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Collana di saggistica
diretta da Alessandro Carrera, Un. Houston (Texas)
Comitato Scientifico:
Andrea Malaguti, Un. Of Massachusetts
Luca Somigli, Victoria College, Toronto
puntoacapo Editrice di Cristina Daglio
Via Vecchia Pozzolo 7B, 15060 Pasturana (AL)
Telefono: 0143-75043
P. IVA 02205710060
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ISBN 978-88-6679-083-9
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Alessandro Carrera
puntoacapo
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Jacopo Tomatis
Gli anni degli 883. Pop, media, comunità giovanile e nostalgia in
Italia
1. Introduzione1
212
nuità nelle modalità di produzione e fruizione della musica da parte del
pubblico, specie di quello giovanile. Si tratta degli anni in cui vengono
lanciate o si diffondono definitivamente nuove tecnologie, che rivolu-
zionano le modalità di ascolto (il walkman, il cd) e la produzione musi-
cale (il personal computer, il campionatore, il MIDI…); gli anni dei
videoclip e dei loro “contenitori” televisivi, di MTV e non solo. In Ita-
lia, sono anche gli anni in cui muta radicalmente il profilo dell’industria
musicale, con la definitiva affermazione delle multinazionali del disco e
un netto rinnovamento generazionale negli operatori del settore.4 Paral-
lelamente, si è trasformato il sistema del live, con la crisi del florido cir-
cuito alternativo attivo nel decennio precedente e il ritorno dei grandi
concerti rock, dopo uno stop alla fine dei Settanta.
Una delle narrazioni più diffuse, in seno al senso comune e non solo,
è quella che colloca nel salto di decennio la “fine dell’impegno” e la crisi
della generazione del 1968: riflusso e individualismo sarebbero dunque le
parole chiave del passaggio fra anni Settanta e anni Ottanta. Questa
mutata condizione politico-culturale si sarebbe in qualche modo river-
berata sulla popular music, ad esempio con la crisi definitiva della can-
zone politica nonché di una possibile – e fino ad allora ampiamente
diffusa – interpretazione politica del pop.5 Le biografie intellettuali di
molti protagonisti culturali e musicali degli anni settanta sembrano con-
fermare il collasso, negli ultimi anni del decennio, di questa visione. Il
Festival al Parco Lambro del 1976 viene sovente adottato come simbo-
lica “fine della festa” per la generazione uscita dal 1968.6 Da questo
punto in poi, nelle letture della critica, l’universo del pop si fraziona e
sembra perdere di coerenza: è la crisi di un paradigma, di un modo di
interpretare la realtà. Alla metà degli anni Ottanta, Gianni Borgna chiu-
de la sua Storia della canzone italiana con la considerazione che “il senso
più intimo delle canzoni italiane di oggi [starebbe nella] frammentazione
… [nella] pluralità di codici, di messaggi (e di pubblici), che corrisponde
del resto alla disgregazione della nostra epoca”.7 I contributi più recenti
sulla storia della canzone italiana continuano a privilegiare qualitativa-
mente e quantitativamente i “decenni d’oro”, anche in virtù dell’assunto
– implicito o esplicitato, e tutto da dimostrare – secondo cui la canzone
italiana si sarebbe trasformata proprio a partire dagli anni Ottanta: da
“‘sanremese’ e d’‘autore’ a “una canzone ‘pop’, di taglio moderno e in-
ternazionale”.8
213
La tendenza è insomma quella di “leggere” la musica prodotta in Ita-
lia negli anni Ottanta e Novanta attraverso paradigmi interpretativi ben
consolidati per la musica del decennio precedente, ma che potrebbero
rivelarsi inadatti a comprendere musiche nate e fruite in contesti diffe-
renti. Se, ad esempio, un parametro dovesse essere la capacità aggregati-
va della musica a fini sociali, o il suo contenuto politico, o di critica alla
società, la musica più recente non potrà che apparire come una deca-
denza di quella dell’“epoca aurea”. Il caso della canzone d’autore, con i
suoi mutamenti di profilo ideologico fra la fine dei Settanta e l’inizio
degli anni Ottanta (il “postmodernismo per le masse”9 di Franco Battia-
to, ad esempio) è esemplare. Si tratta, naturalmente, di una prospettiva
anche generazionale: gli studiosi di popular music, le firme di critica
musicale oggi “egemoni” sui quotidiani, gli storici della canzone, sono
perlopiù parte di una generazione giunta alla maturità nel corso dei Set-
tanta (e in misura minore, dei Sessanta). Loro emuli, o allievi, hanno
spesso lavorato su canoni già ben consolidati, e difficilmente scardinabili.
