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Fondamenti di antropologia ed etnomusicologia

Bibliografia: http://www.treccani.it/enciclopedia/etnomusicologia_%28Enciclopedia-Italiana%29/
G. Adamo, Temi e percorsi dell’etnomusicologia in Italia, in “Rivista Italiana di Musicologia”, pp.
485-512

ETNOMUSICOLOGIA:
Disciplina musicologica che ha come proprio oggetto di studio la musica di tradizione orale, cioè
tutta la musica che risulta prodotta in aree o culture poste al di fuori della tradizione musicale
europea scritta e di tipo colto. L'indagine etnomusicologica si rivolge
dunque verso la musica delle popolazioni cosiddette ''primitive'', la musica orientale e il folklore
musicale delle popolazioni ''euro-bianche'' dell'Occidente.
L’etnomusicologia compie un'analisi particolare e specifica della produzione etnografico-musicale
che, pur se inserita all'interno di un contesto socio-culturale più vasto, conserva tuttavia un suo
linguaggio e un suo spessore autonomi. Si tratta di una disciplina
specialistica, dato il grado di competenza musicale specifica richiesto, mentre rispetto alla
musicologia essa differisce notevolmente non solo per l'area di ricerca e d'indagine, ma anche per la
metodologia.
Questa disciplina ebbe origine in Inghilterra e in Germania sul finire del secolo 19° secolo, quando
si sviluppò, a opera di storici della musica, di fisici acustici e di psicologi, la cosiddetta
''musicologia comparata'' che, nel più vasto ambito del contemporaneo sviluppo delle scienze
storiche, si proponeva lo studio delle musiche extraeuropee e la loro comparazione con le musiche
europee colte e popolari.
L'assetto attuale assunto dalla disciplina è frutto del decisivo lavoro di due importanti generazioni di
studiosi: i pionieri della ''musicologia comparata'' tedesca, riuniti nella cosiddetta ''Scuola di
Berlino'' (1900-33), quali C. Sachs, C. Stumpf, E.M. von Hornbostel, cui va il merito di aver creato
nella capitale tedesca i famosi Phonogramm Archiv (1901), le prime fonoteche di etnografia
musicale (a queste ne seguiranno molte altre in Europa e negli Stati Uniti). La successiva
generazione, formatasi alla scuola berlinese, ma in gran parte costretta a trasferirsi negli Stati Uniti
per ragioni razziali dopo l'avvento del nazismo, annovera studiosi quali R. Lachmann, J. Kunst, G.
Herzog, M. Kolinsky, M. Schneider e altri. Costoro diedero vita negli Stati Uniti a un nuovo
capitolo dell’etnomusicologia, che appare caratterizzato da un maggior legame con l'antropologia
sociale e da un'impostazione della ricerca fortemente interdisciplinare. Contemporaneamente,
l’etnomusicologia europea riceveva nuovi e determinanti impulsi da parte degli ungheresi B.
Bartók, Z. Kodály e del rumeno C. Brăiloiu, i cui interessi furono rivolti principalmente verso i
problemi della raccolta e della trascrizione del materiale e verso gli aspetti sociologici degli eventi
musicali. Notevole apporto è dato da parte del capostipite dell’etnomusicologia francese, A.
Schaeffner, già collaboratore di C. Sachs, e fautore di una sistematica ricerca organologica. Con essi
si chiude la fase ''storica'' dell'etnomusicologia moderna; tutte le successive diversificazioni
regionali assunte dall'etnomusicologia in Europa e in USA hanno infatti preso avvio da questo
nucleo iniziale di ricercatori e di studiosi, che possono quindi essere considerati come i capiscuola
dell'etnomusicologia contemporanea.

