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Geometria sacra, il linguaggio della Creazione

“Nessuno entra qui se non è un geometra” aveva scritto Platone sulla porta
della sua Scuola ed utilizzava questo monito per allontanare tutti coloro che
vi volevano entrare impreparati allo studio di una disciplina, che più che una
scienza è una vera arte.
La Geometria di cui il grande filosofo parlava
non era solo quella formulata da Euclide, ma a
questa se ne affiancava un’altra più sottile che
ricollegava le Idee alle forme - di cui è
importante saperne leggere i segni - in una
corrispondenza continua tra l’Alto e il Basso, tra
il Divino e l’Umano.
Le prime due figure geometriche più
universalmente usate nel linguaggio dei simboli,
furono il “cerchio” ed il “quadrato”: due
immagini diametralmente opposte che però
trovano una loro importante ed impensabile complementarietà.
Gli antichi iniziati ai Misteri Divini, indagando sulla creazione del mondo,
individuarono nel movimento circolare di vortice cosmico che ne determinò
la sua formazione, la forma di una sfera; da questo aspetto tridimensionale
non facilmente riproducibile, si passò ad una forma bidimensionale di più
facile concepimento, il cerchio.
Il cerchio, rappresentato da una linea nel suo
aspetto dinamico che si chiude su se stessa e
che esprime il concetto di “Principio” e di
“fine”, divenne l’ideogramma alchemico
dell’Unità Divina da cui tutto diviene; il
quadrato invece, figura antidinamica ben
ancorata sui suoi quattro angoli, divenne
l’emblema della Terra solida e stabile,
simbolo perfetto della Creazione Divina.
Secondo l’antico assioma ermetico “com’è
in alto così è in basso” così chiaramente
impresso sulla tavola Smeraldina da Ermete
Trismegisto, la perfezione del Cielo (il
cerchio) può specchiarsi nella perfezione
della Terra (il quadrato) per dar vita alle

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“meraviglie della cosa una”, ovvero
l’Umano ed il Divino che tornano alla
loro originaria Unità.
Gli antichi sapienti egizi e greci
capirono che riga e compasso erano gli
strumenti necessari per rappresentare
quella perfezione e che attraverso l’uso
di questi due semplici attrezzi si
potevano riprodurre tutte le figure
geometriche e soprattutto costruire la
sezione aurea su qualsiasi segmento dato: concetto che conoscerà in epoca
rinascimentale la sua massima espressione.
Luca Pacioli, geniale matematico nato a San Sepolcro nel 1445, nel suo “De
prospectiva pingendi”, asseriva che i pittori “con libella e circino lor opre
proportionando a perfection mirabile ducano; in modo che non humane ma
divine negli ochi s’apresentano”.
“Libella e circino” non sono altro che “riga e compasso”, i due strumenti
indispensabili, secondo l’erudito frate francescano, per portare l’opera “a
perfection mirabile”, fine ultimo del vero artista.
Il compasso è lo strumento fondamentale, quello
che grazie alla sua dinamicità costruttiva arriva a
determinare i confini del cosmo, del cielo e della
terra, dello spazio e del tempo, antico emblema
delle “scienze esatte” che Dante Alighieri
idealmente pone in mano al divino Geometra nel
momento in cui dà il via alla sua attività creatrice.
Ecco i suoi straordinari versi tratti dal Canto XIX
del Paradiso:
“Colui che volse il sesto/allo stremo del mondo, e
dentro ad esso/ distinse tanto occulto e
manifesto”.
Nell’antica simbologia misterica il cerchio, figura
base da cui tutte le altre derivano, rappresenta lo spazio sacro o “sacro
recinto” nel quale si può manifestare la Presenza Divina; il punto al centro,
che l’ago del compasso determina, riproduce il primo segno della luce
creatrice di Dio, il numero Uno, il primo numero, la prima lettera, la prima
espressione di vita.
Il compasso è accompagnato solitamente dalla riga, anticamente costituita da
una semplice asta priva di scala di misura, con la quale si può tracciare una
linea passante per due punti. La riga serve per disegnare linee dritte e
perfette e diventa lo strumento di costruzione per eccellenza poiché permette
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qualsiasi progettazione architettonica ed ogni tipo di verifica; questo
strumento per le sue peculiari caratteristiche, fin dall’antichità, fu ritenuto il
simbolo di perfezione e di rettitudine al quale l’Umanità deve tendere.