Si tratta, in conclusione, di aggiornare la nostra prospettiva di ricerca-
tori per un diverso oggetto di ricerca. In questo articolo, suggerisco che
lo specifico italiano del panorama della popular music degli anni Ottanta e
Novanta sia, soprattutto, dovuto alla rivoluzione che investe il paesag-
gio dei media: l’affermarsi delle radio e delle TV private, che diventano
nel corso degli Ottanta il principale canale di diffusione della musica,
soprattutto di quella mirata a un pubblico giovanile, non può essere
privo di conseguenze sullo sviluppo della popular music italiana e dei
suoi significati. Dedicarsi allo studio della musica in questo, e di questo,
nuovo contesto è fondamentale, soprattutto in un momento in cui gli
anni Ottanta e Novanta sono oggetto di una lenta storicizzazione come
decenni del cosiddetto “berlusconismo”, e al contempo di una rilettura
nostalgica a più livelli.
Questo intervento vuole dunque essere un primo contributo ad uno
studio critico della musica prodotta e ascoltata in Italia nell’ambito del
mutato sistema dei media. Il case study proposto – quello della band pa-
vese 883 – è stato scelto per diversi motivi. Innanzitutto, la rapida asce-
sa della band nei primi anni Novanta è utile per verificare il funziona-
mento del sistema promozionale in un momento in cui radio e TV pri-
vate hanno, infine, raggiunto una dimensione nazionale. In secondo
luogo, il gruppo stesso è – per motivi generazionali – “figlio” degli anni
214
Ottanta e del medesimo contesto mediatico e culturale, come emerge
chiaramente dall’autobiografia del leader Max Pezzali.10
Questi aspetti, strettamente interrelati, saranno trattati nella prima
sezione di questo articolo. Seguendo la prospettiva delineata da Keith
Negus, la produzione musicale non è da considerarsi come la conse-
guenza di un sistema industrial-capitalista imposto dalle major, e le pra-
tiche musicali connesse come un effetto di logiche commerciali o ge-
stionali: è la “cultura” che “produce un’industria” e non il contrario.11 Il
caso degli 883 dovrebbe dunque mostrare come a un mutato sistema
dei media si associno pratiche di produzione e fruizione musicale ade-
guate, e viceversa.
Il capitolo seguente sarà dedicato ad una sommaria analisi di come
scelte musicali, retoriche, tematiche e linguistiche contribuiscano a sug-
gerire un’interpretazione comunitaria dei brani degli 883, parte decisiva
del loro successo di pubblico e della loro persistente presenza, ancora
oggi, negli ascolti di giovani e meno giovani. Questo punto è tanto più
decisivo in quanto la band è assurta, soprattutto negli ultimi anni, a cult
generazionale, ed è oggetto di un recupero in chiave nostalgica e di una
rivalutazione estetica precisamente in quanto prodotto degli anni No-
vanta: di questo si occuperà il terzo paragrafo.
215
mente al definitivo affermarsi delle radio private nazionali intorno alla
metà degli anni Novanta, queste guadagnino per la prima volta una po-
sizione di maggior peso rispetto al comparto discografico.13
In questi anni, la novità più significativa nella programmazione delle
radio private è un deciso investimento sulla musica italiana. All’inizio
dei Novanta, Radio Italia Solo Musica Italiana, pioniera della program-
mazione “monolingua”, risulta – quasi a sorpresa – in cima alle classifi-
che di ascolto di Audiradio.14 Il suo successo rompe “l’approccio este-
rofilo” e “[costringe] anche le reti portabandiera del modello anglofilo
(Rete 105 e Deejay Network) a intervenire sulla programmazione ade-
guandola a questo nuovo corso” (Storia della radio e della televisione in Ita-
lia, p. 509).
