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1. Introduzione
Oltre all’articolo di Arrighi (Arrighi 1971) che introduceva per la prima volta
Piero da Filicaia e la sua opera negli studi di storia delle matematiche, recente-
mente la figura dell’autore dei Giuochi mathematici è stata tracciata in dettaglio da
Elisabetta Ulivi (Ulivi 2012) in base alle ricerche negli archivi fiorentini.
L’autore non appartiene alla cerchia più ristretta dei letterati e degli intel-
lettuali, legati alla vita politica e culturale fiorentina. Si tratta di un personaggio
pressoché sconosciuto il cui nome è legato a cariche minori svolte a Borgo San
Sepolcro e all’opera in questione. Tuttavia, da parte materna fu imparentato con
Bartolomeo Scala, storico, letterato e politico che aveva operato in stretto contatto
* Uniwersytet Jagielloński
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Roman Sosnowski
con la famiglia de’ Medici1. L’avo materno è per Filicaia una fonte d’ispirazione e
anche il punto di collegamento per assicurarsi la benevolenza di Giuliano, duca di
Nemours. Nel prologo ricorda Bartolomeo e la parentela con lui con le seguenti
parole (ital. quart. 48, 2r):
et bene mi è noto la bona e fida servitù della felice anima di Messer Bartholo-
meo Scalain verso el vostro Dignissimo Padre ai quali idio per sua pietà doni
pace et requie sempiterna. Dal quale Messer Bartholomeo per materno genere
sono disceso, el quale ciaschuno sa comme fu tanto exaltato dalla felicissima
anima del Mag.co [2v] Lorenzo per le sue virtù che possiamo et dobbiamo el
prefato Messer Bartholomeo essere homo per li meriti del M.co Lorenzo in
verso di lui et benché per le innumerabili sue virtù meritassi essere exaltato,
non fu mancho laudabile l’opera del M.co Lorenzo in questa parte a vedere et
cognoscere dicta virtù perché, come dice el philosopho, illos quidem summa
laude dignos arbitramur qui virtutem quocumque loco sit facile perscrutantur,
virtus nam incognita frustatorie appellari solemus [...]. Concludiamo adunque
non essere laudabile mancho el M.co Lorenzo in questa parte in havere tanto
perfectamente cognosciuta la v-[3r]-irtù del prefato messer Bartholomeo ch’è
lui proprio. Et desiderando io imitare in qualche minima parte epso Messer
Bartholomeo, deliberai questa mia opera a V. Ill.ma M.tia dicare in memoria
et firmo testimonio della mia vera et fida in verso di quella perché cognosca
epsa amatore di tucte le virtù et di simili cose molto dilectarsi.
Il quadro familiare e gli anni del soggiorno a Borgo sono ben delineati nella
ricostruzione di Ulivi (Ulivi 2012: 1-7). Piero, figlio di Niccolò e di Maria Battista
Scala, nacque il 21 marzo 1489. Negli anni novanta il piccolo Piero fu introdotto
allo studio della scrtittura latina e volgare e allo studio delle lettere. Come ricorda
lui stesso, almeno una parte dello studio avveniva sotto la guida della zia materna
Alessandra, raffinata poetessa anche di versi greci, corteggiata da Poliziano e mo-
glie del letterato Michele Marullo (Ulivi 2012: 3-4). Dopo il 1501 la famiglia si tra-
sferisce da Firenze per approdare poi a Borgo Sansepolcro2. Il giovane Piero da Fi-
licaia vive quindi a Borgo e lì completa l’istruzione sotto la guida del frate Pascasio,
monaco nello stesso convento cui apparteneva Luca Pacioli. Fino al 1516 ci sono
negli archivi documenti che testimoniano la presenza di Piero a Borgo Sansepolcro
(Ulivi 2012: 4). L’autore dei Giuochi mathematici rientrò a Firenze nel 1516 e lo
stesso anno sposò Lena degli Albizi. Successivamente Piero, che probabilmente
ricopriva degli incarichi minori a Firenze e fuori, era legato alla città medicea come
1
Un interessante ritratto di Bartolomeo Scala si trova nel recente articolo di Garfagnini (Gar-
fagnini 2009), oltre al già classico libro di Brown (Brown 1979).
