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Dall’ecologia acustica all’acustemologia:

l’antropologia-con-il-suono di Steven Feld

1. Oltre l’antropologia della musica: lo sfondo

“It wasn't until the early 1980's […] that I encountered R. Murray Schafer's The
Tuning of the World and the publications of the World Soundscape Project. I found
these publications very exciting; they opened new windows into a familiar world, one
that could now be re-imagined from the standpoints of acoustic ecology and
soundscape studies”
(Feld 1994: 2)

Nel 1977 R. Murray Schafer pubblica il celebre saggio Il paesaggio sonoro (Schafer 1977), l’opera
che presenta le basi teoriche del World Soundcape Project e che offre di fatto una prima
sistematizzazione ai cosiddetti soundscape studies. Si tratta, d’altro canto, di un lavoro che fornisce
un buon numero di stimoli decisivi a Steven Feld in vista di quella che l’autore definirà
acustemologia (Feld 2017), un approccio teorico e metodologico profondamente alternativo ai
paradigmi dominanti in ambito etnomusicologico. Ripercorriamo brevemente la strada che ha
condotto a questo contatto.
Fino a non molti anni prima, lo studio di materiali sonori differenti da quelli catalogabili come
produzioni musicali secondo canoni estetici e teorici tipicamente occidentali aveva costituito un
interesse tangenziale tanto per la gran parte della ricerca musicologica quanto per l’antropologia
culturale. L’indagine musicologica si era ancorata per quasi mezzo secolo sulla cosiddetta
musicologia comparativa (Reilly & Adler 2009), cui intento era quello di raccogliere e catalogare il
maggior numero possibile di prodotti tonali (Mugglestone & Adler 1981) provenienti da tradizioni
folkloristiche estranee a quella occidentale.
Per fare ciò, le produzioni sonore in oggetto venivano sottoposte a comparazioni di tipo quantitativo
(Merriam 1977) con materiali musicali provenienti dalla tradizione compositiva e folkloristica euro-
atlantica. Dal punto di vista analitico, tali comparazioni venivano “filtrate” attraverso la lente di
un’ontologia (e dunque a nozioni, concetti, entità e categorie estetiche) facente capo alla teoria
musicale occidentale (Merriam 1975).
Quest’ultimo aspetto fu al centro dei primi tentativi di messa in discussione del metodo
comparativo, che prendono forma sostanzialmente dal secondo dopoguerra (Rhodes 1956; Merriam
1977) e promuovono con sempre maggior vigore l’idea di considerare le produzioni musicali come
costituenti interni di una specifica storia culturale, all’interno della quale solo possono venire
studiate in maniera appropriata e comprese appieno (Rhodes 1956). A partire da questo stimolo,
l’antropologia culturale si qualifica come campo di pertinenza di un nuovo approccio allo studio
delle produzioni musicali (List 1979), intese come “modalità per comprendere forme culturali”
(Rhodes 1956: 462).
La transizione che abbiamo descritto attraversa almeno quattro decenni – al punto tale che Rhodes
la suddivide in tre diverse fasi (Rhodes 1956) – e conduce di fatto alla nascita dell’etnomusicologia
per come la intendiamo oggi (Nettl 2005). Il suo punto d’arrivo speculativo può essere individuato
nell’opera di Alan Merriam, a partire dal saggio programmatico Antropologia della musica
(Merriam 1964) fino a due articoli fondamentali pubblicati negli anni Settanta (Merriam 1975;
Merriam 1977).
Uno dei punti fondamentali che Merriam pone a sistema è proprio l’idea, presente in nuce già in