È in questo contesto che nascono e raggiungono il successo gli 883:
Max Pezzali (nato nel 1967), cantante e autore principale, e Mauro Re-
petto (del 1968), entrambi di Pavia. Dopo una serie di velleitari tentativi
(compreso un demo quasi-rap cantato in inglese, e una partecipazione al
programma 1-2-3 Jovanotti su Italia 1, a nome I Pop – gioco di parole
con hip hop), gli 883 debuttano fra la fine del 1991 e l’inizio del 1992 con
una serie di singoli. Fra questi, “Hanno ucciso l’uomo ragno” diventa il
tormentone assoluto dell’estate 1992, a supporto di un omonimo full
length. Pubblicato nel maggio del 1992, il disco raggiunge il primo posto
in classifica in agosto e diventa uno dei best seller dell’anno con oltre
600mila copie vendute in pochi mesi (I cowboy non mollano mai, p. 90).15
Ancora meglio fa, l’anno successivo, il secondo lp del gruppo, Nord Sud
Ovest Est, che rimane per quaranta settimane in classifica, di cui dieci al
vertice, vendendo oltre un milione e 350mila copie. Dopo un disco di
remix (1994) che raccoglie alcuni singoli confezionati per il mercato
delle discoteche, Repetto lascia il gruppo al solo Pezzali, che continua
con musicisti di volta in volta diversi, incidendo altri quattro album a
nome 883: La donna il sogno e il grande incubo (1995), La dura legge del gol!
(1997), Grazie mille (1999) e Uno in più (2001). Nel 2002 decide di prose-
guire la sua carriera a nome Max Pezzali, non variando sostanzialmente
il proprio stile.
Il lancio degli 883 si deve a Claudio Cecchetto, personaggio chiave
per capire la musica italiana degli ultimi vent’anni del novecento: DJ e
intrattenitore in discoteca (sua la hit “Gioca Jouer”, anno 1981) e in
radio, dirigente a Radio Milano Internazionale e Radio 105, presentato-
216
re su Telemilano, conduttore di Festivalbar e – sulla Rai – del Festival
di Sanremo (dal 1980 al 1982), fondatore di Radio Deejay (nel 1982) e
di Radio Capital. Nel 1984, con il programma Deejay Television, trasmes-
so in contemporanea in radio e in TV su Italia 1, Cecchetto è pioniere
di una joint venture fra radio e televisione commerciale destinata a grande
successo. Secondo il racconto di Pezzali (I cowboy non mollano mai, p. 81),
Cecchetto ascoltò una cassetta autoprodotta e invitò gli 883 a incidere
per la sua etichetta indipendente FRI (Free Records Independent), che
negli stessi anni pubblicava i successi di Fiorello e Jovanotti, oltre a po-
polari compilation di brani dance spesso coprodotte con Fininvest e
ampiamente reclamizzate in TV (ad esempio la serie Hits on Five). Il
contesto è dunque quello milanese, dove fra radio e TV private c’è una
grande circolazione di artisti e professionisti in un clima di entusiasmo e
sperimentazione, come mostrano molti resoconti di quegli anni, a parti-
re dalla recente autobiografia dello stesso Cecchetto, e da quella – già
citata – di Pezzali.15
Il modello di lavoro di FRI è innovativo: le prime registrazioni della
nuova band si tengono in uno studio interno all’edificio che ospita Ra-
dio Deejay. Gli 883 possono usufruire della consulenza, in fase di pro-
duzione, del capo della programmazione dell’emittente Pier Paolo Pero-
ni, che figura anche come produttore dei primi lavori del gruppo.
217
classifica, avevamo il pezzo dell’estate, ma non ci conosceva
nessuno. (I cowboy non mollano mai, p. 89)
È quasi naturale che i pezzi degli 883 filtrino da subito nelle TV com-
merciali. In quegli anni si sta consolidando definitivamente il sistema
duopolistico che tutt’ora oppone la Rai al gruppo Fininvest (ora Media-
set) di Silvio Berlusconi, definitivamente sancito dalla Legge Mammì nel
1990. In quel momento, tanto le radio quanto le TV commerciali condi-
vidono un obiettivo primario: giunte infine a trasmettere su scala italia-
na, puntano ad accedere ad un mercato pubblicitario nazionale. La stra-
tegia è anche quella di puntare su target ben precisi: quello dei giovani e
giovanissimi è uno dei principali. La popular music è indubbiamente
uno dei mezzi usati per raggiungere questo fine, insieme – ad esempio –
ai cartoni animati, soprattutto giapponesi, monopolio in Italia delle TV
private dalla fine dei Settanta.