SITUAZIONE ITALIANA
Per quanto riguarda l'Italia, è solo nella seconda metà dell'Ottocento, quindi in ritardo sulle altre
nazioni europee, che s'incontrano, in un clima di positivismo comparativistico, i primi musicisti-
etnografi e trascrittori di musica popolare che operano un'indagine diretta ''sul campo'' per la
raccolta dei documenti. Prima di essi vi era stata solo una generica tradizione di interessi amatoriali,
che risultavano per lo più viziati da una visione ''eurocentrica'' nella raccolta delle musiche, per altro
spesso notevolmente deformate dalla matrice colta degli arrangiamenti e delle armonizzazioni
operate dai trascrittori. Nel 1948 viene
creato, presso l'Accademia di Santa Cecilia in Roma, il Centro nazionale studi di musica
popolare; con questo prende avvio un progressivo processo di raccolta sul campo e di
documentazione, compiuto soprattutto in Italia centro-meridionale da un gruppo di ricercatori la cui
prospettiva etnico-meridionalistica e la cui impostazione interdisciplinare si devono all'etnologo e
storico delle religioni Ernesto De Martino. Ernesto de Martino ha avuto, e ha tuttora, una
profondissima influenza nel complesso delle discipline demoantropologiche italiane; tra questi
ricercatori citiamo D. Carpitella, il cui apporto alla nascente etnomusicologia italiana è a tutt'oggi
insuperato.
Da Treccani: Come disciplina autonoma l'e. ha raggiunto lentamente, ma ormai definitivamente,
l'emancipazione dalle preesistenti discipline folkloriche e musicologiche, dalle quali si stacca come
semplice branca specializzata di ricerca per assurgere a scienza vera e propria; infatti, rispetto
all'insieme delle discipline folkloriche (storia delle tradizioni popolari, storia del folklore,
demologia) che affrontano lo studio della cultura popolare in maniera globale e complessiva, l'e.
compie un'analisi particolare e specifica della produzione etnografico-musicale che, pur se inserita
all'interno di un contesto socio-culturale più vasto, conserva tuttavia un suo linguaggio e un suo
spessore autonomi, oltrepassando in tal modo i limiti della ricerca folklorica.
Inoltre lo studio della musica considerata di per se stessa fa dell'etnomusicologia una disciplina
specialistica, dato il grado di competenza musicale specifica richiesto, mentre rispetto alla
musicologia essa differisce notevolmente non solo per l'area di ricerca e d'indagine, ma anche per la
metodologia, rivolgendosi l'etnomusicologia verso il ''campo di suoni'' al di fuori dell'esperienza
euro-colta occidentale e assumendo pertanto un carattere largamente interdisciplinare e
polispecialistico.
Tre sono i momenti sostanziali attraverso i quali si sviluppa la ricerca etnomusicologica: a un primo
stadio di raccolta sul campo, consistente nella registrazione di canti, danze e musiche strumentali
nell'ambiente fisico e sociale degli ''informatori'' stessi, ne succede un secondo fondato sulla
notazione e sulla trascrizione del materiale raccolto, cui segue infine un terzo momento di
elaborazione e di interpretazione dei dati, che rappresenta la fase conclusiva dell'indagine
etnomusicologica. Per quanto riguarda il primo livello della raccolta sul campo, possiamo affermare
che la storia effettiva dell'etnomusicologia ha avuto inizio nel 1890 con l'impiego, da parte dei
ricercatori, del fonografo Edison, successivamente sostituito dai mezzi di registrazione elettronica
su nastro magnetico, che consentiva di non doversi più affidare semplicemente alla personale
capacità di memorizzazione o abilità di trascrizione, spesso viziate da reminiscenze stilistiche e
