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LEZIONE 17 Sbobina 02/05

Introduciamo un ulteriore saggio su Robinson crusoe, parliamo soltanto di una parte e poi andiamo avanti
con l’ascolto la traduzione e l’analisi, il saggio è tratto dal libro di Lidia De michelis “More worlds in trade to
conquer: la cosmografia mercantile di Daniel Defoe”, il saggio intero si chiama “Defoe e i mari del sud tra
propaganda e mito: la review e i romanzi” comincia a pagina 11 fino a pagina 66, ci occuperemo dell’ultima
parte da pagina 43 a 66 un paragrafo che si intitola “Lungo le rotte dell’utopia: il bianco, l’Africano e il
caraibico”: la prima parte di questo saggio è alquanto difficile in cui si parla di una questione finanziaria
economica legata alla famosa “ampolla dei mari”, un'operazione finanziaria con cui moltissime persone
finanziarono le spedizioni verso il mare del sud di navi, questa pero si rivelò una bolla finanziaria, nel
periodo in cui Daniel defoe stava scrivendo Robinson Crusoe si è verificato questo episodio a cui lui stesso
ha partecipato, Daniel defoe non è infatti un narratore di storie per “bambinetti” ma è un grande ideologo
perché spingeva l’idea che la nazione dovesse avere una potenza coloniale ed espandersi sui mari, diventa
uno dei maggiori promotori sopratutto attraverso il suo giornale “ The review” nella quale lui parla di
politica estera, di affari della Francia e a un certo punto promuove a spada tratta l’idea di finanziare questa
operazione delle spedizioni verso i mari del sud, (quando parliamo di mari del sud intendiamo la south sea
company quella che riguarda tutti i viaggi verso le zone caraibiche dove c’erano i mercati e le colonie più
fiorenti, quindi i mercati di cui parlava anche Jonathan Swift nella sua modesta proposta di come molte
persone per sfuggire alla fame pensavano di andare alle Barbados per trarre beneficio dalle piantagioni e
poter commerciare).

Quindi Daniel defoe è un grande ideologo del viaggio oltremare per poter colonizzare altri territori,
abbiamo visto che lo fa attraverso un linguaggio abbastanza semplice, che è quello che deve entrare nella
mente del lettore borghese che si deve abituare a un nuovo modello di uomo, un uomo che sia
intraprendente, che sia portato per l’avventura come adventures che ha un doppio senso: quando si dice
avventuriero si intende anche una persone che si lancia in avventure economiche, l’adventures di cui parla
Defoe è spesso anche l’idea di buttarsi in modo rischioso in delle avventure, non come esploratore, ma da
cui ci si può detrarre un certo profitto, lui si fa grande sostenitore di questa compagnia dei mari del sud
ovviamente sostiene anche le ragioni di un uomo politico: Robert harley un politico importante oltre ad
essere uno dei fautori di questa impresa verso i mari del sud, ha anche salvato Daniel defoe in più occasioni
dalla prigione (per via dei debiti).

Daniel defoe ha immaginato di avere nelle sue mani un selvaggio che lui tratta benevolmente, vediamo
come la letteratura di viaggio e anche i romanzi che si ispirano alla letteratura di viaggio sono proprio un
tutt’uno con le scienze che si stanno sviluppando nella modernità, una di queste scienze è proprio
l’etnografia che sarebbe l’antropologia con la sua sistematizzazione in popoli diversi, differenziati per tutta
una serie di tratti fisici ma soprattutto queste differenziazioni rispondono al tentativo di dire che c’è una
gerarchia che giustificherebbe il perché i bianchi possono dominare su gli altri, il Darwinismo dà origine a
una teoria sociale secondo cui il più forte domina sul più debole, quindi il Darwinismo a un certo punto
diventa proprio una vera e propria giustificazione per andare a sopraffare i popoli più deboli = Darwinismo
sociale.

