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Lisabetta da Messina

Lisabetta è la protagonista della quinta novella della quarta giornata.


Fisicamente viene descritta come una “giovane bella e assai costumata” che
nasconde in sé una profonda determinazione nel raggiungere i propri
obiettivi. In lei appare subito evidente un dualismo in quanto da una parte è
caratterizza dalla determinazione e dal fato che non si arrende alla sua
infelicità senza Lorenzo, ma dall’altra a distinguerla negativamente è la sua
sottomissione ai fratelli. Nonostante ella viva di nascosto il suo amore, non sa
ignorare l’imposizione dei fratelli che fanno di lei una giovane molto infelice.
Ella quindi rappresenta la tipica donna medioevale, non quella canta nel tardo
medioevo da Dante, Guinizzelli o Tetrarca, ma quella sottomessa all’uomo in
ogni senso, la donna che deve stare in casa e ha l’unico compito di generare
figli. Come avveniva per l’uomo maschile che in epoca umanista muta la sua
personalità, i suoi interessi e quindi i suoi scopi così anche Elisabetta non si
incarna in una figura del tutto negativa. Anche il fatto di vivere una relazione
di nascosto rappresenta un mutamento nella società, una variazione dei
canoni tradizionali. La sua sfrontatezza nei confronti dei fratelli li mette in
cattiva luce dinanzi alla gente ma rende lei un eroe femminile, che mira alla
felicità, non solo caratteristica di una vita ultraterrena ma soprattutto
mondana. Anche qui, come in gran parte delle novelle del Decamerone,
fondamentale è il tema dell’”industria”, poiché i personaggi, in questo caso
soprattutto per quanto riguarda Elisabetta, cercano di mutare il proprio
destino in base ai loro scopi terreni. Al di là del suo coraggio, Elisabetta
mostra anche una certa sensibilità: stereotipata è la scena del pianto che,
tuttavia, si trasforma successivamente in una determinazione ancora più
spinta e impiegata per rendere realtà la felicità. La figura della donna si
differenzia, infine, da quella dei fratelli perché ella non mostra alcun interesse
per la propria reputazione; al contrario pensa solo a se stessa e alla propria
realizzazione personale.

Elisabetta, una giovane e bella ragazza, che viveva a Messina insieme ai


suoi tre fratelli, mercanti di professione; questa, predisposta dal bell'aspetto e
dall'età, presto s'innamorò di un aiutante dei fratelli di nome Lorenzo, il quale
dimostrò subito di contraccambiare i sentimenti della giovane. Una sera uno
dei tre fratelli scoprì casualmente la tresca tra i due ragazzi e, quando la
mattina seguente ne parlò con gli altri, tutti insieme decisero di far finta di non
sapere nulla, almeno finché non avessero eliminato definitivamente colui che
rappresentava un'onta per la sorella e per tutta la famiglia. Così un giorno i
tre condussero con l'inganno Lorenzo fuori città, l'uccisero e poi lo
seppellirono; tornati in città dissero di averlo mandato lontano per portare a
termine alcuni affari, e visto che erano soliti farlo, furono facilmente creduti.
Elisabetta, vedendo che Lorenzo non tornava, cominciò a chiedere sue
notizie ai fratelli in maniera sempre più insistente, finché una notte lui le
apparve in sogno: le disse che quei tre lo avevano ucciso, perciò che lei non
lo aspettasse oltre, le disegnò il luogo in cui era sepolto e poi scomparve. Il
giorno seguente, senza avere il coraggio di affrontare i fratelli, si diresse
verso il luogo che Lorenzo le aveva indicato in sogno e trovato il corpo,
sapendo di non potergli dare degna sepoltura, ne tagliò il capo che portò con
sé. Arrivata casa mise la testa dell'amato in un vaso, riempì questo di terra e
vi piantò numerosi rami di basilico salernitano, che da quel giorno in poi
spesso innaffiò con le proprie lacrime; questa sua ossessione per quel vaso
di basilico fu notata da alcuni vicini, i quali informarono i tre fratelli che, dopo
aver più volte rimproverato la ragazza, decisero di sottrarle il vaso. Come si
rese conto della privazione Elisabetta fu colpita da infermità, cosa che
sorprese i tre fratelli a tal punto che essi vollero capire cosa avesse di tanto
speciale questo vaso: subito trovarono sul suo fondo i resti della testa di
Lorenzo, e per paura che questo fatto si venisse a sapere, trasferirono tutti i
propri affari a Napoli. Nel giro di poco tempo, Elisabetta morì continuando a
domandare del vaso, e con lei morì il suo grande amore.

