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HOFFMANN

Der Sandmann. (1815)

Il testo si presenta in forma epistolare, come nel romanzo romantico (cfr. William Lovell,
Tieck; Lucinde, Schlegel), tratto inconsueto però per un racconto breve; tuttavia, non
impossibile a darsi (fantastico+tecnica epistolare sono presenti anche in Frankenstein e
Dracula).
Il racconto inizia con tre lettere scritte da personaggi diversi. La prima lettera di Natanaele è il
frutto d' un equivoco. Destinata a Lotario, viene intercettata da Clara, fidanzata di Natanaele. Ma,
l'errore, nella sua forma più pura, non esiste), nella realtà e tanto meno nella forma narrativa. Ci
dev'essere quindi una precisa intenzione da parte di Hoffmann.

L'inizio del racconto è caratterizzato da un duplice registro:


• Serenità e armonia interiore, data dal rapporto con la sua famiglia di origine, Clara
inclusa
• Faccia più cupa e ambigua, legata all'incubo, al sogno. Atmosfera “onirica”; si
parla di “ombre nere”, “nuvole impenetrabili”, “risata folle” (una delle chiavi del
racconto)
Doppia è anche la percezione della realtà: nonostante la presenza, il contrappunto armonico di
Clara, resta in Nataniele il disagio rispetto al mondo circostante, che si palesa, appunto, nel
momento della risata folle. Anima “sdoppiata”:
• Apparenza: armonia
• Interiorità: ombre
Clara è dunque una figura catalizzatrice del disagio di Nataniele; si è parlato anche di “idillio
borghese”. Qual è, dunque, il fattore scatenante del disagio di Nataniele? Qual è l'elemento che
lo ha turbato? Il racconto ci dà una risposta fantastica.

In tutto il racconto domina la percezione visiva: si parla dei “limpidi occhi” di Clara. Occhi
che avranno centralità nell'intero racconto.
Importante è la figura del “Geisteseher”, il “visionario”, cioè colui che vede ciò che non c'è: si
tratta di fantasmi psichici o reali? È un nodo che non si può sciogliere; non si può dare una
risposta univoca.
L’origine del disagio o dell’orrore è sempre banale, manca cioè una corrispondenza tra il fatto
reale e i suoi strascichi psicologici. Il Sandmann agisce in modo concreto e inquietante,
frapponendo fantasmi tra Nataniele e la sua famiglia. Agli occhi del bambino Nataniele, può
essere il padre a incarnarsi nel Sandmann? Esperimento visivo; così può essere chiamato quel
momento in cui N. sta dietro una tenda a guardare ciò che accade nella stanza e conduce il
lettore come dietro la quinta di una scena. È presente anche l’avvocato Coppelius, un doppio del
padre agli occhi del bambino, ragion per cui la realtà presto smette di essere quella che sembra:
la camera da letto prende l’aspetto di una caverna con un camino che rappresentano l’abisso e il
fuoco dell’inferno.
Il termine che descrive questa situazione è unheimlich, perturbante: ciò che è familiare diventa
non familiare, il padre amato e consolatore diventa un padre crudele che punisce. Si tratta di uno
sdoppiamento vero e proprio (per Freud, vedi interpretazione) di una sola persona: Il padre
e Coppelius incarnerebbero, rispettivamente, la parte positiva e negativa del padre (padre
buono e padre cattivo).
Di nuovo centralità degli occhi: l’orco sabbiolino cava gli occhi ai bambini → perdita della vista
che simboleggia la perdita della 'vista' del reale? O si tratta piuttosto del complesso di
castrazione? Il padre a questo punto torna a vestire i panni del padre buono e premuroso e
intercede per N. contro Coppelius. L’avvocato allora risparmia gli occhi del bambino ma si
scaglia contro mani e piedi, svitandoli: è il corpo umano inteso come “meccanismo perfetto”,
come macchina (ciò si lega al tema illuminista della capacità di forgiare il proprio destino). Cade
a questo punto l’ultima barriera del realismo: N. è ormai una macchina, un pupazzo (l’essere
umano è ambiguo). L'analogia corpo umano – macchina, tanto cara al meccanicismo di '600,
'700, tornerà centrale con il personaggio di Olimpia.

La narrazione riprende, a questo punto, con il risveglio di N. tra le braccia della madre. Abbiamo
di nuovo una situazione di idillio familiare. Ma N. rimarrà febbricitante per ca. due settimane.
La dimensione della febbre si colloca oltre la soglia umana, a superamento di una soglia
esperienziale ai limiti della normalità; è un elemento importante nei racconti di Hoffmann. Si
tratta di una febbre non solo del corpo, ma anche della mente.
(RIF. → Heine, Die romantische Schule: muove, con vena graffiante, una dura critica a
Hoffmann e Novalis. Ritiene siano “autori della malattia”, precursori di qualche traccia dello
stile nietzschiano. Sono autori malati, la malattia viene esaltata; ma, se quella di Novali, per
eccellenza, è la
tubercolosi, e la sua Musa è una ragazza diafana; la musa di Hoffmann è apparentemente sana,
ma in realtà è anch’essa febbricitante, caratterizzata dal rossore delle guance.)

Nathanael si risveglia tra le braccia amorevoli della madre; l' avvocato Coppelius ricompare un
anno dopo sancendo la fine definitiva dell'idillio familiare, con la morte del padre di Nathanael
per un esperimento chimico finito male; sovrapposizione del padre, che viene deformato nella
morte, con Coppelius; tema del Doppelgänger; incontro col doppio, che indica incontro con sé
stesso,
ma anche con la fine di sé; sdoppiamento dei punti di vista.

Coppola è Coppelius? Hoffmann non dà una risposta diretta, anche se è ovvio che è così; sono
simili fisicamente ed entrambi introducono un principio di destabilizzazione nella vita del
protagonista; la lettera indirizzata a Lothar viene spedita all'indirizzo di Clara, smarrimento
iniziale; questo errore però lo apprendiamo dalla seconda lettera, quella di Clara, che si presenta
subito come un personaggio improntato,appunto, alla Klarheit, alla limpidezza e cerca di dare
una spiegazione da psicologa all'accaduto, poco convincente; i fatti spaventosi narrati da
Nathanael non sono, secondo Clara, attaccati alla realtà, ma pura suggestione. E' come se Clara
cercasse di porre una pietra tombale su tutto ciò che non è scienza ufficiale e che lei considera
panzane pseudo- scientifiche; Clara è consapevole della presenza di eine dunkle psychische
Macht (potere psichico oscuro) e cerca di evitare che Nathanael sia da essa sopraffatto, lui che ha
una sensibilità particolare per ciò che è nascosto.

La terza lettera raggiunge Lothar, suo destinatario; Nathanael sembra guarito dalla sua ossessione
e riconosce che Coppola dopotutto non è Coppelius; racconta di frequentare le lezioni di un tal
fisico, Spallanzani, personaggio eccentrico, incarna la tipica figura dello scienziato pazzo;
Lazzaro Spallanzani, è il “padre scientifico” della fecondazione artificiale e delle contraccezione;
ci sta però che ad Hoffmann, che molto probabilmente lo conosceva di fama, sia piaciuto
soprattutto il nome di questo scienziato, un nome italiano che richiama i nomi di Coppola e, tutto
sommato, anche di Coppelius.
Se Coppola è una sorta di padre autoritario, Spallanzani è invece il padre rassicurante.

Nathanael scopre poi l’esistenza di questa bellissima figlia di Spallanzani, Olimpia; Nathanael si
rende conto della strana fissità che si accampa intorno all'organo della vista, è come se Olimpia
non vedesse, o meglio non guardasse realmente; e Nathanael è spaventato, tanto che intuisce in
lei un pericolo. Nathanael esprime disagio per il fatto che la sua precedente lettera era stata
aperta da Clara e che lei si sia espressa in modo così giudizioso.

Dalla forma epistolare si passa poi alla voce di un narratore esterno; ci troviamo davanti ad un
secondo inizio; è un momento metaletterario in cui Hoffmann ci svela quasi “i ferri del mestiere”,
dicendo che avrebbe potuto cominciare in modo diverso da quello epistolare, ad esempio “C'era
una
volta...”, ma si sarebbe trattato di un inizio freddo e banale. Il secondo inizio possibile analizzato
era quello “in medias res” del tipo: < “andate all'inferno” gridò lo studente N. con un selvaggio
sguardo di rabbia e orrore, quando il venditore di cannocchiali Giuseppe Coppola...>, ma vi era
un chè di comico, che certo la storia di N. non ha. Così Hoffmann fa confessare al narratore di
aver deciso di non iniziare affatto, ma di aver consegnato all'attenzione di noi lettori le lettere che
a lui Lotario aveva donato.
“Forse, o mio lettore, crederai che nulla di più strano e pazzo vi sia della vita vera e che il poeta
possa ritrarla solo come nell' oscuro riflesso di uno specchio opaco”
→ lieve civetteria di Hoffmann.