I più deboli sono destinati alla non sopravvivenza e alla morte. Il darwinismo sociale è alla base di
tantissime aberrazioni sociologiche che poi si sono succedute nel tempo, per prima quella nazista e la follia
dello sterminio dei popoli. La letteratura porge il braccio a delle ideologie che poi a loro volta si nutrono
della letteratura in uno scambio simbiotico: la letteratura propone delle idee che spesso sono supportate
dalla nascita di nuove scienze e discipline, che a loro volta sono aiutate dalla letteratura per poter dare una
sorta di immaginazione a questo proposito che è quello di costruire la modernità. Ovviamente, quando
abbiamo parlato di Robinson che incontra il selvaggio, si è notata una sorta di proiezione: ossia, Robinson
che vuole immaginare la possibilità di trovare un selvaggio, il quale non aspetti altro che è essere asservito
(queste sono idee che troverete nella seconda parte del saggio). Troviamo, infatti, Friday, che sembra un
bambino, benché abbia 26 anni, anzi, come dice la studiosa Lidia de Michelis, “un pupazzo d’argilla” nelle
mani di Robinson, pronto ad accettare i suoi insegnamenti e pronto ad essere addomesticato e addestrato.
Questo avviene soprattutto attraverso un’immagine che mette insieme l’idea del master, sia come padrone
che come maestro; tanto che noi possiamo non sentire la violenza intrinseca che il bianco inglese perpetua
sull’assoggettato, perché questo racconto passa attraverso una sorta di comportamento che potremmo
definire come quello del padre verso il figlio -> paternalismo. Il pupazzo è facile da maneggiare, malleabile,
non ha una sua identità ma aspetta che gliela dia qualcun altro: Friday sembra non avere una sua identità,
tutto quello che farà gli sarà dato da Robinson. Parliamo di capacità adamitica, ossia quella che, come
Adamo, permette di rinominare o nominare il mondo, tant’è vero che Robinson dà a Friday un nome che è
uno dei giorni della settimana, ed è proprio il giorno in cui egli è stato salvato. Questo selvaggio
rappresenta, come dice Lidia de Michelis, l’infanzia della ragione, cioè quando la ragione, pur essendoci, è
nella sua infanzia. È paradossale l’immagine di uomo forte, di 26 anni, che, tuttavia, ha una consapevolezza
che però non è sviluppata, ma è come se corrispondesse a quella di un bambino. Anche se poi Friday si
rivela essere quello che meglio riesce a comprendere la Bibbia, si tratta quindi dei grandi paradossi di
questa grande confusone mentale del colonizzatore bianco, che non riesce ad essere sempre coerente con
tutto quello che ci presenta, perché tante sono le cavolate che si inventa, che ci fa vedere pure un Friday
molto appassionato alle questioni ideologiche della Bibbia (che noi però salteremo). È importante capire
che Daniel Defoe voglia presentare la superiorità dell’uomo bianco, colui superiore in tutto e per tutto al
selvaggio, anche per quanto riguarda la razionalità. Che sia lui, quindi, il padrone; questo non può essere
messo in dubbio. Gli si può concedere che il selvaggio abbia tanta curiosità di capire meglio Dio, la Bibbia,
ma tutto sommato, queste cose non importano per niente a Robinson; egli non è un appassionato, al
contrario, egli incarna la figura moderna del laicismo, della cultura laica. Può concedere al bambino di
perdere tempo con questo giocattolo a cui lui non è interessato. Fino alla fine, addirittura anche nei libri
successivi, non molto di successo, Friday resta ancora molto zoppicante nell’inglese. Di contraddizioni, cose
che Defoe non ha portato a termine sono tantissime. Ciò che è fondamentale è capire, in queste pagine, è
la violenza insita nel rapporto coloniale, e il voler addirittura convincere Robinson che, tutto sommato, egli
insegna al selvaggio il non mangiare più carne umana -lo svezza dall’essere un cannibale; lo veste, dunque,
non lo fa più procedere nel peccato, lo allontana dalla naturalezza. Continuando il discorso sulla nudità, nei
viaggi di Gulliver, che vengono dopo Robinson Crusoe, il protagonista arriva nel regno dei cavalli. Quando
vanno in giro i cavalli sicuramente non vanno vestiti, sono nudi; quindi, vorrebbero accettare Gulliver ma
non capiscono cosa abbia addosso, pensano che i suoi vestiti siano la sua pelle. Quando invece uno dei
cavalli lo scopre a dormire (nudo) e vedono che ha “un’altra” pelle rimangono talmente disgustati e
sconcertati che non gli credono più, capiscono che c’è un inganno. E in effetti da una parte c’è un inganno,
ma dall’altra parte, anche noi, quando ci copriamo, è come se si trattasse di un inganno perché non
sappiamo in realtà cosa ci sia sotto: coprirci, truccarci, toccare i capelli in un certo modo sono tutte cose di