2
Come rilevato da Arrighi (Arrighi 1971: 52) in un componimento del nostro Filicaia con-
tenuto nel codice Magliabecchiano XXV, 337 si legge: “Lontan dalla mia patria sono stato / anni
dodici, ò più com’ogn’un sà”
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Una ricognizione sulla lingua del testo inedito di Giuochi mathematici di Piero da Filicaia
testimoniano diversi documenti portati alla luce da Ulivi (Ulivi 2012: 7). Secondo
la studiosa fiorentina, Piero da Filicaia morì tra il 1528 e il 1531 senza lasciare eredi.
Negli anni del soggiorno a Borgo San Sepolcro, dove suo nonno e suo padre
ricoprirono importanti incarichi nel corso degli anni3, Piero ebbe modo di cono-
scere e di frequentare Luca Pacioli che spesso tornava nel convento francescano.
Piero ebbe anche modo di studiare e di discutere con Pacioli il contenuto del trat-
tato De viribus quantitatis del famoso matematico. Gli echi di questa conoscenza
sono presenti nelle parole dello stesso da Filicaia. Nel Prologo di Giuochi mathe-
matici, troviamo un’indiretta allusione al titolo pacioliano (de viribus quantitatis
– la forza della quantità):
Potrebbe qui dire alcu(n)o: Piero, sta fermo uno pocho; onde hai tu trac-
to q(ue)sti tui secreti in libri rubbati? A ch(e) rispondo breveme(n)te ch(e)
niuno in questo mo(n)do è i(n)dovino né eguale allo omnipotente Idio ch(e)
omni cosa sa et cognosce; et pertanto, se io ho racolto di più luoghi questi mia
secreti et forze et forse parte rubbati et a questo et a quello, non sia in questa
parte nessuno che riphrenda ... (4r).
3
Dal 1511 al 1513 anche Piero fu provveditore di Borgo Sansepolcro succedendo al padre
scomparso.
4
Il paragone con De viribus quantitatis di contenuti e di lingua deve tenere in considerazione
un fatto fondamentale – che entrambe le opere sono scritte in volgare e non, come richiederebbe la
prassi più diffusa per la matematica, in latino. L’uso del volgare si spiegherebbe con il destinatario
d’eccezione (Giuliano de’ Medici) ma anche destinatari secondari – i dotti cortigiani fiorentini. I
giochi matematici descritti da Filicaia non sono altro che piacevoli passatempi di persone dotate
di buon gusto e di vivace intelligenza e tali erano in prevalenza gli ambienti cortigiani. I destinatari
non sono quindi dotti matematici, ma laici con l’interesse per la matematica. L’uso del volgare - e
non del latino - in questo tipo di testo può essere quindi spiegato con il chiaro intento divulgativo
dell’autore (lo stesso si può ipotizzare per Pacioli) – sono quelle le motivazioni che aveva Pacioli
quando scriveva dell’economia (cfr. Sosnowski 2006: 70-78).
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Roman Sosnowski
Nessuno di quei problemi [enigmi] si configura come una copia dal libro di
Pacioli; sono tutti presentati in forma personale, con varianti non solo dal
punto di vista espositivo, ma quasi sempre anche negli esempi numerici, tal-
volta nel metodo risolutivo (Ulivi: 16).
3. Manoscritti
5
Bisogna tenere anche presente che Giuliano muore prematuramente nel 17 marzo 1516 e
che forse non riuscì neppure ad apprezzare il trattato, soprattutto se la data effettiva della realizza-
zione del manoscritto fosse più vicina al 1516 (il manoscritto è datato 1513-1516, datazione mia).
Vale anche la pena ricordare che Giuliano era, con ogni probabibilità, studioso delle discipline
matematiche, come suppone Arrighi in base anche ai trattati di Filippo Calandri composti proprio
per questo eminente membro della famiglia medicea (Arrighi 1971: 60).
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Una ricognizione sulla lingua del testo inedito di Giuochi mathematici di Piero da Filicaia
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Il codice è descritto in (Sosnowski 2012)
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Roman Sosnowski
dalla raccolta medicea (con ogni probabilità vi si doveva trovare vista la legatura,
indiscutibilmente medicea).