Nastagio degli Onesti, giovane ravennate (borghese), ricchissimo per


l'eredità ricevuta dal padre e dallo zio, innamorato di una Monna de'
Traversari (ricca e nobile famiglia ravennate) spende parecchio del
suo patrimonio, fino a quando consigliato dagli amici, non si ritira
a Classe.
Un giorno, rimasto solo nella pineta di Classe, assiste all'inseguimento
di una giovane donna nuda e scapigliata, inseguita da due mastini,
che la mordevano quando la raggiungevano, e da un cavaliere.
Nastagio vorrebbe difenderla, ma il cavaliere (che tra l'altro si chiama
Guido degli Anastagi, evidente quindi la analogia con il protagonista
della novella)gli racconta che quella donna, vissuta a Ravenna più di
50 anni prima, sta scontando una pena infernale per averlo fatto
soffrire in vita, non corrispondendo al suo amore, e per aver gioito
della sua morte. Questa scena si ripete ogni giorno in svariati luoghi, e
in quella pineta ogni venerdì. La donna una volta sbranata, viene
colpita a morte dal cavaliere, le vengono mangiate le interiora, e poi
per volere divino risorge e viene nuovamente inseguita.
Effettivamente poi Nastagio osserva con terrore come la donna sia
raggiunta e uccisa. Pensa quindi di sfruttare a proprio vantaggio
questa cosa. Invita perciò il venerdì seguente a pranzo molte persone,
tra cui la famiglia dei Traversari, compresa quindi la donna che tanto
ama.
Nel mezzo del banchetto si ripresenta agli invitati la visione infernale.
Tutti assistono alla scena, ma la donna amata da Nastagio in
particolar modo si spaventa, perché immagina di essere sottoposta,
dopo la morte, ad una simile pena, per l'atteggiamento crudele avuto
con Nastagio, simile a quello della dannata con il cavaliere.
Allora quest'ultima invita Nastagio a soddisfare i suoi desideri, ma
Nastagio, onorevolmente, le propone di sposarlo. Lei accetta con gioia,
e così avviene che la domenica seguente i due si sposano e da quel
momento tutte le donne di Ravenna imparano ad essere più gentili
con gli uomini.

commento
Due sono gli aspetti sui quali intendiamo soffermare l'attenzione:
1. Nella novella vi è un elemento fantastico (la visione infernale)
che accomuna questa novella alla commedia dantesca, testo
molto amato e frequentato da Boccaccio, anche se stavolta
l'esempio infernale funge, più che da monito morale, da
elemento di risoluzione di un soddisfacimento amoroso.
2. Inoltre vi è una caratterizzazione sociale, poiché Nastagio è
borghese, mentre la donna è nobile, a testimonianza ancora una
volta del fatto che la classe borghese intende appropriarsi di
alcun ideali di cortesia e generosità tipici della classe nobiliare

