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“Il Golem” di Gustav Meyrink

La Trama
La storia è ambientata nel ghetto ebraico di Praga, all’incirca tra la fine del XIX e l’inizio del XX.
Athanasius Pernath è un intagliatore di pietre preziose e abita proprio nel ghetto, in Hahnpassgasse
al numero sette. E’ un uomo strano Athanasius, un uomo che non ricorda niente del suo passato;
l’infanzia, i genitori, gli amici, tutto cancellato; non sa neppure dove ha imparato ad intagliare
pietre preziose.
Un giorno mentre è intento a lavorare alcune pietre il Maestro Pernath riceve una strana visita;
un uomo vestito con abiti insoliti e dalla foggia medioevale entra improvvisamente nella sua
casa e gli porge un libro ordinandogli di ripararne l’iniziale nella prima pagina.
L’artigiano ora inizia a sfogliare il libro ed ecco che questo comincia a parlargli, a rovesciargli
nella
mente un fiume di parole e a vomitare davanti ai suoi occhi una miriade danzante di figure strane,
anomale e mitiche guidate da un sovrano ermafrodito.
Dopo queste visioni Pernath, confuso e spaventato, non riesce nemmeno a ricordare le sembianze
dello strano visitatore.
Era vecchio? Era giovane? Aveva la barba?
Ad un tratto concentrandosi Pernath riesce a ricordare un volto senza barba, con gli zigomi
sporgenti e gli occhi dallo sguardo ma tale ricordo lo atterrisce e lo spaventa.
In seguito Athanasius racconta la singolare vicenda a tre suoi amici artisti, Prokop, Zwakh e
Vrieslander, venuti a casa sua a bere del punch in occasione del suo compleanno. Ascoltato il
resoconto Zwakh dice a Pernath che forse ha incontrato il Golem ed inizia a raccontarne la
leggenda. Si dice che un rabbino, basandosi su alcuni scritti della Cabala andati poi perduti, sia
riuscito a creare il Golem, un essere artificiale che gli faceva da servitore suonando le campane
della sinagoga e portando a termine al suo posto i lavori più faticosi. Il Golem però era un essere
incompiuto, una sorta di creatura vegetale che prendeva vita solo durante il giorno grazie
all’influsso di una formula magica scritta su un biglietto che gli veniva infilato dietro ai denti. e
che attirava su di lui le vitali e misteriose forze dell’universo.
Fin qui vaghiamo ancora nei reami della leggenda che, per quanto suggestivi, sono pur
sempre innocui.
Ma Zwakh, che aveva parlato finora, continua il racconto dicendo che ogni trent’anni, preceduto
da stranissimi ma inconfondibili segni premonitori, il Golem torna a girovagare tra le antiche e
misteriose viuzze del ghetto: accade ogni volta che un uomo assolutamente sconosciuto, imberbe,
dal colorito giallastro e i tratti mongolici compaia dal vicolo della Scuola Vecchia, vestito di abiti
stinti e fuori moda
e percorra i vicoli del quartiere ebraico con una stranissima andatura fatta di passi
regolari ma vacillanti, come se fosse sempre in procinto di cadere in avanti.
Poi dopo che ha seminato lo scompiglio e lo sgomento tra gli abitanti del ghetto scompare come se
fosse diventato tutto d’un tratto invisibile.

Dopo il racconto di Zwakh, Athanasius si convince che lo straniero entrato in casa sua era
proprio il Golem e che il libro da quello affidatogli per essere riparato è il mitico libro “Ibbur”,
un antico tomo contente i più arcani segreti della Cabala.
Dagli amici, che credendolo addormentato iniziano a parlare di lui, scopre che in passato lui
era impazzito e che i dottori gli avevano sgombrato la mente dai dannosi ricordi sul suo
passato con l’ipnosi.
Recatosi poi con i tre amici ad un locale, là si sente male e ritornato a casa con l’aiuto di Zwakh,
viene soccorso da un suo vicino di casa, Shemajah Hillel. Costui è un impiegato al Municipio di
Praga ma anche un uomo religioso, un rabbino particolare e molto profondo che lenisce le ferite
interiori di Pernath, il quale è ancora scosso per l’incontro con il Golem e per l’inaspettata
rivelazione sul suo passato fornitagli dai tre amici.

