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PERCORSI LINGUISTICI

TRA ITALIA E POLONIA


Studi di linguistica italiana offerti a Stanisław Widłak

A cura di Elżbieta Jamrozik e Roman Sosnowski

Franco Cesati Editore


ROMAN SOSNOWSKI*
TRA FIRENZE E BORGO SAN SEPOLCRO.
UNA RICOGNIZIONE SULLA LINGUA DEL TESTO INEDITO
DI GIUOCHI MATHEMATICI DI PIERO DA FILICAIA

1. Introduzione

Lo scopo della ricerca è presentare la lingua del testo di Giuochi mathematici,


scritto da un autore fiorentino vissuto a lungo a Borgo San Sepolcro. Il testo è so-
speso da una parte tra l’influenza contenutistica del trattato De viribus quantitatis
di Luca Pacioli e le aspettative della corte medicea cui è destinato (dedicatario
è Giuliano de’ Medici, duca di Nemours). L’indagine circa la lingua dell’opera
di questo scrittore fiorentino sconosciuto, vissuto a lungo ai margini della Tosca-
na (Borgo San Sepolcro) e influenzato profondamente dal matematico più famo-
so dell’inizio del Cinquecento in Italia, promette risultati interessanti sia in vista
dell’edizione del testo sia per capire le dinamiche dell’uso del volgare tra il centro
e le periferie della Toscana.

2. Autore del testo

Oltre all’articolo di Arrighi (Arrighi 1971) che introduceva per la prima volta
Piero da Filicaia e la sua opera negli studi di storia delle matematiche, recente-
mente la figura dell’autore dei Giuochi mathematici è stata tracciata in dettaglio da
Elisabetta Ulivi (Ulivi 2012) in base alle ricerche negli archivi fiorentini.
L’autore non appartiene alla cerchia più ristretta dei letterati e degli intel-
lettuali, legati alla vita politica e culturale fiorentina. Si tratta di un personaggio
pressoché sconosciuto il cui nome è legato a cariche minori svolte a Borgo San
Sepolcro e all’opera in questione. Tuttavia, da parte materna fu imparentato con
Bartolomeo Scala, storico, letterato e politico che aveva operato in stretto contatto

* Uniwersytet Jagielloński

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Roman Sosnowski

con la famiglia de’ Medici1. L’avo materno è per Filicaia una fonte d’ispirazione e
anche il punto di collegamento per assicurarsi la benevolenza di Giuliano, duca di
Nemours. Nel prologo ricorda Bartolomeo e la parentela con lui con le seguenti
parole (ital. quart. 48, 2r):

et bene mi è noto la bona e fida servitù della felice anima di Messer Bartholo-
meo Scalain verso el vostro Dignissimo Padre ai quali idio per sua pietà doni
pace et requie sempiterna. Dal quale Messer Bartholomeo per materno genere
sono disceso, el quale ciaschuno sa comme fu tanto exaltato dalla felicissima
anima del Mag.co [2v] Lorenzo per le sue virtù che possiamo et dobbiamo el
prefato Messer Bartholomeo essere homo per li meriti del M.co Lorenzo in
verso di lui et benché per le innumerabili sue virtù meritassi essere exaltato,
non fu mancho laudabile l’opera del M.co Lorenzo in questa parte a vedere et
cognoscere dicta virtù perché, come dice el philosopho, illos quidem summa
laude dignos arbitramur qui virtutem quocumque loco sit facile perscrutantur,
virtus nam incognita frustatorie appellari solemus [...]. Concludiamo adunque
non essere laudabile mancho el M.co Lorenzo in questa parte in havere tanto
perfectamente cognosciuta la v-[3r]-irtù del prefato messer Bartholomeo ch’è
lui proprio. Et desiderando io imitare in qualche minima parte epso Messer
Bartholomeo, deliberai questa mia opera a V. Ill.ma M.tia dicare in memoria
et firmo testimonio della mia vera et fida in verso di quella perché cognosca
epsa amatore di tucte le virtù et di simili cose molto dilectarsi.

