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I critici tendono a fare delle categorie, no? Scrittore di gialli, scrittore rosa, scrittore surrealista;
a me sembrano delle semplificazioni, certamente sono una scrittrice vicino al realismo però è un
realismo che è stato definito magico, fantastico, psicologica. Quindi, sinceramente, credo che
sono contraria; ecco, ammettere le etichette.
Un atteggiamento che mi piace che spesso colgono i miei personaggi è il coraggio e il carattere
che più mi intriga, mi interessa, mi appassiona; per esempio, il coraggio delle proprie idee, no?
In tempo di pace, il coraggio delle proprie idee non implica un grande coraggio, ma ci sono dei
momenti in cui il coraggio delle proprie idee diventa un pericolo; tanto è vero che molte persone
tacciono, oppure cambiano atteggiamento, oppure parlo di scrittori soprattutto anche giornalisti,
cambia il regime: sanno di dover adeguarsi per esempio in quelle occasioni il coraggio li
difende delle proprie idee, li difende il proprio atteggiamento, il proprio pensiero, il proprio
carattere, il proprio modo di essere, di stare al mondo. Io lo apprezzo molto, credo che sia la
cosa più bella che esista al mondo.
Quindi, nei miei libri, cerco dei personaggi che difendono questo coraggio. Bella Sicilia è un
luogo per me, è importante: io ci ho vissuto otto anni, mi ha formato, parecchio del gusto
proprio perché poi fra l’altro era una Sicilia -ancora integra- prima della corsa
all’appropriazione del territorio e delle distruzioni delle coste, delle brutture che state fatte e mi
ha dato delle emozioni che sono rimaste, che vengono fuori poi nei miei libri.
Il libro mio che ha avuto più successo, nel senso, perché più popolare che è stato tradotto in 24
lingue, che è Marianna Ucrìa. Poi, ho scritto tanti altri libri però, certamente, quello è un libro...
Non so, evidentemente comunica più di altri; continuano ancora a chiedermelo per ristamparlo.
Recentemente è raggiunto milioni di copie ed è stato tradotto nelle lingue più strane come
vietnamita, leva per cinese normale. Quindi, direi quello, ecco per conoscerli però poi ci sono
tanti altri tribi a cui io sono affezionata.
Mi piace la parola libertà perché quello che contiene ma anche per il suono che sono delle
parole importantissimi. Una poesia, la parola “libertà” ha un peso diverso che nella prosa
propria perché lì c’è questa “L”, questa larghezza, questa pianezza di vocali, per esempio. Poi, c
´`e il significato.
C’è una parola che detesti?
Detesto la presenza, l’inserimento di parole straniere nella lingua italiana; quello che è una cosa
terribile, i tecnocrati lo fanno moltissimo e quando sento “location” per spesso mi vengono i
brividi perché trovo che è una cosa orribile. Io sono per i parallelingue. Io parlo bene l’inglese,
faccio le conferenze in inglese; parlo bene il francese, capisco bene lo spagnolo però
separatamente.
È vero che le lingue assorbono delle parole straniere ma ogni tanto va bene, noi abbiamo molte
parole francesi, spagnole, arabe, etc. Va bene. Ma, quando c’è un ingorgo di parole straniere
nella nostra lingua, dice qualche cosa di volgare, c’è qualche cosa di un imbastardimento della
lingua; secondo me, è pericoloso perché la lingua è una sua bellezza, una sua identità.
Lo scrittore ha una lingua colta sua che è quella diciamo della voce narrante, poi c’è la mimesi,
cioè, se io voglio far parlare una persona come fece a Pier paolo Pasolini -per esempio: dialetto
romano-, no? Lui non era nemmeno il suo dialetto però l’ha imparato bene perché fa la mimesi,
perché vuole rappresentare un personaggio che parla un dialetto. Quindi, ha bisogno di usare il
dialetto ma è appunto, è un fatto mimetico che serve per quelle pagine, per quella storia. In
generale, lo scrittore usa lingua da narratore esterno che racconta una storia, etc.
Perciò non direi che usano la parola. Uso molti interrogativi; infatti una volta, la “star” stava
facendo una critica di un mio libro che, adesso, non mi ricordo quale, mi era scritto: “Dacia
Maraini è la scrittrice dell’interrogazione. Cioè mi faccio molte domande mentre scrivo, per me
è un modo di procedere della logica, la logica per me è fatta di domande; a volte non ci sono
risposte però già porsi la domanda, vuol dire avere un atteggiamento dubitativo nei riguardi
della realtà. Ecco, le certezze mi fanno un po´di paura, anche le certezze linguistiche perché la
lingua è un organismo vivente cambia in continuazione.
Penso che il suono delle parole è una cosa straordinaria; infatti, è bello confrontare le lingue e
capire e sentire dove le lingue si assomigliano; attualmente le lingue di matrice latina hanno
molta somiglianza però poi c’è una derivazione, sono parole -per esempio.- che in certe lingue
sono in maschile, in altre femminile. Presente la parola “luna” che da noi è femminile, in
tedesco maschile; questa è una cosa stranissima.