formali di natura colta, ma di potersi basare su testimonianze oggettive e fedeli, con le quali
supportare il momento vero e proprio della trascrizione e dell'analisi del materiale raccolto.
Rispetto a questo secondo stadio della notazione e della trascrizione l'etnomusicologia ha infatti
stabilito dei criteri precisi e definitivi di lavoro, che si sono andati formando nel corso del tempo
come veri e propri principi metodologici (cfr. Hornbostel, Bartók, Brăiloiu): le trascrizioni manuali,
pur necessitando dal punto di vista grafico dell'uso di indispensabili segni diacritici che consentano
la notazione di eventi musicali di tradizione orale, estranei alle convenzioni musicali del sistema
colto occidentale, debbono considerarsi di per se stesse insufficienti, e vanno pertanto verificate con
le relative registrazioni sonore, da considerarsi assolutamente necessarie per una corretta
valutazione del documento etnografico-musicale. Ciò è indicativo dell'importanza che l'''oralità''
riveste nell'e., non solo al momento dell'esecuzione e della trasmissione del brano, ma anche al
momento dell'interpretazione e dell'analisi di esso.
Relativamente alla tassonomia etnomusicologica, l'esigenza di studiare il rapporto tra la musica in
quanto tale e il suo contesto sociale ha portato in questi ultimi anni l'etnomusicologia a precisare e a
definire maggiormente la funzione svolta dalla musica in una determinata cultura e l'occasione in
cui essa viene eseguita (''funzione-occasione''), affrontando l'analisi del ''testo'' etnografico-musicale
all'interno di un determinato ''contesto'' socio-culturale, attraverso l'impiego delle tecniche
dell'indagine sociologica ed etnografica; ed è proprio sulla base del rapporto ''testo/contesto'' che
l'etnomusicologia si trova a dover scegliere tra diversi sistemi di classificazione del materiale,
dovendo tener conto sia del testo musicale e verbale (scale, ritmo, variazioni, ecc.) che del contesto
sociale (funzione e occasione della musica, riti religiosi, feste calendariali o stagionali, ecc.).
A questo riguardo, la tassonomia etnomusicologica euro-colta si riconduce alle classificazioni
simboliche, mitiche o magiche che dello stesso materiale musicale fanno le società ''primitive'', in
cui rientrano, per es., il significato simbolico del suono e degli strumenti, la segretezza rituale di
alcuni modi di esecuzione, il feticismo di alcuni repertori, la funzione terapeutica del suono; tali
criteri si ritrovano anche nella musica orientale e nel folklore europeo, e mettono in evidenza come
il ''modo di esecuzione'' sia da considerare un elemento di classificazione decisivo, viste le
implicazioni extramusicali di carattere simbolico e rituale che esso comporta nei sistemi culturali
basati su tradizione orale.
Un ultimo elemento di grande rilevanza nell'indagine etnomusicologica è dato dalle varianti e
microvarianti (a carattere strutturale od ornamentale), dalle quali è possibile dedurre i margini di
improvvisazione all'interno di modelli tradizionali fissi, nonché l'entità dell'alterazione e della
variazione, sia a livello melismatico che a livello ritmico-tonale; da un punto di vista formale le
varianti possono infatti considerarsi come determinanti, poiché la loro variazione può dar vita a
forme bipartite, tripartite o polipartite a seconda dei casi, offrendo la possibilità di continue
modificazioni strutturali.
Recap: 1. Avvio etnomusicologia in Italia con le campagne di registrazione;
2. Prima campagna in Italia: 1952, Carpitella e de Martino in Basilicata;
3. 1952-55: Lomax.