Clara è “gefühllos, prosaisch”, insensibile, fredda, tendente al razionale e quindi “prosaica”,


cioè priva di poesia; Clara dice che il potere di Coppelius su Nathanael è tale soltanto in
quanto Nathanael glielo consente nella sua mente; allontanamento tra Clara e Nathanael dopo
che lui le presenta il suo poema e lei gli chiede di distruggerlo. N. risponde “Du lebloser,
verdammter Automat”, la considera un essere inanimato; sovrapposizione tra la figura di
Clara e quella di Olimpia, ma N. non si rende conto della natura di “Automat” di Olimpia.

Nathanael ritorna a G., sua città universitaria, celebre sede di studi di fisica al tempo, dove trova
però la sua casa distrutta; va a vivere in una casa davanti a quella di Spallanzani e riesce, grazie
alla posizione frontale delle finestre, a seguire Olimpia nelle sue attività.
Nuovo incontro con Coppola, che Nathanael si sforza di accogliere all'interno della propria
stanza; egli pronuncia parole apparentemente deliranti che preoccupano e turbano Nathanael;
Coppola pare offrirgli degli occhi, poi si scopre che si tratta di strumenti ottici, occhiali; davanti
allo sfarfallamento delle lenti, N. ha quasi un attacco epilettico e caccia via Coppola. Ma,
accortosi di aver esagerato compra un cannocchiale, strumento attraverso il quale si instaurerà
tra N. e Olimpia una relazione “biunivoca”.

Ad un certo punto, le tende chiuse della stanza di Olimpia impediscono a Nathanael di


osservarla. Nel contempo, Nathanael viene a sapere che sono in corso dei preparativi per la
festa da ballo che Spallanzani sta organizzando, in cui Olimpia verrà formalmente presentata in
società. N. partecipa con trepidazione e osserva la ragazza col cannocchiale da lontano, in
ultima fila, suonare il piano; gli pare che Olimpia lo guardi con occhi accesi di passione; quasi
magicamente, il cannocchiale trasforma la freddezza di Olimpia in passione.
Il cannocchiale è uno strumento tecnico che assume però le funzioni di un filtro, di una
pozione.
Iniziano i balli e N. invita Olimpia ma, il primo contatto fisico con lei, gli provoca un
sentimento di allarmismo. La mano di Olimpia è eiskalt, “fredda come il ghiaccio”. Anche gli
occhi di Olimpia, in realtà privi di vita, sembrano a Natanaele risplendere pieni di amore e di
desiderio per lui.
Mentre gli altri invitati trascurano Olimpia, N. è come assorbito dal suo sogno di passione
d'amore. Lo stato della mente e dell'anima di N. è alterato. Eco di una tradizione fiabesca
consolidata, per cui l'incontro dei due innamorati è sottoposto al vincolo del tempo (Vedi
Cenerentola).
Sperequazione, sproporzione tra la passione di N. e la freddezza di O.; lui la bacia, ma mentre le
sue labbra sono ardenti, quelle di lei sono gelide.

Spallanzani, che durante la festa era passato più volte di fronte ai due, approva compiaciuto la
loro unione, ma i suoi passi “risuonarono vuoti e la sua figura, sfiorata da ombre tremolanti,
assunse un aspetto orribile e spettrale” (Elementi del racconto notturno); Spallanzani viene
attratto nel modello del padre cattivo, come Coppelius e Coppola; si trasforma in un mostro.

Spallanzani svaluta Olimpia, ma N. gioisce dell'ufficialità del suo interesse per lei. Olimpia è una
sorta di figura archetipica, è il prototipo della donna perfetta che non parla e non dice mai di no,
che non contraddice mai il marito; unica reazione di Olimpia è sempre “ach” (ah, ah) o al
massimo “Gute Nacht, mein Lieber!”. Ma è un ideale irraggiungibile
N. si crea una sorta di utopia nella mente, per cui le parole, se c'è l'amore, non hanno
importanza; è un clichè diffuso. N. chiede in moglie Olimpia al padre Spallanzani, che si mostra
compiaciuto, dimenticandosi totalmente di Clara e della sua vera famiglia.

Ma, nel portare all'amata, come pegno di fidanzamento, l'anello che la madre gli aveva donato
un tempo, N. sente Spallanzani e Coppelius litigare e l'oggetto della strana conversazione è
proprio la fabbricazione di occhi e di ingranaggi. Ecco che l'incubo infantile di Nathanael viene
a realizzarsi: Coppelius e Coppola, sono la stessa persona; Olimpia è oggetto di contesa fra
Spallanzani e Coppola che vogliono possederla, tirandola ognuno dalla sua parte. Coppola la
rapisce, N. vede che si tratta proprio di Olimpia, che subisce la sorte di lui bambino e che si
scopre essere un automa, una bambola inanimata, privata degli occhi. Spallanzani grida al
ragazzo di inseguire Coppelius (Coppola) poiché solo così riavrà gli occhi (suoi o di Olimpia?),
ma N. si accorge che a terra giacciono “occhi sanguinanti”, come di creatura viva; al che
Spallanzani li afferrò con la mano e “glieli gettò dietro, colpendolo al petto”. Gli occhi
funzionano come da detonatore, che fa scattare la follia di Nathanael; follia che si trasforma in
parole prive di senso “manifesto”: “Cerchio di fuoco! Girati, cerchio di fuoco – Spassoso –
spassoso! - Marionetta, oh bella marionetta girati”.
Ricorre la circolarità, il cerchio di fuoco che rappresentano il fatto che la mente di N. afferra
la realtà come un qualcosa che gira, come una giostra.
Intermezzo del narratore. Si ripete la situazione di lui bambino. Coppola scompare, N. viene
trascinato in manicomio, Spallanzani è costretto a lasciare l'università. Abbiamo una chiusa del
racconto realistica rispetto al racconto che è fantastico; il narratore ci informa del seguito della
vicenda. Il professore di poesia e retorica parla di un'allegoria, di una metafora prolungata. Ma,
il
letterato si presenta come una figura ridicola che si esprime in latino e vuole interpretare la
realtà attraverso la letteratura. Ma la vita è irriducibile a essa, è molto più ampia e profonda di
quanto la letteratura possa contenere.
Tutti iniziano a sospettare di essersi innamorati di una “bambola di legno”; chiedono alle loro
fidanzate di ballare, o di intonare una canzone.

L’andamento del racconto è imperniato sullo spostamento dall’idillio alla tragicità dell’atto
conclusivo. Clara è come una figura materna, si sostituisce alla madre che pure è anch’essa
presente. Siamo a metà tra l'idillio borghese e l'idillio rurale (alla ricerca di una “isola di senso”).
Clara diviene il detonatore dello sbocco di follia di Nataniele con la sua proposta di guardare
“oltre”, verso i monti. Questa scena di Clara che nota un cespuglio è simile alla scena della
profezia di Macbeth. Si assiste a una rinnovata sovrapposizione/fusione tra Clara e Olimpia.
Ricompare Coppelius: è il segnale che rende manifesta l’“anormalità” e l’inadeguatezza di
Nathanael, ma anche una denuncia e condanna della “fantasticheria” romantica.

Categoria dell’Unheimlich (perturbante): è ciò che passa dal familiare (per lungo tempo) al
non familiare e allo straniante.