Rhodes, che la musica non sia soltanto un costituente di una data cultura, bensì un mezzo
privilegiato in vista della comprensione di tale cultura (Merriam 1960). Da un lato, dunque, una
produzione musicale è comprensibile solo alla luce della cultura di cui partecipa e in cui si inscrive;
dall’altro, essa costituisce una porta d’accesso feconda alla comprensione di tale cultura nel suo
insieme. L’opera di Merriam dipinge di fatto lo sfondo antropologico di partenza delle ricerche del
suo allievo Steven Feld, tanto in termini di affinità quanto attraverso profonde prese di distanza
(Feld 2004).
Il lavoro di Raymond Murray Schafer promuove invece, per certi versi suo malgrado, un approccio
teorico e metodologico al tempo stesso coevo ed alternativo a quello ivi descritto. Di per sé, l’opera
dello studioso canadese si mantiene su binari totalmente estranei a quelli antropologico-culturali e,
in senso stretto, etnomusicologici. Il World Soundscape Project prende infatti le mosse da un’analisi
il cui focus non sono le produzioni musicali in quanto materiali espressivi di cultura, bensì le
produzioni sonore in quanto proprietà emergenti del rapporto tra una comunità umana e l’ambiente
in cui vive ed opera (Schafer 1977; Truax 1978). L’interesse di Schafer e del suo progetto di ricerca
è dunque, in partenza, eminentemente ecologico (Feld 2017) e influenzato da specifiche categorie
estetiche (quali la “purezza” e la “fedeltà”, Truax 1978) in rapporto alle quali valutare la
funzionalità e la capacità rappresentativa di una data gamma sonora.
Ciò nondimeno, vi sono almeno due punti di contatto tra l’esperienza del WSP e gli interessi di
un’etnomusicologia fondata sull’assunto della co-appartenenza tra musica e cultura. In primo luogo,
la possibilità di un’ecologia acustica espande notevolmente lo spazio epistemologico già
individuato da Merriam. Non soltanto le produzioni intenzionalmente musicali, ma tutte le
produzioni sonore interne ad una specifica nicchia ecologica possono fungere da porte di ingresso
alla comprensione della medesima e della cultura in essa sviluppatasi, spingendo quest’ultima ben
oltre il piano formale della registrazione di usanze e tradizioni.
In secondo luogo, iL concetto di soundscape offre un’alternativa metodologica importante alla
ricerca etnomusicologica, mettendo in luce la possibilità di concepire il suono come sorgente grezza
da analizzare nella sua complessità sistemica. L’indagine formale di prodotti musicali può lasciare
spazio all’indagine fenomenologica di paesaggi sonori sul campo, il che offre al ricercatore la
possibilità di concentrarsi sulla relazione che intercorre tra suono, ambiente e viventi, ampliando la
vista sulle molteplici implicazioni culturali di questo rapporto.
Proprio attrtaverso questi due punti l’acustemologia di Steven Feld affonda le proprie radici nella
pratica eco-acustica promossa da Schafer e dal WSP (Feld 2017). Naturalmente, Feld non ha
mancato di sottolineare in più occasioni tanto i punti di continuità, quanto le profonde differenze
teoriche e metodologiche che separano il suo approccio da quello eco-acustico (Feld 1994; Feld
2004; Feld 2017). Un’analisi chiarificatrice di queste affinità e divergenze è quanto chi scrive si
propone di realizzare nei paragrafi seguenti, al fine di mostrare come l’acustemologia di Feld
conduca alla realizzazione del potenziale epistemologico insito nella pratica del soundscaping
sistematizzata da Schafer.
2. L’etnografia sonora come ecologia acustica: verso un’antropologia
del suono

