[MARCELLO SORCE KELLER, Musica e Sociologia, Milano, Ricordi, 1996.
Durante il XX secolo parecchi fattori favorirono la
nascita e lo sviluppo delle scienze sociali, come ad esempio l’esigenza della popolazione di scoprire il comportamento degli uomini, i loro rapporti nella società, ecc. Tra l’altro questa esigenza era dettata dalla forte aria di cambiamento che si respirava in quel clima post rivoluzione francese e post rivoluzione industriale: l’idea di progresso, di evoluzione si facevano strada e, con essi, il bisogno di dare un contributo “positivo” alla società. (Da qui il termine “Positivismo”, di cui uno dei massimi esponenti, Auguste Comte, fu proprio il padre della sociologia). Le scienze sociali, oltre alla sociologia, sono diverse: abbiamo anche l’economia, l’antropologia, la psicologia, ecc. Ma la questione cruciale è: quanto possono essere considerate “scientifiche” tali scienze? Nelle scienze naturali, ad esempio (come la biologia, la fisica, ecc.), è possibile fare degli esperimenti su cui fondare poi delle leggi; ma nelle scienze sociali è sì possibile fare esperimenti, ma non si può arrivare a formulare delle leggi universali perché le variabili sono molteplici e non si può definire qualcosa di ben preciso. Weber, ad esempio, sottolineò questa distinzione fra scienze naturali, scienze umane e scienze sociali. Le scienze sociali, dunque, nascono quindi come scienze di tipo culturale, non naturale. Questo dilemma natura- cultura e questa propensione della sociologia per la cultura a scapito della natura si sviluppò maggiomente dopo la Seconda Guerra Mondiale: molti sociologi si cercavano di spiegare i comportamenti del genere umano relativo al razzismo nazista o alle personalità deviate, all’omosessualità, ecc. Infatti arrivarono alla conclusione che la cultura e non la natura potesse rendere maggiormente conto di queste cose. Veniamo adesso alla sociologia della musica. Viene fatta una distinzione tra sociologia della musica ed etnomusicologia, che è l’equivalente, se così si può dire, della sociologia con l’antropologia, che spesso si tende a far coincidere. La prima si occupa delle forme di comportamento musicale in base ad una rilevanza sociale e all’impatto che ha con l’ambiente e l’epoca; mentre la seconda si interessa della musica relativamente ad una cultura nel suo complesso, piuttosto che a quella di un individuo singolo ed isolato. La sociologia della musica, dunque, si occupa di considerare la biografia sociale e intellettuale dell’autore, il contesto e l’ambiente in cui viene recepita una determinata opera, ecc.; mentre l’etnomusicologia tende a studiare il fenomeno “musica” nella sua totalità. Questo è anche uno dei motivi per cui esistono ormai numerosissime cattedre di etnomusicologia in tutto il mondo, mentre invece quelle della sociologia della musica sono molto, molto meno. La sociologia della musica studia, in sostanza, il rapporto fra la musica e la società. Passiamo a degli esempi più pratici di tali studi. Lo sviluppo dell’orchestra nel XIX secolo, per esempio, può essere visto come il risultato di una evoluzione nella società che si stava lentamente espandendo: l’aumento del pubblico comportò un aumento del numero dei componenti delle orchestre; da qui la necessità di disporre di orchestre più ampie da distribuire in sale più ampie, dato che il pubblico era di conseguenza più vasto. Ma non solo: l’aumento delle orchestre può anche essere stato causato dalla rivoluzione industriale che a sua volta determinò uno sviluppo dei materiali degli strumenti musicali e, quindi, un maggiore aumento di sonorità. Questo è un classico esempio di come l’arte (in tal caso, la musica) è strettamente collegata alla società; e il suo significato non può essere ricercato solo nelle intenzioni del compositore che ha creato l’opera, ma anche attraverso i modi in cui l’opera viene prodotta, trasmessa, ascoltata, recepita, e anche attraverso il contesto storico e l’ambiente. La sociologia della musica affronta anche campi di studio come la popular music (pop music): la pop music è il classico esempio di come la commercializzazione di un prodotto (una composizione musicale, in tal caso) vada a scapito della sua qualità. Questo contrasta con l’idea che l’arte colta (la vera arte, cioè) debba essere espressione di un ideale vero e proprio, e non una mera merce prodotta per scopi di lucro. Un altro studio a cui si ricollega la sociologia della musica è la teoria della “ricezione musicale”. Secondo questo studio, si prende in considerazione il comportamento del pubblico nei confronti di un compositore, un’opera, un genere o uno stile musicale; cioè, in che modo è stato più o meno recepito dal