PERSONAGGI
Nathaniel è una persona mite di principio, ma che può essere soggetto a scopi di ira. Viene rivelata
e tradita la natura inquieta di questo ragazzo che può anche fare gesti inconsulti. Si dimostra un
carattere suggestionabile, si dimostra un soggetto pronto da farsi impressionare dalle circostanze
che lo circondano, dai fenomeni che pensa di vedere o che è convinto di vedere e da tutta una serie
di dinamiche che lo riguardano.
Dal punto di vista della dinamica familiare possiamo dire che:
- la madre ha una funzione protettiva nei confronti di Nathaniel, però risulterà esclusa dal mondo
maschile e quindi succube di ciò che non può vedere perché non vi può partecipare. Questi incontri
notturni tra il padre e Coppelius le sono interdetti e per questo tutte le volte che arriva Coppelius,
sente come un clima minaccioso farsi avanti, ed è triste. (Aspetto educativo. La madre sfata questo
mito dell’uomo della sabbia dicendo che non esiste, che è un modo di dire. La parte malefica di
questa situazione famigliare è data dalla presenza della tata, che invece non fa nessun velo alla
possibilità che questi due bambini subiscano una cattiva sorte: << è un uomo cattivo che viene dai
bimbi che non vogliono andare a letto e gli butta manciate di sabbia negli occhi fino a farglieli
schizzare via tutti pieni di sangue; poi li getta nel sacco e li porta sulla mezzaluna in pasto ai suoi
figli, che se ne stanno dentro il nido e hanno becchi ricurvi come quelli delle civette per poter
beccare gli occhi dei bimbi cattivi.>>
Tutto questo andò avanti per anni.  la tecnica di Hoffmann è quella di disilludere il lettore. Il
lettore spera che questo incubo finisca. Invece questo incubo persiste e accompagna la vita di
Nathaniel anche dopo la pubertà fino all’età della giovinezza.)
- Il padre è un individuo succube di questa influenza negativa di Coppelius ed è considerato la
parte più femminile del rapporto dinamico tra i due adulti maschi. È come se si riproducesse una
dinamica famigliare parallela tra un padre che assume tratti di debolezza quasi femminili, l’uomo
forte che è Coppelius e il figlio che è estromesso da questa realtà. È un padre presente, ma distante
allo stesso tempo. Si circondava di una coltre di nebbia perché fumava la sua pipa. Il padre è quello
che racconta le storie meravigliose da un lato, e si accalora nel raccontarle; ma allo stesso tempo
quasi negando simbolicamente la sua disponibilità a raccontare storie, si avvolge di una coltre di
nebbia (simbolo del mistero e delle inaccessibilità del mondo infantile rispetto a quello adulto). - Le
coordinate, quindi, del mondo adulto si completano però solo se citiamo la presenza di una tata
della sorella di Nathaniel. Usa termini spaventevoli per convincere i bambini a comportarsi bene.
Mentre la madre è molto dolce (come Clara), la tata ha la funzione terrificante di perturbare il
bambino minacciandoli addirittura, attraverso Sandmann, di perdere la vista se non si comportavano
bene.
Coppelius: allude al mondo italico, ma molti sono i campi associativi che il nome evoca: A. Coppo:
cavità oculare; B. Coppella: forno in cui avviene la coppellazione (=processo per ottenere l’argento
dai minerali di piombo argentiferi), allusione a tutta la sfera alchemica. Le descrizioni sono il pezzo
forte di Hoffmann. Coppelius è un uomo alto, dalle spalle larghe, con una testa grossa e deforme, la
faccia terrea, le sopracciglia grigie e folte, sotto le quali brillano due pungenti occhi verdognoli da
gatto (associazione con il mondo animale è un modo per allontanare questo soggetto dal mondo
umano), un naso grosso e ben pronunciato sopra il labbro superiore. Individuo che altera i canoni
del volto simmetrico tanto osannato nel classicismo tedesco (volto dell’Apollo del Belvedere,
l’immagine raffaellesca della Madonna Sistina…).  stravolgimento della linea e del contorno che
sono i punti di riferimento lineari di un classicismo che vuole cercare la nobile semplicità e la quieta
bellezza nella forma perfetta del modello antico greco. Tutte queste sono caratteristiche tipiche di
quegli individui che vengono dal mondo del maligno. La bocca si contorce spesso in un riso
maligno (non abbiamo solo una fisiognomica che riguarda la prima parte della descrizione, ma
anche la patognomica, cioè la modulazione della bocca secondo ciò che la sua anima gli detta.
Un’anima che lo induce alla sopraffazione) e allora sulle guance compaiono macchie rossastre e fra
i denti serrati passa uno strano sibilo. Coppelius arrivava vestito sempre con una giacca grigio
cenere di taglio antiquato, (come se venisse da un’altra realtà) (qui l’associazione che è stata fatta è
al personaggio malvagio che compare nella Storia Meravigliosa di Peter Schlemihl Chamisso 
questo personaggio sinistro che cerca di far vendere l’anima al protagonista) panciotto uguale e
calzoni dello stesso genere (uniformità che non permette di vedere e di interpretare la personalità),
le calze invece erano nere e le scarpe con piccole fibbie d’osso. Il parrucchino arrivava appena a
coprirgli il cocuzzolo con le ciocche appiccicate ritte sopra le grandi orecchie rosse; teneva l’ampia
retina così discosta dalla nuca che si arrivava a scorgere la fibbia d’argento che gli chiudeva la
cravatta increspata. Tutta la figura era odiosa e repellente, ma a noi bambini ripugnavano soprattutto
quelle sue manacce ossute e pelose: ogni cosa sfiorassero non ci piaceva più.  l’associazione tra
l’uomo della sabbia, l’uomo nero, Wider Mann (soggetto della tradizione popolare vive nelle
selve), l’orco sono personaggi che si equivalgono di spaventevolezza. Lui se n’era accorto e
provava un gran gusto a toccare con questo o quel pretesto un pezzetto di torta, un frutto candito
che la nostra mammina ci aveva messo di nascosto nel piatto… (timore della contaminazione che è
quella del contatto fisico, ma è anche quella del male che il bambino percepisce diffondersi
dappertutto). […] lui se la rideva in modo davvero diabolico. Era solito chiamarci le bestioline.
Non solo quest’uomo è spaventevole, ma crea una chiara distanza volontaria tra il mondo adulto e
quello infantile assimilando i bambini a delle bestioline per controllarli e sminuirli ancora di più.
Clara Clara ha uno spirito caritatevole; esprime questa disponibilità verso l’altro che dovrebbe
sedare le fantasie troppo eccitate di Nathanael.
Lazzaro Spallanzani
Olimpia automa
TEMI
- AUTOMA
- temi chiave del testo, il TEMA DELLO SPECCHIO, del carattere meramente proiettivo del
femminile, che adesso riguarda Clara, ovvero gli occhi di Clara, e presto riguarderà Olimpia.
Hoffmann (o meglio il suo narratore, avvezzo, da buon artista romantico, a tutte le più
raffinate tecniche di straniamento ironico) dapprima presenta gli occhi di Clara come
schermo proiettivo dotato di un legame, seppur in larga parte ideale e iperbolico, con la sfera
del reale per poi trasformarli/ trasformarla in una musa che attiva e potenzia con il suo
semplice sguardo la creatività dell’artista attivando inespresse potenzialità sinestetiche.
- TEMA DELLO SGUARDO  Tema e la modalità dello sguardo: il motivo per eccellenza
del Sandmann è quello degli occhi. La parola come anche il suo campo semantico relativo
domina in modo evidente il testo. Sostantivi, aggettivi, verbi che creano il perimetro
dell’applicazione e dello svilupparsi del guardare si trovano in quasi ogni pagina del
racconto. Di questo motivo degli occhi, fa parte anche il motivo indicato nel titolo, perché
questo Sandmann era il soggetto in cui in una fiaba raccontata dalle tate, distribuiva sulle
palpebre dei bambini un mucchietto di sabbia per farli addormentare (per sottrarre loro la
possibilità di vedere) secondo il gusto di Hoffmann non è indicato come un bonario
atteggiamento di accompagnamento al sonno, ma proprio come un modo di sottrarre la vista
al bambino. All’occhio viene attribuita una funzione di mediazione tra soggetto e oggetto,
tra interiorità ed esteriorità è una sorta di soglia quella dell’occhio che mette in relazione i
due mondi, quello della quotidianità e del notturno (che si sviluppa durante il sonno).
IGNAZIO DENNER
Trama.
Il guardiacaccia Andrea, sposato alla giovane napoletana (c’è sempre un elemento italiano)
Giorgina, offre ospitalità al misterioso Ignaz Denner senza sospettare che si tratta in realtà di uno
stregone e brigante (Unheimliche Gast). I due vivono in una situazione di penuria in mezzo a una
foresta perché Andrea era alle dipendenze feudali di un gran signor von Vach (aveva sperato nella
sua benevolenza per condurre una vita più degna, ma poi si trova in realtà in grande miseria). E
proprio lì, nel suo punto vulnerabile (la miseria), Andrea apre la porta ad uno sconosciuto perché è
un uomo caritatevole (non si aspetta nulla). Da quel momento, Andrea sembra non potersi più
liberare dalla sinistra influenza di Denner (persona che esercita un’influenza magnetica e
inquietante sia su di lui sia sulla moglie), che dopo aver miracolosamente guarito sua moglie e
avergli donato del denaro lo costringe a prendere parte a una delle sue peggiori malefatte. Andrea si
ritrova così coinvolto in una lunga serie di peripezie in conclusione delle quali riuscirà ad avere
ragione del suo nemico.  esito positivo ≠ Der Sandmann (negativo)
Codificazione degli elementi che costituiscono il fantastico: follia, il doppio, ma soprattutto
l’apparizione dell’alieno, del mostruoso, dell’inconoscibile la scena dell’apparizione
improvvisa e inaspettata di uno straniero nello spazio domestico di una casa è quasi uno stereotipo,
presente nella psicologia e nell’immaginario culturale delle comunità umane prima ancora che nei
testi letterari, artistici o cinematografici, fortemente implicato (e per questo rigido) nei processi di
costruzione dell’identità dei popoli, delle comunità etniche e in quelle nazionali. L’apparizione
dell’alieno non è solamente il fantastico di Hoffmann, ma è anche l’inquietante di chi non è come
noi. L’improvvisa intrusione di un personaggio (vale anche per Ignaz Denner) che ha le
caratteristiche culturali dello straniero, dentro lo spazio riservato e protetto che appartiene a una
famiglia e a una comunità ristretta, prende d’improvviso aspetti inquietanti, suscita reazioni di
profondo turbamento psicologico e non più solo di semplice esclusone dell’elemento estraneo.
Protagonisti:
- Andres: personaggio ondivago nel comportamento perché la sua caratteristica principale è quello
di avere un senso del dovere incrollabile e uno spirito servile lui si mette a servizio del padrone e
lo fa incondizionatamente. Fatto che però produce nel personaggio e nella sua figura una certa
rigidità. Il soggetto viene definito come molto devoto alla Chiesa, è molto credente.
- Giorgina: per la sua provenienza napoletana, è molto credente come Andres. All’epoca, e in Italia
in particolare nel Sud, era ben noto il culto dei santi sia per quello che raccontavano i viaggiatori nel
XVIII/IXX secolo, sia perché la cultura cattolica era in netto contrasto con quella protestante
(largamente diffusa in Germania). Quindi il culto dei santi costitutiva per lo scrittore o il lettore
tedesco una curiosità particolare che noi minimizziamo come una nostra informazione abituale. Su
questa devozione è molto insistito il racconto. E la devozione dovrebbe essere il baluardo o il
contrafforte a difesa di attacchi del male (rappresentati dalla figura del forestiero).
- All’inizio di questo forestiero non abbiamo dati connotativi, non sappiamo molto se non che è un
mercante (si spaccia) e si propone all’inizio della storia come un benefattore.
CONCETTI CHIAVE
 IL NUMERO 3: numero magico che si rileva spesso in questo racconto. Il numero 3 per la
simbologia è il simbolo del ternario, la combinazione di 3 elementi. Il ternario è uno dei
simboli maggiori dell’esoterismo. Sul ternario si costruisce anche tutto il discorso
massonico: il triangolo con l’occhio al centro, che indica l’occhio che controlla e
supervisiona, o la squadra che è il simbolo della muratoria (muratori sono i massoni della
fondazione di questo movimento massonico) e anche tanti altri oggetti che hanno una forma
triangolare sono proprio quintessenza dell’esoterismo. In questo concetto risiede, quindi,
significato del numero 3. Ha una trasmutazione della trinità in termini esoterici e, nella
matematica, è anche un numero perfetto (primo numero dispari poiché l’1 non è considerato
un numero). Il 3 è profondamente attivo e possiede una grande forza energetica. Simbolo
della conciliazione per il suo valore unificante. La sua espressione geometrica è il triangolo,
simbolo esemplare del ritorno del multiplo all’unità.
Ci sono anche i numeri della gestazione. I 9 mesi della gestazione costituiscono un multiplo
del 3. Andres svela la personalità di Denner: momento del chiarimento. Denner gli ha
chiesto di partecipare a un’azione del gruppo dei briganti e gli chiede di lasciarlo andare.
Visto che – lo apprendiamo adesso – esisteva un bandito così chiamato (Ignaz il Nero) e che
Denner non si era nemmeno la briga di presentarsi sotto falso (pre)nome, c’è da domandarsi
com’è che il protagonista non fosse ancora arrivato a capire chi avesse davanti. Quel che
poche righe dopo Denner dirà (“non sei forse già da tempo nostro compare? Non sono già
quasi 3 anni che vivi nel nostro denaro?”) mette il dito nella piaga della sostanziale ipocrisia
di Andres, i cui scrupoli non sono mai stati seguiti da un gesto di ribellione. Andres è più
colpevole di viltà o è semplicemente un babbeo? La sua colpa è quella di essere stato un po’
ingenuo. Ma era ricattato, non aveva molte vie d’uscita. Minaccia che rompe il patto. Il
punto di rottura principale: Andres minaccia di rompere il patto. “Sottrarti alla mia volontà e
ai miei ordini”. Doppio disvelamento: non solo Denner si mostra per quello che è, ma
dichiara che A. è ostaggio della sua volontà e dei suoi ordini. “non sei forse già da tempo
nostro compare? Non sono già quasi 3 anni che vivi nel nostro denaro?” indurre il senso
di colpa in Andres è un’abile strategia per aggiungere al suo coinvolgimento anche un
aspetto morale, quello della colpa, di non rispettare il proprio onore rispetto a quanto si sono
giurati o promessi.
Pagina 69. Andres ha una sola via d’uscita: fingersi di rimettersi alla sua volontà senza
macchiarsi né di ruberie né di assassinii e di sfruttare una migliore conoscenza dei covi della
banda per riuscire a sgominarla, alla prima buona occasione, facendo arrestare tutti. 
Andres da un lato è costretto a mentire, mantenendo però una certa integrità dall’altro.
 Abbiamo un patto nel patto, una sub-categoria del patto principale (quello del mantenere la
parola) che è quello di scagionarlo però da un’azione diretta che possa portare ad
ammazzare o ferire qualcuno durante questa incursione. Incursione: si va a saccheggiare un
ricco fittavolo che viveva ai margini del villaggio.
 Bosco OSCURITA’

