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1
G. PATOTA, La quarta corona: Pietro Bembo e la codificazione dell'italiano
scritto, Bologna, Il Mulino, 2017, pp. 124-128.
pag. 1
Per tutta l’infanzia fu allievo di Angelo Poliziano, «il
maestro giovane ancora e con tutta l’asprezza polemica
della giovinezza, ma riverito ormai da molti e ascoltato da
tutti, di un umanesimo nuovo».2
2
P. BEMBO, Introduzione, in Prose e Rime, a cura di Carlo Dionisotti, cit., Torino,
Utet, 1966, p.8.
3
Ibidem.
pag. 2
Certamente, quella pubblica era una carriera che andava in
contrasto con la vocazione del Bembo, più propenso verso
una carriera letteraria.
4
P. BEMBO, Introduzione, in Prose e Rime, a cura di Carlo Dionisotti, Torino, Utet,
1966, p.9.
5
Ivi, p.10.
pag. 3
L’idea non è più quella di un’aula accademica o della
prepotenza estrosa del maestro Poliziano e del Barbaro, ma
in questo caso la forma dialogica implica il bisogno e
l’intenzione del Bembo di richiamare a sé e verso il proprio
lavoro gli altri, in particolar modo gli amici e di coinvolgerli
nelle diatribe messe in atto nei suoi testi.6
6
Ibidem.
7
M. LOWRY, Nicolas Jenson e le origini dell'editoria veneziana nell'Europa del
Rinascimento, Roma, Il veltro editrice, 2002, p. 8.
pag. 4
Da queste ultime affermazioni si può dunque capire come
l’umanesimo di Aldo Manuzio non si distaccasse molto da
quella dottrina neoplatonica fiorentina del Ficino e del
Pico.8
pag. 5
stratificazione, tale opera manoscritta è conosciuta come
“queriniana”, della quale però non vi è l’autografo
dell’autore.12
12
Ibidem.
13
Ivi., p.38.
14
L. BOLZONI, Gli Asolani e il fascino del ritratto, [2013] in Pietro Bembo e le
arti, a cura di G. Beltramini, H. Burns e D. Gasparotto, Vicenza, Marsilio, 2017, p.
286.
pag. 6
A madonna lucretia estense borgia duchessa illustrissima di ferrara.15
17
R. CASAPULLO, Appunti su un’edizione ‘degli Asolani, Lettere Italiane, vol. 46,
no. 3, 1994, pp. 449.
pag. 7
appunto alla filosofia del Ficino. La concezione dell’amore
ficiniana, rinnovata tramite l’impulso platonico, fa sì che
l’amore sia realmente compiuto in se stesso secondo un
climax ascensionale: dall’esaltazione della bellezza
della donna, come creatura, fino alla contemplazione divina.
Tenendo presente che secondo il
Ficino l’amore, platonicamente parlando, è desiderio di
bellezza, proprio da questo desiderio di bellezza e dalla sua
contemplazione, attraverso una scala ascensionale, si giunge
al suo vertice ovvero alla contemplazione divina.
pag. 8
Asolo, Caterina Cornaro, fra tre giovani e tre donne, in
occasione dei festeggiamenti per il matrimonio di una
damigella della regina.19
pag. 9
indiscutibilmente d’ispirazione, per il Bembo, i dialoghi
classici latini.
pag. 10
Questa peculiarità scenografica sta a giustificare anche la
particolarità di un dialogo protrattosi per tre giorni e
incentrato sui ragionamenti amorosi, che rappresenta per
l’autore stesso il suo ideale di vita, diverso da quello che
viene offerto a un patrizio veneziano nella sua città.
23
Ibidem.
pag. 11
[…] la Reina, fatta chiamare una sua damigella, la quale, bellissima
sopra modo e per giudicio d’ogniun che la vide più d’assai che altra
che in quelle nozze v'avesse, sempre quando ella separatamente
mangiava di darle bere la serviva, le impose che alle canzoni delle
fanciulle alcuna n'aggiugnesse delle sue. Per che ella, presa una sua
vivola di maraviglioso suono, tuttavia non senza rossore veggendosi in
così palese luogo dover cantare, il che fare non era usata, questa
canzonetta cantò con tanta piacevolezza e con maniere così nuove di
melodia, che alla dolce fiamma, che le sue note ne' cuori degli
ascoltanti lasciarono, quelle delle due fanciulle furono spenti e freddi
carboni. […]24
pag. 12
Vide Colco Medea lieta e secura;
Poi ch’arse per Iason, acerba e dura
Fu la sua vita infin a l’ultim’ora.25
pag. 13
dell’amore infelice di cui discorrerà Perottino nel primo
libro e il tema dell’amore felice di cui discorrerà, invece,
Gismondo nel secondo libro.
pag. 14
Gli anni de l’oro e la felice etade.30
30
P. BEMBO, Gli Asolani, a cura di Carlo Dionisotti, Utet, Torino 1966, I, III,
p.320.
