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LA DINASTIA DEI FLAVI

PLINIO IL VECCHIO

Di Plinio ci dà notizie soprattutto il nipote, il quale parla di lui a Tacito; non è romano ma è nativo
di Como, svolgeva un’attività febbrile, non c’era momento di quiete, era sempre pronto ad attivarsi.
Fino a prima dell’ascesa di Vespasiano si mantenne lontano dalle cariche pubbliche e i suoi
interessi politici furono piuttosto lievi, quando poi arriverò al potere la dinastia Flavia i suoi
impegni politici aumentarono, divenne procuratore in spagna e prefetto navale proprio quando vi fu
l’esplosione del Vesuvio, momento in cui si recò nei pressi di Stabbia dove morì proprio a causa
delle esalazioni tossiche.

Per Plinio non possiamo parlare di un intellettuale puro, di uno studioso che dedica la sua esistenza
esclusivamente alla ricerca e allo studio, d’altronde non era una carica frequente presso i romani, in
ogni caso non si prosciugò mai la sua sete di conoscenza. Di ciò che ha scritto sono rimasti solo
frammenti, ma in compenso abbiamo conservati i 37 libri della naturalis historia, che doveva essere
una sorta di enciclopedia di tutto lo scibile umano fino a quel momento (34mila notizie tratte da
oltre 2000 volumi di autori diversi), anche se in realtà ciò che affermava era un po’ in contradizione
con le fonti bibliografiche che andava a citare (a quel punto gli autori dovrebbero essere circa 400),
probabilmente perché Plinio conosceva alcuni autori meglio di altri.

L’opera manca indubbiamente del labor lime, difatti all’interno della trattazione l’autore spesso
interrompe ciò che sta affrontando, promettendo di tornare su di esso in altro momento, senza poi
effettivamente farlo. Si avrebbe avuto bisogno di una disamina più accurata dei dati, ma la stessa
morte prematura dell’autore non l’ha reso possibile.

Nella prefazione è scritto “io non tralascio volutamente nessun dato che abbia trovato di qualche
interesse”, dichiara quindi di essersi attenuto al principio che ogni dato che abbia qualche
funzionalità, che possa essere utile al popolo romano, non debba essere trascurato, egli è in linea
quindi con la figura dell’enciclopedista che non ha reclusione di sorta per nessuna informazione.

Certamente Plinio non scrive per gli specialisti, ma piuttosto per la folla di illetterati e per tutti color
che sono liberi da impegni, infatti vuole dare informazioni che sono di pratica utilità, cosa finisce
per condizionare la qualità stessa dei dati, egli non si preoccupa tanto di dare la spiegazione di un
fenomeno ma semplicemente di descriverlo nella sua manifestazione, dunque di fronte ad un
fenomeno naturale il suo atteggiamento non è quello di uno scienziato che vuole scoprire le cause,
né quello di uno studioso che è stimolato a scoprire, ad indagare, ma piuttosto quello di un uomo
colto dalla meraviglia, dallo stupore di fronte alla straordinarietà degli eventi. E’ così che possiamo
definire Plinio un erudito piuttosto che uno scienziato (nel senso moderno del termine): a
confermare questo basterebbe citare la sua farmacopeia (?) in cui prescrive quanto mai stravaganti
soluzioni ai più svariati malanni.

Naturalis historia vv. 135-324

Plinio affronta il tema della colpa della natura e opera la stessa distinzione tra gli animali,
privilegiati perché forniti di mezzi e di protezione, e gli uomini, che fin dalla nascita sono
abbandonati a loro stessi sulle spiagge della vita e incapaci di fare nulla se non piangere. Plinio
sente molto vicino Lucrezio e si sente a lui accomunato per quello che concerne la visione salvifica
della scienza. Egli anticipa il tema leopardiano per cui è vero che la natura, a partire dall’uomo ha
fatto nascere molte cose, ma in cambio di questo ha preteso un prezzo alto, al tal punto che non
possiamo comprendere se essa sia una madre o una matrigna. Dunque, mentre gli animali sin dalla
nascita sono dotati di mezzi di sostentamento e di difesa, solo l’uomo è generato nudo sulla nuda
terra, colpevole quasi di essere nato.