(Ad un certo punto, il malvagio ritorna. Ritorna in un’occasione ben precisa Giorgina partorisce
un secondo figlio maschio. Scena che è come una sorta di ecfrasi di un quadro di una Madonna col
bambino. Qui la moglie di Andres ha partorito. Tutto sembra tranquillo finché Denner non finisce di
nuovo per far visita alla famiglia avvicinandosi alla finestra. Andres cerca di cacciarlo via e dopo il
tentativo di Denner di portarsi via il figlio più grande, viene respinto per paura che ora voglia
portarsi via il secondogenito)
“LA CASA DESERTA”

Ne “La casa deserta” (Das öde Haus), ad esempio, troviamo una variazione sul tema del labile
confine che separa una persona reale da un automa/marionetta/simulacro, uno dei motivi più
ricorrenti del perturbante, già riconosciuto da Jentsch. Il protagonista di questo racconto, Teodoro
(secondo nome di battesimo dell’Hoffmann, e dunque più che mai un suo alter-ego), subisce
un’attrazione malsana per un caseggiato che, nonostante la sua ottima posizione nel centro cittadino
di Berlino, appare dismesso e disabitato da anni. Si vocifera che esso sia proprietà di una vecchia
contessa che da tempo ha lasciato la città e ha nominato un amministratore, che vi fa visita ogni
tanto, per occuparsi delle faccende burocratiche dello stabile. La situazione precipita quando
Teodoro, osservando un giorno il piano superiore dell’abitato, è testimone di una presenza umana al
suo interno, che tuttavia non può essere né la vecchia contessa né l’altrettanto attempato
amministratore: poiché egli intravede, a fare capolino da dietro la tendina, quella che ha tutta l’aria
di essere la mano ingioiellata di una donna giovane e in salute, non certo di qualche anziano
inquilino. Ormai invischiato nel mistero, il giovane passerà le sue giornate a passeggiare avanti e
indietro per la via, in attesa che la misteriosa dama compaia nuovamente.