Alla riga poi si affiancò la squadra, attrezzo
indispensabile per indicare le due diverse dimensioni
dello spazio - quella orizzontale e quella verticale - ed
utilizzata per tracciare figure quadrate, linee ed angoli
retti accentuando, da un punto di vista simbolico,
ancor più il concetto di ordine e di dirittura morale.
Platone quando parlava di “bellezza” non intendeva la
bellezza dei corpi viventi o la loro riproduzione per
mezzo del disegno, ma considerava pregne di tale
caratteristica le linee rette e curve, le superfici ed i solidi che derivavano
dall’utilizzo del compasso, della riga e della squadra: strumenti ordinatori
della materia ed al tempo stesso eloquenti simboli di sapienza e di virtù.
Nell’architettura si partiva da costruzioni geometriche semplici come il
cerchio e il quadrato per individuare, con altrettante semplici proiezioni e
ribaltamenti, tutte le linee principali dell’edificio che si voleva costruire.
Servendosi della riga e del compasso i geometri greci arrivarono a
determinare la “sezione aurea” di un segmento, riproponendo la geniale
intuizione che già molti secoli prima gli Egiziani ed i popoli mesopotamici
avevano adottato.
Nel “Timeo” Platone spiega che la
“sezione aurea” è una proporzione
geometrica basata su di un rapporto
specifico, nel quale “la parte maggiore
di un segmento sta alla minore come
l’intero segmento sta alla parte
maggiore”: tre lunghezze diverse raccolte in un’unica misura che le contiene
tutte.
Questa dimostrazione pratica divenne il punto di partenza di un pensiero
filosofico molto profondo che vedeva nell’Universo una successione infinita di
“divine proporzioni” e che riconduceva all’idea del microcosmo quale
modello in scala infinitesimale del
macrocosmo.
Gli architetti ed artisti greci cominciarono
molto presto a fare uso del “rettangolo
aureo”, principio matematico della
bellezza, la cui perfetta proporzione rimane
tale anche se da esso se ne ritaglia la
porzione di un quadrato. Quel rettangolo e
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quelli che da lui scaturiscono,
furono utilizzati per disegnare la
pianta dei templi e delle loro
facciate; un chiaro esempio è
riscontrabile nel Partenone, il
più celebre monumento
dell’architettura ellenica, che
contiene molti rettangoli aurei
in un crescendo di armonie e
proporzioni.
Nei secoli successivi il rettangolo
aureo diventò la “quintessenza architettonica” del mondo occidentale e le
cattedrali gotiche ne divennero la manifesta immagine.
A questa perfezione architettonica si affiancò la ricerca di “divina
proporzione” anche nella figura umana, nella Natura con le sue forme
geometriche perfette, e nel cosmo, riproponendo l’antico concetto della
corrispondenza tra l’Alto e il Basso e di una Unità
che permea tutta la vita. L’architetto e l’artista,
quasi inconsapevolmente, si ritrovarono a disporre
gli elementi delle loro opere in base a rapporti ben
precisi che mostravano una naturale preferenza e
predisposizione verso le proporzioni in accordo con
la “sezione aurea”.
Il Rinascimento fu il periodo storico che meglio di
ogni altro riportò alla luce i canoni di quest’antica
bellezza, grazie anche al contributo culturale che il matematico Luca Pacioli
seppe portare; egli rimase incantato dalle proprietà della “sezione aurea”
riconoscendo al disegno geometrico la capacità di ricreare delle forme in
linea con l’ar monia e la
perfezione Divina.
Le città di Firenze, Venezia e
Milano furono quelle che videro
pubblicate le sue maggiori opere.
La “Summa de Arithmetica,
G e o m e t r i a , P ro p o r t i o n i e
Proportionalità”, edita a Venezia
nel 1499, raccoglieva tutto il suo
pensiero: un’autentica “somma”
di discipline che insieme alla
musica, all’astrologia, alla
cosmografia ed alla prospettiva
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metteva in luce l’ampia conoscenza del suo Sapere.
Il Pacioli aveva capito che la “proporzione aurea” non solo riusciva ad
affascinare i cultori delle scienze matematiche, gli architetti e gli artisti, ma
anche i medici, i biologi, gli storici ed i musicisti
che si ritrovavano a discutere e studiare l’inattesa
presenza del “rapporto aureo” nelle diverse
discipline.
