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26/04/2023

Sbobina letteratura inglese I


Scrivete metà paginetta per ognuna delle due lezioni con i professori americani, poi se qualcuno avesse registrato può
metterle a disposizione di tutti.

Delle pagine iniziali che abbiamo fatto ne mancano ancora un paio ma la prof dice di lasciarle perdere e di fare solo
quelle tradotte e spiegate con lei a lezione. (4 pagine)
Spiegazione del nuovo capitolo di Robinson Crusoe: “I Call Him Friday”
Dopo 25 anni di solitudine Robinson assiste all’arrivo dei cannibali sull’isola, arrivano con 5 canoe -ogni canoa puo
trasportare 4/5 persone- loro sono pronti a divorare (to feast= banchettare, lo troveremo spesso) i poveri prigionieri.
Robinson da una collinetta è riuscito ad avvistare questa scena lugubre. Egli aveva il desiderio sfrenato di avere uno
schiavo; quindi, non ci pensa due volte e con la sua carabina riesce ad uccidere da lontano gli altri cannibali e a salvare
uno solo di questi che scappando si butta ai piedi di Robinson per mostragli tutta la sua gratitudine.
Le pagine precedenti a questo episodio non le facciamo, ma noi siamo liberi di leggere tutto il romanzo; quanto prima
descritto è un riassunto dell’antefatto.
Per poter ascoltare il capitolo “I Call Him Friday” andare al minuto 7:40 del video https://youtu.be/6iQBVuFg9m8.
Alcune parti nelle traduzioni le saltiamo perché sono difficili, ci sono molto termini tecnici e risulterebbero noiose.
Ricordiamo che il linguaggio utilizzato è quello della narrativa del 700, non è proprio moderno, si tratta pur sempre di
un testo del 1719.
Lettura del testo: “I Call Him Friday”
Traduzione:
Era una bella persona (fellow= compagno/persona) attraente, dall'aspetto gradevole e dalle forme perfette; aveva arti
forti e diritti, non troppo larghi; alto e ben definito, da quel che mi sembra (as I reckon) poteva avere all'incirca ventisei
anni. Aveva un bel volto, non con un aspetto fiero e brutale; ma sembrava avere qualcosa di molto virile nel suo volto,
ma con tutta la dolcezza e la delicatezza di un europeo, soprattutto quando sorrideva; i suoi capelli lunghi e neri, non
ricci/crespi come la lana.
Domanda che fa sempre la prof all’esame: chi è che ha i capelli crespi come la lana? Friday.
Normalmente le descrizioni si fanno affermando delle cose, in questo caso Defoe utilizza spesso le negazioni perché ci
vuole dare l’idea di cosa non è Friday.
Nel brano si ripetono spesso gli stessi aggettivi che significano quasi tutti la stessa cosa; questo per sottolineare ciò che
sta descrivendo.
La fronte alta e spaziosa e gli occhi, molto vigili, brillavano di intelligenza.
La fisiognomica dice che le fronti spaziose siano un segno di grande intelligenza; quindi, vuole dirci che Friday è
intelligente.
Il colore della sua pelle non era troppo scuro, ma molto abbronzato e tuttavia non di un brutto giallo come i brasiliani
e i virginiani e altri nativi d’America (gli indigeni) sono.
In Virginia e in Brasile già c’erano i meticciati, coloro che si erano accoppiati con gli schiavi neri, che erano di colore
giallo vitruviano.
Ricordatevi che la Virginia è stata la prima colonia americana, agli inizi del 1600.
ma il colore era oliva, scuro e lucente, aveva in sé qualcosa di molto piacevole però non molto facile da descrivere; la
sua faccia era rotonda e paffuta, il naso piccolo, non piatto come quello dei neri, la bocca ben fatta, le labbra sottili,
bei denti sistemati e bianchi come l'avorio. Dopo che ebbe sonnecchiato un po’ (to slumbered= riposare, stare in stato
di sonnolenza), più che dormito, dopo circa una mezz'ora, si svegliò e uscì dalla caverna verso di me. Io, nel frattempo,
stavo mungendo le capre che avevo nel recinto lì vicino. Quando mi vide cominciò a correre verso di me stendendosi di
nuovo a terra.
Dice di nuovo perché già prima aveva fatto un’azione del genere che ovviamente noi non abbiamo letto. Poco prima,
quando Robinson aveva salvato la vita a Friday, egli aveva fatto questo atto di devozione/gratitudine.
mostrando tutti i segni possibili di umiltà e di riconoscenza, facendo degli antichi gesti per esprimere i suoi sentimenti.
Domanda della Prof: perché i gesti sono antichi?
