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origini della musica

Storia della
Musica

Musicologia
sistematica

Musicologia
applicata

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Storia della Musica

Musicologia sistematica

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Musicologia applicata

L’ETNOMUSICOLOGIA

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L'etnomusicologia è una branca della musicologia e


dell'antropologia che studia le tradizioni musicali orali di tutti i
popoli, quindi sia la musica popolare che colta.

Nacque verso la fine dell’800, in Germania, col nome di


musicologia comparata (i primi cultori di etnomusicologia furono
Béla Bartók, Constantin Brailoiu. In Italia si ricordano Diego
Carpitella e Alberto Favara).

Venne detta musicologia comparata, in quanto uno dei suoi fini è


il confronto delle musiche dei popoli extraeuropei tra loro con
quelle dei popoli occidentali.

L'etnomusicologia ha svolto un ruolo essenziale nel chiarire alcuni problemi


precedentemente posti, ma non risolti, dalla musicologia storica quali:

1. il problema delle origini della musica, col quale quasi ogni storico del ‘700 e
‘800 si era cimentato. Qui l'etnomusicologia ha mostrato in primo luogo come
sia ardito presumere che un fenomeno complesso quale la musica (portatrice di
significati e valori che variano da cultura a cultura) abbia potuto avere una sola,
unica radice; in secondo luogo, ha messo in dubbio alcune ipotesi che avevano
avuto credito fino ad allora, per esempio che il ritmo abbia preceduto
storicamente la melodia;

2. altro problema è quello della questione delle origini della polifonia:


l'etnomusicologia ha appurato che essa non è creazione esclusiva del medioevo
europeo, ma si è sviluppata anche altrove, indipendentemente da ogni processo
di occidentalizzazione. Inoltre l’etnomusicologia ha chiarito che la concezione
del fatto musicale inteso come fenomeno prevalentemente estetico è
prerogativa solo europea; altrove esso costituisce una pratica funzionale a varie
occasioni di socialità.
Audio: polifonia amazzonica

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Le teorie etnomusicologiche

MONOGENETISMO -
DIFFUSIONISMO - EVOLUZIONISMO

Teorie monogenetiche
(una sola TEORIA a spiegazione di fenomeni complessi)

Teoria diffusionista ed evoluzionista (fine Ottocento – primo Novecento)


comprende
a) la dottrina delle “aree culturali”, secondo la quale Più un manufatto
è diffuso in una determinata area, e più è arcaico.

b) l’evoluzionismo (dalle teorie di Charles Darwin che postulavano, fra


l’altro, il principio che l’intera umanità avrebbe ripercorso le medesime fasi
evolutive, dal primitivo al moderno, e che tali fasi si potevano osservare
presso le popolazioni attualmente viventi) è una branca del diffusionismo.

Si tratta di una teoria monogenetica: ovvero dà un’unica spiegazione a


fenomeni anche molto complessi.

Fra i diffusionisti citiamo:


a) Curt Sachs (Berlino, 29 giugno 1881 - New York, 5 febbraio 1959)
b) Walter Wiora (30 dicembre 1906 Kattowitz – 8 febbraio 1997 a Tutzing)
c) Mariusc Schneider (1903 in Alsazia –1982 in Baviera)

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Curt Sachs

Secondo Sachs la musica è cominciata col canto e la più antica forma di canto
conservata è quella dei Pigmei formata da due note soltanto.
L’evoluzione successiva arriva quando le note diventano 3, poi 4 e così via,
secondo il principio che dalla melodia più semplice si arriva poi alla più
complessa.

Le melodie primitive, sempre secondo Sachs, possono essere classificate in:

Logogeniche (nate dalla parola e prive di carica emotiva)

Patogeniche (originate dalle emozioni, come la gioia o la rabbia)

Melogeniche (originate dalla melodia e che si collocano in mezzo, fra


le logogeniche e le patogeniche)

Curt Sachs applicò diffusionismo ed evoluzionismo anche


all’esame degli strumenti musicali.

Dato che i sonagli avevano una diffusione geografica molto ampia,


ne dedusse che dovevano essere i più antichi.

In generale gli idiofoni a suono indeterminato sono, secondo


Sachs, gli strumenti più antichi, mentre gli idiofoni a suono
determinato, gli aerofoni, i membranofoni, i cordofoni sono più
moderni perché meno diffusi.

