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CRINALI n.

10
Collana di saggistica
diretta da Alessandro Carrera, Un. Houston (Texas)
Comitato Scientifico:
Andrea Malaguti, Un. Of Massachusetts
Luca Somigli, Victoria College, Toronto
puntoacapo Editrice di Cristina Daglio
Via Vecchia Pozzolo 7B, 15060 Pasturana (AL)
Telefono: 0143-75043
P. IVA 02205710060

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ISBN 978-88-6679-083-9

2
Alessandro Carrera

LA MEMORIA DELLE CANZONI


POPULAR MUSIC E IDENTITÀ ITALIANA

puntoacapo
3
Jacopo Tomatis
Gli anni degli 883. Pop, media, comunità giovanile e nostalgia in
Italia

1. Introduzione1

Negli studi sulla popular music italiana, la musica prodotta e fruita


negli anni Ottanta e Novanta nel contesto del mutato paesaggio media-
tico non gode di buona fortuna critica. A posteriori,il “pop” di quei
decenni è spesso stato derubricato a trash music per antonomasia, mentre
la canonizzazione degli anni Sessanta e Settanta come “periodo d’oro”
della canzone italiana – avviata in chiave nostalgica proprio a partire
dagli anni Ottanta – ha finito per selezionare gli argomenti di studio.
D’altro canto, lo statuto accademicamente incerto della popular music
in Italia, e la sua difficile convivenza con gli altri campi della ricerca mu-
sicologica hanno sovente dissuaso quanti erano interessati a occuparsi
seriamente di musica dal dedicarsi alla musica non seria. L’eccezione par-
ziale è rappresentata dal festival di Sanremo, cui sono stati dedicati nu-
merosi studi. Prevedibilmente però, i decenni più indagati sono proprio
quelli “classici”, prima della crisi patita dalla kermesse nel corso degli
anni Ottanta.
Ad ogni modo, indipendentemente dal decennio di produzione, in
Italia la popular music “veramente popolare” è raramente stata oggetto
di interesse specialistico, marginalizzata soprattutto dall’affermazione
della canzone d’autore come soggetto più “rispettabile”,2 anche perché
studiabile secondo i paradigmi metodologici della critica letteraria, e
quindi “contrabbandabile” dentro l’accademia per la porta principale. Si
studia, insomma, ciò che è già degno di attenzione estetica, ri-
avvalorandolo. La tendenza a non occuparsi accademicamente – o al-
meno, ad occuparsi meno – della bad music non sarebbe comunque una
peculiarità solo italiana.3
Una disciplina musicologica di oggi, che sappia infine superare pre-
giudizi estetici e ideologici, non può più prescindere da un serio con-
fronto con questi temi. Le lacune appaiono tanto più gravi se si consi-
dera come il decennio degli Ottanta abbia marcato una netta disconti-

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nuità nelle modalità di produzione e fruizione della musica da parte del
pubblico, specie di quello giovanile. Si tratta degli anni in cui vengono
lanciate o si diffondono definitivamente nuove tecnologie, che rivolu-
zionano le modalità di ascolto (il walkman, il cd) e la produzione musi-
cale (il personal computer, il campionatore, il MIDI…); gli anni dei
videoclip e dei loro “contenitori” televisivi, di MTV e non solo. In Ita-
lia, sono anche gli anni in cui muta radicalmente il profilo dell’industria
musicale, con la definitiva affermazione delle multinazionali del disco e
un netto rinnovamento generazionale negli operatori del settore.4 Paral-
lelamente, si è trasformato il sistema del live, con la crisi del florido cir-
cuito alternativo attivo nel decennio precedente e il ritorno dei grandi
concerti rock, dopo uno stop alla fine dei Settanta.
Una delle narrazioni più diffuse, in seno al senso comune e non solo,
è quella che colloca nel salto di decennio la “fine dell’impegno” e la crisi
della generazione del 1968: riflusso e individualismo sarebbero dunque le
parole chiave del passaggio fra anni Settanta e anni Ottanta. Questa
mutata condizione politico-culturale si sarebbe in qualche modo river-
berata sulla popular music, ad esempio con la crisi definitiva della can-
zone politica nonché di una possibile – e fino ad allora ampiamente
diffusa – interpretazione politica del pop.5 Le biografie intellettuali di
molti protagonisti culturali e musicali degli anni settanta sembrano con-
fermare il collasso, negli ultimi anni del decennio, di questa visione. Il
Festival al Parco Lambro del 1976 viene sovente adottato come simbo-
lica “fine della festa” per la generazione uscita dal 1968.6 Da questo
punto in poi, nelle letture della critica, l’universo del pop si fraziona e
sembra perdere di coerenza: è la crisi di un paradigma, di un modo di
interpretare la realtà. Alla metà degli anni Ottanta, Gianni Borgna chiu-
de la sua Storia della canzone italiana con la considerazione che “il senso
più intimo delle canzoni italiane di oggi [starebbe nella] frammentazione
… [nella] pluralità di codici, di messaggi (e di pubblici), che corrisponde
del resto alla disgregazione della nostra epoca”.7 I contributi più recenti
sulla storia della canzone italiana continuano a privilegiare qualitativa-
mente e quantitativamente i “decenni d’oro”, anche in virtù dell’assunto
– implicito o esplicitato, e tutto da dimostrare – secondo cui la canzone
italiana si sarebbe trasformata proprio a partire dagli anni Ottanta: da
“‘sanremese’ e d’‘autore’ a “una canzone ‘pop’, di taglio moderno e in-
ternazionale”.8

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La tendenza è insomma quella di “leggere” la musica prodotta in Ita-
lia negli anni Ottanta e Novanta attraverso paradigmi interpretativi ben
consolidati per la musica del decennio precedente, ma che potrebbero
rivelarsi inadatti a comprendere musiche nate e fruite in contesti diffe-
renti. Se, ad esempio, un parametro dovesse essere la capacità aggregati-
va della musica a fini sociali, o il suo contenuto politico, o di critica alla
società, la musica più recente non potrà che apparire come una deca-
denza di quella dell’“epoca aurea”. Il caso della canzone d’autore, con i
suoi mutamenti di profilo ideologico fra la fine dei Settanta e l’inizio
degli anni Ottanta (il “postmodernismo per le masse”9 di Franco Battia-
to, ad esempio) è esemplare. Si tratta, naturalmente, di una prospettiva
anche generazionale: gli studiosi di popular music, le firme di critica
musicale oggi “egemoni” sui quotidiani, gli storici della canzone, sono
perlopiù parte di una generazione giunta alla maturità nel corso dei Set-
tanta (e in misura minore, dei Sessanta). Loro emuli, o allievi, hanno
spesso lavorato su canoni già ben consolidati, e difficilmente scardinabili.
Si tratta, in conclusione, di aggiornare la nostra prospettiva di ricerca-
tori per un diverso oggetto di ricerca. In questo articolo, suggerisco che
lo specifico italiano del panorama della popular music degli anni Ottanta e
Novanta sia, soprattutto, dovuto alla rivoluzione che investe il paesag-
gio dei media: l’affermarsi delle radio e delle TV private, che diventano
nel corso degli Ottanta il principale canale di diffusione della musica,
soprattutto di quella mirata a un pubblico giovanile, non può essere
privo di conseguenze sullo sviluppo della popular music italiana e dei
suoi significati. Dedicarsi allo studio della musica in questo, e di questo,
nuovo contesto è fondamentale, soprattutto in un momento in cui gli
anni Ottanta e Novanta sono oggetto di una lenta storicizzazione come
decenni del cosiddetto “berlusconismo”, e al contempo di una rilettura
nostalgica a più livelli.
Questo intervento vuole dunque essere un primo contributo ad uno
studio critico della musica prodotta e ascoltata in Italia nell’ambito del
mutato sistema dei media. Il case study proposto – quello della band pa-
vese 883 – è stato scelto per diversi motivi. Innanzitutto, la rapida asce-
sa della band nei primi anni Novanta è utile per verificare il funziona-
mento del sistema promozionale in un momento in cui radio e TV pri-
vate hanno, infine, raggiunto una dimensione nazionale. In secondo
luogo, il gruppo stesso è – per motivi generazionali – “figlio” degli anni