L’impressione è che, in questi anni, i media commerciali agiscano co-
me un sistema unico. Il caso degli 883 è, ancora, esemplare: i diritti edi-
toriali delle canzoni di tutti i primi album sono equamente divisi fra la
Warner Music (che deteneva però un accordo pregresso con il gruppo),
la Dj’s Gang srl. di Cecchetto e il gruppo Fininvest, attraverso la sua
218
società Canale 5 Music srl., o la connessa RTI Music. Non ci si stupisce,
dunque, che gli 883 trovino sovente asilo nei programmi Fininvest (ad
esempio, vincendo due Telegatti nelle due edizioni del 1992 e del 1993).
Riporta Mario De Luigi come fosse pratica comune quella dei
“pagamenti cambio merce (in royalty sulle vendite)”degli spot o, possia-
mo supporre, dei passaggi televisivi (Storia dell’industria musicale italiana, p.
55, e comunicazione personale).
Negli stessi anni arriva al grande pubblico un’altra scoperta di Cec-
chetto: Fiorello. Il suo programma su Italia 1, Karaoke, è un fenomeno
di costume e uno dei maggiori successi televisivi fra il 1992 e il 1994.
Una delle canzoni più eseguite al Karaoke 1993 è– naturalmente – un
brano degli 883, “Nord Sud Ovest Est”, uno dei maggiori successi di
quell’anno. Nel suo saggio dedicato alla trasmissione, Paolo Prato anno-
ta come Karaoke dovesse agire di concerto con l’industria del disco,17
quindi sia rispecchiandone le politiche, sia dettandole. Il pubblico di
riferimento del Karaoke, di fatto, è il medesimo degli 883: composto da
giovani e giovanissimi (bambini compresi), spesso dal popoloso bacino
della provincia italiana dove – dice Prato – “la vita è più soggetta alla
routine di quanto non sia nelle grandi città, e l’aura seduttiva di essere
un eroe della TV è più invitante” (From TV to Holidays. Karaoke in Italy,
p. 102).
Karaoke e altri programmi coevi permettono di verificare il lento im-
porsi di un modello di intrattenimento televisivo e radiofonico, dettato
dalle agende dei canali commerciali, che ha rotto oramai radicalmente
con quello della TV nazionale. La comparsa sulle scene dell’emittenza
privata ha avuto conseguenze di lungo periodo anche sulla socializza-
zione dell’infanzia: la TV privata, non più legata a modelli pedagogici,
“considera lo spettatore (adulto e bambino) target della pubblicità”. I
bambini seguono gli stessi programmi televisivi, senza distinzioni di
“classe sociale, … zona geografica d’appartenenza e, tanto meno ses-
so”.18 La TV e le radio, a partire dagli anni Ottanta, hanno contribuito a
creare una nuova comunità giovanile, definita da ascolti e visioni condi-
vise. È superfluo, e forse riduttivo, annotare come la generazione degli
adolescenti e dei giovani primi anni Novanta – quella che affolla le piaz-
ze per Karaoke e canta le canzoni degli 883 (e di cui fanno parte gli 883
stessi) – sia una delle prime generazioni per cui la socializzazione televi-
siva ha giocato un ruolo decisivo.
219
3. “La regola dell’amico”: musica, retorica, lessico e comunità
220
canzoni degli 883 sono nate così: “Te la tiri” ha sotto un
campione di “Hells Bells”degli AC/DC, assolutamente ille-
gale ma talmente breve e nascosto da essere quasi irricono-
scibile. Mi era servito solo come punto di partenza. “Con un
deca” è costruita su un campione della batteria di “Sweet
Louise” degli Ironhorse, preso da una cassettina che avevo
vinto in discoteca (I cowboy non mollano mai, p. 65).
