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SCHEDA LETTURA N.

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Camilla Poesio (2015). Il jazz e il regime fascista. Introduzione a una ricerca, in
Musikwissenschaft im Umfeld des Faschismus. Deutsch-italienische Perspektiven,
Sinzig, Studio Verlag, pp. 165-175.

Gli anni Venti, Trenta e Quaranta furono caratterizzati da profondi cambiamenti nel campo dello
spettacolo. Se in un primo tempo il regime fascista condusse una politica culturale attenta alle scelte
moderniste estere, a partire dalla metà degli anni Trenta si chiuse su posizioni autarchiche e
esterofobiche. L’intervento dello Stato fu molto pesante sul piano della censura. Un attacco alquanto
duro riguardò alcuni tipi di musica, come il jazz, e alcuni balli importati dall’America che, sui ritmi
dello swing, liberavano i corpi con frenesia come il charleston, il fox-trot, il black-bottom e altri. (… )
A differenza della Germania, in Italia il regime ebbe verso il jazz un atteggiamento altalenante e
contraddittorio e trovò delle forme di adattamento: del resto in casa Mussolini questo tipo di musica
era ascoltato, molto fornita era la discoteca di jazz e il figlio del duce, Romano Mussolini, sarebbe
diventato un famoso pianista jazz. (…) Natale Codognotto, in arte Natalino Otto, cantante e
musicista poi produttore discografico negli anni Sessanta, fu l’iniziatore dello swing in Italia e ebbe
alcuni problemi con il regime. Mario Panzeri, il paroliere di «Maramao perché sei morto», fu
convocato dalla censura per rispondere all’accusa che la canzone fosse una satira sulla morte di
Costanzo Ciano. Famose canzoni-fox-trot come «Crapa pelada» o «Pippo non lo sa» furono invise al
regime: la prima perché ritenuta una derisione nei confronti di Mussolini, la seconda perché una
probabile parodia del segretario del Partito Nazionale Fascista Achille Starace. (…) In Europa il jazz
si diffuse soprattutto attraverso le feste danzanti e le sale da ballo e, in particolare, in Francia. In
Italia, la cosiddetta «musica degenerata» non italiana, i cosiddetti «balli negri», le danze esotiche
(quali rumba, charleston e fox-trot) che non rientravano nella tradizione della musicalità nazionale,
furono in parte banditi. Presto iniziò una vera e propria crociata contro i balli stranieri. Luigi Russolo
definì quelli basati sui ritmi del jazz «danze epilettiche regalo epilettico d’America»1 che avevano
intaccato la razza latina: di conseguenza potevano essere eseguiti solo da «razze barbariche» e non
da quelle «superiori» come quella latina. Altrove, dichiarò di volersi tenere lontano da «quella
detestabile civiltà moderna fatta per la massima parte di cretinate americanate» 2. Per alcuni, come
Domenico Alaleona, il jazz era una musica antieducativa3; per altri, come Pietro Mascagni, era
musica da associare a droghe pesanti quali oppio e cocaina; per altri ancora era musica
afroamericana da osteggiare o musica dallo «spirito anticattolico, antilatino, equivoco e snobistico
del [ritmo] sincopato.»4 Insomma, una musica che infiacchiva lo spirito. Tutto ciò che veniva dagli
Stati Uniti era bollato come americanismo che, a sua volta, era sinonimo di degenerazione morale.
(…) il motivo principale che spingeva il regime a rapportarsi in modo ostile a questo tipo di cultura
musicale era riconducibile a questioni legate alla politica estera. Dal 1935, infatti, dopo che l’Italia

1
Luigi Russolo, La «Sardana Catalana» (1932), manoscritto inviato a Fortunato Depero per essere pubblicato per
Dinamo futurista, in: Gian Franco Maffina, Luigi Russolo e l’Arte dei rumori, Torino 1978, pp. 295 s. 