Magliabecchiano CL XI, 15
4. Caratteristiche linguistiche
7
Siamo fortunati ad avere due manoscritti esemplati sotto la diretta supervisione dell’autore
che, quindi, fedelmente rispecchiano la originale veste linguistica del testo. Nell’analisi della lingua
mi baso sul manoscritto ital. quart. 48 e cito le forme da quel manoscritto, tuttavia, come ho potuto
riscontrare confrontando i due codici, i risultati non sarebbero diversi per il Magliabecchiano XI, 15.
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Una ricognizione sulla lingua del testo inedito di Giuochi mathematici di Piero da Filicaia
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Si veda p.es. Il principe di Machiavelli dove la forma suto è attestata 10 volte e suti altre 4
volte.
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Roman Sosnowski
per lunghi secoli l’uso nella lingua letteraria italiana della forma etimologica [tu]
haveva/aveva mentre a Firenze si continuava a dire [tu] avevi.
Un confronto con la lingua di Pacioli deve passare attraverso tre trattati: Ad
discipulos perusinos, il trattatello sul gioco degli scacchi, e De viribus quantitatis.
Il terzo per motivi contenutistici e cronologici e il primo e il secondo per motivi
filologici. De viribus quantitatis, la cui unica copia è contenuta nel ms. 250 della
Biblioteca Universitaria di Bologna, contiene sì gli enigmi direttamente confron-
tabili con il testo di Filicaia ed è stato fonte diretta di ispirazione per il nostro, ma
si tratta del testo alterato linguisticamente dal copista (Marinoni 1997: VIII). Pos-
siamo accedere, invece, alla lingua di Pacioli attraverso il testo del trattato scritto
nel 1478 (trattato Ad discipulos perusinos) contenuto nel codice Vaticano Latino
3129 che è uno dei due autografi pacioliani noti (Bressanini e Toniato 2011: 7).
Anche il trattato matematico perugino contiene la descrizione dei giochi matema-
tici recentemente pubblicata da Bressanini e Toniato in un volume che unisce la
precisione filologica e l’approfondimento storico e matematico. Uno sguardo alla
lingua pacioliana fa rilevare diverse sia le somiglianze che le differenze a livello
fonetico e morfologico.
La limitazione del dittongo, presente già in Filicaia, è una tendenza ancora più
vistosa nella lingua pacioliana, del resto conformemente alle caratteristiche della
lingua di Borgo San Sepolcro. Mentre in Filicaia troviamo le forme anafonetiche
(giugnedolo 5v, apuncto 171v), in Pacioli sono assenti (agionga, ponto, longi). La
prima persona plurale in –iamo, naturalmente presente nel fiorentino Filicaia, non
appare nella scrittura pacioliana in cui troviamo le forme: ponamo, metamo e non
poniamo, mettiamo. Come ricorda Mattesini (Mattesini 2007: 53-62) altri tratti an-
tifiorentini della scrittura pacioliana sono: la conservazione di –ar- intertonico nei
futuri e nei condizionali (p.es. andarà, avarà, avanzarà, sumarai) nonché l’estensio-
ne di –ar a dei casi dove di base ci doveva essere –er; lo scempiamento di alcune
consonanti lunghe di origine settentrionale (p.es. metici, tute) che si alterna con la
maggioranza delle forme non scempie; a livello morfologico le forme del condizio-
nale che continuano infinito + HABEBAM (p.es. andaria, bisognaria); l’estensione
della desinenza della terza persona plurale dell’indicativo presente dei verbi della I
coniugazione –ano alle altre coniugazioni (Mattesini 2007: 61). Si nota quindi che,
nei punti cruciali, Filicaia si attiene alla norma fiorentina coeva piuttosto che se-
guire la varietà locale del posto dove risiedeva, cioè di Borgo San Sepolcro, lingua
che invece troviamo rappresentata negli scritti di Luca Pacioli.
5. Conclusioni
Questo breve e veloce sguardo sulla lingua del trattato di Filicaia permette di
classificarla come fiorentino dell’inizio del Cinquecento con tutte le conseguenze
del caso. Ha molti punti in comune con le varietà vicine, compresa quella rappre-
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Una ricognizione sulla lingua del testo inedito di Giuochi mathematici di Piero da Filicaia
Bibliografia
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