QUINTILIANO

Le notizie riguardo la sua biografia le desumiamo dalle opere stesse dell’autore ma anche dal
kronikon di Girolamo: nacque Calagurris (spagna tarragonese) e venne condotto ben presto dal
padre a Roma per frequentare le migliori scuole di retorica in cui egli stesso era stato maestro, fu
inoltre discepolo del grammatico Rennio Polemone e del retore Domizio Afro. Compiuto il corso di
studi ritorna in spagna e lì esercita l’avvocatura ma nel 68 il governatore delle Sapgna tarragonese
Garba condusse di nuovo Quintiliano a Roma e gli affidò la cattedra di eloquenza, insieme ad un
cospicuo annuo (100mila sesterzi), cosa che fece di Quintiliano il primo docente stipendiato dallo
Stato. Durante il suo insegnamento ebbe modo di essere molto apprezzato per il metodo didattico
che egli adottava, ma anche per la serietà e il tono paterno con cui trattava i giovani e non più
quindi l’atteggiamento del magister plavosus che ricorreva alle bacchette. Quando circa nel 87 pose
fine alla sua attività didattica non rimase inoperoso, infatti gli ultimi anni della sua vita furono
dedicati alla composizione dei 12 libri dell’institutio oratoria una summa di tutti i precetti dell’arte
del dire.

Ad una vita pubblica contraddistinta dalla fama e dal successo si affiancò una vita privata affatto
felice infatti nel giro di pochi anni perse la moglie giovanissima (19 anni), perse poi anche il figlio
minore quando aveva 5 anni e in seguito anche il figlio maggiore, in cui egli aveva riposto grandi
speranze. Non sappiamo altro, sappiamo solo che Domiziano gli affidò l’educazione dei nipoti (figli
della sorella) e che lo elevò perfino alla dignità di console. Morì nel 96, anno della stessa morte di
Domiziano, verso il quale Quintiliano riservò sembra parole di stima e di gratitudine, nonostante
egli fosse presentato come un Nerone redivivo

L’institutio oratoria

Se volessimo tradurre il titolo in italiano potremmo dire “educazione dell’oratore” o ancora meglio
“formazione dell’oratore”, esso dunque è un manuale per chiunque voglia intraprendere l’attività
dell’oratore partendo dall’età infantile giungendo fino a quella della piena maturità oratoria. Egli
sottolineava che fosse fondamentale per un bambino la scelta della nutrice faceva una similitudine
con i vasi di creta nuovi (infatti la creta che è porosa assorbe i liquidi che vengono in essa posti) e
allo stesso modo i bambini assorbono gli atteggiamenti della nutrice e difficilmente possono essere
modificati.

L’opera è dicati a blabla Marcello ed è preceduta dalla lettera dell’editore che pubblicherà l’opera,
Trifone. La stesura dell’opera ha impiegato circa due anni, tempo impiegato soprattutto nell’attività
di ricerca e nella lettura di molti e vari autori, dunque l’impostazione del manuale potrebbe sembra
piuttosto arida, monotona, pensata soprattutto per gli specialisti, ma in realtà non è così perché
Quintiliano conosceva molto bene l’arte di alleggerire l’argomento tramite ad esempio degli
excursus relativi alle propri esperienze di vita o degli esempi pratici che rendono agevole la lettura e
la comprensione. Egli dimostra poi, come abbiamo detto, di conoscere molti autori precedenti
(Platone, Socrate, Cicerone, Varrone, etc.) ed in particolar modo l’opera presenta molti tratti in
comune con l’anonimo sul Sublime ma non si sa questa fosse stata composta prima o dopo.