31
Ibidem.
32
Il corsivo è mio.
pag. 15
anni ne menava felice, e pur troppo felice, se io te solo non avessi
giamai conosciuto.33
Ahi infelice dono della mia donna crudele, misero drappo e di misero
ufficio istrumento, assai chiaro mi dimostrò ella donandomiti quale
dovea essere il mio stato. Tu solo m’avanzi per guiderdone
dell’infinite mie pene. Non t’incresca, poi che se’ mio, che io, quanto
arò a vivere, che sarà poco, con le mie lagrime ti lavi.34
33
P. BEMBO, Gli Asolani, a cura di Carlo Dionisotti, Utet, Torino 1966, I, XXXV,
p.376.
34
Ivi, p.377
pag. 16
[…]non pochi sogliono esser coloro che le cose sane le più volte
rimirano con occhio non sano.35
35
Ivi, p.317.
pag. 17
O Amore, benedette sieno le tue mani sempre da me, con le quali tante
cose m’hai dipinte nell’anima, tante scritte, tante segnate della mia
dolce donna, che io una lunga tela porto meco ad ogni ora d’infiniti
suoi ritratti in vece d’un solo viso, e uno alto libro leggo sempre e
rileggo pieno delle sue parole, pieno de’ suoi accenti, pieno delle sue
voci, e in brieve mille forme vaghissime riconosco di lei e del suo
valore, qualora io vi rimiro, cotanto dolci sutemi e cotanto care, non
picciola parte di quella viva dolcezza sentendo nel pensiero, che io
già, operandolo ella, ne’ loro avenimenti mi sentia. Le quali figure,
posto che pure da sé non chiamassero a loro la mia mente così spesso,
sì la chiamerebbeno mille luoghi che io veggo tutto dì, usati dalla mia
donna ora in un diporto e ora in altro.36
[…] Amore niente altro è che disio, il quale come che sia d’intorno a
quello che c’è piaciuto si gira, perciò che amare senza disio non si
può, o di goder quello che noi amiamo o d’altramente goderne, che
noi non godiamo, o di goderne sempre, o di bene, che noi con la
volontà all’amate cose cerchiamo; e disio altro non è che amore,
perciò che disiderare cosa che non s’ami non è di nostra possa, né può
36
P. BEMBO, Gli Asolani, a cura di Carlo Dionisotti, Utet, Torino 1966, II, XXVII,
p.436.
37
G. RIZZARELLI, “La favola della regina delle isole fortunate negli ‘Asolani’ di
Pietro Bembo.” Lettere Italiane, vol. 54, no. 3, 2002, p. 390.
pag. 18
essere in alcun modo: ogni amore e ogni disio sono quel medesimo e
l’uno e l’altro.38
pag. 19
bello quello animo, le cui virtù fanno tra sé armonia; e tanto più sono
di bellezza partecipi e l’uno e l’altro, quanto in loro è quella grazia,
che io dico, delle loro parti e della loro convenenza, più compiuta e
più piena. È adunque il buono amore disiderio di bellezza tale, quale
tu vedi, e d’animo parimente e di corpo, e a lei, sì come a suo vero
obbietto, batte e stende le sue ali per andare.40
40
P. BEMBO, Gli Asolani, a cura di Carlo Dionisotti, Utet, Torino 1966, III, VI,
pp.467-468.
41
Il corsivo è mio.
pag. 20
Il romito si trova in cima ad un colle alle spalle del giardino
in cui dialogano i giovani: è quindi allo stesso tempo vicino
e superiore, sia qualitativamente che fisicamente. Questa
collocazione lo ha reso partecipe di ciò che era avvenuto.
pag. 21
è, che essi ora fanno. E tu, Lavinello, credi che non sarai perciò caro
alla Reina, che io dico, poscia che tu poco di lei sognandoti, tra questi
tuoi vaneggiamenti consumi più tosto senza pro, che tu in alcuna vera
utilità di te usi e spenda, il dormire che t’è dato. E infine sappi che
buono amore non è il tuo.43
pag. 22
collocati nel giardino della regina: in una unità superiore, un
luogo considerato interno ma esterno alla corte; la presenza
della regina ripristina infine il controllo di uno spazio che
inizialmente era stato costruito come separato dalla corte. 46
46
L. BOLZONI, Gli Asolani e il fascino del ritratto, [2013] in Pietro Bembo e le
arti, a cura di G. Beltramini, H. Burns e D. Gasparotto, Vicenza, Marsilio, 2017, p.