Risposta di una ragazza: magari perché pensa che ci siano delle divinità di mezzo
Risposta della Prof: Robinson rappresenta la modernità invece il selvaggio rappresenta la primitività, antichità. Questo
è un concetto importante, l’antropologia ha scritto pagine e pagine su questa idea di come l’uomo bianco, europeo,
occidentale ha sempre collocato l’altro uomo, che non appartiene all’Europea, in una sorta di spazio temporale lontano
nel tempo.
Questa cosa è un po’ ridicola, perché se ci pensate lui ha di fronte a sé Friday e quindi condividono esattamente lo stesso
spazio temporale, se Robinson è del 1650 anche Friday è dello stesso anno, non è antico, anzi è anche giovane. Però
l’abitudine dell’europeo, colui che detiene il potere, è quella di collocare le popolazioni lontane dall’Europa in uno
spazio temporale remoto; invece, poi l’antropologia moderna ha analizzato e ha cominciato ad insistere sul concetto di
coevalità: qualcosa che è coevo (dello stesso spazio temporale), Friday è coevo di Robinson siccome condividono la
stessa temporalità.
Invece la nostra abitudine è sempre quella di pensare che “loro”, pensiamo a quante volte noi diciamo “loro non sono
come noi” perché noi mettiamo sempre l’altro in uno spazio temporale diverso, li mandiamo indietro nel tempo, in una
sorta di medioevo eterno, questo è un fatto proprio concettuale su cui sta insistendo molto la parte della teoria che oggi
si chiama “teoria decoloniale”.
La teoria decoloniale si chiama così perché insiste su come la modernità si è basata su tanti concetti, su tante idee del
sapere che sono completamente erronee, paradossali, perché partono dal presupposto che l’uomo bianco sia il metro, la
misura di tutte le cose per cui lo vediamo anche qui.
La prof ci tiene molto che noi facciamo bene queste pagine, perché ci daranno proprio l’esempio di come noi ci
rapportiamo al cosiddetto selvaggio, il selvaggio per noi può essere chiunque, può essere il ragazzo africano che vende
i braccialetti per strada, può essere il rom che ci chiede i soldi per strada e così via, cioè è una questione di proiezioni e
le nostre proiezioni appartengono ad una griglia concettuale che è sempre la stessa e che parte sempre
dall’individuazione dell’altro innanzitutto attraverso le caratteristiche fisiche tra cui la più eclatante è il colore della
pelle. Il colore della pelle purtroppo è ancora una categoria da cui poi facciamo discendere tutti i nostri giudizi, noi non
abbiamo bisogno di conoscere l’altro, ci basta vedere il colore della pelle e automaticamente ne facciamo derivare tutta
una sorta di giudizi perciò la prof ci ha fatto osservare che qui Robinson sta facendo un lavoro molto sottile, ci sta
dicendo il colore della pelle e sta usando tutte queste sfumature perché poi noi dobbiamo capire qualcos’altro, quindi
che quel colore della pelle non ci fa capire che ci troviamo di fronte a una certa persona ma a altro.

Traduzione:
Infine dispone la sua testa con la faccia sulla terra, vicino al mio piede, e mette il mio altro piede sulla sua testa (quindi
si è steso a terra, si è messo vicino al suo piede e l’altro piede gliel’ha alzato e se l’è messo in testa), come aveva fatto
prima; e dopo di ciò, fece tutti i segni che esprimevano soggezione, servitù e sottomissione (osserviamo quante volte
Defoe ripete uno stesso concetto, ovvero 3 volte, qui Friday si sta dichiarando, mettendosi questo piede in testa,
stendendosi a terra e facendo dei segnali che mostrerebbero soggezione, subjection = essere soggetti a qualcuno, i sudditi
di un re si chiamano subjects, quindi soggezione, servitù quindi è il suo servo e sottomissione, sottomesso: ecco che
Friday si è automaticamente autoproclamato suo schiavo totale).

Domanda della prof: Ma questa scena è una scena reale o è una scena inventata?
Risposta di una ragazza: Penso sia una scena reale perché considerato che c’era già il periodo delle colonizzazioni,
magari veniva già assoggettato prima.

Certo, già c’erano gli schiavi, nelle pagine di prima, da pagina 41 a 43, Robinson sta partendo per andare a fare la tratta
degli schiavi, infatti lui dice “noi andiamo là, gli portiamo un po’ di schifezze, di giocattolini, le palline di vetro, coltellini
e in cambio loro ci danno un sacco di cose e soprattutto ci prendiamo i ne*ri”, quindi è una cosa proprio “automatica”.