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Marius Schneider

Da buon evoluzionista sosteneva che la monodia fosse più antica


della eterofonia (stessa melodia intonata con piccole varianti) e
che la polifonia si fosse sviluppata dopo la monodia e
l’eterofonia.

Successivamente, gli studi effettuati «sul campo» hanno


dimostrato che ciò non è vero e che esistono aree geografiche,
come l’Amazzonia, nelle quali monodia e polifonia si sono
sviluppate contemporaneamente.

ALTRE TEORIE MONOGENETICHE –


EVOLUZIONISTICHE - DIFFUSIONISTE

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Altre teorie monogenetiche


Herbert Spencer autore dell'Origine e funzione della musica (1857) riprendendo il
pensiero di Rousseau e di Herder affermò che la musica deriva dal linguaggio parlato.
Le variazioni di intensità e di altezza sono gli effetti fisiologici delle variazioni dei
sentimenti; il canto ha avuto origine dal parlare su toni di voce acuti.

Charles Darwin in L'origine dell’uomo e la selezione in relazione al sesso (1871) collegò


le ricerche sull'origine della musica con le sue tesi sull'evoluzione e sulla selezione
naturale delle specie viventi. Il canto dell'uomo è imitazione del grido degli animali
soprattutto degli uccelli in particolare nella stagione degli amori. Anche per l'uomo la
musica era in origine il risultato dei processi di seduzione fra i due sessi.

Richard Wallaschek (La musica primitiva, 1893) affermò che nell'origine della musica
riveste una grande importanza il ritmo.

Lo seguì in questa direzione Karl Bucher in Lavoro e ritmo (1896) il quale sostenne che
l'origine dei fatti musicali e nel ritmo che accompagna i movimenti delle attività
collettive di lavoro presso le comunità tribali.

Fausto Torrefranca, autore delle Origini della Musica (1907), sostenne che i suoni
vocali sono il risultato di "gesti sonori" prodotti dall’organo di fonazione. La
ripetizione di gridi, di note, dl intervalli, è il primo passo in direzione della musica.

Carl Stumpf poté avvalersi, nei propri studi (Le origini della musica, 1911) di
fonogrammi registrati presso popoli primitivi. La musica nacque dalla necessità di
produrre dei "segnali con la voce”. Dai segnali ebbero origine suoni di diversa
altezza emessi simultaneamente o successivamente e quindi si definirono intervalli
determinati e trasponibili.

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Anche lo studio dei diversi stili di canto venne costretto entro un sistema rigido. Gli
studiosi viennesi, ad esempio, indicarono diversi stili musicali sulla base dello
sviluppo delle civiltà, le quali si sarebbero sviluppate secondo un modello simile ad
una piramide rovesciata:

A questa classificazione ne corrisponde una musicale:


tra i cacciatori l’esecuzione è disseminata da molte grida;
tra gli agricoltori prevale un arioso, regolato e tornito;
le culture pastorali occupano una posizione intermedia.

Le teorie evoluzionistiche hanno più globalmente influenzato l’organizzazione


degli studi storico-musicali: ad esempio Walter Wiora ha proposto l’ultima e
più esplicita teoria evoluzionistica nella sua periodizzazione della storia
musicale.

Secondo Wiora la storia della musica può essere classificata come segue:

a) Fase primitiva (Paleolitico 2.5 milioni di anni fa, Neolitico (8°


millennio a.C., Età del Ferro IX– III secolo a.C.)

b) Grandi civiltà dell’antichità classica e dell’Oriente (egiziani, greci,


assiri-babilonesi, indiani, cinesi ecc.)

c) Storia della musica occidentale

d) la musica della cultura industriale globale

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IL PARTICOLARISMO CULTURALE
ANTIEVOLUZIONISTA

A partire dalle ricerche dell’antropologo Franz Boas (Minden, 9


luglio 1858 – New York, 21 dicembre 1942) si è fatta strada l’idea
del particolarismo culturale antievoluzionista, in seguito ripresa
da altri studiosi.

Gli studi particolaristici, ovvero l’idea che lo sviluppo della musica


debba essere osservato nello specifico all’interno di ogni civiltà
(popolazione, villaggio, nucleo ecc) indipendentemente da sistemi
d’indagine di natura più generale , rappresenta l’ultima frontiera
della etnomusicologia.

Questa impostazione ha ricevuto enormi contributi


dall’archeologia.