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Ottanta e del medesimo contesto mediatico e culturale, come emerge
chiaramente dall’autobiografia del leader Max Pezzali.10
Questi aspetti, strettamente interrelati, saranno trattati nella prima
sezione di questo articolo. Seguendo la prospettiva delineata da Keith
Negus, la produzione musicale non è da considerarsi come la conse-
guenza di un sistema industrial-capitalista imposto dalle major, e le pra-
tiche musicali connesse come un effetto di logiche commerciali o ge-
stionali: è la “cultura” che “produce un’industria” e non il contrario.11 Il
caso degli 883 dovrebbe dunque mostrare come a un mutato sistema
dei media si associno pratiche di produzione e fruizione musicale ade-
guate, e viceversa.
Il capitolo seguente sarà dedicato ad una sommaria analisi di come
scelte musicali, retoriche, tematiche e linguistiche contribuiscano a sug-
gerire un’interpretazione comunitaria dei brani degli 883, parte decisiva
del loro successo di pubblico e della loro persistente presenza, ancora
oggi, negli ascolti di giovani e meno giovani. Questo punto è tanto più
decisivo in quanto la band è assurta, soprattutto negli ultimi anni, a cult
generazionale, ed è oggetto di un recupero in chiave nostalgica e di una
rivalutazione estetica precisamente in quanto prodotto degli anni No-
vanta: di questo si occuperà il terzo paragrafo.

2. “La radio a 1000 watt”: nuovo pubblico e nuovi canali

Lo storico dei media Franco Monteleone riporta come il fenomeno


più rilevante nella radiofonia italiana nel corso degli anni Ottanta sia
stato “il crescente interesse di un numero sempre maggiore di editori
radiofonici ad estendere l’ambito di attività della propria emittente fino
a farne una radio nazionale”.12 Ciò avviene, soprattutto, caratterizzando
la programmazione per intercettare il pubblico giovanile, attraverso la
programmazione di hit del pop internazionale: la prima a tentare questa
via è Radio 105, ma all’inizio degli anni Novanta, di dodici radio private
a dimensione nazionale, nove sono radio musicali, che differenziano il
loro target fra giovani-giovani adulti (24-34 anni) e giovanissimi (11-24
anni; Storia della radio e della televisione in Italia, p. 508). Non c’è da stupirsi
che, in questo contesto, si ribaltino anche i tradizionali equilibri
dell’industria musicale. Annota Francesco D’Amato come, parallela-

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mente al definitivo affermarsi delle radio private nazionali intorno alla
metà degli anni Novanta, queste guadagnino per la prima volta una po-
sizione di maggior peso rispetto al comparto discografico.13
In questi anni, la novità più significativa nella programmazione delle
radio private è un deciso investimento sulla musica italiana. All’inizio
dei Novanta, Radio Italia Solo Musica Italiana, pioniera della program-
mazione “monolingua”, risulta – quasi a sorpresa – in cima alle classifi-
che di ascolto di Audiradio.14 Il suo successo rompe “l’approccio este-
rofilo” e “[costringe] anche le reti portabandiera del modello anglofilo
(Rete 105 e Deejay Network) a intervenire sulla programmazione ade-
guandola a questo nuovo corso” (Storia della radio e della televisione in Ita-
lia, p. 509).
È in questo contesto che nascono e raggiungono il successo gli 883:
Max Pezzali (nato nel 1967), cantante e autore principale, e Mauro Re-
petto (del 1968), entrambi di Pavia. Dopo una serie di velleitari tentativi
(compreso un demo quasi-rap cantato in inglese, e una partecipazione al
programma 1-2-3 Jovanotti su Italia 1, a nome I Pop – gioco di parole
con hip hop), gli 883 debuttano fra la fine del 1991 e l’inizio del 1992 con
una serie di singoli. Fra questi, “Hanno ucciso l’uomo ragno” diventa il
tormentone assoluto dell’estate 1992, a supporto di un omonimo full
length. Pubblicato nel maggio del 1992, il disco raggiunge il primo posto
in classifica in agosto e diventa uno dei best seller dell’anno con oltre
600mila copie vendute in pochi mesi (I cowboy non mollano mai, p. 90).15
Ancora meglio fa, l’anno successivo, il secondo lp del gruppo, Nord Sud
Ovest Est, che rimane per quaranta settimane in classifica, di cui dieci al
vertice, vendendo oltre un milione e 350mila copie. Dopo un disco di
remix (1994) che raccoglie alcuni singoli confezionati per il mercato
delle discoteche, Repetto lascia il gruppo al solo Pezzali, che continua
con musicisti di volta in volta diversi, incidendo altri quattro album a
nome 883: La donna il sogno e il grande incubo (1995), La dura legge del gol!
(1997), Grazie mille (1999) e Uno in più (2001). Nel 2002 decide di prose-
guire la sua carriera a nome Max Pezzali, non variando sostanzialmente
il proprio stile.
Il lancio degli 883 si deve a Claudio Cecchetto, personaggio chiave
per capire la musica italiana degli ultimi vent’anni del novecento: DJ e
intrattenitore in discoteca (sua la hit “Gioca Jouer”, anno 1981) e in
radio, dirigente a Radio Milano Internazionale e Radio 105, presentato-

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re su Telemilano, conduttore di Festivalbar e – sulla Rai – del Festival
di Sanremo (dal 1980 al 1982), fondatore di Radio Deejay (nel 1982) e
di Radio Capital. Nel 1984, con il programma Deejay Television, trasmes-
so in contemporanea in radio e in TV su Italia 1, Cecchetto è pioniere
di una joint venture fra radio e televisione commerciale destinata a grande
successo. Secondo il racconto di Pezzali (I cowboy non mollano mai, p. 81),
Cecchetto ascoltò una cassetta autoprodotta e invitò gli 883 a incidere
per la sua etichetta indipendente FRI (Free Records Independent), che
negli stessi anni pubblicava i successi di Fiorello e Jovanotti, oltre a po-
polari compilation di brani dance spesso coprodotte con Fininvest e
ampiamente reclamizzate in TV (ad esempio la serie Hits on Five). Il
contesto è dunque quello milanese, dove fra radio e TV private c’è una
grande circolazione di artisti e professionisti in un clima di entusiasmo e
sperimentazione, come mostrano molti resoconti di quegli anni, a parti-
re dalla recente autobiografia dello stesso Cecchetto, e da quella – già
citata – di Pezzali.15
Il modello di lavoro di FRI è innovativo: le prime registrazioni della
nuova band si tengono in uno studio interno all’edificio che ospita Ra-
dio Deejay. Gli 883 possono usufruire della consulenza, in fase di pro-
duzione, del capo della programmazione dell’emittente Pier Paolo Pero-
ni, che figura anche come produttore dei primi lavori del gruppo.