Però, vediamo bene questa scena ridicola di avere salvato la vita a qualcuno e voler proiettare sull’altro quello che noi
desidereremmo che l’altro facesse, Robinson voleva uno schiavo e nella sua immaginazione ci proietta e ci fa vedere un
personaggio che si stende proprio completamente con la pancia per terra ai suoi piedi e addirittura si mette il suo piede
in testa, che poi è un’espressione che noi abbiamo “mi ha messo i piedi in testa” ed esprime soggezione, servitù e
sottomissione, quindi è molto interessante, Defoe ce lo fa sentire tre volte casomai i lettori del settecento non avessero
capito di che scena si sta parlando e di come un selvaggio decente, un selvaggio “perbene” si debba comportare col suo
padrone bianco, una specie di manuale del comportamento del buon selvaggio “un buon selvaggio è giusto che ripaghi
il suo padrone immediatamente con questo atto di servitù”.
Ovviamente è una scena inventata, reale perché reale è il desiderio umano di avere uno schiavo, dentro di noi c’è questo
desiderio di schiavizzare, di colonizzare, è un desiderio proprio innato nella natura umana, ma ovviamente quello che
non è reale è quello che sta avvenendo qui, perché non esiste Friday con Robinson, l’ha inventato Defoe e ha proiettato
questo immaginario paradiso dove di fronte al bianco inglese colonizzatore, nelle lezioni precedenti abbiamo parlato
del fatto che l’inglese si ritiene il miglior colonizzatore, cioè colui che quando va poi nelle altre terre, nelle terre lontane,
sa davvero che cosa farne perché sa bene come comportarsi. Ovviamente è quello che saprà mettere a frutto nel miglior
modo possibile sia le terre conquistate sia le persone che vivono in quel luogo, non così gli spagnoli che a quanto erano
invece degli assassini efferati ma tutte queste erano invenzioni con cui le potenze di allora cercavano di accaparrarsi i
luoghi, i posti e di dire “io sono il miglior colonizzatore”.
Daniel Defoe nella sua rivista “The Review”, che ha condotto dal 1704 al 1713, parlava proprio di politica estera e di
quanto fosse necessario avere le colonie, perché dalle colonie si prendeva la ricchezza, ma le colonie si alimentano con
il lavoro gratuito degli schiavi e gli schiavi si prendono in Africa, in particolare nel golfo di Guinea (che la prof ci invita
a guardare sulle cartine, in modo da avere un’idea della sua posizione geografica e per avere quindi un’idea di queste
rotte commerciali). Dall’Europa si andava nel golfo della Guinea, si prendevano gli schiavi, si portavano nelle Americhe
(in particolare in Brasile e quindi in tutte le aree caraibiche) e tutta la merce lavorata ritornava in Europa e quindi questo
era il cosiddetto “commercio triangolare”, “triangular trade”.
Una ragazza chiede alla prof se potremmo dire che questa scena sia stata inserita proprio per sottolineare questa
differenza tra l’uomo inglese è quello spagnolo, nel senso che gli uomini spagnoli erano dei colonizzatori “feroci”
mentre l’uomo inglese essendo appunto un uomo più “composto”, sembrava brutto porre Robinson come un uomo che
desiderava uno schiavo e quindi per questo Defoe ha fatto sottomettere Friday quasi di sua “spontanea volontà”.
La prof è d’accordo con questa affermazione, Defoe invece di rendere Robinson “feroce” nei confronti di Friday, fa in
modo che il selvaggio non vedeva l’ora che arrivasse questo dio in terra per chiedergli di poter essere il suo schiavo, di
potersi sottomettere a lui.

Ovviamente prima di scrivere questa scena Daniel Defoe aveva sicuramente letto “The Tempest” di Shakespeare che è
un testo base del rapporto tra colonizzatore e colonizzato, è il testo base del colonialismo, è la trama base su cui molti
scrittori si sono inventati altre storie però la dinamica è molto simile.
In “The Tempest” ci sono le figure di Prospero e il mostro Calibano, cioè il cannibale che Prospero trova lì; tuttavia, ad
un certo punto Calibano si scoccia di come viene trattato da Prospero e vuole ribellarsi, in quanto Prospero l’ha
trasformato in uno schiavo. Quando arriva la nave degli altri europei, Trinculo e Stefano, due ubriaconi bianchi che
stanno camminando nella foresta, Calibano dice chiede loro se vogliono essere i suoi padroni, come se il selvaggio
andasse sempre in cerca di un padrone, come se fosse una cosa normale.