un’elaborazione su una naturalità che dovrebbe essere l’unica forma accettata e accettabile. La nudità è
purtroppo diventata una cosa sporca e Jonathan Swift, al contrario di Defoe, questa cosa la fa capire
proprio attraverso i cavalli, che si disgustano quando vedono quelli che in realtà sono i vestiti di Gulliver, e
non la sua vera pelle. Dunque, è proprio il contrario. Dovreste leggere benissimo Robinson Crusoe per
capire benissimo il discorso di Swift, che è come se rispondesse pezzo per pezzo a tutte le stupidaggini che
si è inventato Defoe, il quale è un grande sostenitore della colonizzazione. Invece, avete sentito cosa pensa
Jonathan Swift di quando si va a conquistare un altro territorio. Defoe è un inglese mentre Swift è irlandese,
ciò è una cosa da mettere in luce perché quando un popolo o una persona ha conosciuto anche l’inferno, in
qualche modo lo decifra meglio rispetto ad altri -> Jonathan Swift apparteneva ad un territorio che ha,
appunto, vissuto una colonizzazione interna. È importante precisare che tutte le strane incongruenze che
noi troviamo in Defoe, ad esempio, vestire un selvaggio, il quale soffre molto con addosso i vestiti, un po’
come i bambini che quando gli metti la giacchetta gli fa male, gli tira etc, quindi è veramente
un’imposizione. Questa imposizione, per il lettore, viene vissuta come un processo di acculturazione e
civilizzazione; quindi, se noi non ci ponessimo tutte queste domande, ad esempio, “Adamo ed Eva erano
nudi” e quindi venivano rappresentati in questo stato naturale di innocenza primaria, perché dopo la nudità
viene la caduta dell’uomo nel peccato. Qui, invece, la vestizione è come se rappresentasse il percorso
dell’uomo verso il paradiso -> l’uomo si veste perché era peccaminoso prima, Defoe cambia tutte le carte in
tavola. Ritornando al rapporto con Friday, dunque infantilizzazione del selvaggio -> il selvaggio è il bambino
pronto ad obbedire ciecamente e a fare tesoro di tutte le informazioni che gli dà il suo maestro/padrone
(un po’ come Dante con Virgilio, solo che il rapporto è diverso perché Virgilio non vuole colonizzare Dante o
addomesticarlo, però ci sono tante mitologie ed immagini della Divina Commedia, che è comunque un
punto di riferimento, da cui vengono riprese delle strutture basilari nella cultura europea, le quali sono un
po’ le fondamenta di essa. Infatti, quando si parla di inferno o di paradiso, per forza si passa attraverso
Dante, soprattutto quando si parla di letterati di quest’epoca che studiavano proprio i classici; dunque, non
si prescindeva da loro). Friday, naturalmente, è più impressionabile: le sue domande sono per lo più, ad
esempio, sull’inferno, cos’è l’inferno, chi è quel dio che ti condanna, cos’è la peccaminosità -> Friday non sa
niente di un dio che si è rivelato, che ha dato tavole e leggi, e si incuriosisce molto; e Robinson, allo stesso
tempo, è contento di potergli spiegare queste cose ma fino a un certo punto, perché poi alcune cose
neanche lui le capisce. Perché l’uomo inglese, ma anche quello europeo, può passare da un medioevo
mentale alla modernità? Perché ci sono state le prime traduzioni della Bibbia e, con il Protestantesimo, c’è
stata la possibilità, per l’uomo, di leggere lui stesso la Bibbia. Essa è stata uno dei primi libri ad essere
stampato ma soltanto i religiosi potevano leggerla; quindi, era un testo sacro che dalla gente comune
poteva essere solamente sentito, e dovevano obbedire e basta. Nel momento in cui avviene la nascita della
stampa, e dunque chiunque aveva la possibilità di leggere la Bibbia, inizia la rivoluzione protestante: l’uomo
non vuole più avere un mediatore tra lui e Dio -il mediatore era il prete, l’unico che poteva leggere-, non
riconosce più il mediatore né la confessione. Al contrario, i cattolici credono nel mediatore, a cui
confessano i propri peccati, che dà all’uomo il corpo e il sangue di Cristo e che spiega come leggere la
Bibbia e i Vangeli, ma non siamo noi a leggerli, noi andiamo al catechismo. I Protestanti non si confessano,
non hanno la figura del confessore che li assolve, e non credono neanche nella transustanziazione. Il
protestante deve essere lui stesso il suo proprio mediatore: più lavora e più è probabile che Dio forse gli
voglia bene ma non può mai esserne sicuro, non sa se riceverà la grazia; anzi, il protestante crede
addirittura che la grazia sia un po’ casuale, può venire come può non venire. Il cattolico invece pensa:
uccide qualcuno, va dal prete, il prete lo assolve e poi è libero e avrà la grazia ≠ il protestante forse riesce a
vedere un segno della benevolenza divina perché si è arricchito -> si dice infatti che i protestanti siano alla
base del capitalismo.