Il giorno dopo riceve una lettera anonima da una persona che lui avrebbe conosciuta in passato e
che ora gli chiede disperatamente aiuto. Pernath si reca al luogo dell’appuntamento indicato
nella lettera con la speranza di poter carpire, da questa persona, qualche particolare sul suo
passato.
Giunto nel Duomo di Hradcany, il luogo dell’appuntamento, scopre che il mittente è una
nobildonna, Angelina. La donna è ricattata da un sudicio individuo, tra l’altro vicino di casa di
Pernath, il rigattiere e Aaron Wassertrum; egli minaccia di rivelare a la marito di Angelina la sua
relazione con lo
stimatissimo dottor Savioli. Solo lui, Pernath, al quale da bambina donò un ciondolo di pietra
rossa, può aiutarla. Athanasius accetta di farlo e sa di avere come alleato uno studente in
medicina, Innozenz Charousek figlio bastardo di Wassertrum ma che lo odia con tutte le sue
forze e che ha come unico scopo nella vita cancellare la gente della sua razza dalla faccia della
terra.
Una notte insieme allo studente Pernath mette al sicuro in casa sua alcune compromettenti
lettere inviate da Angelina a Savioli, ma a Charousek questo non basta il suo intento è quello di
costringere Wassertrum al suicidio.
Intanto Athanasius desidera incontrare nuovamente Hillel che col suo carisma e la sua saggezza
tanto lo aveva confortato e rasserenato nel momento del bisogno; e un giorno bussa alla sua porta
ma non trovandolo viene invitato ad entrare dalla figlia di Hillel, Mirjam. Ella è degna figlia di
suo padre, forte anche nella miseria nella quale vive. Pernath è affascinato dalla ragazza quanto
lo è, anche se in modo diverso, della signora Angelina.

Ma Wassertrum intanto ha capito chi sono i suoi nemici e così riesce ad incastrare Pernath
lasciandogli a riparare un orologio d’oro di un uomo da poco assassinato e il cui corpo non era
ancora stato rinvenuto.
L’artigiano finisce in galera e vi passa tre lunghi e terribili mesi; in prigione incontra Loisa un
ragazzo del suo quartiere al quale fornisce una lima, rimastagli in tasca, per fuggire.
Ma l’incontro più importante di questo periodo di detenzione è quello con Amadeus Laponder,
un uomo dalle straordinarie capacità psichiche capace persino, nel sonno, di uscire dal suo corpo
evivere la vita onirica di altre persone. Il signor Laponder, nonostante sia una persona cortese ed
educata, si trova in prigione per omicidio con stupro.
All’inizio questo sconvolge e fa inorridire Pernath che evita accuratamente di parlare al compagno
di cella ma poi lo sente parlare nel sonno prima con la voce di Mirjam, poi con quella di Hillel e
infine con quella di Charousek.
La mattina iniziano così una lunga e profonda discussione nella quale Laponder svela a Pernath il
significato di tutte le sue visioni, parla delle sue capacità e delle pulsioni misteriose che lo hanno
portato, inconsciamente, ad uccidere quella ragazza. Laponder si dice innocente poichè non ha
avuto scelta, nella vita lui ha deciso di seguire il suo Spirito ovunque lo portasse, sulla forca o sul
trono, alla ricchezza o alla povertà; se così non fosse stato allora sì sarebbe stato veramente
colpevole poichè libero da qualsiasi pulsione spirituale avrebbe compiuto lui stesso la scelta di
uccidere.
Laponder, giudicato secondo le leggi degli uomini, è colpevole e verrà quindi impiccato.