Una ragazza osserva che forse per gli schiavi era una cosa normale, loro stessi pensavano che fosse normale che loro
dovessero essere soltanto schiavi, nel senso che loro, avendo vissuto la loro vita a servizio degli uomini bianchi, era
come se anche loro stessi pensassero che fosse normale.
La prof sostiene che questo è vero, infatti si parla della capanna dello zio Tom, questo atteggiamento è definito da zio
Tom.
Infatti nei tempi moderni, pensiamo a Malcolm X, Martin Luther King, negli anni ’60 quando è venuto fuori tutto il
movimento per la lotta dei diritti civili e quindi anche gli africano americani si sono ribellati alle ingiustizie del razzismo
americano, questo atteggiamento di cui ha parlato questa ragazza, cioè di dare per scontato che poiché le persone nere
sono sempre state schiave delle persone bianche e quindi le cose non cambieranno mai, è l’atteggiamento che poi da
altri attivisti più arrabbiati tipo Malcolm X e le pantere nere dicono che è l’atteggiamento da zio Tom, quindi loro
chiamano questo atteggiamento, “atteggiamento da zio Tom”; invece poi ci sono gli altri che dicono “questa è la storia
fin ora, ma d’ora in poi noi il bianco lo rifiutiamo e anzi ripudiamo tutto il suo sistema” quindi poi ci sono state le
pantere nere e tutte le varie lotte radicali che addirittura dicevano “andiamocene tutti dagli Stati Uniti dove ci hanno
portato loro (perché prima non esistevano gli africani negli Stati Uniti, sono stati tutti portati con la schiavitù) e
ritorniamo nella nostra terra” ed era il ritorno verso la terra e soprattutto se noi conosciamo cos’è il reggae, la musica
reggae, Bob Marley e gli altri, il rastafarianesimo i rastafari (quelli con le treccine) che dagli anni ’70 è diventata una
moda in Europa, i rastafari e il rastafarianism diceva “torniamocene tutti nella nostra terra, in Africa”, cioè un rimpatrio
per lasciare gli Stati Uniti ai bianchi perché dicevano “Questa non è la nostra terra, qui saremo sempre schiavi, invece
noi dobbiamo tornarcene da dove venivamo”.
Ovviamente questo è impossibile dopo che un popolo è vissuto in un territorio per tanti secoli, però questo era il
rastafarianesimo, cioè tornare in Africa, in particolare tornare in Etiopia. L’Etiopia era vista come la terra di origine
degli africani; quindi, la posizione della ragazza che ha fatto quest’osservazione è giustissima perché fa parte di tanto
pensiero, cioè che tu pensi automaticamente che essere schiavo è il tuo destino, però poi non è proprio così.
Infatti, già Calibano in “The Tempest” si ribella, Friday non si ribella perché com’è stato detto prima, per non far vedere
che il bianco gli spezza le ossa per farlo diventare uno schiavo ottimo, Daniel Defoe fa passare direttamente questa
immagine di un Friday felicissimo di avere un padrone bianco di fronte a cui sottomettersi e da cui imparare tutto, quindi
è una tecnica.
Una ragazza osserva che se fosse stato proprio Robinson a dirlo, l’uomo colonizzatore inglese non avrebbe avuto nulla
di meglio rispetto a quello spagnolo, cioè avrebbe usato le stesse tecniche.
La prof risponde che infatti noi vedremo che Robinson si pone subito come padre-padrone, quindi è un master però la
parola “master” in inglese vuol dire sia padrone che maestro, quindi è un padre-maestro, un insegnante perché Friday,
che ha 26 anni davanti a lui è un fanciullo, un bambino a cui Robinson deve insegnare tutto, quindi ci sono due
movimenti, l’infantilizzazione dell’altro, rendere l’altro un infante, un infante è colui che non parla, non sa parlare:
infatti, pur vivendo sempre insieme a Robinson, praticamente il povero Friday anche nei libri successivi non avrà mai
quella padronanza del linguaggio che invece ci si aspetterebbe.
Un ragazzo osserva che questo rimandare sempre al passato e dice “lui vive prima, lui è un bambino” fa sembrare che
il presente sia una cosa buona, qualcosa che però alla fine è più artificiale, gli inglesi alla fine vivono di ricchezze, non
conoscono le tradizioni, magari non ne hanno tante, quindi per loro queste persone sono quasi dei bambini.
