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• Il melodramma
Si può passare da Galileo al melodramma se si rammenta suo padre Vincenzo, musicista, che ebbe
una parte nella fiorentina Camerata dei Bardi, dalla quale discende il melodramma. Nato a cavallo
tra 500 e 600 e destinato ad un grande successo nel corso di questo secolo. Il melodramma permette
di affrontare la questione del rapporto tra la parola e la musica, così come fu posto dai teorici del
tardo Rinascimento, nell’ambito della riflessione sull’antica tragedia greca: il melodramma del
primo 600 fu un tentativo di ricreare la tragedia antica, che si immaginava fosse stata eseguita dai
greci con l’accompagnamento del canto.
Nell’ambiente della Camerata del conte Bardi prevaleva la convinzione che l’antica tragedia greca
fosse stata a suo tempo interamente cantata.
Il melodramma si caratterizza come un tipo di spettacolo d’élite, in quanto forma di divertimento
che richiede scenografie e allestimenti complessi e dispendiosi. Questo delimita la sua influenza
linguistica nella dimensione della corte.
• Il linguaggio poetico
Con Marino e il marinismo le innovazioni si fanno ancora più accentuate. Il catalogo degli oggetti si
allarga notevolmente rispetto alla tradizione, perchè gli autori si muovono nel solco di convenzioni
in parte rispettate: ad esempio gli schemi metrici e le cadenze ritmiche sono quelle petrarchesche.
Nel settore lessico agiscono spinte innovative che allargano considerevolmente le possibilità di
scelta; proprio come Marino che pone accanto alla sua rosa, una serie di piante diverse come
l’amaranto, il vago acanto, la bella clizia. La poesia barocca utilizza un’ampia gamma di animali,
canonici e non. Nel Marino troviamo il pardo leggiadro, il fiero leone.
Un consistente filone della poesia barocca che fa capo a Marino utilizza dunque il lessico
scientifico, assieme alla tematica e agli oggetti emblematici della scienza.
Si crea insomma quella miscela tra vecchio e nuovo che sarà caratteristica anche della poesia
didascalica del 700.
CRUSCA E ANTICRUSCA
• Dalla dedicatoria A’ lettori del vocabolario degli accademici della crusca ed.1612
Anteposta alla dedica A’ lettori, il vocabolario del 1612 presenta una dedica non firmata dall’intero
corpo accademico. Tale dedica non è rivolta a un regnante o a un personaggio influente negli Stati
d’Italia o in toscana, bensì a Concino Concini: aveva un forte potere alla corte di Francia. Nato a
Firenze, si era recato al seguito di Maria de’ Medici e aveva sposato la confidente più intima di
Maria. Quando la regina si ritrovò a governare da sola, dopo la morte del marito, Concini ebbe
incarichi prestigiosi che lo portarono in una posizione di grande potere e di enorme ricchezza. Fu
ucciso a tradimento per ordine di Luigi XIII, che lo odiava. La storia di Concini si chiuse con un
finale tragico, non molti anni dopo l’uscita del vocabolario che è a lui dedicato. Al momento della
stampa tuttavia la sua fortuna era al colmo, dunque si intende bene come mai gli Accademici si
appoggiassero fiduciosamente a lui.
Nel brano sono illustrate alcune fondamentali linee di intervento seguite per la realizzazione
dell’opera. Si noti prima di tutto Bembo, poi Salviati (colui che aveva ideato il dizionario) e i
deputati alla correzione del Boccaccio. Nel 1571, infatti, si era avviata una rassettatura del
Decameron. Fu una rassettatura filologica e censoria al tempo stesso.
Salvati aveva davvero fissato il canone a cui gli accademici si attennero: le fonti degli spogli sono
stati scrittori del 300 di nascita fiorentina o comunque convertiti al fiorentino.
Gli accademici propongono dunque una distinzione tra gli autori di prima classe, ciòè Dante,
Boccaccio, Petrarca e Giovanni Villani e i minori, da cui le parole sono state prese quando
mancavano negli autori maggiori.
• Qualche voce della crusca
La struttura delle voci della Crusca mostra una notevole modernità, prima di tutto grafica. Il lemma
è in maiuscoletto, ben individuabile al primo colpo d’occhio.