DIEGO CARPITELLA: http://www.treccani.it/enciclopedia/diego-carpitella_


%28Dizionario-Biografico%29/
Da Treccani: Nacque a Reggio di Calabria il 12 giugno 1924. Studioso e fondatore, con Roberto
Leydi, della moderna etnomusicologia in Italia. Fin dagli inizi di un’attività professionale
quarantennale Carpitella s’impose come un intellettuale ‘a tutto campo’ per la grande curiosità
intellettuale che lo portava a preferire l’indagine su campi nuovi o fino a quel momento poco
esplorati, soprattutto in Italia. Formazione musicale (pianoforte) parallelamente a quella scolastica e
universitaria, tra cui figurano un anno di Accademia Militare Aereonautica e alcuni esami di
ingegneria, prima dell’iscrizione alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma La
Sapienza, dove si laureò nel 1947 con una tesi in musicologia. Inizia la sua carriera come
insegnante in Università, Conservatori e Accademia Nazionale di Danza. Fin dagli anni Cinquanta,
Carpitella condusse importanti ricerche sulla musica italiana di tradizione orale, rifacendosi a
un’impostazione di studio che si era sviluppata soprattutto nell’Est europeo, Béla Bartók e
Constantin Brăiloiu in testa. Questo fascino per Bartók lo indusse a collaborare con De Martino. In
questa ricerca, incentrata sullo studio del lamento funebre, raccolse un’importante documentazione
sonora sui canti legati al ciclo della vita, in una prospettiva di antropologia musicale ante litteram
che metteva in relazione le musiche con il loro contesto storico e sociale. Fondamentale fu poi la
ricerca sul tarantismo salentino, condotta sempre in seno a una équipe coordinata da De Martino nel
1959-60: Carpitella approfondì il ruolo della danza e della musica in questa forma di meloterapia
tradizionale, all’epoca ancora in uso nel meridione d’Italia. Altra ricerca fondamentale di quel
periodo fu l’imponente campagna di registrazioni condotta assieme all’etnomusicologo statunitense
Alan Lomax (1915-2002) dal 2 luglio 1954 al 13 gennaio 1955, che produsse la raccolta di oltre
mille registrazioni sul campo, svelando per la prima volta agli ambienti intellettuali italiani
l’enorme quantità di stili, pratiche e repertori musicali dell’Italia contadina preindustriale. Sullo
sfondo di queste ricerche ci fu la costante partecipazione di Carpitella alle attività del Centro
nazionale di Studi di musica popolare (CNSMP), fondato nel 1948 da Giorgio Nataletti
nell’Accademia nazionale di Santa Cecilia, con la collaborazione della RAI. Carpitella, che negli
anni Cinquanta fu assistente alla direzione e contribuì al CNSMP con numerose raccolte di
registrazioni da lui effettuate, nel 1984 divenne accademico di Santa Cecilia e nel 1989 fu nominato
conservatore del Centro (da lui ridenominato Archivi di etnomusicologia), avviando un progetto di
rifondazione e di rilancio che per la prematura scomparsa non poté portare a compimento.
Attraverso queste ricerche Carpitella poté individuare e descrivere procedimenti esecutivi, moduli
scalari, timbri vocali e strumentali propri della musica italiana di tradizione orale che, fino ad allora
sconosciuti, rivelarono una robusta (e a quel tempo insospettata) autonomia culturale rispetto alla
tradizione colta e anche ecclesiastica. Un’altra proposta critica importante che Carpitella
elaborò negli anni Cinquanta fu l’attribuzione del ‘canto popolare’ a fasce socio-culturali distinte,
separando, entro una fino ad allora indistinta categoria di ‘musica popolare’, i repertori e gli stili che
appartenevano a una fascia sociale artigiano-urbana (popolaresca) da quelli che invece
appartenevano a una fascia agro-pastorale (folklorica); col che contribuì ad orientare e caratterizzare
significativamente dal punto di vista del metodo anche i successivi studi compiuti sui repertori
musicali italiani di tradizione orale. Carpitella scrisse anche ripetutamente – fin dal 1955 –
riflessioni illuminanti, e oggi sempre più attuali, circa le relazioni tra musica popolare e musica di
consumo, rilevando la profonda diversità nella natura dei due fenomeni e la necessità
d’individuarne le differenze. La musica popolare era frutto di una creazione collettiva, a tradizione
orale, con funzionalità, intonazioni, ritmi e tecniche espressive diversi da quelli della musica d’arte.
La musica di consumo risultava invece da una stilizzazione e da un adeguamento ‘normalizzante’ al
linguaggio musicale ‘euroculto’ (per dirla con un termine spesso usato da Carpitella) a fini
spettacolari e appunto ‘di consumo’, per un mercato che si sviluppa attraverso i media.
Altro tema fondamentale nel percorso di ricerca di Carpitella fu l’indagine sulle relazioni tra
musiche di tradizione orale e musica d’arte. Fin dai primi anni Sessanta, Carpitella si interessò a
come i compositori del secolo XX concepissero e utilizzassero le musiche di cui si occupa
l’etnomusicologia, e individuò atteggiamenti improntati all’esotismo e al primitivismo (vuoi
lessicale vuoi psicologico) in musicisti che alle musiche extraeuropee si rivolgevano nell’intento di
emanciparsi dal linguaggio dell’armonia tonale. Un altro tema ripetutamente affrontato da
Carpitella, relativo ai rapporti tra musica d’arte e musiche di tradizione orale, fu la riflessione su
musicisti e popolo.

Contributo all’asseto istituzionale dell’etnomusicologia italiana: Carpitella,


soprattutto a partire dagli anni Settanta, si dedicò con energia alla sistemazione istituzionale
dell’etnomusicologia italiana, riuscendo nell’obiettivo di farne una disciplina autonoma e a
conferirle dignità accademica, con il concorso di altri studiosi, primo fra tutti Roberto Leydi. Tappe
fondamentali di questo percorso furono il primo convegno di studi etnomusicologici in Italia da
lui promosso a Roma nel 1973: vi parteciparono, oltre a studiosi di etnomusicologia, alcuni tra i
maggiori musicologi e antropologi italiani.
In occasione di questo convegno fu fondata la Società italiana di etnomusicologia (SIE), di cui
Carpitella fu presidente e animatore fino a metà degli anni Ottanta; ne diresse l’organo periodico,
Culture musicali, che fino alla cessazione (1990) è stato un punto di riferimento essenziale per la
disciplina istituita in un’università italiana. Il percorso di stabilizzazione e riconoscimento
istituzionale proseguì a livello accademico quando nel 1976 Carpitella divenne titolare della prima
cattedra di Etnomusicologia. Per Carpitella esistono 2 fasce folkloriche: urbana e contadina.