221
te sguaiata. Si noti anche come la voce sia sempre registrata all’italiana,
in primo piano rispetto agli strumenti e con poco effetto, rinforzandone
la vicinanza prossemica all’ascoltatore. Un collegamento potrebbe esse-
re azzardato anche con le tipologie armoniche e strutturali delle sigle dei
cartoni animati così come sono state descritte da Martinelli.22
La dimensione “collettiva” suggerita dalla musica di molti brani degli
883 è rinforzata dalle scelte linguistiche, retoriche e di contenuto dei
testi, che rappresentano la vera novità introdotta dagli 883 nella canzo-
ne italiana. A livello di contenuto, la quasi totalità dei brani degli 883
rientra in tre macrotemi – ironicamente (ma puntualmente) identificati
da un articolo come “Figa, sfiga, amici”.23 Se dal secondo album com-
paiono anche brani d’amore più tradizionali e “di genere” (ad esempio
“Come mai”, vincitore al Festivalbar 1993), un grandissimo numero di
canzoni degli 883 (empiricamente, direi, le più amate dai fan) fa riferi-
mento – direttamente come tema della narrazione, o indirettamente
come sfondo – alla comunità ristretta degli amici, compagni di avventu-
re mediocri nella provincia pavese, frequentatori di bar che sognano la
fuga (magari nell’America del “mito”), che parlano di calcio, di donne,
di motori (peraltro, il nome 883 è preso da un modello di Harley David-
son).
L’elemento tematico è pienamente inscritto nelle scelte retoriche co-
muni a queste canzoni. Alcune introducono il pronome “noi” come
soggetto lirico della canzone (unico o alternato all’“io”) e il gruppo di
amici come protagonisti/emittenti. Altre, più intimiste e personali, man-
tengono invece un più tradizionale io lirico, ma collocano la comunità
degli amici come destinatario, o almeno come contesto, della narrazio-
ne. Al primo gruppo appartengono pezzi classici come “Jolly Blu”,
“Con un deca” (da Hanno ucciso l’uomo ragno), “Rotta x casa di Dio”,
“Weekend” (da Nord Sud Ovest Est), “La radio a 1000 watt” (da La don-
na, il sogno e il grande incubo), e molti altri. Nel secondo rientrano invece
brani come “Senza averti qui” (ottavo al Festival di Sanremo 1995) e
“Gli anni” (entrambi in La donna, il sogno e il grande incubo), o “La regola
dell’amico” (dall’album omonimo).
Naturalmente, la pratica di cantare canzoni in prima persona plurale –
soprattutto da parte di band – non è affatto nuova nella canzone italia-
na. Tuttavia, il “noi” degli 883 è molto diverso da quello che incarnava
la voce della comunità giovanile degli anni Sessanta, esemplificato da
222
brani come “Ma che colpa abbiamo noi”, o “Noi non ci saremo”. Così
come è differente dal “noi” generazionale di Vasco (come nell’inno
“Siamo solo noi”, 1981: “Siamo solo noi / generazione di sconvolti che
non han più santi né eroi”) o di Ramazzotti (“Siamo ragazzi di oggi /
pensiamo sempre all’America”, da “Terra promessa”, 1984), per citare
due casi celebri.24 Non è neanche – almeno a partire dall’abbandono di
Repetto – percepito dal pubblico come un “noi” di gruppo, quanto
piuttosto come l’“io” del “cantautore” Max Pezzali. Nel suo “noi” non
c’è alcun riferimento generazionale, quanto piuttosto la celebrazione
della propria cerchia quotidiana: “noi” sono gli amici del bar, il gruppo
fedele, al punto che alcuni personaggi, o tipi umani, ritornano da una
canzone all’altra (sarebbe in effetti interessante confrontare questi brani
con i coevi brani di Luciano Ligabue, spesso in prima persona e con
personaggi ricorrenti).
Le scelte linguistiche – l’altra grande innovazione delle canzoni degli
883 – contribuiscono a rinforzare questa interpretazione. I brani abbon-
dano di elementi gergali giovanili ed espressioni idiomatiche (“Deca”
per “Diecimila lire”, “Te la tiri”, “Sfigato”…; anche rese graficamente,
nei titoli dei brani: “S’inkazza”, “Rotta x casa di Dio”), parolacce (che
certo ebbero un ruolo nel primo successo del gruppo presso i più gio-
vani) e anglicismi. Questi ultimi, in particolare, sono perlopiù usati in
chiusura di verso per fornire le tronche – di cui l’italiano scarseggia.