Se si osserva la pagina originale del vocabolario ed.1612, si nota come la chiara impostazione
tipografica si avvalga anche di utili espedienti pratici sopra ogni colonna è posta l’indicazione delle
prime due lettere delle parole sottoposte. Segue la definizione, che può comprendere anche
sinonimi.
C’è l’indicazione di una parola latina, la quale però non è etimologica, come potrebbe sembrare a
prima vista.
A questo punto della voce seguono gli esempi che occupano la maggior parte dello spazio.
• Tassoni avversario della Crusca
Alessandro Tassoni fu uomo di corte a Roma, a Torino, a Modena. Ebbe una notevole esperienza
della società aristocratica italiana. La sua fama di letterato è affidata al poema eroicomico La
secchia rapita, che uscì nel 1630. Tassoni è fautore della modernità, dunque la sua risposta è
contraria a ogni forma di conservatorismo.
Tra le opere minori restano anche le postille al vocabolario, ottimo esempio di critica concretamente
applicata, non affidata ad affermazioni di principio. Le postille sono più di mille, brevi e spesso di
mordaci. Non sono autografe di Tassoni; infatti l’esemplare del vocabolario a lui appartenuto si è
perso già nel 700.
Infine sono interessanti le annotazioni relative alle tre parole che Tassoni non trova nella Crusca, ma
ritiene degne di entrare in un moderno vocabolario: regalare, scena e stradiotti. Regalare compare
in italiano solo a partire dal XVI secolo: la parola è giudicata un ispanismo. Quanto a scena, la
Crusca aveva accolto l’aggettivo scenico, ma non nel senso teatrale moderno; invece Tassoni si
riferisce proprio all’uso moderno del teatro. Gli stradiotti erano soldati, introdotti in Italia
dall’esercito che se ne serviva. Per Tassoni la parola è necessaria per intendere storie moderne dei
toscani, perchè il termine ricorre in Machiavelli e Guicciardini; naturalmente la Crusca si guardava
bene dal registrare una parola del genere, non antica, di origine settentrionale (veneta) e di impiego
rigorosamente tecnico.
IL SETTECENTO
• L’italiano e il francese nel quadro europeo
All’inizio del 700, le lingue europee di cultura che detenevano un solido prestigio internazionale
erano poche, e in testa a tutte stava ormai il francese. Il latino manteneva una solidissima posizione
a livello internazionale.
La lingua di comunicazione elegante da usare con i viaggiatori stranieri nei territori di lingua
tedesca era il francese, ma anche l’italiano aveva una posizione di prestigio, soprattutto a Vienna.
• Linguaggio poetico
Permane nel linguaggio della poesia del 700 una sostanziale adesione al passato, visibile anche
l’impiego fino alla sazietà della toponomastica e onomastica classica, della mitologia, con relativo
largo uso di latinismi e arcaismi.
Altri procedimenti vistosi nella poesia del 700 sono i troncamenti, specialmente quelli del verbo
all’infinito (arrossir, parlar..). I troncamenti, come gli abbondanti arcaismi e latinismi, hanno lo
scopo di distinguere la poesia dalla prosa, di salvare cioè i versi dal rischio di scivolamento nella
banalità prosaica. Per porre riparo a tale rischio, tra due termini si tende a scegliere quello più raro e
letterario (duolo piuttosto che dolore, talamo anziché letto..).
• La prosa letteraria
Viene inclusa nella prosa letteraria la saggistica. La prosa saggistica si avvia verso una sostanziale
semplificazione sintattica.
Verri nel suo scritto Difetti della letteratura dichiara la propria ammirazione per l’ordine della
scrittura francese e la brevità della scrittura inglese. Lamenta, viceversa, la penosa trasposizione
dello stile italiano, la vanità dei vocaboli selezionati in base a criteri retorico-formali.
Nelle Notti romane, esempio di prosa coerente con il tema, si propone quale nobile modello
neoclassico, con latinismi e una generale sostenutezza oratoria che può forse stupire in uno scrittore
che aveva invocato una vera e propria rivoluzione linguistica.
Da una parte i riformatori auspicavano uno stile tutto cose, piano, divulgativo, moderno libero,
dall’altra non solo facevano fatica a realizzare tale stile, ma molte volte addirittura vi rinunciavano.