287.
47
Ivi, p. 295.
pag. 23
2.2 L’ideale di perfetto amore nel Cortigiano di
Castiglione
pag. 24
Il tema centrale del libro è la trattazione, sotto forma di
dialogo, riguardo quali siano gli atteggiamenti conformi ad
un uomo di corte e ad una dama di palazzo, dei quali sono
riportati signorili conversazioni che l'autore immagina si
tengano durante le varie serate di festa presso la corte dei
Montefeltro, attorno alla duchessa Elisabetta Gonzaga.
pag. 25
una concezione di vita aristocratica e umana, ma soprattutto
rimarcava uno degli ideali più sentiti durante il
Rinascimento italiano: il Castiglione era riuscito a
riproporre in un unico monumento letterario gli ideali di
un’epoca, d’un costume, di una società.
[…]vorrei che 'l gioco di questa sera fusse tale, che si elegesse uno
della compagnia ed a questo si desse carico di formar con parole un
perfetto cortegiano.51
50
P. SABBATINO, Le due Veneri e il «desiderio di fruir la bellezza» in Ficino e
Castiglione, Società editrice fiorentina, Firenze, 2021, p.10.
51
B. CASTIGLIONE, Il libro del Cortegiano, a cura di B. Maier, Torino, Utet,
1981, p.73.
52
Ivi, p.11.
pag. 26
La perfezione è il nuovo grande mito del secolo
rinascimentale: una perfezione che inizia la sua ascesa dal
principe machiavelliano, maestro di pratiche politiche, che
lotta con la propria virtù contro le avversità della cattiva
sorte; la stessa perfezione che si ritrova, poi, personificata in
campo artistico da Benvenuto Cellini nella sua Vita, il quale
mette in luce tutto il rinascimentale conflitto tra la virtù e la
fortuna; un’eccezionale e perfetta umanità, che si idealizza
nella virtù degli artisti dell’epoca e che sembra incarnarsi in
Michelangelo, artista tanto ammirato dal Vasari.53
53
Ivi, p.12.
54
Ivi, p.13.
pag. 27
Noi in questi libri non seguiremo un certo ordine o regula di precetti
distinti, che ’l piú delle volte nell’insegnare qualsivoglia cosa usar si
suole; ma, alla foggia di molti antichi, rinovando una grata memoria1,
recitaremo alcuni ragionamenti, i quali già passarono tra uomini
singolarissimi a tale proposito; e benché io non v’intervenissi
presenzialmente, per ritrovarmi, allor che furon detti, in Inghilterra,
avendogli poco appresso il mio ritorno intesi da persona che
fedelmente me gli narrò, sforzerommi a punto, per quanto la memoria
mi comporterà, ricordarli, acciò che noto vi sia quello che abbiano
giudicato e creduto di questa materia uomini degni di somma laude, ed
al cui giudicio in ogni cosa prestar si potea indubitata fede.55
pag. 28
Si legge nell’opera che per il conte Ludovico di Canossa,
uno degli interlocutori del dialogo, tra le varie qualità
richieste al perfetto cortigiano, la maggiore è quella
dell’armi:
[…]penso che dal nostro Cortegiano per alcun modo non debba esser
lasciata adietro; e questo è il saper disegnare, ed aver cognizion
dell’arte propria del dipingere.59
E voi ben dite vero, che l’una e l’altra è imitazion della natura; ma non
è già così, che la pittura appaja, e la statuaria sia.61
58
B. CASTIGLIONE, Il libro del Cortegiano, a cura di B. Maier, Torino, Utet,
1981, Proemio, Libro 1, cap. 1, pag.112.
59
Ivi, p.176.
60
Ivi, p.178.