L’accento tonico “naturale”delle parole è raramente rispettato, a tutto
vantaggio della narrazione, che si sviluppa con minori costrizioni metri-
che, e delle linee melodiche, piuttosto varie. Gli elementi giovanilisti,
comunque, vanno diminuendo già a partire dal secondo album. Come
viene annotato in uno dei pochi contributi specialistici disponibili sulla
band, firmato dai linguisti Francesco De Rosa e Gianluigi Simonetti e
dedicato proprio all’“innovazione linguistica” dei testi,
223
Questa “mimesi naturalistica” è tuttavia da ritenersi, secondo gli auto-
ri del saggio, “una mimesi senza localismo, dal momento che
l’unificazione linguistica promossa dai mass media, sommata al consolida-
to primato culturale del Nord e all’ossessione consumistica per tutto ciò
che è giovanile, fa in modo che tutta l’Italia tenda ad assomigliare a quel
paesaggio padano, a parlare quella lingua pseudoadolescenzia-
le” (Innovazione linguistica e visione del mondo…, p. 118). Quello degli 883 è,
insomma, un nuovo italiano: quello parlato, soprattutto, dai nuovi media.
Un ottimo esempio, anche sintattico (nonostante non manchino inver-
sioni, anche forzate, per far rimare i versi), di quel parlato quotidiano, di
registro medio o basso, definito “italiano dell’uso” o “neostandard”.26
In questa prospettiva, “il plurilinguismo” non è una scelta stilistica, ma
una “formula realistica che suggella la scelta di un punto di vista colletti-
vo”(Innovazione linguistica e visione del mondo…, p.127).
Il ricorso a strategie musicali e compositive che rinforzerebbero
un’idea di collettivo; la costante presenza tematica dei “miti” contempo-
ranei (il calcio, l’America…) come fuga dalle quotidianità mediocri della
vita in provincia; le strategie retoriche e linguistiche; sono tutti segnali
che contribuiscono a rafforzare una medesima idea di comunità, e che
“selezionano” un pubblico, implicando una autenticità “di esperienza”.
Nella definizione di Allan Moore: quella tipologia di autenticità che si
verifica quando una performance riesce a trasmettere all’ascoltatore
l’impressione che la sua esperienza di vita sia validata, che la musica stia
“dicendo le cose come stanno”.27 All’inizio degli anni Novanta questa
autenticità è decisiva nell’apprezzamento, da parte di una certa fetta di
pubblico giovanile, delle canzoni degli 883, e contribuisce oggi alla loro
rivalutazione estetica e alla loro rilettura in chiave nostalgica.
Negli ultimi anni le canzoni degli 883 sono state oggetto di un pro-
fondo ripensamento e rivalutazione tanto da parte del pubblico quanto
della critica. La ricezione critica degli 883 al momento della loro uscita
non mancò di stigmatizzare il loro carattere di mass cult, stroncandone la
volgarità, il giovanilismo, la facilità melodica. Esemplare, in tal senso, la
recensione di un concerto milanese uscita su L’Unità, che perpetua – in
224
maniera piuttosto pedissequa – numerosi cliché retorici della critica high
brow e “di sinistra”.
225
Il 2012, anno del ventennale da Hanno ucciso l’uomo ragno, vede l’uscita
di due dischi tributo al repertorio della band. Il primo – Hanno ucciso
l’uomo ragno 2012 (Warner) – è un remake a cura dello stesso Pezzali con
featuring di nove artisti rap italiani fra i più noti. L’altro, intitolato Con due
deca e distribuito dal noto portale web Rockit, ospita ventuno cover a
cura di altrettanti nomi della nuova scena indipendente italiana, fra cui I
Cani, Selton, Colapesce, Amor Fou... I Cani in particolare, band romana
fra le più rappresentative del nuovo indie italiano, hanno diviso il palco
con Pezzali durante l’edizione 2014 del Traffic Festival di Torino. Il
titolare del progetto Niccolò Contessa spiegava così in un’intervista,
qualche mese prima, il suo interesse per gli 883.