Poco tempo dopo Pernath riceve la visita di un uomo mandato da Charousek a portargli una sua
lettera e a fornirgli le istruzioni per una evasione: Pernath si rifiuta di evadere convinto di
riottenere presto la sua libertà.
La lettera lo informa che Wassertrum non si è suicidato come Charousek voleva ma è comunque
morto, ammazzato da Loisa con una lima. Il rigattiere ha lasciato tutto in eredità a Charousek,
saputo per caso che lui era un suo figlio. Lo studente ha deciso di regalare parte dell’eredità a
Pernath ma ha la certezza che non potrà dargliela di persona, infatti è convinto, e a ragione, di
avere ormai poco da vivere.
Pernath esce di prigione poco tempo dopo aver ricevuto la lettera e si mette subito alla ricerca
dei suoi amici Zwakh, Prokop e Vrieslander, di Hillel e soprattutto di Mirjam che ha scoperto di
amare profondamente.
Purtroppo non trova nessuno, la Hahnpassgasse è tutta sottosopra a causa della riforma
igienica voluta dall’Imperatore per il ghetto di Praga.
Pernath trova solo Jaromir, il sordo muto fratello di Loisa che abitava vicino a lui.
Questi gli spiega come può che Hillel e sua figlia sono partiti così come Zwakh, Vrieslander e
Prokop.
Pernath giura a se stesso di trovare Hillel e Mirjam a tutti i costi e di confessare alla ragazza i
suoi sentimenti; ma prima affitta una casa e decide di riprendersi dalla sua esperienza nel
carcere.
Durante la notte di Natale però, la sua casa prende fuoco per colpa delle candele accese
sull’abete; Athanasius sale sul tetto per trovare scampo dalle fiamme; su, su fino al comignolo e
trova una corda da spazzacamino con la quale cerca di calarsi giù lungo la facciata della casa.
Passa davanti a una finestra, guarda dentro e vede Hillel e
Mirjam! Cerca di afferrare le sbarre dell’inferriata.
Perde la presa della corda.
Per un attimo rimane sospeso a testa in giù, con le gambe incrociate, tra cielo e terra (ecco
perché lo aveva impressionato tanto quel tarocco raffigurante l’impiccato sospeso a testa in
giù).
Precipita.
Perde conoscenza.

Un uomo si sveglia.
Si alza e cerca di capire dove si
trova. È a letto in una stanza
d’albergo.
Non si chiama affatto Pernath ma conosce quel nome.
Si è sognato tutto? Ha sognato di essere Pernath per tutto quel tempo vivendone emozioni, paure e
amori?
No. Non sono cose che si sognano.
Guarda l’orologio; sono le due e mezza, ha dormito meno di un’ora.
Poi il suo sguardo si posa su uno strano cappello dalla fodera di seta bianca che ha preso per
sbaglio dalla panca durante la messa solenne al Duomo di Hradcany.
C’è un nome sulla fodera?
ATHANASIUS PERNATH
Un nome ben noto. L’uomo si riveste in fretta; ha capito tutto.
Va dal portiere e si fa dare le indicazioni per raggiungere la Hahnpassgasse.
Nel breve sonno di una sola notte ha vissuto il passato di Athanasius Pernath, il padrone del
cappello: ha visto e sentito cose come se fosse stato realmente lui.
La Hahnpassgasse, però, è diversa da come l’aveva vista in sogno anzi totalmente diversa e non
ci abita più nessuno degli uomini da lui conosciuti nelle vesti dell’intagliatore di pietre.
Si reca allora al locale dove si ritrovavano sempre Prokop, Vrieslander e Zwakh i tre amici di
Penath e trova un battelliere guercio che dice che Pernath è ancora vivo e vive sa dove vive.
Quando giunge all’abitazione di Pernath lo splendore che vede lo acceca; un vecchio servitore gli
viene incontro e gli domanda cosa desidera.
L’uomo gli porge il cappello di Pernath senza proferir parola. Poi li vede, davanti alla porta
d’accesso al castello, Athanasius e Mirjam insieme, marito e moglie.
Il servitore ritorna da lui portando in mano il suo cappello e con una voce che sembra provenire
dalle profondità della terra gli porge i ringraziamenti del signor Pernath che non ha calzato il suo
cappello, poiché si era accorto subito dello scambio.
“Il signor Pernath si augura di tutto cuore che il suo cappello non le abbia provocato un mal di
testa.”