pubblico. Per questo si tende di più a conoscere un certo autore rispetto ad un altro. È il caso, ad esempio, di Beethoven e Schubert: entrambi vissuti nello stesso periodo; ma Beethoven ebbe un clamoroso successo, mentre Schubert non fu altrettanto fortunato nell’ottenere la stessa fama, eppure fu un compositore non da meno. Vengono anche studiati i fenomeni del mecenatismo e della professionalizzazione del musicista. Inizialmente si sa che la figura del musicista era legata a quella di un mecenate, poiché l’artista si appoggiava a questa figura che finanziava le sue opere e gli consentiva il sostentamento. Classici esempi sono Haydn, che era al cospetto della corte degli Esterhazy o lo stesso Mozart che ebbe a che fare con l’arcivescovo di Salisburgo, se pur con molto astio. L’artista produceva le sue opere su commissione e non gli era consentito produrre opere secondo il proprio gusto; doveva attenersi alle esigenze dei propri datori di lavoro. Ma a partire dal XVIII secolo la figura del musicista cominciò a cambiare e ad emanciparsi: da dipendente divenne libero professionista. Si cominciò a parlare dunque di libertà artistica. Eppure questa libertà ha comunque il suo prezzo: se da un lato la dipendenza da un mecenate limita la propria dipendenza creativa artistica, dall’altro lato l’indipendenza professionale comporta dei rischi; se le opere non raggiungevano popolarità o il consenso del pubblico, l’artista rischiava di fare fiasco e di rimetterci a sue spese. La nascita del pubblico e il nascere del parere del pubblico hanno comportato proprio ciò che oggi viene definita “popular music”. Anche la crescente importanza dei mass media ne ha favorito lo sviluppo. Si consideri, per esempio, il progredire dei trasporti e delle comunicazioni, la disponibilità del pubblico a spostarsi per seguire gli artisti in tournèe, di trasmettere in diretta mondiale un concerto, ecc. Andiamo ora ad esaminare più da vicino tre sociologi del passato che hanno avuto a che fare con la sociologia nel campo della musica in tre approcci differenti tra loro: Weber, Mueller e Adorno. Max Weber si occupò non tanto di stabilire delle corrispondenze tra arte e società quanto più invece di individuare quali sono gli elementi sociali ed artistici nello specifico da poter essere correlati fra di loro. Uno di questi elementi che Weber ha individuato è il sistema tonale. Come mai, secondo lui, si è sviluppato tale sistema tonale solo nel mondo dell’Occidente e non nelle altre parti del mondo? Ebbene Weber vide nella divisione dei suoni nell’ottava una forma di razionalizzazione maggiore rispetto a quella delle scale pentatoniche, ma soprattutto i criteri dei suoni in senso melodico (orizzontale) governano anche i rapporti in senso armonico (verticale). Si ha così uno stesso principio ordinatore, che sfocia nel temperamento equabile. Weber fece anche delle osservazioni sull’organizzazione gerarchica dell’orchestra e sulla divisione tra artista e pubblico e la differenziazione dei ruoli musicali (compositore, esecutore, teorico, ecc.), tutti elementi che egli interpreta come testimonianza di una divisione del lavoro e, quindi, di una “burocratizzazione” della società europea. John Henry Mueller si occupò molto degli studi sulla ricezione musicale e studiò la ricezione delle opere musicali in funzione di una storia sociale del gusto del pubblico. La sua analisi del repertorio delle orchestre sinfoniche americane portò a sostenere infatti il risultato che le istituzioni musicali nascono per soddisfare i bisogni musicali di una classe media. Oppure, altri studi sulle cosiddette “piramidi di popolarità”, secondo cui l’ascesa di un compositore (Mahler, ad esempio) può coincidere con la discesa di un altro (Bruckner, ad esempio). Nel complesso, il contributo di Mueller è stato quello di aver assunto non un punto di vista della biografia dei compositori, ma quello del pubblico. Theodor W. Adorno fu un filosofo musicista, allievo di Alban Berg, il cui pensiero si sviluppa attorno ad una vera e propria critica sociale. Generi musicali sviluppatisi nel Novecento come il jazz, la pop music, il musical, ecc., non solo non rivestono alcun interesse per Adorno, ma addirittura sono anche oggetto di una aspra critica e di disprezzo. Secondo Adorno, la società attuale è conseguenza dell’Illuminismo in una fase di capitalismo avanzato, che sfocia in una logica di produzione e di consumo e comporta a una massificazione alienante. Ecco che allora l’arte, la “vera” arte, secondo Adorno, si estrania dalla società e tende ad isolarsi. Il valore etico dell’opera d’arte è un carattere assolutamente inconciliabile con la logica del consumo e la diffusione di massa.