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LO STUDIO DELL’ETNOMUSICOLOGIA E
GLI INFLUSSI DA QUESTA ESERCITATI
SULLA MUSICA DEL ‘900

Dalla musica primitiva ai giorni nostri

Jocul Barbatesc 0.35 Traditional


Duo No. 32, Dance of Maramaros 0.42 Bartok

Bossobe 2.01 Aka Pygmies


Clapping Music 3.28 (Aimard) Steve Reich

Bobangi 2.39 Aka Pygmies


Etude No.4, Fanfares 3.32 (Aimard) Ligeti

Zoboko (tamburi a fessura, pigmei)


Etude No.17, À Bout de Souffle 2.26 (Aimard) Ligeti

Stravinsky – Sagra della Primavera – Danza dell’Eletta


(da 43:18) Apri cartella

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Strumenti musicali

Uno studio approfondito degli strumenti dei popoli primitivi fu compiuto dal musicologo
tedesco Curt Sachs

Egli classificò gli strumenti basandosi sui caratteri morfologici (idiofoni, membranofoni,
aerofoni, cordofoni) e ne illustrò la distribuzione geografica e culturale.

I più diffusi (e quindi secondo l’opinione di Sachs, più antichi), anche perché si possono
costruire con oggetti di uso comune, sono gli idiofoni: dalla percussione del corpo
umano o di sue parti si passa alla percussione del terreno con i piedi. Altri idiofoni
primitivi sono: tronchi d’albero distesi sul terreno, o aperti, o scavati nel senso della
lunghezza (tamburi a fessura, di solito con funzioni rituali). La percussione è effettuata
con i piedi, o con le mani, o con mazze o battagli. Idiofoni di legno si possono anche
sfregare tra di loro o raschiare. Invece si agitano i vari tipi di sonagli ottenuti riempiendo
di sassolini o di semi frutti essiccati (zucche) o dal guscio duro (noci di cocco), pelli di
animali, vasi, o infilando pezzi di metallo in contenitori di legno, d'argilla e più tardi di
metallo. I tipi più complessi di idiofoni sono gli xilofoni di varie fogge, i litofoni, i gong.

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Meno vari sono i membranofoni primitivi, basati su pelli


d'animali tese su un vaso o sulla cavità costituita da una zucca o
noce di cocco e percossi con le mani. A stadi più evoluti
appartengono i tamburi in cui una o due pelli sono tese su un
recipiente di argilla o su un telaio di legno di forme diverse. I
tamburi sono di solito percossi (con le mani, con bastoni), ma
possono anche essere sfregati.

Tra gli aerofoni lo strumento più semplice è il bastone sibilante,


una tavola di legno fissata ad una corda, che volteggiando in aria
produce sibili di varie altezze, secondo la velocità.

I tipi più antichi di flauti sono ricavati da ossa di animali, svuotate


e fornite di alcuni fori laterali. Più tardi vennero i flauti di legno
con imboccatura a tacca (come nel flauto dolce) e i flauti d'argilla.
Frequenti sono anche i flauti a più canne (siringa)

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Gli strumenti meno diffusi nelle culture primitive sono i


cordofoni. Tra le forme più arcaiche sono da citare l'arco, una
corda tesa fra un’estremità di un bastone elastico e un pezzo di
corteccia stesa su una buca o tenuta con un estremità in bocca;
essa viene pizzicata o percossa; e il salterio di canna, costruito
con una (o più) sottile striscia di scorza staccata da una canna dl
bambù. Con questi principi (un telaio fisso e corde elastiche tese
su di esso e attraverso esso) furono costruiti i cordofoni più
perfezionati, classificabili per lo più nei tipi delle cetre e delle
arpe.

raschiatore

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sonagli di conchiglie

Audio tamburo (tabla) – xilofono

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il rombo rombo piccolo – rombo grande

flauto di osso

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corno di conchiglia Audio

Audio flauto di pan – Tromba di scorza d’albero

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Arco musicale

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Fonografo Edison

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Musica e mitologia

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La bocca aperta nelle statue e nei calendari aztechi

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La bocca aperta nelle statue e nei calendari aztechi

La bocca aperta nelle statue e nei calendari aztechi

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Animali simbolici e suoni originari

Il dio indiano Prajapati con la sua voce creò il cielo, le acque e la terra; alcune
popolazioni indiane d'America ritenevano che il loro dio avesse creato il mondo
cantando tre volte.