Per poterla spiare meglio, senza destare sospetti, arriva ad acquistare uno specchietto da un
venditore ambulante italiano (come l’ottico e venditore ambulante di barometri Coppola ne
“L’uomo della sabbia”, che specularmente vende al protagonista il cannocchiale con cui osservare
Olimpia). Quando la donna si affaccia improvvisamente alla finestra, egli cade in estasi, eppure c’è
qualcosa che non va: c’è qualcosa di unheimlich. Innanzitutto, dopo averla fissata per un certo
tempo, si rende conto della sua espressione inanimata, esattamente come quella di Olimpia in Der
Sandmann. Come se ciò non bastasse, alcuni passanti incuriositi dalle sue manovre con lo
specchietto e dalle sue singolari espressioni facciali gli rendono noto che in quella casa non vive
alcuna giovane donna: quello che ha visto scambiando per l’avvenente dama è senza ombra di
dubbio un quadro. Qui lo specchio rivela una doppia funzione: una, si è detto, speculare a quella
del cannocchiale de “L’orco insabbia”, vale a dire fungere da medium per vedere meglio qualcosa
che si ha difficoltà a vedere, a comprendere pienamente ciò che «avrebbe dovuto rimanere
segreto, nascosto, e che è invece affiorato». L’altra, che richiama il ruolo degli specchi in un altro
“Notturno”, ha a che fare con la stregoneria e la magia afroditica: lo specchio come portale
sull’Altrove, che non solo permette al protagonista di vedere con gli occhi (ciò che non
dovrebbe vedere), ma che in più lo catapulta in una situazione sovrannaturale che minaccia di
minare fatalmente la sua sanità mentale. La misteriosa dama, infatti, inizia ad apparire sullo
specchietto ogniqualvolta il giovane, dopo aver invocato il suo amore, vi alita sopra.

Solo nel finale si scoprirà che effettivamente la vista e l’immaginazione hanno tradito Teodoro; il
simulacro oleografico dell’affascinante dama era in realtà una ‘creazione magica’ di Angelica,
sorella maggiore della contessa Gabriella: l’immagine riflessa nello specchietto e alla finestra
era ‘proiettata’ dalla vecchia sulle sembianze di Edmonda, la giovane figlia di Gabriella.
Angelica, da parte sua, ben lungi dall’apparire come una donna giovane e piacente, si rivela infine
una vecchia megera, che il protagonista scoprirà abitare nella casa deserta, curata a vista
dall’amministratore, sotto ordine della sorella, dopo che perdette la sanità mentale quando, molti
anni prima, il suo promesso sposo si innamorò della sorella minore (Gabriella, appunto),
abbandonandola appena prima del matrimonio. Lasciata improvvisamente la casa paterna, la
derelitta andò a vivere per un periodo con una carovana di zingari: Hoffmann lascia intendere che
proprio per loro tramite, divorata da un desiderio di vendetta implacabile, la donna ha appreso le
arti sovrannaturali, tra cui ovviamente quella di ‘legare a sé’ le proprie vittime, con l’arte
della magia e dell’illusione. Le sembianze sotto cui appare agli occhi dell’“innamorato” Teodoro
sono quelle della figlia della sorella, la verginale Edmonda, che il protagonista vedrà entrare in
scena solo nelle battute finali, rimanendo comprensibilmente scioccato alla sua comparsa. Ben
prima c’era stato anche spazio per la vendetta nei confronti della sorella: con la magia afroditica
Angelica era riuscita ad attirare il suo sposo, che venne poi trovato senza vita a causa, secondo i
medici, di un’apoplessia nervosa. È dopo questo dramma che Angelica venne allontanata dalla casa
paterna a Pisa e ‘inviata’ appunto a Berlino, dalla cui ‘casa deserta’ la strega continuò a praticare le
arti magiche.

Il Voto (Das Gelübde). 