Le ricerche di antropologia (ed etnomusicologia) visuale: Fin dalle prime ricerche


Carpitella palesò un particolare interesse per la documentazione filmata: nel 1960 effettuò la prima
ripresa cinematografica della terapia coreutico-musicale del tarantismo salentino. Per tutta la vita
approfondì questo interesse, realizzando importanti documentari di antropologia ed etnomusicologia
visiva, ritenendo che la documentazione audiovisiva fosse fondamentale nello studio di fenomeni
delle culture di tradizione orale, nelle quali il suono non si lascia scindere dal gesto con cui viene
emesso né dal suo contesto: «L’immagine fornisce gli elementi della performance: corpo, postura,
tecnica di esecuzione, forma e misura dello strumento, tecniche vocali, materiali per strumenti,
prossemica dell’esecuzione, contesto naturale e sociale, differenziazione tra interpreti e spettatori,
partecipanti o no; definizione del livello sociale; insediamento e caratteri geoantropici, ecc. Tutte
denotazioni che naturalmente possono essere scritte, fotografate, registrate per il suono, ma che non
possono dare la quantità d’informazioni così verosimili». […]
Morì in seguito a un infarto il 7 agosto 1990.

https://www.youtube.com/watch?v=-3kqmIxSfIo&t=430s [Intervista a Carpitella].