“The soundscape and soundscape design concepts were important to me, made a lot
of sense in the context of the rain-forest work. Also, Murray’s crowd included a lot of
composers and radio people […] I became a kind of ethnographer sidekick to that
crowd.”
(Feld 2004: 466)

Il concetto di soundscape (paesaggio sonoro) costituisce il cuore teorico della ricerca di Murray
Schafer e uno dei punti chiave dell’eredità del suo lavoro presente nell’acustemologia feldiana.
Originariamente coniato da Michael Soutworth all’interno di uno studio urbanistico delle
componenti sonore dell’ambiente metropolitano (Soutworth, 1969), la sua ostensione si è
progressivamente ampliata fino a raggiungere un grado elevato di astrazione. Pauline Oliveros ha
ben sintetizzato questa mutazione arrivando a definire il soundscape come “l’insieme di tutte le
onde sonore trasmesse dall’orecchio e dai suoi meccanismi alla nostra corteccia cerebrale”
(Oliveros 2005: 18).
Il comun denominatore che si mantiene invariato al variare dell’ostensione di questa nozione è il
riferimento ad un insieme, una pluralità organica di elementi sonori che si manifesta come una
forma gestaltica, un unicum le cui componenti rimangono distinguibili pur presentandosi come
parti costituenti di un “tutto” percettivo. Nella sua accezione originaria, questo insieme sonoro si
qualifica come la controparte uditivamente manifesta di processi facenti capo ad uno specifico
ambiente, siano essi biologici (biofonia), antropici (antropofonia) o geologici (geofonia) (Krause
2008; Krause 2012). In questo senso, al paesaggio come insieme degli elementi visibilmente
percepibili di una data porzione di mondo-ambiente, si contrappone il paesaggio sonoro come
insieme degli elementi acusticamente percepibili dello stesso.
Dal concetto di soundscape discende anche la nozione, già introdotta in precedenza, di ecologia
acustica, intesa come lo studio delle relazioni acustiche tra gli elementi di un ambiente. Questa
definizione generale può ulteriormente specificarsi in due rami distinti dei cosiddetti soundscape
studies: da un lato, può venire intesa come lo studio di un ambiente a partire dalle sue componenti
sonore (acoustic ecology propriamente detta); dall’altro, lo studio fisico-acustico del suono inteso
come componente ambientale (soundscape ecology) (Truax 1978).
Ad interessare la pratica acustemologica Feldiana ed in generale l’etnografia sonora sono il concetto
di soundscape e l’acoustic ecology in senso stretto. In primo luogo, la concezione del mondo-della-
vita-sonora come una forma gestaltica, che fa da perno all’idea stessa di soundscape, conduce alla
possibilità di un’esplorazione etnografica che non individui a priori elementi salienti su cui
concentrarsi (per esempio gli artefatti musicali). Piuttosto, diviene possibile rivolgersi all’interezza
delle componenti sonore che caratterizzano un dato setting, lasciando il ruolo di guida alla
comprensione di quelle che Feld definisce “histories of listening” (Feld 2017), la cui narrazione è
affidata tanto all’espressività delle componenti sonore quanto ai resoconti in loco degli attori.
Il CD “Voices of the Rainforest” (Feld 2011) è un emblema di questo approccio. All’idea, cara a
Merriam, di un’antropologia della musica come indagine del senso degli artefatti musicali in quanto
emergenze culturali, si sostituisce un’“antropologia del suono” (Feld 2004: 463) che muove a
partire da una pratica documentale dell’ecosistema sonoro della foresta pluviale. Il soundscape della
foresta - vale a dire l’insieme organico dei percetti sonori considerati “in relazione al loro contesto
ambientale di emergenza” (Feld 2017: 86) - diviene dunque il setting all’interno del quale
incontrare quelle che Feld definisce storie d’ascolto1, ovvero relazioni significanti che legano le
pratiche esistenziali della popolazione Kaluli al loro mondo-della-vita.
Altrettanto importante per la concezione metodologica feldiana è la nozione di ecologia acustica. In
vari scritti (Feld 1988; Feld 1994; Feld & Brenneis 2004; Feld 2009; Feld 2017) l’autore sottolinea
infatti l’importanza della dimensione relazionale e situazionale nel suo approccio all’indagine
sonora e antropologica. Tale relazionalità ha da intendersi innanzitutto come intercorrente tra attori
sociali, elementi ambientali e dimensione dei significati e delle pratiche. Tutti questi elementi sono
forme-di-vita che partecipano della costituzione di quello che è, a tutti gli effetti, un ecosistema in
senso lato e complesso, e che va indagato per mezzo di qualcosa come un’ecologia, un’indagine che
miri ai percetti sonori come costituenti di un ambiente organico, inseriti in un reticolo di relazioni.
Lo stesso Feld, sottolineando il suo debito con l’ontologia relazionale2, afferma di concepire il
suono come un elemento “situazionale che lega tra loro soggetti correlati” (Feld 2017: 86) e la
pratica acustemologica come esplorazione dello “spazio mutuale ed ecologico della conoscenza
sonora” (Feld 2017: ibid). Si tratta dunque di indagare ecologicamente un soundscape inteso come
ecosistema sonoro, insieme organico e interattivo di percetti più o meno nitidamente manifesti,
provenienti tanto da pratiche antropiche quanto da fenomeni naturali spontanei, legati di principio ai
significati che gli attori sociali riconoscono loro in circostanze e contingenze peculiari.
L’ecosistema sonoro, nella sua circostanzialità e contingenza costitutive, è in tal senso una porta
d’accesso privilegiata ad un ecosistema complessivo del quale partecipa attivamente e che
comprende tanto il mondo-ambiente naturale e artificiale quanto il mondo-della-vita di pratiche,
costumi e significati, in quanto dimensioni che si co-implicano.