Claudio [Cecchetto] allora ha chiesto a Pier Paolo [Peroni],


che in quel momento curava la programmazione musicale
della radio, di occuparsi di noi. “Tu che senti un sacco di
musica, vedi se riesci a smuovere questa impasse” ha detto.
Pier Paolo ci ha portato dei dischi … (I cowboy non mollano
mai, p. 83).

La prima promozione è – naturalmente – offerta dalle radio private:


Deejay e le radio “amiche” passano i pezzi della “loro” band:

Senza un video, senza nessuna promozione, le canzoni co-


minciavano a farsi strada, soprattutto alla radio … E noi
siamo diventati una specie di fenomeno misterioso: quelli
che nessuno aveva mai visto in faccia. Eravamo primi in

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classifica, avevamo il pezzo dell’estate, ma non ci conosceva
nessuno. (I cowboy non mollano mai, p. 89)

Anche l’ormai solido circuito delle discoteche si alimenta da – e ali-


menta a sua volta – questo sistema: gli speaker delle radio sono spesso
DJ residenti o ospiti delle serate, e “cavalcano” i medesimi dischi che
mandano in radio. Lo stesso Peroni – e altri DJ di Deejay – confeziona-
no remix dance dei brani degli 883 permettendone la diffusione in quel
contesto, e proprio nelle discoteche – e per il pubblico delle discoteche
– si tiene il primo tour del gruppo.

Avremmo potuto mettere in piedi uno show ultratecnologi-


co, una cosa da U2, però ci avrebbe costretti ad andare nei
palasport e quindi a fare poche date. Abbiamo preferito
montare uno show con le basi su Dat e noi che cantiamo, e
andare nelle discoteche, in tanti piccoli posti, dove poter
guardare in faccia il nostro pubblico. Ed è stata una sorpre-
sa scoprire di avere un pubblico eterogeneo, che va dai 14
fino ai 30 anni.16

È quasi naturale che i pezzi degli 883 filtrino da subito nelle TV com-
merciali. In quegli anni si sta consolidando definitivamente il sistema
duopolistico che tutt’ora oppone la Rai al gruppo Fininvest (ora Media-
set) di Silvio Berlusconi, definitivamente sancito dalla Legge Mammì nel
1990. In quel momento, tanto le radio quanto le TV commerciali condi-
vidono un obiettivo primario: giunte infine a trasmettere su scala italia-
na, puntano ad accedere ad un mercato pubblicitario nazionale. La stra-
tegia è anche quella di puntare su target ben precisi: quello dei giovani e
giovanissimi è uno dei principali. La popular music è indubbiamente
uno dei mezzi usati per raggiungere questo fine, insieme – ad esempio –
ai cartoni animati, soprattutto giapponesi, monopolio in Italia delle TV
private dalla fine dei Settanta.
L’impressione è che, in questi anni, i media commerciali agiscano co-
me un sistema unico. Il caso degli 883 è, ancora, esemplare: i diritti edi-
toriali delle canzoni di tutti i primi album sono equamente divisi fra la
Warner Music (che deteneva però un accordo pregresso con il gruppo),
la Dj’s Gang srl. di Cecchetto e il gruppo Fininvest, attraverso la sua

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società Canale 5 Music srl., o la connessa RTI Music. Non ci si stupisce,
dunque, che gli 883 trovino sovente asilo nei programmi Fininvest (ad
esempio, vincendo due Telegatti nelle due edizioni del 1992 e del 1993).
Riporta Mario De Luigi come fosse pratica comune quella dei
“pagamenti cambio merce (in royalty sulle vendite)”degli spot o, possia-
mo supporre, dei passaggi televisivi (Storia dell’industria musicale italiana, p.
55, e comunicazione personale).
Negli stessi anni arriva al grande pubblico un’altra scoperta di Cec-
chetto: Fiorello. Il suo programma su Italia 1, Karaoke, è un fenomeno
di costume e uno dei maggiori successi televisivi fra il 1992 e il 1994.
Una delle canzoni più eseguite al Karaoke 1993 è– naturalmente – un
brano degli 883, “Nord Sud Ovest Est”, uno dei maggiori successi di
quell’anno. Nel suo saggio dedicato alla trasmissione, Paolo Prato anno-
ta come Karaoke dovesse agire di concerto con l’industria del disco,17
quindi sia rispecchiandone le politiche, sia dettandole. Il pubblico di
riferimento del Karaoke, di fatto, è il medesimo degli 883: composto da
giovani e giovanissimi (bambini compresi), spesso dal popoloso bacino
della provincia italiana dove – dice Prato – “la vita è più soggetta alla
routine di quanto non sia nelle grandi città, e l’aura seduttiva di essere
un eroe della TV è più invitante” (From TV to Holidays. Karaoke in Italy,
p. 102).
Karaoke e altri programmi coevi permettono di verificare il lento im-
porsi di un modello di intrattenimento televisivo e radiofonico, dettato
dalle agende dei canali commerciali, che ha rotto oramai radicalmente
con quello della TV nazionale. La comparsa sulle scene dell’emittenza
privata ha avuto conseguenze di lungo periodo anche sulla socializza-
zione dell’infanzia: la TV privata, non più legata a modelli pedagogici,
“considera lo spettatore (adulto e bambino) target della pubblicità”. I
bambini seguono gli stessi programmi televisivi, senza distinzioni di
“classe sociale, … zona geografica d’appartenenza e, tanto meno ses-
so”.18 La TV e le radio, a partire dagli anni Ottanta, hanno contribuito a
creare una nuova comunità giovanile, definita da ascolti e visioni condi-
vise. È superfluo, e forse riduttivo, annotare come la generazione degli
adolescenti e dei giovani primi anni Novanta – quella che affolla le piaz-
ze per Karaoke e canta le canzoni degli 883 (e di cui fanno parte gli 883
stessi) – sia una delle prime generazioni per cui la socializzazione televi-
siva ha giocato un ruolo decisivo.