226
come personale, quella “logica feticista di iper-soggettivazione delle
merci”31 che si applica soprattutto a “oggetti manchevoli, desueti, guilty
pleasures, insomma non riutilizzabili tali e quali nel presente” (L’invenzione
della nostalgia, p. 10).
Rivalutazione e recupero nostalgico sembrano andare di pari passo, in
un momento in cui gli anni Ottanta e Novanta sono diventati – non
solo in Italia – un decennio infine storicizzabile, riducibile a tratti prin-
cipali, riassumibile in speciali televisivi e party a tema.32 Sempre ascoltati
e da sempre cantati in occasioni di feste o momenti sociali, gli 883 sono
uno dei gruppi italiani che maggiormente si è conservato come ascolto
condiviso e generazionale della fascia di età cresciuta con le TV e le radio
private. Le loro canzoni sono parte di una koiné musicale dei nati fra la
fine dei Settanta e la metà degli Ottanta, e anche oltre, vista la loro per-
sistenza nei palinsesti televisivi e radiofonici.
Secondo Emiliano Morreale (L’invenzione della nostalgia, p. 150), gli anni
Ottanta in Italia sono gli anni di un mutamento di sensibilità, di una
diffusa nostalgia “intermediale” che si propaga soprattutto attraverso la
televisione come fenomeno di massa. È un decennio che si modella
sugli anni Sessanta riletti in funzione mitologica; anche, in senso politi-
co, come “restaurazione” dopo il decennio dei Settanta: è la tesi ad e-
sempio di Goffredo Fofi.33 Discorso simile vale per gli anni Novanta,
“anni del vintage”, in cui “la potenza emotiva della memoria si unisce
pienamente alla pervasività dei media”(L’invenzione della nostalgia, p. 45).
Dal momento che la nostalgia è sfruttabile dal mercato, la tendenza sul
lungo periodo sembra essere quella della lenta riduzione della distanza
di tempo fra l’apparizione iniziale e il recupero in chiave nostalgica.
Le canzoni degli 883 sembrano prestarsi particolarmente a questo
tipo di rilettura nostalgica e generazionale, tanto nella loro iniziale rice-
zione (incorporante una prospettiva nostalgica “di corto raggio” che
rielabora nostalgicamente gli anni Ottanta dell’infanzia e
dell’adolescenza), quanto – soprattutto – nel loro attuale riposiziona-
mento in chiave nostalgica. È così per una delle canzoni-simbolo del
gruppo, “Gli anni”, ballad sul diventare grandi che nel singalong, appunto,
ricorda:
227
gli anni delle immense compagnie
gli anni in motorino sempre in due
gli anni di “che belli erano i film”
gli anni dei Roy Roger’s come jeans
gli anni di “qualsiasi cosa fai”
gli anni del “tranquillo siam qui noi”
228
5. Conclusioni
229
Note
1 Una prima versione in inglese di questo saggio è stata concepita per il 1st International
Congress of Numanities, 2-7 giugno 2014, organizzato da Dario Martinelli presso
l’International Semiotics Institutea Kaunas, Lituania, e per i relativi atti. Riflessioni sul
tema vengono portate avanti nell’ambito del Gruppo di Ricerca sulla popular music
italiana negli anni Ottanta e Novanta, promosso nel 2014 da chi scrive insieme a Errico
Pavese, Gabriele Marino e Jacopo Conti, e supervisionato da Franco Fabbri. Ringrazio i
citati per i suggerimenti e il sempre fertile dibattito intorno a questi temi.
2 Franco Fabbri e Goffredo Plastino (a cura di), Made in Italy. Studies in Popular Music,
1962-1997: trentacinque anni di attività del Nuovo Canzoniere Italiano/Istituto Ernesto De Marti-
no, Jaca Books, Milano 1997.
6 Ad esempio in Nanni Balestrini e Primo Moroni, L’orda d’oro. 1968-1977, Feltrinelli,
504.
13 Francesco D’Amato, “Culture e operatori industria fonografica italiana”, in La cultura
come capitale. Consumi, produzioni, politiche, identità, a cura di Marco Santoro, il Mulino,
Bologna 2009, p. 157.
14 Molto significativamente, Audiradio nasce pochi anni prima, nel 1988, per rilevare gli
ascolti (a fini pubblicitari) sia della Rai che delle radio private.