Nella formulazione dei propri principi Quintiliano non ha voluto seguire nessuna scuola oratoria in
particolare e si è sempre mantenuto distante dagli eccessi dalle opposte tendenze, dunque ha tanto
evitato la porosità, la gonfiezza dell’asianesimo quanto la sciatteria e l’eccessivo semplicismo dei
novelli atticisti.

Il primo libro tratta l’educazione dei fanciulli, dell’apprendimento, degli studi della grammatica,
della musica, delle scienze matematiche. Il secondo libro contiene delle indicazioni riguardo la
scelta del retore; importanza in questo libro è data all’attenzione alla memoria e alla declamazione.
Dal terzo al sesto libro è presente la didattica della retorica: si parla dell’inventio ovvero il
reperimento dei materiali da impiegare. Nel settimo libro si parla della dispositio ovvero la
distribuzione del materiale all’interno dell’orazione. Nell’ottavo e nel novo libro vi è l’elocutio
ovvero le discussioni riguardo la chiarezza espressiva, l’abbellimento del discorso. Nel decimo libro
vi è una rassegna degli scrittori greci e latini che è molto utile conoscere oltre che per l’incidenza
sul piano formativo, per il repertorio delle immagini che possono offrire ma per instaurare
un’imitazione non passiva ma attiva. Nell’undicesimo libro si tratta della memoria dell’actio, per la
prima egli afferma che pur essendo essa una dote naturale, è sempre soggetta a miglioramento se
esercitata adeguatamente. Nel dodicesimo è infine delineata la figura del perfetto oratore nelle sue
qualità etiche e tecniche (vir bonus dicendi peritus – catone il censore).

Quintiliano è innovativo rispetto ad altri autori perché ha compreso l’importanza della centralità del
fanciullo al centro del processo educativo. Un passo del pedagogista francese Montagne (1500),
riprendendo Quintiliano tratta proprio dell’importanza della scelta della guida che deve avere più
buoni costumi e intelligenza che non la scienza, difatti molto spesso i maestri molto spesso ripetono
strillando come se versassero semplicemente qualcosa in un imbuto, che debba poi raccoglierla
direttamente, sarebbe invece che fosse il ragazzo al centro dell’educazione, che possa quindi
scegliere da sé ed essere coinvolto costantemente, sul modello di Socrate.

Già Cicerone diceva ne de natura deorum: “spesso l’autorità di colore che insegnano nuoce a colore
che vogliono imparare, dunque è bene che facciano andare avanti il discepolo in questo modo il
maestro può valutare la sua andatura e stabile quale livello deve scegliere per adattarsi alle sue
capacità). Sapersi adattare al passo dei fanciulli e saperli guidare richiede dunque un anima forte “io
cammino più fermo e sicuro in salita, quando devo affrontare qualcosa di difficile” non si può
infatti adottare lo stesso metodo per tutti e un allievo non deve essere giudicato dalla sua memoria,
da quante cose riesce a dire ma deve essere invece valutato dalle testimonianze della sua vita.

Quintiliano mette l’accento sul fanciullo e, soprattutto, sulla figura dell’insegnante, difatti egli
afferma che per formare un oratore perfetto occorre un maestro dotto di umanità, di cultura e di
rettitudine morale, un maestro deve essere anche capace di capire i fanciulli e un altro requisito che
si richiede è quello di stimolarlo all’amore delle studio, un buon maestro deve essere misurato in
tute le reazioni e consapevole di non dover solo impartire nozioni ma deve educare nel senso più
profondo del termine, ovvero portare fuori il meglio di ciò che è dentro i suoi alunni (la cosiddetta
educazione permanente).
Per Quintiliano l’oratore ideale è non solo un buon professionista ma anche colui che è ricco di
umanità e sicura integrità morale secondo la definizione canonica del termine oratore che si deve a
Catone il Censore (vir bonus dicendi peritus), deve essere quindi un cittadino legato alle radici
morali e culturali del romani, mosso da un alto senso del dovere nei confronti dello Stato.