Nel 1496 il frate francescano venne chiamato a
Milano alla corte di Ludovico il Moro dove
porterà a compimento la sua maggiore opera,
“De Divina Proportione”, stampata a Venezia
agli inizi del 1500 e diffusa poi in tutta Europa
quale “chiave universale” per penetrare i segreti
della Natura.
Il frate francescano invitava ad attingere
all’originaria Bellezza, riproponendo l’antico
concetto che la bellezza tende alla perfezione e
che la perfezione non può essere che Divina.
In quegli stessi anni Luca Pacioli strinse amicizia
con Leonardo da Vinci; la passione per i maestri del passato e per il disegno
geometrico che Leonardo condivise con il Pacioli, lo porterà ad illustrare il
“De Divina Proportione” con ben sessanta tavole
riproducenti poliedri regolari interi e in forma
scheletrica..
Nella seconda metà del Quattrocento la corrispondenza
tra microcosmo e macrocosmo era l’argomento
universitario insegnato da Marsilio Ficino all’Accademia
Platonica nella Villa di Careggi. Il neo platonismo,
riscoperto e tradotto dal grande filosofo umanista alla
corte di Cosimo il Vecchio, fu approfondito ed arricchito
dalle nuove conoscenze che il Corpus Hermeticum di
Er mete Trismegisto,
introdotto alla corte
medicea già dal 1460, riproponeva.
Platone, sulla scorta degli insegnamenti
lasciati dalla scuola pitagorica, attribuì a
quattro poliedri regolari - il tetraedro, il
cubo, l’ottaedro e l’icosaedro - espressi da
precise figure geometriche, i quattro
elementi fondamentali presenti nel cosmo:
fuoco, terra, aria ed acqua.
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Il “tetraedro”, formato da quattro triangoli equilateri
che si compongono insieme e che ricordano la forma
di una piramide, fu messo in relazione all’elemento
Fuoco; il “cubo”, con le sue quattro facce quadrate
simbolo di solidità, fu abbinato all’elemento Terra;
l’“ottaedro” formato da otto
triangoli equilateri, per la sua
forma dinamica fu assimilato
all’Aria; infine l’“icosaedro”,
composto da venti triangoli
equilateri congiunti insieme, per
le sue innumerevoli sfaccettature fu
associato all’Acqua. A questi quattro solidi si aggiunse
anche il “dodecaedro” che con le sue dodici basi
pentagonali riuscì a riunirli tutti producendo, nel
campo degli elementi, dissonanze ed opposizioni, ma
anche consonanze e complementarietà.
Lo stretto legame tra il numero aureo 1,618... - rappresentato dalla lettera
“phi”- ed il pentagono, apre ad importanti relazioni: “phi” è un numero
infinito, inesauribile capace di generare figure geometriche di grande
bellezza e perfezione proprio come il pentagono, da
cui nasce la stella a cinque punte, figura geometrica
straordinaria i cui segmenti sono in grado di ripetere
all’infinito le proporzioni della “sezione aurea”.
La stella a cinque punte o pentagramma riconduce
alla proporzione del corpo umano individuata da
Vitruvio, famoso architetto latino al quale si rifecero i
grandi del Rinascimento ed in particolare Leonardo
da Vinci.
Vitruvio, vissuto a Roma nel I secolo a.C., nel suo “De Architettura”, oltre
che a descrivere le tecniche fondamentali da
adottare per forme architettoniche perfette,
pose le basi delle proporzioni del corpo umano
immortalate poi da Leonardo nell’Uomo
vitruviano: celeberrima rappresentazione che
dimostra come il corpo umano, nelle sue
proporzioni ideali, possa rimanere
armoniosamente inscritto dentro ad un cerchio,
un quadrato e ad un pentagramma.
La corrispondenza tra la perfezione del corpo
umano e queste tre figure geometriche alimentò
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un’infinità di riflessioni e studi sulla centralità
dell’uomo nel cosmo e sulla sua capacità di saper
intessere delle sottili corrispondenze con le
armonie universali così ben espresse dalla
Geometria.
La passione di Leonardo per questa scienza fu
condivisa anche da artisti come Leon Battista
Alberti, Piero della Francesca, Albrecht Dürer,
Francesco di Giorgio Martini e il “De Divina
Proportione” del Pacioli venne considerata l’opera
che meglio di qualunque altra era in grado di aprire ad una mistica
conoscenza dell’Armonia in tutte le sue forme.
