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Apuleio - Amore e Psiche - trama e commento

La favola di Amore e Psiche


da Apuleio, Metamorfosi, 4. 28 - 6. 24

Struttura La nostra interpretazione Testo italiano

Testo latino Riassunto delle Metamorfosi Biografia di Apuleio

- carrellata su diverse ipotesi critiche;


Altre interpretazioni:
- l'interpretazione neoplatonica.

• La novella
La novella di Amore e Psiche è inserita in un lungo “romanzo” dal titolo
Metamorfosi (chiamato in seguito da S. Agostino L’asino d’oro) composto da
Apuleio nel II secolo d.C., nel quale vengono narrate le peripezie di Lucio
che, per errore, viene trasformato in asino, pur conservando mente e
sentimenti umani: solo dopo molte avventure, talvolta anche dolorose,
Lucio potrà infine riprendere forma umana grazie all’intervento della dea
Iside, di cui Lucio diventerà sacerdote. Si tratta dunque della
rappresentazione simbolica del percorso dell’uomo dallo stato bestiale allo
stato spirituale, un complesso cammino interiore dalla materia allo spirito.
La novella di Amore e Psiche, che come vedremo rappresenta “in piccolo”
questo medesimo itinerario, è posta in bocca ad un personaggio del
romanzo e rappresenta uno dei primi esempi nella letteratura occidentale di
“fiaba di magia”, cioè un tipo di narrazione che conserva l’eco di antichi riti
di iniziazione durante i quali, attraverso racconti “esemplari”, le popolazioni
primitive trasmettevano alle nuove generazioni la loro concezione del
mondo, il loro patrimonio mitico-religioso, le loro “regole” sociali.
La novella presenta infatti lo schema narrativo tipico di tutte le fiabe di
magia (messo in luce per la prima volta da V. Propp in Morfologia della fiaba
di magia), che è assai semplice, ripetitivo e strutturato su una serie di
sequenze obbligate:

• l’eroe/l’eroina è costretto ad allontanarsi dall’ambiente familiare per


inoltrarsi in un ambiente nuovo e sconosciuto (un bosco, una foresta, un
castello...);

• deve quindi affrontare situazioni pericolose (“prove”), che riesce a


superare solo grazie all’intervento di “donatori”, cioè grazie all’aiuto
offerto da persone, o anche da animali, piante parlanti o da oggetti
magici;
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• infine, dopo aver superato le prove, si ritrova in una nuova


condizione (ad esempio corona il suo sogno d’amore con il matrimonio) e
vive una nuova esistenza, per definizione felice (il lieto fine è infatti
d'obbligo).

• I protagonisti e la trama
La novella si snoda attraverso le sequenze tipiche della “fiabe di magia”:
racconta infatti le peripezie di una giovane e bellissima ragazza
dall’emblematico nome di Psiche, che significa “anima”, di cui si innamora
perdutamente il dio Cupido, cioè Amore, figlio di Venere, il quale trasporta
Psiche in uno splendido palazzo e la fa sua sposa, imponendole tuttavia di
non cercare mai di conoscere la sua identità. Ma la felicità dei due giovani è
minacciata sia dall’invidia delle due sorelle di Psiche, sia dalla decisa ostilità
di Venere, che non vuole per suo figlio una sposa mortale e soprattutto una
ragazza tanto bella da essere addirittura paragonata a lei. Seguendo i
perfidi consigli della sorelle, Psiche disobbedisce ad Amore, che di
conseguenza l’abbandona; disperata va alla ricerca dello sposo, ma finisce
tra le mani di Venere che la costringe a sottoporsi a prove “impossibili”,
dalle quali esce tuttavia vittoriosa grazie ad una serie di aiuti straordinari.
Segue l'immancabile lieto fine: Giove in persona celebrerà le nozze tra
Amore e Psiche e conferirà alla fanciulla l'immortalità ed il rango di dea.
Attorno ai due protagonisti si muovono poi altri personaggi appartenenti al
mondo degli uomini (ad esempio le sorelle “cattive” di Psiche), degli dèi (ad
esempio Venere, Giove, Pan) e della natura magicamente animata (ad
esempio animali, fiumi ad alberi parlanti), in un continuo intreccio fra
realismo e magia.