Quando studiavamo Plauto avevamo visto il suo atteggiamento nei confronti dei greculi, un tentare
di sminuire coloro che da sempre erano stati considerati superiori dal punto di vista culturale
rispetto ai romani, lo stesso Virgilio, quando aveva descritto Enea, uno straniero, come un Paride
effeminato

Un’altra tematica importante nell’autore è la corrotta eloquenza la cui causa è individuato nella
degradazione dei costumi, alla carenza formativa di giovani oratori, all’uso perverso degli esercizi
di declamazione nelle scuole, egli infatti ci dice :”Solo scuola rinnovata piò permettere la rinascita
di un’oratoria sana nella quale la tecnica, finalizzata all’attività pubblica, sia espressione di una
superiore moralità”

Nei riguardi della scuola egli afferma che lo studio deve contribuire allo sviluppo armonico della
personalità, infatti un individuo deve essere perfettamente integrato nell’ambiente sociale, egli così
è assolutamente a favore della scuola pubblica e sconsiglia il precettore privati, infatti la socialità
stimola non solo l’intelligenza ma la dinamica del lavoro in classe facilità l’apprendimento.

Di tutti i principi che espone non ve ne è nessuno che non sia valido ancora oggi, infatti ai fini
educativi, prima ancora che la genialità, la competenza e la cultura di un maestro, servono
sicuramente le qualità umane, in particolar modo la virtù della fermezza e l’equilibrio

In sintesi Quintiliano non ha l’intenzione di formare un tecnico ma un cittadino destinato a svolgere


compiti importanti all’interno della comunità.

Institutio Oratoria libro 2, paragrafi 2.1-13

“Dunque, quando il ragazzo arriverà negli studi a quelle cose che sarà in grado di intendere e di
seguire le prime lezioni di retorica, occorrerà che debba essere affidato ai maestri di quell’arte,
agli specialisti, dei quali in primo luogo sarà necessario che siano osservati attentamente i costumi,
la moralità. Io ho cominciato a trattare questo argomento soprattutto qui, non perché ritenga che
ciò sia indispensabile nella scelta degli altri insegnanti, come del resto ho dichiarato nel libro
precedente, ma perché l’età stessa degli studenti ne rende più necessario il riferimento, infatti gli
adolescenti, già cresciuti, vengono affidati a questi professori e presso questi restano anche quando
sono ormai diventati dei giovani, perciò bisognerà utilizzare maggiore cura affinché la serietà del
docente, protegga dalle offese gli anni più teneri e la sua autorità scoraggi le velleità dei più
baldanzosi. Tuttavia, al maestro non serve a nulla mostrare grandissima integrità se non gli
riuscirà di regolare moralmente, con la severità della disciplina, la condotta dei propri allievi.
Assuma, dunque, il precettore, nei riguardi dei propri discepoli, la disposizione d’animo di un
padre e comprenda di aver presto il posto dei genitori che glieli hanno affidati; costui non abbia
difetti, vizi né li tolleri in altri, sia austero ma non arcigno (lett. la sua austerità non sia eccessiva,
acerba), sia cordiale ma non in misura esagerata (lett. l’affabilità non sia esagerata), affinché non
nasca nel primo caso l’antipatia, nel secondo la mancanza di rispetto, i suoi argomenti preferiti
siano il bene e l’onestà (lett. a lui sia moltissimo il parlare del bene e dell’onestà), e quanto più
spesso avrà dato consigli tanto meno spesso dovrà infliggere castighi, sia irascibile il meno
possibile (controlli il suo comportamento) ma non chiuda gli occhi (lett. non sia dissimulatore)
davanti ai difetti che dovranno essere corretti; deve essere semplice nell’insegnamento, resistente
nella fatica, costante e non smisurato, deve essere pronoto a rispondere agli allievi che gli pongono
domande (lett. risponda volentieri a color che lo interrogano) e a farne egli stessi a quelli che non
ne pongono. Nel lodare le esercitazioni degli allievi non deve essere né avaro né prodigo di lodi,
nel primo caso, infatti, può generare in essi l’avversione al lavoro, invece nel secondo un eccessivo
compiacimento. Nel correggere gli errori deve rifuggire dal sarcasmo e da ogni offesa; con questo
atteggiamento, infatti, allontana molti dal proposito di studiare, ci sono di quelli, infatti, che
rimproverano con cattiveria. Egli stesso deve dire quotidianamente qualcosa, anzi molte cose, di
cui gli allievi possano fare tesoro. Infatti, sebbene l’allievo può ricavare dalla lettura degli autori
molti modelli di imitazione, tuttavia, come si dice, la viva voce, soprattutto se è quella del maestro
che è oggetto di rispetto e di amore da parte degli allievi ben istruiti, produce un più pieno
nutrimento. E’ difficile dire quanto più volentieri imitiamo quelli che amiamo.