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3. “La regola dell’amico”: musica, retorica, lessico e comunità

Nel suo lavoro sulla musica e il pubblico giovanile, Alessandro Carre-


ra annotava che “da quando esiste la cultura giovanile... la musica è stata
il suo linguaggio privilegiato. Intorno alla musica si è quindi stretto un
grappolo di bisogni, dei quali il più forte è senza dubbio quello di iden-
tità. Per questo le trasformazioni in atto in questa cultura si colgono
con grande immediatezza nei momenti in cui questa identità prende
corpo sotto forma di pubblico”.19 Nella sezione precedente ho osservato
come gli 883 siano arrivati al successo nel momento in cui il nuovo si-
stema dei media commerciali stava creando un nuovo pubblico, pun-
tando decisamente sui giovani e i giovanissimi. Non è lo scopo di que-
sto saggio provare a spiegare i meccanismi del successo del gruppo, né
meno che mai sottintendere – adornianamente – che sia stato il sistema
dei media ad imporlo. La domanda è piuttosto: è possibile riconoscere,
nelle canzoni degli 883, elementi che consolidino questa tesi
dell’esistenza di un nuovo pubblico, di una nuova comunità giovanile,
nell’Italia dei primi anni Novanta? In che misura la musica degli 883
segna una discontinuità rispetto alle produzioni precedenti?
La musica delle canzoni degli 883 allude massicciamente ai coevi suc-
cessi dance e pop/rock (compreso quel filone di esposizione mediatica
dell’hip hop attivo dalla metà degli anni Ottanta), e incorpora attiva-
mente le nuove tecnologie domestiche disponibili sul mercato. È, già
prima dell’incontro con Cecchetto, l’ideologia del do it yourself mutuata
dall’hip hop, il bricolage digitale casalingo, a guidare la composizione,
come racconta lo stesso Pezzali:

Il Korg [M1], e l’s-550 poco dopo, hanno cambiato tutto.


Campionare mi piaceva da impazzire, ancor più che suona-
re, e il campionamento diventò la base della mia musica. Il
do it yourself, riciclare quello che esisteva già e assemblarlo in
maniera diversa, era proprio quello che adoravo del mondo
hip hop, insieme all’aspetto “artigianale” del tutto… Per me
il campionamento era il futuro, e ogni volta che costruivo
un pezzo da un campione mi divertivo cento volte di più:
dovevo raddrizzare delle cose che non andavano, modificar-
ne armonicamente altre per farle stare bene nel pezzo. Molte

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canzoni degli 883 sono nate così: “Te la tiri” ha sotto un
campione di “Hells Bells”degli AC/DC, assolutamente ille-
gale ma talmente breve e nascosto da essere quasi irricono-
scibile. Mi era servito solo come punto di partenza. “Con un
deca” è costruita su un campione della batteria di “Sweet
Louise” degli Ironhorse, preso da una cassettina che avevo
vinto in discoteca (I cowboy non mollano mai, p. 65).

Anche in studio, i successi degli anni precedenti forniscono idee e


materiale: ad esempio – dichiara lo stesso Pezzali (I cowboy non mollano
mai, p. 83) – “Shout” dei Tears for Fears offre la struttura ritmica per
“Non me la menare”, ma molti altri esempi potrebbero essere trovati.
La tavolozza dei suoni e degli effetti impiegati è quella che ci si aspette-
rebbe da una produzione pop nei primi anni Novanta, talvolta arricchita
con un uso quasi didascalico – “da cartone animato”– di rumori (le sire-
ne in “Hanno ucciso l’uomo ragno”) o cliché musicali (le trombe simil-
mariachi e le grida “messicane” in “Nord Sud Ovest Est”).
Le canzoni sono perlopiù costruite su una struttura strofa/ ritornello
piuttosto tradizionale, occasionalmente con un bridge (anche strumen-
tale) dopo il ritornello. La struttura di quasi tutti i brani propone varia-
zioni su questo schema, e pare esemplare della descrizione che ne dà
Fabbri: “discorsivo, coinvolgente, additivo, finalistico”.20 Nel primo
disco, in cui molte strofe sono di fatto rappate o quasi, l’effetto di
“grigio” è ulteriormente amplificato. Talvolta – è il caso di “Hanno uc-
ciso l’uomo ragno”– la strofa è divisa in due parti musicalmente diverse,
in cui la seconda funge da “lancio” per lo hook principale, aumentando
l’attesa per il momento del climax.
Le strofe sono quasi sempre di carattere narrativo, e introducono una
situazione, un evento o un contesto; il ritornello contiene il fulcro
dell’interesse della canzone, spesso fungendo da commento o chiosa
alla situazione esposta nella strofa. Musicalmente, il ritornello tipico
degli 883 ha i caratteri di un singalong, nella definizione che ne dà Tagg:
una melodia o un passaggio che suona “facile da cantare per i membri
di un pubblico”.21 Nel singalong è dunque implicita una dimensione collet-
tiva dell’ascolto, facilitata – appunto – dalla cantabilità (in coro) e, ad e-
sempio, dalla regolarità ritmica.
Sebbene la voce di Pezzali non sia doppiata, essa allude al canto in
coro, grazie anche alla sua qualità: una voce naturale, spesso leggermen-

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te sguaiata. Si noti anche come la voce sia sempre registrata all’italiana,
in primo piano rispetto agli strumenti e con poco effetto, rinforzandone
la vicinanza prossemica all’ascoltatore. Un collegamento potrebbe esse-
re azzardato anche con le tipologie armoniche e strutturali delle sigle dei
cartoni animati così come sono state descritte da Martinelli.22
La dimensione “collettiva” suggerita dalla musica di molti brani degli
883 è rinforzata dalle scelte linguistiche, retoriche e di contenuto dei
testi, che rappresentano la vera novità introdotta dagli 883 nella canzo-
ne italiana. A livello di contenuto, la quasi totalità dei brani degli 883
rientra in tre macrotemi – ironicamente (ma puntualmente) identificati
da un articolo come “Figa, sfiga, amici”.23 Se dal secondo album com-
paiono anche brani d’amore più tradizionali e “di genere” (ad esempio
“Come mai”, vincitore al Festivalbar 1993), un grandissimo numero di
canzoni degli 883 (empiricamente, direi, le più amate dai fan) fa riferi-
mento – direttamente come tema della narrazione, o indirettamente
come sfondo – alla comunità ristretta degli amici, compagni di avventu-
re mediocri nella provincia pavese, frequentatori di bar che sognano la
fuga (magari nell’America del “mito”), che parlano di calcio, di donne,
di motori (peraltro, il nome 883 è preso da un modello di Harley David-
son).
L’elemento tematico è pienamente inscritto nelle scelte retoriche co-
muni a queste canzoni. Alcune introducono il pronome “noi” come
soggetto lirico della canzone (unico o alternato all’“io”) e il gruppo di
amici come protagonisti/emittenti. Altre, più intimiste e personali, man-
tengono invece un più tradizionale io lirico, ma collocano la comunità
degli amici come destinatario, o almeno come contesto, della narrazio-
ne. Al primo gruppo appartengono pezzi classici come “Jolly Blu”,
“Con un deca” (da Hanno ucciso l’uomo ragno), “Rotta x casa di Dio”,
“Weekend” (da Nord Sud Ovest Est), “La radio a 1000 watt” (da La don-
na, il sogno e il grande incubo), e molti altri. Nel secondo rientrano invece
brani come “Senza averti qui” (ottavo al Festival di Sanremo 1995) e
“Gli anni” (entrambi in La donna, il sogno e il grande incubo), o “La regola
dell’amico” (dall’album omonimo).
Naturalmente, la pratica di cantare canzoni in prima persona plurale –
soprattutto da parte di band – non è affatto nuova nella canzone italia-
na. Tuttavia, il “noi” degli 883 è molto diverso da quello che incarnava
la voce della comunità giovanile degli anni Sessanta, esemplificato da