Il quadro familiare e gli anni del soggiorno a Borgo sono ben delineati nella
ricostruzione di Ulivi (Ulivi 2012: 1-7). Piero, figlio di Niccolò e di Maria Battista
Scala, nacque il 21 marzo 1489. Negli anni novanta il piccolo Piero fu introdotto
allo studio della scrtittura latina e volgare e allo studio delle lettere. Come ricorda
lui stesso, almeno una parte dello studio avveniva sotto la guida della zia materna
Alessandra, raffinata poetessa anche di versi greci, corteggiata da Poliziano e mo-
glie del letterato Michele Marullo (Ulivi 2012: 3-4). Dopo il 1501 la famiglia si tra-
sferisce da Firenze per approdare poi a Borgo Sansepolcro2. Il giovane Piero da Fi-
licaia vive quindi a Borgo e lì completa l’istruzione sotto la guida del frate Pascasio,
monaco nello stesso convento cui apparteneva Luca Pacioli. Fino al 1516 ci sono
negli archivi documenti che testimoniano la presenza di Piero a Borgo Sansepolcro
(Ulivi 2012: 4). L’autore dei Giuochi mathematici rientrò a Firenze nel 1516 e lo
stesso anno sposò Lena degli Albizi. Successivamente Piero, che probabilmente
ricopriva degli incarichi minori a Firenze e fuori, era legato alla città medicea come

1
Un interessante ritratto di Bartolomeo Scala si trova nel recente articolo di Garfagnini (Gar-
fagnini 2009), oltre al già classico libro di Brown (Brown 1979).
2
Come rilevato da Arrighi (Arrighi 1971: 52) in un componimento del nostro Filicaia con-
tenuto nel codice Magliabecchiano XXV, 337 si legge: “Lontan dalla mia patria sono stato / anni
dodici, ò più com’ogn’un sà”

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Una ricognizione sulla lingua del testo inedito di Giuochi mathematici di Piero da Filicaia

testimoniano diversi documenti portati alla luce da Ulivi (Ulivi 2012: 7). Secondo
la studiosa fiorentina, Piero da Filicaia morì tra il 1528 e il 1531 senza lasciare eredi.
Negli anni del soggiorno a Borgo San Sepolcro, dove suo nonno e suo padre
ricoprirono importanti incarichi nel corso degli anni3, Piero ebbe modo di cono-
scere e di frequentare Luca Pacioli che spesso tornava nel convento francescano.
Piero ebbe anche modo di studiare e di discutere con Pacioli il contenuto del trat-
tato De viribus quantitatis del famoso matematico. Gli echi di questa conoscenza
sono presenti nelle parole dello stesso da Filicaia. Nel Prologo di Giuochi mathe-
matici, troviamo un’indiretta allusione al titolo pacioliano (de viribus quantitatis
– la forza della quantità):

Ma vogliamo in q(ue)sta n(ost)ra op(er)a tractare e dimostrar cose sottile et


sino a q(ue)sto dì note a pochi cioè secreti della vi(r)tù et forza della qua(n)
tità, continua comme discreta ... (3v)

Il Prologo contiene anche un intero passo in cui l’autore si giustifica e si difen-


de da una ipotetica accusa di aver rubato i contenuti:

Potrebbe qui dire alcu(n)o: Piero, sta fermo uno pocho; onde hai tu trac-
to q(ue)sti tui secreti in libri rubbati? A ch(e) rispondo breveme(n)te ch(e)
niuno in questo mo(n)do è i(n)dovino né eguale allo omnipotente Idio ch(e)
omni cosa sa et cognosce; et pertanto, se io ho racolto di più luoghi questi mia
secreti et forze et forse parte rubbati et a questo et a quello, non sia in questa
parte nessuno che riphrenda ... (4r).

Altre ancora corrispondenze terminologiche (p.es. effecti) e soprattutto un er-


rore comune nel richiamare “Euclide Megarese”, come evidenziato da Ulivi (Uli-
vi 2012: 11-12), indicano una dipendenza degli Giuochi mathematici dal trattato
pacioliano, circostanza confermata dall’analisi dei contenuti; la stragrande mag-
gioranza degli enigmi proposti da Filicaia sono infatti presenti nel testo del frate
Luca4. Bisogna, tuttavia, ricordare che non si tratta di una copia. Come nota Ulivi:

3
Dal 1511 al 1513 anche Piero fu provveditore di Borgo Sansepolcro succedendo al padre
scomparso.
4
Il paragone con De viribus quantitatis di contenuti e di lingua deve tenere in considerazione
un fatto fondamentale – che entrambe le opere sono scritte in volgare e non, come richiederebbe la
prassi più diffusa per la matematica, in latino. L’uso del volgare si spiegherebbe con il destinatario
d’eccezione (Giuliano de’ Medici) ma anche destinatari secondari – i dotti cortigiani fiorentini. I
giochi matematici descritti da Filicaia non sono altro che piacevoli passatempi di persone dotate
di buon gusto e di vivace intelligenza e tali erano in prevalenza gli ambienti cortigiani. I destinatari
non sono quindi dotti matematici, ma laici con l’interesse per la matematica. L’uso del volgare - e
non del latino - in questo tipo di testo può essere quindi spiegato con il chiaro intento divulgativo
dell’autore (lo stesso si può ipotizzare per Pacioli) – sono quelle le motivazioni che aveva Pacioli
quando scriveva dell’economia (cfr. Sosnowski 2006: 70-78).