2
Russolo, Lettera da Terragona, 24 febbraio 1933, in: ivi, p. 291. 


3
Cfr. Nicolodi, Musica e musicisti nel ventennio fascista, p. 90. 


4
Virgilio Mortari, «Tramonto del Jazz», in: Il musicista 9/5 (1942), pp. 67 s. 

uscì dalla Società delle Nazioni (SdN) perché aveva invaso l’Etiopia, furono espressamente vietate le
musiche dei paesi che aderivano alla SdN e favorite quelle italiane. (…) Nel 1939 l’EIAR offrì una
statistica dei brani trasmessi composti da autori italiani e stranieri, canzoni di musica leggera e di
«gezz»: 3386 canzoni di musica leggera composte da autori italiani a fronte di 528 composte da
musicisti stranieri.5 A fine anno l’EIAR indisse un referendum a premi per «meglio conoscere i desideri
degli abbonati in materia di programmi»6 e, in tale occasione, La settimana religiosa mostrò delle
rimostranze sul repertorio radiofonico considerato immorale e pericoloso. Il giornale cattolico della
diocesi veneziana si augurò, inoltre, che i programmi fossero cambiati: «Ché le operette, le
commedie, le riviste, le scenette umoristiche e specialmente le canzoni, spesso difettano di quella
severità morale, che, richiesta ovunque, ha una particolare ragione d’essere nell’ambiente
familiare».7 (…) Nel gennaio 1942 si cominciò a parlare dell’opportunità che fosse eliminata dai
programmi dell’EIAR ogni musica sincopata di origine anglosassone. 8 Fu vietata la vendita di dischi
americani e con la legge del 19 aprile dello stesso anno n. 615 fu disciplinata la diffusione del disco
con cui veniva af data al MinCulPop la vigilanza sulla produzione di dischi, la diffusione dei dischi
italiani (fuori e dentro i con ni nazionali) e di quelli stranieri. La legge n. 517 dello stesso giorno
escluse gli ebrei dall’ambiente dello spettacolo.9 Durante la Repubblica sociale il jazz ebbe vita
ancora più dura: articoli sprezzanti sui giornali, irruzioni durante rappresentazioni teatrali e musicali,
percosse a chi ascoltava «musica americana» divennero sempre più frequenti.10 Fu con l’arrivo degli
americani e soprattutto con i cosiddetti V-disc (Victory disc), i dischi speciali incisi e prodotti solo per
le truppe statunitensi dislocate sui fronti di guerra, che fu finalmente conosciuta l’ampia varietà della
musica jazz. Via via che gli alleati avanzavano, il jazz, in particolare quello più ballabile e orecchiabile
in stile swing, entrò e si radicò sempre di più nella vita, non solo musicale, del Vecchio Continente.11
In Italia, essi assunsero il controllo dell’apparato informativo e di intrattenimento dopo il crollo del
regime. «Il Ddt, la cioccolata, la gomma da masticare, le calze di nylon, i dollari e i V-disc erano [...]
simboli di un nuovo modo di vivere che alimentò le fantasie popolari e portò numerosi cambiamenti
nella vita nelle aree urbane e nelle regioni più sviluppate.»12

5
Gianni Isola, Abbassa la tua radio per favore ... Storia dell’ascolto radiofonico nell’Italia fascista, Firenze 1990, pp.
209 s. 


6
«Per una radio morale e moralizzatrice», in: La settimana religiosa (3 dicembre 1939), p. 1. 


7
Ivi. 


8
«La musica di origine anglosassone è esclusa dai programmi dell’Eiar», in: Il Corriere della Sera (9 gen- 
 naio
1942), p. 3. 


9
Cavallo e Iaccio, Vincere! Vincere! Vincere!, pp. 48 s. 


10
Un episodio particolarmente odioso avvenne nel 1944 a Bergamo durante lo spettacolo Una notte al Ma- 
 dera, cfr.
Schwamenthal, «Chi ha paura di Natalino Otto?», pp. 64 s. 


11
Sui V-disc cfr. Polillo, Jazz, pp. 182 ss.; Gaetano Liguori e Guido Michelone, Una storia del jazz. Musica e musicisti
dal 1900 al 2000, Milano 1999, pp. 181 ss. 


12
Stephen Gundle, I comunisti italiani tra Hollywood e Mosca. La s da della cultura di massa (1943–1991), traduzione
italiana di Richard Ambrosini, Firenze 1995, p. 63. 


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