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LEZIONE 7 20\10

TOM JONES
Prima di iniziare con il Robinson partiamo con estratti e commenti sul “Tom Jones” di Fielding.

Insieme a Richardson e Defoe potrebbe essere definito un iniziatore del novel. Essi non costituiscono una
scuola, ma sicuramente ci sono dei tratti che accomunano questi autori.

Leggiamo il “Libro Primo” del Tom Jones di Fielding, opera edita nel 1749, con sottotitolo, “storia di un
trovatello”; costituisce uno degli esempi meglio riusciti di novel settecentesco, in cui l’autore fa professione
di realismo formale di cui ci parlava anche Ian Watt. Ricordiamoci che il concetto di realismo formale è un
fatto ovviamente convenzionale, è una convenzione letteraria. Non fa riferimento ad un genere in
particolare, è una convenzione usata dagli autori per creare “l’effetto del reale”.

Il “Tom Jones” esce in due volumi ed è la storia di questo giovane ragazzo, trovatello, che viene trovato nel
letto di questo aristocratico (Mr Allwhorty), viene poi cresciuto da questo signore, finché in seguito ad una
serie di peripezie, il nostro protagonista scopre di essere figlio della sorella di Allwhorty. L’autore ripercorre
uno schema narrativo che ha a che fare con il passato, cioè quella del trovatello che ripercorre le sue
origini, ed è una cosa che troveremo in Dickens e ripercorre lo schema narrativo del romanzo picaresco, che
ebbe grandissima fortuna in Spagna. Però l’elemento realista che viene perseguito dall’autore è il fatto che,
come ci ricorda Ian Watt, Fielding è uno dei maggiori esponenti di quel racconto immerso nel tempo che
viene dispiegato all’interno del romanzo. Perché Fielding non solo va a prendere dei nomi reali e va a
riprodurre delle situazioni realistiche che possono essere ora n debito con la tradizione, ma va anche a
citare luoghi e città, e soprattutto vi è, in questo romanzo soprattutto, una scansione della temporalità
molto precisa. La pia illusione di Fielding è di far percorrere al suo protagonista delle distanze nel tempo
reale in cui queste si percorrevano ai suoi tempi. Applicare il dato reale in maniera quasi ossessiva, cosa che
vede in Defoe un grande iniziatore. Fielding si intesta il titolo di iniziatore di una nuova provincia delle
lettere perché definisce le sue opere “Heroic Comic Poems in prose”, cioè dei romanzi che vanno in un
certo qual modo a sovvertire in maniera comica le gesta eroica dell’epica. Questa è la sua grande cifra
stilistica: la satira, strumento dell’ironia della satira, una delle forme di narrazione più grandi dell’epoca,
una delle prime. Fielding era un maestro in questo.

Fielding, oltre al Tom Jones, scrive “Joseph Andrews”, la cui prefazione rappresenta un manifesto per la
nuova narrativa del 700 e poi una delle sue opere più celebri è “Scemla”. Quest’opera ha un registro
decisamente comico, è praticamente un’opera che è una vera e propria parodia di quello che era il
romanzo di maggior diffusione in quella parte del 700, ovvero la “Pamela” di Richardson, sostanzialmente
questa ragazza pudica che rappresenta un modello comportamentale per le giovani del tempo, diventa
nelle mani di Fielding, Pamela diventa una spregiudicata predatrice sessuale, gioca sul nome di Pamela e la
chiama “Scemla”, una svergognata. Sia Pamela che Clarissa furono opere vendutissime ai tempi, hanno
fatto scuola perché ripropongono, sotto vesti diverse e secondo immagini diverse dal passato, l’immagine di
queste ragazze che preservano la loro virtù, in Clarissa si muore nell’onta di vedere la propria virtù violata,
c’è molta tragedia, mentre in Fielding si ride molto. Lo storico David Daches, confrontando questi 2 grandi
esponenti del novel del 700, dice come in realtà Fielding avesse una certa irritazione nei confronti della
moralità tanto sbandierata dalle due giovani e da Richardson stesso, addirittura dice che Pamela è
un’ipocrita (lo dice Fielding) perché cerca di difendere la propria virtù dagli assalti di “Mr B.”, quello che
dice lui è come faccia una ragazza mai uscita, che non conosce la vita perché non è mai uscita oltre le mura
domestiche, ad essere così spaventata; Pamela fondamentalmente ha una conoscenza del mondo che non
la rende davvero ciò che è. Ovviamente la virtù di Pamela è la verginità, il suo intento era mantenersi
vergine. Si sposa con il proprio persecutore, matrimonio avvantaggiato. Questa era la fantasia di molte
giovani domestiche nel 700 dell’epoca.
Il Tom Jones ha una particolarità, cioè in ogni capitolo c’è una piccola introduzione, quindi come se ci fosse
un continuo dialogo tra lettore e autore. Fielding è già molto consapevole e padrone degli stilemi e tecniche
di quel patto illusorio tra lettore ideale ed autore.