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Roman Sosnowski

Nessuno di quei problemi [enigmi] si configura come una copia dal libro di
Pacioli; sono tutti presentati in forma personale, con varianti non solo dal
punto di vista espositivo, ma quasi sempre anche negli esempi numerici, tal-
volta nel metodo risolutivo (Ulivi: 16).

I contatti di Pacioli con Piero Filicaia sono confermati da diversi documenti.


Nel 1511 Piero figura come uno degli esecutori del testamento di Pacioli e nel
1512 sorge tra di loro una controversia, menzionata già da Taylor (Taylor 1942:
374–375) e ora descritta in dettaglio da Ulivi circa la restituzione da parte di Fili-
caia di tre casse lasciate da Pacioli.
Come si deduce da questo breve profilo dell’autore, l’attività letteraria non era
centrale nella sua vita. Il trattato dei Giuochi mathematici rimane l’unica sua opera
di cui ci è giunta notizia e dall’impostazione nonché dalle dediche risulta chiara
la motivazione con cui viene composto: è l’opera di un giovane ambizioso, ben
istruito, con particolare interesse per la matematica, che vuole – mandando il dono
prezioso e gradito a Giuliano de’ Medici – assicurarsi i favori dei signori di Firenze.
Difficile dire se Piero ottenne l’effetto sperato; viene da credere di no, visto che
non sembrano esserci tracce di particolare familiarità del nostro con la corte di
Giuliano5. In un quadro di vita di Filicaia l’impegno letterario si configura come
un puro otium, contrapposto alla sua solita attività di negotium cioè di impegno ci-
vile. È un’opera giovanile, frutto di lunghi studi, di riflessioni e di passioni. Anche
l’argomento si confa pienamente a questa prospettiva – si tratta di otium di qualità,
di uno svago accessibile a persone raffinate ed istruite – un gioco matematico che
unisce aspetti ludici e scientifici.

3. Manoscritti

È accertata l’esistenza di due manoscritti dell’opera in questione: Magliabec-


chiano XI, 15 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze e ital. quart. 48, con-
servato attualmente a Cracovia; Arrighi (Arrighi 1971) conosceva solo il mano-
scritto fiorentino.

5
Bisogna tenere anche presente che Giuliano muore prematuramente nel 17 marzo 1516 e
che forse non riuscì neppure ad apprezzare il trattato, soprattutto se la data effettiva della realizza-
zione del manoscritto fosse più vicina al 1516 (il manoscritto è datato 1513-1516, datazione mia).
Vale anche la pena ricordare che Giuliano era, con ogni probabibilità, studioso delle discipline
matematiche, come suppone Arrighi in base anche ai trattati di Filippo Calandri composti proprio
per questo eminente membro della famiglia medicea (Arrighi 1971: 60).

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Una ricognizione sulla lingua del testo inedito di Giuochi mathematici di Piero da Filicaia