Prende avvio con un antefatto, sviluppo del finale a cui si ricollega con un lungo flashback centrale.
Hoffmann costruisce fin dall'inizio un'interessante atmosfera di mistero, sembra di esser alle prese
con un mystery in cui l'elemento paranormale è sul punto di materializzarsi da un momento all'altro
a far pendere l'ago della bilancia sul versante racconto del terrore, evenienza però che non assume
mai consistenza. Protagonista è una giovane suora che si presenta, accompagnata da una badessa, in
una casa per essere ospitata in gran segreto. La poveretta, che tiene un velo per non mostrarsi
neppure agli occupanti della casa (dice che il velo le cadrà solo con la morte), è in stato interessante,
aspetto che alimenta congetture e strane voci legate al mondo diabolico e alla blasfemia (siamo nel
1817). A poco a poco, però, si scopre che il diavolo non c'entra affatto in questa storia e il racconto
prende presto una piega drammatica, anziché esoterica. Lo si comincia a capire piuttosto presto,
quando un giovane militare, dichiarandosi padre del piccolo neonato, si presenta nell'abitazione e
strappa via alla donna il pargoletto che la stessa, nel frattempo, ha partorito, accusandola di avergli
rovinato la vita. Scopriamo anche, nel frangente, che la suora non nasconde alcun marchio diabolico
sul volto. Il drappo cade nella disputa tra i due e mostra una faccia bianca, cadaverica, in cui non vi
è traccia di emozione che non sia dolore e sofferenza. Il piccolo, che morirà poi di freddo nella fuga
col padre, non è frutto di alcun rapporto diabolico o peccaminoso, ma è il prodotto dell'unione tra la
giovane (che in realtà è una contessa) e un giovane che ha la sventura di somigliare al promesso
sposo della stessa, deceduto in battaglia prima di contrarre matrimonio. La povera ragazza,
Ermenegilda, però vive una vita parallela, è convinta che il suo uomo possa ritornare anche
dall'aldilà e lo attende con impazienza fino a convincersi di averlo raggiunto in sogno, proprio sul
campo di battaglia, e qui di essersi unita a lui sotto la benedizione di un ministro di Dio per poi
unirsi carnalmente così da concepire il frutto di un amore da crescere nel proprio grembo. Una
convinzione pazzesca, ma che sembra trovare corrispondenza nelle curve della giovane. La
situazione comincia a preoccupare i genitori, già allarmati dalla salute mentale della donna,
completamente funestata dalla morte dell'uomo, ma ancora convincente al punto da spingere i
parenti a valutare un'ipotesi poi non troppo lontana dallo “spirito santo” di natura biblica. “E se la
viva cooperazione del pensiero avesse potuto avere anche un effetto materiale? E se uno spirituale
incontro di Ermenegilda con Stanislao avesse potuto portarla nelle condizioni che a noi restano
inesplicabili?” si chiedono in famiglia. Infine, emerge la verità. Lo spasimante Saverio, che nel
frattempo ha raccolto prove che dimostrano la morte di Stanislao liberando così Ermenegilda dal
voto di castità, confessa di aver posseduto la ragazza mentre la stessa delirava convinta di unirsi al
promesso sposo Stanislao. La rivelazione fa crollare il sogno della giovane, fa esplodere l'ira dei
parenti e conduce a un finale tragico con i due che rinunceranno alle rispettive vite sociali,
abbracciando l'esilio monastico, vedendo così svanire l'amore sia da un punto di vista sentimentale
sia materiale (il frutto della loro unione, altro innocente in una storia pazzesca, muore a causa della
disputa tra i due). 
IL MAGGIORASCO
Lentissimo nello scorrere e antiquato nello stile è invece IL Maggiorasco. Se ne L'Orco Insabbia
Hoffmann, a suo modo, è stato capace di anticipare molti archetipi della nascente letteratura
fantastica, in questa storia non si smuove dal classico, proponendo un elaborato che risente molto
dei secoli trascorsi. Siamo alle prese con una novella gotica incentrata su un castello prussiano che
passa di mano in mano a svariati eredi, che si fanno guerra tra loro, e al cui interno si è consumato
un omicidio, figlio dell'avidità e della vendetta, mascherato da incidente e addossato, come scusa,
all'azione di spiriti maligni attirati dagli esperimenti magici e astrologici praticati dal costruttore poi
morto per l'improvviso crollo della torre in cui era solito scrutare le stelle. La particolarità del testo
sta nel fatto, e questo influenzerà qualche giallo successivo ivi compresi quelli cinematografici
italiani che il killer, autore di un delitto perfetto, svilupperà suo malgrado una bizzarra forma di
sonnambulismo che lo porterà a ripetere le azioni che lo hanno condotto a uccidere il padrone del
castello per favorire il passaggio dello stesso nelle mani del fratello del defunto. Una
controindicazione che permetterà a un membro del personale della magione di venire a capo del
mistero legato alla caduta nel vuoto proprio laddove era crollato il primo proprietario, del primo
erede della costruzione, convinto che tra le macerie fosse sepolto un tesoro celato dal de cuius.
Hoffmann condisce il tutto col suo canonico romanticismo, con una sottotrama che vede per
protagonista un giovane ragazzo che si innamora perdutamente della baronessa diciannovenne
sposa dell'ultimo erede del castello. Un amore impossibile, vuoi per l'alto lignaggio della
giovincella vuoi per la maledizione che sembra gravare su tutti coloro che diventano eredi. La beffa
per lui, che vivrà portando nel cuore il ricordo della moretta e un ciuffo di capelli donategli dalla
damigella di corte solita accudirla, è che il suo amore, segretamente, è contraccambiato in virtù
della passione messa al servizio dell'indubbio talento nel campo della musica. Un'abilità tale da
sciogliere il cuore della giovane e in grado di farla evadere dalla monotonia del freddo castello in
cui il marito, impegnato alla caccia ai lupi, l'ha portata.
Epilogo in cui imperversa il fosco pessimismo hoffmaniano con la tematica dell'amore impossibile
che si intreccia con la morte e con un destino infausto da cui è impossibile sottrarsi.
LA CHIESA DEI GESUITI A G.
(Glogau) Racconto che produce varie possibilità. Alcuni ingredienti della storia:
- È un’occasione per percorrere nel racconto varie tappe della tradizione pittorica europea
- Definisce il ruolo del viaggiatore entusiasta e tematizza il dilettantismo artistico di fronte al genio
dell’arte
- Presenta il tema dell’apprendistato in relazione al soggiorno italiano
- Lati oscuri del carattere del personaggio. Il tema dell’uxoricidio + infanticidio
- Momenti di lacunosità nella biografia che creano l’effetto del mistero.
All’inizio del testo, che può valere da esempio paradigmatico del notturno letterario, il viaggiatore
entusiasta, che ha costituito già nei Fantasiestücken un importante istanza narrativa (come modello
letterario di riferimento), è costretto dopo un incidente occorso alla sua carrozza postale (che la sta
trasportando in un altro luogo) a fermarsi tre giorni in una località chiamata G. Qui incontra il
professore Aloysius Walther che si intrattiene con lui sul tema della chiesa gotica che si trova nella
località di cui viene restaurato l’interno. Dopo un primo incontro con il pittore Berthold incaricato
di questo restauro, l’entusiasta gli fa visita di notte. Berthold lavora alla luce di una fiaccola a un
trompe-l’oeil (affresco che inganna vista in quanto suggerisce una profondità tridimensionale che ci
fa supporre una vera e propria scenografia a tre dimensioni= effetto di profondità) di un altare
marmoreo grazie al quale lavoro, dunque, l’atto della produzione artistica diventa in prima istanza
un testo notturno. L’entusiasta chiede al professore il giorno successivo quale sia la personalità del
pittore che Walther ha definito un “imbratta-muri” (in modo dispregiativo) che ha però un buon
carattere semplice senza malignità. Queste info sono sufficienti al viaggiatore curioso così che dopo
molta insistenza riesce a ottenere un racconto di biografia di Berthold che è stato una volta studente
del Collegio gesuitico cui il professore ha anche dato lezione. Il protagonista ha avuto una dritta per
andare a trovare questo professore. Lui è in realtà lì per caso, ma un amico, in passato, gli aveva
parlato di questo professore colto e intelligente professore del collegio gesuita Aloysius Walther.
Interessante il fatto che questo professore viene caratterizzato da un punto di vista della personalità
nelle righe che seguono: abbiamo in un abbozzo/ tratteggio della personalità del professore, subito
un impatto molto chiaro con il personaggio.
Berthold viene incontrato mentre sta pitturando le parete. Il pittore sembra di buon umore perché
fischiettava un’allegra canzoncina. Il pittore crede che sia il suo aiutante Christian che da tempo non
si presentava. Si lamenta quando scopre che invece è il viaggiatore che gli fa visita. Il momento
fatale è quello in cui il viaggiatore si presta ad aiutare il pittore perché è in evidente difficoltà e gli
suggerisce di aiutarlo a costruire un’impalcatura. situazione di altezza che non solo allude alla
elevazione demoniaca prometeica dell’uomo che cerca di toccare il cielo con un dito (cupola come
se fosse una dimensione celeste), ma c’è anche il problema della pericolosità di questa struttura che
può premettere a vicende pericolose. E quindi Berthold a questo punto è molto soddisfatto
dell’aiuto del viaggiatore e si disquisisce invece sulla qualità della pittura. Il forestiero considera
questa pittura di ottima fattura e cerca di rincuorare il pittore perché non si sminuisca in questo suo
ruolo. Da qui in poi, dal momento in cui il professore e l’entusiasta si scambieranno opinioni
sull’arte, sulla figura di Berthold (che il viaggiatore ancora non conosce bene, ma che conoscerà a
breve grazie allo strattagemma di un documento che un allievo aveva redatto e che raccontava la