Nel capitolo I dice che l’autore non è come un signore che offre un pranzo, ma è come un oste. Fielding,
facendo usa della retorica, dell’immagine del menù del ristorante e delle portate ci dice due cose: facendo
riferimento alla natura umana, ci dice che la pietanza che verrà offerta e servita in questo libro (banchetto)
è appunto la natura umana, ciò che succede agli uomini e alla realtà delle persone; Fielding in maniera
consapevole parla della rappresentazione dell’umanità. La seconda cosa è il fatto di ricorrere all’immagine
dell’oste, ossia l’autore deve essere come un oste. Deve dare, così come il ristoratore dà ai commensali
quello che chiedono, così l’autore deve venire incontro ai gusti dei lettori che, per la prima volta, non sono
considerati come una massa, ma degli individui che hanno sensazioni, desideri, passioni e emozioni. Si
ritorna sempre alle emozioni e passioni che sono legate alla questione dell’individuo, ritornando alle origini
del romanzo, questo autore in maniera consapevole da importanza all’individuale, al particolare:
ricordiamoci che nel 700 già a seguito di un grande movimento dal rinascimento, viene cambiata la
semantica del termine “originale”: fino al medioevo il termine “originale” significava qualcosa che è
universale, che è sempre esistito dalle origini, dunque era legato agli universali, originali perché sono esistiti
e sempre esisteranno, immutabili e incontestabili; invece nel 700, a seguito dei viaggi, l’umanesimo ecc., il
termine “originale” perde questa sua accezione e diventa qualcosa legato alla singolarità, originale nel
senso di nuovo. Ovviamente diciamo che la particolarità entra nel romanzo, ma non è che sia stata una
realtà accettata in maniera incontestabile, ma c’è stato però di base un grosso dibattito che parte dalla
filosofia: il conte di Shaftesbury, in una sua opera del 1709 esprime una scarsa stima per questa nuova
tendenza che nella letteratura si esprimeva già alla fine del 600 e che andava incontro ad un gusto del
particolare. Questo ce lo diceva in un certo senso Cartesio, cioè che la mente umana era una stanza che
doveva essere arredata. Gli empiristi inglesi, Cartesio in primo luogo, si concentrano sull’idea che attraverso
i sensi si potesse percepire una realtà esteriore che variava di volta in volta a seconda di ogni individuo. Il
fatto che i “sensi” fossero strumento attraverso il quale interfacciarsi con realtà non era invenzione
dell’empirismo inglese, già in passato se ne parlava. Diciamo che nel 700 fa di questo elementare principio
filosofico (che vede nella visione della realtà la visione dell’individuo) ne fa il motivo dominante della
propria narrativa.