Vittorio Alfieri non perse occasione di parlare male della lingua francese e per descrivere il proprio
faticoso apprendimento del toscano classico.
L’OTTOCENTO
• Purismo e classicismo
Il purismo è caratterizzato dall’intolleranza verso ogni innovazione e da una marcata esterofobia.
Un atteggiamento del genere ebbe per inevitabile conseguenza un forte antimodernismo e il culto
dell’epoca d’oro della lingua italiana, identificata nel 300. Il capofila fu Antonio Cesari, autore di
libri religiosi, di novelle, di studi danteschi, ma soprattutto celebre per la sua attività lessicografica.
Secondo Cesari il canone della perfezione linguistica veniva esteso ben al di là delle opere degli
autori, massimi o minori che fossero. Si apprezzavano qui non solo gli autori letterari, ma anche le
umilissime scritture quotidiane, le note contabili, i libri dei mercanti fiorentini. Cesari compilò un
dizionario più cruscante di quello della Crusca, la cosiddetta Crusca veronese, così chiamata per
realizzata a Verona.
Altri puristi furono Basilio Puoi, Carlo Botta, Luigi Angeloni.
Vincenzo Monti, all’apice della sua celebrità letteraria ebbe la forza e l’autorevolezza per opporsi
alle esagerazioni del purismo: rinfacciò a Cesari di aver dato una versione del Vocabolario della
Crusca apparentemente più ampia. In seguito la polemica assunse una dimensione ancor più ampia,
perchè la critica anrtipurista di Monti arrivò a colpire direttamente il Vocabolario della Crusca nella
versione fiorentina.
Lo scontro con i puristi mosse le acque della riflessione linguistica nel nostro paese, e si svolse in
gran parte ad opera della cultura di Milano, con qualche appoggio torinese.
Anche Stendhal condannò il purismo in un suo scritto, mettendo a fuoco molto bene la particolare
situazione linguistica del nostro paese, caratterizzato dalla vitalità dei dialetti e dall’artificiosità
della lingua letteraria.
• Le teorie di Ascoli
Nel 1873 le idee e le proposte manzoniane furono contestate da Ascoli, il fondatore della linguistica
e della dialettologia italiana. L’intervento di Ascoli era rivolto in realtà soprattutto contro i seguaci e
gli imitatori del maestro. In sostanza Ascoli escludeva che si potesse disinvoltamente identificare
l’italiano nel fiorentino vivente e affermava che era inutile quanto dannoso aspirare a un’assoluta
unità della lingua, così come non si dovevano combattere certe forme linguistiche suggerite dalle
parlate di altre regioni.
L’unità della lingua, per contro, sarebbe stata una conquista reale e duratura solo quando lo scambio
culturale nella società italiana si fosse fatto fitto, quando il paese fosse diventato moderno ed
efficiente.
Macoli è severo con la Toscana, la giudica una terra fertile di analfabeti con una cultura stagnante;
una regione quindi incapace di guidare il progresso del nuovo stato italiano.
• Il linguaggio giornalistico
Nell’800 il linguaggio giornalistico acquistò un’importanza superiore a quella che aveva avuto in
precedenza. Nella prima metà del secolo un fatto oggettivo quale l’aumento delle tirature finì per
avere conseguenze pratiche e la prosa dei giornali cominciò a trovare la sua strada,
modernizzandosi. Nella seconda metà del secolo il giornalismo diventò fenomeno di massa. Le
edicole furono il punto di vendita della stampa periodica, prima diffusa soprattutto attraverso gli
abbonamenti.
Il giornale, quello ottocentesco come quello di oggi, è linguisticamente tanto più interessante per il
fatto che è composto da parti diverse: la lingua della cronaca non è identico a quella degli articoli
politici o letterari, né a quella delle pagine che si occupano di economia. Compare sui fogli
periodici la pubblicità, in forma di annunzi che spesso contengono termini nuovi o parole regionali,
puntualmente censurate dai puristi.
• La prosa letteraria
Questa è l’epoca in cui si fonda la moderna letteratura narrativa, attraverso due fondamentali svolte,
legate a nomi di grande prestigio, Manzoni e Verga. Manzoni ebbe il merito di rinnovare il
linguaggio non solo del genere del romanzo, ma anche nella saggistica, avvicinando decisamente lo
scritto al parlato.