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brani come “Ma che colpa abbiamo noi”, o “Noi non ci saremo”. Così
come è differente dal “noi” generazionale di Vasco (come nell’inno
“Siamo solo noi”, 1981: “Siamo solo noi / generazione di sconvolti che
non han più santi né eroi”) o di Ramazzotti (“Siamo ragazzi di oggi /
pensiamo sempre all’America”, da “Terra promessa”, 1984), per citare
due casi celebri.24 Non è neanche – almeno a partire dall’abbandono di
Repetto – percepito dal pubblico come un “noi” di gruppo, quanto
piuttosto come l’“io” del “cantautore” Max Pezzali. Nel suo “noi” non
c’è alcun riferimento generazionale, quanto piuttosto la celebrazione
della propria cerchia quotidiana: “noi” sono gli amici del bar, il gruppo
fedele, al punto che alcuni personaggi, o tipi umani, ritornano da una
canzone all’altra (sarebbe in effetti interessante confrontare questi brani
con i coevi brani di Luciano Ligabue, spesso in prima persona e con
personaggi ricorrenti).
Le scelte linguistiche – l’altra grande innovazione delle canzoni degli
883 – contribuiscono a rinforzare questa interpretazione. I brani abbon-
dano di elementi gergali giovanili ed espressioni idiomatiche (“Deca”
per “Diecimila lire”, “Te la tiri”, “Sfigato”…; anche rese graficamente,
nei titoli dei brani: “S’inkazza”, “Rotta x casa di Dio”), parolacce (che
certo ebbero un ruolo nel primo successo del gruppo presso i più gio-
vani) e anglicismi. Questi ultimi, in particolare, sono perlopiù usati in
chiusura di verso per fornire le tronche – di cui l’italiano scarseggia.
L’accento tonico “naturale”delle parole è raramente rispettato, a tutto
vantaggio della narrazione, che si sviluppa con minori costrizioni metri-
che, e delle linee melodiche, piuttosto varie. Gli elementi giovanilisti,
comunque, vanno diminuendo già a partire dal secondo album. Come
viene annotato in uno dei pochi contributi specialistici disponibili sulla
band, firmato dai linguisti Francesco De Rosa e Gianluigi Simonetti e
dedicato proprio all’“innovazione linguistica” dei testi,

[a] tenere insieme il tutto è un collante linguistico di tipo


mimetico, non espressionistico: il linguaggio impiegato quo-
tidianamente da adolescenti e giovani nel distretto indu-
striale che circonda Milano – un’area metropolitana che si
configura da tempo, sulla scorta di un solido primato socio-
economico e mediatico, come culla del modello linguistico
dell’italiano parlato contemporaneo.25

223
Questa “mimesi naturalistica” è tuttavia da ritenersi, secondo gli auto-
ri del saggio, “una mimesi senza localismo, dal momento che
l’unificazione linguistica promossa dai mass media, sommata al consolida-
to primato culturale del Nord e all’ossessione consumistica per tutto ciò
che è giovanile, fa in modo che tutta l’Italia tenda ad assomigliare a quel
paesaggio padano, a parlare quella lingua pseudoadolescenzia-
le” (Innovazione linguistica e visione del mondo…, p. 118). Quello degli 883 è,
insomma, un nuovo italiano: quello parlato, soprattutto, dai nuovi media.
Un ottimo esempio, anche sintattico (nonostante non manchino inver-
sioni, anche forzate, per far rimare i versi), di quel parlato quotidiano, di
registro medio o basso, definito “italiano dell’uso” o “neostandard”.26
In questa prospettiva, “il plurilinguismo” non è una scelta stilistica, ma
una “formula realistica che suggella la scelta di un punto di vista colletti-
vo”(Innovazione linguistica e visione del mondo…, p.127).
Il ricorso a strategie musicali e compositive che rinforzerebbero
un’idea di collettivo; la costante presenza tematica dei “miti” contempo-
ranei (il calcio, l’America…) come fuga dalle quotidianità mediocri della
vita in provincia; le strategie retoriche e linguistiche; sono tutti segnali
che contribuiscono a rafforzare una medesima idea di comunità, e che
“selezionano” un pubblico, implicando una autenticità “di esperienza”.
Nella definizione di Allan Moore: quella tipologia di autenticità che si
verifica quando una performance riesce a trasmettere all’ascoltatore
l’impressione che la sua esperienza di vita sia validata, che la musica stia
“dicendo le cose come stanno”.27 All’inizio degli anni Novanta questa
autenticità è decisiva nell’apprezzamento, da parte di una certa fetta di
pubblico giovanile, delle canzoni degli 883, e contribuisce oggi alla loro
rivalutazione estetica e alla loro rilettura in chiave nostalgica.

4. “Gli anni”: nostalgia e revival

Negli ultimi anni le canzoni degli 883 sono state oggetto di un pro-
fondo ripensamento e rivalutazione tanto da parte del pubblico quanto
della critica. La ricezione critica degli 883 al momento della loro uscita
non mancò di stigmatizzare il loro carattere di mass cult, stroncandone la
volgarità, il giovanilismo, la facilità melodica. Esemplare, in tal senso, la
recensione di un concerto milanese uscita su L’Unità, che perpetua – in

224
maniera piuttosto pedissequa – numerosi cliché retorici della critica high
brow e “di sinistra”.