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• L’interpretazione della novella


Che il senso della novella vada oltre il semplice piacere del racconto
fantastico, ma rimandi ad un significato allegorico, appare evidente sin dalle
prime battute e dal nome stesso dei protagonisti: Amore e Psiche (Ερως =
Amore; Ψυχη = Anima).
La novella adombra quindi una qualche conquista simbolica attraverso una
complessa serie di esperienze difficili e dolorose: ma il senso esatto di
questa esperienza sfugge: le interpretazioni che ne sono state date sono
molteplici, alcune anche banalizzanti nella loro velleitaria pseudo-
scientificità, che pretende di ricondurre quello che è certamente un
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complesso simbolismo esoterico, "per iniziati", ad un substrato di cultura


semi-tribale che attribuire ad un personaggio profondamente colto come
Apuleio fa davvero sorridere. Insufficienti risultano quindi, a nostro parere,
le chiavi di lettura proposte dall’antropologia culturale, che vede in questa
novella la descrizione simbolica del rito di iniziazione che in tutte le società
primitive segna il passaggio dei ragazzi alla società adulta.
Qui di seguito, perciò, tenteremo di fornire una nostra chiave di lettura, alla
luce della filosofia platonica della quale Apuleio era seguace ed autorevole
esponente.

L’allegoria della caduta dell’anima nelle


“Metamorfosi”

Tutto il romanzo di Apuleio costituisce una singolare allegoria imperniata


sulla vicenda dell’anima, che, caduta per un fatale errore, attraverso una
serie di durissime prove, riconquista alla fine, per l’intervento della Grazia
divina, la piena felicità, e con essa l’immortalità.

Sebbene l’esatto significato di questa esperienza filosofico-religiosa sia


tuttora oggetto di discussione, ci pare corretto partire da un presupposto
innegabile: Apuleio è e rimane un filosofo platonico e non rinnega mai
questa sua appartenenza culturale, per quanto sincretisticamente fusa con
esperienze di segno diverso (in un primo momento l'ermetismo e la magia -
o l'alchimia -, quasi certamente praticata dal “bel filosofo” africano, che
nell’Apologia sive de magia lo nega, ma in modo sempre ambiguo e mai
davvero convincente; successivamente la conversione al culto misterico di
Iside).

L’allegoria assume connotati esplicitamente platonici proprio nella favola di


Amore e Psiche, dove i nomi stessi dei protagonisti non possono non
evocare alla mente la teoria dell’eros platonico, così come la troviamo
espressa nella triade Fedone - Simposio - Fedro.
D'altra parte la vicenda di Psiche rispecchia molto da vicino quella di Lucio,
per cui si direbbe che la funzione della novella di Amore e Psiche - non a
caso situata in posizione centrale nel romanzo - sia appunto quella di
esplicitare in modo quasi didascalico, nella microstruttura della favola, il
senso della macrostruttura che la include.

Ciò su cui ci pare indispensabile riflettere è il tipo di errore per cui cade
l’anima.

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Si tratta, come è noto, di un peccato di curiositas. Ma che cosa sia e che


cosa rappresenti esattamente la curiositas nell'universo filosofico di Apuleio
non è chiaro. Alcuni critici ritengono che essa venga valutata in modo
positivo da Apuleio, quasi fosse per lui il tratto distintivo dell’intelligenza
(salvo poi, dopo avergli attribuito questa opinione, tacciarlo di superficialità
e frivolezza).
A noi sembra, alla luce dell'esito di entrambe le vicende (la trasformazione
magica per Lucio, le vista delle sembianze dello sposo divino per
Psiche), che la valutazione non possa che essere negativa.
In ogni caso, il significato dell’esperienza adombrata nelle Metamorfosi
debba essere valutato con maggiore attenzione. Avanziamo a questo punto
qualche ipotesi.

Apuleio, come già Euripide in un'opera altrettanto discussa ed enigmatica, le


Baccanti, sembrerebbe contrapporre, nel suo romanzo, due modalità
opposte del conoscere:

1) la curiositas (che in Euripide è designata con il termine sophòn), che


si illude di poter arrivare alla decifrazione razionale dell’Essere attraverso
l’osservazione delle forme dell’Apparenza (l’“abbandono al mondo”), dei
fenomeni (etimologicamente “ciò che appare”) o dei segni in essa
impressi.
Si pensi alla definizione che il filosofo Heidegger dà della curiosità: “ciò
che preme a questo tipo di visione non è la comprensione o il rapporto
genuino con la verità, ma unicamente le possibilità derivanti
dall’abbandono al mondo. [...] La curiosità non ha nulla a che fare con la
considerazione dell’ente pieno di meraviglia, con il θαυµαζειν; non la
interessa lo stupore davanti a ciò che non si comprende, perché essa
cerca, sì, di sapere, ma unicamente per poter aver saputo” (Sein und
Zeit, Halle 1927).
La curiosità, l'attitudine intellettuale di chi vuole sapere per il gusto di
sapere, è quindi, sì, indizio di intelligenza, ma di un'intelligenza
superficiale, presuntuosa e per molti versi infantile. E' questa l’illusione
della scienza, ma anche quella dell'alchimia e della magia, la stessa di
Apuleio prima della conversione; essa si rivela, a giudicare dalle vicende
di Lucio e di Psiche, suprema stoltezza: la multiforme varietà delle cose
né può essere realmente conosciuta nella sua essenza, né può condurre
alla conoscenza di ciò che veramente è al di là delle apparenze e
conferisce loro significato.
La curiosità, si direbbe, è una modalità del conoscere che si addice ad un
bambino, ma che in un adulto può essere rivelatrice di un'immaturità di
fondo. L'adulto curioso è spesso un bambino intelligente che si rifiuta di
crescere. Sennonché l'anima, in prospettiva platonica, ha un percorso di