Gli stessi rapporti proporzionali che realizzano la perfezione delle membra
del corpo umano vennero impiegati anche nell’architettura, nella pittura,
nella scultura, nella cosmografia, nella musica e perfino nelle arti militari.
In quell’epoca rinascimentale si riscoprirono, come già era successo nel
Medioevo, le sette Arti Liberali e ci si accorse che perfino la grammatica, con
la retorica e la poesia non potevano fare a meno del “numero”; stessa cosa
per la filosofia che spesso ricorre a dimostrazioni matematiche.
“Tutte cose create sian nostro spechio ché niuna si troverà che sotto numero,
peso, e misura non sia costituita”, ribadisce il frate Luca Pacioli nella sua
opera, estendendo così l’importanza del numero, e quindi della matematica e
della geometria, per tutte le altre discipline.
La scienza delle proporzioni si estese
quindi a tutto lo scibile umano non solo
per l’esattezza e l’ordine che le figure
geometriche portano in sé, ma perché si
ricominciò ad osservare che ogni singolo
punto dell’Universo trova legami con il
Principio Divino da cui tutto diviene in
una proporzione di rapporti aurei che
conduce alle leggi universali della bellezza
e dell’armonia.
La Geometria con le sue figure perfette
acquistò una sua sacralità e l’osservazione
di quei simboli divenne il modo per entrare
in sintonia con il linguaggio della
Creazione.
Ecco che quei poliedri magistralmente
dipinti da Leonardo da Vinci per il “De Divina Proportione” di Luca Pacioli,
cominciarono ad acquistare un significato profondo tutto da interiorizzare.
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Tra gli artisti rinascimentali fu Giovanni da Verona,
monaco benedettino, a saper riprodurre quei
disegni rappresentandoli in un’opera artigiana di
grande sensibilità pittorica e di straordinarie
capacità tecniche: le tarsie del coro ligneo di Santa
Maria in Organo a Verona.
Fra Giovanni da Verona, maestro dell’intarsio e
della prospettiva, seppe tradurre su legno un
linguaggio ermetico che si avvaleva di figure
geometriche perfette - i poliedri regolari - accostati
a paesaggi, libri, strumenti musicali, oggetti
religiosi, architetture, persone e piccoli animali con
un effetto “tromp d’oeil” davvero sorprendente.
Te t r a e d r i , o t t a e d r i ,
icosaedri, dodecaedri ed altre figure furono semi-
racchiuse, insieme a libri e ad oggetti sacri, da
piccole ante che si aprivano su quel mondo
geometrico-letterario indicatore di una sapienza
antica da serbare e gelosamente custodire. Niente fu
stato lasciato al caso: prospettiva, geometria,
proporzione aurea e strumenti scientifici furono
immortalati all’interno di quel coro ligneo con
un’abilità tecnica da lasciar impressionato perfino il
Vasari che ne descrisse tutti i particolari.
Guardando ancor oggi quelle piccole ante che si
aprono come per
incanto su scorci
pittorici fatti di
chiaro-scuri, di linee, cerchi, squadre,
compassi, clessidre, sfere armillari e
strumenti musicali introducendoci in mondo
culturale che unifica tutte le scienze, si
rimane ancora incantati come questo
maestro della seconda metà del
Quattrocento sia riuscito a legare tutte le
discipline in un insieme armonico, che trova
strette relazioni con la sacralità del
l i n g u a g g i o c r e a t i vo u n i ve r s a l e : u n
laboratorio di meraviglie che solo una mente ben allenata a saper cogliere il
messaggio dell’armonia e della bellezza sa decifrare.

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“Le cose create compiono un cerchio partendo da Dio e terminando in Dio
stesso: tutte infatti, rimangono in Lui e a Lui si rivolgono” scrive Francesco
Zorzi nel sua opera “De harmonia mundi”. Il frate francescano Zorzi aveva
capito che quel “movimento circolare” contiene ogni possibile dinamicità
così come la figura geometrica del cerchio implica ogni altra figura.
L’uomo e la donna sono anch’essi immersi in questo sistema di ritmi e di
armonie, ne sono parte integrante e la Geometria, intesa nella sua sacralità,
resta dunque il mezzo più idoneo per entrare in sintonia con un mondo
archetipico divino tutto ancora da riscoprire ed interiorizzare.
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! ! Abside della chiesa di “San Salvatore in Chora”
" " " " " Istambul

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