…ogni mossetta è un boato, un coro di urla e delirio. Gio-


vani, giovanissimi, abbiamo incontrato anche diversi bam-
bini in braccio da età prescolare. Tutti figli del “karaoke”
televisivo di Fiorello e company, pronti ad esaltarsi per i
ritmi ballerini di “Hanno ucciso l’uomo ragno” e simili.
Identificandosi in quelle liriche furbe e facilotte dense di
slang e qualche parolaccia, il lessico deteriore di oggi, roba
da fumetto di consumo usa e getta senza rimpianto …
[M]ancano solo le sovraimpressioni sullo schermo e
l’effetto karaoke sarebbe perfetto. Poco male, tanto il pub-
blico sa tutto a memoria …“Come mai”, l’unico lento e
l’unico brano decente del gruppo, ballata romantica di bella
presa. Il resto è stolida dance ripetitiva e scontata, melodie
risapute fino alla nausea, un sottoprodotto culturale. Che i
ragazzi si bevono d’un fiato … [V]iene in mente
l’indimenticato Moretti di “Andiamo avanti così facciamoci
del male”. Azzeccatissimo.28

Il percorso degli 883, dagli esordi a oggi, è però quello di un lento


sdoganamento critico, attraverso due strategie principali. Da un lato, si
riconosce a posteriori alla band il ruolo di anticipatrice e propiziatrice di
numerose tendenze linguistiche della canzone italiana contemporanea, e
la si rivaluta per aver saputo incarnare, meglio di chiunque altro, un cer-
to “spirito del tempo”. Ben riassume, ad esempio, Edmondo Berselli:

Naturalmente i critici hanno catalogato fin dagli inizi gli 883


nel settore “basso” del consumo musicale. Li considerava-
no un’operazione di marketing, un prodotto industriale,
detrito commerciale, spot pubblicitario gestito dalla Cec-
chetto-factory… trash essenziale … Ehm, che errore, e che
imprudenza. Possibile che nessuno si sia accorto che gli 883
rappresentano innanzitutto un’operazione sociologica, ma-
gari irritante ma irrilevante proprio no?29

225
Il 2012, anno del ventennale da Hanno ucciso l’uomo ragno, vede l’uscita
di due dischi tributo al repertorio della band. Il primo – Hanno ucciso
l’uomo ragno 2012 (Warner) – è un remake a cura dello stesso Pezzali con
featuring di nove artisti rap italiani fra i più noti. L’altro, intitolato Con due
deca e distribuito dal noto portale web Rockit, ospita ventuno cover a
cura di altrettanti nomi della nuova scena indipendente italiana, fra cui I
Cani, Selton, Colapesce, Amor Fou... I Cani in particolare, band romana
fra le più rappresentative del nuovo indie italiano, hanno diviso il palco
con Pezzali durante l’edizione 2014 del Traffic Festival di Torino. Il
titolare del progetto Niccolò Contessa spiegava così in un’intervista,
qualche mese prima, il suo interesse per gli 883.

Per me l’importante era affermare che le canzoni degli 883


hanno un loro valore, sono un’altra cosa rispetto al “Gioca
Jouer”, e adesso che pronunciare il nome di Claudio Cec-
chetto non è più una bestemmia mi sembra che ci sia la
lucidità per poterlo fare. In Max Pezzali, e nelle sue canzo-
ni, trovo molta più innovazione, sincerità e mancanza di
cinismo che in molte star “alternative”.30

Entrambi i dischi, nelle strategie di promozione e nella ricezione criti-


ca, costruiscono un collegamento (implicito o esplicito) fra Pezzali e i
giovani artisti italiani di oggi, cresciuti con gli 883: una rivalutazione a
posteriori degli 883 come ispiratori e innovatori della lingua per la can-
zone (anche della canzone d’autore), ma anche una rivalutazione di Pez-
zali come autore tout court. La pubblicazione della sua autobiografia, qui
spesso citata, nel catalogo della casa editrice indipendente ISBN, a fian-
co dei libri di Simon Reynolds, conferma l’inedito credito culturale di
cui oggi gode l’ex leader degli 883. La tendenza – ancora in corso – è
confermata dall’uscita nel 2013 di Max 20 (Warner), Best of che raccoglie
duetti e accosta Pezzali ai nomi di punta del pop italiano e della canzo-
ne d’autore: Raf, Eros Ramazzotti, Claudio Baglioni, Antonello Vendit-
ti, Edoardo Bennato, Davide Van De Sfroos… Sia Hanno ucciso l’uomo
ragno 2012 che Max 20 arrivano al primo posto in classifica.
D’altro canto – e le due strategie interpretative non si escludono – gli
883 sono oggetto di rivalutazione proprio nei loro aspetti più trash, per
quel processo nostalgico di rivalutazione del passato mediatico inteso

226
come personale, quella “logica feticista di iper-soggettivazione delle
merci”31 che si applica soprattutto a “oggetti manchevoli, desueti, guilty
pleasures, insomma non riutilizzabili tali e quali nel presente” (L’invenzione
della nostalgia, p. 10).
Rivalutazione e recupero nostalgico sembrano andare di pari passo, in
un momento in cui gli anni Ottanta e Novanta sono diventati – non
solo in Italia – un decennio infine storicizzabile, riducibile a tratti prin-
cipali, riassumibile in speciali televisivi e party a tema.32 Sempre ascoltati
e da sempre cantati in occasioni di feste o momenti sociali, gli 883 sono
uno dei gruppi italiani che maggiormente si è conservato come ascolto
condiviso e generazionale della fascia di età cresciuta con le TV e le radio
private. Le loro canzoni sono parte di una koiné musicale dei nati fra la
fine dei Settanta e la metà degli Ottanta, e anche oltre, vista la loro per-
sistenza nei palinsesti televisivi e radiofonici.
Secondo Emiliano Morreale (L’invenzione della nostalgia, p. 150), gli anni
Ottanta in Italia sono gli anni di un mutamento di sensibilità, di una
diffusa nostalgia “intermediale” che si propaga soprattutto attraverso la
televisione come fenomeno di massa. È un decennio che si modella
sugli anni Sessanta riletti in funzione mitologica; anche, in senso politi-
co, come “restaurazione” dopo il decennio dei Settanta: è la tesi ad e-
sempio di Goffredo Fofi.33 Discorso simile vale per gli anni Novanta,
“anni del vintage”, in cui “la potenza emotiva della memoria si unisce
pienamente alla pervasività dei media”(L’invenzione della nostalgia, p. 45).
Dal momento che la nostalgia è sfruttabile dal mercato, la tendenza sul
lungo periodo sembra essere quella della lenta riduzione della distanza
di tempo fra l’apparizione iniziale e il recupero in chiave nostalgica.
Le canzoni degli 883 sembrano prestarsi particolarmente a questo
tipo di rilettura nostalgica e generazionale, tanto nella loro iniziale rice-
zione (incorporante una prospettiva nostalgica “di corto raggio” che
rielabora nostalgicamente gli anni Ottanta dell’infanzia e
dell’adolescenza), quanto – soprattutto – nel loro attuale riposiziona-
mento in chiave nostalgica. È così per una delle canzoni-simbolo del
gruppo, “Gli anni”, ballad sul diventare grandi che nel singalong, appunto,
ricorda:

Gli anni d’oro del grande Real


gli anni di Happy Days e di Ralph Malph

227
gli anni delle immense compagnie
gli anni in motorino sempre in due
gli anni di “che belli erano i film”
gli anni dei Roy Roger’s come jeans
gli anni di “qualsiasi cosa fai”
gli anni del “tranquillo siam qui noi”