La prof afferma e dice che infatti il selvaggio viene trattato come un bambino però è un selvaggio, un bellissimo giovane,
aitante (su questo non c’è dubbio, è stato ripetuto più volte), è bello, forte, ben fatto, proporzionato, a 26 anni dovrebbe
essere già un uomo completo, in più vive su queste terre dove per sopravvivere certamente si ha una propria cultura,
quindi a maggior ragione dovrebbe essere lui a insegnare a Robinson come stare sull’isola, così come noi se andiamo
in Groenlandia non sappiamo fare niente, dobbiamo aspettare che siano gli altri a farci vedere per esempio come si pesca
la foca, come si va sul ghiaccio, ecc.
Quindi dovrebbe essere proprio il contrario e invece qui viene fatto in modo che il selvaggio, per essere un servo, uno
schiavo, debba anche essere una sorta di bambino senza padronanza del linguaggio e quando uno non parla bene sembra
ignorante ma anche un poco impedito; infatti, quando si va all’estero ci si vergogna di parlare.
Il linguaggio è importantissimo e Friday verrà mantenuto sempre in una fase iniziale del linguaggio, perché deve sempre
essere anche un poco bambino, molto ingenuo, molto innocente, deve capire e non capire, deve essere un poco stupido.
Una ragazza osserva che è quello che facevano nelle piantagioni, che non insegnavano a leggere e a scrivere, perché
altrimenti si creava un pericolo per i colonizzatori.
La prof risponde che nelle piantagioni la prima cosa che si faceva innanzitutto era separare tutti i gruppi che provenivano
dalle stesse terre, affinché le persone non si potessero capire, perché parlavano dei linguaggi diversi (è come mettere il
francese con l’inglese e con il tedesco) e poi fare in modo che non parlassero tra di loro perché il parlare già costituisce
un potere; addirittura scrivere e leggere, quello non si poteva proprio fare.
Questi discorsi sulla libertà riguardavano il bianco ma invece non dovevano riguardare lo schiavo perché lo schiavo era
proprietà senz’anima; infatti questa differenza così attenta che Robinson (Robinson nel senso Defoe) fa tra questa
persona che lui ha davanti e gli altri serve proprio a sottolineare che a differenza degli oggetti, quindi il negro, perché
così si chiamavano all’ora gli africani “il negro”, perché lo dice anche qui: <<Non aveva il naso schiacciato ad nigros
come quello dei negri>> mentre il negro io lo posso anche ammazzare perché è mio, è un animale, è una bestia, invece
qua io mi trovo davanti a un’altra persona la cui pelle è diversa: non ha il naso schiacciato, anzi ce l‘ha carino, i capelli
non sono ricci, quindi non è un africano. Che cos’è uno che ha i capelli dritti e lisci? Ricordatevi dove stiamo, vi dicevo
che lui stava in Brasile, poi si imbarca, non esce neanche per tanti giorni e già l’altra nave naufraga ma si ritrova ancora
al largo del Venezuela, perché lui nomina il fiume Orinoco. Quindi stiamo nel Golfo Caraibico e quindi ci troviamo
davanti un caraibico, cioè un indio, cioè quando noi diciamo “indios”.
L’indio del Venezuela ha i capelli dritti, un bel fisico, quindi non bassissimo anzi molto proporzionato, un naso sottile,
le labbra belle, ed è tutto tranne che un africano.
Domanda di una ragazza: L’avete visto il film Apocalypto? Apocalypto ovviamente è anche incentrato proprio nella
Mesoamerica, dove c’erano gli Incas, gli Aztechi, i Maya, cioè i cosiddetti popoli precolombiani, cioè prima dell’arrivo
di Colombo, erano gli indios.
Possiamo avere delle differenze però i tratti che li accomunano sono questi. Ed è ovvio che erano i popoli originari delle
Americhe, perché nel ‘600 iniziano ad arrivare gli africani, ma gli africani non erano originari di quelle terre: sono stati
portati a forza con le navi negriere. E quando vi dice <<Non ha i capelli crespi>>, perché ci dice queste cose? Noi non
lo capiamo subito, è dopo è ci diciamo “ma come mai ci sta dicendo tutte queste cose per via negativa?”: “non ha i
capelli crespi”, “non ha il naso schiacciato”, “non ha il naso grosso”.
Una ragazza risponde “Lo associa al canone di bellezza europeo”.
Fa in modo di ritrovarsi di fronte a un Friday, che rappresenta un indio, che già all’epoca era stato decretato dai
missionari tipo Fray Bartolomé De Las Casas che aveva fatto una serie di trattati religiosi dove diceva che gli indios,
a differenza degli africani, avevano l’anima e quindi non potevano essere uccisi, massacrati, e grazie a lui gli indios
sono saliti al gradino di umani perché avevano l’anima; invece, i poveri africani hanno continuato a venire considerati
come delle bestie.