Il romanzo del 700 si è molto basato sulle conclusioni di Hobbes e Hocks. Fu soprattutto un filosofo e un
critico molto celebre ad essere uno dei maggiori esaltatori dell’individualità e del particolare del romanzo,
cioè Lord Kames, scrive una famosa opera di critica letteraria del 1762, “Elements of Criticism”; dice che ciò
che fa divertire è il particolare perché da esso si crea un’immagine nelle opere d’arte. Contrariamente a
quello che si potesse pensare all’epoca, disse che il fascino di Shakespeare risiedesse nel fatto che in lui
ogni cosa nelle sue descrizioni è particolare come avviene in natura. Ovviamente sappiamo che in
Shakespeare non tutto è particolare come in natura, perché lui riprende degli schemi narrativi, trame del
passato, sebbene sia stato uno dei primi a mettere in discussione l’unita aristotelica di tempo, luogo ed
azione. È il primo a mischiare commedie e tragedie, ha un approccio moderno e realista però possiamo dire
che ogni cosa non sia particolare. La particolarità delle descrizioni possiamo essere d’accordo che è tipica
della maniera narrativa dei romanzi come Robinson Crusoe e Pamela.

Ovviamente il concetto di particolarità realistica in letteratura è troppo generico per essere dimostrato in
maniera incontrovertibile, anche perché stiamo parlando di arte e non di scienza. Però come abbiamo già
detto, due sono gli elementi principali che concorrono al concetto di particolarità realistica e di realismo
(che distinguono il novel da altri generi) e sono:

1. Individualizzazione dei personaggi.


2. Una dettagliata presentazione dell’ambiente e soprattutto la profondità temporale.
L’elemento che noi vediamo per la prima volta ben esplorato nel Robinson è quello della profondità
temporale. Nel novel c’è una gestione del tempo dell’attesa che è dilatatorio, che serve a portare l’attore o
l’attrice verso la fine dell’opera in maniera attinta, e lo fanno mettendo nell’opera degli accidenti e parti di
testo che non possiamo fare a meno di leggere. Se nell’epica arriviamo quasi subito a capire cosa succede,
la suspense non c’è, i romanzieri dovevano trovare delle tecniche dilatatorie affinché il lettore non
abbandonasse il romanzo. Per ottenere questo si inseriscono degli impedimenti sul percorso di lettura
rappresentati (nel romanzo realista) dalle descrizioni, sono elementi che apparentemente non sono
funzionali al racconto, all’intreccio, ma che servono per impedire che il lettore vada avanti troppo veloce e
che consumi subito il romanzo; i dialoghi anche. Ma abbiamo poi soprattutto il fare l’accenno ad una
situazione, abbandonarla per un certo tempo e poi riprenderla: come diceva Mallarmé, se in un romanzo
viene menzionata una pistola, questa prima o poi sparerà. Noi lettori non possiamo sapere se in mezzo a
queste parti che non sono strettamente rilevanti ai fini della storia ci possano essere sviluppo: come
abbiamo detto, un romanzo realista per funzionare deve avere la concatenazione organica di tutte le sue
parti. Se noi togliamo un pezzo la piramide crolla, quindi noi lettori sappiamo di dover leggere tutte le parti
perché non sappiamo dove si sviluppa la trama. Questo è il senso dell’attesa del romanzo, un unico corpo
organico.