In molte culture orientali (India, per es.) grande importanza hanno gli animali, le cui
grida avrebbero mantenuto intatte le caratteristiche della voce creatrice. In seguito
(intorno al 1000) alcuni teorici dell’antichità hanno tentato di interpretare le voci
degli animali in un’ottica musicale. Lo schema seguente è tratto dal trattato indiano
Sangita-Ratnakara (XII-XIII secolo ca.) ma lo si ritrova tal quale anche nell’ampio
Musurgia Universalis di Attanasius Kirchner del XVII secolo

fa do sol re la mi si
Gallo Aquila Gru Pavone Uccelli Toro sacrif Pesce.
Leone Elefante
Leone vinto Rana
Toro Rana, Bue

San Cugat

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Musica di cultura alta nell’antichità

il Medio Oriente: Mesopotamia, Egitto, Anatolia, Siria

Grecia e Roma

Mesopotamia

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Fra le culture mesopotamiche ricordiamo i Sumeri (dal IV millennio fino al 2250


aC), la prima dotata di alfabeto.
Questa cultura dà molto spazio agli strumenti musicali:

– già prima del 3000 aC compare un’arpa arcuata. Una simile arpa da
11 fino a 15 corde si trovano raffigurate nelle tombe regali di UR (2450 aC),
insieme a grandi lire (di oltre mezzo metro d’altezza) e oboi d’argento, oboi
semplici e doppi, oltre ad arpe angolari. Le arpe potevano essere orizzontali o
verticali a seconda di come venivano suonate.
– troviamo inoltre: grandi tamburi, nacchere o castagnette,
tamburelli.

Molti dei testi sumerici sopravvissuti si datano al periodo Antico Babilonese


(1900– 1600 aC). Fra questi si ricordano:
– Testo d’esame A che contiene un questionario sulla musica da
sottoporre agli studenti in una delle scuole per scribi;

– Testo delle Accordature destinato ai suonatori di lira. Vi si


insegnano i 7 differenti modi d’accordare la lira e si dimostra come queste
accordature siano inserite all’interno d’un sistema simmetrico.

L’arpa arcuata in Mesopotamia da una tavoletta anteriore al 3000 aC

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La lira delle tombe di UR (1450 aC)

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Troviamo inoltre diverse fonti iconografiche.

Fra queste, alcuni rilievi del 668– 627 aC (regno di Assurbanipal). Ritraggono
il re che beve sdraiato nel suo giardino, sventolato dagli schiavi, la testa
decapitata di un nemico appesa a un albero, mentre la musica viene offerta
da un’orchestra di quattro arpisti, un suonatore di tamburo, un liutista e un
oboista.

Un altro rilievo mostra l’orchestra della corte di Elam (formata


probabilmente da schiavi visto che i musicisti di questa orchestra suonano
marciando in catene). Ci sono 11 strumentisti: 7 arpe verticali, un’arpa
orizzontale, due suonano l’oboe doppio, un tamburo. Ci sono poi sei adulti e
nove bambini che cantano. Una delle donne si comprime o picchietta la gola
mentre canta, probabilmente per produrre l’effetto di tremolo o un trillo di
glottide.

Egitto
Se le orchestre appaiono solo saltuariamente in Mesopotamia prima del 1000 aC,
in Egitto esse erano comuni già nell’Antico Regno (prima del 2181 aC).
Erano spesso rappresentate in dipinti tombali o in scene di banchetto.
Gli strumentisti sono generalmente maschi, e mostrati per lo più in ginocchio,
mentre le donne danzano e battono le mani a tempo.

Lo strumento più spesso raffigurato è l’arpa arcuata. A volte scorgiamo un’intera


fila di arpisti che suonano all’unisono. Accanto agli arpisti troviamo suonatori di
fiati: flauti traversi, clarinetti singoli o doppi.
Appaiono inoltre nacchere e sistri.

Una curiosa caratteristica di queste scene musicali è che di fronte agli strumentisti,
inginocchiati a loro volta, ci sono uomini che eseguono una varietà di gesti stilizzati
con le braccia e le mani. Questi “chironomisti” sembrano dirigere la musica, o
mimarla con una sorta di linguaggio da sordomuti.

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Nel Regno Medio (2133– 1786 aC) le donne musiciste


divennero più frequenti. Ci sono ancora i chironomisti anche
se più raramente rispetto a prima.
Verso la fine di questo periodo appare la lira.

Nel Nuovo Regno (dopo il 1786 aC) la lira si afferma anche in


forme diverse. Appaiono anche: l’arpa angolare, il liuto,
l’oboe doppio, il tamburello. Scompaiono i chironomisti.