Considerazione di una ragazza: “Però quando lui parla dei fattori fisici è come se fosse proprio una classificazione della
specie, non è una cosa umana tipo aveva i capelli biondi, è proprio una classificazione della specie come se fosse una
razza animale”.
Questa classificazione non è automatica, fino al ‘500 non c’era stata la classificazione razziale, questa classificazione
viene dopo la scoperta delle Americhe, perché iniziano a essere classificati gli esseri che si trovavano nelle Indie (nelle
West Indies), quindi nei Caraibi ecc., secondo queste tonalità della pelle, ma che erano anche tonalità della pelle
differenziate perché, se voi pensate che già nel ‘600 c’erano i colonizzatori bianchi, il bianco che si mischia con l’indio:
che cosa dà? Il meticcio, il mestizo, quindi questa coloritura un po’ rossiccia. Però poi ci sarà anche il bianco che si
unisce con l’africano, e là sarà il mulatto. Poi ci sarà il mulatto che si unisce col bianco e sarà un’altra sfumatura ancora
e così via. E poi ci sarà l’africano che si unisce con l’indio e quella è ancora un’altra sfumatura. Quindi è nel ‘600 che
iniziano a nascere tutte queste folli categorizzazioni razziali che fanno in modo che la pelle contraddistinguesse anche
un’appartenenza sociale. E della teoria decoloniale c’è per esempio un grande studioso che si chiama Aniba Quijano,
ovviamente sono tutti del sud America, perché sono loro che iniziano a ragionare su queste cose e dicono “Quand’è che
è nata questa classificazione? Mulatto, mestizo, meticcio e così via”. Sono classificazioni che prima non esistevano,
sono nate a partire dalla necessità della schiavitù, della colonizzazione, ma sono delle teorie razziali inventate di sana
pianta, perché non è biondo o bruno, qui stiamo parlando della pelle e delle caratteristiche della fisionomia, che sono
date dai luoghi biografici, invece qua un lettore dell’epoca (non noi perché noi non la capiamo questa cosa) ma un lettore
del ‘700 capisce immediatamente se tu mi dici <<Non ha i capelli ricci, crespi come la lana>>, è chiaro che stiamo
parlando di un africano. “Lisci”, “neri”, stiamo parlando di un indio. È importante sapere che Friday è un indio perché,
se fosse un africano, Robinson non potrebbe mai farci amicizia, ma dovrebbe soltanto trattarlo come un mulo, come un
animale.
Invece sul fedele servo, anche amico, lui può esercitare questa operazione di padre/maestro che si chiama paternalismo,
che sembra una cosa quasi carina che lui lo prende in consegna e lo alleva. Si chiama “Paternalismo” quando qualcuno,
in nome del fatto che ti vuole proteggere, ti schiavizza anche psicologicamente. Chiunque di noi può essere paternalista
nei confronti dell’altro. L’atteggiamento appunto non è fatto con grande violenza, ma è una violenza sottintesa, una
violenza di tipo psicologico dove tu fai sentire l’altro inferiore; ma tra l’altro non ci vuole niente a inferiorizzare l’altro,
basta per esempio che anche in casa i vostri genitori invece di sapere che siete persone ormai adulte ancora vi chiamano
“piccolina, bella vieni qua” ed ecco che ti hanno azzerata o azzerato. Bastano piccole cose, perché il Paternalismo si
annida un po’ dappertutto. O anche a scuola.
Quindi veramente questa pagina è un capolavoro, una pagina di maestria nel far vedere come si costruisce l’altro
colonizzato, e come opera anche la mente coloniale. Perché noi potremmo dire “Certo che Robinson è proprio buono,
l’ha salvato”, però invece subdolamente ti sta facendo vedere come si costruisce lo schiavo.
All’esame vi farò la fatidica domanda “Di dov’è Friday?” mi dovete rispondere “è un caraibico” “è un indio”, non mi
rispondete che è un africano, perché dopo tutte queste spiegazioni vi deve venire in mente che capelli ha, com’è carino,
com’è bello ecc. e da cosa lo sta distinguendo. Ed è importante perché se lui invece fosse naufragato una volta arrivato
in Africa, avrebbe trovato un africano; invece, lui naufraga appena se ne va dal Brasile, quindi sta risalendo, sta verso il
Venezuela e naufraga e lì trova un caraibico, un indio.
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In a little time I began to speak to him and teach him to speak to me; and first, I made him know his name should be
Friday, which was the day I savede his life; I called him so for the memory of the time; I likewise taught him to say
“Master”, and then let him know that was to be my name; I likewise taught him to say “yes” and “no” and to know the
meaning of them; I gave him some milk in an earthen pot and let him see me drink it before him and sop my bread in it;
and I gave him a cake of bread to do the like, which he quickly complied with, and made signs that it was very good for
him.