ital. quart. 486

Nel complesso è un codice di dimensioni 22,5 cm per 14,5 cm circa, proba-


bilmente degli anni 1513-1516, formato da 181 carte più due carte di guardia. La
carta reca la filigrana dell’aquila in cerchio, uguale a quella che si trova nel Piccard
on-line al numero 042665, indicata come Como 1512. Il manoscritto è foliato a
matita nel periodo rinascimentale, le carte dell’indice con numerazione in cifre
romane (II-VI), il testo con numeri arabi. La rigatura è appena visibile, le dimen-
sioni dello specchio di scrittura sono 150 × 85 mm; con 21 righe a pagina. L’ultimo
foglio (177) è bianco.
Il testo è scritto da una sola mano in scrittura umanistica corsiva del XVI se-
colo. Il codice, prima di passare alla Biblioteca Jagellonica di Cracovia insieme agli
altri mss. della cosidetta collezione berlinese, era conservato nella Staatsbibliothek
di Berlino.
Il manoscritto è decorato a f. 1r con la cornice con motivi floreali dorata e con
le armi medicee nella parte bassa contornate dall’anello con il diamante incasto-
nato (simboli medicei); sul nastro intrecciato all’anello la scritta VIVA SENPER.
Sempre a f.1r iniziale fiorita C, rilevata d’oro; VIVA scritto in oro all’interno del
campo dell’iniziale C. Su altre carte iniziali semplici. Illustrazioni di problemi ma-
tematici si trovano a ff. 166r, 167r, 169r, 170v, 172r, 172v, 174r) mentre a ff. 57r,
82r, 106r, 109r, 113r, 113v, 114r, 114v, 115r, 115v, 116v, 126v, 127r, 135v, 145r,
146v, 147r, 147v, 148r, 148v, 149ro, 154r, 154v, 155r, 155v, 156v) ci sono tabelle,
disegni e calcoli.
La legatura, dell’antica libreria medicea, pregevole, è originale. È alta 22,7 cm
e larga 14,7 cm. I piatti sono di legno, coperti di seta verde, molto danneggiata. Al
centro del piatto sono ricamate le armi medicee; ci sono anche borchie agli angoli e
le tracce del fermaglio, nonché i resti del dorso in pelle. Nel XIX sec. fu realizzata
una custodia protettiva, rigida in cartone, coperta di carta marmorizzata, alta 24
cm, larga 16,7 cm, in cui ora è conservato il manoscritto.
Sul piatto si trova un’etichetta ovale con il numero di catalogo (635 bis) e sul
dorso l’etichetta della Königliche Bibliothek con la segnatura: Ms. ital. quart. 48.
Sul contropiatto, invece, c’è l’etichetta d’asta con il testo a stampa che spiega il
contenuto e l’importanza del manoscritto, indicando correttamente il destinatario
e la data della realizzazione (1510-1515). Sul contropiatto, al centro, c’è il numero
d’ingresso della biblioteca berlinese e la segnatura. L’etichetta d’asta e le informa-
zioni dal registro d’ingresso della Staatsbibliothek di Berlino indicano che il codice
fu comprato all’asta della libreria Franchi a Firenze (febbraio 1885, catalogo 44,
numero 635 bis). Sono state vane le ricerche nei vecchi cataloghi dei codici medi-
cei, per cui è difficile stabilire come e quando questo manoscritto fu allontanato

6
Il codice è descritto in (Sosnowski 2012)

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Roman Sosnowski

dalla raccolta medicea (con ogni probabilità vi si doveva trovare vista la legatura,
indiscutibilmente medicea).

Magliabecchiano CL XI, 15

Il codice Magliabecchiano XI, 15 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firen-


ze, di cui dà notizia Arrighi, è decisamente più modesto del codice ital. quart. 48.
Cartaceo, alto 20,7 cm e largo 14,5 cm circa, di 183 carte in totale (8 carte iniziali
numerati con i numeri romani I-VIII con l’indice da Ir a Ivr. Fogli bianchi:Ivv-
VIIIv, 35v e 116v. La legatura è moderna, pergamenacea. Sul dorso c’è il titolo: P.
DA FILICAIA Giuochi matematici. Un foglietto membranaceo incollato all’inizio
del manoscritto reca una scritta: Di mano di Piero di Niccolao d’Antonio da Fili-
caia Autore del presente libro dedicato al Mag: Giuliano de Medici figlio di Piero
di Cosimo Padre della Patria, che fu ucciso nel Duomo di Firenze ne’ 26. Apri-
le 1478 nella congiura de’ Pazzi. La scritta erroneamente identifica Giuliano de’
Medici come Giuliano, fratello di Lorenzo, mentre si tratta di Giuliano, figlio di
Lorenzo. L’aspetto decorativo differenzia maggiormente i due manoscritti. Mentre
ital. quart. 48 (Cracovia) è riccamente decorato, Magl. XI, 15 (Firenze) ha gli spazi
per le decorazioni mai portate a termine. Si configura, quindi, come “una brutta
copia” del codice ital. quart. 48, attualmente a Cracovia. Per il resto si tratta di ma-
noscritti pressoché identici. Scritti dalla stessa mano (autografi) i due codici hanno
la stessa mise en texte e mise en page: in entrambi si trova la dedica a Giuliano de’
Medici, duca di Nemours, in entrambi si ha l’identica disposizione dei testi (Dedi-
ca, Epigrammi di Fra Paschasio, testo dei Giuochi mathematici, due sonetti di Piero
di Nicolao da Filicaia). Da ciò si assume che i due manoscritti siano strettamente
collegati. Questo aspetto richiede ulteriori approfondimenti benché l’ital. quart.
48 per motivi esterni (come esemplare finito, di dono) sembra più autorevole.