Ecco, tutti questi piccoli misteri per me sono affascinanti. Poi, mette perché scrivo e quindi
tratto la mia materia nei miei mattoni, sono le parole: quindi, io amo moltissimo soffermarmi
sue parole, cercare l’origine delle parole. Quando ho scritto Marianna Ucrìa, mi sono imposta di
non usare mai parole che sono venute dopo il 1740 e quindi stavo molto attenta a ogni parola,
andava a vedere l’origine, vedere se esisteva già come parole di malattie, parole di cibi, parole...
Non parliamo della tecnologia, naturalmente, non c´è ma alcune parole sono nate dopo, senza
però fare il verso alla scrittura del settecento che poi aveva il suo proprio modo di pensare, di
narrare però proprio scegliendo parole che fosse appartenessero all´epoca.
Quali scrittori e scrittrici ti hanno influenzato di più?
Nel mio primo libro è stato “Pinocchio”, ero piccola, ero nel capo di concentramento sei anni;
mi madre mi raccontava suoi piloti, come i libri non c’erano nel campo, i miei generatori erano
“persone libro” come nel famoso racconto di Bryan Borino Fahrenheit (1451) in cui c’è un
dittatore che brucia tutti i libri e le persone imparano a memoria e classe che io trovo che è una
metafora bellissima, una delle cose più belle che siano state inventate.
Ecco nel campo di concentramento, i miei genitori erano persone libro perché i libri non c’erano
neanche da mangiare però loro cercavano di consolarci raccontando storie mio padre mi parlava
di platone, mi parlava di Aristotele, vi parlavo che lui era molto filosofo storico e mia madre mi
ha raccontato di Pinocchio, per esempio. Per me, è stata un’emozione straordinaria, senti
raccontare questa storia e poi dopo l’ho riletto e credo che sia uno dei classici italiani maltrattato
perché considerato per bambini ma Pinocchio è un grande libro anche per adulti; ci sono detto
dei temi che sono molto più profondi e il tema per esempio della paternità che un tema che non
riguarda i bambini, riguarda gli adulti: è un tema taciuto. Nella nostra cultura, il tema della
paternità viene tardi: un uomo diventa padre cin il figlio è già grande tutto il rapporto col
bambino, con la nascita, con la creazione di una nuova venuta al mondo è affidato totalmente
alle donne. Dice il pinocchio: c’è un padre, c’è un uomo anziano che vuole a tutti costi un
bambino e lo vuole proprio carnalmente tanto che è vero che se lo costruisce con un pezzo di
legno e però lo ama totalmente, lo insegue, lo ama a tal punto che riesce a fare il miracolo, a
fare diventare un bambino di carne ed ossa. Beh! Questo è un tema per me di grande forza ed è
un tema molto da adulti, non è un tema per bambini.
La vera identità di un popolo è la lingua. Quindi, per me, è una grande forza di identità. La mia
lingua e lo sento questo quando sono all’estero, quando sento che non parlo più della mia lingua
però continua a pensare con la mia lingua; quindi, la lingua è un forte fatto di appartenenza, si
appartiene a una lingua e noi ci portiamo dentro la lingua, una cultura che quella greca e quella
latina, che quella etrusca che è quella cristiana... Tutte queste sensibilità, memorie, fanno parte
di una lingua e fanno parte di un’identità.
Per questo io mi sento molto legata a questa identità pur essendo di origine svariatissime perché
ho una nonna inglese o una nonna cilena o un nonno siciliano, un altro nonno svizzero; quindi,
la mia diciamo origine molto varia però io mi sento italiana perché penso e sogno in italiano.
È un momento di crisi, chiaramente momento di crisi, anche molto pericoloso perché c’è il
pericolo dell’implosione; c’è il pericolo della chiusura di chiudere le frontiere e allora al
momento il pericolo molti pensano bisogna di tornare al piccolo paese chiuso, chiudere le
frontiere, chiudere i rapporti... Ma è una cosa grottesca perché ormai il mondo vive di scambi:
mangiamo ogni giorno la frutta che viene da Perù che viene dalla Israele, viene dall’Argentina...
Non si possono chiudere le frontiere, non ha più senso chiudere le frontiere che facciamo l
´autarchia, torniamo all´autarchia che ci facciamo da noi, facciamo invece il caffè d´orzo e lo
chiamiamo caffè italiano, cioè tutto questo è totalmente anti-storico.
2) ESERCIZIO DI PRODUZIONE SCRITTA: scrivete successivamente
un riassunto dell'intervista in cui dovrete saper riunire le informazioni più
importanti del testo orale in modo efficace, chiaro e sintetico.
Brutture> Quanto è sentito come negativo sul piano estetico o morale (fealdad)
Tecnocrati> Uomo politico o alto funzionario la cui autorità risieda prevalentemente su una
competenza tecnica (tecnócratas)
¿Parallelingue?>
Sì, a volte non concorda bene o usa diversi registri (usa 1/3 persona).
Si trova un esempio che lei deve usare il congiuntivo ma usa il presente de indicativo.
“La vera identità di un popolo è la lingua. (...) Tutte queste sensibilità, memorie, fanno parte di
una lingua e fanno parte di un’identità”.