia centro-meridionale da un gruppo di ricercatori la cui
prospettiva etnico-meridionalistica e la cui impostazione interdisciplinare si devono all'etnologo e
storico delle religioni Ernesto De Martino. Ernesto de Martino ha avuto, e ha tuttora, una
profondissima influenza nel complesso delle discipline demoantropologiche italiane; tra questi
ricercatori citiamo D. Carpitella, il cui apporto alla nascente etnomusicologia italiana è a tutt'oggi
insuperato.
Da Treccani: Come disciplina autonoma l'e. ha raggiunto lentamente, ma ormai definitivamente,
l'emancipazione dalle preesistenti discipline folkloriche e musicologiche, dalle quali si stacca come
semplice branca specializzata di ricerca per assurgere a scienza vera e propria; infatti, rispetto
all'insieme delle discipline folkloriche (storia delle tradizioni popolari, storia del folklore,
demologia) che affrontano lo studio della cultura popolare in maniera globale e complessiva, l'e.
compie un'analisi particolare e specifica della produzione etnografico-musicale che, pur se inserita
all'interno di un contesto socio-culturale più vasto, conserva tuttavia un suo linguaggio e un suo
spessore autonomi, oltrepassando in tal modo i limiti della ricerca folklorica.
Inoltre lo studio della musica considerata di per se stessa fa dell'etnomusicologia una disciplina
specialistica, dato il grado di competenza musicale specifica richiesto, mentre rispetto alla
musicologia essa differisce notevolmente non solo per l'area di ricerca e d'indagine, ma anche per la
metodologia, rivolgendosi l'etnomusicologia verso il ''campo di suoni'' al di fuori dell'esperienza
euro-colta occidentale e assumendo pertanto un carattere largamente interdisciplinare e
polispecialistico.
Tre sono i momenti sostanziali attraverso i quali si sviluppa la ricerca etnomusicologica: a un primo
stadio di raccolta sul campo, consistente nella registrazione di canti, danze e musiche strumentali
nell'ambiente fisico e sociale degli ''informatori'' stessi, ne succede un secondo fondato sulla
notazione e sulla trascrizione del materiale raccolto, cui segue infine un terzo momento di
elaborazione e di interpretazione dei dati, che rappresenta la fase conclusiva dell'indagine
etnomusicologica. Per quanto riguarda il primo livello della raccolta sul campo, possiamo affermare
che la storia effettiva dell'etnomusicologia ha avuto inizio nel 1890 con l'impiego, da parte dei
ricercatori, del fonografo Edison, successivamente sostituito dai mezzi di registrazione elettronica
su nastro magnetico, che consentiva di non doversi più affidare semplicemente alla personale
capacità di memorizzazione o abilità di trascrizione, spesso viziate da reminiscenze stilistiche e
formali di natura colta, ma di potersi basare su testimonianze oggettive e fedeli, con le quali
supportare il momento vero e proprio della trascrizione e dell'analisi del materiale raccolto.
Rispetto a questo secondo stadio della notazione e della trascrizione l'etnomusicologia ha infatti
stabilito dei criteri precisi e definitivi di lavoro, che si sono andati formando nel corso del tempo
come veri e propri principi metodologici (cfr. Hornbostel, Bartók, Brăiloiu): le trascrizioni manuali,
pur necessitando dal punto di vista grafico dell'uso di indispensabili segni diacritici che consentano
la notazione di eventi musicali di tradizione orale, estranei alle convenzioni musicali del sistema
colto occidentale, debbono considerarsi di per se stesse insufficienti, e vanno pertanto verificate con
le relative registrazioni sonore, da considerarsi assolutamente necessarie per una corretta
valutazione del documento etnografico-musicale. Ciò è indicativo dell'importanza che l'''oralità''
riveste nell'e., non solo al momento dell'esecuzione e della trasmissione del brano, ma anche al
momento dell'interpretazione e dell'analisi di esso.