3. Dal “paesaggio sonoro” all’”ascolto-in-situazione”: l’acustemologia

“The most recent extension of these concerns, developed in the field research I've
done in the 1990s, is what I call acoustemology (i.e., acoustic epistemology). These
days I am exploring acoustic knowing as a centrepiece of Kaluli experience; how
sounding and the sensual, bodily, experiencing of sound is a special kind of knowing,
or put differently, how sonic sensibility is basic to experiential truth in the Bosavi
forests”
(Feld 1994: 3)
1
La nozione di “histories of listening” sarà oggetto di trattazione più precisa nel terzo paragrafo del presente testo.
2
Nello specifico, Feld rimanda tra le altre alla concezione di Ersnt Cassirer e a riferimenti teorici quali le nozioni di
“relazioni-in-azione” di Alfred Schutz e “inter-azione” di John Dewey (Feld 2017: 85).
Il precedente paragrafo si propone di aver messo in evidenza i punti di giunzione attraverso i quali
la riflessione e la pratica eco-acustica di Murray Schafer ha influenzato e, per certi versi, contribuito
a forgiare la metodologia post-etnomusicologica (Feld 2017) di Steven Feld. D’altro canto,
altrettanto numerosi sono i punti di discontinuità che lo stesso Feld ha avuto modo di porre in risalto
prendendo le distanze da alcuni caposaldi del metodo Schaferiano.

Questi luoghi di rottura si condensano sostanzialmente attorno a due punti nevralgici, l’uno teorico
e l’altro metodologico-interpretativo. In primo luogo vi è l’opposizione tra la natura “statica” e, per
certi versi, “essenzialista” (Feld 2019: 180) del soundscape inteso alla maniera del WSP e il
carattere dinamico e situazionale attribuito da Feld al mondo-della-vita sonoro.
In secondo luogo riscontriamo la distanza di scopi e metodi tra le analisi sonore esteticamente
cariche del World Soundscape Project e l’acustemologia intesa come “ascolto di storie d’ascolto”,
facente capo ad una dimensione di ricerca già da sempre rivolta non tanto alle caratteristiche interne
di un ecosistema sonoro, quanto semmai a ciò che tale ecosistema rivela nel suo inscindibile legame
con le forme-di-vita.

Nel saggio programmatico Acustemology, Feld dichiara di procedere “con ma contro” (“with but
against”, Feld 2017: 86) le nozioni di soundscape ed ecologia acustica. “L’acustemologia si
inscrive e al tempo stesso prende le distanze dall’ecologia sonora. Non è né un sistema di
misurazione delle dinamiche riguardanti la sfera acustica, né lo studio del suono come ‘indicatore’
del modo in cui gli esseri umani vivono negli ambienti” (Feld 2019: 179). Piuttosto, “gli approcci
acustemologici considerano le dinamiche spaziotemporali che si hanno in un luogo, ma concentrano
il loro studio sull’analisi delle storie d’ascolto relazionale – ossia su metodi d’ascolto di storie a loro
volta di ascolto” (Feld 2019: ibid).