Temi Principali e Personaggi


La prima cosa che mi sembra essenziale fare è ricostruire, per quanto possibile, l’intricata
genealogia del mito del Golem, un mito che al giorno d’oggi è andato perdendosi nelle nebbie
del passato e il cui significato è stato spesso stemperato in più accattivanti vesti romanzesche.
Al verso 16 del salmo 138 della Bibbia incontriamo per la prima volta il Golem anche se come
mera parola: “I tuoi occhi videro il mio golem e nel Tuo libro erano scritti tutti i giorni a me
destinati prima che ne esistesse uno”. Il sostantivo golem viene dall’ebraico talmudico e significa
‘materia priva di anima’, ‘essere informe’.
Nei rituali dei cabalisti medioevali si usava mimare ed imitare la creazione divina soffiando
svariate qualità di terra sopra l’acqua di una coppa e recitando varianti del nome di Dio: al
termine della prima parte di tale rito veniva creato il golem, essere virtuale composto di materia
informe ma privo di quell’anima che solo Dio nell’atto di creare può fondere ai corpi degli
uomini. Poi si compiva il rito all’inverso, riportando il golem nel suo fango.
Verso la fine del XVII secolo in Germania questo rito spirituale acquista una consistenza
materiale: questa è senza dubbio la parte che ci interessa di più della storia di questo singolare
personaggio. Si diffuse infatti la credenza che certi rabbini ebrei fossero in grado di creare dei
golem con l’ausilio di ancestrali formule magiche e che utilizzassero poi questi esseri artificiali
come servitori nei lavori per i lavori più pesanti: insomma i robot ante-litteram!
Nel 1808 Jacob Grimm narra la popolare leggenda del golem magicamente creato dal rabbi
Low di Praga. Si trattava di una mostruosa statua d’argilla che attraversa ogni trent’anni il
ghetto e cresce a dismisura fino a minacciare coloro che lo hanno plasmato, seminando il
terrore tra gli Ebrei che vedono in lui la personificazione di tutti i loro persecutori.
E’ questo il mito del golem che viene ripreso da Mary Shelley con il suo “Frankenstein” e da
Hoffmann con il suo “Der Sandmann” (L’uomo di sabbia): è il tema caro alla letteratura
fantastica dell’uomo artificiale schiavo della tecnologia che lo ha creato al quale non è dato di
avere sentimenti e che per il suo creatore altro non è che la raffigurazione dello scellerato
desiderio umano di sostituirsi a Dio per farsi artefici di vita.
Infine il golem incontra il destino di un giovane banchiere di Praga, Gustav Meyrink.

La creazione di Meyrink però non ha nulla da spartire con il mostro d’argilla del rabbi Low o con
quella della Shelley. Il Golem di Meyrink non è nemmeno composto di materia; è una sembianza
incorporea, un fantasma sfuggente e nebbioso, una enigmatica presenza che ricompare nel ghetto
ogni 33 seminando ovunque lo scompiglio. Si annida nel quartiere in una vecchia Scuola ormai
fatiscente che guarda gli Ebrei con il sorriso sdentato delle sue vecchie e rovinate persiane; poi,
sempre preceduto da inconfodibili segni premonitori, assume una forma sensibile e prende a
vagare. L’apparizione di questo Golem è sempre sintomo di una epidemia spirituale che si
propaga con la rapidità del fulmine e si impossessa delle anime dei vivi. In riguardo a questa
epidemia e in particolare in riguardo al Golem io credo che per Meyrink siano il simbolo di
quanto di malvagio o innaturale è presente nel ghetto. Molti scrittori del fantastico credevano che
ogni città, ogni casa, ogni luogo che avesse conosciuto la presenza dell’uomo fosse pervaso da
intense forze psichiche; come campi di una occulta energia spirituale frutto delle emozioni, dei
sentimenti (soprattutto di quelli cattivi) di coloro vi abitano e anche di coloro che vi abitavano.
Ecco, in altre parole ho detto questo perché a mio parere l’autore vuole spiegare che sono le
paure, le angosce e le meschinità dei piccoli ebrei perseguitati a dar corpo al Golem. Il Golem
non è forse l’uomo a metà? L’essere informe, la materia priva di anima?
Il Golem non è altro che la raffigurazione di quella grande quantità di uomini che si
accontentano di muoversi come ombre sul palcoscenico del mondo e che rimarranno tali poichè
incapaci di confrontarsi con il loro io (come invece fa il protagonista del romanzo): costoro
sono i veri Golem, gli esseri a metà la cui vita altro non è che la sinistra ballata dei fantasmi di
loro stessi.
Pernath è invece diverso poichè riesce a compiere un cammino di profonda interiorizzazione e
diventa così un simbolo; il simbolo dell’uomo che con tutte le sue forze anela a trovare la
risposta e quindi la trova. Per arrivare a questo il personaggio vede la sua esistenza incrociarsi
con strane visioni cariche di simbolismi, segni e figure mitiche appartenenti alla tradizione
cabalistica medioevale della quale Meyrink fu un grande conoscitore. Lungo tutta la durata del
romanzo si avverte questa profonda carica mistica dell’autore che con l’esposizione di dottrine e
teorie particolari indirizza sempre il lettore in un senso positivo, attivo e costruttivo. Non c’è
solo una messa in guardia nei confronti di ciò che nel settore spirituale deve essere evitato, ma
soprattutto l’indicazione della via e dei metodi da adottare per un’affermazione delle forze
positive dentro di noi. Quella di Meyrink è una dottrina del ‘risveglio’: la vita normale è un
letargo in cui ci si comporta come sonnambuli e senza sapere il perchè delle proprie azioni.
Soltanto chi è sveglio, cioè chi conosce se stesso, si realizza spiritualmente e può essere
considerato una persona vera, completa, integrale, destinata all’immortalità.
Credo che ad avvalorare questo discorso si possa richiamare un dato autobiografico di Meyrink;
cioè quello che riguarda la sua conversione al buddismo eseguita poco prima che sopraggiungesse
la sua morte nel 1932.
L’altro personaggio importante del romanzo è Shemajah Hillel che, io credo, rappresenti la voce
dell’autore; insieme al personaggio di Laponder, Hillel è colui che fornisce a Pernath la maggior
parte delle informazioni sul simbolismo della Cabala e dell’esoterismo in generale affinché lui
decifri le sue singolari visioni. Hillel è l’uomo che ha già trovato la via, forse è anche colui che
ha creato il Golem (ho almeno è questo che mi è parso di capire).

