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Tirteo: “L’etica del soldato” (Fr. 6-7, Gent.-Pr. / 10 W.

)
(È) bello che un uomo valoroso giaccia morto caduto tra i combattenti in

prima fila, combattendo per la sua patria: invece è la cosa più penosa di

tutte che colui che ha lasciato la propria città e i campi fertili vada

mendicando, vagando con la propria madre e il padre anziano e con i figli

piccoli e la legittima sposa. (vv. 1-6)

Odioso infatti sarà a coloro tra i quali giunga, cedendo al bisogno e

all’odiosa povertà, e svergogna la stirpe, e smentisce il nobile aspetto, (lo)

seguono ogni disonore e sventura. (vv. 7-10)

Ma se davvero di un uomo così vagabondo non c’è alcuna considerazione

né rispetto, né della stirpe del futuro, con coraggio per questa terra

combattiamo e per i figli moriamo, non risparmiando più le vite. (vv. 11-14)

O giovani, suvvia combattete restando gli uni accanto agli altri e non date

inizio alla fuga vergognosa né alla paura, ma rendete grande e forte


l’animo in petto e non amate la vita combattendo contro gli uomini: e i più

vecchi, le cui ginocchia non (sono) più agili, non abbandonateli nella fuga,

gli anziani. (vv. 15-20)

Questo infatti (è) davvero turpe, che caduto con i combattenti in prima fila

giaccia davanti ai giovani un uomo più anziano, che ha ormai il capo

bianco e il mento canuto, esalando l’animo forte nella polvere, tenendo i

genitali insanguinati tra le sue mani – cosa vergognosa invero per gli occhi

e indegna a vedersi – e denudato nel corpo, ai giovani invece tutto si

addice, finché (uno) abbia lo splendido fiore dell’amabile giovinezza,

mirabile a vedersi per gli uomini, amabile per le donne finché è vivo. (vv. 21-
30)

Orsù ognuno, dopo aver divaricato bene le gambe, resti con entrambi i piedi

piantato a terra, mordendo il labbro con i denti. (vv. 31-32)

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