L’acustemologia rifiuta dunque di concepire l’ecologia sonora come scienza degli ecosistemi sonori
in quanto “meri” ecosistemi fisicamente locati e valutabili per fattori estetici presuntivamente
oggettivi quali la fedeltà o la qualità sonora (Feld 2019: ibid), tanto quanto rifiuta di fatto di
concepire il soundscape come paesaggio, come stratificazione statica di elementi, poiché tale
nozione “rivela la sua distanza fisica dai concetti di agency e percezione” (Feld 2019: 180). Se da
un lato egli accoglie, come già mostrato, l’idea di concepire il suono come un insieme organico di
elementi in mutuo legame ecologico, la sua attenzione si dirige su di esso in quanto filo conduttore
e portatore di storie d’ascolto: centrale è la dimensione relazionale (Feld 2019: 181) che lega un
soundscape e le sue componenti alla dimensione dei significati che essi assumono per gli
ascoltatori.

La nozione stessa di paesaggio sonoro si rivela dunque sostanzialmente impropria anche in


riferimento alla peculiarità della pratica acustemologica. Se la prima muove sostanzialmente a
partire da analisi delle dinamiche acustiche interne a una data gamma di field recordings, la seconda
“promuove un’indagine che ponga al centro un ascolto in situ coinvolgendo attivamente il luogo e
le coordinate spazio-temporali” (Feld 2019: 180). Gli elementi percettivamente “oggettivi” che
costituiscono un “paesaggio sonoro” trovano senso e compimento non solamente nel contesto delle
relazioni acustiche che li legano – né tantomeno in rapporto a casi paradigmatici rispetto a cui
valutarne esteticamente bontà e fedeltà - bensì soprattutto all’interno della rete di relazioni che li
legano ai significati attribuiti loro dagli ascoltatori.

Questo insieme di relazioni si colloca ben al di là dell’ecosistema in senso biologico, inerendo


piuttosto ad una porzione specifica di quello che Husserl definisce “mondo-della-vita”. Ed è in tal
senso che l’acustemologia si presenta infine come metodologia pertinente ad un’antropologia del
suono in senso lato. Lo stesso Feld la qualifica come una frontiera post-etnomusicologica (Feld
2017), a denunciare contemporaneamente la continuità con gli scopi propri di un’etnomusicologia e
una marcata presa di distanza dall’etnomusicologia classicamente intesa come studio di qualcosa di
musicalmente “altro” attraverso categorie tipiche della cultura dei ricercatori (Feld 1994).

Per Feld, dunque, non è in alcun modo interessante soffermarsi su paesaggi sonori mantenendosi a
distanza dal contesto e dalle circostanze della loro manifestazione ed esperienza, o considerando
queste ultime come elementi deformanti la purezza e l’autenticità del contenuto sonoro – idea,
quest’ultima, ben sintetizzata in Schafer dalla nozione di schizofonia (Schafer 1977). L’orecchio
acustemologico è invece un orecchio sintonizzato contemporaneamente sul suono e sulla situazione
entro cui esso si manifesta ed entro la quale solamente dà luogo a strutture di senso (Feld 2017).

“L’acustemologia favorisce storie d’ascolto e sintonizzazione incoraggiando pratiche relazionali di


ascolto e produzione sonora e le loro manifestazioni di riflesso e di risposta” (Feld 2019: 180):
trattasi dunque di un ascolto-in-situazione (Feld 2017: 86), dove tale situazione è costituita
dall’insieme organico delle relazioni che legano le manifestazioni percettive alle loro ricezioni
significanti. L’ascolto-in-situazione si rivolge e al tempo stesso trascende il soundscape, ponendosi
in ascolto di esso come unità strutturale di contingenze sonore ed esistenziali, come stratificazione
dinamica di elementi percettivi manifesti e di risposte interpretative che fondano pratiche e modi di
intendere: “per te sono uccelli, per me sono voci nella foresta” (Feld 2009).