Tomba di Nakht, 1450 aC

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Estremo Oriente
Ne fanno parte Cina, Corea e Giappone, tutti paesi che posseggono patrimoni culturali
molto antichi.

In tutti i paesi dell’Estremo Oriente il concetto di musica è più ampio rispetto a quello
occidentale. Il termine yue non indica soltanto la musica intesa come i suoni
organizzati creati dall’uomo ma anche la danza, i costumi, alcune forme teatrali
nonché i testi verbali utilizzati per il canto.
Nella sua più ampia accezione la musica non era semplicemente qualcosa da ascoltare
per ricavarne piacere. Nel pensiero di Confucio essa aveva anche una rilevante finalità
didattica, poiché quella buona e morigerata avrebbe potuto avere un effetto positivo
sulla morale e sulla condotta degli ascoltatori.
Se quindi i governanti si fossero accertati che nelle cerimonie civili venisse proposta
soltanto buona musica, ciò avrebbe avuto un effetto positivo sulla plebe.

Proprio in virtù dell’importanza che la musica ricopriva nella cultura cinese, questo
popolo ha creato un proprio sistema di notazione musicale già prima del 200 aC.

La musica cinese e le sue relazioni col mondo

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I cinesi hanno classificato gli strumenti musicali sulla base del materiale di cui
sono fatti. Essi hanno individuato 8 differenti “materiali sonori”:

1. metallo
2. pietra (litofoni)
3. seta
4. bambù
5. zucca
6. terra
7. pelle
8. legno

Le campane di bronzo appartenevano ad esempio alla categoria del metallo, gli


strumenti a corda a quella della seta e la maggior parte dei flauti alla
categoria dei bambù Gli strumenti per la cui costruzione s’impiegava più di un
materiale sonoro venivano assegnati a una delle categorie fondamentali,
sicché una cetra lunga con corde di seta e cassa di risonanza in legno, suonata
con un plettro pure di legno, veniva compresa nella categoria della seta.

Audio – organo
a bocca

Strumenti
della cultura
cinese

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Gli indiani
Nessuno dei popoli extraeuropei può vantare una
storia musicale cosi estesa nel tempo e varia nella
teoria e nella pratica quanto gli indiani.
La musica ebbe sempre una grande importanza nella
loro cultura. I Veda contengono numerosi canti dello
stadio più antico. Le varie dinastie, indigene o
straniere, conferirono sempre un posto di rilievo alla
musica; nelle cerimonie religiose e in quelle di corte
nei trattenimenti privati, nella letteratura e nei
trattati.

Assai complesso è il sistema musicale indiano, che risale al II secolo a.C. e si basa sopra
un numero grandissimo di scale. Base comune a tutte le scale è l'ottava, suddivisa, come
nel sistema occidentale, in sette tra toni e semitoni Ma l’organizzazione di questa scala
era molto complessa, in quanto ognuno degli intervalli era suddiviso in due, in tre o
quattro srutis o elementi: in tutto 22 srutis come si vede dal seguente schema ricostruito
dal Sachs:

Questa articolazione consentiva un numero notevolmente alto di scale modali,


differenti fra loro per la posizione dei toni e dei semitoni e per le note di riferimento (le
nostre tonica, sottodominante, dominante ecc.). Tali modi avevano il nome di ragas,
che significa colore, stato d'animo; ogni raga stabiliva un modello di melodia. Il numero
di ragas e molto alto; i teorici ne elencano diverse migliaia.

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Gli indiani usarono numerosi strumenti, che i testi raggruppavano in quattro


categorie: gli idiofoni (specialmente i cimbali); i tamburi, molto antichi tra cui
il tabla, coppia di tamburi: di ottone e semisferico quello suonato con la mano
sinistra, di legno e cilindrico quello per la mano destra; gli strumenti a fiato
(vari tipi di flauti di bambù; oboi) e, più importanti di tutti, i cordofoni
Tra questi ultimi ebbe grande importanza la vina, strumento attribuito alla
dea della sapienza Sarasvati. È costituita da un bastone cavo di bambù,
sorretto alle due estremità da zucche, su cui sono collocate 7 corde parallele
sostenute da cavalletti; esse sono pizzicate mediante un plettro.
Uno strumento moderno a corde pizzicate e la sitar, affine alla vina e fornita
di corde di risonanza.
Lo strumento ad arco più importante e il sarangi, di forma tozza e quadrata,
munito di 4 corde, oltre a numerose altre che vibrano per simpatia.

Strumenti
della cultura
indiana

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