4. Caratteristiche linguistiche

Sebbene di lettura non sempre immediata per via di numerose abbreviature, la


lingua dei Giuochi mathematici si presenta nell’insieme come scorrevole, compatta,
senza grosse oscillazioni7.
A livello della grafia si nota soprattutto una forte tendenza latineggiante, non
lontana dai gusti e dalle soluzioni degli scrittori toscani della fine del Quattrocento

7
Siamo fortunati ad avere due manoscritti esemplati sotto la diretta supervisione dell’autore
che, quindi, fedelmente rispecchiano la originale veste linguistica del testo. Nell’analisi della lingua
mi baso sul manoscritto ital. quart. 48 e cito le forme da quel manoscritto, tuttavia, come ho potuto
riscontrare confrontando i due codici, i risultati non sarebbero diversi per il Magliabecchiano XI, 15.

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Una ricognizione sulla lingua del testo inedito di Giuochi mathematici di Piero da Filicaia

e dell’inizio del Cinquecento (si pensi p.es. a Machiavelli). Sono latineggianti le


grafie di ti + vocale: scientia(1r e segg.), conditione (1v), la frequente conservazione
della h etimologica: mathematica (1v e segg.), habbi (1r), havere (1r), homo (1v),
hoggi (1v), havendo (2r), la conservazione del nesso ct: proficto (1r), perfectione
(1r), sancta (1v), sopradicte (1v), del nesso pt: acceptare (3r) e del nesso ps: epso
(1v, 3v). Anche la x etimologica trova la sua rappresentazione in diverse forme del
testo: exaltare (1r), expositioni (2r), exemplo (4r). Notevole anche il recupero lati-
neggiante della h nei verbi rephrendere e comphrendere (2r, 7r e segg.). Con grande
regolarità la nasale palatale è in genere rappresentata dalla grafia gn: digni 2r, digno
2v, cognitione 3r. L’affricata alveolare è rappresentata da z: mezo (5r).
Al livello fonetico nel testo, altrimenti molto regolare, come già ribadito, si
nota una oscillazione tra le forme dittongate e non: giochi (1r, 4r), novo (9v), vole
(35r)ma anche giuochi (4v), giuocho(6v), può (4v). Nell’insieme il dittongo risulta
ridimensionato conformemente a quanto succedeva nella Firenze fine del Quattro-
cento e dell’inizio del Cinquecento. Il raddoppiamento fonosintattico è segnalato
graficamente solo in alcuni casi: nel caso della preposizione a con il pronome lui
(allui 33r), nel caso della preposizione a con il verbo fare (affar 33r).
Al livello della morfologia è molto evidente da una parte una forte compattezza
del testo e dall’altra una forte adesione alle soluzioni fiorentine quattrocentesche.
La compattezza si nota nel fatto che le soluzioni sono ripetitive e non ci sono incer-
tezze morfologiche, che spesso caratterizzano testi di koinè sovraregionali, dove si
sovrappongono diversi strati provenienti dall’autore e dai copisti. Dall’altra parte
la lingua di Filicaia, almeno nelle soluzioni morfologiche, è indubbiamente fioren-
tina come se avesse risentito solo in minima parte del lungo soggiorno a Borgo e
delle frequentazioni di Pacioli.
Il condizionale della terza persona plurale in –ebbono: varrebbono (2v), prono-
me possessivo indeclinabile: mia, sua (mia anni 1v, sua primi fundamenti 3r, questi
mia secreti 4r); forma del numerale: dua (dua volte 5v, dua 9v e segg.); futuro del
verbo avere: harò per avrò (4r), harai (6r) sono tutti tratti che facilmente posso-
no essere classificati come forme fiorentine o toscane quattrocentesche. Lo stesso
vale per l’articolo el che nel Quattrocento in Toscana soppianta lo trecentesco e
che, successivamente, viene espunto proprio a favore della forma precedente (el
numero 7r, el partire 3v, el preterirla 3v, el rotto 5v). Nella formazione del plurale
sono presenti le forme del plurale dell’aggettivo femminile in -e: cose sottile 3v, cose
dilectevole 4v, le quale cose 5r. Sono presenti anche le forme suto (3r) per stato,
del resto frequente negli scrittori fiorentini dell’epoca8 e, ugualmente, fia (7v, 8r).
L’imperfetto nella seconda persona singolare è di tipo analogico come impostosi
in Toscana nel Quattrocento: [tu] havevi (6v). Il ritorno al Trecento condizionò

