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La parola alla canzone.

Maria Farantouri e l’opposizione al “regime dei Colonnelli” in


Grecia.

La censura di Stato posta alle canzoni di Theodorakis in Grecia un mese dopo l’avvento del
golpe della “Giunta dei colonnelli”, il 21 aprile 1967, è un fatto noto. Secondo le
disposizioni di un decreto dello Stato maggiore dell’esercito la vendita, lo scambio, il
semplice possesso dei dischi di opere di Theodorakis, così come qualunque esecuzione o
audizione pubblica o privata della sua musica, erano puniti nei termini della legge marziale.
Nei primi giorni del golpe, racconta Theodorakis nei Diari del carcere, gli unici luoghi dove
si potevano sentire le sue canzoni erano le celle dei sotterranei della Questura ateniese o i
campi sportivi (come l’ippodromo di Atene) dove furono ammassati centinaia di oppositori
politici e dissidenti, secondo un’applicazione del piano Prometeo, studiato e predisposto in
sede NATO. Specchio certamente minore dei soprusi, delle torture e delle angherie
perpetuate nelle celle di internamento e nei campi di prigionia, furono le condanne inflitte a
centinaia di greci perché sorpresi in possesso di dischi recanti il nome di Theodorakis o
semplicemente perché ascoltavano le sue canzoni.

In questo clima di terrore un ruolo fondamentale nel permettere la circolazione di testi e


musiche della Resistenza al regime lo ebbe Maria Farantouri. Nata e vissuta nel sobborgo
ateniese Nea Ionia, conosciuto per aver ospitato parte dei rifugiati dall’Asia Minore negli
anni ’20, Farantouri aveva conosciuto Theodorakis nei primissimi anni ‘60, diventando di lì
a poco membro stabile del suo ensemble, insieme a noti interpreti come Grigoris
Bithikotsis, Dora Yiannakopoulou e Soula Birbili. Nel contesto di quei primi concerti
Farantouri, allora poco più che quindicenne, interpreta cicli di canzoni e opere singole di
Theodorakis, come Il ragazzo che sorride, su versi di Brendan Beham, inclusa nell’opera
L’Ostaggio (1962) e ispirata alla figura di un rivoluzionario repubblicano nella lotta di
indipendenza irlandese. Una vicenda che a quel tempo presentava non poche analogie con la
situazione greca (la canzone diventerà il motivo conduttore del film Z–l’Orgia del potere e,
in Italia, la ritroviamo in una versione – dal testo decisamente edulcorato – interpretata da
Albano nel 1968).

Ben prima del golpe del ’67, questa, come altre canzoni musicate da Theodorakis e
interpretate dalla Farantouri, furono adottate dai giovani greci (come quelli legati alla
Gioventù Lambrakis, dal nome del deputato comunista assassinato nel 1963 durante un
comizio a Salonicco) quale repertorio di protesta contro l'attività della NATO in Grecia. A
queste iniziative politiche si lega fin da subito la voce e l’attività professionale di Farantouri
secondo una linea di pensiero, sostenuta in più occasioni pubbliche anche da Theodorakis,
per cui il “talento musicale” non ha alcun valore se non si compie in ogni momento il
proprio dovere etico e politico. Dopo le prime registrazioni, tra il ‘64 e il ‘66, Farantouri
incide un lavoro di Theodorakis specificatamente destinato alla sua voce e intitolato La
Ballata di Mauthausen (1966) su liriche del poeta Iakovos Kambanellis. Insieme alle sei
canzoni del Ciclo Farandouri (1964), basate su testi di altri poeti contemporanei come
Nikos Gatsos e Tasos Livaditis, queste incisioni attestano Farantouri come l’interprete più
autentica delle canzoni di Theodorakis e tra le voci più rappresentative della Grecia di
quegli anni.

Meno noti della censura ufficiale sono le pressioni e i ricatti attuati da funzionari del
“regime di colonnelli” nei confronti di Theodorakis, specie dopo la sua scarcerazione, in
regime di libertà vigilata, riguardanti la sua attività di compositore di canzoni. Tra questi, la
“richiesta” di mettere in musica l’inno della Olimpiade della canzone in cambio
dell’autorizzazione di alcune sue opere. O, ancora, gli innumerevoli pretesti con cui veniva
somministrata o meno “carta da musica” su cui poter scrivere.

