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La censura di Stato posta alle canzoni di Theodorakis in Grecia un mese dopo l’avvento del
golpe della “Giunta dei colonnelli”, il 21 aprile 1967, è un fatto noto. Secondo le
disposizioni di un decreto dello Stato maggiore dell’esercito la vendita, lo scambio, il
semplice possesso dei dischi di opere di Theodorakis, così come qualunque esecuzione o
audizione pubblica o privata della sua musica, erano puniti nei termini della legge marziale.
Nei primi giorni del golpe, racconta Theodorakis nei Diari del carcere, gli unici luoghi dove
si potevano sentire le sue canzoni erano le celle dei sotterranei della Questura ateniese o i
campi sportivi (come l’ippodromo di Atene) dove furono ammassati centinaia di oppositori
politici e dissidenti, secondo un’applicazione del piano Prometeo, studiato e predisposto in
sede NATO. Specchio certamente minore dei soprusi, delle torture e delle angherie
perpetuate nelle celle di internamento e nei campi di prigionia, furono le condanne inflitte a
centinaia di greci perché sorpresi in possesso di dischi recanti il nome di Theodorakis o
semplicemente perché ascoltavano le sue canzoni.
Ben prima del golpe del ’67, questa, come altre canzoni musicate da Theodorakis e
interpretate dalla Farantouri, furono adottate dai giovani greci (come quelli legati alla
Gioventù Lambrakis, dal nome del deputato comunista assassinato nel 1963 durante un
comizio a Salonicco) quale repertorio di protesta contro l'attività della NATO in Grecia. A
queste iniziative politiche si lega fin da subito la voce e l’attività professionale di Farantouri
secondo una linea di pensiero, sostenuta in più occasioni pubbliche anche da Theodorakis,
per cui il “talento musicale” non ha alcun valore se non si compie in ogni momento il
proprio dovere etico e politico. Dopo le prime registrazioni, tra il ‘64 e il ‘66, Farantouri
incide un lavoro di Theodorakis specificatamente destinato alla sua voce e intitolato La
Ballata di Mauthausen (1966) su liriche del poeta Iakovos Kambanellis. Insieme alle sei
canzoni del Ciclo Farandouri (1964), basate su testi di altri poeti contemporanei come
Nikos Gatsos e Tasos Livaditis, queste incisioni attestano Farantouri come l’interprete più
autentica delle canzoni di Theodorakis e tra le voci più rappresentative della Grecia di
quegli anni.
Meno noti della censura ufficiale sono le pressioni e i ricatti attuati da funzionari del
“regime di colonnelli” nei confronti di Theodorakis, specie dopo la sua scarcerazione, in
regime di libertà vigilata, riguardanti la sua attività di compositore di canzoni. Tra questi, la
“richiesta” di mettere in musica l’inno della Olimpiade della canzone in cambio
dell’autorizzazione di alcune sue opere. O, ancora, gli innumerevoli pretesti con cui veniva
somministrata o meno “carta da musica” su cui poter scrivere.
Alle pressioni dei suoi carcerieri Theodorakis non cederà mai. Un atto di resistenza che si
lega, da un lato, al rigore morale di un uomo che era già stato torturato dai carabinieri
italiani (nel ’43), arrestato dai nazisti e deportato dai fascisti greci (durante la guerra civile)
ma, dall’altro, al supporto esterno: un sistema solidale e organizzato di complicità che, pure
nelle ristrettissime e iper-sorvegliate condizioni di detenzione, gli garantì un collegamento
con l’esterno e, persino, la possibilità di far circolare nuove canzoni. Maria Farantouri ha
avuto un ruolo cruciale anche in questa struttura di appoggio e comunicazione.
Le canzoni interpretate da Farantouri, in particolar modo quelle riguardanti gli anni della
dittatura militare, emergono dal passato raccontando di uomini e donne colpiti da un potere
che oggi ha cambiato sembianze ma non sostanza. Attraverso figure generose e leggendarie
come quelle di Theodorakis e Farantouri emerge l’importanza che la musica e la canzone
possono avere, oggi come ieri, nel sostenere la resistenza al dominio politico ed economico.
Errico Pavese