Perché l’ideologia protestante è considerata alla base del capitalismo? Perché il protestante crede che
lavorando accumuli profitti e che per questo la divinità avrà un occhio di riguardo nei suoi confronti, però
non è l’uomo che può controllare quello che la divinità vuole. Poi ci sono altri che credono addirittura che la
grazia arrivi a chi in vita ha compiuto cattive azioni, piuttosto di arrivare a chi in vita è sempre stato buono.
Quindi la ricezione della grazia risulta casuale. Defoe era protestante e lui cosi come Friday, leggevano la
Bibbia, cosa che prima non si poteva fare dato che la Bibbia era considerata un libro sacro.

Ritorniamo all’argomento di prima, stiamo parlando di questo ammaestratore, addomesticatore e di


questo fanciullo nelle mani del padrone. Un padrone convinto dell’esistenza di esseri inferiori per
razionalità, usi e costumi. Daniel Defoe nel suo giornale The Review sosteneva proprio apertamente che
molti schiavi africani non saprebbero che cosa farsene della libertà (il discorso ci deve sempre portare alla
necessità di avere degli schiavi). Defoe sosteneva che con l’indio si poteva avere un rapporto di quasi
amicizia, l’importante era che l’indio rimanesse sempre sottomesso e aiutasse nei lavori; invece, questo
discorso non valeva per l’africano che Defoe definisce proprio come l’essere più abbietto (Nei suoi romanzi
c’è sempre l’idea della schiavitù, dell’arricchimento e dell’avventura). Defoe afferma che gli schiavi africani
dovevano essere comunque trattati bene perché rappresentavano un investimento per il padrone. Il
padrone non doveva uccidere e mutilare gli schiavi africani, però era importante che il padrone usasse con
loro la frusta per farli lavorare, perché gli africani erano pigri e in questo modo capivano come dovevano
lavorare e riuscivano ad essere produttivi. C’è sempre questa insistenza che l’africano è pigro e non vuole
lavorare. Defoe si fa portavoce di uno schiavismo moderato, che però deve rimanere pur sempre
schiavismo, in quanto lui sostiene, raccontando anche certi aneddoti nel suo giornale, che lo schiavo
africano se tu gli dai la libertà non sa che cosa farsene. La vita degli schiavi era limitata alle piantagioni e poi
erano analfabeti, non avevano mai avuto nessuna opportunità.

Daniel Defoe scrisse in merito sul suo giornale:

“Ho sentito il proprietario di piantagioni delle Barbados e avendo una certa compassione per le miserie dei
suoi poveri schiavi negri e avendo un forte pentimento all’idea di opprimere la natura umana e i suoi fratelli,
chiamò tutti i negri della sua piantagione insieme, quelli che lui aveva comprato con denaro e che gli erano
costati un sacco e gli disse che loro erano tutti fatti della stessa natura, tutti uguali e che loro avevano
l’anima di uguale e stimabile valore e che erano tutti per natura liberi, sia nei suoi confronti, sia con gli altri.
E che avevano diritto alla libertà come ce l’aveva lui. E che lui non sopportava di opprimere i suoi fratelli in
tal maniera e che quindi aveva deciso di rendergli giustizia e di farli liberi e quindi potevano andare dove
volevano. I poveracci/i miserabili all’inizio, erano tutti contenti di essere liberi ma non avendo idea dei
vantaggi che questo comportava e non sapendo cosa fare, se ne andarono in giro a cercare un lavoro in
cambio di un salario, guadagnando soldi che non sapevano come spendere/usare. Erano completamente
fuori dal loro elemento e quindi se ne tornarono dal loro vecchio padrone e gli chiesero di riprenderseli e di
metterli al lavoro.”

Da questo suo racconto noi dovremmo capire che gli schiavi sono nati per essere schiavizzati e che non
possono fare nient’altro al di fuori di quello, è il loro destino. La visione di Defoe non era del tutto sbagliata,
in quanto molti schiavi quando a volte avevano l’opportunità di scappare, preferivano rimanere nelle
piantagioni perché non potevano neanche immaginare una vita diversa da quella. Altri invece, di fronte alla
possibilità di scappare, scappavano. Altri invece pensavano che nessuno avesse il diritto di schiavizzare
un’altra persona.