Per quanto riguarda la temporalità del passato, dobbiamo dire che qui il tempo quindi ha una funzione
diversa: in passato avevamo queste famose personificazioni della morte, del tempo che servivano a
proiettare il pubblico verso l’eternità, tempo come qualcosa che tendeva ad una fine. E soprattutto nel
passato vi era da Aristotele il concetto di unità di tempo e di azione con un’unica azione nel giro di 24h, già
messo in discussione da Shakespeare, o anche da commediografi francesi. Viene poi scompaginato dal
romanzo perché il novel sarà il primo genere ad avere ed a rappresentare in maniera esatta il senso della
profondità storica: il 700, a seguito della rivoluzione dello spazio e del tempo, aveva capito che le epoche
erano diverse, avevano contribuito al fatto che i romanzieri erano presi dalla loro realtà storica, sono
immersi nel loro tempo; percepivano la differenza temporale rispetto ad epoche precedenti. Già in
Shakespeare, il senso del passato e della storia è molto diverso dalla sensibilità temporale di un narratore
del 700. “Troia e Roma”, Plantageneti e Tudor, dice Ian watt “non sono abbastanza lontani nel tempo per i
contemporanei di Shakespeare, da essere differenti dal presente o tra di loro”. Shakespeare era già morto
da 30 anni quando la parola “anacronismo” è comparsa nella lingua inglese, quindi questo senso della
profondità temporale è tipica del romanzo perché rispetto alle forme del passato, la sequenza degli eventi
non si dispiega più in un continum spazio-temporale, ma si dispiegava in un vuoto spazio-temporale e non
si pensava che lo spazio e il tempo potesse influenzare le relazioni umane. Il poeta Coleridge, uno dei più
grandi poeti romantici, osserva “La meravigliosa indipendente e l’assenza veramente immaginativa di ogni
particolare di tempo e di spazio della Faerie Queene”. Invece nel 700, a partire da Defoe, sorge uno studio
più obiettivo delle differenze tra passato e presente. Nello stesso momento Newton e Lock presentavano
una nuova analisi del processo temporale come ci dice il grande filosofo Ernst Cassirer, “che appare come
un più lento e più meccanico senso di durata isolato in modo abbastanza preciso dal cogliere la caduta di
una mela o la successione dei pensieri della mente”. Grazie a questa cosa qui possiamo avere la temporalità
del novel e il novel come genere, infatti non esiste genere romanzesco senza uso del tempo, anche perché
laddove non abbiamo più una concezione del tempo realistica ma gli autori hanno la pretesa di riprodurre il
tempo della mente umana, psiche umana, comunque anche nel più modernista e anarchico dei romanzi
abbiamo un vincolo temporale più o meno preciso, l’ancorarsi ad una realtà storica ma non storica nel
senso di racconto storico, ma nel senso di momento reale ed immanente.

Questi nuovi interessi sono riflessi nel Robinson di Defoe. La sua narrativa è una delle prime a presentarci
una pittura della vita individuale vista dall’ampia prospettiva del senso storico, che mostra il processo sullo
sfondo dei pensieri e delle realtà più effimeri. Ci dice Ian Watt che Defoe però si contraddice, come nel
“Mall Flanders” ha diverse contraddizioni temporali, tutto era dovuto al modo di lavorare di Defoe che
ancora non costruiva le trame in maniera perfetta, e soprattutto in Robinson, dove dice di essere stato 28
anni sull’isola ma l’autore stesso si contraddice. È come se Defoe scrivesse delle parti e se ne dimenticasse.
Ma allo stesso tempo Watt dice che già che si percepisca questa cosa, ci fa capire come il personaggio sia
strettamente radicato in una sua dimensione storica, questa è la novità.

Il linguaggio anche è una novità, che solo in Inghilterra si inizia ad utilizzare per il novel un linguaggio detto
“Plane Style”, che più che mirare alla bellezza estetica, mira alla riproduzione della realtà. È fondamentale
per il passaggio dal romance al novel, perché si utilizzava un linguaggio quotidiano, si usa un linguaggio che
mira al decoro letterario: il pegno che il novel paga nei confronti della storia della letteratura è il fatto di
aver abbandonato quello che viene definito “decoro letterario”. Dennis dice che se si sente un personaggio
morire, lamentarsi, parlando per metafore, ciò fa ridere. In Francia o Italia, se leggiamo Foscolo o Verga,
vediamo che il linguaggio è molto indebitato con il romanticismo o con il classicissimo. Stessa cosa avviene
in Francia, eleganza e concezione non furono messe in discussioni fino al romanticismo. Per questo motivo,
opere fondamentali come “La princesse de Clève” si pongono ai margini della storia del romanzo moderno
per la quotidianità delle situazioni, poiché si hanno storie quotidiane di corte, tradimenti, aristocrazia. È un
linguaggio aulico che molto deve ancora alla tradizione, cosa che in Inghilterra non succedeva.