parola  perfezione  unità  fiducia

Il punto cardine di tutto è la pedagogia della parola, a cui si lega poi la pedagogia perfettiva, per cui
tutte le persone che si trovano intorno ad um bambino devo puntare su di lui come se fosse il
bambino più intelligente possibile e spingerlo a diventare perfetto come se potesse essere un futo
Alessandro Magno, perfetto nella più perfetta eloquenza, un ideale non a cui non si è ancora arrivati
ma nella cui realizzazione bisogna sperare con massima fede. La pedagogia viene quindi inserita in
quell’ideale di perfezione insieme a quegli altri aspetti che erano stati tratteggiati da Cicerone
nell’Orator, se difatti essa viene meno sia essa che tutto il resto finisce per ridursi ad uno sterile
addestramento tecnico “alla perfezione devono essere addestrati tutti gli allievi fin dal momento
iniziale delle loro più alte speranze, essa teoricamente è accessibile a tutti”.

Di contro all’istruzione elitaria Quintiliano cerca di colmare la separazione tra le cose insignificanti
e le cose più alte e complesse come proprio la tecnica dell’oratoria, dando ad esse una unità.

Un altro elemento importante che caratterizza l’autore è la fiducia, da cui deriva proprio l’ottimismo
della sua humanitas.

gli elementi primi e principali dell’educazione:

1) perfettività della nutrice: “come i vasi di creta si impregnano di ciò che contengono ,anche il
genitori sia attento nella scelta della nutrice perché i suoi figli assimileranno il suo linguaggio”;
perfettività etica della nutrice: “la nutrice è la prima persona a cui il bambino viene a contatto
attraverso il linguaggio, ancora prima della madre stessa”. Perfettività del pedagogo: ha la stessa
importanza della nutrice ma bisogna stare attenti sempre alla divisone dei compiti al fine di evitare
ogni tipo di invidia.

2) studio del greco prima del latino: bisogna stare attenti a dare importanza al greco perché difatti
molti trascuravano lo studio di esso, se lo facevano, finiva per avere predominio sul latino

3) metodo globale nell’apprendimento: contro l’uso preventivo e molto diffuso dell’apprendimento


mnemonico dell’alfabeto, Quintiliano preferisce un sistema più moderno si seguire la globalità del
tracciato di lettere già incise, senza che siano guidati dalla mano del maestro; al contrario per le
sillabe l’apprendimento deve essere preventivo e mnemonico.

4) opposizione ferma e decisa alle percosse perché esse sono umilianti per l’alunno e sono causa di
reazioni indecorose, esse infatti erano abituali anche a causa di incresciose costrizioni morali.

5) potenziamento di materie ausiliarie nel quadro di una cultura enciclopedica, inserimento di un


momento di svago (ricreazione)

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