4. Acustemologia come epistemologia: comprendere ascoltando


“situazioni sonore”

“Ecco dove e come è nato il termine concettuale di acustemologia: ascoltando negli


anni il modo in cui il suono in quanto conoscenza ed il suono attraverso la
conoscenza assuma le sembianze di un archivio udibile di sintonie e contrasti
relazionali di lunga durata, naturalizzati infine come luogo e voce.”
(Feld 2019: 187)

Il breve percorso che abbiamo proposto dovrebbe avere messo in luce come l’acustemologia
Feldiana affondi una parte importante delle sue radici nella pratica del soundscaping e in alcuni
elementi, profondamente innovativi, della ricerca di Murray Schafer. Al tempo stesso, dovrebbe
essere risultato evidente come gli scopi e i presupposti dell’attività del World Soundscape Project si
discostino in maniera profonda da quelli che caratterizzano l’attività di Feld, e come questa distanza
conduca le due prospettive a divergere in maniera profonda, tanto sul piano metodologico che su
quello teorico.

L’acustemologia feldiana è infatti una pratica che nasce e si propone alla luce di uno scopo ben
preciso, ovvero la comprensione antropologica. La parola stessa fa riferimento ad un’epistemologia,
dunque ad una teoria della conoscenza, da costruirsi attingendo al suono (all’acustica) come
sorgente di significati (Feld 1994). “L’acustemologia indaga ciò che è conoscibile e la maniera in
cui esso diventa noto attraverso il suono e l’ascolto” (Feld 2019: 173). Nulla di tutto questo può
annoverarsi tra gli scopi squisitamente acustico-ecologici del World Soundscape Project, come è
stato ampiamente sottolineato nei paragrafi precedenti.
Ma in che cosa consiste, a livello pratico, questo impianto metodologico? Che cosa fa,
materialmente, l’acustemologo? “L’acustemologia unisce l’acustica all’epistemologia per indagare
il suono e l’ascolto come una conoscenza-in-azione, una conoscenza-con e una conoscenza-
attraverso l’udibile” (Feld 2019: ibid). Le nozioni di knowing-with e knowing-through-sounding
compaiono in svariate occasioni nella prosa Feldiana, e di fatto si contrappongono alla conoscenza
del suono (knowing of sound) che contraddistingue l’ecologia acustica Schaferiana, interessata al
“piano scientifico-formale [delle] componenti fisico-materiali del suono” (Feld 2017: 84).

Una risposta più diretta al quesito sulla pragmatica dell’acustemologia non può prescindere da una
conoscenza dell’attività sul campo che Feld ha condotto nei decenni di sviluppo del suo impianto
teorico, ricostruzione che esula dalle possibilità di questo scritto. Lo stesso Feld difende con vigore
la natura bottom-up del suo metodo, che “non è il risultato di pura teoria o di diretta astrazione”
(Feld 2019: 181), bensì emerge in seguito alla presa di coscienza della necessità di aver “esaurito il
repertorio concettuale di un’antropologia del suono ed in particolare di quel tipo di approcci che
derivavano dalla linguistica teorica, dalla semiotica, dalla comunicazione, e da più formali
teorizzazioni nel campo dell’antropologia simbolica” (Feld 2019: 182). Si configura così il
passaggio che porta “l’antropologia del suono a divenire un’antropologia nel suono” (Feld 2019:
183).

Parimenti, l’esperienza presso il Bosavi porta Feld, come visto in precedenza, a rinforzare l’accento
sulla nozione di situazione. L’ecosistema sonoro della foresta pluviale riflette infatti una storia di
co-abitazione di cui la relazione tra il luogo fisico (la foresta) e le pratiche antropiche dei Kaluli non
è che uno dei tanti elementi costituenti. Particolare importanza è ricoperta, tra le altre forme-di-vita,
dagli uccelli: “Le orecchie e le voci degli abitanti di Bosavi quotidianamente assorbono e riflettono
i suoni sensorialmente attraverso la voce assieme agli uccelli, nei confronti loro e, riguardo loro,
durante la convivenza a lungo termine nella foresta pluviale” (Feld 2019: ibid).