“Gli anni”, dunque, offre da una prospettiva “anni Novanta” un rim-


pianto per gli “anni Ottanta” (che sono anche gli anni “di Happy Days”,
icona della nostalgia degli anni Ottanta per i Sessanta). La canzone è
emblematica per come individualizza un sentimento che è generazionale,
comunitario: gli oggetti rimpianti sono mediali (o addirittura merci: i jeans
marca Roy Roger’s), e insieme frammenti di vita privata generici, piena-
mente assimilabili a quelli degli ascoltatori; questo tipo di riferimenti
sono un tópos nel repertorio degli 883. Una ricezione contemporanea de
“Gli anni” (così come di molte altre canzoni degli 883) incorpora dun-
que un livello multiplo di nostalgia che suggerisco essere peculiare della
ricezione di questi repertori. La costruzione generazionale/
comunitaria/nostalgica è insita nella stessa canzone (a livello di testo, di
linguaggio, di retorica, di musica – come mostrato precedentemente), e
viene potenziata dalle interpretazioni contemporanee in chiave nostalgica:
una “nostalgia della nostalgia”, insomma.
Secondo Morreale – che scrive sulla scia della Sociologia della nostalgia di
Fred Davis – la nostalgia da cui siamo circondati ha una natura mediale,
si genera cioè a partire da oggetti di produzione di massa, attraverso
l’“individualizzazione del passato collettivo” (L’invenzione della nostalgia,
p. 8).34 Questo tipo di nostalgia è un elemento fondante dei gruppi ge-
nerazionali: è la condivisione di un repertorio uniforme – seppur indivi-
dualizzato – di “merci visive e sonore” a permettere l’esistenza di una
“generazione”. Una nostalgia dunque generazionale, individualizzante, fetici-
sta,“infantile o adolescenziale più che giovanilista” (L’invenzione della no-
stalgia, p. 11). Siamo dunque ritornati al nostro punto: la strutturazione
di una comunità giovanile, in Italia, negli anni delle TV e delle radio
private, intorno ad ascolti e visioni condivise, anche nostalgicamente riletti
a posteriori.

228
5. Conclusioni

La dimensione “comunitaria” della popular music, di ascolto condivi-


so, è un aspetto decisivo del campo di studi, e appartiene a quella sfera
della “normalità” che è difficilmente documentabile attraverso le fonti
disponibili.35 L’ascolto “comunitario” dei brani degli 883, quel cantarli
insieme che così profondamente caratterizza la loro fruizione da parte del
pubblico – di allora e di oggi, in chiave nostalgica – sembra già inscritto
nelle canzoni stesse: nella loro struttura formale, melodica e armonica,
nei contenuti dei testi, nelle scelte retoriche e nel lessico scelto. Ripren-
dendo l’idea di “comunità immaginaria” proposta da Benedict Ander-
son per spiegare storicamente lo sviluppo delle nazioni,36 lo studioso di
cinema Rick Altman ha parlato di “comunità costellate”, come di quelle
comunità i cui membri sono “coesi solo grazie a continui atti di imma-
ginazione”.37 Non siamo lontani dall’idea di Davis e Morreale, dove è la
nostalgia (un atto di immaginazione essa stessa) a permettere l’esistenza
delle generazioni, o almeno ad articolarle in determinati intervalli tem-
porali.
Il pensare le comunità degli ascoltatori in questo modo, oltre a spiega-
re l’esistenza di categorie culturali condivise quali i generi
(cinematografici, nel caso di Altman), permette anche di spiegare quella
sensazione di essere parte di qualcosa che è così decisiva nella fruizione
della musica: comunità di generi, dunque, ma anche generazioni, nazioni,
subculture… Ed è curioso che l’immagine che Altman propone per spie-
gare il suo concetto di comunità sia quella “degli spettatori televisivi,
tutti separati e tutti rivolti verso la stessa immagine in movimento –
verso lo schermo” (Film/genere, p. 236): nel caso degli 883, e della musi-
ca italiana diffusa principalmente attraverso i media, esattamente di que-
sto si tratta. Essere parte di una generazione significava (e significa) guar-
dare, e ascoltare, gli stessi canali, e rileggere questa esperienza attraverso
la lente della nostalgia.
Che in quel sistema e le sue anomalie democratiche – a più riprese
stigmatizzate negli ultimi vent’anni – la popular music abbia giocato un
ruolo centrale, è materia tutta da indagare, e davvero decisiva per capire
l’oggi.38

229
Note
1 Una prima versione in inglese di questo saggio è stata concepita per il 1st International
Congress of Numanities, 2-7 giugno 2014, organizzato da Dario Martinelli presso
l’International Semiotics Institutea Kaunas, Lituania, e per i relativi atti. Riflessioni sul
tema vengono portate avanti nell’ambito del Gruppo di Ricerca sulla popular music
italiana negli anni Ottanta e Novanta, promosso nel 2014 da chi scrive insieme a Errico
Pavese, Gabriele Marino e Jacopo Conti, e supervisionato da Franco Fabbri. Ringrazio i
citati per i suggerimenti e il sempre fertile dibattito intorno a questi temi.
2 Franco Fabbri e Goffredo Plastino (a cura di), Made in Italy. Studies in Popular Music,

Routledge, Londra e New York 2014, p. 10.


3 Si veda ad esempio: Maiken Derno e Christopher J. Washburne (a cura di), Bad Music.

The Music We Love to Hate, Routledge, Londra 2004.


4 Mario De Luigi, Storia dell’industria fonografica in Italia, Musica & Dischi, Milano 2008.
5 Si vedano ad esempio le riflessioni di Bermani in Cesare Bermani, Una storia cantata.

1962-1997: trentacinque anni di attività del Nuovo Canzoniere Italiano/Istituto Ernesto De Marti-
no, Jaca Books, Milano 1997.
6 Ad esempio in Nanni Balestrini e Primo Moroni, L’orda d’oro. 1968-1977, Feltrinelli,

Milano 1998 e Giovanni De Luna, Le ragioni di un decennio. 1969‐1979. Militanza, violenza,


sconfitta, memoria, Feltrinelli, Milano 2011, p. 124.
7 Gianni Borgna, Storia della canzone italiana, Laterza, Roma/Bari 1985, p. 222.
8 Felice Liperi, Storia della canzone italiana, Rai-ERI, Roma 1999, p. 471.
9Alessandro Carrera, “Franco Battiato’s Esoteric Pop”, in Made in Italy. Studies in Popular

Music, Routledge, Londra e New York 2014, pp. 140-141.


10 Max Pezzali, I cowboy non mollano mai. La mia storia, ISBN, Milano 2013.
11 Keith Negus, Music Genres and Corporate Cultures, Routledge, Londra 1999, p. 19.
12 Franco Monteleone, Storia della radio e della televisione in Italia, Marsilio, Venezia 1992, p.

504.
13 Francesco D’Amato, “Culture e operatori industria fonografica italiana”, in La cultura

come capitale. Consumi, produzioni, politiche, identità, a cura di Marco Santoro, il Mulino,
Bologna 2009, p. 157.
14 Molto significativamente, Audiradio nasce pochi anni prima, nel 1988, per rilevare gli

ascolti (a fini pubblicitari) sia della Rai che delle radio private.
15 Cfr. anche John Joseph Spinetoli, Artisti in classifica (album) 1970-1996, Musica & Di-

schi, Milano 1997.


