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APULEIO E LE METAMORFOSI:

Le metamorfosi sono conosciute anche con il nome “L’asino d’oro” titolo


coniato da Agostino. Insieme al satyricon è l’unico romanzo della latinità a
differenza del quale ci è pervenuto interamente (11 libri) probabilmente
postumo alla pubblicazione della De magia. Il romanzo pone una vera e
propria questione circa l’originalità della narrazione.
Gli studiosi ritengono che Apuleio si sia ispirato al testo pseudolucianeo e
che dunque abbia sicuramente tratto spunto da una vicenda in sé non
originale per costruire una narrazione personalissima. Infatti il testo
pseudolucianeo rivela l’intenzione di puro intrattenimento privo di
propositi moralistici mentre le metamorfosi di Apuleio sotto l’apparenza
di lettura di svago assume caratteri di romanzo di formazione. Lucio ,il
protagonista , è caratterizzato dalla “curiositas” che è un elemento
positivo entro certi limiti che egli non rispetta facendo scattare così la
punizione: metamorfosi in asino (simbolo d’ignoranza e stupidità). Lucio
mantiene tutte le capacità umane (la ragione e l’intelletto). Il percorso di
Lucio è dunque di espiazione: Lucio è l’uomo che pecca e che solo dopo
l’espiazione dei suoi peccati riesce a salvare la sua anima dalla perdizione
e a ricongiungersi alla divinità (infatti si converte al culto di Iside e
Osiride). L’ascesi dell’anima attraverso dure prove alla dimensione divina.
All’interno delle metamorfosi vengono inserite numerose novelle , molti
convengono nel definirlo un romanzo d’iniziazione al culto di Iside e
Osiride.
La narrazione spesso è interrotta da digressioni di varia lunghezza, una tra
queste è la favola di Amore e Psiche che occupa una porzione abbastanza
grande nella narrazione tanto da costituire un piano narrativo a sé stante
ed è la chiave di lettura del romanzo. Le altre digressioni sono costituite
da vicende di vario tipo quasi sperimentazione di generi diversi.

Il romanzo narra le avventure di Lucio, trasformatosi in asino per errore


durante un esperimento causato dalla sua curiositas e infine, dopo molte
peripezie e prove,tornata uomo e “rinasce” grazie all’iniziazione ai misteri
di Iside e Osiride delle quali diventa sacerdote. L’opera è formata da un
nucleo tematico narrativo principale al quale a cornice sono inserite varie
novelle ,la narrazione è affidata ad un io narrante che è il protagonista
della vicenda. Il racconto si apre con un proemio e con la presentazione
del protagonista. Si possono distinguere 3 sezioni:
1) libri I-III contiene le vicende di Lucio fino alla trasformazione in asino , è
una sezione compatta e unitaria dominata dai temi della curiositas e della
magia;
2) È la più ampia e contiene più digressioni,excursus e novelle tra cui la
favola di amore e psiche. Ha una struttura più libera e caotica e tratta di
episodi che si susseguono come una struttura paratattica tipica dei
romanzi picareschi (per l’appunto caratterizzati da episodi giustapposti).
L’effetto di disordine che ne deriva non è da ricondurre all’incapacità
stilistica ma è il mezzo con il quale l’autore descrive la confusione che
circonda Lucio;
3) La conversione di Lucio ai misteri di Iside e Osiride fino alla
trasformazione in uomo.
Inoltre il romanzo composto da 11 libri ha un valore simbolico perché per
la religione isiaca l’iniziazione avviene l’11esimo giorno dopo 10 giorni di
preparazione.

Apuleio sceglie il genere del romanzo che a Roma era la pura lettura
d’intrattenimento.
Coesistono 2 significati : il piacere di raccontare e divertire (che esplicita
apertamente nel proemio) e l’intento serio-edificante (il percorso
dell’anima per raggiungere il riscatto da una colpa). Anche per le
metamorfosi,come per il satyricon, non si parla si genere romanzo ma di
contaminazione di generi (epica,biografia,satira menippea, racconto
mitologico..).
In particolare è subito visibile il rapporto con le fabulae milesiae a cui lo
steso autore fa riferimento nel proemio (in stile milesio per te intreccerò
le mie favole). Le novelle erotiche infatti sono numerose e hanno quasi
sempre come tema l’adulterio .

AMORE E PSICHE:

L’incipit del racconto è quello tipico delle favole popolari di tutti i tempi.
Un re e una regina avevano tre figlie, delle quali l’ultima, Psiche (nome
che in greco significa «anima»), era la più bella. L’ammirazione di tutti per
la fanciulla suscitò la gelosia di Venere; la dea, per punirla, chiese al figlio
Cupido di farla innamorare di un uomo bruttissimo. Cupido, invece,
quando vide Psiche rimase tanto colpito dalla sua bellezza che la freccia,
preparata per la fanciulla, gli cadde sul piede innamorandosene egli
stesso.
Senza mai apparire a lei, la condusse in un palazzo incantato dove la fece
sua sposa. Le fece giurare che mai avrebbe tentato di scoprire chi era
l’uomo che di notte giaceva con lei, aggiungendo che se, per caso, lo
avesse veduto, egli subito sarebbe scomparso e lei non lo avrebbe rivisto
mai più.
Le due sorelle maggiori di Psiche, gelose della fortuna a lei capitata, la
andarono a trovare e la persuasero che, per non volersi far vedere, lo
sposo doveva essere un mostro orribile.
La povera Psiche rimase ossessionata dal dubbio atroce che le sorelle le
avevano messo in mente. Così, ansiosa e spaventata, una notte, mentre
Amore dormiva, si avvicinò al suo letto con una lampada; con grande
meraviglia, vide che, anziché il mostro che si era aspettata di trovare, il
suo sposo aveva un viso bellissimo, una testina bionda e ricciuta, una
boccuccia che esalava un soave profumo di ambrosia; capì allora che egli
doveva essere il più giovane e il più bello degli dèi immortali.
Estasiata da quella contemplazione, la fanciulla non si accorse che la
lampada che reggeva in mano s’era inclinata e da essa era caduta su
Amore una goccia d’olio caldo che lo aveva colpito sulla spalla. Amore
avvertì il bruciore e si svegliò. Vide la sposa con la lampada in mano e si
rese subito conto che Psiche, per diffidenza, aveva mancato al
giuramento. Si alzò dal letto e si levò in volo, scomparendo.
Psiche disperata tentò di togliersi la vita gettandosi nel fiume. Seduto sul
ciglio del fiume c’era il dio Pan; questi la dissuase da qualsiasi altro
tentativo di suicidio e la convinse a provare di tutto affinché Amore le si
riavicinasse.
Psiche, presa da tanti pensieri, iniziò a camminare e giunse nella città
dove regnava il marito di una delle due sorelle. Le raccontò che ogni notte
aveva giaciuto non con una belva, ma con il figlio di Venere, bellissimo;
ma lei aveva rotto il giuramento e Amore l’aveva scacciata e ora voleva
sua sorella come sua degna sposa: Zefiro l’avrebbe condotta da lui.
La sorella, presa da una «frenesia lussuriosa» e da una «malvagia invidia»,
mentì al marito dicendogli che le erano morti i genitori e s’imbarcò su una
nave. Si diresse alla rupe dalla quale, come le aveva detto Psiche, si
doveva gettare, per poi essere presa in volo da Zefiro e portata da Amore.
Invece si sfracellò sulle rocce e i suoi resti furono spartiti tra uccelli e
bestie feroci. La stessa vendetta e sorte toccò alla seconda sorella.
Intanto Venere, informata di quanto era accaduto al figlio, giurò vendetta.
Psiche chiese aiuto a Cerere (Demetra presso i Greci), ma questa,
temendo d’incorrere nelle ire di Venere, rifiutò. Si rivolse allora a Giunone
(Hera o Era presso i Greci), che fece altrettanto.
Stanca di fuggire e abbandonata da tutti, mortali e dèi, Psiche decise di
presentarsi umile e supplichevole, a Venere.
La dea la consegnò alle due ancelle Angoscia e Tristezza perché la
torturassero. Dopodiché le impose di superare una serie di prove.
L’ultima di queste consisteva nello scendere nell’Ade e farsi consegnare
da Persefone un vasetto nel quale richiudere una parte della bellezza
della dea degli inferi.
Psiche, stanca e avvilita, si recò su una torre altissima, con l’intenzione di
buttarsi giù dalla cima. La torre però cominciò a parlarle e le suggerì la
strada da percorrere per arrivare nel regno dei morti senza per questo
suicidarsi e condannarsi così a restare per sempre negli Inferi. Le
raccomandò inoltre di non aprire il vasetto.
Psiche seguì alla lettera i consigli ricevuti. Ritornò dal regno dei morti con
un vasetto contenente la divina bellezza, ma la curiosità la vinse di nuovo
e aprì il vasetto.
Purtroppo dentro il vasetto c’era solo il sonno mortale che l’avvolse e
Psiche cadde a terra esanime.
Ma intervenne Amore che la svegliò, pungendola con la punta di una delle
sue frecce. Subito dopo egli volò da Giove e chiese la sua intercessione,
affinché sua madre Venere lasciasse libera Psiche e acconsentisse alle
nozze. Così fu, ma prima Giove rese immortale Psiche, innalzandola al
rango degli dèi.
Seguì un sontuoso banchetto alla presenza di tutti gli dèi dell’Olimpo.
Qualche tempo dopo Psiche partorì una figlia, alla quale diedero il nome
di Voluttà.
La favola si estende per ben 63 capitoli e Apuleio le ha affidato una
funzione ben più complessa di quella riservata alle altre novelle.
La favola rappresenta il destino dell’anima (si ricordi che psiche in greco
vuol dire “anima”) che per aver commesso peccato di hybris (tracotanza,
superbia), tentando di penetrare un mistero che non le era consentito
svelare, deve scontare la sua colpa con umiliazioni e affanni d’ogni genere
prima di rendersi degna di ricongiungersi col dio (e dall’unione dell’anima
e dell’amore nasce il piacere).
È la tessa sorte toccata a Lucio (protagonista delle Metamorfosi, di cui la
favola fa parte), che deve scontare la sua curiositas attraverso peripezie
inaudite, prima che, purificato, possa guadagnarsi l’unione mistica con
Iside.

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