Daniel Defoe costruiva/ci forniva all’interno delle sue opere le motivazioni per cui l’uomo inglese sarebbe
poi diventato un grande schiavista.

Gli schiavi diventavano quindi una proprietà del padrone, gli schiavi funzionavano come una macchina il cui
lavoro ovviamente rendeva molto, per tanto il padrone non avrebbe mai distrutto una macchina che lo
aiutava a guadagnare.

Tornando a Defoe, nel suo giornale, così come nei suoi romanzi, troviamo poi anche l’idea dell’importanza
di poter proiettare su un’isola, l’utopia dell’uomo bianco, che ha una tradizione letteraria antica (dal testo
Utopia di Tommaso Moro si sono poi sviluppate tutte le altre forme di utopia.)

L’utopia va costruita, e quale luogo migliore per costruire l’utopia dell’uomo bianco, se non le terre
caraibiche che avevano bisogno di essere piantate e che avevano già un cospicuo numero di schiavi che
venivano presi dall’Africa, rappresentando un tipo di manodopera completamente gratuita?
Traduzione. “Feci raccogliere a Friday tutti i teschi, le ossa, la carne, e tutto ciò che era rimasto, li ho fatti
unire in un mucchietto e feci bruciare tutto fino a ridurli in polvere. Ho notato che Friday aveva ancora
l’acquolina in bocca per la carne, era ancora cannibale per la sua natura; ma gli mostrai un tale disgusto al
solo pensiero di questo, che lui non osò più manifestarmelo; poiché io feci in modo che lui sapesse che
l’avrei ucciso se gliel’avessi offerta. Una volta terminato, siamo tornati al castello, e lì ho ricominciato a
lavorare per il mio uomo Friday; gli diedi un paio di pantaloni che avevo trovato nel baule del povero
fuciliere, di cui ho menzionato e che avevo trovato nel relitto; con una piccola modifica, gli calzavano molto
bene. Poi gli ho cucito un giacchino di pelle di capra, per quanto riuscii a farlo ed era diventato un sarto
tollerabilmente bravo; e poi gli diedi un cappuccio ricavato dalla pelle di una lepre molto utile e anche alla
moda, e così fu vestito in maniera tollerabile, e fu molto felice di vedersi vestito tanto bene quanto il suo
padrone. È vero che ci andava molto scomodo in queste cose all’inizio, indossare questi pantaloni era molto
strano, le maniche del gilet gli segavano le spalle e l’interno delle braccia; allargandole un po’ dove lui si
faceva male e abituandosi ad esse, si trovò bene. Il giorno dopo sono tornato al mio rifugio e cominciai a
pensare a dove dovessi sistemarlo. E dovevo farlo per bene per lui, ma tuttavia dovevo essere io a mio agio,
feci una piccola tenda tra le mie due fortificazioni, all’interno dell’ultima e all’esterno della prima.

(…)

Ma io non avevo nessun bisogno di questa precauzione; poiché nessun uomo ebbe un più fedele,
amorevole e sincero servo di Friday nei miei confronti; senza passioni, scontrosità o propositi,
perfettamente obbligato, grato e impegnato nei confronti del padrone; i suoi affetti erano legati a me come
quelli di un bambino a un padre; e oserei dire che lui avrebbe sacrificato la sua vita per salvare la mia in
qualsiasi occasione. Le molte testimonianze che mi diede di ciò misero fuori ogni dubbio, e subito mi
convinsero che non avevo bisogno di usare alcun tipo di precauzione per quanto riguarda la mia salvezza
nei suoi confronti.

- Dimostrazione di possessività per Friday.


- Ha ritrovato molta roba nella nave, le cose più utili, tra cui la polvere da sparo e dei vestiti.
- Robinson ricuce gli abiti in modo che Friday potesse indossarli.
- Descrive Friday felice di poter indossare dei vestiti simili a quelli del suo padrone.
- Descrizione di come ha costruito una specie di palafitta per Friday. Robinson ha capito che
nonostante il selvaggio sia grato, era cannibale e c’era bisogno prendere delle precauzioni. Tuttavia,
non ne aveva veramente bisogno, era un servo fedele.
- Ci sono molti termini che descrivono il rapporto servo-padrone, Defoe sottolinea che l’uomo
inglese è il miglior colonizzatore.
- Passions: intesi come impulsività, istintività.
- Lidia De Michelis parla della relazione paternalistica descritta.
- “Però io non posso cambiare la volontà di Dio, Dio opera in maniera inconoscibile”: senso della
provvidenza.

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