I kept there with him all that night, but as soon as it was day, I beckoned to him to come with me, and let him know I
would give him some clothes, at which he seemed very glad, for he was stark naked. As we went by the place where he
had buried the two men, he pointed exacly to the place and showed me the marks that he had made to find them again,
making signs to me that we should dig them up again and eat them; at this I appeared very angry, exspressed my
abhorrence of it, made as if I would vomit at the thoughts of it, and beckoned with my hand to him to come away, which
he did immediately, with great submission. I then led him up to the top of the hill, to see if his enemies were gone; and
pulling out my glass, I looked, and saw plainly the palce where they had been, but no apprearence of them or of their
canoes; so that it was plain they were gone, and had left their two comrades behind them, without any search after them.
But I was not content with this discovery, but having now more courage, and consequently more curiosity, I took my
man Friday with me, giving him the sword in his hand, with the bow and arrows at his back, which I found he could use
very dexterously, making him carry one gun for me, and I two for myself, and away we marched to the place where these
creatures had been; for I had a mind now to get some fuller intelligence of them. When I came to the place, my very
blood ran chill in my veins, and my heart sunk within me at the horror of the spectacle.
Traduzione:
In poco tempo ho iniziato a parlargli e gli ho insegnato a parlare a me; innanzitutto, gli ho fatto capire che il suo nome
sarebbe dovuto essere Friday, ossia il giorno in cui salvai la sua vita; lo chiamai così per il ricordo del tempo; gli ho
anche insegnato a dire “Padrone”, e gli ho fatto capire che quello sarebbe stato il mio nome; gli ho anche insegnato a
dire “si” e “no” e a conoscere il significato di questi; gli ho dato del latte in una ciotola di argilla (earthen pot) e gli
ho fatto vedere me che lo bevevo davanti a lui e inzupparci (sop) il mio pane dentro; gli ho dato un pezzo di pane (cake
of bread) per fare la stessa cosa, cosa che lui ha immediatamente fatto (to comply = soddisfare qualcosa), e fece segno
che era molto buono per lui.
Sono stato lì con lui tutta quella notte, ma non appena fu giorno, gli feci (beckoned) cenno di venire con me, e gli feci
sapere che gli avrei dato dei vestiti, alla cosa sembrò molto grato, perché era completamente nudo (stark naked).
Quando andammo nel posto in cui bruciò in due uomini, indicò esattamente il posto e mi mostrò i segni che aveva fatto
per ritrovarli, facendo segni che dovremmo dissotterrarli di nuovo (dig them up) e mangiarli; a questa idea io mi mostrai
molto arrabbiato, espressi il mio disgusto (abhorrence), come se stessi per vomitare al solo pensiero, e gli feci cenno
con la mia mano di andare via, cosa che fece subito con grande sottomissione. Lo guidai sulla cima della collina per
vedere se i nemici se ne fossero andati; e tirando fuori il mio binocolo ho visto in modo chiaro il posto in cui erano stati
ma non c’era neanche più l’apparenza di loro o dei loro cannoni; così fu chiaro che se ne erano andati e che avevano
lasciato i loro 2 compagni dietro di loro, senza andarli a cercare. Ma non mi era piaciuta questa scoperta, ma avendo
ora più coraggio, e di conseguenza più curiosità, ho preso il mio uomo Friday con me, dandogli la spada in mano, con
arco e frecce alla spalla, cosa che trovai che lui poteva usare con destrezza, facendogli portare un fucile per me, e ne
presi due per me stesso, e via ce ne andammo marciando verso il posto dove queste creature erano state; perché ora
avevo in mente di farmi un’idea più completa di loro. Quando sono arrivato nel posto, il sangue mi si rabbrividì nelle
vene (ran chill in my veins), e il mio cuore si dissolse in me all’orrore dello spettacolo.