8
Si veda p.es. Il principe di Machiavelli dove la forma suto è attestata 10 volte e suti altre 4
volte.

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Roman Sosnowski

per lunghi secoli l’uso nella lingua letteraria italiana della forma etimologica [tu]
haveva/aveva mentre a Firenze si continuava a dire [tu] avevi.
Un confronto con la lingua di Pacioli deve passare attraverso tre trattati: Ad
discipulos perusinos, il trattatello sul gioco degli scacchi, e De viribus quantitatis.
Il terzo per motivi contenutistici e cronologici e il primo e il secondo per motivi
filologici. De viribus quantitatis, la cui unica copia è contenuta nel ms. 250 della
Biblioteca Universitaria di Bologna, contiene sì gli enigmi direttamente confron-
tabili con il testo di Filicaia ed è stato fonte diretta di ispirazione per il nostro, ma
si tratta del testo alterato linguisticamente dal copista (Marinoni 1997: VIII). Pos-
siamo accedere, invece, alla lingua di Pacioli attraverso il testo del trattato scritto
nel 1478 (trattato Ad discipulos perusinos) contenuto nel codice Vaticano Latino
3129 che è uno dei due autografi pacioliani noti (Bressanini e Toniato 2011: 7).
Anche il trattato matematico perugino contiene la descrizione dei giochi matema-
tici recentemente pubblicata da Bressanini e Toniato in un volume che unisce la
precisione filologica e l’approfondimento storico e matematico. Uno sguardo alla
lingua pacioliana fa rilevare diverse sia le somiglianze che le differenze a livello
fonetico e morfologico.
La limitazione del dittongo, presente già in Filicaia, è una tendenza ancora più
vistosa nella lingua pacioliana, del resto conformemente alle caratteristiche della
lingua di Borgo San Sepolcro. Mentre in Filicaia troviamo le forme anafonetiche
(giugnedolo 5v, apuncto 171v), in Pacioli sono assenti (agionga, ponto, longi). La
prima persona plurale in –iamo, naturalmente presente nel fiorentino Filicaia, non
appare nella scrittura pacioliana in cui troviamo le forme: ponamo, metamo e non
poniamo, mettiamo. Come ricorda Mattesini (Mattesini 2007: 53-62) altri tratti an-
tifiorentini della scrittura pacioliana sono: la conservazione di –ar- intertonico nei
futuri e nei condizionali (p.es. andarà, avarà, avanzarà, sumarai) nonché l’estensio-
ne di –ar a dei casi dove di base ci doveva essere –er; lo scempiamento di alcune
consonanti lunghe di origine settentrionale (p.es. metici, tute) che si alterna con la
maggioranza delle forme non scempie; a livello morfologico le forme del condizio-
nale che continuano infinito + HABEBAM (p.es. andaria, bisognaria); l’estensione
della desinenza della terza persona plurale dell’indicativo presente dei verbi della I
coniugazione –ano alle altre coniugazioni (Mattesini 2007: 61). Si nota quindi che,
nei punti cruciali, Filicaia si attiene alla norma fiorentina coeva piuttosto che se-
guire la varietà locale del posto dove risiedeva, cioè di Borgo San Sepolcro, lingua
che invece troviamo rappresentata negli scritti di Luca Pacioli.

5. Conclusioni

Questo breve e veloce sguardo sulla lingua del trattato di Filicaia permette di
classificarla come fiorentino dell’inizio del Cinquecento con tutte le conseguenze
del caso. Ha molti punti in comune con le varietà vicine, compresa quella rappre-

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Una ricognizione sulla lingua del testo inedito di Giuochi mathematici di Piero da Filicaia

sentata nelle scritture di Pacioli, ma si tratta indubbiamente di una lingua autono-


ma rispetto a quella del grande matematico di Borgo di San Sepolcro, nonostante
il forte influsso contenutistico. Il testo di Filicaia è chiaramente degno di interesse,
soprattutto per i suoi contenuti culturali e scientifici, ma anche la lingua può tro-
vare una giusta collocazione e un giusto riconoscimento quando finalmente la sua
edizione vedrà la luce.

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