FRATE CIPOLLA
Frate Cipolla abitava in un convento di frati dell'ordine di
San'Antonio di Certaldo, un borgo intorno al castello di Valdelsa, tra
Firenze e Siena. Questo piccolo borgo, era abitato da nobili e
uomini agiati, e ogni anno Frate Cipolla faceva avanti e indietro per
raccogliere le laute offerte e le elemosine dei contadini per il
convento. Era un uomo di bassa statura, dai capelli rossi, molto
gioviale e scherzoso,un vero amante delle allegre compagnie e
anche se non era istruito, era un ottimo oratore e molto stimato da
tutti i suoi conoscenti. Nel mese di agosto, com'era sua usanza,
durante una Messa nella chiesa parrocchiale, chiese ai fedeli di
ricordarsi delle donazioni alla Chiesa, ovviamente ognuno nelle
misura che poteva permettersi, e a chi portava generose
elemosine, gli avrebbe mostrato una reliquia prestigiosa: una
penna delle ali dell'arcangelo Gabriele. Mentre Frate Cipolla
predicava, tra i fedeli erano presenti Giovanni e Biagio, due
compagni di brigata del frate che decisero di beffarlo, rubandogli la
reliquia ,avendo saputo che la mattina seguente il frate sarebbe
partito dal borgo. Biagio avrebbe dovuto intrattenere il servitore e
Giovanni avrebbe invece rubato la piuma, ovunque essa fosse
nascosta, per poi vedere cosa avrebbe detto il frate ai fedeli, senza
avere la reliquia. Il fante del frate, Guccio, che aveva anche altri
soprannomi, che stavano a sottolineare la sua sporcizia, libidine e
pesantezza, era una persona cattiva e molto inetta, le cui
caratteristiche ( tardo, sudicio, bugiardo; negligente,disubbidiente ,
maldicente; trascurato , smemorato e scostumato) avrebbero
rovinato le virtù di uomini importanti del passato.Egli pensava di
essere un uomo piacente, a tal punto da pensare che tutte le donne
si innamorassero solo vedendolo, per questo motivo corteggiava
tutte le donne. Così Frate Cipolla, arrivato in albergo,aveva detto a
Guccio di non toccare anzi,di sorvegliare le sue cose, specialmente
le bisacce contenenti oggetti sacri. Ma Guccio Imbratta aveva
preferito andare nelle cucine dell'albergo nella ricerca di qualche
serva. Alla visione di Nuta, una donna grassa, grossa, piccola e
malfatta, molto prosperosa, sudata, unta e affumicata, Guccio vi si
gettò come un avvoltoio su una carogna, lasciando la camera del
frate incustodita. Mentre corteggiava Nuta, riempiendole le orecchie
di parole e complimenti, i due amici del frate, arrivavano in albergo
e trovavano, Guccio Porco impegnato nel corteggiamento, allora si
intrufolarono con facilità nella camera del frate e cercando,
trovarono, fasciata, una piuma di pappagallo, subito pensarono si
trattasse dell'importante reliquia da mostrare ai certaldesi, e la
scambiarono con dei pezzi di carbone. I fedeli del paese, sparsa la
voce della reliquia, si avviarono tutti verso il castello tanto da starci
a mala pena. Il frate sentendo la moltitudine di persone, che era
accorsa per vedere la reliquia, mandò a chiamare Guccio Imbratta
per fargli portare le sue bisacce. Guccio, dopo aver portato le
bisacce al frate, andò a suonare le campane per l'esposizione delle
reliquie. Il frate non accorgendosi che le bisacce erano state
toccate, iniziò la predica e con enfasi fece accendere due grossi
ceri. Quando aprì la cassetta che doveva contenere la penna, e vide
i pezzi di carbone, non dubitò di Guccio Imbratta poichè non lo
riteneva capace di tanto. Alzò le mani al cielo ringraziando Dio e
iniziò a inventare qualcosa per ingannare i fedeli. Disse che aveva
girato per vari paesi e città d'Italia, facendo credere di essere
arrivato fino in paesi esotici e di aver visto diverse situazioni e tipi
di persone. Fino ad arrivare a Gerusalemme, dove Sant'Antonio gli
fece vedere svariate reliquie, di cui ne citò alcune, tra cui un dito
delle Spirito Santo. Per ringraziarlo della sua compagnia gliene
diede alcune, oltre alla piuma dell'angelo Gabriele, gli diede il suono
delle campane del tempio di Salomone a Gerusalemme racchiuso in
un' ampolla, e dei carboni, con il quale era stato bruciato e fatto
martire San Lorenzo. Benchè egli avesse da tempo queste reliquie,
il suo superiore, l'abate, non gli aveva mai permesso di mostrarle,
poichè non si era certi della loro autenticità, ma quel giorno decise
lo stesso di farlo perchè ad esse erano state attribuite dei miracoli.
Disse infine che poichè le cassette, contenenti una la piuma e l'altra
i carboni erano simili, per questo motivo le aveva scambiate,
portando con sè i carboni, visto che quello era il volere di Dio,
infatti due giorni dopo sarebbe stato San Lorenzo. Cantò insieme ai
fedeli una lode a San Lorenzo e poi mostrò i carboni, dicendo che,
chiunque li avesse toccati, sarebbe stato immune da scottature per
un anno. La moltitudine di fedeli si avvicinò con ammirazione verso
il frate, facendo offerte sempre più alte per poter toccare la
reliquia.Il frate iniziò così a segnare croci sulle fronti dei fedeli,
affermando che tanto poi, i santi carboni si sarebbero ricostituiti
nella cassetta. Giovanni e Biagio, che erano anch'essi ad ascoltare
la predica, rimasero stupefatti dall'astuzia con la quale Frate Cipolla
era riuscito ad ingannare i certaldesi e gli restituirono la piuma.
Andarono poi a festeggiare insieme al resto del paese e l'anno
seguente la piuma gli procurò non meno delle stesse offerte dei
carboni.

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