Relativamente alla tassonomia etnomusicologica, l'esigenza di studiare il rapporto tra la musica in
quanto tale e il suo contesto sociale ha portato in questi ultimi anni l'etnomusicologia a precisare e a
definire maggiormente la funzione svolta dalla musica in una determinata cultura e l'occasione in
cui essa viene eseguita (''funzione-occasione''), affrontando l'analisi del ''testo'' etnografico-musicale
all'interno di un determinato ''contesto'' socio-culturale, attraverso l'impiego delle tecniche
dell'indagine sociologica ed etnografica; ed è proprio sulla base del rapporto ''testo/contesto'' che
l'etnomusicologia si trova a dover scegliere tra diversi sistemi di classificazione del materiale,
dovendo tener conto sia del testo musicale e verbale (scale, ritmo, variazioni, ecc.) che del contesto
sociale (funzione e occasione della musica, riti religiosi, feste calendariali o stagionali, ecc.).
A questo riguardo, la tassonomia etnomusicologica euro-colta si riconduce alle classificazioni
simboliche, mitiche o magiche che dello stesso materiale musicale fanno le società ''primitive'', in
cui rientrano, per es., il significato simbolico del suono e degli strumenti, la segretezza rituale di
alcuni modi di esecuzione, il feticismo di alcuni repertori, la funzione terapeutica del suono; tali
criteri si ritrovano anche nella musica orientale e nel folklore europeo, e mettono in evidenza come
il ''modo di esecuzione'' sia da considerare un elemento di classificazione decisivo, viste le
implicazioni extramusicali di carattere simbolico e rituale che esso comporta nei sistemi culturali
basati su tradizione orale.
Un ultimo elemento di grande rilevanza nell'indagine etnomusicologica è dato dalle varianti e
microvarianti (a carattere strutturale od ornamentale), dalle quali è possibile dedurre i margini di
improvvisazione all'interno di modelli tradizionali fissi, nonché l'entità dell'alterazione e della
variazione, sia a livello melismatico che a livello ritmico-tonale; da un punto di vista formale le
varianti possono infatti considerarsi come determinanti, poiché la loro variazione può dar vita a
forme bipartite, tripartite o polipartite a seconda dei casi, offrendo la possibilità di continue
modificazioni strutturali.
Recap: 1. Avvio etnomusicologia in Italia con le campagne di registrazione;
2. Prima campagna in Italia: 1952, Carpitella e de Martino in Basilicata;
3. 1952-55: Lomax.
POLEMICA MILA-CARPITELLA:
1. Carpitella pubblica gli Scritti sulla musica popolare di Bartok (1955); 2.
Mila: Bartok non scrive di Italia, perché non esiste canto popolare. Secondo lui, colto e popolare
coincidono.
Carpitella rivendica l’originalità della musica popolare italiana. L’Italia ha una musica popolare
autonoma, con scale di vario genere e particolari tecniche di esecuzione.
Rapporto musicologia-etnomusicologia:
1. 1973: primo convegno italiano di etnomusicologia;
2. Inizio interdisciplinarietà;
3. 1991: secondo convegno italiano di etnomusicologia.
Musica/Realtà:
1. Rivista che contribuisce all’espansione della disciplina;
2. Direttore è Pestalozza.
Momenti salienti:
1. Etnomusicologia e politica (marxismo);
2. Anni ‘50: viaggio al sud (studio del tarantismo);
3. Anni ‘60: il discorso si amplia al nord con Leydi;
4. Importanza della Scuola popolare di musica del Testaccio.
Centri pubblici:
1. Archivio etno-linguistico presso la Discoteca di Stato (1962);
2. Si aprono cattedre presso università e conservatori.
Italia-altri paesi:
1. Rapporto sbilanciato che è stato riequilibrato;
2. Contributi italiani ospitati in riviste straniere;
3. Seminari estivi (es.alla Chigiana);
4. Interesse della Fondazione Cini e dell’Accademia di S. Cecilia.