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maturazione da compiere, deve crescere; e la presenza della curiositas,
che continuamente distrae l'uomo dalla ricerca interiore spostando la sua
attenzione su oggetti esterni, diventa ad un certo punto un ostacolo
insormontabile. Accade allora un evento traumatico che costringe l'uomo
a rendersi conto dell'inefficacia di questa modalità conoscitiva e a
cercare altri mezzi di salvezza.

2) la rivelazione (che in Euripide è designata con il termine sophìa):


l’uomo, una volta caduto, deve passare attraverso l’inferno dell’abiezione
morale e della disperazione, per arrivare a conoscere fino in fondo la
nullità delle risorse intellettuali umane: solo a questo punto potrà
intervenire la Grazia divina (Amore nella favola, Iside nella storia
principale) a portare la salvezza attraverso la conversione. Si tratta di un
percorso adombrato in numerose altre opere della letteratura mondiale:
basti pensare alla Divina Commedia ed alle Confessioni di Sant'Agostino
(non a caso grande estimatore del romanzo apuleiano).

A proposito delle Baccanti di Euripide ci si è spesso domandati se la


contrapposizione tra le due modalità del conoscere adombri una
"conversione" dell'autore dal razionalismo alla fede; a noi questo non solo
non sembra verosimile, ma ci pare antitetico rispetto alle reali intenzioni
dell'autore: egli infatti, a nostro parere, resta fino alla fine un appassionato
difensore della fragile arma della razionalità (il Lògos) contro il disordine
distruttivo dell'irrazionale - di cui è aspetto il fanatismo religioso -, pur nella
dolorosa consapevolezza dell'inevitabile prevalere di quest'ultimo.

Nel caso di Apuleio il senso della contrapposizione appare diverso, anche


se, data la natura composita dell'esperienza filosofico-religiosa dell'autore,
occorre cautela nel formulare giudizi.

Quale che sia il senso esatto dell'esperienza, è da notare un particolare:


nella novella di Amore e Psiche, l'Anima è già amata dal Dio fin dall’inizio
(cioè è già salva), ma non lo sa: dubita, diffida, tradisce.
Questo elemento è squisitamente platonico e riconduce alla teoria della
reminiscenza (si veda soprattutto il Menone): secondo Platone l'anima è già
immortale, ma l'estrema ignoranza e confusione in cui è precipitata
piombando nella materia l'ha immersa nell'oblio; non ricordando più chi
è, vuole sapere ciò che in realtà non conta nulla, vuole vedere,
sperimentare, indagare tà physikà, immergendosi nelle illusioni della
materia ed allontanandosi così sempre più dalla sua originaria condizione
immortale.
Per poter essere di nuovo salva, dovrà arrivare alla conoscenza per una via
completamente diversa: un percorso di sofferenza e di progressivo
smantellamento delle illusioni, il cui esito finale è il buio

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della disperazione (la stessa cui conduce la "vita estetica" di Kierkegaard);


solo a questo punto può finalmente verificarsi l'evento rivelatore: solo
nel buio può rendersi visibile la tenue fiammella della reminiscenza - la sola
conoscenza veramente possibile -, che accende nell'anima il ricordo di ciò
che era in origine, e con esso il desiderio dell'immortalità.
Tuttavia, sebbene l'intervento della Grazia divina appaia fondamentale, non
di fede - nel senso cristiano del termine - si tratta, ma di qualcosa di
diverso. Non si tratta di credere: si tratta di capire. Apuleio, a nostro
giudizio, non intende affatto la conversione come adesione acritica ad
un dogma religioso, ma semmai come conquista della salvezza attraverso
un percorso conoscitivo individuale profondo: una vera e propria gnòsi.
Troveremo più tardi in atto questa contrapposizione nella secolare e
sanguinosa lotta della Chiesa cattolica contro le multiformi eresie di
derivazione gnostica, che rifiutano ogni dogma, non attribuiscono alcun
valore alla fede ed alla mediazione delle istituzioni ecclesistiche e ritengono
che la salvezza sia una conquista strettamente individuale, che si attua
attraverso la conoscenza (in greco gnòsis, appunto).

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