ERNESTO DE MARTINO: http://www.treccani.it/enciclopedia/ernesto-de-
martino_%28Dizionario-Biografico%29/.
Da Treccani: Nacque a Napoli il 1º dicembre 1908. Si laurea nel 1932 con una tesi in storia delle
religioni e che lo introdusse nella cerchia di B. Croce.
Napoletano, dal contatto diretto con i contadini del Sud, e con i problemi del Meridione ricevette lo
stimolo a muoversi verso un'etnologia o antropologia fatta di ricerche sul terreno. Da allora fu
spinto ad assumere come problema centrale della propria ricerca l'analisi del folklore religioso nella
cultura contadina del Sud. Oggetto della sua investigazione furono in particolare: il complesso
mitico-rituale della fascinazione in Lucania (Sud e magia); le persistenze del pianto funebre in
Lucania (Morte e pianto rituale nel mondo antico), il tarantismo del Salento (La terra del rimorso).
Il mondo della magia, di cui le società "primitive" offrono imponenti manifestazioni ch'egli assume
a documento, ha per lui una sua realtà precategoriale ed è visto come una primordiale
rappresentazione del mondo, funzionale al bisogno - per usare i termini da lui adottati - di "garantire
la presenza". Sensibile fin da quest'opera è l'influenza dell'esistenzialismo di Heidegger, da cui egli
mutua alcuni concetti-base e in parte il linguaggio, introducendo nel campo dell'antropologia
religiosa nozioni quali quella di "crisi della presenza" e quella di "riscatto dalla crisi": un riscatto
attuato, secondo il D., per il tramite del rituale magico-religioso, inteso come "tecnica" di
superamento della crisi e dell'"angoscia della storia".Una svolta decisiva nell'esistenza e nell'attività
del D. fu determinata dalla sua esperienza di militante nei partiti della Sinistra e dal proprio
impegno ideologico-sociale. Dal 1945 egli si trovò ad agire, come segretario di federazione del
Partito socialista (PSIUP poi PSI), nell'Italia meridionale: a Bari, Molfetta, poi Lecce (qui in veste
di commissario). Dal 1950 egli aderiva al Partito comunista italiano. Il contatto diretto con i
contadini del Sud, e con i problemi del Meridione impresse un marchio originale sulla personalità
dello studioso, che in quell'esperienza ricevette lo stimolo a muoversi verso un'etnologia o
antropologia fatta di ricerche sul terreno. Da allora fu spinto ad assumere come problema centrale
della propria ricerca l'analisi del folklore religioso nella cultura contadina del Sud. Se il Meridione
d'Italia costituiva da tempo un problema nella coscienza di storici, economisti, sociologi, nessuno
aveva fin allora affrontato nella sua autonomia il problema della "cultura" contadina del Sud, vista
come complessa e specifica concezione del mondo e collocata sul fondo di una società storicamente
determinata. Il D. sentì l'urgenza di colmare questo vuoto.[…]
Il D. morì a Roma il 9 maggio 1965.
Tre sono i momenti sostanziali attraverso i quali si sviluppa la ricerca etnomusicologica:
I- raccolta sul campo, consistente nella registrazione di canti, danze e musiche strumentali
nell'ambiente fisico e sociale degli ''informatori'' stessi; II- notazione e
trascrizione del materiale raccolto; III- elaborazione e di
interpretazione dei dati.
Per quanto riguarda il primo livello della raccolta sul campo, si può affermare che la storia effettiva
dell'etnomusicologia ha avuto inizio nel 1890 con l'impiego, da parte dei ricercatori, del fonografo
Edison, successivamente sostituito dai mezzi di registrazione elettronica.
Notazione e trascrizione: Criteri precisi e definitivi di lavoro, che si sono andati formando nel
corso del tempo come veri e propri principi metodologici (cfr. Hornbostel, Bartók, Brăiloiu): le
trascrizioni manuali, pur necessitando dal punto di vista grafico dell'uso di indispensabili segni
diacritici (segno aggiunto a una lettera per modificarne la pronuncia o per distinguere il significato
di parole simili, es. accento acuto/grave) che consentono la notazione di eventi musicali di
tradizione orale, estranei alle convenzioni musicali del sistema colto occidentale, debbono
considerarsi di per se stesse insufficienti, e vanno pertanto verificate con le relative registrazioni
sonore, da considerarsi assolutamente necessarie per una corretta valutazione del documento
etnografico-musicale.
Conseguenze: L’esigenza di studiare il rapporto tra la musica in quanto tale e il suo contesto
sociale ha portato in questi ultimi anni l'etnomusicologia a precisare e a definire maggiormente la
funzione svolta dalla musica in una determinata cultura e l'occasione in cui essa viene eseguita
(''funzione-occasione''), affrontando l'analisi del ''testo'' etnografico-musicale all'interno di un
determinato contesto socio-culturale, attraverso l'impiego delle tecniche dell'indagine sociologica ed
etnografica.
Un ultimo elemento di grande rilevanza nell'indagine etnomusicologica è dato dalle varianti e
microvarianti (a carattere strutturale od ornamentale), dalle quali è possibile dedurre i margini di
improvvisazione all'interno di modelli tradizionali fissi, nonché l'entità dell'alterazione e della
variazione, sia a livello melismatico che a livello ritmico-tonale. Da un punto di vista formale le
varianti possono infatti considerarsi come determinanti, poiché la loro variazione offre la
possibilità di continue modificazioni strutturali.

POLEMICA MILA-CARPITELLA:
1. Carpitella pubblica gli Scritti sulla musica popolare di Bartok (1955); 2.
Mila: Bartok non scrive di Italia, perché non esiste canto popolare. Secondo lui, colto e popolare
coincidono.
Carpitella rivendica l’originalità della musica popolare italiana. L’Italia ha una musica popolare
autonoma, con scale di vario genere e particolari tecniche di esecuzione.
Rapporto musicologia-etnomusicologia:
1. 1973: primo convegno italiano di etnomusicologia;
2. Inizio interdisciplinarietà;
3. 1991: secondo convegno italiano di etnomusicologia.
Musica/Realtà:
1. Rivista che contribuisce all’espansione della disciplina;
2. Direttore è Pestalozza.
Momenti salienti:
1. Etnomusicologia e politica (marxismo);
2. Anni ‘50: viaggio al sud (studio del tarantismo);
3. Anni ‘60: il discorso si amplia al nord con Leydi;
4. Importanza della Scuola popolare di musica del Testaccio.
Centri pubblici:
1. Archivio etno-linguistico presso la Discoteca di Stato (1962);
2. Si aprono cattedre presso università e conservatori.
Italia-altri paesi:
1. Rapporto sbilanciato che è stato riequilibrato;
2. Contributi italiani ospitati in riviste straniere;
3. Seminari estivi (es.alla Chigiana);
4. Interesse della Fondazione Cini e dell’Accademia di S. Cecilia.

CASO MINORI: https://www.squilibri.it/catalogo/atm-archivio-tradizioni-musicali/sul-golgota-a-


spirar.html

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