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Batt 4379 Pavese_Fronzi L’Indice dei Libri del Mese, n.

2, feb 2013 ANNO


XXX

Giacomo Fronzi
ELECTROSOUND. STORIA ED ESTETICA DELLA MUSICA ELETTROACUSTICA
pp. 440, € 25,
Edizioni EDT, Torino 2013
Isbn: 9788866391265.

Il volume di Fronzi propone una storia e una estetica della “musica elettroacustica”
ed è diviso in tre sezioni: la prima ricostruisce in modo approfondito la nascita e lo
sviluppo della musica elettroacustica ed elettronica “colta” in relazione al
sincronico evolversi di strumenti e tecnologie del suono e di registrazione. Si
prosegue ad analizzare quelle che Fronzi considera le ricadute di questa
sull'universo delle musiche “extra-colte” suddivise, secondo un insolito criterio
geografico, per continenti. Segue, quindi, una parte specificatamente dedicata ai
rapporti tra “elettronica, rock e dance music” mentre nell'ultima sezione vengono
proposte considerazioni di natura più generale su aspetti e problematiche
dell'estetica musicale.

L'assenza di un'argomentazione teorica nell'utilizzo estensivo di una categoria


come quella di “musica elettroacustica” a un insieme di generi, tipi di attività ed
eventi musicali che almeno da quarant'anni vengono definiti popular music – e sono
oggetto di uno specifico settore disciplinare e di studi – appare qualcosa di più di
una lacuna in un testo che intende avere il taglio dell'opera scientifica.

In un primo momento la musica elettroacustica viene definita come una “figura di


rottura della musica contemporanea”. Il passaggio di scala (e concettuale) al campo
delle musiche “leggere” o “extracolte” - il termine popular music non si trova
menzionato nel testo - viene giustificato da un atteggiamento interdisciplinare e di
apertura musicologica, salvo definire, qualche riga dopo, una geneaologia di
“padri” - compositori accademicamente riconosciuti - e “figli e figliastri sparsi per il
mondo”.

La questione non è meramente terminologica né di affiliazione accademica


dell’autore. Riguarda le implicazioni estetiche ed ideologiche dei processi di
categorizzazione in musica e al tempo stesso manifesta un fenomeno, già segnalato
da Alberto Rizzuti sulle pagine di questa rivista: l'autoreferenzialità tendenziale di
chi scrive di musica.

I codici “popular” e “colti” non soltanto producono diversi repertori musicali ma


operano con gli stessi materiali e spesso usando le medesime tecnologie con finalità
diverse. Sebbene comunicanti queste pratiche e repertori si differenziano proprio
nel rapporto, a tratti dialetticamente contrapposto, con la tecnologia, vissuta
principalmente, nel primo caso, come un “dato dell'esistenza“ e, nel secondo, come
parte di un progetto strutturato. Uniformare la produzione popular sotto l'etichetta
di “musica elettroacustica” non soltanto non aiuta a comprenderne meglio i tratti
significativi ma sortisce l'effetto opposto, riproponendo, proprio laddove vorrebbe
eliminarli, una serie di tabù stratificati (come quello che combina popolarità e
qualità estetica). Così avviene nella seconda parte del testo (ma anche in parti
rilevanti della prima), dove la panoramica delle musiche popular diventa
frammentaria, il discorso indebitamente incompleto, appiattito in una sorta di
riduzionismo “verso l'alto” (un elenco giustapposto e schematico di brani popular
superficialmente analizzati) e dove emerge improvvisamente uno stile di scrittura
ricco di toni sensazionalistici. Un'esposizione che sembra strizzare l'occhio alla
natura ibrida e combinatoria di certa scrittura digitale, con una curiosa - e limitata a
questa sezione - riproposizione di luoghi comuni sull'assunzione di sostanze
psicoattive durante le fasi di produzione.

Difficile non scorgere dietro il percorso presentato dall'autore - la definizione della


musica elettronica ed elettroacustica come un “tutto” frutto di una contaminazione
estetica – una volontà di accorpamento dei generi musicali nei canoni della
musicologia colta ignorando l'esistenza di un numero sempre maggiore di
metodologie accademiche alternative.

Una tale approccio – possibile ancora oggi forse soltanto in Italia data la
marginalizzazione accademica dei popular music studies – non soltanto contribuisce
a rendere più povero il risultato complessivo ma getta qualche ombra
sull'intenzione di partenza e sulla scelta editoriale. Più in generale, infatti, viene da
chiedersi: quale obiettivo si pone e, soprattutto, a chi è rivolto un simile volume?
Nella sua ambiguità il testo sembra ricalcare un trucco tipico della divulgazione
commerciale di ogni settore, quello di apparire specialistica pur non essendolo.

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