Andando su Defoe, come ci viene detto dalla critica del romanzo, è sicuramente è un manifesto
dell’individualismo. Abbiamo già detto che, a partire dal 600, si manifesta questa tendenza per
l’individualismo, soprattutto derivata, più che da un’evoluzione di tipo secolare e quindi profano, bensì
dalla religione calvinista. Tutti i buoni fedeli calvinisti avevano ormai passato il rapporto con l’autorità
sacerdotale per avere un rapporto diretto con Dio, che si manifestava con un continuo guardarsi dentro,
scrivere dei diari e che in un certo qual modo però faceva parte di una religione delle origini, perché già
Sant’Agostino lo faceva.

Ci sono altri elementi, a parte il protestantesimo, come lo è soprattutto il capitalismo industriale, che
proprio in questi anni vedeva espandersi a partire dall’Inghilterra. Il capitalismo produce un grande
incremento della situazione economica e questo, unito ad una situazione sociale meno rigida e alle forme di
governo al seguito della ”Glorious Revolution”, aumentò notevolmente la possibilità di scelta dell’individuo.
Dal XVI, con il sorgere degli stati nazionali avevano sfidato la cristianità medievale, e per la prima volta lo
stato assoluto inizia a fronteggiare l’individuo assoluto. Nasce una nuova società proto-capitalista che vede
nell’individualismo l’attore principale. Le classi medie, ricordiamo, nei centri urbani diventano la fetta più
grande di lettori, mentre gli aristocratici continuavano nella loro regressione culturale. Per la prima volta, la
lettura inizia a considerare con favore gli affari, i commerci e le industrie, dice Ian Watt. Era un fenomeno
nuovo, poiché prima del 700 la letteratura era dissociata dalla questione dei soldi. Già autori del 600 come
Brighten, iniziano a vedere l’emergere delle nuove classi e si ritenevano perplessi nei confronti di questo
fenomeno nascente, di questa economia che entrava nel discorso artistico. Il 700, però, aveva presentato
uno spartiacque, poiché il denaro, il capitalista, entra di prepotenza nel discorso letterario attraverso sia i
personaggi di Edison e Still, attraverso i giornali, e anche attraverso i personaggi di Defoe il quale è stato il
campione a rappresentare personaggi ce affermano la propria individualità e che persegue nel proprio
guadagno. Per esempio, Hobbes inizia a trattare un individuo dal punto di vista filosofico che era
fortemente egocentrico, ma da un punto di vista politico sarà solo John Lock, nel 1690, nei suoi “Two
Treates of Gouvernment” che costruì tutta un’idea di un sistema politico basato sull’intoccabilità dei diritti
individuali, opposti a quelli della chiesa, della famiglia o del re. Una grande modernità della società inglese:
pensatori all’avanguardia in un campo dell’individualismo. È quindi una società inglese che per la prima
volta nella storia va a salvaguardare non tanto più le istanze della comunità intesa come gruppo e che
vedeva tutti come parte dello stesso corpo, ma le istanze dell’individuo e delle sue prerogative. Non è un
caso che gli inglesi siano così fissati con il senso della privacy [‘privasi], ossia della dimensione privata, delle
prerogative del singolo individuo che pensa con la propria testa.