In questo brano va notato qualcosa di molto particolare: cosa succede quando Friday viene chiamato così in nome del
giorno in cui è stato salvato? Robinson, in pratica, non gli chiede neanche il nome, ma glielo impone. Quest’azione che
compie Robinson viene detta “atto adamitico”, da Adamo che, nella Bibbia, è il primo uomo a dare un nome a tutte le
cose. Tra l’altro è Robinson ad “umanizzare” Friday, che all’inizio era nudo, selvaggio, come si conviene che sia nella
foresta, non ha, difatti, vergogna ed è innocente di fronte a tutto ciò. Friday rappresenta proprio il buon selvaggio di cui
parla Jean-Jacques Rousseau, il quale afferma che l’uomo al suo stato di natura; quindi, nel suo primo vagare nel mondo,
è una creatura innocente, non sa cos’è il male, non ha peccato, come un fanciullo, ed è proprio la vita a corrompere
questa figura pura e, dunque, portarla sulla cattiva strada. Questa è la teoria di Rousseau, qui, però, la situazione è più
confusionaria, anche a detta di molti critici: Friday è portato come il buon selvaggio, innocente, dolcissimo e fedele;
nello stesso tempo pone anche un bianco che prende il controllo, che fa da maestro-padrone che lo deve addirittura
anche svezzare da tutta una serie di peccaminosità, a detta sua, una delle quali proprio la nudità, è Robinson, infatti, a
fargliela sentire e vivere come una vergogna, sentimento che Friday fino ad allora non aveva provato oppure anche lo
“cura” dal cannibalismo e, per di più, gli insegna il precetto della religione che Friday, addirittura, comincerà a leggere
appassionatamente, pur non conoscendo l’inglese e non sapendo leggere, porrà anche domande intelligentissime a
Robinson che toccano proprio i precetti religiosi e i misteri della religione, tanto che lui stesso comincerà a chiedersi
come mai lui che è un inglese, cristiano, che ha letto la Bibbia (in questo caso Robinson si sta presentando come un
modello per il lettore, che deve seguire tutti questi giusti insegnamenti) non se n’è, al contrario, mai interrogato. Alla
base di questo ci può essere la spiegazione che Friday, non essendo cresciuto in quella società che lo ha indirizzato già
da bambino verso quella strada, si avvicini a questa con maggiore curiosità ed ingenuità, proprio come farebbe un
bambino innocente. Però, nello stesso tempo, la funzione di “master bianco” di Robinson che è padrone ma anche
maestro, ci fa capire che allora la modernità non è poi così positiva, essendo ciò che strappa il “fanciullo” di cui parla
Rousseau dalla sua purezza ed innocenza. Stando a questo, Defoe ha davvero scritto un capolavoro, seppur pieno di
incongruenze dal punto di vista del pensiero, delle azioni che fa effettuare ai suoi personaggi, a volte anche controverse
tra loro. Probabilmente, ed evidentemente, Defoe scriveva così in fretta, tenendo in conto anche i suoi quasi 60 anni
durante la stesura dell’opera, che non aveva poi il tempo per revisionare il tutto. Anche il fatto che lui si presenti subito
a Friday come suo “master”, a imporre la supremazia dell’uomo bianco europeo, attraverso però tutto questo buonismo,
che quasi fa pensare che Robinson gli stia facendo come un favore, quello di sottrarlo alla natura e trasformalo nel suo
schiavo.
Ricapitolando, le caratteristiche salienti dell’incontro con Friday sono: l’imposizione del nome, la vestizione della nudità
e l’apprendimento di un mestiere (che è anche l’inizio della civiltà, quello che fanno Adamo ed Eva dopo essere cacciati
dal Paradiso, coprire le nudità che diventano oggetto di vergogna e cominciano anche a lavorare) ed eliminare l’abitudine
al cannibalismo.
Riprende l’ascolto del testo con la traduzione:
Quando sono arrivato sul luogo, il sangue mi si è raggelato nelle vene e il cuore mi si è affondato all’orrore dello
spettacolo. Indi, infatti, era una vista spaventosa, almeno lo era per me, sebbene Friday non ne facesse nulla (cioè
Friday non era minimamente scosso da quello spettacolo); il posto era ricoperto di ossa umane, il terreno colorato del
loro sangue, grandi pezzi di carne lasciati qui e lì, mezzi mangiati, mutilati, bruciacchiati, e in breve tutti i segni di un
banchetto trionfante, che loro avevano fatto lì, dopo una vittoria sui nemici; vidi tre crani, cinque mani e le ossa di tre
o quattro gambe e piedi ed un’abbondanza di altre parti di corpi e Friday, facendomi segno, mi fece capire che loro
avevano portato quattro prigionieri per banchettarci, che tre di loro erano stati mangiati e che lui, indicando se stesso,
era il quarto e che c’era stata una grande battaglia tra loro e il loro successivo re, i cui sudditi sembra lui fosse uno
(lui era uno di questi sudditi) e che avevano preso un gran numero di prigionieri, che furono portati in diversi posti da
quelli che li avevano presi in battaglia, per poterci poi banchettare com’era stato fatto qui da quei poveracci (wretches,
riferito ai cannibali, ma anche nel senso di “miserabile, sfortunato”) su quelli che loro avevano portato fin qui (hither).

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