Alle pressioni dei suoi carcerieri Theodorakis non cederà mai. Un atto di resistenza che si
lega, da un lato, al rigore morale di un uomo che era già stato torturato dai carabinieri
italiani (nel ’43), arrestato dai nazisti e deportato dai fascisti greci (durante la guerra civile)
ma, dall’altro, al supporto esterno: un sistema solidale e organizzato di complicità che, pure
nelle ristrettissime e iper-sorvegliate condizioni di detenzione, gli garantì un collegamento
con l’esterno e, persino, la possibilità di far circolare nuove canzoni. Maria Farantouri ha
avuto un ruolo cruciale anche in questa struttura di appoggio e comunicazione.

Dall’esilio, ancora ventenne, a Parigi, Farantouri utilizza le canzoni come strumento di


denuncia contro il regime militare, esibendosi in migliaia di concerti di solidarietà in tutto il
mondo e divenendo una delle voci principali della Resistenza. In questo modo, non soltanto
le musiche di Theodorakis ma anche i testi di autori ritenuti scomodi o proibiti in patria, dai
premi Nobel Elytis e Seferis a Ritsos, Kambanellis e Gatsos, travalicano le frontiere e
vengono diffusi all’estero diventando un’efficace arma di resistenza culturale. Farantouri
interpreta e incide versioni di opere precedenti di Theodorakis – come Epitaphios (1958-59)
o Epiphania (1961) entrambe all’origine di quella rivoluzione estetica denominata
Entechno, ossia un genere di canzone basato sulla stretta connessione tra stili musicali
popolari e poesia – ma anche cicli di canzone composti poco prima dell’avvento della
dittatura – come le Sette canzoni tratte dal Romancero Gitano di Garcia Lorca (su testi
tradotti da Elytis) che Farandouri incide con John Williams nel ’71 in una trascrizione per
chitarra classica e voce – o, persino, opere composte da Theodorakis nel periodo della
clandestinità o nei diversi luoghi di prigionia.

Attraverso la voce di Farantouri quei componimenti musicali in versi, scritti utilizzando i


pochi mezzi a disposizione, assumono un valore pari a quello dei comunicati politici
registrati su nastro magnetico, condividendone spesso le forme clandestine di trasmissione.
Come quando, sorvegliato speciale nel remoto villaggio di Zatouna, in Arcadia,
Theodorakis riesce ingegnosamente a eludere i rigidi controlli, facendole pervenire dei
nastri registrati avvolti in piccoli involucri a forma di bottone applicati al cappotto del figlio,
così trasportati ad Atene e, di lì, inviati a Parigi. Sarebbe poi stato compito di Faranturi
pensare agli arrangiamenti musicali per quegli abbozzi di canzoni; in questo modo
Theodorakis potrà, ad esempio, ascoltare clandestinamente alla radio, Stato d’assedio, la sua
messa in musica di un poema di una prigioniera, in onda sulla BBC dalla Roundhouse di
Londra.
Durante l’esilio parigino Farantouri partecipa attivamente al movimento delle donne,
impegnandosi consapevolmente in forme e modi che la differenziavano dalla cultura
tradizionale greca. In questa veste viene definita dalla stampa internazionale come la “Callas
del popolo” (The Daily Telegraph) o la “Joan Baez del Mediterraneo” (Le Monde). A fine
anni ’60 collabora con il compositore Manos Hadjidakis, l’altro grande padre del genere
entechno, anch’egli in esilio. Nell’opera L’Era di Melissanthi (1970-80) Farantouri ha un
tale ruolo creativo da essere riconosciuto formalmente.

Gli anni successivi alla scarcerazione di Theodorakis – anch’egli esiliato a Parigi –


vedranno Farantouri esibirsi al suo fianco in concerti promossi in tutto il mondo a sostegno
della resistenza greca. Attraverso la sua voce nasceranno opere come Canto General, su
testo di Pablo Neruda, che nel ’74, alla caduta del regime, sarà presentato al concerto-
evento allo stadio Karaiskakis gremito, insieme a canzoni composte per i diversi cori di
detenuti che Theodorakis aveva diretto nei campi di prigionia o che nei campi avevano
avuto la loro prima “audizione pubblica”.

Le canzoni interpretate da Farantouri, in particolar modo quelle riguardanti gli anni della
dittatura militare, emergono dal passato raccontando di uomini e donne colpiti da un potere
che oggi ha cambiato sembianze ma non sostanza. Attraverso figure generose e leggendarie
come quelle di Theodorakis e Farantouri emerge l’importanza che la musica e la canzone
possono avere, oggi come ieri, nel sostenere la resistenza al dominio politico ed economico.

Errico Pavese

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