sua biografia) abbiamo una struttura della storia che si compone come una sorta di Stationendrama
(un dramma a tappe)  la storia di Berthold, nella biografia ricostruita, è come un dramma a parte.
Però è ancora una volta una Wanderung (pellegrinaggio). Ancora una volta abbiamo uno
sdoppiamento di piani: un luogo di riferimento, un viaggiatore che giunge, il viaggiatore per sua
natura si sposta, ma deve sostare in questo caso. Conosce direttamente il pittore, però poi vuole
saperne di più, perché l’entusiasta è un curioso; e da qui si incardina, si innesta la storia che
ricostruisce a ritroso la vita di Berthold quando va in Italia. Nella storia di Berthold che va in Italia
abbiamo varie esperienze e contatti e un tentativo di evoluzione spesso frenato da fattori esterni.
Sicuramente il fattore su cui l’arte tentata da Berthold impatta è quello dell’illusione di un amore
per una donna che poi viene maledetta come ostacolo alla sua verwirklichung (realizzazione) come
artista. Ora ritroviamo storia di Berthold narrata come una cronaca di una discesa ad Inferi, più che
di un’evoluzione.
Lasciato Berthold, il viaggiatore incontra il professore che ha delle parole di grande biasimo (toni
duri) nei confronti di Berthold: lo chiama imbrattamuri. In realtà lo stesso viaggiatore entusiasta,
poco sopra, non aveva espresso opinioni molto dissimili (“la pittura di architetture resta sempre e
comunque un’attività di secondo piano”). Senonché l’ascolto empatico del tragico racconto di
Berthold e la visione diretta delle sue prestazioni hanno modificato in profondità il suo punto di
vista. Qui si crea una sacca di mistero: il professore, passando davanti a una tela coperta, non vuole
mostrarla al viaggiatore entusiasta. Ma racconta che, dopo che Berthold è stato in Italia, il dipinto,
per vie traverse, giunge in quella chiesa dei gesuiti prima che Berthold si mettesse al servizio del
rinnovo della chiesa con i suoi affreschi. Quando scopre che questo suo dipinto è nella chiesa, non
vuole che si mostri al pubblico perché lo ripudia. Quadro viene coperto perché quando lo vede
viene preso da attacchi di follia perché quel dipinto è il senso del suo fallimento. Si evoca la mano
diabolica che gli ha devastato la vita. Stranamente questo professore non mostra nessuna spiritualità
nonostante la sua opera di insegnamento sia consacrata in un luogo di culto. Si mostra come un duro
materialista, una persona che guarda solo alle cose dell’adesso e non allo spirito.
Trascrivendo “gli strani accadimenti” occorsi al pittore, lo studente modera il proprio entusiasmo
il modello negativo di questo martire dell’arte frena l’eccesso di entusiasmo di un giovane che si
affaccia al mondo dell’adultità e quindi ha una funzione di insegnamento per un giovane che è un
convittore/collegiale. Il viaggiatore entusiasta si trova molto male in compagnia del professore: non
sente con lui nessuna affinità. Applica dei principi scientifici a una condizione che con la scienza
non ha nulla a che fare perché si tratta appunto di vite umane e di una grave esperienza di
lacerazione. Il professore cede e gli fa vedere le carte/fascicoli. A questo punto c’è la storia vera e
propria di Berthold. Si racconta l’arrivo di B. in Italia, lasciando alle spalle mille dubbi e
preoccupazioni. Il vecchio pittore, che faceva da mentore a Berthold nei suoi primi passi come
artista (Stephan Birckner) si rapporta con i genitori di B. e li convince a far andare il ragazzo in
Italia. Questo suo insegnante resterà sempre una figura di mentore affidabile nei suoi primi passi
verso i tentativi artistici che farà in Italia. Berthold arriva a Roma e trova un’interferenza alla sua
aspirazione di diventare paesaggista perché i nazareni cercano di convincerlo ad applicarsi alla
pittura storica (storica-paesaggio-architettonica  sono questi i livelli in ordine di importanza). I
nazareni fanno quindi pressione su di lui e tutto il resto viene in secondo piano: se avesse ambito a
diventare un’artista di spicco avrebbe dovuto lasciar perdere il suo genere e volgersi a quello
superiore. Lo convinsero ad abbandonare i paesaggi. Le frustrazioni vengono da fuori: c’è gente che
fa pressione su di lui perché cambi strada. Differenza fra talento e genio. Berthold si sente proiettato
a grandi capacità, ma si rende conto quando cerca di metterle in atto, che non ha genio ma solo
talento è molto preoccupato. Tutte le speranze sembravano morire. A Berthold gli pareva che a
suoi paesaggi, e persino a quelli del maestro, mancasse un qualcosa che non sapeva die e che invece
era dato trovare nei quadri di Claude Lorrain e anche nelle rozze plaghe desertiche di un Salvador
Rosa  i paesaggi di Lorrain e quelli di Rosa erano tra i preferiti di Goethe (e quindi anche di
Hackert) e dunque lui cerca sempre di imitare il meglio. È un momento importante perché il
giovane artista si scontra con il giudizio critico di questo Maltese che gli dice “Giovanotto, tu
saresti potuto diventare qualcuno” questa frase lo annienta perché il ragazzo viene represso nelle
sue aspirazioni da questo giudizio pesante. Il Maltese sembra guardare nell’anima di Berthold.
Infatti, gli suggerisce il fatto che solo grazie a questa scuola che lui cerca di trasmettergli, le cose
diventeranno Erschaulich ( verbo che diventerà importantissimo per la scrittura di Hoffmann.
Significa penetrare con lo sguardo). Questa pedante tirata contro i limiti dell’artista continua.
Religiosi presagi. L’evocazione di una realtà sacra che finora non aveva neanche sfiorato l’animo
del giovane apprendista, diventa il punto di collisione tra il profano e il sacro; tra il momento in cui
la donna angelicata (che segue) diventerà una Santa Caterina e viceversa. Il giovane, tra l’altro,
sentirà un afflato cristiano che prima non aveva mai provato (Italia sinonimo di spirito di fede) e per
questo sta mutando anche la sua natura attraverso le parole del Maltese che potremmo considerare
ancora nella categoria dei manipolatori delle coscienze, non un magnetizzatore, non un ipnotista,
ma sicuramente un mentore occulto che insinua dei tarli nell’anima di questo giovane. Berthold
aveva la sensazione che quell’uomo fosse limitato a dare voce a ciò che bolliva nella sua anima: c’è
un’interfaccia tra il personaggio del maltese e l’anima di Berthold. Si sta compiendo una
congiunzione astrale quasi. Qui subentra la paralisi della frustrazione perché il Maltese ha
un’influenza nefasta sulla sua libertà di provarsi come dilettante. A questo punto, per scacciare le
melanconie, Berthold incontra allegri pittori tedeschi e insieme a loro compì numerose escursioni
nei luoghi più ameni intorno a Napoli.
Cappello conclusivo: già nel 1817, l’anonimo maltese del La chiesa dei gesuiti in G., conduce il
pittore Berthold dal realismo a una pittura di paesaggio che ha ormai metabolizzato tutte le
suggestioni della nuova mistica pittorica tedesca. L’interpretazione decisamente “religiosa” della
pittura viene infatti ribadita nel racconto quando il protagonista ricostruisce la vita del pittore
Berthold grazie alle carte dello studente dei Gesuiti. La conversione di Berthold si compie però
all’incontro con Florentin (pittore famoso secondo cui il paesaggio è da considerare geroglifico
naturale che si rivolge all’anima, come trascrizione immaginale su cui si proietta la psiche
dell’artista), il quale non distingue più tra le varie forme di pittura e le considera solo espressioni
diverse di un’unica ispirazione religiosa.
Berthold ha già avuto una esperienza iniziatica negativa tentando di applicarsi a vari tipi di pittura:
paesaggistica, storicistica (senza averla applicata subito) e ora, conoscendo Florentin, si sente
rinvigorito. Nel momento in cui dialoga con questo personaggio gli viene suggerito di riprodurre
l’immagine di santa Caterina abbozzata da Florentin. A questo punto Berthold è messo alla prova: si
deve sperimentare in questa nuova attività e, per quanto si sforzi, si rende conto che ogni paesaggio
dal vero che egli cerca di riprodurre, insieme con questo tentativo di riprodurre una figura sacra
come Santa Caterina, fallisce miseramente.
Segue una lunga digressione soggettiva di Berthold che racconta dei suoi tormenti. Ovviamente tutti
gli ingredienti di questa presa di contatto col notturno sono presenti: riferimenti al sogno, flash di
illuminazione, la dimensione del sonnambulo e la fatica di reagire a questo stato di agitazione. A
questo punto cambia lo scenario. Berthold si trova a Napoli alla corte di un duca che possiede una
grande villa. Una vera e propria visione in carne ed ossa si presenta agli occhi di Berthold: una sorta
di Alter ego vivente di Santa Caterina (Angiola T.  cognome abbreviato per creare effetto
mistero). Berthold sente in sé improvvisamente una serena letizia. Proprio per questo un lazzarone
(personaggio senza arte né parte, associato a una vita oziosa o di attesa di svolgere mansioni, ma
indica anche un personaggio ambiguo e pericoloso) afferra Angiola e lei viene minacciata con un
coltello. Arriva Berthold, la salva uccidendo l’individuo con lo stesso coltello. I due fuggono perché
il salvatore viene scambiato per l’assassino. Molta azione. Angiola confessa di voler lasciare l’Italia
(p. 138) (la famiglia doveva ritenerla morta…) All’inizio Berthold è felice di questa risoluzione,
sembra trovar pace, così sfida la fortuna affidandosi alla rappresentazione Sacra di Maria Elisabetta
sedute sul prato su un bel giardino e Cristo e Giovanni fanciulli che giocano davanti a loro
nell’erba.
Il racconto di Berthold continua con la nascita del figlio evento di grande sconforto (miseria).
Berthold non riesce a realizzare il quadro e si sente paralizzato da un eccesso di realtà/realismo è
una delle patologie dei personaggi che vivono nei racconti di Hoffmann. L’eccesso di realismo è il