La prosa letteraria della prima metà dell’800 era ancora sostanzialmente condizionata da due diversi
modelli legati al passato, quello puristico e quello classicistico.
I puristi imitavano la letteratura antica e scrivevano alla maniera del Boccaccio. I classicisti in
genere si ispiravano alla grande tradizione del rinascimento, non amando affatto gli arcaismi
medievali di sapore cruscante.
Una svolta nella prosa letteraria è comunque quella segnata da Manzoni nei Promessi Sposi. L’uso
manzoniano ha in certi casi influenzato il destino della lingua italiana:
- Diffusione di lui e lei soggetto
- Adozione dell’imperfetto in -o per la prima persona (io amavo invece che io amava)
- Eliminazione delle forme pel e col, sostituite con per il e con il
- Generale eliminazione della d eufonica dai monosillabi ad/ed tranne che davanti a vocale
identica
Un diverso uso del toscanismo si ha negli scrittori che il critico Contini ha ascritto nella cosiddetta
linea del mistilinguismo, espressionismo linguistico ottocentesco. Tra i membri troviamo Carlo
Dossi, Giovanni Faldella, Vittorio Imbriani; lo stile di questi autori si caratterizza per l’uso di forme
linguistiche attinte a fonti diverse: toscano arcaico, toscano moderno, linguaggio comune e dialetto
si trovano a coesistere in una miscela composita.
Ben altra importanza ebbe la svolta inaugurata da Verga, soprattutto nei Malavoglia. Verga non
abusa del dialetto e non lo usa come macchina locale, come inserto confinato nel discorso diretto
dei personaggi dialoganti. Si tratta di adattare la lingua italiana plausibile strumento di
comunicazione per i personaggi siciliani appartenenti al ceto popolare, senza per altro regredire a un
dialetto usato in maniera integrale. Lo scrittore adotta dunque alcune parole siciliane note in
tutt’Italia e poi ricorrere a innesti fraseologici.
Tratti popolari sono anche i soprannomi dei personaggi, l’uso del che polivalente, la ridondanza
pronominale, il ci attualizzante, gli per loro. Questi tratti popolari servono a simulare un’oralità
viva, suggerita anche da raddoppiamenti e ripetizioni.
Molto nuova risulta la sintassi usata da Verga, in particolare per il discorso indiretto libero, in cui
non vengono aperte le virgolette, quindi apparentemente è ancora lo scrittore a riferire le parole o i
pensieri del suo personaggio, ma alla voce della scrittore affiorano modi e forme che sono propri
del discorso diretto: il lettore si accorge che non sta più ascoltando la voce dell’autore-narratore, ma
quella del personaggio, con le sue caratteristiche e il suo livello di espressione.
• Il linguaggio poetico
Si caratterizza, almeno all’inizio del secolo, per la fedeltà alla tradizione aulica e illustre, in
coincidenza con l’affermarsi del neoclassicismo in Vincenzo Monti, ma anche in Foscolo. Il lessico
viene selezionato in modo da ascriversi alla serie di parole nobili, diverse da quelle proprie della
quotidianità. Tale doppia serie lessicale fatta di cultismi che distingue le parole dalla poesia da
quelle della prosa, fu una caratteristica del linguaggio letterario italiano almeno fino alla svolta
novecentesca. Nel caso di parole che non erano diverse in prosa e in poesia, per nobilitarle nella
forma si rincorreva con facilità alla sincope (spirto per spirito) o al troncamento (mar non mare) e
sono tronchi anche gli infiniti dei verbi in tutte e tre le coniugazioni.
L’800 fu un secolo in cui ebbe anche eccezionale sviluppo la poesia in dialetto: Porta e Belli
rappresentano i più alti esponenti. Belli chiosò i propri sonetti con note esplicative, le quali
illustrano anche alcune parole poi passate alla lingua nazionale, come “fregarsene” (fregammene),
cazzata “sciocchezza”, fesso “sciocco”. Quanto alla poesia di Porta, essa si lega fra l’altro a
un’interessante polemica sul ruolo del dialetto e della letteratura dialettale.