16 Claudio Cecchetto, Il Gioca Jouer della mia vita, Baldini e Castoldi, Milano 2014.
17 Max Pezzali intervistato in Alba Solaro, “Quel ‘mito’ da 800 mila copie”, L’Unità, 28

ottobre 1993, p. 21.


18 Paolo Prato, “From TV to Holidays: Karaoke in Italy”, in Karaoke Around the World.

Global Technology, Local Singing, a cura di Toru Mitsui e Shuhei Hosokawa, Routledge,
Londra 1998, p. 110.
19 Giovannella Greco, Socializzazione virtuale. Bambini e tv nei nuovi scenari tecnologici, Rub-

bettino, Catanzaro 2000, p. 109.


20 Alessandro Carrera, Musica e pubblico giovanile. L’evoluzione del gusto musicale dagli anni

Sessanta ad oggi, Feltrinelli, Milano 1980, p. 25 (nuova edizione ampliata, Odoya, Bologna
2014).

230
21 Franco Fabbri, “Forme e modelli delle canzoni dei Beatles”, in Il suono in cui viviamo, Il

Saggiatore, Milano 2008, p. 168.


22 Philip Tagg, Music’s Meaning, The Mass Media Music Scholars’ Press, New York &

Huddersfield 2012, p. 601.


23 Dario Martinelli, “Le sigle dei cartoni animati in Italia tra gli anni 70 e 80”, Studi Musi-

cali 36 (2007), pp. 269-288.


24 Galeazzi Chiara, “Semantica dei testi di Max Pezzali”, in Noisey, 17 Ottobre 2013,

http://noisey.vice.com/it/read/lanalisi-dei-testi-di-max-pezzali; consultato: 18 ottobre


2014.
25 Jacopo Tomatis, “‘This Is Our Music’: Italian Teen Pop Press and Genres in the

1960s”, IASPM@Journal 4, 2 (2014), pp. 24-42.


26 Francesco De Rosa e Gianluigi Simonetti, “Innovazione linguistica e visione del mon-

do nella canzone di consumo degli ultimi anni: il caso degli 883”, Contemporanea, 2003, p.
118.
27 Paolo D’Achille, L’italiano contemporaneo, Il Mulino, Bologna 2003.
28 Allan Moore, “Authenticity as Authentication”, Popular Music 21 (2002), p. 220.
29 Diego Perugini, “883, il ‘mito’ in playback”, L’Unità, 14 Dicembre 1993, p. 22.
30 Edmondo Berselli, “Il ‘fast thought’ di Max Pezzali”, in Canzoni. Storie dell’Italia leggera,

il Mulino, Bologna 2007, p. 163.


31 Jacopo Tomatis, “La paura dei Cani”, Il giornale della musica, novembre 2013, p. 28.
32 Emiliano Morreale, L’invenzione della nostalgia. Il vintage nel cinema italiano e dintorni, Don-

zelli, Roma 2009, p. 37.


33 Arno van der Hoeven, “Remembering the Popular Music of the 1990s: Dance Music

and the Cultural Meanings of Decade-Based Nostalgia”, International Journal of Heritage


Studies 20 (2014), pp. 316 – 330.
34 Goffredo Fofi, Pasqua di Maggio. Un diario pessimista, Marietti, Casale Monferrato 1984,

pp. 58-59. Citato in L’invenzione della nostalgia, p. 154.


35 Fred Davis, Yearning for Yesterday: A Sociology of Nostalgia, The Free Press, New York

1979.
36 Franco Fabbri, “What Do We Mean by ‘Empirical’?”, paper presentato alla 17esima

conferenza internazionale della IASPM, Gijón, Spagna, 24-28 giugno 2013.


37 Benedict Anderson, Comunità immaginate. Origine e diffusione dei nazionalismi, Manifestoli-

bri, Roma 1996.


38 Rick Altman, Film / Genere, Vita e Pensiero, Milano 2004, p. 236.
39 Si vedano ad esempio le riflessioni “a caldo” di Peppino Ortoleva in una postilla

dell’aprile 1994 al suo testo sulla “televisione fra le due crisi”, poco dopo il primo suc-
cesso elettorale di Silvio Berlusconi: “Sull’influenza effettiva che il mezzo televisivo ha
avuto nelle elezioni del marzo 1994 è probabilmente presto per dare un giudizio. Certo,
un dato colpisce l’attenzione: il divario dei voti tra le elezioni della camera (dove
l’alleanza che fa capo a Berlusconi ha raggiunto circa il 47%) e quelle per il Senato (dove
non ha raggiunto il 41%) indica che la popolarità dello schieramento vincitore delle
elezioni è massima proprio in quella fascia di età, dai 18 ai 25 anni, che secondo tutti i
dati noti è la meno attratta dal mezzo televisivo e che vi spende il numero minimo di
ore rispetto al totale della popolazione. Se questo è vero, l’influenza diretta della propa-
ganda televisiva non va probabilmente sopravvalutata … Forse, dobbiamo dire che
determinante, nell’elezione di Silvio Berlusconi, non è stata la propaganda televisiva, ma

231
la televisione in quanto tale, non i discorsi proposti dal mezzo quanto il valore simboli-
co assunto dal mezzo stesso. Ripensiamo al dato relativo alle elezioni per la Camera e il
Senato. Proprio il gruppo di età compreso tra i 18 e i 25 è quello cresciuto fin
dall’infanzia con la televisione commerciale, con il suo modello di pubblicità e di consu-
mi, ed è quello per il quale il nome di Silvio Berlusconi è stato fin dall’infanzia familiare
quanto quello di un divo. Tenendo conto di questa considerazione, possiamo allora dire
che se i tempi della ‘discesa in campo’ politica di Forza Italia sono stati relativamente
brevi…
i tempi della formazione del clima di opinione che l’ha sostenuta sono stati assai più
lunghi, e coprono probabilmente l’intero ventennio che è stato oggetto del saggio: deci-
siva, per la vittoria elettorale di Berlusconi, è stata soprattutto la costellazione di valori
di cui la televisione commerciale è insieme portatrice e incarnazione”. Peppino Ortole-
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Discografia

883, Hanno ucciso l’uomo ragno, FRI Records FRI 6012 2, 1992.
883, Nord sud ovest est, FRI Records FRI 6019 2, 1993.
883, Remix ’94 (Special for D.J.), FRI Records FRI 6025-2, 1994.
883, La donna il sogno & il grande incubo, FRI Records FRI 6030-2, 1995.
883, La dura legge del gol!, FRI Records FRI 11512, 1997.
883, Gli anni, FRI Records 12842, 1998.
883, Grazie mille, S4 4961742, 1999.
883, 1 in +, Warner Music Italy 8573-89582-2, 2001.
883, Love/Life. L’amore e la vita al tempo degli 883, Warner Music Italy 662013, 2002.
AA.VV., Con due deca - La prima compilation di cover degli 883, Rockit 2012.
MAX PEZZALI / 883, Hanno ucciso l’uomo ragno 2012, Atlantic 5053105299829, 2012.
MAX PEZZALI, Max 20, Wea B00CSI6K1K, 2013.

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