fatto che quando ha un desiderio (quello di rappresentare una figura sacra e femminile come S.
Caterina) si sostituisce un soggetto reale, l’artista si sente privato della sua creatività (se coinvolto
da quel soggetto reale)  non più abbandonare la realtà, in quanto vincolato da questo rapporto con
Angiola, per innalzarsi ad una dimensione sublime nel quadro. Avendo quindi davanti a sé la copia
di Santa Caterina (o di una Madonna), questo problema diventa un eccesso di mimesi. Il principio di
imitazione puro e crudo (che è il punto base della pittura) diventa il tarlo che impedisce all’artista di
elevarsi a una dimensione più sublime, ideale. La realtà uccide la fantasia, la possibilità di essere un
genio invece che solo un personaggio di talento. Chi ha talento imita e basta le cose e le interpreta
in un modo basico; chi ha il genio riesce a dare loro un alito divino. Ovviamente la donna non ha
nessuna colpa e proprio il fatto che non ci sia una colpa altrui di cui Berthold è vittima lo indurrà
poi a dover espiare la propria presunzione, il proprio delirio di onnipotenza.
Cambia lo scenario. C’è uno stacco. Ultima parte è una sintesi panoramica di quello che succede dal
momento presente fino all’immediato futuro. Il viaggiatore entusiasta, inorridito da quello che ha
sentito, dice al professore che quest’uomo è sicuramente un infame assassino perché quando
Berthold sparisce dalla scena e poi ricompare nella Slesia superiore è senza moglie e figlio.
Improvvisamente Berthold sembra di nuovo lieto. Forse ha ucciso moglie e figlio. Per questo è lieto
e lavora con sollecitudine. Il viaggiatore entusiasta ora non si fida più di incontrare Berthold di
notte e decide di incontrarlo a mezzogiorno (ora panica, quando sorge il sole nel punto più alto). Il
viaggiatore non ha peli sulla lingua e gli chiede se ha ucciso moglie e figlio. Il viaggiatore ha
pensato di aver esagerato e crede di essere in pericolo di vita, quindi lo distrae. Gli dice che il giallo
scuro che cola lungo la parete è brutto. Il giallo può essere associato all’aureola dei santi (potrebbe
essere la caduta dell’angelo come demonio e la sua destinazione all’Inferno) oppure può essere una
forma di rappresentazione del pianto attraverso la colatura del colore (la tristezza di questo esito
della vita di Berthold che si trasfigura in un'unica situazione come questo difetto del suo dipinto).
Berthold quindi cerca di rimediare a questo danno, ma intanto il viaggiatore si allontana e si sottrae
al rischio di essere ucciso. Poi c’è un epilogo: il professore e il viaggiatore si lasciano.
IL SANCTUS
Racconto a cornice ancora più complesso. Non è narrativamente un racconto affascinante, ma è
interessante perché la musica è protagonista della storia. 1816. trama. Ci sono tre personaggi
principali: - Maestro di cappella, che è il padre della ragazza che sarebbe il perno della storia, ma
compare solo alla fine.
- Medico che è specializzato nella sua disciplina, ma non ha large vedute. Non ha una visione
olistica del problema della ragazza che è il perno della storia.
- Una ricomparsa del viaggiatore entusiasta.
Il maestro di cappella apprende costernato dal dottore che la bravissima cantante Bettina ha
irrimediabilmente perduto la voce, per quanto lo stesso dottore non riesca a spiegarsi il motivo per
cui tale deficienza si manifesti solo nel canto. Ma il viaggiatore entusiasta dice loro di conoscere il
vero motivo della disgrazia di Bettina: la ragazza avrebbe compiuto un atto sacrilego interrompendo
il suo canto e abbandonando la chiesa durante il Sanctus (canto sacro). Davanti all’incredulità del
dottore e alla meraviglia del maestro di cappella, il viaggiatore entusiasta racconta loro di un caso
analogo verificatosi ai tempi dell’assedio d Granada. Si cerca di ricostruire qual è il problema di
Bettina. A questo punto il viaggiatore entusiasta si abbandona ad una lunga perifrasi, digressione in
cui racconta il caso analogo prima di iniziare a raccontare la parabola vera e propria, del
comportamento di una farfalla che si era andata a cacciare in mezzo alle corde del clavicordo a
doppia tastiera. Questo paragone vuole anticipare il racconto vero e proprio. La farfalla viene
paragonata, senza dirlo esplicitamente, a Bettina che era andata a finire in mezzo alle corde del
clavicordo questo paragone non è casuale che, a causa della sua leggerezza, tipica di chi fa la
farfallona tra un’attività musicale e l’altra (tra il sacro e il profano) si è procurata questo malanno,
tradendo il compito principale per cui il suo genio vocale l’aveva destinata: a cantare l’altissimo, a
onorare Dio attraverso le rappresentazioni musicali che si tenevano durante la messa. Per questo la
farfalla è l’Alter ego di Bettina, cioè la sua rappresentazione metaforica.
Segue una descrizione di Bettina nelle sue difficoltà, nella sua anche tristezza di aver perso questo
talento, ma sempre fuori scena: Bettina non può mai dire la sua in questa prima fase del racconto e
compare solo alla fine come una sorta di Epifania.
Prima Storia dentro la storia. Ad un certo punto, si arriva finalmente al racconto che funge da
parabola. Inizia la storia che funge da parabola che dà esempio pratico per capire qual è la malattia
di Bettina e si fa un lungo salto nel passato arrivando all’anno 1491/92: periodo dell’assedio di
Isabella I di Spagna e di Ferdinando II di Aragona che stavano cercando di espugnare l’ultimo
baluardo morescola città di Granada. Volevano quindi scacciare gli arabi che occupavano ancora
questa città. Qui c’è una guerra di posizione che dura un intero anno in cui molto vicini sono i
musulmani rispetto ai cristiani che stanno cercando di espugnare Granada. Allora il generale
Aguillar è riuscito però a fare breccia in una parte di questo bastione e sono stati presi come
prigionieri alcuni soggetti. Tra questi soggetti c’è anche una donna velata che ha un canto
meraviglioso solo che il suo canto non si innalza a Dio, ma è un canto moresco fatto di elementi
popolari della tradizione araba.
Seconda Storia dentro la storia: che cosa è accaduto nel momento in cui Aguillar ha portato dei
prigionieri in campo. Questo Aguillar si scopre essere un uomo molto tollerante perché vuole dare
la libertà a questa donna che scopriamo chiamarsi Zulema e che ha questo canto così cristallino e
puro che può ricordare solo cose sublimi. Però il problema è che ci sono gli uomini di chiesa (suore
del convento e i reverendi come Agostino Sancez). Agostino Sancez blocca questa decisione di
Aguillar. Zulema viene accolta nel loro monastero. Terza storia dentro la storia: viene raccontato a
Isabella di Castiglia cosa è accaduto di questa ragazza; ma Isabella di Castiglia è a sua volta oggetto
di racconto dell’entusiasta e quindi siamo in una sorta di cornice concentrica.
Si cambia scenario. Si gira pagina: è un incastro un po’ complesso e si racconta di come la Regina,
una volta accompagnata da nobili generali alla chiesa del monastero delle monache benedettine e
sul suo cammino si mostra un miserabile straccione che comincia a dare strani segni di
inquietudine. Questo personaggio dice una frase misteriosa che è tipica di quell’intercalare
hoffmanniano nei suoi racconti: Calpesta la serpe! Calpesta la serpe, tanto ti morerà e morirai!
Questo personaggio è semplicemente una minaccia sia per la stabilità mentale e artistica di Zulema
(e per la sua ora forte propensione alla fede cristiana) ed è una minaccia anche per il generale
Aguillar. Dopo si vedrà chi è questo personaggio. Andando avanti nella storia ci sono stacchi
importanti e poi c’è una sorta di legenda dei personaggi. Ad un certo punto succede che scoppia un
incendio che rende in cenere l’accampamento di Isabella. Questo incendio sembra frutto della
maledizione lanciata dal mendicante. A questo punto si ritorna nel presente in cui dialogano il
maestro e l’entusiasta.
C’è un’accelerazione degli eventi. I mori fecero di tutto per ostacolare questa costruzione della città,
ma quello che più sconvolge, oltre allo stato di estrema incertezza tra le due parti (dove però gli
spagnoli stanno prevalendo a tutto campo), è la scomparsa di Julia. Aguillar si addentra ad un certo
punto in una macchia, cosa che ci fa pensare che c’è un cambio di scena completo, e, dalle mura del
castello, si allontana e tutto solo incontra un moro che gli si getta addosso per ucciderlo. Questo
moro viene bloccato da lui e il moro che rivela la propria identità è l’innamorato di Zulema dove
appunto si scopre che non solo l’uomo odia in generale i cristiani, ma anche perché gli è stata
strappata parte dell’anima di Zulema con questa conversione a cui lei avrebbe aderito. Accade che
questa donna è scomparsa, ma il problema è che è un corpo conteso, è un’anima lacerata perché
ormai sta esattamente a metà tra la sua vita precedente di donna del mondo arabo che aveva la sua
fede e i suoi riti artistici (cantava con strumenti dedicati e la sua mente era occupata dalle immagini
del corano) e poi donna convertita, ma non completamente perché ancora a metà tra due mondi,
sulla soglia. Ad un certo punto la donna compare in un contesto inedito.
Il racconto si conclude con questa sorta di conversione generale dei mori. Lo scenario cambia solo
alla fine quando l’entusiasta termina la sua storia e il dottore si infuria a questo racconto. Qui il
punto è che l’anima è interessata sia da un malessere (inquietudine della giovinezza) sia da un
riscatto per la colpa di non aver capito il proprio ruolo rispetto all’arte di cui è dotata. Quindi
abbiamo una giovinezza inconsapevole, quindi la colpa è mitigata dal fatto che la fanciulla è
dispersiva ma perché ancora non ha trovato una via principale. Ora Bettina, che ha sentito tutto, ha
capito come può guarire da questa sua malattia.

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