61
Ivi, p. 180.
pag. 29
Viene aperto così un dibattito sulla gara per il primato tra le
due arti: pittura e scultura. Ma il Castiglione attribuisce il
primato alla pittura poiché la considera più nobile:
Per questo parmi la pittura più nobile e più capace d’artificio che la
marmoraria, e penso che presso agli antichi fosse di suprema
eccellenza come l’altre cose: il che si conosce ancor per alcune
piccole reliquie che restano, massimamente nelle grotte di Roma; ma
molto più chiaramente si può comprendere per i scritti antichi, nei
quali sono tante onorate e frequenti menzioni e delle opre e dei
maestri; e per quelli intendesi quanto fossero appresso i gran signori e
le republiche sempre onorati.62
pag. 30
quale, nel selezionare le cinque più belle vergini della città
di Crotone, diede alla luce la figura di Elena:
pag. 31
l’improponibilità dell’imitazione della natura, denunciando
con ironia la «carestia e de’ buoni giudicii e di belle
donne».66
pag. 32
e che grazie alla sua celebre opera Gli Asolani, ottenne il
primato come esperto dell’amore neoplatonico.
Dico adunque che, secondo che dagli antichi savii è diffinito, Amor
non è altro che un certo desiderio di fruir la bellezza; e perchè il
desiderio non appetisce se non le cose conosciute, bisogna sempre che
la cognizion preceda il desiderio: il quale per sua natura vuole il bene,
ma da sè è cieco e non lo conosce.70
pag. 33
definizione di bellezza come elemento divino di bontà che
infonde luce ai corpi rendendoli ammirevoli e bellissimi. A
loro volta, questi corpi illuminati dalla luce divina, attirano
gli occhi del cortigiano, i quali si accendono di desiderio e
sete di possedere cotanta bellezza:
Ma, parlando della bellezza che noi intendemo, che è quella solamente
che appar nei corpi e massimamente nei volti umani, e muove questo
ardente desiderio che noi chiamiamo amore: diremo, che è un flusso
della bontà divina, il quale benchè si spanda sopra tutte le cose create,
come il lume del sole, pur quando trova un volto ben misurato e
composto con una certa gioconda concordia di colori distinti, ed
ajutati dai lumi e dall’ombre e da una ordinata distanza e termini di
linee, vi s’infonde e si dimostra bellissimo, e quel subjetto ove riluce
adorna ed illumina d’una grazia e splendor mirabile, a guisa di raggio
di sole che percota in un bel vaso d’oro terso e variato di preziose
gemme; onde piacevolmente tira a sè gli occhi umani, e per quelli
penetrando s’imprime nell’anima, e con una nuova soavità tutta la
commove e diletta, ed accendendola, da lei desiderar si fa.71
71
Ivi, p.523.
pag. 34
ragione, ma da falsa opinion per l’appetito del senso: onde il piacer
che ne segue esso ancora necessariamente è falso e mendoso.72
E però in un de’ dui mali incorrono tutti quegli amanti, che adempiono
le lor non oneste voglie con quelle donne che amano: chè ovvero
subito che son giunte al fin desiderato non solamente senton sazietà e
fastidio, ma piglian odio alla cosa amata, quasi che l’appetito si
ripenta dell’error suo, e riconosca l’inganno fattogli dal falso giudicio
del senso, per lo quale ha creduto che ’l mal sia bene; ovvero restano
nel medesimo desiderio ed avidità, come quelli che non son giunti
veramente al fine che cercavano; e benchè per la cieca opinione, nella
quale inebriati si sono, paja loro che in quel punto sentano piacere,
come talor gl’infermi che sognano di ber a qualche chiaro fonte,
nientedimeno non si contentano nè s’acquetano. E perchè dal
possedere il ben desiderato nasce sempre quiete e satisfazione
nell’animo del possessore, se quello fosse il vero e buon fine del loro
desiderio, possedendolo restariano quieti e satisfatti; il che non fanno:
anzi, ingannati da quella similitudine, subito ritornano al sfrenato
72
Ibidem.
pag. 35
desiderio, e con la medesima molestia che prima sentivano si
ritrovano nella furiosa ed ardentissima sete di quello, che in vano
sperano di posseder perfettamente.73
pag. 36
dell’infinita bellezza, conquistando finalmente la felicità
dell’animo.
75
Ivi, p.15.
76
B. CASTIGLIONE, Il libro del Cortegiano, a cura di B. Maier, Torino, Utet,
1981, Proemio, Libro IV, cap. XXVII, pag.411.
77
Ivi, introduzione, p.26.
pag. 37
L’esaltazione dell’amore vista come via verso il bene divino
permea in tutta la conclusione dell’opera. Pietro Bembo
espone la concezione platonica dell’amore e per questo
vengono utilizzati gli scritti di Marsilio Ficino di cui si era
servito già lo stesso Bembo per la composizione degli
Asolani: di qui deriva la meditazione che chiude l’opera di
Castiglione, con una lettura in chiave sublimante della
relazione tra uomo e donna.