15 Cfr. anche John Joseph Spinetoli, Artisti in classifica (album) 1970-1996, Musica & Di-
Global Technology, Local Singing, a cura di Toru Mitsui e Shuhei Hosokawa, Routledge,
Londra 1998, p. 110.
19 Giovannella Greco, Socializzazione virtuale. Bambini e tv nei nuovi scenari tecnologici, Rub-
Sessanta ad oggi, Feltrinelli, Milano 1980, p. 25 (nuova edizione ampliata, Odoya, Bologna
2014).
230
21 Franco Fabbri, “Forme e modelli delle canzoni dei Beatles”, in Il suono in cui viviamo, Il
do nella canzone di consumo degli ultimi anni: il caso degli 883”, Contemporanea, 2003, p.
118.
27 Paolo D’Achille, L’italiano contemporaneo, Il Mulino, Bologna 2003.
28 Allan Moore, “Authenticity as Authentication”, Popular Music 21 (2002), p. 220.
29 Diego Perugini, “883, il ‘mito’ in playback”, L’Unità, 14 Dicembre 1993, p. 22.
30 Edmondo Berselli, “Il ‘fast thought’ di Max Pezzali”, in Canzoni. Storie dell’Italia leggera,
1979.
36 Franco Fabbri, “What Do We Mean by ‘Empirical’?”, paper presentato alla 17esima
dell’aprile 1994 al suo testo sulla “televisione fra le due crisi”, poco dopo il primo suc-
cesso elettorale di Silvio Berlusconi: “Sull’influenza effettiva che il mezzo televisivo ha
avuto nelle elezioni del marzo 1994 è probabilmente presto per dare un giudizio. Certo,
un dato colpisce l’attenzione: il divario dei voti tra le elezioni della camera (dove
l’alleanza che fa capo a Berlusconi ha raggiunto circa il 47%) e quelle per il Senato (dove
non ha raggiunto il 41%) indica che la popolarità dello schieramento vincitore delle
elezioni è massima proprio in quella fascia di età, dai 18 ai 25 anni, che secondo tutti i
dati noti è la meno attratta dal mezzo televisivo e che vi spende il numero minimo di
ore rispetto al totale della popolazione. Se questo è vero, l’influenza diretta della propa-
ganda televisiva non va probabilmente sopravvalutata … Forse, dobbiamo dire che
determinante, nell’elezione di Silvio Berlusconi, non è stata la propaganda televisiva, ma
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la televisione in quanto tale, non i discorsi proposti dal mezzo quanto il valore simboli-
co assunto dal mezzo stesso. Ripensiamo al dato relativo alle elezioni per la Camera e il
Senato. Proprio il gruppo di età compreso tra i 18 e i 25 è quello cresciuto fin
dall’infanzia con la televisione commerciale, con il suo modello di pubblicità e di consu-
mi, ed è quello per il quale il nome di Silvio Berlusconi è stato fin dall’infanzia familiare
quanto quello di un divo. Tenendo conto di questa considerazione, possiamo allora dire
che se i tempi della ‘discesa in campo’ politica di Forza Italia sono stati relativamente
brevi…
i tempi della formazione del clima di opinione che l’ha sostenuta sono stati assai più
lunghi, e coprono probabilmente l’intero ventennio che è stato oggetto del saggio: deci-
siva, per la vittoria elettorale di Berlusconi, è stata soprattutto la costellazione di valori
di cui la televisione commerciale è insieme portatrice e incarnazione”. Peppino Ortole-
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883, Nord sud ovest est, FRI Records FRI 6019 2, 1993.
883, Remix ’94 (Special for D.J.), FRI Records FRI 6025-2, 1994.
883, La donna il sogno & il grande incubo, FRI Records FRI 6030-2, 1995.
883, La dura legge del gol!, FRI Records FRI 11512, 1997.
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883, 1 in +, Warner Music Italy 8573-89582-2, 2001.
883, Love/Life. L’amore e la vita al tempo degli 883, Warner Music Italy 662013, 2002.
AA.VV., Con due deca - La prima compilation di cover degli 883, Rockit 2012.
MAX PEZZALI / 883, Hanno ucciso l’uomo ragno 2012, Atlantic 5053105299829, 2012.
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