Infine, un cenno alla particolare e calzantissima ambientazione scelta da Meyrink per il suo
romanzo, cioè quella di una Praga metropoli dell’occulto e dell’irreale, dove tutte le immagini
tendono a deformarsi spasmodicamente, ad assumere facce grottesche e spettrali.
Lo spettro alto del Golem è il prolungamento dell’atmosfera lugubre e malata del quartiere ebreo
delle sue fatiscenti casupole medioevali, pietre sudicie (e liscie come pezzi di lardo); anche dalle
descrizioni che ce ne fa Meyrink il ghetto è un fitto incastro di catapecchie e stamberghe, un
labirinto di viuzze sudicie e sterrate, il tutto organizzato in un piano architettonico
contorsionistico ma pittoresco.
Nel 1896 il municipio di Praga decideva di avviare un drastico risanamento del brulicante
quartiere ebraico radendo al suolo quasi tutti i vecchi edifici e sostituendoli con nuovi e fastosi
palazzi.
Così Kafka rievoca l’atmosfera dell’antico ghetto ebreo:
“Dentro di noi vivono ancora gli angoli bui, i passaggi misteriosi, le finestre cieche, i sudici
cortili, le bettole rumorose e le locande chiuse. Oggi passeggiamo per le ampie vie della città
ricostruita, ma i nostri passi e gli sguardi sono incerti. Dentro tremiamo ancora come nelle vecchie
strade della miseria. Il nostro cuore non sa ancora del risanamento effettuato. Il vecchio malsano
quartiere ebraico dentro di noi è più reale della nuova città igienica intorno a noi. Svegli,
camminiamo in un sogno: fantasmi noi stessi dei tempi passati.”

Giudizio Personale
C’è un solo aggettivo che può definire tutto il romanzo: mistico.
Profondo, intenso, mai scontato mi è sembrato quasi una terapia spirituale punteggiata da
sfumature filosofiche orientali (delle quali Meyrink doveva essere molto esperto). Da un punto di
vista semplicemente narrativo credo che la trovata dello scambio occasionale del cappello, che
innesca tutta la vicenda, sia geniale e tra l’altro perfetta per evidenziare il messaggio del
romanzo; cioè che la
rassicurante normalità della vita quotidiana è solo una effimera cortina di fumo che ci separa
da un mondo segreto e soprannaturale. Il libro mi è piaciuto molto e credo che abborderò
qualche altro romanzo di Meyrink. Le atmosfere poi sono quelle giuste per condurre il lettore
in un viaggio attraverso un mondo onirico mosso e dominato da potenti e terribili forze
spirituali.

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