Guardate, messer Pietro, che con questi pensieri a voi ancora non si
separi l’anima dal corpo.78
78
Ivi, p.549.
pag. 38
Successivamente è la Duchessa che rimarca la via indicata
dal Bembo suggerendola, però, per il cortigiano anziano, il
quale potrà accontentarsi di tanta felicità:
79
Ivi, p.550.
pag. 39
che se per gli uomini è difficile raggiungere la meta per le
donne è ancor più impossibile perché:
Ingiuria non vi si fa, dicendo che l’anime delle donne non sono tanto
purgate dalle passioni come quelle degli uomini, nè versate nelle
contemplazioni, come ha detto messer Pietro che è necessario che sian
quelle che hanno da gustar l’amor divino.80
80
Ibidem.
81
Ivi, p.551.
pag. 40
La donna a cui guarda è una protagonista della vita di
palazzo e accanto alle consuete virtù domestiche, egli
l’adorna di qualità importanti quali la bellezza, l’affabilità,
la gentilezza, la vivacità d’ingegno e la cultura. Doti che si
devono amalgamare in un unicum armonico, che costituisce
il prototipo della perfetta donna di palazzo.
pag. 41
2.3 “Le stanze per la giostra” di Poliziano
pag. 42
ritorno dopo aver fatto innamorare il giovane cacciatore Iulo
(Giuliano de’ Medici) della ninfa Simonetta (Simonetta
Cattaneo, la donna amata da Giuliano):
pag. 43
infatti interrotta, con tutta probabilità, a causa della morte di
Giuliano e del ferimento di Lorenzo nella sollevazione
seguita alla congiura dei Pazzi, il 26 aprile 1478.
83
A. A. ROSA, Storia europea della letteratura italiana. Vol. I - Le origini e il
Rinascimento, Torino, Einaudi, 2009, p. 413.
pag. 44
«Siamo di fronte, né più né meno, al travestimento
classicheggiante della contemporaneità. [...] Il culto
dell'antico è in questa età talmente forte da indurre letterati e
poeti a proiettare le vicende contemporanee su questi
fondali scenici anche un po' ingenuamente artificiosi e, in un
certo senso, ad allegorizzare il presente, non più però alla
maniera di Dante, bensì utilizzando il bagaglio mitologico
della civiltà classica: Giuliano è Iulo, Simonetta una ninfa,
Amore e Venere gli dei ex machina della vicenda. Tutto ciò,
beninteso, con la leggerezza elegante, e scarsamente
impegnativa, propria di una mentalità ben consapevole di sé
e della natura fondamentalmente letteraria di tale
operazione. Qualcosa di simile veniva compiendo nelle arti
figurative un pittore come Sandro Botticelli, quasi coetaneo
di Poliziano.»
pag. 45
dalla freccia di Cupido, Iulo si innamora della giovane. Il
dio, soddisfatto della buona riuscita del suo piano, può
dunque tornare felice a Cipro, presso la madre Venere.
Poliziano si dilunga nella descrizione delle bellezze del
giardino e del palazzo della dea.
pag. 46
influenze della letteratura classica sono evidenti sia da un
punto formale che contenutistico. Anche se il poemetto è
scritto in volgare il linguaggio è costantemente nobilitato da
stilemi classici e da una tessitura espressiva propria della
tradizione greca e latina. Come nei grandi poemi omerici, le
trame intessute dagli dèi latini stanno alla base dell’intera
vicenda. Inoltre, l’incontro tra il protagonista Iulio (nome
latinizzato di Giuliano de’Medici) e la ninfa Simonetta
(ovvero Simonetta Cattaneo, bellissima moglie di Marco
Vespucci che ha prestato il volto alla Nascita di Venere di
Botticelli) rimanda alla storia di Apollo e Dafne narrata in
Le metamorfosi di Ovidio.
pag. 47
proprio la scoperta dell'amore a liberare il giovane da quelle
componenti orfiche legate all'esperienza funebre.
pag. 48
Anche l'elemento encomiastico si inquadra completamente
nel gusto e nella poetica di un autore, come Poliziano, che
opera sotto l'egida di un mecenatismo colto e illuminato.
L'attività poetica era infatti intesa essenzialmente come
esercizio d'arte, e quindi poteva porsi senza problemi al
servizio di un signore.
pag. 49