I personaggi di Defoe sono l’esempio rampante di questa retorica dell’individuo, ma soprattutto esempio
dell’individuo del tardo 600 e inizio del 700 che persegue il proprio interesse economico. Sempre a parlare
di soldi e tornaconto. Quando noi abbiamo letto le prime importanti pagine del Robinson, abbiamo visto la
dinamica padre-figlio. C’era un elemento molto importante da un punto di vista religioso perché Robinson
abbandona la casa paterna e commette quindi una sorta di peccato, però se noi leggiamo bene questo
passo ci accorgiamo di una cosa fondamentale: Qual’é il discorso fondamentale che avviene tra questo
padre e figlio? In quali termini si pone questo discorso? Quello che dice il padre di Robinson è che lui
sarebbe andato per mare, e solitamente lo fa chi ha grandi fortune e poi che lui può introdurlo bene in
società. Non è un discorso basato sugli affetti, bensì sui soldi. Robinson va per mare, non perché vuole
esplorare, bensì per soldi ed essere più ricco del padre. Perciò si dice che Robinson è un “homo
economicus”, lascia la propria famiglia per migliorare la condizione economica, che è la missione del
“proto-capitalista”, cioè che va alla ricerca del benessere.

Come ci viene detto nel saggio “I due Robinson” di Sertoli, dice che l’interiorità di Robinson è
fondamentalmente un’interiorità inesistente, tutti pensieri che non vengono interiorizzati ma esternalizzati,
e tutto quello che conta è il guadagno, ma soprattutto Robinson non impara nulla dalla sua missione: un
personaggio che passa 28 anni su un’isola deserta e che vive un’esperienza unica e traumatica, dovrebbe
tornare a casa completamente cambiato e con un nuovo sistema valoriale, ma questo non avviene.
Robinson non torna cambiato dall’isola, il suo sistema valoriale è completamente intatto, e vuole
continuare il suo viaggio per aumentare le sue ricchezze. Non gli porta di aver affrontato quell’esperienza
orribile. Questo si traduce anche con il rapporto con la natura e con le persone, perché Robinson come tutti
i personaggi di Defoe, è un personaggio senza famiglia, cioè ha una famiglia d’origine, però ad un certo
punto questa famiglia sparisce perché lui va per mare. Innanzitutto non ha nessun tipo di nostalgia, si
chiede forse una volta, quando torna in patria, se i suoi sono morti. Non si pone il problema della sessualità
e dell’affettività, cioè tutti i personaggi di Defoe, sono personaggi che non danno nessun peso alla sfera
sessuale e affettiva. Quello che si nota in Robinson, è che non sente mai l’esigenza di una compagna, a
differenza di Tom Jones che si legò molto a Sophia. L’unica compagnia che è contento di avere, il famoso
servo “Friday”, perché ovviamente lui lo può aiutare, rappresenta forza-lavoro, lui lo educa e poi se lo
vende. Non c’è un attimo di rimorso. C’è un altro episodio: le persone che incontra sulla nave di ritorno
devono scegliere una moglie, e uno di loro sceglie la moglie più brutta ma più forte. Tutti lo deridono, ma
Robinson dice che non bisogna deriderlo perché può aiutarlo per ottenere più soldi. Robinson, dopo questa
prima tempesta, si sente male e se la prende con sé stesso e la provvidenza, il mattino dopo però rientra
sano e salvo e gli passa tutto, quindi c’è un pentimento fittizio, perché fino a quando gli succede qualcosa di
buono allora se la prende con sé stesso, con Dio, ma per tutto il romanzo poi ci sarà una religiosità di
convenienza. Viene riaccolto su questa nave, risale sulla nave e fa un naufragio, ma questa volta davvero,
arrivando in Guinea e viene fatto prigioniero, se ne scappa e viene aiutato nella fuga da questo giovane
“moresco” di nome Sury che lo aiuta per tutto e quindi grato per l’aiuto lo vende, prima di incontrare
Friday. Nel 3 capitolo, a seguito di un altro naufragio, arriva in Brasile, terra coloniale per eccellenza e qui il
razzismo di Defoe è inesistente, poiché valuta attraverso il personaggio di Robinson le etnie solo in base alla
loro capacità di produrre. In Brasile stabilisce una piantagione.

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