Nella relazione imitativa e interpretativa che lega i versi degli uccelli alle pratiche sociali kaluli, e in
particolare ai canti, si dischiude così una porzione consistente della filosofia esistenziale del luogo,
a manifestare l’interdipendenza che lega la sfera simbolica e spirituale a quella ecologico-
percettiva. “I suoni degli uccelli sono simultaneamente delle comunicazioni dal regno dei morti a
quello dei vivi, materializzazioni che riflettono l’assenza per mezzo di e nella riverberazione” (Feld
2019: ibid), e ancora, essi vengono intesi come “messaggi udibili che informano gli abitanti della
foresta circa il tempo, le stagioni, le condizioni ambientali, l’altezza e la profondità della foresta”
(Feld 2019: 182).

Persino la classificazione locale delle diverse specie di uccelli fa capo in molte sezioni al significato
socialmente attribuito dai kaluli ai loro canti (Feld 2009). “Questi canti costituiscono una
cartografia poetica della foresta che mappa biografie stratificate di relazioni sociali all’interno di e
tra le comunità” (Feld 2019: 186). Comprendere a fondo tali relazioni presuppone una
comprensione altrettanto profonda della situazione esistenziale che lega la popolazione all’ambiente
della foresta pluviale, e tale situazione a sua volta si rivela innanzitutto e soprattutto una “situazione
sonora”, tanto dal punto di vista espressivo quanto dal punto di vista semiotico.

Per essere epistemologia, l’acustemologia deve dunque rivolgere il suo orecchio alla comprensione
di qualcosa come una “situazione sonora”, vale a dire un vasto insieme di relazioni spazio-
temporalmente locate tra forme-di-vita, in cui il suono funge da medium, da collante percettivo ed
ermeneutico. In un simile quadro anche le manifestazioni musicali care a Merriam non possono
venire scisse dalla loro dimensione situazionale. La mera analisi ex-post o in loco di artefatti
musicali dal punto di vista estetico ed esegetico non riuscirebbe infatti a coglierne il senso più
profondo, a ricostruirne il ruolo di mediatori esperienziali del mondo-della-vita.
5. Conclusioni

Senza la mediazione e rielaborazione della nozione di soundscape e senza l’adozione di un


“approccio ecologico” allo studio dei percetti sonori, non si sarebbe dato il passaggio
dall’antropologia della musica all’antropologia del (nel) suono che Feld condensa nella nozione di
acustemologia. Per quanto Feld dichiari che il suo contatto con l’opera di Murray Schafer sia giunto
in una fase già avviata della sua evoluzione metodologica (Feld 1994), le argomentazioni dei
paragrafi precedenti, puntualmente ricondotte a fonti specifiche, dovrebbero aver chiarito
l’importanza delle innovazioni Schaferiane per lo sfondo teorico e metodologico da cui emerge
l’idea stessa di acustemologia.
Questa centralità va intesa non solamente nei termini dell’eredità Schaferiana riscontrabile in Feld,
bensì anche e soprattutto in quelli delle notevoli distanze che li separano. La divergenza di scopi e
di interessi che intercorre tra le rispettive attività dei due autori permette di considerare l’opera di
Feld come una realizzazione possibile del potenziale epistemologico dischiuso nella metodologia e
nella teoresi Schaferiana, in quella sede rimasto almeno parzialmente inespresso.
L’orecchio di Schafer si interessa infatti di un’indagine prettamente interna, mantenendosi rivolto
tutt’al più al solo legame tra il soundscape e la sua corrispondente sorgente ecologica. Quel
medesimo soundscape rivela in Feld un’ecologia ben più complessa: da mera controparte acustica
di una nicchia ecologica esso si qualifica come porta d’accesso ad un mondo-della-vita locato e
situato nello spazio e nel tempo, di cui è parte integrante e rispetto a cui ricopre il ruolo di medium
percettivo ed ermeneutico tra diverse forme-di-vita.
Questa natura profonda del suono come forma-di-vita ha modo di manifestarsi solo di fronte ad un
“ascolto situato” che metta da parte ogni pretesa estetica a priori. Un’operazione, quest’ultima, del
tutto inconciliabile con gli interessi tecnici e valutativi propri dell’ecologia acustica Schaferiana, ma
di cruciale importanza in vista di un’antropologia del suono pregnante e comprensiva.

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